coldiretti macerata: un bando da 400mila euro per rendere piu

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coldiretti macerata: un bando da 400mila euro per rendere piu
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07 Novembre
COLDIRETTI MACERATA: UN BANDO DA 400MILA EURO PER
RENDERE PIU’ SICURO IL LAVORO NEI CAMPI, VIA ALLE DOMANDE
E’ scattato il via alla presentazione delle domande per il nuovo bando promosso dall’Inail per la sicurezza
del lavoro nei campi. A darne notizia è la Coldiretti Macerata, dopo la pubblicazione del provvedimento che
impegna risorse per 400mila euro, messe a disposizione della Regione. Una novità importante per
contribuire a ridurre il numero di infortuni mortali, che nel 2013 sono saliti a dieci, tre in più dell'anno
precedente. Secondo un’analisi Coldiretti su dati Uma-Istat, sul territorio regionale operano circa 77mila
trattori e altrettante attrezzature meccaniche (motoagricole, mietitrebbie, ecc.), con 40mila addetti. Proprio
le macchine agricole rappresentano oggi le principali cause di infortunio (addirittura il 90 per cento del
totale) nel settore primario, soprattutto per i rischi connessi al ribaltamento, all’avvolgimento su parti in
movimento e alle parti calde. Possono accedere al contributo tutte le imprese agricole, iscritte alla camera di
Commercio. Le domande dovranno essere presentate entro il 3 dicembre prossimo e gli uffici della
Coldiretti Macerata sono a disposizione per per maggiori informazioni. Il contributo coprirà il 65 per cento
della spesa ammessa e sostenuta (Iva esclusa). Questi gli interventi ammessi a finanziamento: dispositivi di
protezione in caso di capovolgimento (arco/cabina di sicurezza, telaio di protezione/Rops); sistemi di
ritenzione (cinture di sicurezza); protezione di elementi mobili; protezioni di parti calde, zavorre,
segnalatore acustico, silenziatore, dispositivi di illuminazione o segnalazione luminosa e dispositivo
retrovisore.
MALTEMPO: ALLARME DOPO OTTOBRE CON PIOGGE DIMEZZATE
Terreni piu’ vulnerabili per l’assenza precipitazioni da Piemonte (-64,7%) a
Liguria (-61,9%)
Il maltempo arriva con violenti nubifragi dopo un ottobre con precipitazioni dimezzate (-50,3 per
cento) lungo tutto la penisola con i terreni secchi che aumentano i rischi di frane ed alluvioni. E’
quanto emerge da un monitoraggio della Coldiretti sulla base dei dati Ucea ad ottobre rispetto alla
media. La situazione – sottolinea la Coldiretti - è ancora piu’ preoccupante nelle regioni piu’
interessate dal maltempo come la Liguria dove le precipitazioni ad ottobre sono state inferiori del
61,9 per cento alla media del periodo o il Piemonte dove lo scarto dal clima è stato addirittura del
64,7 per cento. L’anomalia climatica – prosegue la Coldiretti - si è verificata dal nord (-51,5 per
cento) al centro (-54,2 per cento) fino al sud Italia (-48,6 per cento). I terreni sono dunque piu’
vulnerabili per l’assenza di precipitazioni ed aumenta il rischio di frane ed alluvioni soprattutto se
come previsto dall’allerta della protezione civile ci saranno temporali forti e persistenti. Una
conferma della pericolosità dei cambiamenti climatici che - sottolinea la Coldiretti - si manifestano
con eventi estremi che si susseguono mettendo a dura prova la capacità di assorbimento dei
terreni e favorendo quindi le alluvioni. Un pericolo che riguarda in realtà l’intera penisola dove ci
sono ben 6.633 comuni in cui sono presenti aree a rischio idrogeologico (l’82 per cento del totale)
con più di 5 milioni di cittadini che ogni giorno vivono o lavorano in aree considerate pericolose
per frane ed alluvioni. I cambiamenti climatici con le precipitazioni sempre più intense e frequenti
con trombe d’aria, grandinate e vere e proprie bombe d’acqua, si abbattono su un terreno reso
piu’ fragile dalla cementificazione e dell’abbandono delle aree marginali, ma anche della
mancanza di programmazione adeguata che valorizzi il ruolo di chi vive e lavora sul territorio
come gli agricoltori. A questa situazione - denuncia la Coldiretti - non è infatti certamente
estraneo il fatto che un modello di sviluppo sbagliato ha tagliato del 15 per cento le campagne e
fatto perdere negli ultimi venti anni. 2,15 milioni di ettari di terra coltivata determinante nel mitigare
il rischio idrogeologico. Ogni giorno - conclude la Coldiretti - viene sottratta terra agricola per un
equivalente di circa 400 campi da calcio (288 ettari) che vengono abbandonati o occupati dal
cemento che non riesce ad assorbire la violenta caduta dell’acqua.
CLIMA: 2014 PIU’ CALDO DI SEMPRE CONFERMA ALLARME IPCC
LA TOP TEN DEGLI ANNI PIU’ BOLLENTI SUL PIANETA
Il 2014 è stato l’anno piu’ caldo di sempre a livello mondiale con la temperatura media registrata
sulla superificie della terra e degli oceani nei primi nove mesi dell’anno che è stata la piu’ elevata
di sempre, addiritura superiore di 0,68 gradi celsius rispetto alla media del ventesimo secolo. Lo
ha reso noto la Coldiretti in occasione della presentazione della sintesi del rapporto del Gruppo di
esperti sul clima dell'Onu (Ipcc) nella riunione a Copenaghen, sulla base dell’analisi dei dati del
National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA). Con le rilevazioni che sono iniziate dal
1880 la media delle temperature da gennaio a settembre è stata la piu’ alta, facendo registrare sottolinea la Coldiretti - un valore record da almeno 135 anni, a pari merito con il 1998.
Considerando un intero anno di 12 mesi, il 2010 – continua la Coldiretti - è stato il piu’ caldo della
storia a livello globale, seguito dal 2005 e dal 1998 mentre al quarto posto a pari merito salgono il
2013 e il 2003 e a seguire il 2002, il 2006 e il 2009 a pari merito con il 2007 ed in fondo alla top
ten il 2004 e il 2012 con la stessa temperatura. Un andamento che - precisa la Coldiretti evidenzia una accelerazione nel surriscaldamento globale con una escalation di primati negli
ultimi anni che conferma l'allame lanciato dagli scienziati dell'Ipcc sull'emissione di ga ad effetto
serra. Gli effetti dei cambiamenti climatici – precisa la Coldiretti - si sono manifestati anche in
Italia con la più elevata frequenza di eventi estremi, con sfasamenti stagionali, precipitazioni brevi
e intense, con vere e proprie bombe d’acqua e l'aumento dell'incidenza di infezioni fungine e dello
sviluppo di insetti. Nel lungo periodo sono numerosi gli effetti dei cambiamenti climatici
sull’agroalimentare nazionale. Secondo una analisi della Coldiretti il vino italiano è aumentato di
un grado negli ultimi 30 anni, ma si è verificato nel tempo - secondo la Coldiretti - anche un
significativo spostamento della zona di coltivazione tradizionale di alcune colture come l'olivo che
è arrivato quasi a ridosso delle Alpi. Nella Pianura Padana si coltiva oggi circa la metà della
produzione nazionale di pomodoro destinato a conserva e di grano duro per la pasta, colture
tipicamente mediterranee. Un effetto che si estende in realtà a tutti i prodotti tipici. Il
riscaldamento provoca infatti anche - precisa la Coldiretti - il cambiamento delle condizioni
ambientali tradizionali per la stagionatura dei salumi, per l'affinamento dei formaggi o
l'invecchiamento dei vini. Una situazione che di fatto - conclude la Coldiretti - mette a rischio di
estinzione il patrimonio di prodotti tipici Made in Italy che devono le proprie specifiche
caratteristiche essenzialmente o esclusivamente all'ambiente geografico comprensivo dei fattori
umani e proprio alla combinazione di fattori naturali e umani.
