Neoreazionari 06 12 2005
Transcript
Neoreazionari 06 12 2005
MARTEDÌ 6 DICEMBRE 2005 LA REPUBBLICA 45 DIARIO DI DI LA FRANCIA E LA SVOLTA DEGLI INTELLETTUALI Dopo il caso Alain Finkielkraut attaccato e frainteso per le sue posizioni na delle più importanti sfide del XXI secolo è quella di «conciliare il pieno riconoscimento della diversità delle culture con il puntiglioso rispetto dell’universalità dei valori». Si tenga bene a mente questa frase: ogni parola ha il suo peso. La si giri pure in ogni senso possibile: essa contiene le nostre maggiori preoccupazioni. Premessa necessaria per capire la vicenda di Alain Finkielkraut: autore di un libro sull’“ebreo immaginario” che ha fatto epoca; animatore di un’interessante trasmissione settimanale su France Culture; personaggio che inveisce contro le aggressioni e le regressioni del modernismo, il filosofo più mediatico di Francia tre settimane fa ha reso note le proprie idee sulla crisi delle banlieue. Egli ha dunque sostenuto che i tumulti non si riconducono ad alcuna delle cause solitamente individuate. Il nocciolo della questione, secondo lui, non è da ricercarsi nella disoccupazione, nell’isolamento, nella ghettizzazione o nella disgregazione delle famiglie. Egli vuole che si dica pane al pane, e si chiamino i giovani rivoltosi francesi «neri e musulmani». Nel loro comportamento sarebbe individuabile una dimensione etnico-religiosa. I loro valori, insomma, non sarebbero i nostri. A sostegno della propria tesi, Finkielkraut ha fatto presente che altre minoranze, inghiottite in una disperazione pressoché simile, non sentono affatto il bisogno di dar fuoco alle automobili o di prendersela con gli edifici scolastici. Egli si allarma, si indigna per il fatto che davanti a questa realtà, l’opinione pubblica si copra gli occhi e che, per paura della situazione e del razzismo, il pensiero dominante inviti al masochismo e al vittimismo. Tutto ciò, più o meno contestabile che sia, non ha suscitato alcuno scalpore fino al momento in cui Alain Finkielkraut ha concesso un’intervista al prestigioso quotidiano della sinistra israeliana, Haaretz. Il giornalista è parso sorpreso, persino sconcertato, dalle parole del filosofo francese. Le Monde, nostro collega palesemente non meno sconcertato, ha montato vari brani dell’intervista in un unico articolo, che ha scatenato a Parigi un certo sbigottimento. Immediatamente ci si è schierati pro o contro la persona e le espressioni (non le idee) di Finkielkraut. Sabato scorso Le Monde ha aperto le proprie colonne al filosofo dispiaciuto e Finkielkraut ha subito precisato di non riconoscersi affatto nel pezzo pubblicato da Le Monde. Ha ripetuto quello che aveva detto la sera prima a Jean-Pierre Elkabbach sulle frequenze di Europe 1, ovvero che se era davvero l’autore delle dichiarazioni che gli si affibbiavano, riteneva insopportabile l’immagine che quelle davano di lui. Questa precisazione poteva anche essere considerata una Un acceso dibattito attorno a una nuova figura di pensatore politico I lavori del Congresso di Vienna in una stampa del XIX secolo NEOREAZIONARI Quando la destra cambia faccia JEAN DANIEL sorta di rincrescimento. Si era quindi trattato di semplici scivoloni? In tal caso, quelle sviste non rivelavano forse una disposizione d’animo in lui tale da giustificare che si era potuto farne uno dei portavoce di una qualsiasi “nuova destra”? Finkielkraut “nouveau réac” (neo-reazionario)? Sì, se con questa parola intendiamo la nostalgia del paradiso perduto, della scuola egalitaria, della cit- tadinanza responsabile, dell’integrazione riuscita dei nuovi francesi, e della comunione di tutti i cittadini nel rispetto della Repubblica e del lascito del 1789. No, qualora invece con tale espressione stigmatizzassimo l’adesione a una nuova formazione politica. Occorre evitare, in queste faccende, di ricorrere a facili etichette. François Mitterrand è stato un “nouveau réac” perché credeva E. M. CIORAN NEOREAZIONARI SPESSO il reazionario non è che un saggio abile, un saggio interessato, il