oggi l`ecumenismo è la riforma della Chiesa

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oggi l`ecumenismo è la riforma della Chiesa
L’INTERVISTA
oggi l’ecumenismo è la riforma della Chiesa
a colloquio con
Enzo Bianchi
ROCCA 1 MARZO 2017
A
a cura di
Mariano Borgognoni
vevamo pensato di chiedere questa intervista sullo stato del dialogo ecumenico al Priore di
Bose qualche settimana fa. Nel
frattempo Enzo Bianchi, fondatore della comunità monastica di Bose, una
delle più vitali esperienze monastiche in Italia e in Europa, non ne è più il Priore. Per sua
espressa e insistita volontà è avvenuto un passaggio di mano e di generazione e la Comunità ha eletto fratel Luciano Manicardi. Una
scelta ricca di significati che Fratel Enzo ci
spiega all’inizio di questa intervista. La sua
voce, per parresia e profondità resterà a lungo una di quelle da ascoltare e meditare per
quanti vogliono vivere con autenticità e consapevolezza la propria fede di cristiani nella
compagnia delle donne e degli uomini del loro
tempo, ascoltandone i bisogni e gli interrogativi e condividendone i pesi e le speranze.
nella foto
da sinistra
Enzo Bianchi
e Luciano Manicardi
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Una prima cosa: sei stato protagonista di un gesto straordinario che non è
per nulla usuale in nessun ambito ed è
rarissimo nella Chiesa, e ancor più nuo-
vo soprattutto tra i Fondatori di Comunità. Ce n’è puoi spiegare il significato?
Io ho sempre creduto sia un bene che a un
certo punto il Fondatore non muoia nell’esercizio del suo servizio di Priore, ma che
ci sia un momento in cui lascia il posto a
un altro della Comunità, perché è anche un
segno che la Comunità non è sua ma del
Signore. Perciò ho sempre pensato che questo passaggio fosse necessario nella mia
vita. Poi negli ultimi anni, soprattutto da
quando ho compiuto i settanta, certamente questa scelta è diventata molto cogente
e due anni fa l’ho comunicato alla Comunità affinché potesse prepararsi. Abbiamo
avuto due anni di preparazione, di incontri, di meditazione, di ricerca, finché siamo giunti appunto al Capitolo annuale. Così
il 26 gennaio è avvenuta la votazione per
l’elezione del nuovo Priore e già al primo
turno, nonostante fosse richiesta la maggioranza dei due terzi, c’è stata l’indicazione piena per fratel Luciano. Questo mostra
una Comunità compatta, matura, convergente, il che mi ha reso doppiamente lieto.
L’unità sulla regola di fede è indubbiamente decisiva ma sarà sufficiente?
Infatti l’altra esigenza è che ci sia la carità
tra tutti e una carità sincera, senza polemica, senza concorrenza nella missione,
con un riconoscimento reciproco. Ecco di
fronte a questo grande obiettivo ecumenico, certo, Dio può fare l’impensabile, ma
noi possiamo vedere come il cammino sia
più facile con le Chiese Orientali e Ortodosse, un cammino direi ancora abbastanza conseguibile con le Chiese tradizionali
della Riforma: la Luterana, la Riformata e
l’Anglicana. Mentre un cammino di unità
con tutta la galassia Pentecostale-Evangelica – che attualmente, non dobbiamo dimenticarlo, ha il più grande numero di
cristiani, dopo quelli della Chiesa Cattoli-
ca – si mostra molto difficile e infatti non
si sa che strada prendere perché ogni Comunità, vorrei dire ogni nucleo ha una sua
fede, non vuole che sia normata da un Credo o da qualcosa di comune, quindi lì è
certamente molto difficile. Ma credo che
bisogna continuare a sperare, cammin facendo chissà come saranno i mutamenti
anche in queste Chiese e io credo che si
potrà arrivare a una unità nella fede visibile. Certo, senza la pretesa di conservare
tutto di ogni tradizione: bisogna saper rinunciare a ricchezze non necessarie…
Insomma ridurre all’essenziale, trovando la vera ricchezza della fede nella concentrazione sul necessario...
Sì, quello che il Concilio ha chiamato la
gerarchia delle verità. Una grande espressione del Concilio è che c’è una gerarchia
delle verità, alcune che non sono assolutamente dimenticabili, altre che possono
essere ascritte al cammino di fede, culturale, di una determinata Chiesa.