LATOP TEN DEGLI ANNI PIU’ CALDI DEL PIANETA DAL 1880
ANOMALIA RISPETTO ALLA MEDIA IN GRADI CELSIUS
1)
2010
+0,66
2)
2005
+0,65
3)
1998
+0,63
4)
2013
+0,62
4)
2003
+0,62
6)
2002
+0,61
7)
2006
+0,60
8)
2009
+0,59
8)
2007
+0,59
10)
2004
+0,57
10)
2012
+0,57
Fonte: Elaborazioni Coldiretti su dati Noaa
UCRAINA: CONTROLLI SU CARNE TEDESCA ALL’ANTRACE
Occorre immediatamente verificare l’autenticità della notizia sui casi di antrace nella carne bovina
proveniente dalla Germania che è anche tra i principali fornitori dell’Italia. E’ quanto afferma la
Coldiretti nel commentare la decisione della Russia di vietare l'importazione di alcuni tipi di carne
bovina, tra cui salsicce, provenienti da diversi Paesi Ue, tra cui Italia, Francia, Spagna e
Germania perché in quest’ultimo Paese si sono registrati casi di contaminazione da antrace in
carni bovine. Al rischio per l’Italia si aggiunge il danno provocato dall’escalation dell’embargo
russo. La nuova misura decisa da Putin segue di poco – sottolinea la Coldiretti - la decisione di
bloccare l'import di farine animali, grassi di bovini, suini e pollame, e altri derivati di bovini e suini
provenienti dall'Ue. Il 7 agosto 2014 – ricorda la Coldiretti – era invece stato decretato un divieto
all’ingresso di una lista di prodotti agroalimentari che comprende frutta e verdura, formaggi, carne
e salumi ma anche pesce. A seguito di questi provvedimenti la Coldiretti ha stimato danni diretti
solo nell’alimentare per un ammontare di circa 200 milioni di euro all’anno ai quali si sommano
quelli indiretti dovuti alla perdita di immagine e di mercato provocata dalla diffusione in Russia di
prodotti di imitazione che non hanno nulla a che fare con il Made in Italy ma anche la possibilità
che vengano dirottati sul territorio nazionale i prodotti agroalimentari di bassa qualità di altri paesi
che non trovano piu’ uno sbocco nel Paese di Putin.
MADE IN ITALY: CON PIADINA SALGONO A 268 I PRODOTTI
L’Italia è leader europea della qualità
Con il riconoscimento della Indicazione geografica protetta alla Piadina romagnola e alla Salama
da sugo l’Italia consolida la sua leadership europea nel campo delle produzioni agroalimentari
tutelate dall’Unione europea, salendo a quota 268 e distaccando la Francia e la Spagna, che ne
hanno 217 e 179. E’ quanto afferma la Coldiretti in occasione del riconoscimento dell’Igp per i due
prodotti emiliano romagnoli, con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dell’Ue. Una leadership
ulteriormente confermata dal fatto che il fatturato al consumo – sottolinea la Coldiretti - realizzato
in Italia e all’estero dai prodotti italiani di qualità protetti dal riconoscimento comunitario (Dop/Igp)
ha superato quota 13 miliardi di euro.
La Piadina Romagnola Igp e' uno dei simboli della Romagna, tanto che fu il poeta Giovanni
Pascoli a ufficializzare il termine "piada", definendola alimento antico "quasi quanto l'uomo" e "
pane nazionale dei Romagnoli". Il disciplinare di produzione – ricorda la Coldiretti - differenzia le
diverse tipologie di piadina romagnola, disponendo un'etichettatura specifica per quella alla
riminese, piu' sottile e larga, e concedendo un'ulteriore riconoscibilita' alla piadina romagnola
ottenuta con processi per la maggior parte manuali, tipica dei chioschi. Gli ingredienti – spiega la
Coldiretti - per tutte le tipologie sono comunque gli stessi: farina, acqua, sale, grassi, lievito. Non
e' consentito l'uso di conservanti, aromi e altri additivi. Identica anche l'area di produzione che
corrisponde al territorio delle province di Rimini, Forli'-Cesena, Ravenna e, in parte, di Bologna.
La Salama da sugo e' invece un salume, tipicamente Ferrarese – sottolinea la Coldiretti -, la cui
caratteristica forma "a melone" con divisione in 6/8 spicchi e strozzatura mediana, risale al
periodo Estense. Composto da una miscela di carni suine aromatizzate e insaccate nella vescica
naturale del suino, previo asciugamento e stagionatura, e' venduto come prodotto crudo o come
prodotto cotto pronto per il consumo.. L'odore e il gusto – continua la Coldiretti -, caratterizzati da
una vasta gamma di composti aromatici, derivano dall'utilizzo originale di vino e spezie, nonche'
da una stagionatura condotta in specifiche condizioni ambientali. Il sugo che trasuda dalla vescica
durante la cottura e' il risultato di una percentuale di vino o liquori non evaporati, aromatizzati
dalla presenza delle spezie. La zona di lavorazione, condizionamento e confezionamento
coincide con quasi tutta la provincia di Ferrara. Il
Con i due riconoscimenti – evidenzia la Coldiretti – i prodotti a indicazione d’origine protetta (Igp)
diventano 105, cui vanno aggiunti i 161 prodotti a denominazione di origine protetta (Dop) e le
due specialità tradizionali garantite (Stg). Sono gli ortofrutticoli – precisa la Coldiretti – la categoria
più numerosa, con 103 Dop/Igp, seguita dai formaggi con 49, gli oli d’oliva con 43 e i prodotti a
base di carne con 38. Sono tutelati dall’elenco, inoltre, 9 prodotti della panetteria e della
pasticceria, 5 spezie o essenze, 5 pesci, molluschi, crostacei e prodotti derivati, 4 carni e
frattaglie fresche, 3 aceti, 3 mieli e 2 paste alimentari. La metà del fatturato complessivo – informa
la Coldiretti - viene in realtà realizzata da tre prodotti: il Grana Padano, il Parmigiano Reggiano e
il prosciutto di Parma. Ma a frenare lo slancio offerto da questi “gioielli” del Made in Italy è
certamente l’italian sounding che nell’alimentare fattura oltre 60 miliardi di euro, quasi il doppio
del valore delle nostre esportazioni agroalimentari e che colpisce pesantemente i formaggi e i
prosciutti ingannando i consumatori con nomi, immagini, colori che richiamano all’italianità senza
avere nessun legame con la realtà produttiva nazionale.
