Cura toi etscon vlt- On Stage | I benandanti LORENZO BRUNI

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Cura toi etscon vlt- On Stage | I benandanti LORENZO BRUNI
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LORENZO BRUNI > Teresa Cos, Gianni Pettena, studio ++
Un campo di ricerca sviscerato ampiamente negli ultimi quindici anni è sicuramente la relazione tra arte, architettura e
vita. Artisti come Rirkrit Tiravanija, Tobias Reebergher, Hans Schabus, Bert Thies, Martin Boyce, Massimo Bartolini,
Gruppo A12, Simon Starling e molti altri si sono trovati a riflettere sulla interazione possibile di questi tre aspetti per
reagire alla smaterializzazione dei luoghi di incontro e per rielaborare l'incisività dell'eredità del modernismo. Le opere
dei giovani artisti Teresa Cos e studio ++ si inseriscono in questa ricerca, ma cercando di affrontare la domanda di
come “rappresentare” e “condividere” questo stimolo di compartecipazione nello spazio collettivo. Teresa Cos realizza
fotografie “in soggettiva” di situazioni momentanea come un palazzo in costruzione o ambienti invasi da persone per
partecipare a una festa o ad un opening di una mostra. Il modo di fotografare i suoi soggetti avvolti dalla cruda luce del
flash la esula dal problema della mera documentazione permettendogli, invece, di concentrarsi sul problema della
relazione tra osservatore e percezioni istantanee di quei luoghi. Studio ++ intervengono direttamente sulla temporalità
della fruizione usando anche meccanismi tecnologici come quello della “realtà aumentata”. Esemplare é il progetto di
istallare una linea rossa sul limite del porticato del Bernini di San Pietro. La linea rossa verso il cielo è reale e infinita, ma
è esperibile solo da chi possiede una particolare applicazione scaricata sul telefonino con cui poterla inquadrare
sollevando domande attorno alla fiducia nell'invisibile che l'arte è stata chiamata a risolvere da sempre. Le opere di
Gianni Pettena (uno dei promotori “dell'architettura radicale” dagli anni Sessanta), come la sedia a tracolla per spettatori
itineranti realizzata per una performance collettiva la prima volta nel 1971 a Minneapolis o la sede del College of Art and
Design di Minneapolis ricoperto da strisce di carta che ne evidenziava il volume, ma ne trasformava la percezione
(1971), sono un ottimo precedente per aprire una discussione con i giovani artisti invitati (che hanno studiato
architettura) su cosa intendiamo oggi quando parliamo di architettura e di quale può essere il ruolo dell'artista e della
cultura nella progettazione di una nuova identità collettiva.
Lorenzo Bruni, è critico e curatore indipendente e vive a Firenze.
Attualmente è il direttore artistico della Binnenkant21 Art Fondation ad Amsterdam per cui realizzerà nel 2012/2013 un
ciclo di mostre dal titolo “mi scusi...ma dove mi trovo?” e un programma di residenze per giovani artisti. Nel 2010/2011 è
uno dei curatori selezionatori del Premio Furla per giovani artisti italiani e inizia una intensa collaborazione con la
Galleria Enrico Astuni di Bologna per cui cura una mostra collettiva sulla attualità della perfomance, una sul perché si
realizzano le mostre collettive e una sul confronto con il concetto di paesaggio. Tra i molti progetti realizzati all’estero
sono da citare la mostra sull’idea di viaggio dal titolo “Il Viaggio di Sarah” per la Biennale di Varna in Bulgaria del 2008 e
la mostra sull’aspetto romantico dell’arte concettuale dagli anni 70 ad oggi dal titolo di “What is my name?” per HISK,
Ghent in Belgio. Dal 2006 al 2009 progetta e dirige la programmazione legata all’eredità del modernismo di Via Nuova a
Firenze, mentre dal 2004 al 2005 cura il ciclo di tre mostre per la Galleria Civica di Castel San Pietro Terme (BO), e dal
2001 al 2004 è curatore per la Fondazione Lanfranco Baldi, Pelago (FI). Dal 2000 ad oggi è coordinatore delle attività
espositive dello spazio non profit fondato da un collettivo di artisti BASE / progetti per l’arte. Oltre a scrivere saggi per
diversi cataloghi monografici, tra cui quelli per la Galleria Poggiali e Forconi di Firenze, collabora con le riviste italiane
Arte e Critica e Flash Art.
