La distinzione fra autonomia e subordinazione nel settore dell`edilizia

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La distinzione fra autonomia e subordinazione nel settore dell`edilizia
U NIVERSITÀ U NITELMA S APIENZA
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IN
DI
G IURISPRUDENZA
S CIENZA
DELL ’A MMINISTRAZIONE
Tesi di Laurea in
DIRITTO DEL LAVORO
La distinzione fra autonomia e
subordinazione nel settore dell’edilizia
R ELATORE :
Ch.mo Prof. VALERIO MAIO
CANDIDATO:
Antonella Agresti
Anno Accademico 2013/2014
INDICE
Premessa ....................................................................................................... 5
CAPITOLO PRIMO
DICOTOMIA TRA AUTONOMIA E SUBORDINAZIONE
1. Cenni storici: evoluzione delle due fattispecie ...................................... 8
1.1 Locatio Operis e Locatio Operarum nel diritto romano .......................... 8
1.2 L’evoluzione del lavoro nel periodo medievale .................................... 11
1.3 Dalla rivoluzione francese alla rivoluzione industriale ......................... 13
1.4 Antitesi tra Capitale e Lavoro ............................................................... 16
1.5 Dal codice civile agli sviluppi più recenti ............................................. 20
2. Il lavoro subordinato ............................................................................. 28
2.1 Fonti normative del rapporto di lavoro subordinato.............................. 28
2.2 Elementi di qualificazione del contratto ................................................ 32
2.3 Gli elementi essenziali del contratto di lavoro ...................................... 34
2.4 I caratteri del lavoro subordinato........................................................... 37
2.5 Dottrina e giurisprudenza: evoluzione del concetto di subordinazione 39
2.6 Gli indici della subordinazione nell’elaborazione giurisprudenziale .... 47
2.7 Crisi del concetto di subordinazione. Emersione del lavoro autonomo
coordinato e continuativo ed il difficile inquadramento sistematico del
lavoro a progetto. ......................................................................................... 56
2.8 Subordinazione attenuata: dal ‘68 al concetto di subordinazione
attenuata post-industriale ............................................................................. 58
2.9 La riforma del mercato del lavoro ......................................................... 61
1
2.10 Il Jobs Act ............................................................................................ 65
3. Il lavoro autonomo ................................................................................ 74
3.1 Le fonti normative ................................................................................. 74
3.2 Elementi di qualificazione del lavoro autonomo................................... 79
3.3 Lavoro autonomo: le tutele.................................................................... 84
CAPITOLO SECONDO
SALUTE E SICUREZZA SUL LAVORO
1. Sicurezza sul lavoro e giustizia sociale ................................................ 87
1.1 Le origini del sistema prevenzionistico ................................................. 87
1.2 La sicurezza sul lavoro nel codice penale, nel codice civile e nella
Costituzione. ................................................................................................ 92
1.3 Gli anni del Boom economico: nascita della prima normativa
prevenzionistica specifica e i soggetti tutelati ............................................. 97
2. La normativa europea. Cosa cambia nel sistema della prevenzione in
materia di salute e sicurezza sul lavoro ................................................. 100
2.1 Attuazione nell’ordinamento giuridico italiano del quadro comunitario.
................................................................................................................... 100
2.2 Dal D.lgs. n.626/1994 al D.lgs.81/2008 e s.m.i. ................................. 103
2.3 Il campo d’applicazione del D.lgs.81/2008 e s.m.i. ............................ 105
2.4 Concetto di “lavoratore” secondo il D.lgs.81/2008 e s.m.i. e tutela
prevenzionistica ......................................................................................... 111
2.5 Gli obblighi dei lavoratori ................................................................... 119
2.6 I lavoratori autonomi e i componenti dell’impresa familiare: le nuove
disposizioni del D.lgs.81/2008 e s.m.i....................................................... 122
2
2.7 I soggetti della prevenzione in azienda: ruoli e competenze. Titolo I del
D.lgs.81/2008 e s.m.i. ................................................................................ 125
2.8 Obblighi connessi ai contratti d’appalto o d’opera o di somministrazione
................................................................................................................... 133
2.9 Sistema sanzionatorio del d.lgs.81/2008 e s.m.i. ................................ 136
3. Il Titolo IV del D.lgs.81/2008 e s.m.i.: l’organizzazione della
sicurezza nei cantieri edili ....................................................................... 138
3.1 Campo di applicazione. ....................................................................... 138
3.2 Definizioni, soggetti responsabili ........................................................ 141
3.3 Il committente o responsabile dei lavori ............................................. 143
3.4 L’ idoneità tecnico professionale ........................................................ 151
3.5 Il coordinatore per la sicurezza in fase di progettazione ed esecuzione. Il
PSC e fascicolo dell’opera ........................................................................ 155
3.6 L’impresa affidataria e l’impresa esecutrice. Il POS .......................... 161
3.7 Documenti di sicurezza del cantiere e nuove disposizioni. ................. 168
3.8 Il lavoratore autonomo nei cantieri temporanei o mobili. ................... 168
CAPITOLO TERZO
AUTONOMIA O SUBORDINAZIONE IN EDILIZIA: UN
PROBLEMA DI SICUREZZA
1. Lavoratori autonomi e attività di cantiere ........................................ 172
1.1 La genuinità della prestazione di carattere autonomo in edilizia ........ 172
1.2 Elementi sintomatici della non genuinità della prestazione di carattere
autonomo in edilizia .................................................................................. 175
1.3 Formule associative di dubbia legittimità ........................................... 181
3
2. Lavoratore autonomo o subordinato? Ricadute dal punto di vista
della sicurezza .......................................................................................... 185
3. Casi concreti. Giurisprudenza............................................................ 187
4. Riflessioni conclusive ........................................................................... 194
BIBLIOGRAFIA ..................................................................................... 198
4
Premessa
La distinzione tra autonomia e subordinazione, e la conseguente corretta
qualificazione del rapporto di lavoro è questione centrale del diritto del lavoro.
Questa tesi vuole inquadrare il tema, collegandolo ad un particolare settore,
quello dell’edilizia, alla luce delle importanti trasformazioni che hanno
interessato tale comparto negli ultimi anni, a seguito della profonda crisi
economica internazionale che ha colpito anche il nostro Paese; ciò allo scopo di
evidenziare nello specifico, le ripercussioni dirette che la qualificazione del
rapporto di lavoro ha per quanto riguarda la tutela della salute e della sicurezza.
Essere inquadrati come lavoratore autonomo o come lavoratore
subordinato, non è argomento di poco conto, considerato che storicamente, al
lavoratore subordinato, visto quale parte debole del contratto, il legislatore ha
riconosciuto ex lege tutele e salvaguardie, lasciando al contrario totalmente fuori
dal sistema delle protezioni il lavoratore autonomo.
Il confine tra le due categorie, è diventato ancora più sfumato, con la
profonda variazione dei sistemi di produzione, che ha orientato gradualmente il
mercato del lavoro, verso una maggiore flessibilità, portando alla nascita di una
nuova fattispecie che si pone a metà strada tra la subordinazione e l’autonomia:
la cd. parasubordinazione. Le politiche dell’occupazione si sono così orientate
nella progressiva liberalizzazione delle forme contrattuali, diverse da quella
ritenuta “tipica” del contratto di lavoro subordinato a tempo pieno e
indeterminato.
In questo contesto, nell’ambito del quale, dottrina e giurisprudenza hanno
lungamente dibattuto nel tentativo di definire i limiti entro il quale collocare le
tipologie in parola, si è andato gradualmente a delineare un problema: la
diffusione di rapporti di lavoro formalmente autonomi ma sostanzialmente
subordinati, che hanno indotto il legislatore con la legge n.92/2012 (cd. Legge
Fornero), ad avviare una vera e propria battaglia contro l’uso distorto delle partite
5
Iva in funzione elusiva o fraudolenta della legislazione posta a tutela del lavoro
subordinato.
Tale modalità ha coinvolto in maniera sempre più rilevante anche il settore
dell’edilizia, che ha visto negli ultimi anni aumentare esponenzialmente il
numero degli autonomi operanti e contestualmente diminuire quello dei
lavoratori subordinati.
Gli organi di vigilanza pertanto, con la circolare n.16/2012 del Ministero
del Lavoro e delle Politiche Sociali, sono stati chiamati direttamente sul campo a
verificare l’utilizzo improprio di quelle figure presunte autonome, che in realtà,
nell’ambito del cantiere, svolgono la medesima attività del personale dipendente
delle imprese stesse.
Questa sorta di nuova frontiera del lavoro irregolare ha avuto importanti e
dirette ripercussioni non soltanto sul corretto inquadramento lavoristico della
prestazione, ma anche sulla tutela dell’integrità fisica dei lavoratori interessati,
che come vedremo, non tutelati dal regime delle garanzie, risultano di fatto più
esposti al rischio di infortunio sul lavoro.
La tesi prenderà in esame nel primo capitolo l’evoluzione del concetto di
autonomia e subordinazione nel diritto del lavoro, nonché delle teorie elaborate
dalla dottrina e degli indici messi in campo dalla giurisprudenza per arrivare nei
casi concreti alla definizione delle fattispecie.
Successivamente nel secondo capitolo verrà considerata la normativa in
materia di salute e sicurezza sul lavoro, di cui al d.lgs.81/2008 e s.m.i., con
particolare attenzione al Titolo IV che disciplina i “cantieri temporanei o mobili”.
Nel terzo capitolo quindi, verranno affrontate nello specifico le
problematiche connesse all’affidamento di lavori in appalto o subappalto a coloro
che il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, definisce nella citata
circolare pseudo autonomi.
Lo scopo di tale analisi è quella di offrire uno spunto di riflessione sulla
questione, ovvero se ha ancora senso parlare di contrapposizione tra
6
subordinazione ed autonomia o se, al contrario non sia più opportuno pensare ad
una effettiva estensione delle tutele, che vada oltre alla protezione del solo lavoro
dipendente, interessando anche quei soggetti autonomi che operano in settori ad
alto rischio infortunistico, per i quali la salvaguardia dell’integrità fisica non può
essere considerata più una mera facoltà, ma un bene individuale e comune da
tutelare, esattamente alla pari di qualsiasi altro lavoratore dipendente, o ad esso
equiparato.
7
CAPITOLO PRIMO
DICOTOMIA TRA AUTONOMIA E SUBORDINAZIONE
1. Cenni storici: evoluzione delle due fattispecie
1.1 Locatio Operis e Locatio Operarum nel diritto romano
Il lavoro è ogni attività o funzione diretta al progresso materiale e spirituale
della società (art. 4 Cost.) 1.
La distinzione tra rapporto di lavoro subordinato e rapporto di lavoro
autonomo, affonda le sue radici già nel diritto romano, sebbene, lo stesso, non
contemplasse la disciplina del diritto del lavoro.
Nell’antica Roma, la struttura giuridica e sociale dei rapporti di lavoro è
stata intrinsecamente influenzata da tre elementi fondamentali: la prevalenza
quasi esclusiva del lavoro servile alle dipendenze altrui, l’autosufficienza di
ciascun gruppo familiare e l’indirizzo nettamente agricolo dell’economia più
antica.
La prima forma di lavoro venuta in considerazione nell’ordinamento
giuridico romano è stata quello dello schiavo (le fonti antiche parlano di servum
locare), dove era in gioco la persona stessa del lavoratore, e non solo il lavoro 2.
Come nella gran parte del mondo classico, era la mano d’opera servile che
veniva maggiormente utilizzata; il lavoro era infatti considerato alla stregua delle
cose più vili, concettualmente lontano dai successivi principi morali, cristiani e di
giustizia sociale dell’epoca moderna.
1
Cfr. DEL GIUDICE F., MARIANI F., IZZO F., Diritto del Lavoro, Napoli, Simone,
2005, pag. 5
2
Cfr. DE ROBERTIS F. M., I rapporti di lavoro nel diritto romano, Milano, Giuffrè,
1946, pp. 9-18
8
Nell’età antica, una disciplina del diritto del lavoro era del tutto assente; ciò
si spiega in ragione della condizione giuridica dei lavoratori (rappresentati dai
componenti della famiglia e dagli schiavi), ai quali non era comunque
riconosciuta alcuna soggettività giuridica e nessun diritto; pertanto nessuna
disciplina consequenziale poteva essere loro attribuita 3.
Il lavoro agricolo dell’epoca, si basava esclusivamente sull’utilizzo di
schiavi e non solo per le mansioni più semplici, ma anche per le incombenze di
un certo livello; infatti persino gli incarichi di contabilità ed amministrazione non
erano mai affidate a “uomini liberi”. Non si hanno testimonianze certe, per
quanto riguarda il mondo romano (a differenza di quello greco), circa la
ripugnanza degli uomini liberi ad accettare un lavoro dipendente; in ogni caso i
datori di lavoro preferivano servirsi di schiavi o di liberti, per assicurarsi
maggiore disciplina ed efficienza ed ottenere complessivamente maggiori
profitti.
Indubbiamente, l’abbondanza di mano d’opera servile, toglieva posti di
lavoro ed occasioni di guadagno alla mano d’opera libera; infatti anche il settore
dell’artigianato in genere (sarti, calzolai, falegnami, fabbri, ecc.), si trovava ad
avere una clientela molto più limitata delle reali potenzialità del mercato, poiché
doveva competere con aziende familiari che provvedevano con gli schiavi a tutte
le loro esigenze 4.
Il lavoro libero (definito inizialmente come locare se), poteva essere
esercitato andando a lavorare presso chi lo richiedeva, oppure provvedendo a
preparare quanto commissionato e lavorando nella propria officina (con propri
mezzi
ed
attrezzature).
Queste
due
forme
fondamentali
di
impiego
corrispondevano a due figure giuridiche tradizionali: la locatio-conductio
operarum dove appunto il lavoratore era pagato per il tempo impiegato (per
3
Cfr. DEL GIUDICE F., MARIANI F., IZZO F., op. cit., pag. 6
4
Cfr. LEVI M. A., Roma Antica, in Società e costume, Torino, Torinese, 1975, vol. II,
pp. 307-308
9
tempo ora), e la locatio-conductio operis nella quale il lavoratore era invece
pagato per il prodotto fornito.
Nel rapporto di lavoro recensito presso l’antica Roma, era possibile
distinguere tre ipotesi fondamentali: locatio operarum, locatio operis e emptio
venditio di prodotto lavorato su commissione. Esse, in linea generale
corrispondevano rispettivamente: al rapporto di lavoro proprio dei giornalieri e
dei braccianti; a quello dell’operaio specializzato che plasmava la materia
fornitagli dal committente; all’artigiano che lavorava materiale proprio
(imprenditore).
Caratteristico del diritto classico era che, mentre la prima forma (locatio
operarum), dava luogo ad un’obbligazione di dare, le altre due (locatio operis e
emptio venditio), definivano obbligo di facere.
Mediante la loctio conductio delle operae veniva realizzata una
convenzione mercé con la quale alcuni (locator operarum, operarius, opera,
mercenarius), mettevano a disposizione di altri (conductor operarum, dominus),
le proprie energie di lavoro, ricevendone in compenso una mercede. La
prestazione lavorativa aveva luogo a giornate e la giornata era indivisibile.
Il contratto di locazione di operae, nella sua forma più antica nasce come
contratto di messa a disposizione della persona dello schiavo da parte del
padrone e poi della propria persona da parte dell’uomo libero.
Sotto la denominazione di locatio operis, venivano ricomprese le varietà di
situazioni nelle quali il lavoratore (conductor), dietro corrispettivo, aveva
promesso ad altri (locator), di dirigere la propria attività, al raggiungimento di un
certo risultato di lavoro. Con questa modalità di contratto di lavoro si considerava
il risultato dell’applicazione lavorativa, ovvero il lavoro compiuto, l’opus, e non
le operae. Il lavoratore con tale profilo non si presentava più come locator, ma
come conductor 5.
5
DE ROBERTIS F. M., op. cit., pp. 124-134
10
Si delinea pertanto sin dall’epoca dell’antica Roma, quella differenziazione
che diventerà fondante nel nascente diritto del lavoro del XIX sec., tra lavoro
subordinato (locatio operarum) e lavoro autonomo (locatio operis); differenza
tra un’obbligazione a favore di un’altra persona che si perpetua nel tempo, con la
cessione delle proprie opere e delle proprie energie a favore di un’altra persona e
la prestazione di un’opera, che al contrario non si sviluppa nel tempo ed è
limitata ad un bene e ad un determinato prodotto (es. il lavoro dell’artigiano, le
professioni liberali), di colui che si impegna ad offrire alla controparte un
prodotto finito 6.
1.2 L’evoluzione del lavoro nel periodo medievale
Nel periodo medioevale, le notevoli trasformazioni delle realtà urbane,
determinarono il naturale evolversi del concetto di lavoro. Tale evoluzione si
ebbe con la regolamentazione dei rapporti di servizio dei lavoratori nelle
botteghe degli artigiani e nelle corporazioni dei mercanti; ma in questa realtà, il
profilo di maggiore rilievo, era dato dalla gestione ed esercizio del potere
padronale 7.