CRISI: COLDIRETTI/IXE’, CON CIG FIDUCIA IN GRANDI IMPRESE AL
20%, PER LA MAGGIORANZA DEGLI ITALIANI RIPRESA DIPENDE DA
PMI
Le piccole medie imprese italiane con il 47 per cento (+8 per cento) sono identificate come quelle
che offrono maggiori garanzie di sviluppo per il Paese mentre le recenti vicende hanno mantenuto
bassa la fiducia verso i grandi gruppi pubblici (14 per cento) o privati (20 per cento) e fatto crollare
al 13 per cento quella verso le cooperative (-11 per cento). E’ quanto emerge da una indagine
Coldiretti/Ixè divulgata in occasione dei drammatici dati sulla Cassa Integrazione a settembre per
effetto della crisi dei grandi gruppi industriali. Molto nette sono anche le indicazioni che emergono
dagli italiani in merito alle strategie da adottare per combattere la concorrenza dei Paesi
emergenti e garantire redditi e lavoro in Italia. Il 38 per cento degli italiani ritiene che occorra
specializzarsi solo in prodotti tipici del Made in Italy non imitabili, il 35 per cento ritiene che
debbano essere frenate le importazioni da Paesi come Cina e India e solo il 24 per cento
suggerisce di abbassare il costo del lavoro. “Il fatto che in testa alle strategie di rilancio indicate
dai cittadini ci sia la specializzazione in prodotti esclusivamente made in Italy conferma che
l’Italia, per crescere deve puntare su quegli asset di distintività nazionale che garantiscono un
valore aggiunto nella competizione globale come il territorio, il turismo, la cultura, l’arte, il cibo e
la cucina”, ha dichiarato il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo.
INFLAZIONE: 56% ITALIANI AD OTTOBRE HA RICICLATO ABITI SMESSI
Gli italiani hanno tagliato gli acquisti con la maggioranza del 56 per cento delle famiglie ricicla
dall’armadio gli abiti smessi nel tradizionale cambio stagione e ha rinunciato o rimandato gli
acquisti di abbigliamento ed accessori che si classificano come i prodotti ai quali si è rinunciato
maggiormente in autunno, rispetto allo scorso anno. E’ quanto emerge da una analisi
Coldiretti/Ixe’ divulgata in occasione della diffusione dei dati Istat relativi all’inflazione nel mese di
ottobre. I prezzi sono stabili perché – sottolinea la Coldiretti - gli italiani non spendono come
dimostra il taglio del 56 per cento della spesa a viaggi e vacanze mentre il 47 per cento ha
rinunciato ad affrontare addirittura le spese dentistiche. A seguire nella classifica delle rinunce si
collocano - sottolinea la Coldiretti - la frequentazione di bar, discoteche o ristoranti nel tempo
libero, dei quali ha fatto a meno ben il 47 per cento. Il 41 per cento degli italiani ha rinunciato
all’auto o alla moto e il 40 per cento agli arredamenti. Pesa l’addio alle attività culturali del 37 per
cento degli italiani in un Paese che deve trovare via alternative per uscire dalla crisi, ma anche
quello ai generi alimentari (29 per cento) che è quello che fa registrare quest’anno l’aumento
maggiore del taglio (+16 per cento). Il risultato - conclude la Coldiretti - è che i prezzi dei prodotti
alimentari sono aumentati appena dello 0,2 per cento rispetto all’anno precedente nonostante i
pesanti effetti del maltempo che – conclude la Coldiretti - hanno tagliato i raccolti con l’olio d’oliva
in calo dello 0,6 per cento, lo zucchero in flessione del 5,0 per cento mentre i prezzi dei vegetali
freschi crescono dell’1,0 per cento con la frutta fresca in sensibile ridimensionamento (-1,2 per
cento).
LAVORO: MONCALVO (COLDIRETTI), STRALCIO IN L.STABILITA’ E’
SCHIAFFO A GIOVANI
E’ uno schiaffo ai giovani che in misura crescente decidono di investire nel settore agricolo lo
stralcio dalla Legge di stabilita' delle norme studiate per favorire il ricambio generazionale e per il
il potenziamento delle filiere Made in Italy. E’ quanto afferma il presidente della Coldiretti Roberto
Moncalvo nel commentare la decisione di accantonare le norme con gli stanziamenti a favore dei
giovani agricoltori e delle filiere pari a 10 milioni l'anno per ciascuno degli anni 2015-2017,
assunta con l’esame della legge di stabilità da parte della commissione bilancio della Camera. Si
tratta – spiega la Coldiretti - di interventi per il finanziamento delle azioni di sostegno
all'imprenditoria giovanile in agricoltura con la previsione di mutui a tasso zero e di contratti di
filiera e di distretto, con l’obiettivo di rafforzare il sistema agricolo e agroalimentare territoriale. Ci
auguriamo - ha sottolineato Moncalvo - che nel Governo e nel Parlamento si lavori per ripristinare
misure importanti per sostenere gli investimenti dei soggetti piu’ deboli in un settore chiave per
combattere la disoccupazione giovanile e favorire una crescita sostenibile.
ECCO IL PIANO SEMENTIERO PER L’AGRICOLTURA BIO, ORA STOP A
DEROGA PER SEMENTI CONVENZIONALI
Sono stati presentati a Milano, nella sede del Centro per la Ricerca e la Sperimentazione in
Agricoltura, i risultati del progetto durato quattro anni relativo al Piano sementiero biologico,
finanziato dal Ministero delle Politiche Agricole sulla base di quanto previsto dal Piano Nazionale
d’Azione per l’agricoltura biologica.
Il secondo biennio di ricerca ha messo in luce le varietà di alcune colture più adatte al metodo di
produzione biologico. Si tratta di cereali, foraggere ed ortive per ben 18 specie tra cui grano
duro e tenero, riso, erba medica, porro, cipolla, pomodoro da industria, pomodoro da insalata,
zucchine. Le tecniche di miglioramento genetico adottate hanno avuto un approccio innovativo in
quanto accanto al miglioramento genetico di tipo “evolutivo” condotto dai solo esperti degli istituti
di ricerca, si è affiancato quello “partecipativo“, il cui scopo resta, al pari del miglioramento
genetico classico, l’ottenimento di varietà migliorate, ma prevede, in aggiunta, la partecipazione
degli agricoltori al processo di selezione e punta all’ottenimento di varietà ad ampia base
genetica.
Il modello partecipativo ha il grande vantaggio di garantire uno scambio di informazioni ed
esperienze tra le imprese agricole biologiche ed il mondo della ricerca scientifica evitando
l’annoso problema del mancato trasferimento dei risultati della ricerca all’agricoltura ed il fatto che
spesso i progetti di ricerca sono impostati senza tener in considerazione le effettive necessità di
chi produce sulla base della domanda di mercato.