ALESSANDRO CASTIGLIONI > Michele Lombardelli, Andrea Magaraggia, Luca Scarabelli
...un'altra contiguità
Questo breve intervento attesta una modalità di lavoro che vuole porre un fermo interrogativo sui tradizionali confini
disegnati ai limiti tra ricerca critica e pratica artistica. Pensare che questi ambiti possano svilupparsi sotto una forma di
continuità e non in una sorta di opposizione, se non altro, sotto l'aspetto sostanziale (quello della forma e quello del
discorso), è il fatto centrale di questo piccolo progetto sviluppato a pari livello da Michele Lombardelli, Andrea
Magaraggia, Luca Scarabelli e me.
Effettivamente, in questi pochi mesi, abbiamo costruito un luogo di contiguità tra forme, discorsi, pensieri. Abbiamo
incontrato poi diversi personaggi, interrogato documenti, intrecciato ipotesi. Il primo punto in discussione è, dunque, la
nostra capacità narrativa e dialogica, la forza evocativa della forma e quella della negazione, dell'assenza. E' qui che
Magaraggia cita La forma nell'arte e nella natura di Giorgio De Chirico, dove l'artista parla di “forma” come spazio e
come attività mentale (questione, questa, poi ripresa dalla fondante lettura di Jole De Sanna) e Lombardelli ricorda,
d'altra parte, Ad Reinhardt «...Anti-anti-arte, non-non-arte, non espressionista … non visionaria, non immaginativa, non
mitica...», come se il pittore americano fosse “fosse l'ago della bilancia, il grado zero, l'inizio, l'introduzione di un racconto
a più voci”. E' a questo punto che mi sembra adeguato inserire un ulteriore personaggio: Samuel Beckett. Nei suoi ultimi
scritti, datati tra il 1988 e il 1989, compare evidente il dramma, esistenziale ed artistico, scaturito dalle relazioni tra forma
e discorso. «Dire un corpo. In cui niente. Niente mente. In cui niente. Almeno questo. Un luogo. In cui niente...». Infine
Scarabelli ci mostra un corvo immobile su un cumulo di gomme di bicicletta. Luca mi ricorda Luigi Malabrocca che
correva il giro d'Italia per arrivare ultimo. Per vincere la maglia nera. Paradossalmente la sua corsa tendeva così alla
stasi, all'immobilità.
Un altro nero dunque, un'altra crisi di forme e discorsi, un'altra contiguità.
Alessandro Castiglioni è storico dell'arte e curatore.
Dal 2004 lavora presso il Museo MAGA di Gallarate dove si occupa di attività educative e coordina il Biennio
Specialistico in Didattica per il Museo, con l'Accademia Aldo Galli di Como. Dal 2008, con Ermanno Cristini, cura il
progetto di ricerca Roaming. Curatore con E. Zanella del 47° Premio Suzzara e membro della commissione scientifica
del XXIV Premio Gallarate.
Dal 2009 è curatore di Little Constellation, network per l'arte contemporanea nelle micro-aree geo-culturali e piccoli stati
d'Europa. Tra le istituzioni con cui ha collaborato: O',Milano; Careof/DOCVA, Milano; Museo di Villa Croce, Genova;
MCA, Valletta (M); CIA, Reykjavik (IS); Cabaret Voltaire, Zurich (CH); MCBA, Lausanne (CH); Casinò Luxembourg (L).
Tra le pubblicazioni: Two paper drops before the sky, Mousse Publishing, 2012; Casamatta, 47° Premio Suzzara, NLF,
2011; La Collezione del Museo MAGA, Electa, 2010; Little Constellation, Mousse Publishing, 2010.