Il diritto medioevale poneva infatti l’accento sugli “status giuridici” delle
persone, e tale insuperabile limite si riversò in modo netto sulla figura dei
lavoratori che, subordinati o autonomi, venivano collocati all’interno di una data
corporazione sin dalla loro nascita. Le corporazioni medioevali (ovvero le
organizzazioni dei mestieri), rappresentarono la nuova modalità con cui
cominciava ad organizzarsi il lavoro; esse erano costituite da insiemi di persone
accomunate dallo svolgere la stessa “arte o mestiere”, strutturate all’interno di un
ordine estremamente gerarchico (in cui il lavoro si tramandava di padre in figlio),
tanto da non permettere, ad alcuno, di passare da un mestiere ad un altro 8.
6
Cfr. UNITELMA, Video lezione di Diritto del Lavoro, lezione 1
7
Cfr. DEL GIUDICE F., MARIANI F., IZZO F., op. cit., pag. 6
8
Cfr. UNITELMA, Video lezione di Diritto del Lavoro, lezione 1
11
Nei secoli centrali del Medioevo, la compagine sociale numericamente più
numerosa era costituita dai lavoratori del settore artigianale; tale corporazione,
più consistente nelle realtà urbane, andava a rivestire un ruolo di fondamentale
importanza economica. Con la sola esclusione dei mestieri svolti in cantiere,
l’organizzazione del lavoro in tale epoca ruotava intorno alla “bottega”, con la
contemporanea esistenza di varie e differenti figure professionali, la cui natura si
ripercuoteva sia sulle strutture lavorative, sia sulle complesse relazioni di
dipendenza che ne scaturivano 9.
I mestieri vennero regolamentati, mediante l’elaborazione di norme che
presto furono poste per iscritto, assumendo il ruolo di “statuti corporativi” che
regolavano
peraltro,
il
periodo
dell’apprendistato,
necessario
per
il
conseguimento del livello e dello status giuridico di “maestro d’arte”.
Il diventare “maestro d’arte”, non era comunque l’equivalente di “maestro
di bottega”; infatti, conseguire il titolo di maestro e la contestuale ammissione
nella corporazione aveva due prospettive: continuare a lavorare nella bottega
quale maestro associato o “dipendente” dal maestro di bottega (non assumendosi
comunque il rischio d’impresa), oppure rendersi del tutto indipendente
impiantando una propria attività 10.
In questo particolare contesto sociale divenne fondamentale la figura del
mercante che, quale unico fornitore delle materie prime (necessarie alle varie
attività artigianali), diventò, sempre con maggiore consistenza, il fulcro del
sistema produttivo. Di pari passo con l’evoluzione della figura del mercante, si
affermò la contestuale necessità di poter disporre di regole vincolanti per tutto il
commercio e si sviluppò pertanto, nel corso del Medioevo, il fenomeno della
“creazione del diritto ad opera dei mercatores”; tale processo nato dallo
stratificarsi degli usi e delle consuetudini del commercio venne gradualmente
9
Cfr. BEZZINA D., Organizzazione corporativa e artigiani nell’Italia Medioevale, in
Reti medioevali, http://rm.univr.it/, 2013
10
Cfr. BELLOMO M., Società e diritto nell’Italia Medioevale e Moderna, Roma, Il
Cigno Galileo Galilei, 2002, pp. 160-161
12
istituzionalizzato, con l’affermarsi delle corporazioni, nei vari statuti. Tale diritto
si attestò (come diritto speciale), quale alternativa allo “ius comune” e persino al
diritto canonico, sia perché applicabile ai rapporti commerciali, sia perché creato
dal ceto dei mercanti. Inoltre, come diritto universale, era destinato a regolare i
rapporti tra i mercanti indipendentemente dalla loro nazionalità, dai luoghi dello
scambio e dalle regole che in essi erano vigenti, caratterizzato quindi per
l’onnicomprensività del suo ambito di efficacia.
Non furono soltanto le regole di diritto sostanziale a comporre lo ius
mercatorum; particolari furono anche le regole sull’accertamento tanto del suo
rispetto quanto delle sue violazioni, affidato a tribunali speciali (composti da
mercanti), con regole procedurali semplici e veloci 11.
1.3 Dalla rivoluzione francese alla rivoluzione industriale
In Francia, i numerosi eventi sociali e politici accaduti tra il 1789 e il 1799
sfociati nella “rivoluzione francese”, condussero, progressivamente al tramonto
dell’ancien régime.
Gli equilibri precipitarono rovinosamente ed i tumulti parigini del luglio
1789 segnarono in Francia l’inizio della grande rivoluzione. 12
Il 26 agosto 1789 l’Assemblea Nazionale, emanò la Dichiarazione dei diritti
dell’uomo e del cittadino; tale importante documento fissava i diritti di libertà
politica, religiosa, di pensiero di proprietà e la parità delle garanzie giuridiche per
tutti cittadini.
I tre innovativi principi coniati nella Francia rivoluzionaria liberté, egalité e
fraternité, stravolsero il sistema sociale, collocando al centro, per la prima volta
il concetto di persona. Principalmente l’uguaglianza di tutti di fronte alla legge
pose le basi per i problemi futuri del mondo del lavoro.
11
Cfr. TRECCANI, in http://www.treccani.it/enciclopedia/lex mercatoria_(XXI-Secolo)
12
Cfr. BELLOMO M., op. cit., pag. 360
13
Infatti, il passaggio dalla borghesia al capitalismo, attraverso lo sviluppo del
mercato, reso anche possibile grazie alla diffusione dei nuovi valori, gettò le basi
per la rivoluzione industriale.
È interessante constatare come con la rivoluzione francese, da una parte si
legittimò l’uguaglianza di tutti gli individui e dall’altra si continuò tuttavia ad
accettare la condizione di subordinazione del lavoratore rispetto al datore di
lavoro, in quello che era l’unico rapporto nel quale si ammetteva la posizione
dominante di una persona, rispetto ad un’altra.
È da rilevare che in Francia nel periodo post-rivoluzionario, vennero abolite
le corporazioni di arti e mestieri e vietata qualsiasi forma di associazione
professionale, affermando il principio che ciascun cittadino doveva essere libero
di esercitare l’attività preferita al di fuori di un qualsiasi vincolo esterno.
Tuttavia, la legge Le Chapelier (emanata nel 1791 e successivamente
revocata nel 1813), sebbene consentisse il contratto di lavoro e l’uguaglianza
delle persone, vietò per contro ai lavoratori, di organizzarsi e di effettuare
quell’attività sindacale, strumentale al riequilibrio della disparità contrattuale, ai
fini di liberalizzare meglio il mercato 13.
Nel frattempo, In Inghilterra, iniziarono a vedersi i graduali mutamenti
prodotti dalla rivoluzione industriale. Il primo grande cambiamento, fu la
diminuzione della mortalità infantile, che determinò un aumento della
popolazione giovane e una diversa distribuzione sul territorio della stessa, grazie
anche all’effetto delle trasformazioni sociali ed economiche.
I primi cambiamenti riguardarono soprattutto l’organizzazione del lavoro.
L’appoderamento delle terre comuni attorno agli antichi villaggi inglesi,
oltre a rendere possibile un miglior sfruttamento del suolo, contribuì a
trasformare gradualmente i coltivatori diretti in affittuari o braccianti, legati ad
13
Cfr. UNITELMA, Video lezione di Diritto del Lavoro, lezione 1
14
un tenore di vita obbligato, poco superiore al minimo necessario per
sopravvivere 14.
L’alternativa a questo stato era il lavoro industriale, soprattutto quello
tessile, che da molto tempo era organizzato nelle campagne a domicilio dei
contadini, anche se l’antica organizzazione familiare, era troppo statica e
improduttiva per far fronte alla domanda di un mercato in continua espansione.
Le condizioni di lavoro, vennero radicalmente cambiate da una serie di
invenzioni tecniche, nate con l’esigenza di migliorare la produttività e di ridurre i
costi, aumentando contemporaneamente le quantità prodotte.
Nel 1764 venne inventata un nuovo tipo di macchina filatrice (Jenny), che
consentiva ad un solo operaio di manipolare i fili. Nel 1748 venne inventata la
prima tessitrice meccanica; subito dopo, fra il 1785 e il 1790, si trovò modo di
sostituire l’energia idraulica con la macchina a vapore di Watt, brevettata nel
1769.
L’industria
tessile
abbandonò
pertanto
l’antica
organizzazione
frammentaria tendendo a concentrarsi in grandi officine dove ci fosse
l’indispensabile forza motrice; quindi vicino ai corsi d’acqua e alle miniere di
carbone, necessarie ad alimentare la macchina a vapore.
L’invenzione dei Darby per sostituire il carbon coke a quello vegetale, nella
lavorazione dei minerali ferrosi, contribuì ad alimentare la nascente industria
meccanica, e anche le fonderie, come gli altiforni, si spostarono dalle regioni
boscose a quelle minerarie, favorendo la nascita di grandi impianti a ciclo
completo.
Così, dal 1760 al 1790, si compirono i progressi che resero possibile un
aumento esponenziale della produzione; lo sviluppo dell’industria e la loro
concentrazione nei grandi opifici attirarono molte famiglie dei distretti agricoli
14
Cfr. BENEVOLO L., Le origini dell’urbanistica moderna, Bari, Laterza, 1994, pp. 13-
20
15
del sud a quelle minerarie del Nord e del centro; nacquero così improvvisamente
nuove città, e molte delle città antiche si accrebbero a dismisura 15.
È nell’800 che nacque il mercato del lavoro: le città divennero il teatro della
domanda e dell’offerta: nel quale l’abbondante proposta di manodopera si
tradusse in una diminuzione vertiginosa del prezzo della stessa, portando la
retribuzione ad assestarsi verso la paga minima vitale 16.
Il connubio fra industria e città fu subito ben saldo, qui gli imprenditori
potevano contare su una riserva di maestranze sempre abbondante e sostituibile,
mentre gli operai, sebbene sfruttati crudelmente dai propri “padroni”, trovavano
una maggiore varietà di scelte e la possibilità di riconoscersi come categoria,
organizzandosi a difesa dei comuni interessi 17.
Anche in Inghilterra, si tentò, con le leggi Combination Act del 1799, di
sedare i nascenti movimenti operai, recependo in un primo momento, le
disposizioni di La Chapelier, che vennero comunque successivamente abolite tra
il 1824 ed il 1825.
1.4 Antitesi tra Capitale e Lavoro
Il diritto del lavoro, si colloca nella contrapposizione insanabile tra il
significato dei due termini capitale e lavoro, ovvero tra chi dispone del capitale e
dei mezzi di produzione (il datore di lavoro), e chi ci mette la forza lavoro (il
lavoratore).
All’inizio del XIX secolo in Inghilterra nacque il “luddismo”, movimento
di protesta operaio che prese il nome da un operaio inglese (Ned Ludd), che per
primo, dopo l’ennesimo infortunio occorso ad un collega, si ribellò non contro il
datore di lavoro, ma contro le macchine (distruggendole), in quanto simbolo del
capitale e causa dei bassi stipendi e della disoccupazione.
15
Cfr. BENEVOLO L., Le origini dell’urbanistica moderna, Bari, Laterza, 1994, pp. 13-
16
Cfr. UNITELMA, Video lezione di Diritto del Lavoro, lezione 1
17
Cfr. BENEVOLO L., op. cit., pp. 13-20
20
16
Verso il secondo decennio del 1800, sempre in Inghilterra, nacquero e si
affermarono le “Trade Union”, ovvero le prime forme di associazionismo
sindacale dei lavoratori, che attraverso un sistema di solidarietà sopperirono all’
assenza di leggi finalizzate alla tutela e alla previdenza sociale di quel periodo.
Tale forma di aggregazione, fu occasione d’incontro tra gli operai e si
concretizzò con modalità spontanee di tutela, che misero a confronto i bisogni
comuni degli stessi, facendo nascere quel vincolo di classe che, da lì a poco,
sarebbe scaturito nelle prime forme di sciopero.
Le profonde trasformazioni che interessarono l’organizzazione del lavoro a
seguito della rivoluzione industriale, e i conseguenti contrasti sociali che ne
derivarono trovarono espressione nelle teorie elaborate da Karl Marx 18.
L’opera di Marx del 1848, denominata “il Manifesto del Partito
Comunista", concepì la storia come lotta di classe, ovvero come antitesi tra
capitale (identificato tra chi possiede i mezzi di produzione), e lavoro (la classe
operaia, obbligata a soggiacere al padrone per sopravvivere) 19.
Nel “Manifesto”, attraverso lo storicismo, Marx sosteneva che i padroni,
impedendo l’azione sindacale dei lavoratori e godendo di tutto il plusvalore,
avrebbero accumulato sempre più ricchezza, mentre all’opposto, gli operai, si
sarebbero impoveriti sempre più; tale situazione, avrebbe portato, secondo
Marx, ad aggravarsi progressivamente, fino a sfociare in una rivoluzione, alla
quale sarebbe poi succeduto un nuovo assetto sociale, ovvero la dittatura dei
proletari, che avrebbe trasformato progressivamente i mezzi di produzione, fino
a farli diventare esclusivamente pubblici.
Marx non si rese conto che proprio attraverso la lotta sindacale, e
l’associazionismo, si è invece ottenuto un miglioramento delle condizioni di
lavoro, impedendo la professata rivoluzione. Ciò, è stato anche reso possibile
18
Cfr. BELLOMO M., op. cit., pp. 374-375
19
Cfr. UNITELMA, Video lezione di Diritto del Lavoro, lezione 1
17
attraverso quel welfare state che, sebbene non ha impedito ai ricchi di accrescere
le loro ricchezze, ha migliorato notevolmente le condizioni di vita degli operai 20.
Scriveva Marx nel Manifesto del partito comunista: […] L'industria
moderna ha trasformato il piccolo laboratorio del maestro patriarcale nella
grande fabbrica del capitalista industriale. Le masse dei lavoratori compresse
nella fabbrica vengono organizzate militarmente. Come soldati semplici
dell'industria esse vengono sottoposte alla vigilanza di una gerarchia completa di
sottufficiali e ufficiali. I lavoratori non sono solo schiavi della classe borghese,
dello Stato borghese, ogni giorno e ogni ora essi sono asserviti dalla macchina,
dal sorvegliante e soprattutto dallo stesso singolo fabbricante borghese. […]
[…] I piccoli ceti medi, i piccoli industriali, commercianti e detentori di
rendita, gli artigiani e i contadini, tutte queste classi sprofondano nel proletariato
in parte perché il loro esiguo capitale non basta per mandare avanti una grande
industria e quindi soggiace alla concorrenza dei grandi capitalisti, in parte perché
il loro talento è svalutato da nuovi modi di produzione. Sicché il proletariato è
reclutato in tutte le classi della popolazione […] 21.
Nel 1867, con “il Capitale (Das Kapital)”, Marx elaborò la teoria del
plusvalore, intesa come la differenza tra il costo di produzione di un determinato
bene e il prezzo di vendita, cioè il guadagno del produttore, che Marx definisce
letteralmente “appropriazione indebita” del datore di lavoro. In tale opera
scriveva: […] pagando il valore giornaliero o settimanale della forza-lavoro del
filatore, il capitalista ha acquistato il diritto di usare questa forza lavoro per tutto
il giorno o per tutta la settimana. Perciò, egli lo farà lavorare, supponiamo, dodici
ore al giorno […]. Il capitalista dunque, anticipando tre scellini, otterrà un valore
di sei scellini, perché, anticipando un valore in cui sono cristallizzate sei ore di
lavoro, egli ottiene, invece, un valore in cui sono cristallizzate 12 ore di lavoro.
20
Cfr. UNITELMA, Video lezione di Diritto del Lavoro, lezione 1
21
Cfr. MARX K., ENGELS F., Il Manifesto del Partito Comunista, Torino, Einaudi,
1948, pag. 102
18
Si ripete questo processo quotidianamente, il capitalista anticipa ogni
giorno tre scellini e ne intasca sei, di cui una metà sarà nuovamente impiegata per
pagare nuovi salari, e l’altra metà formerà il plusvalore, per il quale il capitalista
non paga nessun equivalente. È su questa forma di scambio tra capitale e lavoro
che la produzione capitalistica è fondata […] 22.
Il Papa Leone XIII nel 1891, emanò l’enciclica Rerum Novarum, nella
quale operò un oggettivo tentativo di mediazione al conflitto tra capitale e
lavoro, contestando la visione marxiana e sostenendo che “doveva essere trovato
un punto d’equilibrio nel quale fare incontrare gli obblighi morali di lavoratori e
datori di lavoro cattolici”; in questo modo diede origine al principio di
“corrispondere al lavoratore, la giusta mercede”, col proposito di far nascere,
negli uni e negli altri, il riconoscimento reciproco ad una vita più dignitosa.
I fenomeni sociali sviluppatosi con l’industrializzazione, anche quando
avevano ormai assunto piena consistenza, restarono a lungo senza una adeguata
regolamentazione giuridica, in quanto dopo essere venute meno, per effetto della
codificazione, le discipline particolari vigenti ai tempi del diritto comune, l’unica
disciplina dei rapporti tra privati era quella dettata dalla legge dello Stato.
