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Il territorio e la sua storia
Vini della Valle d’Aosta,
eccellenti quelli autoctoni
di Giovanna Benetti
Arroccati su terrazzamenti rivolti a mezzogiorno in modo
da prendere il massimo del sole che permette la naturale
maturazione delle uve, riparati dai venti, ma in zone spesso
molto piovose.
Così sono i vigneti valdostani, i più alti d’Europa, fino a 1200
metri di altitudine. Abbandonati alla fine del 1800 a causa
di una grave crisi economica che ha fatto emigrare molti giovani, recuperati successivamente, tutti parcellizzati, curati
religiosamente con fatica massacrante. Fazzoletti di terra i
cui guardiani, i vignerons, hanno il compito benemerito di
salvaguardare, di presidiare il territorio e il paesaggio, unici rimasti, in quanto anche i pastori ora non lo fanno più.
E sì, guardiani di una viticultura di montagna “eroica”
(“poeti della terra”, così li definiva Veronelli) in zone dove gli irti pendii potrebbero essere sopportati solo dai muli. Proprio per questo da proteggere come fossero “specie” in via di estinzione. Qui la natura è complicata, difficile, spesso da domare. Non si possono usare le tecnologie moderne che porterebbero un po’di aiuto. Naturalmente i vignaioli sono molto motivati e attaccatissimi al
loro vino. Diceva Giorgio Bocca in “Partigiani della montagna”: “Per sette giorni di seguito, non abbiamo fatto che
sparare e bere. I valligiani piuttosto di lasciare il loro vino ai tedeschi preferivano finirlo”.
In condizioni così particolari non possono che nascere
vini di produzione limitata, ma di grande qualità, selvaggi, imperfetti, originali, proprio perché frutto di un terroir
particolare e delle mani di uomini speciali, custodi delle migliori tradizioni. A poco a poco, comunque, stanno
acquisendo sempre maggiore notorietà e miglioreranno
ancora.
Poco più di 700 sono gli ettari vitati (prima della crisi del
1800 erano circa 4 mila su 41 comuni) nella valle centraA fronte e in questa pagina
Vigneti nei dintorni di Aymavilles, in estate e in autunno.
le dove scorre la Dora Baltea. Sono le pendici di sinistra
quelle da tenere in considerazione, perché più soleggiate,
tra i 300 metri circa di altitudine di Pont Saint Martin e i
circa 1000 di Morgex, alla base dei ghiacciai del Bianco.
Date le altezze nei punti più elevati non è arrivata la fillossera, insetto che attacca le piante di vite, e si può perciò
produrre senza ricorrere all’innesto dei vitigni europei su
portinnesti americani, più resistenti al fitofago.
Già prima degli antichi romani, che conquistarono la Valle nel 1° secolo avanti Cristo e promossero una florida attività vinicola, c’erano i Salassi, popolo gallo-ligure, a coltivare la vite. Si narra che Ponzio Pilato fosse un amante
del Vien de Nus, noto rosso valdostano. Cesare e Plinio parlano della grande importanza della vite in valle. A lungo,
però, durante le invasioni barbariche, le vigne furono trascurate, abbandonate, a causa di carestie e di guerre.
Durante i regni di Borgogna e dei Franchi (dal 6° al 10°
secolo) e sotto i Savoia furono introdotti i vitigni tradizionali quali il Pinot Gris o Malvoisie, il Moscato Bianco o Mu-
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scat de Chambave, la Freisa, il Nebbiolo Picotendro e il
Neretto o Neyret.
Nel 1700 furono piantati i vitigni piemontesi Monferrin e
Monferrà. Alla fine del 1800 con l’arrivo delle malattie (oidio, peronospora, fillossera) che nelle zone più
basse attaccarono le viti, sono state importate varietà piemontesi e francesi (Barbera, Dolcetto, Grignolino, Bonarda, Pinot Nero, Gamay, Syrah, Cabernet, Sauvignon).