EVA COMUZZI > Tomaso De Luca, Andrea Dojmi
Education and protection of our children #2, proiettato a Netmage nel 2006, ed Elementi di aerodinamica e dinamica del
volo, allestito per la prima volta nel 2009, alla Galleria Comunale d'Arte Contemporanea di Monfalcone, sono i lavori che
mi hanno fatto conoscere Andrea Dojmi e Tomaso De Luca ed i momenti in cui ho iniziato a 'prendermene cura'. Ho
amato da subito la loro sensibilità, il loro modo di comunicarla e la forma che infine riuscivano a darle e questo è il
motivo principale per il quale li ho invitati a questo progetto. Solo in un secondo momento ho pensato alle tematiche e
alle affinità che potevano appartenere ad entrambi. In fondo, credo ci siano sempre degli elementi in comune che legano
le persone, le cose, gli artisti o quant'altro ci piaccia. C'è sempre un fil rouge, una rete, che collega tutto ciò che attira la
nostra attenzione e stimola i nostri interessi. Potrei iniziare a parlare ad esempio della fascinazione che in entrambi
esercitano la simbologia e la forma degli spazi e di come questi siano sempre dei luoghi, che più che essere abitati,
vengono attraversati: una strada deserta, un campo di basket, un marciapiede, un buco... E di come questo
attraversamento faccia assumere allo spazio e a se stessi fisionomie differenti e divenga tracciato invisibile ma in
perenne tensione, una forma mutevole di memorie. Mi vengono in mente a questo proposito, gli scritti della tesi di
Tomaso, in particolare un capitolo che parla dell'autoritratto come spazio e inizia con un frammento di conversazione con
M.: “Avremmo potuto provarci io e te. Ma tu sei il parco di notte col cancello aperto. Sei inebriante, ma spaventoso da
attraversare”. Quel cancello che aspettava solo di essere varcato, sarebbe diventato una delle tante “verità di
variazione”, mentre l'artista si sarebbe fatto spazio, un luogo non attraversato ma che ora aveva il suo paesaggio
interiore. Anche con Andrea abbiamo più volte parlato di attraversamenti. Di transiti interrotti da confini invalicabili,
chiamati regole. Di quanto quella luce abbacinante che rende tutto trasparente, venga presto offuscata da metodi
educativi in grado di contaminare l'ambiente che mano a mano finisce per schiudersi su di noi. Potrei continuare ancora
a parlare di spazi non riconosciuti dove si radicano micro-comunità, di come l'educazione tenda a forgiare tutti allo
stesso modo, a raddrizzarci, quando c'è chi, invece, preferisce stare storto e di come tutti questi e altri argomenti, vista la
mancanza di spazio stavolta a me concessa, verranno sviluppati nei due incontri aperti al pubblico.
Eva Comuzzi è nata a Spilimbergo (PN), nel 1977. Vive a Rivignano (UD).
Laureata in Conservazione dei Beni Culturali presso l'Università degli Studi di Udine, ha frequentato in seguito il Corso
per Curatori alla Galleria A+A di Venezia e fra il 2007 ed il 2008 ha seguito il Master Universitario di I livello in ideazione,
allestimento e conservazione delle arti visive contemporanee (IACC), organizzato dal DAMS di Gorizia. Sempre nello
stesso anno ha svolto, presso l'ASAC e la 52. Biennale di Venezia, un periodo di studi sulla documentazione di
un’installazione complessa. Dal 2003 al 2011 ha lavorato come assistente curatrice e responsabile al settore educativo
presso la GC.AC - Galleria Comunale d'Arte Contemporanea di Monfalcone, mentre nel gennaio-luglio 2006 è stata
assistente del direttore artistico del settore musica e danza al Teatro Nuovo Giovanni da Udine.
Ha collaborato con le riviste Exibart, sullarte e Genius e con le case editrici vanilla edizioni, SilvanaEditoriale e Damiani e
con spazi pubblici come la Mole Vanvitelliana di Ancona, la Galleria d'Arte Moderna di San Marino, la Porta di
Sant'Agostino di Bergamo.
Fra il 2011 e il 2012 è stata organizzatrice e co-curatrice del progetto di residenza di pittura ideato da Andrea Bruciati,
presso il Guado dell'Arciduca, una villa privata settecentesca situata nelle campagne friulane.
Attualmente collabora con lo spazio white.fish.tank di Ancona diretto dall'artista Ljudmilla Socci, dove si sono tenute le
personali degli artisti Jurgen Ots, Petra Feriancova, Scott Treleaven, Patrizio Di Massimo.
È curatrice indipendente.
SIMONE FRANGI > Mattia Bosco, Angelo Sarleti, Giulio Squillacciotti
I miei recenti interessi curatoriali mettono a fuoco le dinamiche di mobilitazione di disparati know how teorici e pratici in
ambito artistico e la possibilità di concepire il processo creativo in termini di ricerca. Mi concentro su pratiche researchbased e su progettualità artistiche a lungo termine, nonché sui processi di negoziazione creativa e sui formati di dialogo
tra sapere tecnico e sapere speculativo, con particolare attenzione alle azioni di torsione e spostamento in “zone insolite”
della ricezione di forme artistiche e teoriche.
Il taglio della mia selezione per On Stage riposiziona al centro del fare artistico l’incontro dell’arte visiva con altri statuti
disciplinari e altre pratiche di conoscenza e di “azione”: una sintesi che si gioca nella convocazione della ricerca teorica,
della speculazione statistica o dell’artigianato specializzato nelle diverse fasi di gestazione dell’opera. Questa chiave
d’accesso permette di concentrarsi sulle motivazioni che spingono una pratica artistica ad associarsi a metodologie
d’indagine “altre” e ad essa equivalenti, generando forme di discorso ibridate e narrazioni transdisciplinari.
