Neoreazionari 06 12 2005

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Neoreazionari 06 12 2005
MARTEDÌ 6 DICEMBRE 2005
LA REPUBBLICA 45
DIARIO
DI
DI
LA FRANCIA E LA SVOLTA DEGLI INTELLETTUALI
Dopo il caso
Alain Finkielkraut
attaccato e
frainteso per le
sue posizioni
na delle più importanti
sfide del XXI secolo è
quella di «conciliare il
pieno riconoscimento della diversità delle culture con il puntiglioso rispetto dell’universalità dei valori». Si tenga bene a
mente questa frase: ogni parola
ha il suo peso. La si giri pure in
ogni senso possibile: essa contiene le nostre maggiori preoccupazioni.
Premessa necessaria per capire la vicenda di Alain Finkielkraut: autore di un libro
sull’“ebreo immaginario” che
ha fatto epoca; animatore di
un’interessante trasmissione
settimanale su France Culture;
personaggio che inveisce contro le aggressioni e le regressioni del modernismo, il filosofo
più mediatico di Francia tre settimane fa ha reso note le proprie
idee sulla crisi delle banlieue.
Egli ha dunque sostenuto che i
tumulti non si riconducono ad
alcuna delle cause solitamente
individuate. Il nocciolo della
questione, secondo lui, non è
da ricercarsi nella disoccupazione, nell’isolamento, nella
ghettizzazione o nella disgregazione delle famiglie. Egli vuole
che si dica pane al pane, e si
chiamino i giovani rivoltosi
francesi «neri e musulmani».
Nel loro comportamento sarebbe individuabile una dimensione etnico-religiosa. I loro valori, insomma, non sarebbero i nostri.
A sostegno della propria tesi,
Finkielkraut ha fatto presente
che altre minoranze, inghiottite in una disperazione pressoché simile, non sentono affatto
il bisogno di dar fuoco alle automobili o di prendersela con gli
edifici scolastici. Egli si allarma,
si indigna per il fatto che davanti a questa realtà, l’opinione
pubblica si copra gli occhi e che,
per paura della situazione e del
razzismo, il pensiero dominante inviti al masochismo e al vittimismo.
Tutto ciò, più o meno contestabile che sia, non ha suscitato
alcuno scalpore fino al momento in cui Alain Finkielkraut ha
concesso un’intervista al prestigioso quotidiano della sinistra israeliana, Haaretz. Il giornalista è parso sorpreso, persino sconcertato, dalle parole del
filosofo francese. Le Monde, nostro collega palesemente non
meno sconcertato, ha montato
vari brani dell’intervista in un
unico articolo, che ha scatenato
a Parigi un certo sbigottimento.
Immediatamente ci si è schierati pro o contro la persona e le
espressioni (non le idee) di
Finkielkraut.
Sabato scorso Le Monde ha
aperto le proprie colonne al filosofo dispiaciuto e Finkielkraut ha subito precisato di non
riconoscersi affatto nel pezzo
pubblicato da Le Monde. Ha ripetuto quello che aveva detto
la sera prima a Jean-Pierre
Elkabbach sulle frequenze di
Europe 1, ovvero che se era davvero l’autore delle dichiarazioni che gli si affibbiavano, riteneva insopportabile l’immagine che quelle davano di lui.
Questa precisazione poteva
anche essere considerata una
Un acceso
dibattito attorno
a una nuova
figura di
pensatore politico
I lavori del Congresso di Vienna
in una stampa del XIX secolo
NEOREAZIONARI
Quando la destra cambia faccia
JEAN DANIEL
sorta di rincrescimento.
Si era quindi trattato di semplici scivoloni? In tal caso, quelle sviste non rivelavano forse
una disposizione d’animo in lui
tale da giustificare che si era potuto farne uno dei portavoce di
una qualsiasi “nuova destra”?