Tuttavia l’ideologia liberale dominante, impose al legislatore di non
intervenire a turbare quello che avrebbe dovuto essere il naturale equilibrio del
mercato e la dottrina giuridica di allora, rimase a lungo indifferente ai nuovi
problemi 23.
Nonostante l’assenza di adeguate leggi, attraverso l’esercizio dello
sciopero, l’azione sindacale si affermò, e vennero conclusi, sebbene con notevoli
contrasti, i primi significativi contratti collettivi.
Inoltre anche la configurazione del contratto individuale di lavoro, ancora
considerato dal legislatore e dalla dottrina come una specie della locazione, iniziò
22
Cfr. WHEEN Francis, Karl Marx. Una Vita, Milano, Isbn, 2010, pag. 269
23
Cfr. PERSIANI M., “et al”, Fondamenti di diritto del lavoro, Padova, Cedam, 2013,
pag. 3
19
a mostrare la sua inadeguatezza, in quanto non tenendo conto della nuova e
differente organizzazione del lavoro prestato in fabbrica rispetto a quella tipica
delle botteghe artigianali, non era in grado di realizzare una tutela dei valori del
lavoratore, che fosse adeguata alle nuove esigenze 24.
1.5 Dal codice civile agli sviluppi più recenti
Il rapporto di lavoro ha ricevuto regolamentazione giuridica solo a partire
dal secolo scorso, in concomitanza con l’emancipazione della classe dei
lavoratori e come risposta alla “questione sociale”, sorta con la rivoluzione
industriale. Il Codice civile del 1865 aveva continuato a considerare il contratto
di lavoro come locazione all’altrui servizio della propria opera e non aveva preso
in considerazione il fenomeno del lavoro degli operai nell’industria, come
fenomeno sociale rilevante.
In tale Codice, rivestivano particolare rilevanza gli artt. 1570, 1627 e 1628.
L'art. 1570 sanciva letteralmente: "la locazione delle opere è un contratto
per cui una delle parti si obbliga a fare per l'altra una cosa mediante la pattuita
mercede", caratteristica propria tanto del lavoro subordinato (locatio operarum),
che del lavoro autonomo (locatio operis) 25.
L'art. 1627 distingueva in particolare tre specie di locazioni d'opere e
d'industria, comprendendovi: "quella per cui le persone obbligano la propria
opera all'altrui servizio" (e in questa tipologia è possibile ricondurre il lavoro
subordinato), quella “de’ vetturini sì per terra come per acqua, che si incaricano
del trasporto delle persone o delle cose” e “quella degli imprenditori di opere ad
appalto o cottimo”, con connotati riferibili al lavoro autonomo. Più
evidentemente assimilabile al lavoro subordinato era l'art. 1628, che enunciava
infine il principio per cui l'obbligo di prestare la propria attività all'altrui servizio
deve essere temporaneo "o per una determinata impresa".
24
Cfr. PERSIANI M., “et al”, op. cit., pag. 4
25
Cfr. DEL GIUDICE F., MARIANI F., IZZO F., op. cit., pag. 9
20
Si delineò così, quale criterio per individuare il rapporto di lavoro
subordinato, l’antica contrapposizione romana fra locatio operarum, in cui il
soggetto si obbligava a prestare semplicemente la propria attività, e locatio
operis, in cui il vincolo si concretizzava nel garantire un dato risultato.
La prima forma di locazione disciplinava il lavoro subordinato, la seconda
disciplinava il lavoro autonomo.
Con l'affermarsi della fase di legislazione sociale (che costituì la prima fase
del diritto del lavoro), mutò il modo di considerare il modello di rapporto di
lavoro subordinato, passando dall'approccio di tipo formale del Codice civile del
1865 (che enfatizzava l'oggetto del contratto contrapponendo le energie
lavorative al risultato), ad un orientamento di tipo sostanziale (che si concentrava
sulla dipendenza del lavoratore dal datore di lavoro, e sull'inserimento del primo,
nella realtà di fabbrica) 26.
Con la codificazione del 1942, il legislatore, ha per la prima provveduto ad
una sistemazione organica della materia del lavoro, alla quale è stata dedicata una
disciplina ben distinta da quella concernente i
contratti
in genere,
ricomprendendola unitamente a quella dell’impresa e della società, nel libro V
(denominato “Del lavoro”) del Codice civile 27.
Venne in questo modo riconosciuto anche in termini generali e come tipo
autonomo il contratto di lavoro subordinato 28, prendendo così atto anche in Italia
dei mutamenti determinati dalla rivoluzione industriale.
Il libro V nell’art. 2060 sancisce che: “il lavoro è tutelato in tutte le sue
forme esecutive, intellettuali, tecniche e manuali”, ricomprendendo quindi, sia il
lavoro di chi organizza, sia quello prestato alle dipendenze di un altro soggetto.
26
Cfr. BIESUZ E., in Rivista www.lavoroprevidenza.com
27
Cfr. DEL GIUDICE F., MARIANI F., IZZO F., op. cit., pag. 10
28
Cfr. PERSIANI M., “et al”, op. cit., pp. 3-4
21
Le norme che regolamentano il lavoro subordinato (dall’art. 2094 all’art.
2134), sono state incluse nel libro V titolo II del Codice civile, denominato “del
lavoro nell’impresa” e non nel libro IV, “delle obbligazioni”.
La norma introdotta non definisce un contratto, ma una fattispecie tipica,
infatti l’art.2094 del Cod. civ. specifica “è prestatore di lavoro subordinato chi si
obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa prestando il proprio
lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione
dell’imprenditore” (cd. locatio operarum) 29.
Il diritto del lavoro, si è posto sin dalle origini a tutela del lavoratore
subordinato, a causa dello stato di debolezza ed inferiorità che ha da sempre
contraddistinto il prestatore di lavoro, costretto per motivi di sopravvivenza ad
alienare le proprie energie psico-fisiche ad un datore di lavoro che ne dispone
secondo il proprio interesse. Da ciò l’intervento del legislatore volto alla tutela
del contraente debole, il cui modello tipico era rappresentato dall’operaio della
grande industria tayloristica, fondata sull’organizzazione scientifica del lavoro e
la catena di montaggio.
Accornero scriveva: “Questo era il novecento: tutti ci alzavamo alla
medesima ora, tutti uniformati negli orari giornalieri, settimanali, annui e tutti
pensavamo che la vita lavorativa si svolgesse su tutto l’orario giornaliero per tutti
i giorni feriali della settimana in tutti i mesi lavorativi dell’anno, fino alla
pensione” 30.
Leggendo in sequenza gli articoli 2082 cc: “l’imprenditore è colui che
esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della
produzione e dello scambio di beni e di servizi”, 2086 cc “l’imprenditore è il
capo dell’impresa e da lui dipendono gerarchicamente i suoi collaboratori” e il
già menzionato l’articolo 2094 cc, si delinea che l’impresa disegnata dal Codice
civile, ha un carattere assolutamente gerarchico.
29
Cfr. DEL GIUDICE F., MARIANI F., IZZO F., op. cit., pag. 43
30
Cfr. ROMAGNOLI U., Giuristi del Lavoro. Percorsi italiani di politica del diritto,
Roma, Donzelli, 2009, pp. 122-123
22
Il lavoro autonomo, inserito nel libro V titolo III, denominato appunto, “Del
lavoro autonomo”, è invece disciplinato dall’art. 2222 del Codice civ., e
stabilisce la sussistenza di un “Contratto d’opera. – Quando una persona si
obbliga a compiere verso un corrispettivo un’opera o un servizio, con lavoro
prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del
committente [...].
Il connotato tipico che caratterizza quindi la categoria dei contratti di lavoro
autonomi è la finalizzazione al risultato dell’opera finita nonchè l’assenza del
vincolo di subordinazione, che attenuando la condizione di inferiorità rispetto
all’imprenditore, ha fatto sì che il legislatore non riconoscesse a tale fattispecie le
tutele previste per i lavoratori subordinati 31.
Ichino P., relativamente all’interpretazione unitaria degli artt. 2082, 2094 e
2222 del Cod. civ. che definiscono la contrapposizione delle due fattispecie
“lavoro autonomo” e “lavoro subordinato”, nel 1982 scriveva: “nel sistema del
libro V del Codice civile è evidentissimo il nesso logico che collega tra loro gli
artt. 2082, 2094, e 2222: tre definizioni in ciascuna delle quali compare un
elemento simmetricamente contrapposto ad un altro contenuto in una delle altre
due. È imprenditore chi organizza i fattori produttivi, in particolare il lavoro
altrui (art. 2082: “attività economica organizzata”), mentre è lavoratore
autonomo chi si obbliga a prestare “lavoro prevalentemente proprio” (art.
2222) 32.
È prestatore di lavoro autonomo chi si obbliga a prestare il proprio lavoro
“senza vincolo di subordinazione” (art. 2222), mentre è lavoratore subordinato
che si obbliga a prestarlo “alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore”
(art. 2094). È imprenditore chi “organizza lavoro altrui”, mentre è lavoratore
subordinato chi “collabora nell’impresa” altrui.
31
Cfr. DEL GIUDICE F., MARIANI F., IZZO F., op. cit., pag. 43
32
Cfr. ICHINO P., Subordinazione e autonomia nel diritto del lavoro, Milano, Giuffrè,
1989, pag. 64
23
In realtà la simmetria fra le tre definizioni non è perfetta. Questo però nulla
toglie all’evidente collegamento organico fra i tre articoli del codice [...].
In particolare, dal nesso esplicito intercorrente fra l’articolo 2082 e
l’articolo 2094 emerge subito una delimitazione dell’oggetto di quest’ultima
norma: essa presiede soltanto alla qualificazione dei rapporti di lavoro dei quali è
titolare, come creditore, un imprenditore. Tale qualifica del creditore della
prestazione deve dunque essere assunta, almeno per ora, come elemento
essenziale del tipo legale del lavoro subordinato di cui all’articolo 2094 e come
condizione per l’applicabilità dei criteri di distinzione dal lavoro autonomo che
dalla stessa norma possono desumersi. Gli stessi criteri di distinzione non
possono applicarsi meccanicamente quando il creditore della prestazione non sia
un imprenditore.
Ai fini della qualificazione della fattispecie concreta non assume dunque
rilievo soltanto un’indagine sulla volontà negoziale delle parti: è necessaria
anche un’indagine per accertare la qualità imprenditoriale, cioè di organizzazione
professionale dei fattori della produzione, propria del creditore.
La costituzione del rapporto di lavoro nasce dall’accordo tra le parti (ed ha
natura contrattuale), tuttavia nessuna norma del Codice civile, definisce, tra i vari
contratti quello di lavoro; l’art.2094, offre infatti la definizione di chi sia il
prestatore di lavoro subordinato, dunque chi sia il soggetto già inserito nel
rapporto 33.
Negli articoli dal 2222 al 2228, sono contenute le disposizioni generali in
materia di lavoro autonomo, riconducibili alla vecchia dottrina romanistica
secondo cui la summa divisio dei contratti di lavoro corre tra quelli che hanno per
oggetto un opus perfectum indivisibile in ragione del tempo e quelli che hanno
per oggetto le operae, cioè l’attività del prestatore in quanto tale 34.
33
Cfr. ENRICO C., Diritto del Lavoro, Torino, Giappichelli, 2009, pp. 87-88
34
Cfr. ICHINO P., op. cit., pp. 65-66
24
In particolare, è chiaro l’interesse di rifarsi ad un’obbligazione lavorativa ad
esecuzione istantanea, nel senso tecnico-giuridico: nell’art. 2224, dove si prevede
la possibilità che il creditore fissi un termine per l’esecuzione; nell’art. 2225, che
indica come criterio di determinazione giudiziale del corrispettivo il “risultato”,
indipendentemente dal tempo affettivamente legato per produrlo; nell’art. 2226,
in tema di “difformità e vizi dell’opera”; e nell’art. 2228, che attribuisce al
lavoratore, in caso di impossibilità sopravvenuta della prestazione, il diritto a un
compenso commisurato esclusivamente “all’utilità della parte dell’opera
compiuta, sancendo così l’irrilevanza della quantità di lavoro effettivamente
svolto prima dell’insorgere dell’impedimento.
L’indicazione, contenuta nell’art. 2222, dell’“opera o servizio” come
oggetto del “contratto d’opera” pare quindi debba essere interpretata senz’altro
come riferimento all’opus indivisibile: dove l’alternativa tra opera e servizio
corrisponderebbe soltanto alla possibilità che l’opus si concretizzi in un
manufatto materialmente individuato (ad esempio un abito, un progetto di
costruzione, ecc.) o no (ad es. la rasatura di una barba, la pulizia di un ambiente,
un parere legale, ecc.) 35.
L’intenzione del legislatore appare quella di contrapporre, nel titolo III e
nell’art. 2222 in particolare, al “lavoro subordinato”, il “lavoro autonomo” in
tutte le sue possibili configurazioni, compresa quella avente per oggetto una mera
attività.
Il lavoro autonomo, non oggetto di regola del diritto del lavoro, ma anche
trattato dal diritto commerciale, comprende diverse tipologie oltre al contratto
d’opera di cui all’art. 2222 del Codice civ., quali: le prestazioni professionali e
intellettuali (art. 2229 Cod. civ.), i rapporti di collaborazione coordinata e
continuativa e il lavoro a progetto 36.
35
Cfr. ICHINO P., op. cit., pp. 67-68
36
Cfr. DEL GIUDICE F., MARIANI F., IZZO F., op. cit., pag. 43
25
Il requisito dell’assenza del vincolo di subordinazione acquista così un
valore definitore a se stante, corrispondente al tipo di contratto a cui si riferisce
l’intero titolo III, mentre l’elemento della indivisibilità ratione temporis della
prestazione individua soltanto il tipo normativo disciplinato dagli artt. 22242228, coincidente con la locatio operis tradizionale intesa in senso stretto.
Sia l’art. 2222 che l’art. 2094 indicano come connotato essenziale delle
fattispecie rispettivamente definite l’oggetto del contratto, consistente in
entrambi i casi in una prestazione di “lavoro” (cioè in un facere) a carattere
eminentemente personale. Mentre però nel caso del lavoro autonomo, di cui
all’art. 2222, è sufficiente che il lavoro personale del prestatore abbia peso
predominante rispetto a quello di suoi eventuali collaboratori nell’economia della
prestazione (lavoro prevalentemente proprio), nel caso del lavoro subordinato
nell’impresa, il carattere personale della prestazione deve intendersi nel senso più
rigoroso” 37.
Con la Costituzione della Repubblica Italiana del 1948, il legislatore ha
considerato il lavoro non come fine o mero strumento di guadagno, ma come
veicolo di affermazione della persona umana, garanzia di sviluppo e
valorizzazione dell’individuo nel contesto sociale; tale concezione trova
specificazione nel progetto di garantire l’effettiva partecipazione di tutti i
lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese sancita con
l’art. 3, comma 2.
Alla Corte Costituzionale è stato affidato il compito di garantire il
perseguimento di quanto sopra (eliminando dall’ordinamento le disposizioni di
legge in contrasto con essi), tenendo tuttavia presente il riconoscimento della
libertà di iniziativa privata economica sancito dall’art. 41 della Costituzione, che
obbliga a conciliare gli opposti interessi di chi lavora e di chi detiene i mezzi di
produzione, con le connesse esigenze di produttività ed efficienza dell’impresa,
37
Cfr. ICHINO P., op. cit., pag. 72
26
posto che la Costituzione ha accettato un modello di società basata sui metodi di
produzione capitalistici 38.
La Costituzione ha confermato, le protezioni a favore del lavoratore
subordinato che gode di una serie di tutele imperative, inderogabili ed
irrinunciabili, non considerando la figura del lavoratore autonomo nel sistema
delle garanzie; il legislatore, ad esclusione della tutela previdenziale, ha
considerato di fatto sufficiente quanto stabilito in relazione al contratto d’opera
(artt. 2222 Cod. civ. e ss.).
Tuttavia, la disciplina del Codice civile nei decenni successivi dalla sua
emanazione, è stata notevolmente modificata ed integrata da una moltitudine di
leggi speciali; ciò si è tradotto nella creazione di un articolato complesso di
disposizioni normative che formano il diritto del lavoro atte a regolamentare sia i
contratto individuali di lavoro subordinato, sia anche altre forme di
collaborazione nell’impresa che si sono andate ad affermare 39.
Pertanto successivamente alla fase del “garantismo rigido”, che ha
contraddistinto il periodo post Costituzionale, ha cominciato a farsi strada a
partire dagli anni ’80 del secolo scorso, una nuova visione del lavoro fondata sul
concetto di flessibilità.
Indubbiamente, la trasformazione dei sistemi di produzione, oltre a
determinare la crisi della tradizionale distinzione tra lavoro subordinato e lavoro
autonomo ha segnato la progressiva affermazione di una nuova categoria
(peraltro di derivazione prettamente giurisprudenziale), “quella dei cosiddetti
lavoratori parasubordinati”, che pur collaborando nell’impresa con attività
prevalentemente personale (ex art. 2222 del Cod. civ.), non attingono alle stesse
tutele del lavoro subordinato 40.
