ingresso della turchia in europa, antidoto per il
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ingresso della turchia in europa, antidoto per il
Anna Fedrizzi, autrice di una tesi sull’integrazione fra Oriente e Occidente ltre alle difficoltà economiche, legate soprattutto ad un’inflazione elevata e all’alto tasso di disoccupazione (anche a carattere stagionale), c’è il problema culturale: in Turchia la quasi totalità della popolazione è islamica, ed in Europa c’è chi teme situazioni di incompatibilità. Eppure la strada per l’integrazione è percorribile; anzi: l’incontro dell’Unione con la Turchia potrebbe favorire la conoscenza di una cultura “altra”, creando un ponte con il Medio Oriente, stemperando le tensioni che – inutile far finta di non vedere – attualmente rimangono. Il processo di adesione della Turchia è stato oggetto della tesi di Anna Fedrizzi, laureata di recente in Società, Politica ed Istituzioni Europee presso la facoltà di sociologia dell’università di Trento. Titolo della ricerca è “Tra Europa e Asia: il processo di adesione della Turchia all’Unione europea”. A partire da una serie di premesse di carattere storico, il lavoro ha sviluppato un ragionamento economico e culturale, nella prospettiva di un ulteriore allargamento europeo. La Turchia è “sorvegliata speciale” da Bruxelles sulle questioni dei diritti umani e della stabilità economica, ma la scenario globale appare positivo. Esistono davvero i presupposti per l’integrazione? Certamente. Da una parte abbiamo l’Unione europea, che sta mettendo in atto progetti rivolti ai nuovi Paesi dell’allargamento, con l’idea di farli partecipare ad un serie di attività. Dall’altra c’è la Turchia; tra gli Stati del Medio Oriente è quello che gode della situazione migliore; ha i mezzi per entrare, ma deve varare una serie di riforme, migliorando ulteriormente il rispetto dei diritti umani, abbassando l’inflazione, attualmente pari all’11%, riducendo la disoccupazione e il lavoro sommerso. Nel settore agricolo, ad esempio, sono impiegati moltissimi stagionali, che hanno la garanzia di un reddito solo per alcuni mesi l’anno. Altri problemi interni sono la difficile stabilità politica ed economica, un apparato militare fortemente politicizzato, l’occupazione di una parte di Cipro, il mancato rispetto delle minoranze, la situazione curda. Parliamo di eventuali ostacoli culturali... Da un punto di vista strettamente geografico la Turchia non è Europa, questo è evidente; è quindi fondamentale O Eliana Agata Marchese Anna Fedrizzi pagina 3 INGRESSO DELLA TURCHIA IN EUROPA, ANTIDOTO PER IL FONDAMENTALISMO la creazione, a livello interno, di un sentimento di identità. Si tratta di un processo a doppio senso, che potrebbe favorire, ma allo stesso tempo essere favorito dall’ingresso nell’Unione europea. Con le ultime riforme nel campo dei diritti umani il Paese sta cercando di avvicinarsi agli standard richiesti per l’ingresso. Il 99,8% della popolazione turca si dichiara musulmana, e la connessione Statoreligione non è mai stata messa seriamente in discussione. La Turchia è quindi un Paese orientale, anche se ha una forte connotazione occidentale, che giustifica la volontà di entrare in Europa. Se si sviluppasse un processo bi-direzionale di tolleranza si potrebbe creare un modello positivo, utile nella lotta contro l’integralismo ed il terrorismo. Stemperando, cioè, le tensioni fra Oriente e Occidente? Sì. La conoscenza dell’altro elimina la paura. Troppe volte siamo portati a considerare l’Islam soltanto in termini di fondamentalismo; ma si tratta di una religione che ha in sé gli elementi della tolleranza, e le dimostrazioni storiche ci sono state. Consentire l’ingresso alla Turchia potrebbe essere un modo per avvicinarsi ad una cultura diversa e sbrogliare alcune situazioni attualmente difficili. Nel recente passato ci sono state forti proteste contro la prospettiva di una Turchia “europea”... A parer mio si è trattato di manifestazioni di intolleranza, dovute soprattutto alla mancanza di conoscenza. Mi vengono in mente anche i sassi lanciati poco tempo fa contro il centro islamico di Trento. I musulmani ormai vivono e lavorano con noi; dobbiamo creare una convivenza pacifica, senza ghettizzare queste persone, anche per non causare reazioni da parte loro. Forse in Italia siamo meno abituati al contatto con l’Islam, perché le comunità non sono numerose come quelle presenti in altri Paesi, ad esempio la Germania. Spesso i discorsi riguardanti l’ingresso in Europa si concentrano sui problemi economici; si fa più fatica a parlare dell’aspetto religioso, della paura di “tirare in casa nostra” dei fondamentalisti o “farci portar via posti di lavoro”. Ma bisogna percorrere la strada verso l’integrazione, anche cambiando atteggiamento nei confronti dell’immigrazione.