Finkielkraut “nouveau réac”
(neo-reazionario)? Sì, se con
questa parola intendiamo la
nostalgia del paradiso perduto,
della scuola egalitaria, della cit-
tadinanza responsabile, dell’integrazione riuscita dei nuovi francesi, e della comunione
di tutti i cittadini nel rispetto
della Repubblica e del lascito
del 1789. No, qualora invece
con tale espressione stigmatizzassimo l’adesione a una nuova
formazione politica. Occorre
evitare, in queste faccende, di
ricorrere a facili etichette.
François Mitterrand è stato un
“nouveau réac” perché credeva
E. M. CIORAN
NEOREAZIONARI
SPESSO il
reazionario
non è che un
saggio abile, un saggio interessato, il quale, sfruttando politicamente le grandi verità metafisiche, indaga senza debolezza né pietà il retroscena del fenomeno umano per renderne pubblico l’orrore. Un
profittatore del terribile, il cui pensiero – irrigidito per
calcolo o per eccesso di lucidità – minimizza o calunnia il tempo. Diversamente generoso, perché diversamente ingenuo, il pensiero rivoluzionario. Sfida lanciata all’idea del peccato originale: tale appare il senso ultimo delle rivoluzioni. Prima di procedere alla liquidazione dell’ordine stabilito, esse vogliono affrancare l’uomo dal culto delle origini cui lo condanna la religione; ci riescono solo scalzando gli dèi,
affievolendone il potere sulle coscienze. Sono infatti loro, gli dèi, che, incatenandoci a un mondo anteriore alla storia, ci fanno disprezzare il Divenire,
feticcio di tutti gli innovatori, dal semplice mugugnatore all’anarchico.
“
“
Repubblica Nazionale 45 06/12/2005
U
esistesse una “soglia di tolleranza”? I vecchi sindaci comunisti che si opponevano al voto
degli immigrati erano di destra?
E Sarkozy, è di sinistra nel momento in cui rinuncia alla duplice condanna e organizza —
per altro assai male — il Consiglio francese del culto musulmano?
Per quanto riguarda i tumulti
delle banlieue, il mio parere,
contrario a quello di Finkielk-
raut è che non avrebbero potuto esserci senza la televisione,
né, del resto, senza le celebri
“febbri del sabato sera”, né, ancora, senza la classica rivalità
delle gang emarginate nei ghetti, la disoccupazione, le tentazioni di tutti i tipi di delinquenza. I rivoltosi si sono abbandonati a una sorta di vandalismo
nichilista, senza rivendicazioni, senza dichiarazioni. È soltanto in seguito che le loro ma-
nifestazioni, nel momento stesso in cui avevano luogo, si sono
impadronite di alcune espressioni volgari e odiose, prese dai
loro idoli rap, che affermano di
sentirsi ormai molto più indietro rispetto ai loro fan.
Ma è anche vero che sono tornate ad affiorare in loro, e contro la Francia, le ricostruzioni
dei ricordi della schiavitù e del
colonialismo. Io mi sono ribellato al fatto che alcuni storici
spiegassero il razzismo dei
francesi per mezzo del ricordo
della colonizzazione, ma mi sono unito a coloro che facevano
presente che la rievocazione
delle sofferenze un tempo patite dalle colonie avesse potuto
accendere e legittimare in maniera eccessiva questi sentimenti specificatamente e palesemente anti-francesi. Tanto
più che tutto ciò accade in un
contesto di vittimizzazione generale, nel quale concordo col
parere di Finkielkraut e di qualcun altro: ma a una condizione,
non da poco. Poiché vogliamo
dire le cose pane al pane, dobbiamo accettare dunque di ammettere che questa rivalità tra
vittime è stata inaugurata da
quegli stessi che rifiutavano che
potessero anche solo esisterne.
Avendo gli ebrei stabilito, in
qualche caso spesso a ragione,
che nulla era comparabile alla
Shoah, se ne sono usciti, spesso
a torto, con uno status superiore a quello di altre vittime della
storia.