Il raggiungimento dell’obiettivo di individuare un elenco di varietà adatte al metodo biologico,
consentirebbe, ora, secondo quanto dichiarato da Pier Giacomo Bianchi, direttore del Centro di
sperimentazione e certificazione delle sementi (Cra-Scs), di poter decidere la soppressione
dell’istituto della deroga che consente all’agricoltore biologico di poter ricorrere alle sementi
convenzionali, se manca la varietà che egli intende coltivare, opzione che, tra l’altro, la
Commissione Ue intende abrogare con la nuova proposta di regolamento di modifica del reg. CE
834/2007.
Del resto, i dati, dimostrano che per diverse varietà di colture, l’Italia ha, ormai, raggiunto
l’autosufficienza. Tale posizione è stata condivisa da Coldiretti e dal Consorzio delle
Organizzazioni di Agricoltori Moltiplicatori di Sementi, mentre parere contrario ha espresso
l’Associazione Italiana Agricoltura Biologica.
Del resto, a fronte di una crescita dell’agricoltura biologica in Italia, come evidenziano i dati del
Sinab e l’andamento dei consumi monitorato dall’Ismea, si assiste ad un’involuzione del mercato
delle sementi biologiche e di altri materiali di propagazione vegetativa idonei per l’impiego in
agricoltura biologica. I dati evidenziano, infatti, una riduzione nel periodo 2008-2013 della
diponibilità di sementi biologiche proprio a causa dell’abuso del ricorso al sistema della deroga
che non ha incentivato le ditte sementiere a produrre varietà per l’agricoltura biologica vista la
preferenza manifestata da parte degli agricoltori a ricorrere comunque alla semente
convenzionale.
La moltiplicazione di sementi con metodo biologico è passata in Italia da 12.544 ,46 ettari nel
2008, a 7.444,87 ettari nel 2013 che rappresenta circa il 3,9% dell’intera superficie nazionale
utilizzata per produrre sementi soggette a certificazione, con una riduzione nella produzione di
sementi bio pari a circa il 30%. Si mantiene rilevante, invece, il numero di richieste di deroga per
l’impiego di sementi convenzionali nelle produzioni biologiche, pari ad oltre 35.258 domande
presentate nella stagione 2012 in netto aumento rispetto al 2004, che contava 33.663 deroghe,
secondo i dati del CRA-SCS. Secondo un’analisi compiuta da Coldiretti, sulla base dei dati
disponibili, le varietà che entro il 2021 potrebbero raggiungere l’autosufficienza sono avena,
frumento duro, cece, farro, trifoglio e veccia.
Coldiretti esprime grande apprezzamento per il lavoro compiuto che rende il nostro paese
all’avanguardia nel settore dell’agricoltura biologica. Sta ora a tutti i soggetti della filiera ed alle
istituzioni competenti, garantire che tali risultati siano appiccati in modo da far compiere un salto
di qualità agli alimenti biologici offerti ai consumatori.
Tutto il materiale scientifico prodotto dal progetto relativo al piano sementiero in agricoltura
biologica è disponibile qui
CONSIGLIO EUROPEO, ECCO I NUOVI OBIETTIVI SU CLIMA ED
ENERGIA AL 2030
Fissati dal Consiglio Europeo i nuovi obiettivi Ue su clima ed energia al 2030. Per quanto riguarda
le emissioni di gas serra, il taglio sarà del 40 per cento rispetto ai livelli del 1990, mentre le
rinnovabili dovranno raggiungere il 27 per cento dei consumi finali di energia. Il target
sull'efficienza energetica, anch’esso fissato al 27 per cento, è risultato inferiore rispetto al 30 per
cento già proposto dalla Commissione, ma è prevista una revisione della percentuale da
effettuarsi entro il 2020. L’obiettivo di riduzione delle emissioni è vincolante a livello
nazionale, mentre i target su rinnovabili ed efficienza energetica interesseranno il livello
comunitario.
Rispetto agli obiettivi stabiliti, tuttavia, numerose deroghe riguarderanno gli Stati Membri “più
poveri”. A questi, infatti, saranno garantiti obiettivi meno restrittivi e saranno assegnati più
permessi di emissione nell'ambito del meccanismo di scambio Eu-Ets. Il 2 per cento dei proventi
dell'Ets, tra l’altro, sarà destinato ad un fondo destinato ad affrontare gli investimenti aggiuntivi,
particolarmente elevati nei paesi a basso reddito (cioè con Pil inferiore al 60 per cento della
media Ue). Questi Stati membri, inoltre, possono continuare ad assegnare gratuitamente fino al
40 per cento dei permessi di emissione agli operatori del loro settore elettrico, mentre ai paesi
con Pil inferiore al 90 per cento della media Ue viene riservata l’allocazione di almeno il 10 per
cento dei permessi complessivi in ambito europeo.
Rispetto al raggiungimento di una posizione di leadership da parte dell’Europa nel campo della
lotta ai cambiamenti climatici, obiettivo più volte enunciato in ambito comunitario, si sottolinea
come le determinazioni del Consiglio Europeo in materia di clima ed energia non possano
considerarsi pienamente all’altezza delle aspettative. Il 40 per cento di riduzione delle emissioni
entro il 2030, infatti, è stato criticato anche da esponenti dell'IPCC in quanto ritenuto inadeguato
per l’Europa, specie se si intende restare al passo con la cosiddetta Roadmap al 2050, anno
entro il quale, per avere buone possibilità di rimanere sotto alla soglia critica dei 2°C di
riscaldamento globale, si dovrà aver raggiunto una riduzione delle emissioni dall'80 al 95 per
cento.
Anche il 27 per cento di rinnovabili sembra un obiettivo poco ambizioso, visto che alcuni recenti
studi lo considerano raggiungibile anche in uno scenario business-as-usual. Sempre secondo
questi studi, infatti, solamente applicando misure di efficienza energetica a basso costo e
mantenendo il trend di crescita delle rinnovabili già in atto, entro il 2030 l'Europa potrebbe
tranquillamente raggiungere un obiettivo di riduzione delle emissioni di Co2 del 49 per cento
rispetto ai livelli del 1990, oltre a dimezzare la sua dipendenza dalle importazioni.
Complessivamente, quindi, gli obiettivi approvati dal Consiglio Europeo non sembrano costituire
uno stimolo concreto alla transizione energetica, né rispondere alla necessità di una decisa
accelerazione in direzione della soluzione del problema del riscaldamento globale.
A sottolineare ulteriormente le criticità dell’approccio del Consiglio Europeo sul tema climatico,
con specifico riferimento agli impatti per il settore agroforestale, si segnalano i contenuti
dell’appello che il Segretario Generale del Copa-Cogeca (organismo a cui aderiscono tutte le
organizzazioni agricole e cooperative dei diversi Stati membri), Pekka Pesonen, ha inviato al
Presidente del Consiglio Italiano ed in cui si esprimono preoccupazioni proprio relativamente
all’evoluzione del nuovo quadro per le politiche europee su clima ed energia. il Segretario
Generale, riferendosi in modo specifico al progetto di conclusioni del Consiglio europeo (poi
approvato il 24 ottobre scorso, con la determinazione dei menzionati obiettivi), non manca di
sottolineare come non si sia adeguatamente valutato il contributo potenziale del settore
agroforestale, rispetto agli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra, nei trasporti
e di sicurezza energetica dell'Ue.