38
Cfr. PERSIANI M., “et al”, op. cit., pp. 14-15
39
Cfr. PERSIANI M., “et al”, op. cit., pag. 4
40
Cfr. DEL GIUDICE F., MARIANI F., IZZO F., op. cit., pag. 46
27
2. Il lavoro subordinato
2.1 Fonti normative del rapporto di lavoro subordinato
Il termine subordinazione, viene usato per la prima volta nel 1901 con la
pubblicazione del primo manuale di diritto del lavoro “Il contratto di lavoro nel
diritto positivo italiano”, ad opera di Ludovico Barassi.
Il diritto del lavoro, era in origine finalizzato alla tutela del lavoro prestato
nell’ambito dell’industria manifatturiera, dove la particolare condizione di
fragilità che caratterizzava gli operai che offrivano il proprio apporto sul
mercato, richiedeva lo sviluppo di una serie di protezioni, con fissazione di
regole inderogabili e forme obbligatorie di previdenza 41.
Le fonti normative interne, del nostro ordinamento, che regolamentano il
rapporto di lavoro subordinato, sono riconducibili 42:
- alla Costituzione della Repubblica Italiana (artt. 1, 4, 35, 36, 37, 39, 40);
- al Codice civile (artt.2094-2134);
- alle leggi speciali, ai decreti, ai regolamenti, gli usi e le consuetudini;
- ai contratti collettivi di lavoro.
Come abbiamo visto nel paragrafo precedente, Il Codice civile del 1942 ha
introdotto quali elementi innovativi rispetto al passato, da un lato il concetto di
impresa (art.2082 del Cod. civ.), dall’altro il concetto di prestatore di lavoro
subordinato (art.2094 del Cod. civ.).
Gli elementi che caratterizzano la figura dell'imprenditore sono il potere di
organizzare e dirigere il processo produttivo (secondo proprie scelte tecniche ed
economiche), assumendosi il rischio che i costi sostenuti non siano coperti dai
ricavi conseguiti (il c.d. rischio d’ impresa) 43.
41
Cfr. PAVESE A., Subordinazione, autonomia e forme atipiche di lavoro, Padova,
Cedam, 2001, pag. 1
42
Cfr. DEL GIUDICE F., MARIANI F., IZZO F., op. cit., pp. 23-24
43
Cfr. DEL GIUDICE F., MARIANI F., IZZO F., op. cit., pp. 220-221
28
Il lavoratore subordinato, invece, effettua il proprio lavoro “alle dipendenze
e sotto la direzione” del datore di lavoro e la sua retribuzione è stabilita a tempo
(ossia in base alle ore di lavoro svolte); tuttavia il Codice prevede anche il
corrispettivo a cottimo (art. 2099 Cod. civ.), legato alla produttività 44.
Il lavoratore subordinato si identifica in colui che accetta, in cambio di una
paga, di eseguire gli “ordini” impartiti da un altro soggetto, con obbligo nei
confronti del datore di lavoro di fedeltà (art. 2105 del Cod. civ.) e diligenza (art.
2104 del Cod. civ.).
In questo sistema tutte le disposizioni che vanno a costituire il fulcro del
contratto e del rapporto di lavoro, sanciscono i limiti entro cui è tollerabile che il
datore di lavoro eserciti il suo potere direttivo, disciplinare e di controllo sul
lavoratore 45.
Gli elementi legali che consentono di individuare la subordinazione ai sensi
dell’art. 2094 del Cod. civ. sono: l’eterodirezione e la collaborazione.
La Costituzione, riconosce il lavoro come principio fondamentale, ovvero
un diritto per il quale lo Stato si deve fare promotore, impegnandosi ad
intervenire nel sistema economico, affinché a tutti i cittadini possa essere
garantito (art.4 della Cost.).
L’art. 35 della Costituzione assegna allo Stato il compito di tutelare il
lavoro in tutte le sue forme (facendo intuire che in tale accezione sia compreso
sia il lavoro subordinato che il lavoro autonomo); in realtà, negli articoli
successivi si evidenzia come il sistema garanzie, sia specificatamente rivolto al
lavoratore dipendente, riconfermando in questo modo la volontà di proteggere,
quella che nel rapporto contrattuale è considerata la parte più debole.
Infatti, l’art. 36 della Costituzione riconosce al lavoratore subordinato il
diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro
prestato e sufficiente ad assicurare a sé e al suo nucleo familiare un’esistenza
44
Cfr. DEL GIUDICE F., MARIANI F., IZZO F., op. cit., pp. 37-38
45
Cfr. UNITELMA, Video lezione di Diritto del Lavoro, lezione 6
29
libera e dignitosa; stabilisce che è la legge a definire la durata massima della
giornata lavorativa e sancisce il diritto al riposo settimanale e alle ferie retribuite.
L’art. 37 della Costituzione dispone tutele per le donne lavoratrici
(stabilendo uguali diritti a quelli dei lavoratori), ed i minori; l’art.38 stabilisce il
diritto alla previdenza ed all’assicurazione in caso di infortunio, malattia,
invalidità e vecchiaia, oltreché di disoccupazione involontaria.
Il diritto di libera organizzazione sindacale e di sciopero, è riconosciuto
dagli artt. 39 e 40 della Costituzione 46.
La fase post costituzionale del diritto del lavoro, si è caratterizzata
dall’emanazione di una serie di leggi speciali che hanno modificato ed integrato,
la disciplina codicistica, riguardante il rapporto di lavoro subordinato 47.
Ne sono un esempio, la legge n. 1369 del 1960 “divieto di intermediazione
nel rapporto di lavoro” (ovvero il divieto di appalti di mano d’opera, fenomeno
noto come caporalato), la legge n.230 del 1962 “introduzione dell’uso limitato
del termine nel contratto di lavoro”, e ancora la legge n. 604 del 1966 con
l’introduzione di “limiti al potere di recesso del datore di lavoro”.
Nei primi anni settanta hanno assunto particolare rilievo sia la legge n. 300
del 1970 (il cosiddetto Statuto dei lavoratori), in quanto contenente disposizioni a
tutela della libertà e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro (che hanno
modificato notevolmente la disciplina legislativa precedente, introducendo nuovi,
e più intensi, limiti ai poteri del datore di lavoro) 48 sia la successiva legge nr. 533
del 1973 che riformando il processo del lavoro, ha novellato l’art.409 del c.p.c.,
estendendo il rito del lavoro anche alle controversie relative ai “rapporti di
collaborazione coordinate e continuative” anche se non a carattere subordinato.
Con l’evoluzione dei rapporti economici sociali e dei modi di produzione è
diventato molto più complesso (rispetto al passato), tracciare la linea di confine
46
Cfr. CLARA E., op. cit., pag. 37
47
Cfr. PERSIANI M., “et al”, op. cit., pp. 4-6
48
Cfr. PERSIANI M., “et al”, op. cit., pp. 15-16
30
tra il lavoro subordinato e il lavoro autonomo. Sulla scia di questi mutamenti
socio-economici, in via interpretativa soprattutto tramite la legislazione speciale,
è stato parzialmente ridisegnando negli ultimi decenni, il volto della
subordinazione 49.
Il diritto del lavoro e le istanze di protezione ad esso connesse, che sino alla
metà degli anni ’70, hanno ruotato attorno al rapporto di lavoro stabile, esclusivo
e a tempo pieno (espressioni di un sistema organizzativo che ha caratterizzato la
realtà economica industriale del novecento), con l’avvento della società dei
servizi e del terziario avanzato (con le nuove forme di organizzazione
riconducibili alla new economy), entrano
via via sempre più in crisi con
l’avvento e la diffusione di alcuni tipi di lavoro sconosciuti nel secolo scorso,
racchiudenti in se caratteristiche proprie, riconducibili sia al lavoro autonomo
sia a quello subordinato 50.
Dagli anni’90 in avanti, hanno acquistato maggior rilevanza le esigenze di
efficienza di produttività delle imprese, considerate come luogo di generazione di
ricchezza e non solo di occupazione. Ciò trova riscontro nell’emanazione, da
parte del legislatore di significative norme in merito: la legge 24 giugno 1997, n.
196 (Norme in materia di promozione dell'occupazione), la legge 14 febbraio
2003 n. 30, nota come “Legge Biagi” (Delega al Governo in materia di
occupazione e mercato del lavoro), il
D.lgs. 10 settembre 2003, n. 276
(Attuazione delle deleghe in materia di occupazione), la legge 28 giugno 2012, n.
92 (Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva
di crescita), che hanno modificato gli equilibri esistenti prevedendo un diverso
concentramento di tutti gli interessi in gioco ed introducendo sempre maggiori
elementi di flessibilità 51. Tali provvedimenti normativi hanno trovato un’ulteriore
evoluzione con la recentissima nuova riforma del lavoro, meglio nota come Jobs
Act (Legge 10.12.2014 n.183), tuttora in fase di incompleta piena applicazione.
49
Cfr. PAVESE A., op. cit., pag. 2
50
Cfr. PERSIANI M., “et al”, op. cit., pag. 23
51
Cfr. PERSIANI M., “et al”, op. cit., pag. 16
31
2.2 Elementi di qualificazione del contratto
L’articolo 2094 del Codice civile, non fornisce una definizione di
fattispecie contrattuale, ma traccia il profilo del lavoratore subordinato nei
termini di “colui che si obbliga, mediante retribuzione, a collaborare nell’impresa
prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la
direzione dell’imprenditore” 52.
Il contratto di lavoro subordinato è definibile come un contratto di scambio
sinallagmatico nel quale derivano due obbligazioni principali:
a) l’obbligazione del prestatore di lavoro subordinato, che si vincola a
prestare la propria attività alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore,
rendendosi disponibile ad investire, le proprie energie ed il tempo
nell’organizzazione dell’attività produttiva, in cambio di un corrispettivo;
b) l’obbligazione del datore di lavoro, che si impegna a pagare una
retribuzione al prestatore di lavoro subordinato per le attività lavorative prestate.
Attorno alle due obbligazioni principali, se ne affiancano altre, necessarie a
disciplinare e a rendere compatibile questo particolare il tipo di scambio.
Infatti in relazione agli artt. 2104 e 2105 del Codice civile, la prestazione di
lavoro che si obbliga a fornire il prestatore di lavoro deve essere subordinata,
nonché improntata a diligenza e fedeltà 53.
Notevole considerazione ha avuto la concezione acontrattualistica del
rapporto di lavoro, incentrata sul presupposto che la fonte degli obblighi e dei
diritti del lavoratore dipendente non fosse tanto il contratto (ovvero la
manifestazione di volontà del soggetto che stringe con la controparte un vincolo
di natura negoziale), ma il “fatto” dell’avvenuto incorporamento del lavoratore
nell’organizzazione
produttiva
dell’azienda
dell’imprenditore.
Questa
considerazione, ne deriva dal presupposto che, l’inserimento nell’azienda del
52
Cfr. DEL GIUDICE F., MARIANI F., IZZO F., op. cit., pag. 37
53
Cfr. UNITELMA, Video lezione di Diritto del Lavoro, lezione 6
32
lavoratore, potesse essere, in sé, fonte di posizioni giuridiche attive e passive
diverse da quelle normalmente legate alla posizione di contraente, proprio perché
scaturenti dalla specificità organizzativa dell’impresa stessa 54.
Relativamente alla qualificazione giuridica del contratto di lavoro, al fine di
poter ricondurre il rapporto alla tipologia autonoma o subordinata si può far
riferimento a tre elementi:
- il nomen iuris (denominazione data dalle parti al contratto)
- la volontà effettiva delle parti;
- il concreto svolgimento del rapporto.
Il nomen iuris è l’elemento di minor peso ai fini della qualificazione;
addirittura in dottrina, il nomen è considerata irrilevante ai fini della
qualificazione giuridica, poiché, dato un certo assetto di interessi voluto dalle
parti,
costituisce
esclusivo
potere-dovere
del
giudice
qualificarlo
giuridicamente 55:
“[…] Il nomen iuris non può mai essere considerato come manifestazione
diretta di una volontà rilevante ai fini della qualificazione (perché la
qualificazione stessa è sempre sottratta all’ autonomia privata, essendo riservata
esclusivamente al giudice), e può quindi essere assunto, tutt’al più, come indice
(manifestazione indiretta), dell’intendimento delle parti circa la struttura effettiva
del rapporto […]” 56.
La volontà effettiva delle parti, quale si manifesta negli elementi del
contratto, nonché il concreto svolgimento del rapporto di lavoro, assumono
decisiva rilevanza ai fini della qualificazione, in base a quanto previsto
dall’articolo 1362 del Codice civile: “nell’ interpretare il contratto si deve
indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti e non limitarsi al senso
54
Cfr. PERSIANI M., “et al”, op. cit., pp.65-66
55
Cfr. PAVESE A., op. cit., 2001, pag.3
56
Cfr. ICHINO P., Il Codice Civile Commentario, Milano, Giuffrè, 1992, pag. 169
33
letterale delle parole. Per determinare la comune intenzione delle parti, si deve
valutare il loro comportamento complessivo anche posteriore alla conclusione del
contratto” 57.
La giurisprudenza applica sostanzialmente tale regola, anche se a volte
senza farvi riferimento esplicito (Cass. Sez. Lav. 4.3.98, n.2370).
L’accertamento
sull’effettiva
volontà
delle
parti
(intesa
come
manifestazione giuridicamente apprezzabile di volontà, esplicita o tacita), può
essere più o meno rilevante a seconda della qualità dei soggetti, infatti, quando
fra essi non vi sia un sensibile divario di posizione socioeconomica, l’indagine
potrà più agevolmente attestarsi alla manifestazione formale di volontà,
potendosi ritenere più improbabile “l’intento simulatore” (Pret. Pistoia 14.1.95,
RCDL, 1995, 631) 58.
2.3 Gli elementi essenziali del contratto di lavoro
Gli elementi essenziali del contratto di lavoro sono: l’accordo, la causa,
l’oggetto, la forma.
Il contratto di lavoro, come ogni contratto, richiede per la sua legittima
costituzione, l’accordo (o volontà) dei contraenti 59.
L’accordo si concretizza nella fase conclusiva del contratto di lavoro,
ovvero nell’incontro della volontà e nella manifestazione del consenso dei
contraenti 60.
I limiti imposti dalla legge e dalla contrattazione collettiva, nella
formazione del contratto di lavoro, sono numerosi e questo fa si che la disciplina
generale dettata dal Codice civile, venga applicata con alcuni rilevanti caratteri di
specialità, che restringono in misura notevole il margine dell’autonomia privata.
57
Cfr. CLARA E., op. cit., pp. 59-62
58
Cfr. PAVESE A., op. cit., pp. 3-4.
59
Cfr. DEL GIUDICE F., MARIANI F., IZZO F., op. cit., pag. 93
60
Cfr. PERSIANI M., “et al”, op. cit., pp. 65
34
Questi limiti si applicano per il mezzo del meccanismo “dell’inserzione
automatica di clausole” (art.1339 Codice civ.) e “della sostituzione di diritto delle
clausole difformi del contratto individuale” (art.1419 Codice civ.), nel caso di
previsioni contrarie alle norme imperative poste dalla legge 61.
La causa del contratto di lavoro si individua nello scambio tra lavoro e
retribuzione. Dalla causa vanno però tenuti distinti i motivi; ovvero i particolari
interessi (o bisogni) che rappresentano lo scopo concreto, che tramite l’effetto del
negozio, le parti intendono raggiungere. Questi interessi sono da considerarsi
giuridicamente irrilevanti, salvo che le parti siano determinate a concludere il
contratto, per un motivo illecito (art. 1345 Codice civ.).
L’oggetto del contratto di lavoro si identifica nel contenuto della
prestazione lavorativa destinata a svolgersi in regime di subordinazione ed alla
controprestazione retributiva a carico del datore di lavoro (sinallagma).
Ai sensi dell’art.1346 del Codice civ. l’oggetto di un qualunque contratto,
deve essere, lecito, possibile, e a pena di nullità, anche determinato o quanto
meno determinabile (art.1418 Codice civ.).
Nel contratto di lavoro, devono essere anche specificate sia le mansioni per
le quali il lavoratore è assunto, sia la corrispondente retribuzione prevista.
Il luogo e regime temporale della prestazione lavorativa sono elementi
integranti del contratto tra le parti 62.
Relativamente al contenuto dell’obbligazione lavorativa subordinata, la sua
particolarità è costituita dal potere in seno al datore di lavoro, di determinare “le
modalità di svolgimento della prestazione di lavoro il cui esercizio costituisce
l’elemento decisivo per la misurazione dell’effettivo corretto adempimento da
parte del lavoratore”.