quale, sfruttando politicamente le grandi verità metafisiche, indaga senza debolezza né pietà il retroscena del fenomeno umano per renderne pubblico l’orrore. Un profittatore del terribile, il cui pensiero – irrigidito per calcolo o per eccesso di lucidità – minimizza o calunnia il tempo. Diversamente generoso, perché diversamente ingenuo, il pensiero rivoluzionario. Sfida lanciata all’idea del peccato originale: tale appare il senso ultimo delle rivoluzioni. Prima di procedere alla liquidazione dell’ordine stabilito, esse vogliono affrancare l’uomo dal culto delle origini cui lo condanna la religione; ci riescono solo scalzando gli dèi, affievolendone il potere sulle coscienze. Sono infatti loro, gli dèi, che, incatenandoci a un mondo anteriore alla storia, ci fanno disprezzare il Divenire, feticcio di tutti gli innovatori, dal semplice mugugnatore all’anarchico. “ “ Repubblica Nazionale 45 06/12/2005 U esistesse una “soglia di tolleranza”? I vecchi sindaci comunisti che si opponevano al voto degli immigrati erano di destra? E Sarkozy, è di sinistra nel momento in cui rinuncia alla duplice condanna e organizza — per altro assai male — il Consiglio francese del culto musulmano? Per quanto riguarda i tumulti delle banlieue, il mio parere, contrario a quello di Finkielk- raut è che non avrebbero potuto esserci senza la televisione, né, del resto, senza le celebri “febbri del sabato sera”, né, ancora, senza la classica rivalità delle gang emarginate nei ghetti, la disoccupazione, le tentazioni di tutti i tipi di delinquenza. I rivoltosi si sono abbandonati a una sorta di vandalismo nichilista, senza rivendicazioni, senza dichiarazioni. È soltanto in seguito che le loro ma- nifestazioni, nel momento stesso in cui avevano luogo, si sono impadronite di alcune espressioni volgari e odiose, prese dai loro idoli rap, che affermano di sentirsi ormai molto più indietro rispetto ai loro fan. Ma è anche vero che sono tornate ad affiorare in loro, e contro la Francia, le ricostruzioni dei ricordi della schiavitù e del colonialismo. Io mi sono ribellato al fatto che alcuni storici spiegassero il razzismo dei francesi per mezzo del ricordo della colonizzazione, ma mi sono unito a coloro che facevano presente che la rievocazione delle sofferenze un tempo patite dalle colonie avesse potuto accendere e legittimare in maniera eccessiva questi sentimenti specificatamente e palesemente anti-francesi. Tanto più che tutto ciò accade in un contesto di vittimizzazione generale, nel quale concordo col parere di Finkielkraut e di qualcun altro: ma a una condizione, non da poco. Poiché vogliamo dire le cose pane al pane, dobbiamo accettare dunque di ammettere che questa rivalità tra vittime è stata inaugurata da quegli stessi che rifiutavano che potessero anche solo esisterne. Avendo gli ebrei stabilito, in qualche caso spesso a ragione, che nulla era comparabile alla Shoah, se ne sono usciti, spesso a torto, con uno status superiore a quello di altre vittime della storia. Quando ci si sovviene del modo in cui alcuni francesi ebrei delle minoranze hanno alimentato la campagna degli americani contro la Francia, si può solo obiettare che i rivoltosi delle banlieue sono dei rozzi imitatori. Del resto, è proprio questo che dice Finkielkraut, allorché non esita, rivolgendosi agli ebrei, a dichiarare: «Se non amate la Francia, c’è sempre Israele». Tuttavia per onestà dobbiamo sottolineare con incisività che il sionismo — per quanto sia stato estremista — non ha mai ispirato nella diaspora una qualsiasi violenza islamofobica. I nostri giovani sovversivi sarebbero senza alcun dubbio i primi a stupirsi venendo a sapere di aver determinato la ripresa alla grande di un importante dibattito che vede schierati in Francia gli apologeti della differenza e i cantori dell’universalismo. La nostra repubblica è già comunitarista? Ha già innalzato la differenza a principio di base della società? Si appresta già a farne un principio cardine dello Stato? Se tutto ciò è vero, occorre forse rassegnarsi, decidere che l’evoluzione