Quando ci si sovviene del modo in cui alcuni francesi ebrei
delle minoranze hanno alimentato la campagna degli
americani contro la Francia, si
può solo obiettare che i rivoltosi delle banlieue sono dei rozzi
imitatori. Del resto, è proprio
questo che dice Finkielkraut,
allorché non esita, rivolgendosi
agli ebrei, a dichiarare: «Se non
amate la Francia, c’è sempre
Israele». Tuttavia per onestà
dobbiamo sottolineare con incisività che il sionismo — per
quanto sia stato estremista —
non ha mai ispirato nella diaspora una qualsiasi violenza
islamofobica.
I nostri giovani sovversivi sarebbero senza alcun dubbio i
primi a stupirsi venendo a sapere di aver determinato la ripresa
alla grande di un importante dibattito che vede schierati in
Francia gli apologeti della differenza e i cantori dell’universalismo. La nostra repubblica è già
comunitarista? Ha già innalzato la differenza a principio di
base della società? Si appresta
già a farne un principio cardine
dello Stato? Se tutto ciò è vero,
occorre forse rassegnarsi, decidere che l’evoluzione del centralismo laico e repubblicano
non poteva che piegarsi alla
realtà del multiculturalismo?
Ad ogni buon conto, ciò che potremmo ritrovarci a rimpiangere maggiormente, in questa
vicenda di Finkielkraut, è che
essa scatena nuovamente opposizioni artificiose e che ci distoglie dall’inevitabile faccia a
faccia con le nostre trasformazioni, siano essere straordinarie, siano invece preoccupanti.
Traduzione di Anna Bissanti
DIARIO
46 LA REPUBBLICA
LE TAPPE
I CONTRORIVOLUZIONARI
I reazionari della Francia post
rivoluzionaria combattono le spinte
ugualitarie e l’idea di progresso per un
ritorno alla società precedente. Tra loro ci
sono Burke, de Maistre e Bonald
GLI ANTIMODERNISTI
Con l’enciclica “Pascendi” Pio X (1907)
avvia il programma di restaurazione della
società cristiana e accende nella chiesa il
dibattito tra modernisti, sulla scia dei
francesi Loisy e Blondel, e antimodernisti
MARTEDÌ 6 DICEMBRE 2005
LA RIVOLUZIONE CONSERVATRICE
Nella Germania di Weimar tornano in voga
i temi di cultura e identità nel quadro della
critica all’illuminismo. Più tardi, Jünger e
Heidegger rifletteranno sul nichilismo nella
società contemporanea
DAGLI ATEI DEVOTI AI CRITICI DELLA DEMOCRAZIA. L’EUROPA DAVANTI ALLA NEOREAZIONE
UN PICCOLO ESERCITO
COSÌ DIVERSO DAI NEOCON
CARLO GALLI
I LIBRI
ALAIN DE
BENOIST
Critica della
ragione
mercantile
Arianna
Editrice 2005
Le sfide
della
postmodernità
Arianna
Editrice 2003
L’impero
interiore
Ponte alle
grazie 1996
PIERRE
MILZA
Europa
estrema. Il
radicalismo
di Destra
dal 1945
a oggi
Carocci 2005
GIORGIO
BARBERIS,
MARCO
REVELLI
La fine della
politica
Guerini e
Associati
2005
ANDRÉ
GLUCKSMANN
Il discorso
dell’odio
Piemme 2005
FRANÇOIS
FURET
Critica della
rivoluzione
francese
Laterza 2004
HUGO VON
HOFMANNS
THAL
La rivoluzione
conservatrice
europea
Marsilio 2003
FRANCESCO
GERMINARIO
La destra
degli dei
Bollati
Boringhieri
2002
FRANCESCO
RANIOLO
I partiti
conservatori
in Europa
occidentale
Il Mulino 2000
ALAIN
FINKIELKRAUT
L’ebreo
immaginario
Marietti
1990
na nuova famiglia di pensatori
politici si sta formando: i neoreazionari. Per comprenderne
fini e strategie si deve riconoscere che
la politica, dalla seconda metà del Novecento, è caratterizzata, in Occidente, dal conflitto fra liberaldemocrazia
e socialdemocrazia, cioè fra una destra e una sinistra che sono in realtà
riformismi di specie diversa ma del medesimo genere. Rivali, certo, ma uniti
nel riferirsi a due varianti –
liberale e liberal– della medesima corrente razionalistica e illuministica, e nel
riconoscere che la politica
non può che collocarsi nell’orizzonte dei diritti, e
oscillare fra la valorizzazione della libertà individuale da una parte e della
giustizia sociale dall’altra.