61
Cfr. DEL GIUDICE F., MARIANI F., IZZO F., op. cit., pp. 95-97
62
Cfr. PERSIANI M., “et al”, op. cit., pag. 71
35
L’articolo 2103 del Codice civile ha inoltre ampliato sia l’oggetto
dell’obbligazione lavorativa (attribuendo al datore di lavoro il potere di mutare
unilateralmente le mansioni originariamente attribuita al dipendente, pur se entro
i limiti rigorosi dell’equivalenza professionale, fatta salva la possibilità di
un’assegnazione
a
mansioni
superiori),
sia
la
possibilità
di
mutare
unilateralmente anche il luogo della prestazione lavorativa, pur se nei limiti della
“comprovata sussistenza di ragioni tecniche e produttive 63.
Ai
sensi
dell’articolo
2104
del
Codice
civile
l’adempimento
dell’obbligazione lavorativa deve avvenire con la diligenza richiesta dalla natura
della prestazione e al fine di soddisfare il legittimo interesse; la diligenza si
misura anche nell’osservanza delle disposizioni impartite dall’imprenditore (o
dai suoi collaboratori gerarchicamente subordinati), nell’esercizio del tipico
potere di direzione e conformazione della prestazione dedotta in contratto.
L’articolo 2105 del codice civile prevede l’obbligo di fedeltà e completa il
contenuto dell’obbligazione lavorativa, con il dovere sancito, da parte del
prestatore di lavoro subordinato, sia di non svolgere attività in concorrenza con il
proprio datore di lavoro sia di non divulgare notizie attinenti all’organizzazione e
ai metodi di produzione di impresa (o peggio ancora di farne uso in modo
pregiudizievole per la stessa) 64.
La forma del contratto di lavoro è generalmente libera, non essendo previste
particolari modalità di manifestazione del consenso 65.
Il vincolo può, dunque, perfezionarsi anche per fatti concludenti, […]
tranne alcune esclusioni specificatamente definiti della legge nei quali è prevista
la forma scritta ad substantiam (ad es. nei casi di contratto a tempo determinato,
a tempo parziale e a progetto).
63
Cfr. DEL GIUDICE F., MARIANI F., IZZO F., op. cit., pp. 261-262
64
Cfr. PERSIANI M., “et al”, op. cit., pag. 71
65
Cfr. DEL GIUDICE F., MARIANI F., IZZO F., op. cit., pag. 95
36
L’assenza di obblighi di forma non è intaccata dalla disciplina di origine
europea che, in attuazione della Direttiva n. 533 del 1991, ha imposto al datore di
lavoro una serie di comunicazioni scritte al proprio dipendente (art. 1, comma 1,
del d.lgs. n. 152 del 1997, e successivamente modificato dalla legge n. 203 del
2008).
Tale obbligo di informazione, che può essere adempiuto dal datore di
lavoro sia nel contratto di assunzione, sia in ogni altro documento scritto da
consegnare al lavoratore (art.1, comma 2, lettera a del d.lgs. n. 152 del 1997),
non è un requisito per la costituzione del rapporto di lavoro subordinato, ma ne è
conseguenza: il datore è obbligato ad un tale adempimento proprio in virtù del
suo essere datore di lavoro del destinatario di cui le comunicazioni […] 66.
È inoltre necessario menzionare gli elementi accidentali del contratto, che
sono quegli elementi che le parti sono libere di apporre nello stesso: il patto di
prova, il patto di non concorrenza (di cui si è già accennato in precedenza) e
l’apposizione del termine.
Il termine è anch’esso un elemento caratterizzante del contratto di lavoro,
come confermato dalla legge n. 92 del 2012 (che ha modificato il comma 1
dell’art.1 del d.lgs. n.368 del 2001), che stabilisce come il contratto di lavoro a
tempo indeterminato costituisca “la forma comune di rapporto di lavoro”.
Pertanto, l’apposizione di un termine finale al contratto di lavoro continua
ad essere un’eccezione consentita al ricorrere dei requisiti fissati dalla legge 67.
2.4 I caratteri del lavoro subordinato
Il lavoratore subordinato è obbligatoriamente una persona fisica, la cui
prestazione, è di norma infungibile, sebbene gli artt. 41-45 del D.lgs. n. 276 del
2003 hanno introdotto l’istituto del lavoro ripartito (job sharing), ovvero uno
66
Cfr. PERSIANI M., “et al”, op. cit., pp. 71-72
67
Cfr. PERSIANI M., “et al”, op. cit., pp. 73-74
37
speciale contratto di lavoro mediante il quale due lavoratori assumono in solido
l’adempimento di un'unica ed identica obbligazione lavorativa 68.
L’ammissione al lavoro, è possibile solo dopo aver assolto l’obbligo di
istruzione (fissato dalla legge n. 296 del 2006 in almeno 10 anni); comunque è
necessario aver compiuto 16 anni di età. Ne costituisce un’eccezione il lavoro
nello spettacolo o in attività culturali, artistiche, sportive, per il quale è richiesto,
oltre all’assenso scritto dei genitori anche una specifica autorizzazione
amministrativa rilasciata dal Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali.
La capacità di stipulare un contratto, è normalmente riconosciuta al
compimento del 18º anno di età. Il secondo comma dell’art. 2 del Codice civile
prevede, la capacità speciale “all’esercizio dei diritti e delle azioni che dipendono
dal contratto di lavoro” del minore che, avendo compiuto 16 anni, sia stato
ammesso al lavoro. Se ne deve desumere che, raggiunto i 16 anni, il minore abbia
anche la capacità giuridica di stipulare il contratto di lavoro.
Con l’integrazione europea, si introduce il principio di libera circolazione
dei lavoratori all’interno dell’Unione sia dei cittadini italiani, che di coloro
appartenenti agli altri stati membri, per tutto ciò che riguarda le condizioni di
accesso al lavoro, mentre una disciplina speciale è, invece, prevista per i cittadini
extra unionisti, il cui accesso al lavoro è legato alla legittima permanenza sul
territorio nazionale.
Il datore di lavoro può essere sia una persona fisica, sia una persona
giuridica; in entrambi i casi, si applicano le regole generali in materia di capacità
giuridica e di capacità di agire.
La prestazione lavorativa afferente un contratto di lavoro subordinato si
caratterizza abitualmente per la necessaria bilateralità al fine di prevenire abusi
derivanti dalla dissociazione fra titolarità formale ed effettiva utilizzazione della
68
Cfr. DEL GIUDICE F., MARIANI F., IZZO F., op. cit., pag. 358
38
prestazione, l’ordinamento vieta, infatti la cosiddetta interposizione di
manodopera 69.
Il legislatore ha tuttavia introdotto alcune eccezioni al tradizionale divieto
di interposizione, disciplinando gli istituti della somministrazione e del distacco
con gli artt.20-28 e 30 del d.lgs. n. 276 del 2003 70.
Singole definizioni di “datore di lavoro” e specifici obblighi, vengono
inoltre previsti da alcune discipline settoriali, tra le quali quelle sancite dalle
norme disciplinanti la salute e sicurezza sul lavoro di cui al d.lgs.81/08 e s.m.i..
2.5 Dottrina e giurisprudenza: evoluzione del concetto di subordinazione
La prestazione di lavoro personale costituisce elemento caratteristico sia del
lavoro subordinato sia di quello autonomo; in quest’ ultimo, l’attività lavorativa
è tuttavia considerata dalla disciplina giuridica come “mezzo per il compimento
di un’opera o di un servizio (art. 2222 Codice civ.)”, mentre nel lavoro
subordinato, è la stessa prestazione di attività lavorativa personale, l’oggetto
dell’obbligazione (art. 2094 Codice civ.); essa è infatti, come abbiamo già visto,
prestata alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore o del datore di
lavoro non imprenditore (art. 2239 Codice civ.).
È proprio in questo assoggettamento dell’attività lavorativa personale alle
direttive dell’imprenditore (che può in qualsiasi momento intervenire per formare
la prestazione di lavoro e suoi obiettivi produttivi), che ha risieduto il carattere
essenziale della subordinazione 71.
Il primo tra i civilisti del periodo liberale che ha avvertito l’esigenza di
spingersi oltre la tradizionale distinzione tra locatio operis e locatio operarum, fu
Ludovico Barassi, il quale ha posto l’attenzione sul concetto di dipendenza, per
fondarvi il criterio qualificante del contratto di lavoro. Per Barassi c’è
69
Cfr. PERSIANI M., “et al”, op. cit., pp. 68-69
70
Cfr. DEL GIUDICE F., MARIANI F., IZZO F., op. cit., pag. 161
71
Cfr. PAVESE A., op. cit., pag. 5
39
subordinazione (quindi l’istanza di tutela è giustificata) “solo laddove una delle
due parti del rapporto esercita sull’altra il potere direttivo”. In tutti gli altri casi il
rapporto di lavoro è autonomo.
Ludovico Barassi individua in questo modo, quel concetto di etero
direzione ancor oggi costituente il principale criterio di qualificazione del
rapporto di lavoro e nucleo centrale della subordinazione, che si traduce nel
potere del datore di lavoro di modificare unilateralmente il contenuto del
contratto.
La distinzione tra locatio operis e locatio operarum si trasforma in quella tra
lavoro autonomo e lavoro subordinato, classificazione che acquista particolare
rilievo sul piano della disciplina applicabile, considerato che il lavoro autonomo
è spinto al di fuori dei confini del diritto del lavoro e pertanto non è soggetto a
nessuna tutela 72.
La costruzione barassiana (consacrata dal Codice civile del 1942), tuttavia
non riesce, da sola a descrivere un fenomeno, indiscutibilmente più complesso, in
quanto, non tiene conto del fatto che il lavoro può essere prestato solo da un
individuo, che merita forme di tutela diverse ed ulteriori rispetto a quelle tipiche
della disciplina dei contratti che riguardano le cose che hanno carattere
patrimoniale.
Tale impostazione è stata successivamente arricchita, dalla dottrina e dai
primi interventi della giurisprudenza volti alla ricerca di una definizione della
fattispecie, in grado di riflettere le molteplici istanze di tutela connesse alle varie
forme mediante le quali il lavoro può essere integrato all’interno dell’impresa 73.
Numerosi sono stati i tentativi di definire una netta discriminazione tra
lavoro autonomo e lavoro subordinato; si è passati progressivamente da
concezioni assolutistiche (nelle quali la distinzione tra i due tipi di lavoro
venivano affidata a criteri precisi), a impostazioni relativiste (ove il criterio
72
Cfr. DEL GIUDICE F., MARIANI F., IZZO F., op. cit., pag. 43
73
Cfr. PERSIANI M., “et al”, op. cit., pp. 25-26
40
discriminante non è mai unico, ma affiancato da altri elementi che debbono
concorrere per poter operare la distinzione).
In sostanza, il sogno della dottrina è sempre stato quello di costruire una
fattispecie che consenta la qualificazione di ogni caso concreto, anche
naturalmente di quelli che si collocano nelle cosiddette “zone grigie” 74.
Angiello L., in Autonomia e subordinazione nella prestazione lavorativa,
del 1974 ripercorre le vie seguite dalla dottrina sino a quel tempo.
Egli sostiene che la teoria più tradizionale, in ordine alla distinzione tra
lavoro autonomo e subordinato (e che ripropone la distinzione romana tra locatio
operis e locatio operarum), è quella che fa perno sul risultato (obbligazione di
risultato),
quale
elemento
caratterizzante
del
lavoro
autonomo,
in
contrapposizione all’attività (obbligazione di mezzi), oggetto del contratto di
lavoro subordinato.
Relativamente al problema della discriminazione tra le due fattispecie, è
stato ripetutamente messo in rilievo, come non può risolversi concludendo che
oggetto del contratto d’opera è il risultato mentre oggetto del contratto di lavoro
subordinato è l’attività; ciò in quanto in entrambe le fattispecie si ottengono dei
risultati: anche il prestatore d’opera infatti, durante lo svolgimento dell’attività,
ottiene dei risultati (ad esempio l’artista dipendente che presta la propria attività e
porta a termine delle opere d’arte), mentre di contro, per alcune prestazioni
d’opera intellettuale, pur ricadendo nell’ambito del lavoro autonomo, il risultato
non viene assicurato (ad esempio il medico o l’avvocato).
Non soddisfacente è stata pure ritenuta l’affermazione secondo la quale il
risultato costituirebbe “lo sbocco della prestazione di lavoro autonomo”: non è
raro infatti, il caso di imprenditori i quali compiono una parte di lavoro
74
Cfr. TOSI P., La distinzione tra autonomia e subordinazione, in Quaderni di diritto del
lavoro e delle relazioni industriali, Subordinazione e autonomia: vecchi e nuovi modelli, AA.
VV, Quad.21, Torino, 1998, Utet, pag. 36
41
comportante complesse operazioni. In tali ipotesi è evidente che l’opus viene in
essere mettendo insieme l’attività svolta dai singoli lavoratori autonomi 75.
È questa una teoria che risente dell’epoca nella quale viene elaborata,
ovvero dove appariva più netta la distinzione tra il lavoratore subordinato,
(debitore di energie lavorative nei confronti del datore di lavoro) e il lavoratore
autonomo, (che organizzava da se il proprio lavoro, debitore dell’opus perfectum,
in relazione all’infungibilità della prestazione).
C’è inoltre chi sostiene che debba essere distinto il risultato strumentale dal
risultato finale dell’obbligazione di lavoro, argomento affrontato da G. F.
Mancini in tema di distinzione tra obbligazioni di mezzi e di risultato. Nelle
prestazioni d’opera il lavoratore sarebbe in grado di raggiungere il risultato
finale, mentre nelle prestazioni d’opere il risultato finale sfuggirebbe secondo
Mancini al lavoratore. Ciò in quanto, nel caso del professionista l’obbligazione di
fare viene adempiuta dal prestatore d’opera autonomamente senza che la
controparte possa intromettersi nell’organizzazione del lavoro; nel caso del
prestatore d’opere l’attività lavorativa viene svolta subordinatamente, con
l’organizzazione del lavoro da parte del datore di lavoro.
La dottrina, nell’elaborare la cosiddetta teoria del rischio, pone in capo al
lavoratore autonomo, per l’appunto il “rischio”, mentre nel lavoro subordinato
quest’ultimo sarebbe sempre a carico del datore di lavoro.
Relativamente all’accoglimento della suddetta teoria, sono state mosse
diverse e obiezioni; infatti alcuni autori hanno affermato che assumendo il rischio
quale criterio distintivo assoluto, si confonderebbe l’effetto con la causa, ovvero
si darebbe rilevanza preminente alle conseguenze del contratto e non ai suoi
elementi costitutivi. Altri hanno ritenuto che il criterio del rischio sia
insufficiente quale criterio discriminante poiché in alcuni tipi di lavoro
subordinato, il rischio coinvolgerebbe parzialmente anche il dipendente e di
75
Cfr. ANGIELLO L., Autonomia e subordinazione nella prestazione lavorativa, Padova,
Cedam, 1974, pp. 17-21
42
contro, in alcune forme di lavoro autonomo (ad esempio nelle professioni
intellettuali), il rischio diminuisce notevolmente, sin quasi a scomparire.
L’inconsistenza di tale teoria appare evidente anche sotto un altro profilo:
infatti, se è vero che il rischio generalmente fa capo al prestatore di lavoro
autonomo (nel senso che su questi incombe l’alea dell’opus), è similmente vero
che il rischio del compenso non può essere circoscritto soltanto al lavoratore
autonomo ma coinvolge, sebbene in diversa misura, anche quello subordinato
(si pensi, in ipotesi, al dissesto del datore di lavoro: è ovvio che il lavoratore
subordinato potrà anche perdere totalmente o parzialmente le proprie
spettanze) 76.
È stato possibile affermare in conclusione, come anche l’elemento rischio
non può essere annoverato, in assoluto, come discriminante tra le due fattispecie;
esso può essere ritenuto uno degli elementi che concorrono al fine della
qualificazione del contratto stesso.
Altra teoria è quella di chi ritiene che l’unico criterio atto a distinguere il
lavoro autonomo dal lavoro subordinato sia quello dell’inserzione del lavoratore
nell’azienda. Tuttavia, se è vero che l’inserzione è finalizzata a permettere al
lavoratore di collaborare nell’impresa (o nell’azienda) in modo continuativo, con
il carattere della professionalità, è altrettanto vero che la medesima situazione
può riscontrarsi prendendo in esame determinati rapporti d’opera.
Può infatti accadere che un libero professionista, il quale si obblighi nei confronti
di un’impresa a compiere una determinata attività (ad es. l’avvocato incaricato
dei recuperi crediti), si trovi inserito nell’impresa, poiché svolge un compito che
potrebbe alla stessa stregua essere compiuto da un professionista dipendente 77.
Nel corso degli anni ’70 del secolo scorso, diversi autori hanno tentato di
integrare la nozione di subordinazione al concetto di debolezza contrattuale 78.
76
Cfr. ANGIELLO L., op. cit., 1974, pp. 17-21
77
Cfr. ANGIELLO L., op. cit., pp. 22-30
78
Cfr. PERSIANI M., “et al”, op. cit., pag. 28
43
In base a tale orientamento, il vincolo di subordinazione è generatore di una
condizione di inferiorità del prestatore, il quale impegna nell’attività lavorativa
anche i valori personali della sua vita, che rischiano di essere definitivamente
compromessi se lasciati all’arbitrio dell’autonomia contrattuale delle parti.