del centralismo laico e repubblicano non poteva che piegarsi alla realtà del multiculturalismo? Ad ogni buon conto, ciò che potremmo ritrovarci a rimpiangere maggiormente, in questa vicenda di Finkielkraut, è che essa scatena nuovamente opposizioni artificiose e che ci distoglie dall’inevitabile faccia a faccia con le nostre trasformazioni, siano essere straordinarie, siano invece preoccupanti. Traduzione di Anna Bissanti DIARIO 46 LA REPUBBLICA LE TAPPE I CONTRORIVOLUZIONARI I reazionari della Francia post rivoluzionaria combattono le spinte ugualitarie e l’idea di progresso per un ritorno alla società precedente. Tra loro ci sono Burke, de Maistre e Bonald GLI ANTIMODERNISTI Con l’enciclica “Pascendi” Pio X (1907) avvia il programma di restaurazione della società cristiana e accende nella chiesa il dibattito tra modernisti, sulla scia dei francesi Loisy e Blondel, e antimodernisti MARTEDÌ 6 DICEMBRE 2005 LA RIVOLUZIONE CONSERVATRICE Nella Germania di Weimar tornano in voga i temi di cultura e identità nel quadro della critica all’illuminismo. Più tardi, Jünger e Heidegger rifletteranno sul nichilismo nella società contemporanea DAGLI ATEI DEVOTI AI CRITICI DELLA DEMOCRAZIA. L’EUROPA DAVANTI ALLA NEOREAZIONE UN PICCOLO ESERCITO COSÌ DIVERSO DAI NEOCON CARLO GALLI I LIBRI ALAIN DE BENOIST Critica della ragione mercantile Arianna Editrice 2005 Le sfide della postmodernità Arianna Editrice 2003 L’impero interiore Ponte alle grazie 1996 PIERRE MILZA Europa estrema. Il radicalismo di Destra dal 1945 a oggi Carocci 2005 GIORGIO BARBERIS, MARCO REVELLI La fine della politica Guerini e Associati 2005 ANDRÉ GLUCKSMANN Il discorso dell’odio Piemme 2005 FRANÇOIS FURET Critica della rivoluzione francese Laterza 2004 HUGO VON HOFMANNS THAL La rivoluzione conservatrice europea Marsilio 2003 FRANCESCO GERMINARIO La destra degli dei Bollati Boringhieri 2002 FRANCESCO RANIOLO I partiti conservatori in Europa occidentale Il Mulino 2000 ALAIN FINKIELKRAUT L’ebreo immaginario Marietti 1990 na nuova famiglia di pensatori politici si sta formando: i neoreazionari. Per comprenderne fini e strategie si deve riconoscere che la politica, dalla seconda metà del Novecento, è caratterizzata, in Occidente, dal conflitto fra liberaldemocrazia e socialdemocrazia, cioè fra una destra e una sinistra che sono in realtà riformismi di specie diversa ma del medesimo genere. Rivali, certo, ma uniti nel riferirsi a due varianti – liberale e liberal– della medesima corrente razionalistica e illuministica, e nel riconoscere che la politica non può che collocarsi nell’orizzonte dei diritti, e oscillare fra la valorizzazione della libertà individuale da una parte e della giustizia sociale dall’altra. Il neo-contrattualismo di Rawls, il neo-libertarismo di Nozick, la teoria dei diritti di Dworkin, l’agire comunicativo di Habermas, e persino il neo-liberalismo di Hayek, sono i punti forti, in politica, dello stile filosofico moderno. La riflessione sulla politica – per quanto differenziata in scuole rivali – ha insomma davvero elaborato il politicamente corretto, e anche il tabù, l’impensato e l’impensabile: è la logica stessa delle culture politiche dominanti, liberali o democratiche, a determinarli. E quindi esiste anche la possibilità, o il bisogno – critico, liberatorio, espressivo –, di sottrarre la riflessione filosofico-politica all’ipoteca liberale e liberal, innescando effetti di scandalo e di spiazzamento. Questa trasgressione – alimentata anche dalle nuove configurazioni del mondo, dopo il 1989 e l’11 settembre – può essere definita neo-reazionaria non tanto perché sia di destra nel senso classico del termine, ma perché reagisce al senso comune filosofico cercando la provocazione, elaborando argomenti non allineati e interpretando i nostri tempi in modo alternativo. E il principale punto di vista eterodosso che si viene imponendo alla filosofia non è più quello del marxismo ma quello identitario, simbolico-culturale. Parecchi intellettuali stanno infatti ragionando, in modi molto diversi tra