Secondo il Copa-Cogeca, infatti, il progetto di conclusioni del Consiglio avrebbe dovuto prendere
in maggiore considerazione il contributo della biomassa proveniente dall'agricoltura e dalla
silvicoltura che, contrariamente alle altre fonti energetiche rinnovabili, corrisponde a criteri di
sostenibilità stabiliti dalle leggi europee e nazionali.
Ricordiamo, in ogni caso, che le raccomandazioni e gli obiettivi fissati dal Consiglio Europeo
nell’ultima sessione dovranno passare al vaglio della Commissione e dell’Europarlamento, per
essere ufficializzati entro il primo trimestre del 2015. La scadenza, inoltre, è destinata anche a
traguardare la conferenza mondiale sul clima (Cop 21) che si terrà a Parigi nel dicembre 2015 e
che si annuncia decisiva per il negoziato mondiale sul clima.
API ED AETHINA TUMIDA, GARANTIRE I RISARCIMENTI
Si è riunita la Task Force Attività Veterinaria per fare il punto della situazione in merito alle
misure messe in atto per contrastare l’emergenza “Aethina tumida che ha colpito gli alveari al fine
scongiurare il rischio che l’infestazione si propaghi nel resto del territorio italiano.
I rappresentanti della Direzione generale della Sanità Animale e del Farmaco Veterinario del
Ministero della Salute e della Direzione generale sviluppo rurale del Ministero Politiche Agricole,
riuniti presso la Regione Calabria, hanno esposto il piano di eradicazione attuato fino ad oggi che
ha previsto la distruzione di tutti gli apiari, anche dove era presente la sola presenza di adulti o
larve del genere Aethina, in una sola arnia, ammettendo che era sicuramente una misura drastica
normalmente usata in caso di infezioni da patogeni riconducibile a virosi e batteriosi, ma
indispensabile per confinare in tempi brevissimi l’infestazione in una area di circa 10 km di raggio.
Le Amministrazioni competenti hanno ribadito che essendo un’ infestazione che per la prima volta
si verifica in Europa, non se ne conosce il ciclo biologico dello stesso nel nostro areale.
Sono stati illustrati i dati dei controlli effettuati in un’ area di 20 km di raggio con il monitoraggio di
tutti gli alveari censiti e nell’ambito del quale sono stati rilevati 43 focolai di infestazione nel raggio
dei 10 km tutti distrutti per un totale di 2000 alveari. Sono state posizionate le trappole spia in tutti
gli alveari sull’area e ad oggi non si rileva più la presenza di adulti e larve di Aethina tumida.
Una divergenza di veduta è emersa tra il Ministro della salute e la regione Calabria che ha
sollevato dubbi sul fatto che questo insetto sia presente da quest’ anno e ha ipotizzato che
fosse presente già da tempo, poiché non è stato effettuato mai un precedente monitoraggio. Si
presume, pertanto, che l’Aethina tumida potrebbe essere diffusa su tutto il territorio calabrese,
ipotesi esclusa dal Ministero della Salute poiché dal monitoraggio effettuato in altre province
calabresi non si è rilevata alcuna presenza.
La Regione ha presentato un documento in cui sostiene che l’art. 155 del DPR 320/54 che
prevede la distruzione degli alveari solo per la peste americana o europea, non si applica alle
misure di contenimento dell’Aethina tumida, al quale, invece, secondo quanto previsto
dall’ordinanza ministeriale 20 aprile 2004, si applicherebbero le sole misure di contenimento in
caso di malattie infettive degli apiarii indicate all’art. 154 del D.P.R. cit.
Secondo la Regione l’infestazione è ormai diffusa in Calabria che va considerata, a questo punto,
come un territorio endemico rispetto alla presenza della specie in questione, anche per l’elevata
diffusione degli alveari selvatici di impossibile controllo. All’incontro gli apicoltori hanno contestato
la decisione di procedere alla distruzione degli apiari evidenziando che al momento le aziende
sono gravemente danneggiate dal punto di vista economico.Il Ministero delle Politiche Agricole ha
dichiarato che si sta già provvedendo alla firma di un provvedimento di risarcimento dei danni
diretti per le aziende interessate dalla distruzione degli alveari.
Coldiretti, presente all’incontro, ha evidenziato che avendo compreso la gravità che
comporterebbe tale infestazione se si dovesse propagare su tutto il territorio, motivo per il quale si
giustifica l’immediata decisione delle istituzioni competenti di attuare l’eradicazione con la
distruzione totale degli apiari, vista la presenza limitata e circoscritta del fenomeno, si possa ora
procedere, ad una seconda fase, attuando azioni di contenimento con la distruzione della sola
arnia infestata e azionare altresì misure di monitoraggio stretto e continuo.
Coldiretti ha anche sottolineato che resta il problema degli alveari selvatici e degli alveari per uso
hobbistico, spesso non censiti e non dichiarati, sui quali potrebbero nascondersi nuovi potenziali
di inoculo. L’impegno è quello di comunicare con tutti i mezzi a disposizione a tutti gli apicoltori, la
necessità di denunciare gli alveari e segnalare subito casi sospetti di infestazione.
Coldiretti ha aggiunto che in un’azione di contenimento le aree vanno sorvegliate costantemente
e che si dubita che possa essere fatto un lavoro idoneo con lo schieramento dei veterinari al
momento presenti sul territorio. Inoltre, al fine di non rincorrere emergenze, ci si deve preparare
ad affrontare il problema nel momento in cui dovesse diventare endemico, con l’autorizzazione
all’uso di prodotti veterinari atti al contenimento del parassita, attualmente non autorizzati a tale
uso. Coldiretti ha chiesto, pertanto, un intervento tempestivo nel risarcimento dei danni e la
sospensione delle procedure di eradicazione all’esterno dell’area dei 10 km che prevedono la
distruzione dell’intero apiario.
Il Ministero ha preso l’impegno di velocizzare le procedure di risarcimento e ha valutato la
possibilità di inserire con carattere di straordinarietà, alcuni prodotti veterinari per il contenimento
della specie. Non ha escluso la possibilità di proposte sul sistema di eradicazione e/o
contenimento della specie
INQUINAMENTO ATMOSFERICO, L’AGRICOLTURA UE E LA REVISIONE
DELLA DIRETTIVA NEC
Sulla proposta di revisione della Direttiva che fissa limiti nazionali di emissione (cosiddetta
Direttiva Nec), il Copa Cogeca (Comitato delle organizzazioni professionali agricole e della
cooperazione agricola dell’Unione europea) ha formulato alcune osservazioni, al fine di sollecitare
una maggiore attenzione alle problematiche ed alle esigenze del settore agricolo, con speciale
riferimento alle piccole imprese. In particolare, la direttiva 2001/81/CE stabilisce limiti nazionali di
emissione annuali per ciascun Stato membro, da conseguire entro il 2010, relativi al biossido di
zolfo (SO2), agli ossidi di azoto (NOx), ai composti organici volatili non metanici (Covnm) ed
all’ammoniaca (NH3).