Un ulteriore orientamento dottrinale propone invece di spostare la
prospettiva dell’indagine, dal piano della fattispecie a quello del metodo di
qualificazione, che deve essere addotto dal giudice.
La difficoltà di identificare una nozione unitaria di subordinazione e la
inadeguatezza dei tradizionali criteri discretivi, a funzionare da soli, come criteri
di individuazione del lavoro subordinato, ha indotto la giurisprudenza ad
elaborare un sistema di analisi incentrato sulla valutazione combinata di indici,
rivelatori dell’esistenza o meno di una subordinazione 79.
I due principali metodi di qualificazione che possono essere adottati dal
giudice sono: il metodo sussuntivo (secondo cui un rapporto può qualificarsi
come subordinato solo se la fattispecie concreta risulta perfettamente
riconducibile alla fattispecie astratta descritta dalla legge); il metodo tipologico,
che si risolve in un giudizio di approssimazione, essendo sufficiente, ai fini della
qualificazione in termini di subordinazione, che la fattispecie concreta assomigli
alla fattispecie astratta senza richiedere l’assoluta coincidenza 80.
Mentre la dottrina ha sempre considerato l’assoggettamento al potere
direttivo quale principale indice rivelatore della natura subordinata del rapporto,
la giurisprudenza si è divisa sulla sua effettiva attitudine alla qualificazione del
rapporto di lavoro subordinato.
Infatti quest’ultima sembra ammettere, che accanto all’indice che potremmo
definire essenziale (ovvero l’etero determinazione della prestazione), vi sia
l’esistenza
di
indici
sussidiari,
ossia
esterni
rispetto
al
contenuto
dell’obbligazione di lavoro, ma pur sempre idonei a compensare un’eventuale
79
Cfr. DEL GIUDICE F., MARIANI F., IZZO F., op. cit., pag. 161
80
Cfr. PERSIANI M., “et al”, op. cit., pag. 29
44
attenuazione del primo indice, nel concreto svolgimento della prestazione
lavorativa.
Su questo terreno si sono fronteggiati diversi orientamenti, tesi ad
individuare il livello al di sopra del quale le modalità di esplicazione del potere
direttivo fungono da linea di demarcazione sufficientemente nitida tra il lavoro
subordinato e quelle figure contrattuali che, seppur apparentemente autonome,
possono comunque presentare profili di assoggettamento alle direttive datoriali.
Peraltro, la dottrina ebbe ad utilizzare l’intervento della Corte per rilanciare
l’intervento del metodo tipologico (già in transito dal modello classico a quello
funzionale), nonché la sua capacità di porsi come strumentale per estendere
l’ambito di applicazione dello statuto protettivo della subordinazione, attraverso
la sostanziale cancellazione dell’autonomia privata, operata per via di
costituzionalizzazione della tassatività del tipo.
La tesi è quella esplicitata in E. GHERA (La subordinazione tra tradizione
e nuove proposte), secondo cui la disciplina imperativa si incorpora nel
regolamento contrattuale e si sovrappone all’accordo, conferendo alla
subordinazione la funzione di qualificare, prima, il tipo legale, poi, la concreta
fattispecie contrattuale. Concetti peraltro confermati da M. D’Antona in
“L’autonomia individuale e le fonti del Diritto del Lavoro” e da O. Mazzotta in
“Autonomia individuale e sistema del diritto del lavoro” 81.
La Cassazione, specie all’inizio degli anni ‘90, ebbe a riconsiderare il
recupero della tipicità legale
del lavoro autonomo ed a riacquistare
l’identificazione della subordinazione con “la soggezione costante del lavoratore
ad ordini specifici sull’intrinseco svolgimento della sua prestazione lavorativa”,
fruendo anche di importanti interventi dottrinali che avevano sottolineato come,
il metodo tipologico classico, non fosse attendibile, perché operando per via di
81
Cfr. PESSI R., L’autonomia privata ed i limiti alla disponibilità del tipo, in Trattato di
Diritto del Lavoro, in Contratto di lavoro e organizzazione, MARTONE M. (a cura di), Tomo I,
vol. IV, in Trattato di diritto del lavoro, diretto da Persiani e Carinci, Padova, Cedam, 2012,
pag. 56
45
un giudizio di approssimazione, costruiva lo schema qualificatorio di riferimento
utilizzando un procedimento induttivo, cioè ricavando una serie aperta di indici
(indizi) di subordinazione, dall’osservazione della realtà socio economica e dal
mondo della produzione 82.
Ad iniziare dagli anni ‘90, i sostenitori del metodo tipologico, riuscivano a
riportare la giurisprudenza (con un passo indietro di ben 15 anni), a valutare un
processo
qualificatorio
basato
su
elementi
indiziari
quali:
direttive
programmatiche, osservanza di un orario, esistenza o meno di un rischio
economico, l’esistenza o meno si una organizzazione imprenditoriale (seppure
elementare) 83.
Il tema della qualificazione del contratto di lavoro, solitamente affrontato
sotto il profilo della rilevanza della volontà delle parti nella scelta del tipo
contrattuale, del lavoro subordinato o autonomo (e per converso della cosiddetta
“indisponibilità del tipo”), non può essere ridotta soltanto all’alternativa tra
“espansione
o
contrazione”
delle
tutele
del
lavoratore
all’interno
dell’ordinamento positivo, ma sollecita una riflessione intorno all’identità del
contratto di lavoro ed in particolare all’idea stessa di subordinazione e alla sua
relazione con lo statuto protettivo dei lavoratori 84.
Una conferma di ciò è offerta dalla giurisprudenza della Corte
Costituzionale sulla c.d. “indisponibilità del tipo contrattuale” del lavoro
subordinato.
La Corte, pronunciandosi sulle disposizioni di due leggi microsettoriali,
intese ad escludere la natura subordinata di una serie di rapporti di lavoro con gli
enti locali, e nell’intento di adeguarne l’interpretazione ai canoni costituzionali,
ha puntualizzato come i principi dell’ inderogabilità e dell’eteronomia della
tutela del lavoro subordinato abbiano rango costituzionale; non può essere
82
Cfr. PESSI R., op. cit., pag. 63
83
Cfr. PESSI R., op. cit., pag. 69
84
Cfr. GHERA E., Il nuovo Diritto del Lavoro. Subordinazione e lavoro flessibile,
Torino, Giappicchelli, 2006, pag. 121
46
dunque consentito, all’autonomia contrattuale (e nemmeno al legislatore), di
autorizzare le parti ad escludere (direttamente o indirettamente), con la loro
dichiarazione contrattuale, l’applicabilità della disciplina inderogabile, prevista a
tutela dei lavoratori, a rapporti che abbiano contenuto e modalità di esecuzione
propri del rapporto di lavoro subordinato. I principi, le garanzie e i diritti stabiliti
dalla Costituzione in questa materia, sono sottratti alla disponibilità delle parti 85.
2.6 Gli indici della subordinazione nell’elaborazione giurisprudenziale
La norma fornisce una distinzione piuttosto generica tra il lavoro
subordinato
e
quello
autonomo,
tanto
da
non
rendere
inquadrabile
immediatamente l’inserimento di un rapporto di lavoro, nell’una o nell’altra
fattispecie.
Tra le due tipologie si è andata ad incastrare una ampia “zona grigia” di cui
fanno parte tutti quei rapporti che presentano elementi dell’una o dell’altra
categoria 86.
Bisogna altresì considerare che spesso, il lavoro subordinato è volutamente
eluso dietro le sembianze di un rapporto di lavoro autonomo, con lo scopo di
sottrarlo alla rigida disciplina delle tutele e delle garanzie del primo, chiaramente
più onerose per il datore di lavoro.
La difficoltà di individuare una nozione unitaria di subordinazione e
l’insufficienza dei tradizionali criteri di discrezionalità a funzionare da soli, come
criteri di individuazione del lavoro subordinato, ha indotto la giurisprudenza (che
si trova sia a diretto contatto con il reale sia a dover rispondere a casi concreti e
mutevoli nel tempo), ad elaborare una serie di indici rilevatori, sussidiari rispetto
all’etero direzione 87.
Così sancisce una storica massima della Suprema Corte di Cassazione:
85
Cfr. GHERA E., op. cit., pag. 122
86
Cfr. DEL GIUDICE F., MARIANI F., IZZO F., op. cit., pag. 44
87
Cfr. TOSI P., op. cit., pag. 37
47
“Ogni attività umana economicamente rilevante può essere oggetto sia di
rapporto di lavoro subordinato sia di rapporto di lavoro autonomo, a seconda
delle modalità del suo svolgimento” 88.
Tale affermazione sottende quale principio generale, che all’interno del
nostro ordinamento, quello che effettivamente conta ai fini della qualificazione
del rapporto, è la concreta modalità di svolgimento della prestazione, che non
consente di dire che una determinata attività lavorativa possa essere solamente
autonoma o solamente subordinata 89.
Un’altra importante massima della Cassazione (che costituisce peraltro
orientamento maggioritario della giurisprudenza), indica quale peso attribuire
alla dichiarazione di volontà delle parti (il c.d. nomen iuris), ai fini della
qualificazione del contratto:
“Ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro come subordinato o
autonomo, il criterio del nomen iuris adottato dalle parti non ha valore
prevalente, dovendo la qualificazione medesima desumersi, oltre che dal dato
formale, dalle concrete modalità della prestazione e di attuazione del rapporto” 90.
Essendo il lavoratore subordinato il soggetto più debole contrattualmente,
nel diritto del lavoro si svaluta il momento del contratto per valorizzare quello
del rapporto in quanto ai fini della qualificazione giuridica del contratto è
considerato prevalente il dato sostanziale, rispetto al dato formale costituito dalla
volontà delle parti (v. il paragrafo 2.2 art. 1362 del Cod. civ., e Cfr. Corte di
Cassazione (Sez. lav.), sentenza del 9 febbraio 2009, n. 3175).
La qualificazione del rapporto di lavoro è un procedimento complesso
rimandato al giudizio del magistrato, il quale ha facoltà di inquadrare un
88
Cfr. Corte di Cassazione (Sez. lav.), sentenza del 11 novembre 1983, n. 6701 e Corte di
Cassazione (Sez. lav.), sentenza del 3 aprile 2000, n. 4036
89
Cfr. UNITELMA, Video lezione di Diritto del Lavoro, lezione 7
90
Cfr. Corte di Cassazione (Sez. lav.), sentenza del 27 novembre 2002, n. 16805
48
lavoratore come autonomo o come subordinato e di conseguenza riconoscergli o
meno le tutele di legge.
Gli indici sintomatici della subordinazione, vengono presi in considerazione
dalla
giurisprudenza,
secondo
un
preciso
ordine
gerarchico:
“criteri
assolutamente prioritari, propri del vincolo di subordinazione (assoggettamento
al potere direttivo, disciplinare e di controllo del datore di lavoro); i parametri
esterni del contenuto dell’obbligazione (collaborazione, inserimento, continuità)
in grado di sostituire l’indice principale o di compensarne l’attenuazione; i criteri
residuali (vincolo di orario, forma della retribuzione, incidenza del rischio,
oggetto della prestazione) capaci di rafforzare i precedenti, ma non di
sostituirli 91.”
In ogni caso, la sottoposizione alle direttive, al potere di controllo e al
potere disciplinare, secondo la Corte di Cassazione, rappresentano l’indice
dominante di subordinazione:
"l'elemento che contraddistingue il rapporto di lavoro subordinato rispetto
al rapporto di lavoro autonomo, assumendo la funzione di parametro normativo
di individuazione della natura subordinata del rapporto stesso, è il vincolo di
soggezione personale del lavoratore (che necessita della prova di idonei indici
rivelatori, incombente allo stesso lavoratore) al potere organizzativo, direttivo e
disciplinare del datore di lavoro, con conseguente limitazione della sua
autonomia ed inserimento nell'organizzazione aziendale. Pertanto, gli altri
elementi, quali l'assenza di rischio, la continuità della prestazione, l'osservanza di
un orario e la forma della retribuzione, ed eventuali altri, pur avendo natura
meramente sussidiaria e non decisiva, possono costituire gli indici rivelatori,
complessivamente considerati e tali da prevalere sull'eventuale volontà contraria
manifestata dalle parti, attraverso i quali diviene evidente nel caso concreto
91
Cfr. AMOROSO G., “et al”, Diritto del lavoro: la Costituzione, il Codice civile e le
leggi speciali, Milano, III ed., Giuffrè, vol. I, 2009, pag. 804
49
l'essenza del rapporto, e cioè la subordinazione, mediante la valutazione non
atomistica ma complessiva delle risultanze processuali” 92.
La sottomissione del “prestatore” al potere direttivo ed organizzativo del
datore di lavoro è intesa come la facoltà di quest’ultimo di determinare e definire
in ogni momento le modalità di esecuzione della prestazione, di modificare
unilateralmente l’oggetto dell’attività lavorativa e l’oggetto del contratto (Cfr.
Cass., sez. lav., 25 ottobre 2005 n.20659; Cass. 7 ottobre 2004, n. 20002, ecc.).
Il potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro deve
estrinsecarsi in ordini specifici (e non in semplici direttive, compatibili anche con
il lavoro autonomo), oltre che nell’assidua vigilanza e controllo delle prestazioni
lavorative, da valutarsi con riferimento alle peculiarità dell’incarico conferito al
lavoratore e alle modalità della sua attuazione (Cass. Sez. lav. 13 febbraio 2006,
n.3042) 93.
Vi sono delle posizioni lavorative, quali il lavoro dirigenziale, il lavoro
intellettuale, il lavoro effettuato all’esterno dei locali aziendali, che integrano la
cosiddetta subordinazione attenuata, la quale, anche in considerazione della
natura altamente specializzata della prestazione lavorativa (Cass. 9 giugno 1994,
n.5590; Cass. 14 aprile 1994, n.3497), è caratterizzata, da un lato, da ampi
margini
di
autonomia
(Cass.
16
febbraio
1990,
n.1159),
dall’altro,
dall’emanazione di indicazioni generali di carattere programmatico (Cass. 29
gennaio 1993 n. 1094).
In tali casi assumono rilevanza oltre la posizione del lavoratore all’interno
dell’organizzazione aziendale (Cass. 8 agosto 2005, n.16661), anche la
sussistenza di indici sussidiari, quali la predeterminazione della retribuzione, il
coordinamento dell’attività lavorativa con l’assetto organizzativo del datore di
lavoro e l’assenza di una pur minima organizzazione imprenditoriale e di rischio
in capo al lavoratore (Cass. 21 aprile 2005, n.8307).
92
Cfr. Corte di Cassazione (Sez. lav.), sentenza del 30 gennaio 2007, n. 1893
93
Cfr. AMOROSO G., “et al”, op. cit., pag. 804
50
Diviene quindi in questi casi complesso definire il discrimine tra attività di
lavoro subordinato ed attività di lavoro autonomo, in quanto le direttive
programmatiche ed il controllo sulla prestazione possono rappresentare elementi
propri anche dei rapporti estranei all’art.2094 del Cod. civ. (v. ad esempio la
disciplina dell’appalto o della prestazione d’opera di cui agli art. 2222 ss).
Fermo restando che nel lavoro subordinato le direttive imposte dal datore di
lavoro debbano essere tali da agire in stretta conformità, di volta in volta,
all’intrinseco svolgimento della prestazione (Cass. 1 marzo 2001, n.2970), la
giurisprudenza ha ritenuto non sussistere il vincolo di subordinazione qualora il
lavoratore possa rifiutare di adempiere alla prestazione, oppure sia investito di
autonomia nei tempi di consegna del lavoro assegnato (Cass. 16 ottobre 2006, n.
22129) 94.
Il potere direttivo diventa effettivo in quanto accompagnato dal potere
disciplinare, altro indice presuntivo del rapporto di lavoro subordinato. 95
Relativamente al potere di controllo del datore di lavoro, assume rilievo ai
fini della qualificazione del rapporto di lavoro subordinato, solo quando per
modalità ed oggetto, esso sia finalizzato all’esercizio del potere direttivo (cfr.
Cass. Sez. lav. n.5534/03).
Il datore di lavoro relativamente al lavoro autonomo non può andare a
sindacare il “modus” dell’attività lavorativa, ma solo la conformità del prodotto
finito pattuito nel programma negoziale; viceversa, relativamente al lavoratore
subordinato, il datore può invece sindacare le modalità di svolgimento
dell’attività stessa.
Un altro indice presuntivo del rapporto di lavoro subordinato è
l’autorizzazione; infatti la necessità di chiedere un’autorizzazione per ferie, per
94
Cfr. AMOROSO G., “et al”, op. cit., pp. 804-805
95
Cfr. DEL GIUDICE F., MARIANI F., IZZO F., op. cit., pp. 38-39
51
pausa di lavoro, ecc., sono tutti elementi qualificatori di una sottoposizione nei
confronti del datore di lavoro 96.
I rilievi del controllo e dell’autorizzazione sono entrambi centrali perché
per esempio in caso di malattia, l’attività da parte del lavoratore è sospesa
temporaneamente, ma permangono i poteri di accertamento esercitati dal datore
di lavoro (infatti, in caso di malattia il datore di lavoro può inviare la visita
fiscale al dipendente). Chiaramente, questo potere di controllo, non esiste
riguardo al lavoratore autonomo.