Le pratiche di Angelo Sarleti, Giulio Squillacciotti e Mattia Bosco articolano in modo complementare questo complesso
sistema di transiti e deleghe vicendevoli che si s’instaura tra il sapere e il saper fare, tra le abilità progettuali, le intuizioni
analitiche e le competenze esecutive.
Sarleti e Squillacciotti operano per soluzioni estetiche apparentemente innocue, impiegando mezzi “quiescenti” - come
una pittura astratta e materica o una “fraintendibile” estetica dell’archivio - che permettono a un potente contenuto intuito,
intravisto solo in filigrana, di svilupparsi sotto un contenuto manifesto. Squillacciotti attiva una sorta di “controcondotta
accademica” grazie alla quale cerca di analizzare le dinamiche di organizzazione della conoscenza attraverso una
complessa aneddotica, sul crinale tra il reale ed il fittizio, così finemente documentata da risultare plausibile ad ogni
verifica. Sul medesimo gioco di soglia - dove i contenuti ed i “dati” non sono semplicemente visualizzati ma utilizzati
come materiale da costruzione - si appoggia la pittura di Sarleti.
Un uso tautologico dei colori, fedele ai dogmi pittorici, dissimula ed insieme veicola la restituzione complessa dei flussi
finanziari che regolano, impercepiti, il nostro quotidiano: un vocabolario, una grammatica ed una stilistica pittorica
interamente ottenute distillando il coefficiente estetico dell’infografica e degli studi economici sul ciclo storico delle crisi.
Posizionandosi tra il geometrismo del minimal e le modificazioni aleatorie degli agenti naturali sulle rocce metamorfiche,
Bosco accentua l’elemento atemporale della scultura. Le sintesi plastiche che ne derivano rivelano, a ritroso, un
percorso di ricerca, d’osservazione e di studio sinottico della materia che trova nella delega e nel continuo compromesso
con l’artigianato specializzato al momento della lavorazione il suo punto di forza.
Simone Frangi (Como, 1982) vive e lavora tra Parigi e Milano.
Titolare di un Dottorato di ricerca franco-italiano in “Estetica e Teoria dell’arte”, Simone Frangi è ricercatore
indipendente, critico d’arte e curatore.
Dal 2007 si occupa della curatela e dell’organizzazione di eventi espositivi in gallerie, centri d’arte e spazi indipendenti in
Italia e all’estero. Nel 2008 ha fondato e co-diretto per due anni Monego - Project Space for Contemporary Art (Como,
IT). Tra il 2008 ed il 2010 è stato assistente di ricerca preso la Cattedra di Estetica Contemporanea dell’Università
Statale di Milano. Nel 2011 è stato teorico residente a EIKONES – National Centre of Competence in Research on Iconic
Criticism (Basel, CH) e nel 2012 curatore residente a Viafarini-DOCVA(Milano, IT) e a Suddenly. Résidence d’art et de
recherche (Beauchery-Saint-Martin, Ile-de France, FR).
Ha lavorato come assistente di direzione e responsabile della ricerca per spazi d’arte privati e pubblici Schleicher+Lange (Parigi, FR - Berlino, DE) e Rosascape (Parigi, FR) – e come teorico per istituzioni artistiche –
ème
Neufbox/Mairie du 9
(Parigi, FR) e Ecole Nationale Supérieure de Beaux Arts di Parigi.
Selezionato da Chantal Pontbriand, è stato tra i dieci critici emergenti della scena parigina chiamato a lavorare con i 27
giovani artisti diplomati con lode nel 2011 all’ENSBA di Parigi per la mostra Géographies Nomades (Maggio-Luglio 2012,
Parigi, FR). È attualmente responsabile della ricerca per Orange Rouge (Saint-Denis, FR); coordinatore dei progetti di
ricerca per Viafarini- DOCVA (Milan. IT) e docente in accademie e università italiane e francesi.
ALICE GINALDI > Yari Miele, Dario Pecoraro
Fluorescenza / Avventurescenza
Per Yari Miele e Dario Pecoraro la luce è fenomeno esperienziale. Viene indagata come condizione primaria ed
essenziale all'esistenza stessa della realtà intellegibile in generale e dell'opera d'arte in particolare. Prendere atto che
tutto ciò che ci circonda risulta fruibile al nostro apparato visivo esclusivamente grazie alla luce, significa indagare il
significato stesso di opera d'arte in quanto oggetto umano soggettivo e rappresentativo di un'unica e perentoria visione:
quella di noi esseri umani. Miele e Pecoraro sono consapevoli del fatto che la realtà è empirica però, allo stesso tempo,
esiste non grazie a noi ma nonostante noi.