Come emerge dalla relazione di accompagnamento della nuova proposta, i limiti erano stati fissati
per ridurre l’inquinamento atmosferico ed i loro impatti negativi sulla salute pubblica e l’ambiente
in tutta l’Unione, ma anche per conformarsi al protocollo di Göteborg (protocollo adottato per la
prima volta nel 1999, per ridurre l’acidificazione, l’eutrofizzazione e l’ozono troposferico, fissando
limiti massimali di emissione in atmosfera di 4 inquinanti: zolfo, ossidi di azoto (NOx), composti
organici volatili (COV) e ammoniaca).
Con la revisione della direttiva si intende rivedere e aggiornare queste disposizioni per tenere
conto dei gravi rischi sanitari e degli impatti considerevoli sull’ambiente derivanti
dall’inquinamento atmosferico e per allineare la legislazione dell’Unione ai nuovi
impegni internazionali.
In particolare, per quanto riguarda il settore agricolo, la proposta della Commissione prevede
l’adozione e l’attuazione di programmi nazionali da parte degli Stati membri, indicando possibili
misure per la riduzione delle emissioni di ammoniaca, di particolato carbonioso e per la
prevenzione di impatti negativi sulle piccolo imprese agricole.
Tra le misure dirette al settore agricolo, vengono proposte, in particolare: l’adozione di un codice
nazionale indicativo di buone pratiche agricole e per la corretta gestione dei residui del raccolto;
la definizione a livello nazionale di un bilancio dell’azoto per monitorare l’evoluzione delle
perdite complessive di azoto reattivo di origine agricola; l’applicazione di alcuni metodi per
ridurre le emissioni di ammoniaca provenienti da fertilizzanti inorganici e da effluenti di
allevamento; il divieto di incenerimento dei rifiuti agricoli, dei residui del raccolto e dei rifiuti
forestali.
Il Copa Cogeca si è espresso su questa proposta formulando una serie di osservazioni tecniche e
politiche essenzialmente finalizzate ad evitare aggravi economici e gestionali sulle piccole
imprese, nonché la definizione di limiti e divieti troppo onerosi. Con specifico riferimento al divieto,
attualmente previsto nella proposta di direttiva, di procedere alla bruciatura dei residui vegetali sul
luogo di produzione, su richiesta di Coldiretti, il Copa Cogeca ha sollecitato l’inserimento, nel
testo della Direttiva, di una specifica deroga, al fine di consentire la bruciatura di piccoli cumuli di
residui, in quanto pratica agricola comunemente impiegata dalle imprese e da non considerare
rischiosa per l’ambiente.
E’ stata anche sottolineata la necessità di una maggiore attenzione al ruolo svolto dai piccoli
impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, che non devono essere pregiudicati e la
necessità di evitare che l’imposizione di limiti si traduca in un aumento di oneri per le imprese. Per
il resto, oltre ad alcune osservazioni per un migliore chiarimento dei testi, la posizione del Copa
Cogeca è risultata del tutto equilibrata tra le esigenze di tutela ambientale e quelle del settore
agricolo, con particolare riferimento agli allevamenti.
CERTIFICAZIONE AMBIENTALE, IL CARBON FOOTPRINT PUÒ
PENALIZZARE LE PRODUZIONI DI QUALITÀ
A supporto di uno specifico progetto di ricerca sul tema, l’Inea ha reso disponibile un interessante
opuscolo dal titolo “Emissioni di gas serra degli allevamenti italiani. quali scenari?”. Il documento
ha il merito di ben sintetizzare il quadro conoscitivo relativo alle fonti di emissioni di gas serra in
agricoltura e del loro andamento nel tempo, nonché delle politiche di mitigazione climatica.
L’opuscolo, infatti, contiene alcuni dati interessanti in termini di analisi circa le possibilità di
riduzione dell’impronta carbonica di alcune produzioni, presentando, inoltre, i principali strumenti
di certificazione delle emissioni (aziendali o di prodotto), nonché una panoramica delle misure
messe a disposizione dalla politica di sviluppo rurale per affrontare la mitigazione delle emissioni
in agricoltura.
Si tratta di informazioni che possono rivelarsi particolarmente utili sia alle imprese agricole, sia ai
decisori politici, in quanto, trattando una materia molto complessa dal punto di vista tecnico, il
report riesce a fare il punto sulle diverse opzioni di mitigazione delle emissioni di gas ad effetto
serra da parte del settore agricolo, con riferimento particolare ad alcune produzioni zootecniche,
in virtù della crescente attenzione dell’opinione pubblica e delle istituzioni europee e nazionali
circa il ruolo delle produzioni agricole nella produzione di gas climalteranti.
Le diverse opzioni di mitigazione, tra l’altro, sono affrontate sia dal lato del consumo, che dal lato
della
produzione.
Dal lato del consumo è importante, infatti, valutare la reale disponibilità, da parte dei consumatori,
a pagare un prezzo superiore per prodotti che recano informazioni sull’impronta carbonica
associata alla loro produzione. E’ necessario, inoltre, da parte delle imprese, conoscere le diverse
opzioni per segnalare in modo corretto e credibile il proprio impegno ambientale nella riduzione
delle emissioni, attraverso la certificazione, sia dei prodotti, che dell’azienda stessa.
Dal lato della produzione, invece, è importante quantificare le reale emissioni di gas serra dalle
filiere zootecniche, anche per sgombrare il campo da dubbi e da accuse lanciate al settore,
spesso
basate
su
dati
e/o
criteri
non
oggettivi.
Come scenario di riferimento, andando ad analizzare i dati contenuti nel documento, si rileva, ad
esempio, che, secondo i dati diffusi dall’ISPRA, il settore agricolo, nel 2011, è responsabile del
6,9 per cento delle emissioni nazionali. Nel dettaglio, le emissioni contabilizzate sono quelle
riguardanti la produzione di protossido di azoto (N2O), pari al 57 per cento delle emissioni del
settore e derivanti dalla gestione delle deiezioni animali, dall’utilizzo di fertilizzanti azotati e da
altre emissioni dei suoli agricoli, mentre quelle di metano (CH4) - il 43 per cento del totale delle
emissioni del settore - derivano dai processi digestivi degli animali allevati, dalla gestione delle
deiezioni e dalla coltivazione del riso.
Per quanto riguarda questi due gas, va detto che il contributo del settore agricolo alla mitigazione
delle emissioni è complessivamente positivo: dal 1990 al 2011, infatti, si è verificata una riduzione
pari al 17,7 per cento, senza differenze rilevanti tra i due gas serra. Tali riduzioni sono dovute al
calo delle emissioni di CH4 da fermentazione enterica (-12 per cento) e di quelle relative ai suoli
agricoli (-21 per cento), che rappresentano ben il 46 per cento del totale. Queste percentuali di
riduzioni sono da imputare a diversi fattori, come, ad esempio, al calo del numero di capi per
alcune specie zootecniche, alla variazione delle superfici e delle produzioni agricole, alla
razionalizzazione della fertilizzazione e al recupero di biogas da deiezioni animali.