Nella tua esperienza diretta e secondo
il tuo discernimento, quali sono stati
sorgenti e passaggi decisivi che hanno fatto sì che oggi sia possibile fare
dei passi in direzione di una comunione tra cristiani?
Il più importante è stato certamente l’incontro di Athenagoras con Paolo VI, perché là indubbiamente è stata aperta la possibilità di un dialogo, di un incontro con
l’Ortodossia e non dobbiamo dimenticare
che là si era arrivati a un passo da un’unità eucaristica, davvero a un passo. E poi,
certo le perplessità e i dubbi hanno impedito che si andasse fino in fondo. Da allora molto cammino di conoscenza reciproca con gli Ortodossi è stato fatto.
L’altro passaggio importante, con il mondo
protestante, è stata la Dichiarazione dottrinale congiunta sulla Giustificazione: non
abbiamo più un contenzioso in materia, ma
la fede cristiana è la fede in cui ci si salva
per Grazia, perché Dio ha un amore che
non va mai meritato, questo è straordinario e certamente ha mosso le Chiese Protestanti da una situazione di stallo, di diffidenza, verso una situazione di apertura nei
confronti della Chiesa Cattolica. Questi direi sono i due eventi fondamentali a livello
di Chiesa e di Chiese, però non si dovrebbe
mai dimenticare tutto quel lavoro continuo
che hanno fatto Comunità, Monasteri, battistrada dell’unità. È stato un lavoro enorme, in questi decenni: basti pensare a Chevetogne, a Taizè, certamente anche noi a
Bose. Poi penso ai grandi pionieri tra Oriente e Occidente, questi uomini traghettato-
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Grazie fr. Enzo e auguri a tutta la Comunità perché permanga un fermento vivo nella Chiesa, tra i cristiani, in
mezzo agli uomini, credenti e non credenti, del nostro tempo.
Ma veniamo all’ecumenismo, che è l’argomento su cui volevo ci aiutassi a riflettere. Il mandato evangelico è chiaro:
«ut unum sint». È una condizione di
credibilità per i cristiani. Essere uno,
dopo una stagione lunga che ha sedimentato sensibilità, percorsi, istituzioni, tradizioni diverse non è né scontato
né facile. Tenuto peraltro anche conto
che il Cristianesimo in fondo nasce pluralista, lo è sin dalle origini. Che vuol
dire «essere uno», secondo te, oggi?
Sarei tentato di evitare la parola «unità».
Preferisco la parola «comunione». Il Cristianesimo è nato in diverse forme, in diverse
culture, ha avuto storie diverse in diverse
chiese e poi molte di queste chiese si sono
divise, abbiamo vissuto scismi, sconfessioni reciproche, accuse di eresia, e le chiese
hanno fatto cammini molto diversi per secoli. Ormai abbiamo un millennio di divisione con l’Oriente e mezzo millennio di
divisione con le chiese della Riforma. Parlare di cammino di unità, di comunione significa dire almeno questo: anzitutto che
ci vuole una regola della fede comune. Senza una fede comune noi non possiamo fare
l’unità; sarà il Credo apostolico, sarà il Credo di Nicea-Costantinopoli, ma un solido
punto di appoggio ci vuole. Però là dove
noi abbiamo molti cristiani, molte comunità cristiane, soprattutto nella galassia
chiamiamola evangelica-pentecostale, in
cui non sempre è chiaro che Gesù Cristo è
Signore, che Gesù Cristo è il Figlio di Dio e
Dio, bisognerà ribadire la regula fidei per
costruire l’unità su un fondamento comune, compito che con queste comunità sarà
ancora lungo e complesso.
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L’INTERVISTA
ri, che hanno traghettato teologia orientale, teologia russa, bizantina in Occidente e
traghettatori che le ricchezze d’Occidente
le hanno trasportate e le hanno fatte conoscere ad Oriente. È stato un grosso lavoro
profondo e prezioso.
Senti Enzo, come l’avete vissuta a
Bose questa vostra dimensione interconfessionale fin dall’origine? Con la
presenza, sia pure minoritaria, di fratelli e sorelle ortodossi o protestanti?
Direi quasi naturalmente, perché faceva
parte del mio sangue, della mia vita, io mi
ero preparato a questo fin da ragazzo, in
una serie di contatti, già da allora con gli
Ebrei e con i Protestanti. Nella mia giovinezza poi avevo frequentato molto i monasteri ortodossi di Serbia e di Grecia.