Il lavoro di Yari Miele è essenzialmente installativo e potrebbe condensarsi nelle diverse accezioni della parola “estetico”.
Superficialmente si presenta come una scenografia piacevole e accattivante in cui è preponderante l'intento progettuale
dell'opera. Ad una lettura più profonda emerge il significato etimologico della parola estetico come “apertura alla
percezione”. Quella che sembrava una scenografia si trasforma in un environment che accoglie ed esorta ad una
partecipazione attiva il fruitore, ora attore protagonista. La luce è presente nella sua negazione. Miele elabora un suo
personale firmamento fatto di luminescenze al fluoro, di linee spezzate e nitide, di materiali che sembrano provenire da
un altro mondo. La loro immanenza percettiva è fulgida e, allo stesso tempo, evanescente e incostante come la luce.
Dario Pecoraro concentra la sua ricerca principalmente sul medium pittorico. Pensando al suo lavoro mi viene in mente
la locuzione panta rei. Tutto scorre. E così anche la sua pittura è in costante tensione pur mantenendo una solida
identità. La “scoperta” della luce avviene attraverso il colore, strumento principe delle sue ultime ricerche pittoriche. Il
pigmento non è solo partecipe alla costruzione dell'opera ma spesso ne risolve la narrazione infondendo un'atmosfera
densa e ricca di espressionismo cromatico. In altri casi il colore è pura rivelazione liberandosi quasi completamente dal
dato figurativo per irrorare una sensazione visiva. A volte la ricerca è talmente spinta all'estremo che le stratificazioni
cromatiche si svolgono con una continuità ossessiva e costante, alla ricerca del riflesso inedito, fino a giungere ad effetti
ottici minerali come l'opalescenza o l'avventurescenza, vere e proprie rivelazioni di luci mentali.
Alice Ginaldi, nata a Trieste nel 1983 è una curatrice e critica d'arte.
Nel 2007 consegue la laurea specialistica al DAMS di Bologna in Storia dell’Arte Contemporanea. Dopo alcuni anni di
esperienza come responsabile della cura scientifica del festival d'arte e musica digitale Pixxelmusic, le è stata affidata la
sezione Giovani presso la Galleria Metropolitana di Gorizia. Redattrice della rivista www.genius-online.it, per diversi anni
ha seguito, per la Galleria Comunale d'Arte Contemporanea di Monfalcone, il progetto didattico nelle scuole. Dal 2011
svolge occasionalmente cicli di laboratori artistici per la Fondazione Ca.Ri.Go. e per la Galleria Spazzapan di Gradisca
relativi alle mostre in corso.
Ha curato mostre e pubblicazioni in diverse Gallerie, spazi museali e per diverse associazioni e realtà nazionali tra cui il
collettivo MARS di Milano, la residenza CARS di Omegna e Dolomiti Contemporanee di Belluno. Da quest'anno è
responsabile della sezione Arti Visive presso il Festival Homepage di Udine, continuando a lavorare soprattutto con
giovani artisti.
ANTONIO GRULLI > Giulia Cenci, Giulio Frigo
Giulia Cenci è un’artista profondamente ancorata alla realtà e alla materia, pur essendo le sue opere fatte per buona
parte dal momento percettivo dello spettatore e dal modo in cui questo fruisce lo spazio espositivo. Spesso sono
interventi sull’architettura e lo spazio fisico dei luoghi dove l’artista è chiamata a intervenire, che vengono modificati
anche in maniera molto muscolare. A Como, per la mostra conclusiva del corso (2012) della Fondazione Antonio Ratti,
ha posizionato sulla superficie del lago una boa bianca illuminata dall’interno. Un oggetto quasi invisibile durante il
giorno, di notte si confonde con le luci della città riflesse nel lago, diventandone l’unico oggetto “reale”, ed evocando
poeticamente un nuovo pianeta dall’aspetto lunare e fittiziamente riflesso. Giulio Frigo invece è per me un pittore, anche
se, come molti altri pittori di quest’ultima generazione, non lavora solo con la pittura. O meglio, spesso la sua pittura ha
la tendenza a debordare dal quadro per farsi scultura, installazione, ambiente.