Il neo-contrattualismo di
Rawls, il neo-libertarismo
di Nozick, la teoria dei diritti di Dworkin, l’agire comunicativo di Habermas,
e persino il neo-liberalismo di Hayek,
sono i punti forti, in politica, dello stile filosofico moderno.
La riflessione sulla politica – per
quanto differenziata in scuole rivali –
ha insomma davvero elaborato il politicamente corretto, e anche il tabù,
l’impensato e l’impensabile: è la logica stessa delle culture politiche dominanti, liberali o democratiche, a determinarli. E quindi esiste anche la
possibilità, o il bisogno – critico, liberatorio, espressivo –, di sottrarre la riflessione filosofico-politica all’ipoteca liberale e liberal, innescando effetti di scandalo e di spiazzamento. Questa trasgressione – alimentata anche
dalle nuove configurazioni del mondo, dopo il 1989 e l’11 settembre – può
essere definita neo-reazionaria non
tanto perché sia di destra nel senso
classico del termine, ma perché reagisce al senso comune filosofico cercando la provocazione, elaborando
argomenti non allineati e interpretando i nostri tempi in modo alternativo. E il principale punto di vista eterodosso che si viene imponendo alla
filosofia non è più quello del marxismo ma quello identitario, simbolico-culturale.
Parecchi intellettuali stanno infatti ragionando, in modi molto diversi
tra loro, nella convinzione che ciò che
il pensiero deve valorizzare sono le
condizioni ideali e simboliche, culturali e religiose, che danno senso, radicamento e prospettive esistenziali ai
singoli e alle comunità. La politica
non è faccenda di calcoli razionali, e
neppure di diritti astrattamente affermati, ma di concrete identità individuali e collettive: queste identità si
costituiscono attraverso la durezza
delle costrizioni della realtà, ma anche grazie alla tradizione storica, o in
virtù dell’apertura della politica alla
metafisica, alla trascendenza, o alla
potenza ultima del sacro; nella convinzione che la prassi consiste soprattutto in esperienze vitali, o in
conflitti fra valori. La stessa ragione,
con i valori liberali e democratici che
le sono connessi, non è universale,
ma è un prodotto storico particolare
dell’Occidente; il suo nucleo è costituito da decisioni morali, prima che
da ragionamenti, da calcolo di interessi o da affermazioni di diritti.
Tutto ciò non è solo accademia, ma
implica forti differenze di approccio
alla realtà. Se brucia la banlieue parigina, un liberale o un liberal diranno
che la colpa è della disperata povertà
in cui versano i giovani di periferia,
salvo divergere sulle terapie per ovviare al problema; un conservatore
vecchio stile ridurrà la faccenda a una
questione di ordine pubblico; un re-
U
pubblicano dirà che è fallito il progetto pedagogico di assimilazione laica
dello Stato francese, e cercherà di capire quali riforme siano opportune;
un neo-reazionario, invece, spiazzerà – come ha fatto Finkielkraut – il
suo pubblico, sostenendo che la causa del conflitto è nell’identità islamica dei rivoltosi, declinata in modo da
essere incompatibile con il sistema di
valori del Paese occidentale in cui vivono (con tanti saluti alle ben educate teorie multiculturali).
La mappa di coloro che privilegiano il livello simbolico, identitario,
culturale della politica, e praticano
quindi una filosofia drammatica,
conflittuale, agonale, è complessa.