Grande merito va ai monaci benedettini che nei momenti
più bui del Medioevo permisero la sopravvivenza della vite in valle e nel dopoguerra anche ai loro confratelli svizzeri del Gran San Bernardo.
Nel secolo scorso l’Abate Alexandre Bougeat, morto nel 1972,
“riscoprì” il Valle d’Aosta Blanc de Morgex et de La Salle, che
si trova appunto solo a Morgex e a La Salle. La Malvoisie de
Nus, che proviene dal Vien de Nus, invece, è stata prodotta a lungo solo da un Prelato, Augusto Pramotton.
Purtroppo, molte varietà che erano state introdotte dagli
antichi romani sono andate perdute nel tempo e sono rimaste solo quelle più robuste e di qualità superiore nelle
zone ovviamente più vocate.
In Valle d’Aosta c’è un’unica DOC, prima DOC italiana dal
1985, avente ben sette sottozone. Non ci sono vini IGT,
cioè di Indicazione Geografica Tipica. La prima delle sottozone fu il Donnas, seguito dall’Enfer d’Arvier.
Sono molto apprezzati i vitigni autoctoni che caratterizzano la produzione regionale e che solo qui vengono coltivati: Prié Blanc, Petit Rouge, Fumin, Cornalin, Mayolet, Vuillermin, Premetta.
Tre possono essere ritenute le zone vinicole: l’Alta Valle (Valdigne) dove si coltiva fino a 1200 metri il famosissimo Prié
Blanc, la Valle Centrale con la Premetta (o Prié Rouge), il
Petit Rouge, il Fumin, il Gamay, il Torrette, il Muscat de
Chambave e il Vien de Nus; la Bassa Valle a 300 metri di
altitudine con i vitigni a bacca rossa, soprattutto il Nebbiolo, detto Picoutener.
Dal Prié Blanc si ricava il rarissimo bianco secco Valle d’Ao-
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sta Blanc de Morgex et de La Salle prodotto su piede franco, possiede, cioè,
ancora radici europee non essendo innestato su portinnesto americano, data l’altitudine dei vigneti che non hanno permesso alla malattia della fillossera di attecchire. La zona è la Valdigne ai piedi del Bianco e le altezze sono proibitive. Il terreno è molto particolare con residui morenici. È autoctono ed è l’unico bianco locale, selezionato nel tempo perché si adatta al
clima del posto. È allevato su pergole basse in modo da evitare i danni che
il gelido vento può provocare e da sfruttare la notte il calore accumulato nel
giorno. Siccome la temperatura non arriva a livelli alti è ricco di freschezza e i frutti sprigionano
aromi e profumi davvero unici e delicati (si sentono le erbe di montagna, il fieno). Si caratterizza per germogliare
tardi e maturare precocemente.
Dal Prié Blanc si fanno anche lo Spumante, ottenuto con
la rifermentazione naturale in bottiglia, il Passito e la Grappa. È nell’alta valle che la vendemmia può durare anche
un mese, un mese e mezzo. Tutto dipende naturalmente
dal clima. Negli ultimi anni, essendo aumentate le temperature dappertutto, si sono verificati dei cambiamenti nei
tempi di maturazione.
Con il freddo, i grappoli si ghiacciano e si possono così ricavare gli eiswein, letteralmente “vini ghiacciati”. Sono vini da meditazione che possono essere prodotti solo in determinate zone del mondo: Canada, Austria, Germania, Sudtirolo e anche ai piedi del Monte Bianco, in Valle D’Aosta.
Stando a contatto a lungo con il gelo il volume e il peso diminuiscono notevolmente e perciò avviene una forte concentrazione degli aromi e degli zuccheri. L’acqua contenuta negli acini cristallizza e rimane nella buccia quando si
pigia. Il succo che ne deriva, che è ridottissimo, viene lasciato fermentare alcuni mesi.