Quello che rimane del mezzo pittorico è la dimensione metafisica e mentale che le installazioni, gli ambienti e i suoi
oggetti tridimensionali si portano dietro. Creare immagini pittoriche significa creare immagini per la nostra mente e il
nostro spirito, e anche la parte maggiormente materiale delle sue installazioni non ha nulla di ancorato alla realtà o al
nostro corpo. Sono oggetti che viviamo come “impalpabili” e virtuali.
Antonio Grulli (La Spezia, 1979), critico d’arte e curatore.
Vive a Bologna dove si è laureato in Scienze della Comunicazione. Negli ultimi anni ha realizzato una serie di progetti
volti a riflettere sulla critica d’arte e la pratica curatoriale. Tra questi Sentimiento Nuevo, all’interno del MAMbo di
Bologna, in collaborazione con Davide Ferri. Un’indagine della critica d'arte italiana dell'ultima generazione attraverso
una serie di tavole rotonde, performance, letture, conversazioni, lungo l’arco di un anno. Sempre con Davide Ferri, ha
creato Festa Mobile, un fine settimana di incontri e dialoghi, durante i giorni di Arte Fiera, all’interno di tre bar del centro
di Bologna a cui hanno partecipato alcuni dei più importanti artisti, critici e curatori italiani. Al momento sta curando una
mostra che esisterà solo all’interno di un dipinto di Paolo Chiasera e che verrà presentata nel giugno 2013 a Momentum,
la Biennale dei paesi nordici di Moss (NO). Collabora con Flash Art e Mousse.
DENIS ISAIA > Jacopo Candotti, Giorgio Guidi, Carlo Speranza
Per capire dove sia possibile andare e come sia possibile godere vorrei parlarne con tre specialisti della crisi: Jacopo
Candotti, Giorgio Guidi e Carlo Speranza. Vorrei farlo a partire da alcuni loro lavori e da alcuni pensieri maturati di
recente.
I presupposti della mia curiosità sono l’essere noi tutti cresciuti artisticamente nello champagne. A volte non era
champagne, ma prosecco, vino bianco o spumante alle mele da pochi euro o giù di lì. Mi rendo conto, come ben sanno i
miei ospiti, che nel caso delle divine bolle, si tratti di dettagli significativi.
Ma nei panni crudeli della storia, ovvero al saldo della contingenza, il disegno sullo sfondo è più o meno lo stesso. Per
ricostruirlo sono partito da una breve ricerca sulle grandi mostre a cadenza regolare (GMCR). Ecco cosa emerge: fra il
1895, data di apertura della prima biennale veneziana, e il 1989, data di caduta del muro sovietico, sono state aperte 13
GMCR. Fra il 1990 e il 2008, anno della mia ricerca, ben 53 GMCR hanno stappato bottiglie di champagne e forse anche
qualche bottiglia di barbera. A chi era dedicato quel sacrificio godereccio di bollicine? L’idea che mi sono fatto è che
fossimo tutti invitati al grande festeggiamento della globalizzazione. Alcuni vestiti da direttori all’Onestà interpretano quel
processo come il matrimonio fra l’onda lunga della colonizzazione, l’espansione del capitale e la necessità di avere la
propria cattedrale in vista. Io e i miei compagni, a volte da direttori del nostro pezzo d’Onestà, altre volte da disoccupati,
possiamo dire che la festa non era male. Ma oggi che il coro canta a gran voce la fine della festa, noi che di crisi siamo
specialisti cosa diciamo agli orfani dello champagne?
Denis Isaia è ricercatore culturale e curatore d'arte contemporanea.
Nel 2006 avvia il concorso per giovani curatori Best Art Practices con il tema mostre in spazi non convenzionali. Nel
2007 vince il premio per giovani curatori Borsa Arte Giovane di Genova con la mostra Del paese e altre storie. Nel 2008
è assistente dei Raqs Media Collective con cui co-cura i 45 eventi in 111 giorni del progetto Tabula Rasa. Nello stesso
hanno avvia la prima edizione del Premio alle passioni la seconda luna. Nel 2009 avvia il progetto curatoriale cosa ho
visto di bello, un'indagine sulla descrizione e sulla narrazione del bello contemporaneo. Da luglio dello stesso anno e per
tutto il 2010 è direttore del progetto artistico di Anna Scalfi indeposito, un deposito gratuito di opere d'arte. Nel 2010
avvia la seconda edizione del Premio Europeo alle passioni di lungo corso di cui cura anche l'archivio e dirige le attività
sul territorio. Nel 2011 è cofondatore della Cooperativa 19, una piattaforma di lavoro per le professioni culturali. Ha
curato e co-curato progetti collettivi e mostre personali fra cui: From and to, Ognuno è internazionale al suo presente,
Qatees, Three stories of balance on the threshold of fiction, Il titolo è il pubblico, Long Play, Panorama 4.