loro, nella convinzione che ciò che il pensiero deve valorizzare sono le condizioni ideali e simboliche, culturali e religiose, che danno senso, radicamento e prospettive esistenziali ai singoli e alle comunità. La politica non è faccenda di calcoli razionali, e neppure di diritti astrattamente affermati, ma di concrete identità individuali e collettive: queste identità si costituiscono attraverso la durezza delle costrizioni della realtà, ma anche grazie alla tradizione storica, o in virtù dell’apertura della politica alla metafisica, alla trascendenza, o alla potenza ultima del sacro; nella convinzione che la prassi consiste soprattutto in esperienze vitali, o in conflitti fra valori. La stessa ragione, con i valori liberali e democratici che le sono connessi, non è universale, ma è un prodotto storico particolare dell’Occidente; il suo nucleo è costituito da decisioni morali, prima che da ragionamenti, da calcolo di interessi o da affermazioni di diritti. Tutto ciò non è solo accademia, ma implica forti differenze di approccio alla realtà. Se brucia la banlieue parigina, un liberale o un liberal diranno che la colpa è della disperata povertà in cui versano i giovani di periferia, salvo divergere sulle terapie per ovviare al problema; un conservatore vecchio stile ridurrà la faccenda a una questione di ordine pubblico; un re- U pubblicano dirà che è fallito il progetto pedagogico di assimilazione laica dello Stato francese, e cercherà di capire quali riforme siano opportune; un neo-reazionario, invece, spiazzerà – come ha fatto Finkielkraut – il suo pubblico, sostenendo che la causa del conflitto è nell’identità islamica dei rivoltosi, declinata in modo da essere incompatibile con il sistema di valori del Paese occidentale in cui vivono (con tanti saluti alle ben educate teorie multiculturali). La mappa di coloro che privilegiano il livello simbolico, identitario, culturale della politica, e praticano quindi una filosofia drammatica, conflittuale, agonale, è complessa. NORBERTO BOBBIO C’è una tradizione di destra reazionaria, che è religiosa, da De Maistre a Carl Schmitt; ma la “nouvelle droite” non è religiosamente orientata Destra e sinistra 1994 CARL SCHMITT Il significato attuale dei filosofi controrivoluzionari dello Stato consiste proprio nella coerenza con cui in essi prevale il momento della decisione La filosofia dello Stato della controrivoluzione. (1922) Negli Usa grande influenza ha avuto il pensiero di un critico della modernità e del suo razionalismo come Leo Strauss, che è uno dei caposcuola del gruppo intellettuale neo-con, impegnati in una difesa militante dell’Occidente, e nello sforzo di trasformare la politica estera americana in una crociata a favore della democrazia. Ma l’attenzione al livello simbolico-identitario non genera soltanto posizioni neo-reazionarie: ha infatti nutrito anche una grande stagione del pensiero femminista, e la sua riscoperta politica del corpo sessuato; e produce in Francia (culla della critica decostruzionistica alla ragione moderna, da Foucault a Derrida) sia le posizioni filo-occidentali di un vecchio noveau philosophe come Glucksmann, sia le aspre critiche agli Usa di un esponente della nuova destra come De Benoist, sia la reazione alle mode ecologiste di un Luc Ferry. Allo stesso modo, in Italia, sulla scia americana, abbiamo tanto “atei devoti” come Ferrara, Pera, la Fallaci – laici che riconoscono che la ragione moderna è fondata su valori strettamente imparentati con il cristianesimo, e che cercano nella Chiesa cattolica un rafforzamento dell’identità occidentale – quanto filosofi critici come Cacciari o Agamben, che si situano al di là della destra e della sinistra in senso tradizionale (non a caso nel nostro Paese fino dagli anni Settanta si è letto Schmitt da sinistra, in chiave anti-gramsciana). E nell’ambito culturale tedesco, momenti di critica del razionalismo, nella versione habermasiana, in nome del simbolico, vengono da autori radicali come Zizeck e Sloterdijk. Mentre l’Inghilterra contribuisce alla critica