NORBERTO BOBBIO
C’è una tradizione di destra
reazionaria, che è religiosa,
da De Maistre a Carl
Schmitt; ma la “nouvelle
droite” non è
religiosamente orientata
Destra e sinistra
1994
CARL SCHMITT
Il significato attuale dei
filosofi controrivoluzionari
dello Stato consiste proprio
nella coerenza con cui in
essi prevale il momento
della decisione
La filosofia dello Stato della
controrivoluzione. (1922)
Negli Usa grande influenza ha avuto il
pensiero di un critico della modernità
e del suo razionalismo come Leo
Strauss, che è uno dei caposcuola del
gruppo intellettuale neo-con, impegnati in una difesa militante dell’Occidente, e nello sforzo di trasformare
la politica estera americana in una
crociata a favore della democrazia.
Ma l’attenzione al livello simbolico-identitario
non genera soltanto posizioni neo-reazionarie: ha
infatti nutrito anche una
grande stagione del pensiero femminista, e la sua
riscoperta politica del corpo sessuato; e produce in
Francia (culla della critica
decostruzionistica alla ragione moderna, da Foucault a Derrida) sia le posizioni filo-occidentali di un
vecchio noveau philosophe come Glucksmann,
sia le aspre critiche agli Usa
di un esponente della nuova destra come De Benoist,
sia la reazione alle mode ecologiste di
un Luc Ferry. Allo stesso modo, in Italia, sulla scia americana, abbiamo
tanto “atei devoti” come Ferrara, Pera, la Fallaci – laici che riconoscono
che la ragione moderna è fondata su
valori strettamente imparentati con il
cristianesimo, e che cercano nella
Chiesa cattolica un rafforzamento
dell’identità occidentale – quanto filosofi critici come Cacciari o Agamben, che si situano al di là della destra
e della sinistra in senso tradizionale
(non a caso nel nostro Paese fino dagli anni Settanta si è letto Schmitt da
sinistra, in chiave anti-gramsciana).
E nell’ambito culturale tedesco, momenti di critica del razionalismo, nella versione habermasiana, in nome
del simbolico, vengono da autori radicali come Zizeck e Sloterdijk. Mentre l’Inghilterra contribuisce alla critica della cultura liberal con un più
tradizionale conservatore come
Scruton.
I neo-reazionari sono quindi una
delle pattuglie, vivace ma non monolitica, di un esercito composito che si
affaccia, nel tempo nuovo dell’età
globale, in uno spazio intellettuale altrettanto nuovo, in cui i fronti e le alleanze assumono configurazioni ormai post-moderne. Uno spazio e un
tempo che – piaccia o no - sono ormai
i nostri.
GLI AUTORI
Il Sillabario di Emil M. Cioran è tratto da
Esercizi di ammirazione (Adelphi 1988).
Alain Finkielkraut, filosofo francese, ha
scritto tra le altre cose L’ebreo immaginario
(Marietti 1990). Carlo Galli è professore di
Storia delle dottrine politiche a Bologna. Tra
i suoi libri Genealogia della politica, (Il Mulino 1996).
DA TOCQUEVILLE A JÜNGER
a classica distinzione tra destra e sinistra difficilmente può aiutarci a spiegare la fenomenologia del neoreazionario, i cui caratteri sembrano improntati a un
modo di leggere il mondo che poco ha a che
vedere con le ideologie, siano esse di stampo
liberale che marxista. Il neoreazionario è a
suo modo un “terzo”(non un terzista), un né
né, un’equilibrista della politica che tuttavia
disprezza l’opportunismo e ama, in qualche
modo, il gesto estetico. La politica non deve
essere solo forte, deve altresì mostrarsi bella.
Odia le rivolte, depreca gli appelli all’ordine e
i richiami alla restaurazione. Un esempio
giunge dalle pagine dei romanzi di Michel
Houellebecq, scrittore neorezionario, che al
fastidio per il mondo islamico coniuga talvolta un’immagine romantica e decadente dell’Occidente.