La Valle Centrale va da Saint Vincent ad Aosta e infine ad
Arvier. Vi si coltiva la Premetta (o Prié Rouge), color corallo dai tenui riflessi violacei e dai profumi di frutti di bosco e
fiori. È un vino utilizzato in purezza ed è fresco, leggero.
Il Petit Rouge, uno dei più coltivati, è la base dell’Enfer d’Arvier e del Torrette.
Il primo è prodotto sui terrazzamenti di Arvier sui quali d’estate fa molto caldo - da cui il nome “Enfer”, inferno - e
dove il suolo è pietroso e siliceo. Il nettare che ne deriva è
piuttosto corposo, rosso granato, ha profumo di rosa canina e di fiori, sapido con fondo leggermente amarognolo.
Il Torrette è anch’esso molto diffuso in zona, infatti la sua
area di produzione interessa ben undici comuni. E’ costituito per il 70% da Petit Rouge e per il restante 30% può
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VIII di Savoia, il “Conte Rosso”. Esiste poi anche rosso, a
base di Petit Rouge.
Vicino a Chambave si trova Nus, centro ricco di testimonianze romane, nel quale è presente un altro vitigno autoctono dal quale si producono il bianco Vien de Nus e il
Nus Malvoisie, anche Passito.
Il noto “antico” Vien de Nus è rosso granato, al naso ha
una vinosità forte, al palato è leggero e morbido.
essere abbinato a: Pinot Nero, Gamay, Vien de Nus, Dolcetto, Mayolet oppure Premetta. Rubino violetto con riflessi granato, al naso sa di frutti rossi e spezie.
Anche il rosso secco Fumin è autoctono, ha un colore rosso rubino scuro con riflessi viola, profumo ampio di spezie dolci e leggermente erbaceo; corposo, è al palato asciutto e austero. Un altro rosso secco è il
Gamay, color rubino scuro dai riflessi violacei, sapido, un po’ rustico, con
netto gusto di lampone.
Come già ricordato, i monaci hanno
avuto un peso notevole nel mantenere viva la viticoltura valdostana, anche
nel caso del Muscat de Chambave. Nel
1600 si parla di questo bianco rarissimo bevuto dai confratelli aostani del
Priorato di Sant’Orso nelle grandi occasioni. La base è moscato bianco coltivato nei paesi di Chambave - da cui
prende il nome -, Chatillon, Saint Vincent e Saint Denis. Lo si trova come
Moscato, un tempo chiamato Moscatello, con le uve raccolte e subito pressate e fatte fermentare e anche nella
forma di Passito, con le uve lasciate appassire in luoghi ventilati. È ritenuto uno
dei moscati più famosi ed amati d’Italia. In un documento del 1400 si narra che una partita di Chambave sia stata inviata da alcuni nobili valdostani a
Bona di Borbone, madre di Amedeo
Il territorio e la sua storia
Nella Bassa Valle troviamo il paesino di Donnas, conosciuto come “città del vino” per il suo omonimo nettare. Fin
dal 1214, secondo un documento dell’epoca, la fa da padrone il Nebbiolo, che si trova sia nel Donnas che nell’Arnad-Montjovet. Nel primo caso è definito “il Barolo di montagna”, è monovitigno ed è caratterizzato dal colore granato dai riflessi rubino o arancio e dal profumo di fiori di montagna ed è sapido e tannico.
L’Arnad-Montjovet, uvaggio di Nebbiolo, Vien de Nus e Pinot Nero, è rosso granato chiaro con note mandorlate. È
anch’esso collegato ai monaci benedettini che fondarono
nell’anno 1000 la prima chiesa rurale attorno alla quale coltivarono le viti.
Infine, da non dimenticare, è il Cornalin, rosso violaceo tendente col tempo al granato, dal profumo fine ma intenso
di spezie ed essenze aromatiche, tannico e persistente.
A fronte Vendemmia ad Introd (1954).
Il mondo della vite in Val d’Aosta attraverso vecchie immagini
d’archivio.
La pigiatura delle botti (1962) e il trasporto con un mulo (1960 circa).
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