della cultura liberal con un più tradizionale conservatore come Scruton. I neo-reazionari sono quindi una delle pattuglie, vivace ma non monolitica, di un esercito composito che si affaccia, nel tempo nuovo dell’età globale, in uno spazio intellettuale altrettanto nuovo, in cui i fronti e le alleanze assumono configurazioni ormai post-moderne. Uno spazio e un tempo che – piaccia o no - sono ormai i nostri. GLI AUTORI Il Sillabario di Emil M. Cioran è tratto da Esercizi di ammirazione (Adelphi 1988). Alain Finkielkraut, filosofo francese, ha scritto tra le altre cose L’ebreo immaginario (Marietti 1990). Carlo Galli è professore di Storia delle dottrine politiche a Bologna. Tra i suoi libri Genealogia della politica, (Il Mulino 1996). DA TOCQUEVILLE A JÜNGER a classica distinzione tra destra e sinistra difficilmente può aiutarci a spiegare la fenomenologia del neoreazionario, i cui caratteri sembrano improntati a un modo di leggere il mondo che poco ha a che vedere con le ideologie, siano esse di stampo liberale che marxista. Il neoreazionario è a suo modo un “terzo”(non un terzista), un né né, un’equilibrista della politica che tuttavia disprezza l’opportunismo e ama, in qualche modo, il gesto estetico. La politica non deve essere solo forte, deve altresì mostrarsi bella. Odia le rivolte, depreca gli appelli all’ordine e i richiami alla restaurazione. Un esempio giunge dalle pagine dei romanzi di Michel Houellebecq, scrittore neorezionario, che al fastidio per il mondo islamico coniuga talvolta un’immagine romantica e decadente dell’Occidente. Houellebecq può ascriversi, anche se non lo sa o magari non gliene frega niente, a quel tentativo con cui Ernst Jünger, grazie alla figura dell’anarca, provò a darsi un’alternativa al nazismo e alla democrazia di massa. L’anarca può considerarsi l’antecedente “narrativo” del neoreazionario. Sul piano stretta- L REAZIONE Qui sopra, Alexis De Tocqueville. In alto, “La reazione all’assalto della repubblica” QUEI REMOTI PADRI ANTIMODERNI ANTONIO GNOLI mente filosofico questa figura anfibia troverà in Oltre la linea - superbo dibattito fra Jünger e Heidegger su che cosa ci attende dopo la crisi della metafisica e della politica - il supporto teorico necessario. Chi poi voglia estendere la paternità al XIX secolo farebbe bene a consultare il bel libro di Antoine Compagnon Les antimodernes, de Joseph de Maistre à Roland Barthes (Édition Gallimard). Gli antimoderni sono moderni che hanno smesso di credere nelle virtù della DIARIO MARTEDÌ 6 DICEMBRE 2005 I NUOVI REAZIONARI La nuova reazione francese nasce sull’onda di un processo al Sessantotto e alla cultura di massa. A Lione Alain de Benoist fonda il “Grece”, Gruppo di ricerca e studi per la civiltà europea LA REPUBBLICA 47 ATEI DEVOTI E NEOXENOFOBI In prima linea nella battaglia culturale italiana contro il relativismo si sono schierati Giuliano Ferrara e Marcello Pera. Con l’intervento della Fallaci la polemica ha acquistato toni xenofobi IL CASO FINKIELKRAUT Intervistato da Haaretz sulla rivolta delle “banlieues” il filosofo dichiara che “vedere nelle sommosse una risposta al razzismo francese, vuol dire non vedere un odio più grande, quello per l’occidente” INTERVISTA A ALAIN FINKIELKRAUT: COME ESSERE CONSERVATORI VI PARLO DELL’ETICHETTA CHE MI HANNO AFFIBBIATO FABIO GAMBARO Parigi ontro di me si è scatenata una nuova caccia alle streghe in nome del politicamente corretto». Reagisce cosi Alain Finkielkraut alle polemiche che lo hanno travolto dopo l’intervista rilasciata al quotidiano israeliano Haaretz, nella quale, secondo alcune associazioni, si era lasciato andare ad affermazioni a connotazione razzista. Il filosofo ha pubblicamente dichiarato di non riconoscersi nelle parole che gli erano state attribuite, parole mal interpretate e mal tradotte. Ciò pero non gli ha evitato di finire sulla copertina del Nouvel Observateur, designato come il capofila dell’area degli intellettuali “neoreazionari”. «Nessuno può riconoscersi nel termine reazionario», replica lo studioso, che ha appena