MARCO TAGLIAFIERRO > Alessandro Agudio|Davide Stucchi, Stefano Mandracchia|Giordano Pozzi
Analizzando la ricerca intrapresa da Alessandro Agudio e Stefano Mandracchia vorrei iniziare il mio intervento
raccontando di due progetti espositivi che ho curato con loro (ed i segni da loro prodotti) e due altri artisti: Davide Stucchi
nel primo caso e Giordano Pozzi nel secondo caso; entrambi i progetti riguardavano il concetto di alterità spazio temporale. E’ possibile pensare ad un’architettura intesa come espressione di trame scientificamente determinabili,
attraverso le quali risulta possibile mettere in comunicazione ambiti storici e geografici differenti. Un’architettura di
relazioni che nasce dalla necessità di progettare organicamente i nessi spaziali e fisici, fra suolo e edificio, fra spazi
interni ed esterni, fra usi pubblici e usi privati, fra aperto e coperto, fra natura e artificio. Tutto questo vuol dire progettare
connessioni tra organizzazioni sociali, estetiche e comportamentali. L’architettura contemporanea è anche un progetto
interstiziale di mediazioni e legami fra contesti morfologici differenti, capaci di istituire forti relazioni in sezione verticale
con gli strati o i sub-strati del contesto culturale esaminato. Le figure dell’argine, del solco e dell’incisione, del muro di
contenimento e terrazzamento, della linea di orizzonte, del diaframma e ancora quelle delle quinte murarie, delle piastre,
dei basamenti,delle membrane sottili, delle trasparenze, delle dissolvenze, delle porosità, delle vibrazioni, degli spazi
cavi, del vuoto medesimo, sono sempre più figure-chiave dell’architettura contemporanea, elementi-chiave della
composizione architettonica. Il termine che compare in una formula matematica, rappresentato da una lettera, il cui
valore deve essere contenuto in un determinato insieme, ovvero: il parametro. La grandezza nota, il criterio di giudizio, di
discrimine ma anche l’agente catalizzante per segni che provengono da contesti diversi e che si intende porre a diretto
confronto; ma non arbitrariamente! I due artisti che hanno lavorato a questo progetto, operando a quattro mani: Stefano
Mandracchia e Giordano Pozzi, partono dalla necessità di individuare la variabile indipendente, in funzione della quale si
possono esprimere le coordinate x ed y, significanti, rispettivamente i due background esperienziali di cui Mandracchia e
Pozzi sono portatori.I riferimenti semantici spaziano dalle architetture art-deco e postmodern di Miami,ai mosaici della
moschea di Darb-i Imam, passando per le ricerche scientifiche di Heinz-Otto Peitgen e di Richard F. Voss e la grafica
psichedelica giapponese (Tadanori Yokoo).
Marco Tagliafierro, nato a Novara nel 1973. Già durante il percorso di studi presso l’Università Statale di Milano, Facoltà
di Lettere, è attivo nell’ideazione e progettazione di mostre collettive pensate in collaborazione con alcuni suoi coetanei
artisti. Nel 1997 partecipa ad un workshop per l’ideazione di un Museo d’impresa per il gruppo Benetton, presso il centro
di ricerca Fabrica, a Villorba, Treviso. Negli anni a seguire si concentra sul rapporto arte, tradizionalmente intesa, ed arte
applicata, riservando anche una particolare attenzione ai new media. Ha collaborato con l’inserto Lettera della rivista
Abitare, con i periodici: Dove, Combo, Brutus, Tema Celeste, Mousse e con i quotidiani: Avvenire e La Repubblica. Ha
curato progetti fondati sull’incontro tra l’attività artigianale e d’impresa ed il fare artistico, coinvolgendo realtà produttive o
comunque imprenditoriali come: Agnona, Audi, Frankie Morello, Yoox. Nel 2005 frequenta Domus Academy
concludendo il percorso di studi con una tesi sul Museo Swarovski. Ha curato mostre in spazi pubblici e privati tra i quali:
Viafarini, Milano. Attualmente è curatore presso il Museo Carlo Zauli di Faenza e collabora continuativamente con le
riviste: Art Forum, Flash Art, Fruit of The Forest.