Houellebecq può ascriversi, anche se non
lo sa o magari non gliene frega niente, a quel
tentativo con cui Ernst Jünger, grazie alla figura dell’anarca, provò a darsi un’alternativa
al nazismo e alla democrazia di massa. L’anarca può considerarsi l’antecedente “narrativo” del neoreazionario. Sul piano stretta-
L
REAZIONE
Qui sopra, Alexis De Tocqueville. In alto, “La
reazione all’assalto della repubblica”
QUEI REMOTI
PADRI
ANTIMODERNI
ANTONIO GNOLI
mente filosofico questa figura anfibia troverà
in Oltre la linea - superbo dibattito fra Jünger
e Heidegger su che cosa ci attende dopo la crisi della metafisica e della politica - il supporto teorico necessario.
Chi poi voglia estendere la paternità al XIX
secolo farebbe bene a consultare il bel libro di
Antoine Compagnon Les antimodernes, de
Joseph de Maistre à Roland Barthes (Édition
Gallimard). Gli antimoderni sono moderni
che hanno smesso di credere nelle virtù della
DIARIO
MARTEDÌ 6 DICEMBRE 2005
I NUOVI REAZIONARI
La nuova reazione francese nasce
sull’onda di un processo al Sessantotto e
alla cultura di massa. A Lione Alain de
Benoist fonda il “Grece”, Gruppo di
ricerca e studi per la civiltà europea
LA REPUBBLICA 47
ATEI DEVOTI E NEOXENOFOBI
In prima linea nella battaglia culturale
italiana contro il relativismo si sono
schierati Giuliano Ferrara e Marcello Pera.
Con l’intervento della Fallaci la polemica
ha acquistato toni xenofobi
IL CASO FINKIELKRAUT
Intervistato da Haaretz sulla rivolta delle
“banlieues” il filosofo dichiara che “vedere
nelle sommosse una risposta al razzismo
francese, vuol dire non vedere un odio più
grande, quello per l’occidente”
INTERVISTA A ALAIN FINKIELKRAUT: COME ESSERE CONSERVATORI
VI PARLO DELL’ETICHETTA
CHE MI HANNO AFFIBBIATO
FABIO GAMBARO
Parigi
ontro di me si è scatenata una nuova caccia
alle streghe in nome del
politicamente corretto». Reagisce
cosi Alain Finkielkraut alle polemiche che lo hanno
travolto dopo l’intervista rilasciata al
quotidiano israeliano Haaretz, nella
quale, secondo alcune associazioni, si era
lasciato andare ad affermazioni a connotazione razzista. Il filosofo ha pubblicamente dichiarato di
non riconoscersi nelle
parole che gli erano
state attribuite, parole
mal interpretate e mal
tradotte. Ciò pero non
gli ha evitato di finire
sulla copertina del
Nouvel Observateur,
designato come il capofila dell’area degli intellettuali “neoreazionari”. «Nessuno può riconoscersi nel termine
reazionario», replica lo studioso,
che ha appena pubblicato Nous
autres, modernes (Ellipses). «E’
un’accusa infamante che mira
esclusivamente a screditare l’avversario. Oggi però sono accusato
di molto peggio, mi danno del razzista e del fascista. Un’accusa che
è una vera e propria condanna a
morte».
L’espressione “neorazionario” ha per lei un valore politico?
«Assolutamente no. E’ una categoria inventata da Daniel Lindenberg per impedire agli avversari di esprimersi, rendendo impossibile il dibattito pubblico. La
vita politica democratica è tale solo se è una scena aperta sulla quale tutti possono esprimersi anche
con opinioni divergenti. E’ dal
contatto di queste divergenze che
può scaturire una parte di verità.
C’è però chi pensa che la democrazia debba essere un processo
di perpetuo livellamento, di fronte al quale il mondo va diviso tra
progressisti e reazionari. In questa prospettiva la discussione è
morta. L’uso del termine reazionario è il sintomo di un pericoloso
ritorno del dogmatismo più settario e miope, quello che toglie all’avversario il diritto di esprimersi. Così facendo, si svuota la scena
democratica di ogni sostanza».
Si considera un conservatore?