Può accadere, tuttavia, che in ordine ad un giudizio di qualificazione non
vengano in rilievo l’esercizio del potere direttivo, disciplinare, di controllo e di
autorizzazione da parte del datore di lavoro. In mancanza di questi elementi
probatori la subordinazione deve essere ricercata a mezzo di altri criteri
distintivi 97.
La giurisprudenza oltre all’eterodirezione, attribuisce rilevanza anche
all’inserzione
funzionale
del
lavoratore,
(continuativa
e
sistematica),
nell’organizzazione del datore di lavoro, in termini e modalità non uniformi,
ritenendo che lo stesso:
a) rappresenti un elemento essenziale della fattispecie soprattutto in
riguardo alle prestazioni intellettuali e nelle ipotesi di subordinazione
attenuata (Cass. 7 novembre 2001, n. 13778);
b) si identifichi con l’assoggettamento al potere direttivo del datore di
lavoro (Cass. 13 maggio 2004, n. 9151);
c) Costituisca un indice sussidiario della subordinazione (Cass. 27
febbraio 2007, n. 4500) 98.
96
Cfr. UNITELMA, Video lezione di Diritto del Lavoro, lezione 7
97
Cfr. UNITELMA, Video lezione di Diritto del Lavoro, lezione 7
98
Cfr. AMOROSO G., “et al”, op. cit., pp. 804-805
52
“Quando la distinzione tra rapporto di lavoro autonomo e subordinato non
risulti agevole alla luce di criteri univoci come l'esercizio di potere direttivo e
disciplinare da parte del datore di lavoro (la cui esistenza è sicuro indice di
subordinazione, mentre la relativa assenza non è sicuro indice di autonomia)”
vengono in rilievo, ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro, gli altri
indici giurisprudenziali (indici sussidiari) 99.
Gli elementi considerati comunemente come indici sussidiari della
subordinazione sono: l’osservanza dell’orario di lavoro; il luogo dello
svolgimento della prestazione; l’esclusività dell’attività lavorativa; la forma fissa
e continuativa della retribuzione.
A seguito della diffusione di tipologie di lavoro diverse, rispetto a quelle
standard, la rilevanza di taluni elementi, in origine ritenuti sintomatici di
subordinazione, è divenuta nel tempo oggetto di una interpretazione meno
rigorosa.
L’osservanza di un orario fisso e predeterminato acquisisce rilevanza
nell’ipotesi in cui determini l’assenza di ogni diversa determinazione in capo al
prestatore di lavoro, assumendo altrimenti, mera natura sussidiaria e non decisiva
(Cass. Sez. lav., 9 ottobre 2006, n.21646). La giurisprudenza a tale proposito ha
precisato che: “la previsione di un orario rigido per la prestazione lavorativa non
è indice dell’estrinsecazione del potere direttivo (dunque della natura subordinata
del rapporto), quando inerisca alla prestazione richiesta, nel senso cioè che
quest’ultima, per essere utilmente ricevuta, debba essere espletata, per sua natura,
in tempi non
modificabili, che anche il lavoratore autonomo è tenuto a
rispettare” (Cass., sez. lav. 09 dicembre 2002, n. 17534) 100. Per contro, l’assenza
di un vincolo di orario predeterminato non è in sé sufficiente ad escludere
l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato (Cass. 26 novembre 1986,
n.6985).
99
Cfr. Corte di Cassazione (Sez. lav.), sentenza del 27 marzo 2000, n. 3674
100
Cfr. AMOROSO G., “et al”, op. cit., pp.805-806
53
Anche il luogo di svolgimento della prestazione lavorativa, che nella
giurisprudenza passata assumeva il valore di indice della sussistenza della natura
subordinata del rapporto di lavoro, è attualmente meno determinante, essendo
ben compatibile con la subordinazione lo svolgimento di una prestazione di
lavoro in locali diversi da quelli di pertinenza del datore di lavoro (come avviene
nel caso del telelavoro). Nelle ipotesi di appalto di servizi, laddove i lavoratori
sono adibiti allo svolgimento della prestazione presso i locali dell’appaltatore, la
giurisprudenza ha confermato la sussistenza del vincolo di subordinazione anche
nell’ipotesi in cui il datore di lavoro abbia delegato il potere direttivo al soggetto
appaltante, sempre che la prestazione sia di contenuto elementare e non esiga
precisi ordini e direttive oltre al tempo e al luogo della prestazione (Cass., sez.
lav., 13 febbraio 2006, n. 3042).
L’esclusività della prestazione lavorativa rappresenta requisito necessario e
caratterizzante del solo lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione,
nell’ipotesi in cui il lavoratore svolga la prestazione a tempo pieno. Nel lavoro
privato, invece, la giurisprudenza tende ad attribuire rilevanza solamente
indiziaria all’esclusività della prestazione, ai fini della sussistenza di un rapporto
subordinato (Cass., sez. lav., 23 luglio 2004, n.13872).
Anche le modalità di erogazione della retribuzione (natura fissa e
predeterminata
della
retribuzione,
corresponsione
della
tredicesima
e
quattordicesima mensilità), rappresentano un indice indiziario di subordinazione,
il quale, in concorrenza con altri elementi, può acquisire rilevanza ai fini
dell’accertamento della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato (Cass.
28 settembre 2006, n.21028) 101.
Ancora l’assunzione o meno del rischio d’impresa, consente di ricondurre o
meno nell’alveo della subordinazione, un rapporto di lavoro. Il lavoratore
autonomo lavorando sul mercato è soggetto alla concorrenza, viceversa quando il
101
Cfr. AMOROSO G., “et al”, op. cit., pp. 806-807
54
reddito dipende esclusivamente da un determinato soggetto, il lavoro sarà da
considerarsi subordinato.
Inoltre, mentre nel rapporto di lavoro autonomo l’obbligazione di lavoro
non si raffigura (il committente acquista il risultato), nel rapporto di lavoro
subordinato, l’obbligazione si configura nel mettere a disposizione le proprie
energie (il datore di lavoro acquista le energie del dipendente).
Un altro elemento caratterizzante della prestazione di lavoro subordinato è
la messa a disposizione del tempo di lavoro da modellare mediante il potere
direttivo. Se il datore di lavoro non impartisce ordini al lavoratore è comunque
tenuto a retribuire il tempo che questi gli ha messo a disposizione; se invece il
prestatore di lavoro autonomo non lavora non riceverà il compenso perché il
datore di lavoro non è tenuto a corrisponderlo.
L’incorporazione nel contratto dello statuto protettivo, concepito a sua volta
come “status sociale del lavoratore disciplinato dalla legge, e dal contratto
collettivo”, è una caratteristica intrinseca del modello codicistico (oltre che del
modello storico del diritto del lavoro).
Da un punto di vista non solo giuridico, ma anche sociologico, il modello
codicistico imperniato sul lavoro nell’impresa rimane l’espressione di un sistema
binario nel quale l’alternativa tra subordinazione e autonomia, riassume
l’universo dei rapporti di lavoro (dei tipi contrattuali).
All’interno di questa dicotomia, l’attività negoziale dei privati, si presenta
rivolta alla costituzione dei rapporti di lavoro ed al loro regolamento; in
particolare alla scelta tra il tipo di lavoro subordinato (e la sua tutela) e il tipo di
lavoro autonomo (e la sua assenza di tutela) 102.
Nell’operare della giurisprudenza, è sempre presente il distacco dalla
volontà dichiarata dalle parti in merito alla qualificazione del rapporto (non solo
quella dichiarata ma anche quella effettiva, sia essa simulata o fraudolenta), a cui
102
Cfr. GHERA E., op. cit., pag. 130
55
viene attribuito valore secondario e irrilevante, al fine dell’accertamento della
reale natura del rapporto. Proprio questa attitudine ad operare per via di
sostituzione del regolamento legale tipico alla volontà regolatrice delle parti,
spiega la resistenza alla proposta della volontà assistita, che aveva il pregio di
recuperare il rapporto codicistico tra il 1° e il 2° comma dell’art. 1362 Codice
civ..
Questo input, recepito poi nell’ordinamento in modo debole, si
concretizzava
nella
certificazione
dei
contratti,
sottolineando
così
l’indisponibilità della dottrina (in coerenza con la tesi di tassatività del tipo), di
adeguarsi efficacemente alla mutata realtà socio economica 103.
2.7 Crisi del concetto di subordinazione. Emersione del lavoro autonomo
coordinato e continuativo ed il difficile inquadramento sistematico del
lavoro a progetto.
Di crisi del concetto di subordinazione, ha iniziato a parlare la dottrina fin
dagli anni 80, quando ormai poteva dirsi compiuto il processo di appannamento
dello stereotipo del lavoratore subordinato, su cui era stato costruito il c.d. tipo
legale riconducibile all’art. 2094 del Cod. civile.
Come già detto, l’elemento che assume la funzione di parametro normativo
per l’individuazione della natura del rapporto, è l’assoggettamento del lavoratore
al potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro (con conseguente
limitazione della sua autonomia e contestuale inserimento nell’organizzazione
aziendale), che deve essere concretamente apprezzato in relazione all’incarico del
lavoratore e della sua attuazione 104.
L’accertamento del requisito della collaborazione e della continuità è
indipendente dal concreto atteggiarsi del potere direttivo del datore di lavoro, il
quale non si esplica necessariamente mediante ordini continui e dettagliati; la
subordinazione può infatti concretizzarsi nell’osservanza di direttive impartite
103
Cfr. PESSI R., op. cit., pag. 70
104
Cfr. GHERA E., op. cit., pag. 132
56
dal datore di lavoro in via soltanto programmatica; e analogamente l’inserimento
del lavoratore nell’organizzazione datoriale, va inteso in funzione dei risultati che
il datore di lavoro si propone di conseguire per il proprio profitto
(a suo
esclusivo rischio).
Negli anni più recenti, per effetto dei processi di terziarizzazione ed
esternalizzazione, si percepisce anche nelle massime giudiziarie un’apertura a
rivedere il concetto della “subordinazione”; accanto al modello tradizionale della
“subordinazione-eterodirezione”, si avverte l’importanza di un modello
organizzativo diverso, ovvero quello della “subordinazione-coordinamento”, che
si può definire flessibile, poiché caratterizzato dalla sottoposizione del lavoratore
al mero controllo sul risultato finale, quantitativo o qualitativo della prestazione,
e in definitiva
compatibile con un livello elevato di autoregolazione (c.d.
autonomia nella subordinazione) 105.
Gli ultimi decenni del secolo scorso sono stati caratterizzati dall’ampliarsi
di una emergente categoria di lavoratori, compresi tra la roccaforte della
subordinazione e la periferia dell’autonomia: i lavoratori “parasubordinati”, che
sebbene figure di costruzione prettamente giurisprudenziale e dottrinale, hanno
trovato riscontro nell’art. 409 c.p.c. 106.
Insieme al progredire della crisi di concetto, è cresciuto il ricorso da parte
del legislatore a formule di rapporto di lavoro definite “speciali”, le quali vanno
consolidando una chiara tendenza alla formazione di statuti giuridici separati 107.
Scriveva Massimo D’Antona nel 1998: […] “La crisi di identità del diritto
del lavoro è legata a una trasformazione del suo oggetto, ossia del lavoro
subordinato, (ovvero del lavoro di cui tradizionalmente si è occupato il diritto del
lavoro). Anzi, di lavoro subordinato, sembra se ne trovi sempre di meno, almeno
nelle società postindustriali europee, e inoltre, dove se ne trova esibisce
105
Cfr. GHERA E., op. cit., pag. 133
106
Cfr. DEL GIUDICE F., MARIANI F., IZZO F., op. cit., pag. 46
107
Cfr. TOSI P., op. cit., pag. 34
57
caratteristiche non facilmente riconducibili al modello tradizionale. Di qui il
dibattito sulla tenuta, e sulla eventuale revisione, dei criteri normativi di
identificazione della subordinazione.
E non manca chi sostiene che in Europa di lavoro subordinato, se ne trova
sempre di meno proprio perché tra chi offre il proprio lavoro e chi ha i mezzi e i
capitali per impiegarlo per trarne profitto, si frappone il diritto del lavoro,
anziché il libero contratto, che invece prevale nel vasto campo del lavoro
autonomo.
Il diritto del lavoro sarebbe quindi assimilabile ad una fase infantile della
giuridificazione del mercato del lavoro, da superare in nome di una maturità
ormai raggiunta; che reclamerebbe la restituzione, al dominio della libertà
contrattuale delle parti, delle diverse forme di lavoro, subordinato o autonomo 108.
2.8 Subordinazione attenuata: dal ‘68 al concetto di subordinazione
attenuata post-industriale
Chi non dispone dei mezzi di produzione non ha potere di contrattare
individualmente le condizioni […] del suo impiego. Di conseguenza affida alla
legge […] il compito di riequilibrare la situazione di disparità.
Nel nostro sistema giuridico, l’esercizio di questa funzione legislativa,
risente ancora oggi della cultura egualitarista imposta dai movimenti del ’68, che
dal mondo universitario si è trasferita a quello delle fabbriche.
Tale concezione si è tradotta nell’aver fatto coincidere gli obiettivi
prefissati dai sindacati, con la rigida ed uniforme conformazione del trattamento
salariale e normativo in generale, così da sancire, nel nostro sistema, la
prevalenza del momento collettivo su quello individuale, in controtendenza con i
108
Cfr. D’ANTONA M., Diritto del lavoro di fine secolo: una crisi di identità, in Rivista
Giuridica del Lavoro e della Previdenza Sociale, Roma, Ediesse, vol. XLIX, fasc. II, pp. 311331, 1998
58
paesi anglosassoni, inclini invece ad esaltare la competizione in ogni fascia
sociale e non la mera uniformità di trattamento 109.
Questi principi hanno inevitabilmente portato all’introduzione di un sistema
a pioggia, anche riguardo al sistema di finanziamento delle imprese, a partire
dallo strumento dell’integrazione salariale, che si è progressivamente,
trasformato in un mezzo di prolungamento inesorabile di agonie industriali,
protratto nel tempo senza alcuna vera strategia selettiva che potesse comunque
far intravedere una ripresa.
Inoltre, l’inadeguatezza di questo modello contemporaneo di interessi è
stato ulteriormente accentuato da due orientamenti applicativi: le già menzionate
politiche salariali (ovvero la forte rivendicazione di un principio di parità di
retribuzione tra dipendenti, - assistito dal potere del giudice di sindacare nel
merito anche scelte di autonomia privata), e la tutela contro i licenziamenti, che,
così come portate avanti di fatto nelle aule giudiziarie (prendendo spunto
dall’oggettiva indeterminazione dei concetti di giusta causa e giustificato motivo,
e la costante variabilità
delle interpretazioni giurisprudenziali al riguardo),
hanno finito per esasperare la questione della rilevanza dell’apparato
sanzionatorio di cui all’art. 18 della legge 300 del 1970 110.
È ancora da considerare che il netto ripudio di qualsiasi forma di
misurazione reale della produttività individuale, l’assenza di forme di
incentivazione premiale del merito effettivo e l’intransigente protezione del posto
di lavoro, sono le ulteriori conseguenze delle battaglie egualitariste sessantottine,
che hanno contribuito a creare il mito del lavoro inteso come posto fisso con una
retribuzione a pioggia, indipendente dalle reali qualità dell’apporto dato dal
lavoratore stesso.
109
Cfr. MARAZZA M., La crisi dell’egualitarismo sessantottino nella società del lavoro
“borghese”: la subordinazione attenuata dell’epoca postindustriale, in Argomenti di Diritto del
Lavoro, Padova, CEDAM, 2007, pp. 928-929
110
Cfr. MARAZZA M., op. cit., pag. 931
59
Tale situazione di immobilismo sociale ed economico, si è tradotto in
reazioni, talvolta scomposte, del sistema economico, con il proposito di poter
superare il potere di veto dei sindacati e cercare di sopravvivere ai totem
ideologici delle discipline sul licenziamento e sulle politiche salariali rigide
descritte.
Negli anni ‘90 inizia così la stagione delle paventate riforme del mercato
del lavoro; il legislatore, nel tentativo di ricondurre a sistema la fuga delle
imprese dal lavoro subordinato, non prende in considerazione l’ipotesi di dotare
le prestazioni d’opera coordinate e continuative (nate nel 1973), di una
regolamentazione protezionistica coerente con tale struttura, ma si limita a
definire i parametri della retribuzione (determinabile in funzione del risultato),
delle protezioni attenuate o meglio assenti (non protette dalla sanzione del
reintegro); tale atteggiamento distaccato del legislatore, si traduce in un
orientamento ideologico che porta, negli anni ‘90 ad ignorare il fenomeno,
rendendolo così socialmente ingestibile, e successivamente negli anni a venire,
ad eliminarlo d’imperio con la progressiva soppressione della collaborazione
coordinata continuativa (trasformata in lavoro a progetto nei primi anni del 2000
con l’avvento della legge Biagi). 111
La rigidità della disciplina del lavoro subordinato e l’impossibilità di
mettere in discussione i privilegi di una ampia parte di lavoratori, ha spinto il
conflitto tra gli stessi ad assumere i lineamenti di un vero e proprio scontro
generazionale.