Devo anche ricordare che durante la gestazione del Gruppo di Torino, per quattro anni ci sono stati i Valdesi che hanno
frequentato il mio gruppo, Paolo Ricca che
veniva a dare insegnamenti, insomma c’era
tutta una preparazione per cui oserei dire
che ero equipaggiato per questo dialogo.
Certo, allora siamo stati visti con diffidenza, anche dalla Chiesa istituzionale, anche
dal Vescovo: temevano che fossimo dei
Protestanti, poi invece hanno capito che
ci muovevamo nello spazio del dialogo e
tante incomprensioni si sono appianate.
Ma certamente è stato un cammino, soprattutto il primo decennio, molto difficile e contestato. Però noi l’abbiamo affrontato bene, vivendo insieme la spiritualità,
la liturgia e tutta la vita comune quotidiana. Questo ci ha aiutato molto.
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Oggi la preghiera e la parola dei monaci, quanto può contare in questo
percorso e anche per lanciare un occhio alla dimensione interreligiosa?
Anche oltre l’ ecumenismo?
Oggi la situazione è molto disuguale, nel
senso che nel mondo ortodosso senza il
monachesimo non si fa nessun cammino
verso l’unità, perché i monaci sono una forza estremamente importante, con un grande peso nella vita della Chiesa, sovente i
monaci contano più dei vescovi. Nella Chiesa Cattolica, attualmente, il monachesimo è
in grossa crisi perché mancano le vocazioni, c’è l’invecchiamento e tutto questo fa sì
che i monaci siano oggi abbastanza dimenticati; almeno i monaci hanno questa sensazione: di essere dimenticati nella Chiesa
Cattolica. Quindi in realtà non possono fare
granché. Salvo qualcuno che ha la capacità
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di intraprendere percorsi di comunione, ma
senza aspettare input dalla Chiesa. Può semmai aprire lui dei dialoghi, delle vie, come
succede a noi a Bose. Ma ovviamente non
tutti hanno doni e carismi per poter fare tutto
questo lavoro. No, la Chiesa Cattolica attualmente non conta molto sui monaci e non li
apprezza molto, è l’amara realtà.
Il pontificato di papa Francesco, dal
punto di vista del dialogo ecumenico,
mi sembra che qualche strada l’abbia
riaperta, per esempio questa presenza
a Lund era inimmaginabile ed è stata
anche un po’ nascosta, per la verità.
Che cosa ne pensi di questo pontificato in riferimento all’ecumenismo?
Papa Francesco ci ha fatto uscire dall’inverno ecumenico in cui eravamo precipitati, e lui sta rendendo possibile con molti
segni ciò che sembrava ormai impossibile
e addirittura non percorribile. Penso al rapporto che ha con il patriarca Bartolomeo
di Costantinopoli, che è veramente stretto,
fraterno, amichevole. Penso al fatto che sia
riuscito, seppur come prima tappa, a incontrare il patriarca di Mosca, quasi umiliandosi pur di vedere suo Fratello, come l’ha
chiamato. E poi anche la presenza a Lund.
Molti lo accusano di non essere più cattolico, ma lui in realtà ha fatto quel che dice il
Vangelo: cercare, con tutti quelli che sono
cristiani, segni di pace, di dialogo, di unità.
Con lui l’ecumenismo ha ripreso a camminare, attraverso segni, gesti, fatti, come non
era prevedibile prima.
Un’ultima cosa. Tra ecumenismo e riforma della Chiesa, individuazione di
ministeri, carismi nuovi, apertura ai
laici, ruolo delle donne, vedi qualche
rapporto?
Oserei dire che oggi l’ecumenismo è la riforma della Chiesa. Se le Chiese si vogliono riformare devono passare attraverso
l’ecumenismo. Senza l’ecumenismo non c’è
riforma possibile. E poi è attraverso l’ecumenismo che è possibile che la Chiesa cattolica abbandoni il clericalismo, si apra al
laicato, sia creativa nell’attribuire ruoli di
responsabilità alle donne anche al suo interno. Senza ecumenismo non c’è possibilità né di riforma né di rinnovamento. E
questo forse non tutti lo capiscono, ma io
ritengo che bisogna convincersi che oggi
riformare la Chiesa vuol dire praticare l’ecumenismo. Certo in maniera seria, non un
ecumenismo di cortesia, non con gesti puramente formali, ma praticare un ecumenismo che rilegga e riformi la Chiesa.
a cura di Mariano Borgognoni