«Non nel senso di voler preservare l’ordine costituito. Sono un
conservatore solo nel senso inteso
da Hannah Arendt, che si preoccupava della preservazione del
mondo. Oggi comunque non c’è
più ordine costituito, ma solo un
cambiamento costituito. La nostra sola tradizione è il progresso.
Viviamo in nome del movimento
e del cambiamento continuo. In
questo contesto, io mi considero
un rivoluzionario, perché ormai la
sola rivoluzione possibile è quella
che interrompe le derive contemporanee. La mia rivoluzione non
ha nulla a che vedere con il conformismo progressista, oggi di moda, che fa di me un reazionario, un
razzista e un fascista da additare
alla pubblica riprovazione».
Evocando la presenza di una
tendenza neoreazionaria sulla
scena intellettuale, i suoi detrattori sottolineano soprattutto lo
spostamento a destra della cultura francese. Che ne pensa?
«Le categorie di destra e sinistra
non m’interessano più. Anche in
questo, continuo a seguire Han-
«C
Repubblica Nazionale 47 06/12/2005
I DIARI ONLINE
Tutti i numeri del “Diario” di Repubblica sono consultabili su Internet al sito
www.repubblica.it, sezione “Cultura e
spettacoli”.
Qui i lettori troveranno le pagine,
comprensive di tutte le illustrazioni, di
questo strumento di comprensione del
nostro tempo.
modernità, ma non per questo si sentono dei
tradizionalisti. Hanno vissuto lo choc della
Rivoluzione francese, comprendendone la
grandezza ma cogliendone la deriva furiosa
del terrore, la minaccia totalitaria. Un neorezionario come François Furet avrebbe descritto tutto questo in netta opposizione alle
analisi giacobine e marxiste.
Gli antimoderni, osserva Compagnon, si
apparentano alle vittime della storia. Essi intrattengono un rapporto particolare con la
morte, la malinconia, il dandismo: Baudelaire e in parte Chateaubriand e perfino Flaubert
sul piano letterario ne esemplificano lo stato
d’animo. Sul versante della riflessione politica, Tocqueville è l’antimoderno della modernità: è un aristocratico senza nostalgie per la
propria classe. Vede crescere le ragioni della
democrazia, le coglie nel loro fatale dispiegarsi, le reputa necessarie, ma alla fine non le
condivide. Come il neoreazionario, che verrà
un secolo e mezzo dopo, l’antimoderno non
è di destra né di sinistra. Ma non è neppure di
centro. È un eccentrico. E come tale rischia di
farsi detestare sia a destra che a sinistra. L’equivoco Finkielkraut è lì a dimostrarlo.
SATIRA
Qui sotto, una stampa satirica
controrivoluzionaria.
Al centro, Robespierre giustiziato
FRANÇOIS FURET
Siamo tornati alle battaglie
dei bei tempi andati?
Lo spettro della
controrivoluzione minaccia
l’opera dei nostri antenati?
Ci sarebbe da crederlo
Critica della rivoluzione
francese (1978)
RAYMOND ARON
La Nuova Destra ha
cercato di insediarsi nel
campo intellettuale e ha
scelto il punto debole della
fortezza del conformismo
ideologico di sinistra
Un discours antiégalitaire
“L’Arche”, agosto 1979
199 101 191
Prima: chiami. Poi: voli.
539
Rio de Janeiro
a/r da
€
* Tariffa base applicabile per partenze da Milano/Roma/Torino/Venezia/Bologna/Pisa/Napoli. Tariffa soggetta a
restrizioni e limitazioni di spazio. Tasse aereoportuali e sovrapprezzo carburante non compresi, a partire da euro 141,76.
Servizio di vendita non incluso. Informazioni e dettagli dell’offerta sul sito www.iberia.it o al numero 199 101 191. Costo
minimo della chiamata 4,65 eurocent./min. da telefono fisso. Dai cellulari il costo varia a seconda dell’operatore.