Per quanto riguarda, invece, le emissioni e gli assorbimenti di CO2 (anidride carbonica), queste
sono dovute a cambiamenti d’uso del suolo e alle foreste e sono contabilizzati nell’ambito del
cosiddetto settore Lulucf (Land Use, Land Use Change and Forestry) e complessivamente
apportano un significativo contributo positivo alla mitigazione delle emissioni nazionali proprio
grazie agli assorbimenti ad opera di suolo e foreste (i cosiddetti carbon sink).
Nel nostro Paese, infatti, gli assorbimenti contabilizzati in ambito Lulucf superano notevolmente le
emissioni del settore, compensando ampiamente, quindi, le responsabilità emissive
dell’agricoltura, per lo più imputabili al settore zootecnico.
Rispetto al 1990, tra l’altro, tale contributo è aumentato del 152 per cento soprattutto a causa
dell’incremento della superficie forestale, cresciuta anche su aree marginali e terre non più
coltivate, e dell’aumento del contributo delle superfici a prati e pascoli. Va detto, tuttavia, che gran
parte di questo incremento, essendo per lo più di origine naturale e non frutto di interventi
antropici, non può rientrare nella contabilizzazione utile ai fini degli obiettivi del Protocollo di
Kyoto.
Oltre allo scenario relativo al contributo (positivo e negativo) del settore agroforestale nell’ambito
delle emissioni climalteranti, l’opuscolo Inea presenta anche interessanti spunti relativi a quella
che comunemente è definita come impronta di carbonio delle produzioni zootecniche (conosciuta
anche come carbon footprint).
Come già evidenziato, infatti, i principali gas serra emessi dalle produzioni agricole sono
il metano (CH4), il protossido di azoto (N2O) e l’anidride carbonica (CO2). Ai fini dell’effettiva
incidenza sul riscaldamento globale, tuttavia, va detto che il protossido di azoto è un gas serra
298 volte più potente della CO2 ed il metano 25 volte. Questi fattori di moltiplicazione, pertanto,
vengono utilizzati per convertire le emissioni di N2O e di CH4 in corrispondenti unità di CO2
equivalente (CO2-eq). La CO2-equivalente è, appunto, l’unità di misura per esprimere l’impronta
del carbonio.
Con impronta del carbonio si intende, quindi, la somma di tutte le emissioni di gas serra associate
ad un prodotto in tutto il suo ciclo di vita. Per applicare questo indicatore di “prestazioni
ambientali/climatiche”, quindi, devono essere prese in considerazione le emissioni dovute alla
produzione di tutti gli input aziendali (ad esempio: mangimi, fertilizzanti, fitofarmaci e pesticidi,
sementi, lettiere, detergenti e sanificanti, ma anche animali in ingresso), nonché quelle relative ai
processi che avvengono sia in azienda - tipo quelli digestivi nel caso dei bovini, per la gestione
degli effluenti, per la produzione delle colture, per i consumi energetici e idrici, etc. – sia a valle,
nei processi di trasformazione e commercializzazione del prodotto.
L’opuscolo Inea, in proposito, presenta i risultati di uno studio finalizzato a quantificare l’impronta
carbonica delle principali filiere zootecniche del nostro Paese, ossia quelle dei bovini da latte, sia
per la produzione di latte alimentare che per quella di formaggio (Parmigiano-Reggiano), quella
dei bovini da carne (allevamenti da ingrasso) e quelle del suino pesante, pollo da carne e gallina
ovaiola.
Basandosi su “aziende tipo”, facendo riferimento ad unità di prodotto chiaramente specificate e
stabilendo come “confine” del sistema (cioè quale segmento del ciclo produttivo viene incluso
nell’analisi) quello cosiddetto “al cancello dell’azienda” (escludendo quindi i processi che
avvengono a valle dell’azienda agricola, in considerazione del fatto che l’allevatore non ha
possibilità di incidere su di essi), lo studio ha permesso di quantificare il complesso delle
emissioni di gas serra per ciascuna delle filiere zootecniche analizzate, identificando le fasi a
maggiore impatto.
I risultati mostrano che l’elemento che maggiormente contribuisce a ridurre l’impronta carbonica è
la elevata produttività aziendale, un esito facilmente comprensibile dal momento che l’impronta
carbonica è rapportata all’unità di prodotto. Nel caso, ad esempio, delle aziende da latte, quella
che produce latte alimentare mostra una minore impronta carbonica rispetto a quella per
Parmigiano-Reggiano. Questo risultato può essere imputabile soprattutto alla resa produttiva
delle vacche per Parmigiano Reggiano, tendenzialmente inferiore, anche a causa dei vincoli
imposti dai disciplinari di produzione, che prescrivono il divieto di uso degli insilati, l’utilizzo di una
quota di fieni non inferiore al 50 per cento della sostanza secca dei foraggi e un rapporto
foraggi/mangimi non inferiore a 1.
Nel caso delle aziende da uova, il risultato leggermente maggiore si è riscontrato per le ovaiole a
terra come conseguenza essenzialmente della minore produttività attribuibile a questa modalità di
stabulazione (minore produzione di uova, maggiore scarto, maggiore mortalità), mentre per la
filiera carne la maggiore impronta carbonica è associata alla carne bovina, seguita da quella
suina e da quella avicola. Sulla produzione della carne bovina, in particolare, incide in misura
rilevante il contributo delle emissioni enteriche di metano, proprie dei ruminanti.
Tralasciando altri pur interessanti risultati dello studio, è particolarmente utile notare come
l’impronta carbonica (carbon footprint), a fronte della sua sempre maggiore diffusione come
prassi, nell’ambito della certificazione di prodotto, possa costituire un rischio per le imprese, se
assunta come unico indicatore delle performance climatiche e ambientali.
Come emerge chiaramente dai risultati presentati dall’Inea, infatti, questo indicatore, quando
utilizzato per la certificazione/etichettatura dei prodotti agricoli, oltre a presentare numerosi
benefici (sensibilizzazione di industrie e consumatori, integrazione nel calcolo delle emissioni
delle diverse procedure aziendali, miglioramenti di efficienza energetica e nell’utilizzo delle
risorse, rafforzamento delle relazioni di filiera, differenziazione del prodotto e segmentazione del
mercato, stimolo a cambiamenti nei comportamenti dei consumatori), presenta anche diverse
criticità, specie in un contesto agricolo, come quello italiano, ricco di variabili, di specificità
territoriali e caratterizzato da modelli produttivi orientati più alla qualità che alla quantità.
Si consideri, ad esempio, che per considerare efficace questo indicatore nell’ambito di strategie di
comunicazione rivolate ai consumatori, è necessario che questi siano particolarmente informati
ed interessati, visto che, in sostanza l’indicatore si traduce in un numero (che esprime le
emissioni di CO2 equivalente per kg di prodotto) e non permette confronti rispetto ai
comportamenti definibili come standard. La difficoltà di confronto è ulteriormente aumentata dalla
grande varietà di approcci metodologici (diversi confini di analisi, data base, diversi mix
energetici nazionali, ecc) che rendono di fatto impossibile confrontare prodotti simili se certificati
con metodi diversi.
Un altro limite del carbon footprint è che si tratta di un indicatore mono-criterio. Questo significa
che di per se non riesce a cogliere tutti gli impatti della produzione (limitandosi alle emissioni),
rischiando così di penalizzare alcuni prodotti che, pur presentando quote elevate di emissioni
per unità di prodotto, sono caratterizzati, complessivamente, da minori impatti ambientali di altro
tipo (vedi, ad esempio, il caso delle produzioni meno intensive, come il biologico).