pubblicato Nous autres, modernes (Ellipses). «E’ un’accusa infamante che mira esclusivamente a screditare l’avversario. Oggi però sono accusato di molto peggio, mi danno del razzista e del fascista. Un’accusa che è una vera e propria condanna a morte». L’espressione “neorazionario” ha per lei un valore politico? «Assolutamente no. E’ una categoria inventata da Daniel Lindenberg per impedire agli avversari di esprimersi, rendendo impossibile il dibattito pubblico. La vita politica democratica è tale solo se è una scena aperta sulla quale tutti possono esprimersi anche con opinioni divergenti. E’ dal contatto di queste divergenze che può scaturire una parte di verità. C’è però chi pensa che la democrazia debba essere un processo di perpetuo livellamento, di fronte al quale il mondo va diviso tra progressisti e reazionari. In questa prospettiva la discussione è morta. L’uso del termine reazionario è il sintomo di un pericoloso ritorno del dogmatismo più settario e miope, quello che toglie all’avversario il diritto di esprimersi. Così facendo, si svuota la scena democratica di ogni sostanza». Si considera un conservatore? «Non nel senso di voler preservare l’ordine costituito. Sono un conservatore solo nel senso inteso da Hannah Arendt, che si preoccupava della preservazione del mondo. Oggi comunque non c’è più ordine costituito, ma solo un cambiamento costituito. La nostra sola tradizione è il progresso. Viviamo in nome del movimento e del cambiamento continuo. In questo contesto, io mi considero un rivoluzionario, perché ormai la sola rivoluzione possibile è quella che interrompe le derive contemporanee. La mia rivoluzione non ha nulla a che vedere con il conformismo progressista, oggi di moda, che fa di me un reazionario, un razzista e un fascista da additare alla pubblica riprovazione». Evocando la presenza di una tendenza neoreazionaria sulla scena intellettuale, i suoi detrattori sottolineano soprattutto lo spostamento a destra della cultura francese. Che ne pensa? «Le categorie di destra e sinistra non m’interessano più. Anche in questo, continuo a seguire Han- «C Repubblica Nazionale 47 06/12/2005 I DIARI ONLINE Tutti i numeri del “Diario” di Repubblica sono consultabili su Internet al sito www.repubblica.it, sezione “Cultura e spettacoli”. Qui i lettori troveranno le pagine, comprensive di tutte le illustrazioni, di questo strumento di comprensione del nostro tempo. modernità, ma non per questo si sentono dei tradizionalisti. Hanno vissuto lo choc della Rivoluzione francese, comprendendone la grandezza ma cogliendone la deriva furiosa del terrore, la minaccia totalitaria. Un neorezionario come François Furet avrebbe descritto tutto questo in netta opposizione alle analisi giacobine e marxiste. Gli antimoderni, osserva Compagnon, si apparentano alle vittime della storia. Essi intrattengono un rapporto particolare con la morte, la malinconia, il dandismo: Baudelaire e in parte Chateaubriand e perfino Flaubert sul piano letterario ne esemplificano lo stato d’animo. Sul versante della riflessione politica, Tocqueville è l’antimoderno della modernità: è un aristocratico senza nostalgie per la propria classe. Vede crescere le ragioni della democrazia, le coglie nel loro fatale dispiegarsi, le reputa necessarie, ma alla fine non le condivide. Come il neoreazionario, che verrà un secolo e mezzo dopo, l’antimoderno non è di destra né di sinistra. Ma non è neppure di centro. È un eccentrico. E come tale rischia di farsi detestare sia a destra che a sinistra. L’equivoco Finkielkraut è lì a dimostrarlo. SATIRA Qui sotto, una stampa satirica controrivoluzionaria. Al centro, Robespierre giustiziato FRANÇOIS FURET Siamo tornati alle battaglie dei bei tempi andati? Lo spettro della controrivoluzione minaccia l’opera dei nostri antenati? Ci sarebbe da crederlo Critica della rivoluzione francese (1978) RAYMOND ARON La Nuova Destra ha cercato di insediarsi nel campo intellettuale e ha scelto il punto debole della fortezza del conformismo ideologico di sinistra Un discours antiégalitaire “L’Arche”, agosto 1979 199 101 191 Prima: chiami. Poi: voli. 539 Rio de Janeiro a/r da € * Tariffa base applicabile per partenze da Milano/Roma/Torino/Venezia/Bologna/Pisa/Napoli. Tariffa soggetta a restrizioni e limitazioni di spazio. Tasse aereoportuali e sovrapprezzo carburante non compresi, a partire da euro 141,76. Servizio di vendita non incluso. Informazioni e dettagli dell’offerta sul sito www.iberia.it o al numero 199 101 191. Costo minimo della chiamata 4,65 eurocent./min. da telefono fisso. Dai cellulari il costo varia a seconda dell’operatore. Le nostre migliori offerte per volare in Spagna e America Latina nah Arendt. E mi sento vicino anche ad Albert Camus. Egli pensava che, sebbene ogni generazione s’immagini sempre di essere destinata a rifare il mondo, il suo compito doveva essere diverso ma non meno nobile: impedire al mondo di disfarsi. Una missione oggi più che mai necessaria. Di fronte a un mondo che cambia troppo velocemente, dobbiamo innanzitutto pensare a conservare ciò che è essenziale. Stiamo perdendo tutto ciò che è importante, ma quando lo dico, mi accusano di essere un reazionario. La realtà è che la nostra società non sopporta più un discorso critico sul mondo. Così, di fronte al trionfo degli stereotipi, scelgo Camus dell’Uomo in rivolta. All’epoca egli doveva subire la collera dei comunisti. Io invece devo subire la collera degli adepti del politicamente corretto e delle minoranze visibili, le quali, pur di farsi ascoltare, sono disposte a sopprimere gli altri». Non le sembra di esagerare? «Assolutamente no. Un antirazzismo scatenato, imbecille e odioso impone il dominio del politicamente corretto che si trasforma in volontà di persecuzione. E’ il trionfo della menzogna e di un’aspirazione totalitaria che non viene dallo stato, ma dal profondo della società. L’antirazzismo era un’idea generosa e un fondamento morale. Oggi è diventato una visione del mondo che ha preso il posto del marxismo. In passato era concepibile dirsi antimarxisti, oggi chi critica le derive dogmatiche dell’antirazzismo diventa automaticamente un razzista, un nemico del genere umano. Chi non aderisce all’ipnosi collettiva è condannato all’infamia. Di fronte a questa deriva, gli uomini politici di destra come di sinistra si mostrano proni. Chi difende l’etica della verità è costretto alla clandestinità. Io sono andato controcorrente ed ora provano a farmi tacere a forza di processi. Per la prima volta in vita mia, ho pensato di abbandonare la Francia, un paese in preda a una follia persecutoria inaudita». Secondo Pascal Bruckner, lei annuncia la catastrofe... «Non annuncio la catastrofe per il semplice fatto che essa ha già avuto luogo. Mi limito solo a constatare un certo numero di disastri, come quello scolastico o quello linguistico». Il ruolo dell’intellettuale è quello di opporsi alle credenze comuni? «L’intellettuale deve cercare la verità. Non deve pretendere di possederla, ma deve sempre cercarla contro tutto e tutti. Oggi questa ricerca è diventata un’attività sovversiva, perché l’opinione pubblica non vuole vedere ciò che sta accadendo. L’intellighenzia francese, ma anche quella italiana, è piena di professionisti della sovversione che in realtà sono solo i portavoce del pensiero ufficiale». Si sente isolato? «Assolutamente no. Molti la pensano come me, anche se sono minoritario nel mondo intellettuale». I LIBRI NORBERTO BOBBIO Destra e sinistra Donzelli 2004 JEAN STAROBINSKI Azione e reazione Einaudi 2001 OSWALD SPENGLER Il tramonto dell’Occidente Guanda 1999 ANTHONY GIDDENS Oltre la destra e la sinistra Il Mulino 1997 E.M. CIORAN Esercizi di ammirazione Adelphi 1995 ISAIAH BERLIN Il legno storto dell’umanità Adelphi 1994 CARL SCHMITT Donoso Cortés Adelphi 1996 Il nomos della terra Adelphi 1991 EDMUND BURKE Riflessioni sulla Rivoluzione in Francia Ideazione 1998 ALBERT O. HIRSCHMAN Retoriche della intransigenza Il Mulino 2001 MARTIN HEIDEGGER, ERNST JÜNGER Oltre la linea Adelphi 1989 JOSEPH DE MAISTRE Considerazioni sulla Francia Editori Riuniti 1985