Le nostre migliori offerte
per volare in Spagna e America Latina
nah Arendt. E mi sento vicino anche ad Albert Camus. Egli pensava
che, sebbene ogni generazione
s’immagini sempre di
essere destinata a rifare il mondo, il suo
compito doveva essere diverso ma non
meno nobile: impedire al mondo di disfarsi. Una missione
oggi più che mai necessaria. Di fronte a
un mondo che cambia troppo velocemente, dobbiamo
innanzitutto pensare a conservare
ciò che è essenziale. Stiamo perdendo tutto ciò che è
importante, ma
quando lo dico, mi
accusano di essere
un reazionario. La
realtà è che la nostra società non
sopporta più un discorso critico
sul mondo. Così, di fronte al
trionfo degli stereotipi, scelgo Camus dell’Uomo in rivolta. All’epoca egli doveva subire la collera dei
comunisti. Io invece devo subire
la collera degli adepti del politicamente corretto e delle minoranze
visibili, le quali, pur di farsi ascoltare, sono disposte a sopprimere
gli altri».
Non le sembra di esagerare?
«Assolutamente no. Un antirazzismo scatenato, imbecille e
odioso impone il dominio del politicamente corretto che si trasforma in volontà di persecuzione. E’
il trionfo della menzogna e di
un’aspirazione totalitaria che non
viene dallo stato, ma dal profondo
della società. L’antirazzismo era
un’idea generosa e un fondamento morale. Oggi è diventato una visione del mondo che ha preso il
posto del marxismo. In passato
era concepibile dirsi antimarxisti,
oggi chi critica le derive dogmatiche dell’antirazzismo diventa automaticamente un razzista, un
nemico del genere umano. Chi
non aderisce all’ipnosi collettiva è
condannato all’infamia. Di fronte
a questa deriva, gli uomini politici
di destra come di sinistra si mostrano proni. Chi difende l’etica
della verità è costretto alla clandestinità. Io sono andato controcorrente ed ora provano a farmi tacere a forza di processi. Per la prima
volta in vita mia, ho pensato di abbandonare la Francia, un paese in
preda a una follia persecutoria
inaudita».
Secondo Pascal Bruckner, lei
annuncia la catastrofe...
«Non annuncio la catastrofe
per il semplice fatto che essa ha già
avuto luogo. Mi limito solo a constatare un certo numero di disastri, come quello scolastico o
quello linguistico».
Il ruolo dell’intellettuale è
quello di opporsi alle credenze
comuni?
«L’intellettuale deve cercare la
verità. Non deve pretendere di possederla, ma deve sempre cercarla
contro tutto e tutti. Oggi questa ricerca è diventata un’attività sovversiva, perché l’opinione pubblica non vuole vedere ciò che sta accadendo. L’intellighenzia francese,
ma anche quella italiana, è piena di
professionisti della sovversione che
in realtà sono solo i portavoce del
pensiero ufficiale».
Si sente isolato?
«Assolutamente no. Molti la
pensano come me, anche se sono
minoritario nel mondo intellettuale».
I LIBRI
NORBERTO
BOBBIO
Destra e
sinistra
Donzelli
2004
JEAN
STAROBINSKI
Azione e
reazione
Einaudi
2001
OSWALD
SPENGLER
Il tramonto
dell’Occidente
Guanda
1999
ANTHONY
GIDDENS
Oltre
la destra
e la sinistra
Il Mulino 1997
E.M.
CIORAN
Esercizi di
ammirazione
Adelphi 1995
ISAIAH
BERLIN
Il legno
storto
dell’umanità
Adelphi 1994
CARL
SCHMITT
Donoso
Cortés
Adelphi 1996
Il nomos
della terra
Adelphi 1991
EDMUND
BURKE
Riflessioni
sulla
Rivoluzione
in Francia
Ideazione
1998
ALBERT O.
HIRSCHMAN
Retoriche
della
intransigenza
Il Mulino
2001
MARTIN
HEIDEGGER,
ERNST
JÜNGER
Oltre la linea
Adelphi
1989
JOSEPH DE
MAISTRE
Considerazioni
sulla Francia
Editori Riuniti
1985