Ancora, il carbon footprint non permette di evidenziare le compensazioni (assorbimenti), in quanto
non sempre considera i sink di carbonio (stoccaggio di carbonio nei suoli e nelle biomasse) che
rappresentano, invece, un importante elemento positivo delle produzioni agricole rispetto ad altri
settori.
Quanto su esposto mostra chiaramente come le indicazioni contenute nell’opuscolo Inea (alla cui
lettura integrale si rimanda per considerazioni maggiormente esaustive) rendono chiara la
necessità di un approccio approfondito e consapevole, prima di stabilire il valore assoluto
nell’apprezzamento del pubblico dei consumatori, sulle modalità di certificazione più adatte al
proprio contesto, al fine di rappresentare al meglio i reali impatti ambientali e climatici dei prodotti.
POLIECO, PASSA L’EMENDAMENTO A FAVORE DELLE IMPRESE
AGRICOLE
Approvato in Commissione, alla Camera dei deputati, l’emendamento che modifica le disposizioni
relative alla definizione dei beni in polietilene. Coldiretti aveva sollecitato da tempo la sostituzione
dell’articolo 14, comma 8, lettera b-quinques del decreto legge n.91/2014 (cd. Campo libero) che
rinvia ad un decreto ministeriale la definizione delle tipologie di beni in polietilene, prevedendo
che, nelle more dell’approvazione del decreto, sono considerati tali i beni in polietilene ad uso
agricolo, con gravi ricadute, anche economiche, in considerazione del conseguente accollo dei
costi di funzionamento del Consorzio per la raccolta dei relativi rifiuti soltanto sul comparto
agricolo.
Nell’ambito dei lavori di discussione del disegno di legge per la conversione in legge del decretolegge 12 settembre 2014, n.133 (cosiddetto “Sblocca Italia”), la norma è stata, quindi, soppressa
e riscritta, prevedendo l’obbligatoria presenza nel Consiglio di amministrazione del Consorzio di
un rappresentante indicato da ciascuna associazione maggiormente rappresentativa a livello
nazionale delle categorie produttive interessate, nominato con decreto del Ministro dell’ambiente.
Nella disposizione, inoltre (articolo 35, commi 12 e 13), è previsto che il contributo percentuale di
riciclaggio deve essere stabilito in misura variabile, in relazione alla percentuale di polietilene
contenuta nel bene e alla durata temporale del bene stesso. L’entità dei contributi dovuti dagli
operatori e del contributo di riciclaggio deve essere fissata con apposito decreto. Nelle more, i
contributi previsti sono dovuti nella misura del 30 per cento dei relativi importi.
La norma, quindi, nel prevedere, nel breve periodo, una decurtazione degli oneri contributivi
dovuti dagli operatori obbligati, ha la funzione di consentire, nella determinazione del contributo di
riciclaggio, una adeguata considerazione delle differenti ricadute sul sistema di raccolta dei rifiuti
di beni in polietilene connesse alla quantità di polietilene contenuta nei materiali e della durata di
vita degli stessi.
PREZZO SENZA CONTROLLO DEL GASOLIO PESCA
Una vera giungla quella del prezzo del carburante agevolato per la pesca, in particolare si
rilevano forti incongruenze per il gasolio, i prezzi odierni alla pompa sui porti della Penisola,
oscillano dal 0,615 a 0,750, con una valutazione alla data odierna che oscilla per il Brent ad euro
85,00 e per il WTI ad euro 80,60. Certamente una quotazione al barile di gran lunga inferiore a
quello del 2008/2009 quando il prezzo si attesto tra le euro 90,00 ed euro 93,00, con prezzi alla
pompa (alla barca) che però arrivarono ad importi di poco superiori alle 0,500 euro al
litro. Ricordiamo che tra i costi di produzione della pesca quello del carburante è al primo posto,
mentre per l’acquacoltura rappresenta in ordine di grandezza il terzo.
Appare pertanto
necessario che le autorità di controllo del mercato e dei prezzi si attivino con un attento
monitoraggio per comprenderne i motivi, il settore oltre le flessioni di mercato ovvio nel contesto
generale e le problematiche connesse al contenimento dello sforzo di pesca collegato alla rigida
applicazione delle PCP in linea il principio di sostenibilità non supportare anche speculazioni sui
carburanti.
BANDO INAIL PER LA MESSA A NORMA DI UNA MACCHINA AGRICOLA - BANDO FIPIT
E’ stato pubblicato il bando Inail per il sostegno al miglioramento delle condizioni si salute e sicurezza sul
lavoro, con particolare riferimento alla innovazione tecnologica in attuazione del Dlg. N. 81/2008.
Il contributo in conto capitale copre il 65% dei costi sostenuti e documentati per la realizzazione del
progetto al netto dell’Iva.
Il contributo minimo è fissato in mille euro , pari ad un importo di spesa di circa € 1540,00, nel rispetto
sempre del de minimis, che per il settore agricoltura è di € 15.000,00, e un contributo massimo di €
50.000,00.
Possono accedere al contributo tutte le imprese agricole, iscritte alla camera di Commercio, Industria,
Artigianato e Agricoltura.
Le risorse finanziarie messe a disposizione dall’Inail per la Regione Marche ammontano ad € 401.985,00.
Le domande dovranno essere trasmesse in via telematica, dal 3 novembre 2014 fino alle ore 18.00 del 3
dicembre 2014.
Le tipologie dei progetti ammessi sono:
 Struttura di protezione in caso di capovolgimento,
 Sedile del conducente predisposto con punti di ancoraggio per la cintura di sicurezza,
 Avviamento del motore, con dispositivo di protezione di movimento incontrollato,
 Protezione di elementi mobili,
 Sedile del passeggero predisposto con punti di ancoraggio per la cintura di sicurezza,
 Accesso al posto di guida,
 Protezione di parti calde,
 Zavorre,
 Segnalatore acustico,
 Silenziatore,
 Dispositivi di illuminazione o segnalazione luminosa e dispositivo retrovisore.
DOCUMENTAZIONE DA ALLEGARE
 Copia di un documento di identità in corso di validità del titolare o del legale rappresentante, nel
caso in cui si utilizzi la posta elettronica certificata P.E.C. di un intermediario per l’invio del file
unico di domanda,
 Preventivo contenente il dettaglio del costo dei singoli interventi di adeguamento previsti per il
trattore,
 Dichiarazione rilasciata da ente bilaterale o organismo paritetico del settore di riferimento che
attesti l’efficacia del progetto in termini di replicabilità, ai fini del miglioramento dei livelli di salute
e sicurezza dei lavoratori,
 Copia della documentazione attestante l’anno di prima immatricolazione del trattore.
IL PUNTO COLDIRETTI
Il giornale on line per le imprese del sistema agroalimentare
Per essere costantemente aggiornati su economia e settori produttivi, fisco, ambiente,
lavoro, credito, energia, previdenza, formazione, qualità, innovazione e ricerca, scadenze,
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