FRANCESCO URBANO E FRANCESCO RAGAZZI> Donatella Di Cicco, Rachele Maistrello, Agne Raceviciute
Più della velocità
C'è un tempo, nella fotografia, che non è né scatto né sviluppo. Va dalla ricerca della posa [prima della fotografia] alla
diffusione dell'immagine nel mondo, dove essa prolifica, si moltiplica e a volte cambia formato [dopo la fotografia]. É un
tempo in cui il medium esce da sé per produrre qualcosa che la propria meccanica non prevede. Tempo di produzione
che diventa quindi spazio di lavoro per l'artista: un bordo che può essere percorso per guardare fuori - verso la realtà o
verso un immaginario - oppure dentro alle componenti elementari della pratica fotografica, alla sua struttura, al suo
rituale. Siamo nella camera dell'aldilà.
Un set che si apre ad antro infinito è il terreno in cui Agne Raceviciute svolge il proprio gioco di perfezione compositiva.
Tessuti, corde e piccole costruzioni effimere sono assemblati in frame che ricordano personaggi, oggetti e paesaggi
impenetrabili. Nature morte senza natura, per meglio sottolineare che l'esercizio, nella sua ripetizione, ha al centro
nessun altro piacere che quello del disporre. Tutto il resto è un pretesto narrativo: perfino il click della macchina è
superfluo. A volte gli stessi assemblaggi, ricomposti in forme nuove, sono mostrati nello spazio espositivo come
mummificazioni di uno scatto che è stato o potrebbe essere.
La foto resta invece essenziale per Donatella Di Cicco. Segna anzi, nella sua opera, il punto massimo di contatto tra la
rappresentazione dell'artista e l'autorappresentazione del soggetto. Ma proprio per questo è prima di tutto il punto di
sintesi di una relazione: il compiersi di un amore dopo un lungo corteggiamento. L'artista dedica ritratti rigorosamente a
figura intera a personaggi "minori". Pre-adolescenti, donne separate, aspiranti showgirl diventano i protagonisti di
un'umanità fiera e umile al contempo. Condizioni transitorie, posizioni di vita, stati d'animo e status sociali si
compenetrano nel singolo ritratto per poi reiterarsi fino a farsi assoluti nella serie. Tutto questo non sarebbe possibile
però senza un lungo lavoro di empatia che viene documentato - spesso attraverso il video - in sequenze di appunti
provvisori.
Con lo stesso sentimento, Rachele Maistrello riconduce l'ovvietà del reale ad una dimensione edenica. Finestre di
paradiso si spalancano nelle vite di gente normale, che sembra all'improvviso eroica o affascinante, ma anche ottusa e
fuori posto. I piani non aderiscono mai alla realtà, pur essendo la loro compresenza a prima vista plausibile. Si genera
così una sensazione di ubiquità che viene moltiplicata dal rifiuto di ancorare l'immagine a un unico supporto. Libera dalla
schiavitù della carta, possiamo guardare la stessa fotografia dalla lente di un cannocchiale così come su un monitor di
computer, affissa sul muro o ricamata su un rettangolo di cotone. L'immagine resta immagine ed è dappertutto.
Associazione E nasce a Venezia dalla volontà congiunta dei curatori Francesco Ragazzi e Francesco Urbano. Il nucleo
della coppia si apre a dimensioni relazionali di volta in volta differenti che conducono a un lavoro sensibile
all’impersonale. L’ascolto, il dono, l’invito, la delega sono i principi su cui si fondano una serie di operazioni artistiche
collettive. Attraverso una riscoperta della committenza, la pratica artistica e curatoriale confluiscono l’una nell’altra, e una
politica del progetto prende il sopravvento su quella delle opere e degli autori.
Borsista nel 2008 presso la Cité Internationale des Arts, Associazione E ha in seguito dato avvio al ciclo di residenze
“Spot – studio dal vivo” e “Mirroring – a residency program for UAE artists” per Emirates Foundation, collaborando inoltre
ad “Art Enclosures” (programma di residenza per artisti africani della Fondazione di Venezia). A partire da marzo 2011
Francesco Ragazzi e Francesco Urbano hanno curato un laboratorio sulle memorie e culture queer realizzatosi a
Venezia grazie al sostegno dell'UNAR - Ministero delle Pari Opportunità. Il progetto ha visto la luce in forma espositiva
nel marzo 2012 presso la Fondazione Bevilacqua La Masa. Associazione E è stata inoltre ente promotore del II Internet
Pavilion ideato da Miltos Manetas per la 54a Biennale di Venezia. Nell'Agosto del 2012, insieme a Beral Madra, Aslı
Çetinkaya, Elke Falat, Işın Önol, Dimitrina Sevova, Janet Kaplan e Sean Kelly, è stata parte del team curatoriale della 4a
Biennale di Sinop.