I modelli di produzione centralizzati e fortemente gerarchizzati ai quali si
era ispirato il codificatore del 1942, nonché successivamente la legislazione,
sono stati superati dall’evoluzione dei modi di produrre e di lavorare, […] al
punto che il contratto di lavoro subordinato stabile (a tempo pieno e
111
Cfr. MARAZZA M., op. cit., pp. 932-933
60
indeterminato), non costituisce più ormai la figura centrale del diritto del
lavoro 112.
È con le trasformazioni dell’economia di mercato e dell’organizzazione
delle imprese (che si concretizzano a partire dalla metà degli anni ‘80), che il
dibattito sulla qualificazione e sul metodo tipologico classico riacquista attualità
e vigore.
Tali trasformazioni proseguiranno anche dopo l’anno 2000 di fronte al
proliferare e alla giuridificazione dei rapporti di lavoro c.d. atipici, nonché alle
trasformazioni e smaterializzazioni dell’impresa-organizzazione.
Il diritto del lavoro viene così ad essere afflitto da una crisi dei concetti
tradizionali, indotta dall’evoluzione tecnologica e delle tecniche di produzione.
Il nuovo contesto porterà ad evidenziare le ragioni che rendono difficoltoso
l’uso del metodo tipologico nel procedimento di qualificazione del contratto di
lavoro subordinato; ma ancor più ad affermare come sia inaccettabile che il
compito di tracciare i confini soggettivi del diritto del lavoro finisca per essere
condizionato, in modo significativo, da una questione di metodo, determinando
nei confronti di quest’ultimo un grande sovraccarico di responsabilità 113.
2.9 La riforma del mercato del lavoro
La riforma del mercato del lavoro nel nostro Paese, rappresenta un vero e
proprio nervo scoperto, con cui si sono dovuti confrontare governi e parti sociali,
negli ultimi vent’anni, nel tentativo di rispondere alle indicazioni provenienti
dalle convenzioni e raccomandazioni dell’Organizzazione Internazionale del
Lavoro, nonché del Consiglio Europeo di Lisbona (23, 24 marzo 2000) e di
Stoccolma (23, 24 marzo 2001), che si posero quale obiettivo per l’Unione
Europea, quello del conseguimento, entro il 2010 di un tasso di occupazione
attorno al 70%.
112
113
Cfr. PESSI R., op. cit., pag. 49
Cfr. PESSI R., op. cit., pp. 55-56;
61
Legislatore e organi di governo italiani, per perseguire tale obiettivo, si
sono orientati verso interventi atti a ridurre le rigidità nei processi di accesso e
uscita dal mercato del lavoro, individuate come la causa principale della
stagnazione della situazione economica.
Il primo tentativo di scardinare la resistenza del sistema, perseguendo un
compromesso tra le spinte verso una maggiore flessibilità proveniente dal mondo
imprenditoriale e le esigenze di garantismo consolidate nella cultura del
movimento sindacale, si ebbe con la legge 196/1997 (nota come “Pacchetto
Treu”). Tale norma introdusse l’importante novità del lavoro interinale,
allargando ulteriormente le possibilità di impiego a termine e a tempo parziale.
Inoltre affidò nuova importanza ai servizi pubblici per l’impiego, favorendo
l’adozione di contratti a tempo ridotto, ridisegnò i principi guida della
formazione professionale da integrare con il sistema scolastico anche attraverso il
ricorso allo stage, e incentivò le attività formative svolte e coordinate dalle
Regioni e dalle Province.
Ma il vero punto di svolta si ebbe qualche anno dopo, con la pubblicazione
nel 2001 del “Libro Bianco sul mercato del lavoro in Italia”, redatto da un gruppo
di studio, di cui fece parte il giuslavorista Marco Biagi. Il testo traccia la linea, su
cui si andranno ad attestare le successive riforme, nel tentativo di ridisegnare i
confini tra autonomia e subordinazione, tra lavoro tutelato e lavoro non tutelato,
tra maggiore flessibilità e posto fisso.
Così, il d.lgs del 10 settembre 2003, n. 276, in attuazione della legge del 14
febbraio 2003 n.30 (cd. Legge Biagi), fu il primo vero grande intervento mosso
dal legislatore in tal senso 114.
Il decreto, partendo dal presupposto che una maggiore flessibilità in
ingresso nel mercato del lavoro, potesse favorire la creazione di occupazione,
introdusse
molti
nuovi
contratti
e
novità:
dalla
somministrazione
114
Cfr. PASSERINI W., Dieci anni di legge Biagi in Italia. Così è cambiato il mercato
del lavoro, La Stampa, 23 ottobre 2013
62
all’apprendistato, dal contratto di lavoro ripartito al lavoro intermittente, dal
lavoro accessorio occasionale, al contratto a progetto 115.
Michele Tiraboschi, allievo di Marco Biagi, ha evidenziato come tale
riforma sia stata ostacolata sin dagli albori, nella sua piena attuazione, da un
“blocco sociale e intellettuale di opposizione”, che riteneva avrebbe condotto il
mercato del lavoro verso la “precarizzazione” dei lavoratori, partendo dalla
convinzione (mai dimostrata a suo dire), che l’unico contratto buono di lavoro
fosse quello a tempo indeterminato, mentre tutto il resto è “precariato”.
Inoltre precisa, come il nucleo fondamentale, della legge, era in realtà
basato su un principio piuttosto semplice: un lavoro regolare è molto meglio di
nessun lavoro, della disoccupazione, dell’inattività o del lavoro nero.
Per questo motivo, il dettato normativo della legge Biagi mirò a valorizzare
tutta una serie di forme contrattuali inclusive e non “precarizzanti”, e lo fece in
un momento in cui quasi un quarto del mercato del lavoro italiano era sommerso,
due milioni di giovani erano senza lavoro e solo un italiano su due era inserito
nel circuito del lavoro regolare 116.
L’obiettivo finale era quello di garantire a ogni lavoratore non tanto un
unico posto di lavoro a vita, quanto un’attività lavorativa caratterizzata da
mansioni, luoghi e datori di lavoro differenti, in un continuo processo di
formazione e crescita professionale, superando definitivamente il concetto
tradizionale di “posto fisso” 117.
Contro questo impianto, sostiene Tiraboschi, si sarebbe combattuta una
battaglia ideologica il cui esito finale è stata la legge Fornero (legge 28 giugno
2012, n.92), una riforma che ha fatto fare marcia indietro rispetto al percorso sino
115
Cfr. PASSERINI W., Dieci anni di legge Biagi in Italia. Così è cambiato il mercato
del lavoro, La Stampa, 23 ottobre 2013
116
Cfr. TIRABOSCHI M., A dieci anni dall’entrata in vigore della legge voluta da
Marco Biagi per riformare il mercato del lavoro italiano, il suo spirito è ancora più attuale che
mai, a cura di RIGAMONTI M., in www.tempi.it, 24 ottobre 2013
117
Cfr. ACCORNERO A., La “Legge Biagi”, anatomia di una riforma, Editori riuniti,
Roma, 2006, pp. 96-115
63
ad allora intrapreso in Italia in materia di lavoro, limitando il contratto a progetto,
l’associazione in partecipazione, il contratto a termine, quello a chiamata, i buoni
lavoro, abrogando l’inserimento e restringendo la possibilità di ricorrere ai
tirocini formativi 118.
La legge n.92/2012, viene varata a dieci anni dalla legge Biagi, e la sua
impostazione è sintetizzata nell’art. 1, che mostra la volontà di “realizzare un
mercato del lavoro inclusivo e dinamico, in grado di contribuire alla creazione di
occupazione”, favorendo “l’instaurazione di rapporti di lavoro più stabili e
ribadendo il rilievo prioritario del lavoro subordinato a tempo indeterminato”,
che torna in questo modo a rappresentare il “contratto dominante” in materia di
lavoro. Vengono in qualche modo rideterminati i confini del concetto di
flessibilità.
Le direttrici su cui si orientò la riforma Fornero, furono sostanzialmente tre:
la riduzione del differenziale di protezione tra i lavoratori assunti con contratto di
lavoro subordinato standard a tempo pieno e indeterminato e i lavoratori assunti
con contratti flessibili o non subordinati; rendere più dinamico il mercato del
lavoro attuando un bilanciamento tra flessibilità in entrata (con la possibilità di
assunzione con contratti temporanei e flessibili) e flessibilità in uscita (con la
possibilità di licenziare per motivi economici); riformare gli ammortizzatori
sociali, rendendoli maggiormente inclusivi secondo il cd. principio di
universalità 119.
L’idea originaria era quella, da un lato, di favorire un drastico superamento
delle resistenze interessanti la disciplina dei licenziamenti (attraverso la modifica
dell’art.18 dello Statuto dei Lavoratori), dall’altro di operare un contrasto
efficace agli abusi di forme di contratto di lavoro non standard, come le
118
TIRABOSCHI M., A dieci anni dall’entrata in vigore della legge voluta da Marco
Biagi per riformare il mercato del lavoro italiano, il suo spirito è ancora più attuale che mai, a
cura di RIGAMONTI M., in www.tempi.it, 24 ottobre 2013
119
Cfr. MAIO V., La riforma del mercato del lavoro nella legge 28 giugno 2012, n. 92
64
collaborazioni continuative, o l’associazione in partecipazione, mediante una
nuova regolamentazione delle tipologie contrattuali 120.
La riforma Fornero, si è orientata così, verso il principio di una maggiore
flessibilità in uscita e una minore flessibilità in entrata.
2.10 Il Jobs Act
Dopo la riforma elaborata dal Ministro Fornero, e le successive
modificazioni ed integrazioni apportate dal Governo Letta, un nuovo programma
di rinnovamento del mercato del lavoro e del welfare, si è andato a delineare per
mano del Governo Renzi: il cd. Jobs Act.
Il Jobs Act è una riforma del diritto del lavoro che si sviluppa in due fasi: la
prima ha come obiettivo, quello di intervenire d’urgenza su un mercato in reale
difficoltà a causa degli elevatissimi tassi di disoccupazione; la seconda persegue
lo scopo di ridisegnare il quadro complessivo della normativa sul lavoro.
Il decreto legge 20 marzo 2014 n.34, in materia di “Disposizioni urgenti per
favorire il rilancio dell’occupazione e per la semplificazione degli adempimenti a
carico delle imprese”, convertito dalla legge 16 maggio 2014 n.78, ha
rappresentato il primo atto di questa significativa metamorfosi, mediante
interventi volti a semplificare il ricorso a tipologie contrattuali quali il lavoro a
tempo determinato, la somministrazione e l’apprendistato 121.
Successivamente, è stata emanata la legge 10 dicembre 2014 n.183 (in
vigore dal 16 dicembre 2014), con la quale vengono conferite al governo le
deleghe per: a) riforma degli ammortizzatori sociali; b) riforma dei servizi per il
lavoro e politiche attive; c) riordino della disciplina dei rapporti di lavoro; d)
riforma dell’attività ispettiva; e) riforma di tutela e conciliazione delle esigenze
120
Cfr. ICHINO P., Dalla riforma Fornero al Jobs Act, in Harvard Business Review,
n.1/2 2015
121
Cfr. MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI, Circolare n.18,
30 luglio 2014
65
di cura, di vita e di lavoro. Tale legge, che costituisce la seconda parte del Jobs
Act, si propone di modificare in modo consistente la normativa sul lavoro in
diversi ambiti, demandando a successivi decreti attuativi il completamento della
riforma 122.
I primi provvedimenti contenuti nel Jobs Act sono stati licenziati dal
Consiglio dei Ministri in data 20 febbraio 2015, approvando la versione
definitiva dei decreti attuativi relativi al “contratto di lavoro a tempo
indeterminato a tutele crescenti” e in materia di “ammortizzatori sociali in caso
di disoccupazione involontaria e di ricollocazione dei lavori disoccupati”; inoltre
in via preliminare il Governo ha presentato il decreto delegato in materia di
“riordino delle tipologie contrattuali e di revisione della disciplina delle
mansioni” e la bozza del decreto legislativo in materia di “conciliazione dei
tempi di vita e di lavoro” 123.
Con il decreto sul riordino delle tipologie contrattuali (ancora in fase di
esame), la riforma persegue l’obiettivo da un lato di accrescere la flessibilità
nella gestione del rapporto e dall’altro, di attuare una consistente semplificazione
delle tipologie esistenti, per prevenire abusi e ridurre le cause di litigiosità.
Tiziano Treu, in un recente articolo, ha evidenziato come la necessità di una
revisione del sistema contrattuale vigente, era segnalata da tempo dagli operatori,
per l’esigenza di adattamento alla mutevole realtà produttiva, anche perché gli
interventi legislativi degli ultimi anni, hanno prodotto un moltiplicarsi di forme
contrattuali, che non hanno comunque agevolato la gestione dei rapporti di
lavoro, o aumentato le opportunità di occupazione 124.
La semplificazione è attuata dal decreto, con varie modalità.
122
Cfr. ICHINO P., Dalla riforma Fornero al Jobs Act, in Harvard Business Review,
n.1/2 2015
123
Cfr. GOVERNO ITALIANO, Consiglio dei Ministri n.51 – Lavoro e concorrenza, 20
febbraio 2015
124
Cfr. TREU T., Jobs Act, il riordino dei contratti di lavoro in attesa del parere delle
Camere, in Guida al lavoro, n.10, 6 marzo 2015, pag. 60
66
Innanzitutto, in coerenza con le indicazioni europee ed in linea con la
precedente riforma Fornero, viene sancito che “il contratto di lavoro subordinato
a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di lavoro”.
Quindi, nell’ottica della semplificazione, si opera verso il superamento di
alcuni tipi, quali: i contratti di associazione in partecipazione con apporto di
lavoro ed il job sharing.
Vengono invece confermati dalla bozza di decreto: i contratti a tempo
determinato (cui non sono apportate modifiche sostanziali); di somministrazione
(dove, per la somministrazione a tempo indeterminato “staffleasing”, verranno
tolte
le
causali);
a
chiamata
(confermando
anche
l’attuale
modalità
tecnologica, sms, di tracciabilità dell’attivazione del contratto); il lavoro
accessorio “voucher” (per il quale verrà elevato il tetto dell’importo per il
lavoratore fino a 7.000 euro, restando comunque nei limiti della no-tax area,
nonché introdotta la tracciabilità con tecnologia sms come per il lavoro a
chiamata); l’apprendistato (per il quale è prevista la semplificazione
relativamente al primo e terzo livello, riducendone anche i costi per le imprese
che vi fanno ricorso); il part-time (con la definizione dei limiti e delle modalità
con cui, in assenza di previsioni al proposito del contratto collettivo, il datore di
lavoro può chiedere al lavoratore lo svolgimento di lavoro supplementare).
Inoltre viene normata la possibilità, per il lavoratore, di richiedere il
passaggio al part-time in caso di necessità di cura connesse a malattie gravi o in
alternativa alla fruizione del congedo parentale.
Anche il transito da una mansione all’altra diventerà più semplice, con la
possibilità di demansionamenti, in caso di riorganizzazione, ristrutturazione o
conversione aziendale, nell’interesse del lavoratore alla tutela del posto di lavoro,
entro limiti predeterminati 125.
125
Cfr. GOVERNO ITALIANO, Consiglio dei Ministri n.51 – Lavoro e concorrenza, 20
febbraio 2015
67
Ma il nodo più discusso, come sottolinea Tiziano Treu, riguarda la nuova
regolazione delle collaborazioni, in particolare dei contratti a progetto.
Il concetto di “progetto” si è rivelato infatti un requisito inadatto ad evitare
distorsioni, in quanto spesso dai connotati evanescenti, fonte di litigiosità ed
inutili complicazioni (come del resto le partite Iva), soprattutto per i giovani 126.
In quest’ottica, a partire dall’entrata in vigore del decreto, il legislatore ha
stabilito che non potranno più essere attivati nuovi contratti di collaborazione a
progetto, e nel periodo transitorio, quelli già in essere proseguiranno sino alla
scadenza, in attesa di una ridefinizione del confine tra lavoro subordinato ed
autonomo (con la predisposizione di indici presuntivi relativi) 127.
L’obiettivo del Governo, con questa importante riforma, è quello
sostanzialmente di far confluire gran parte dei collaboratori a progetto, nell’area
del nuovo “contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti”.
Per ottenere tale risultato il decreto non fa ricorso a presunzioni legali,
come nel caso della legge Fornero, ma all’utilizzo di due strumenti fondamentali,
quali: la previsione di convenienza del nuovo contratto a tutele crescenti dal
punto di vista economico con una consistente riduzione dei costi (rendendolo più
competitivo con il contratto a termine e persino all’apprendistato), e l’inferiore
rigidità della disciplina dei licenziamenti, con il minor rischio per il datore di
lavoro di vedersi reintegrato il lavoratore licenziato ingiustificatamente 128.
Il decreto attuativo del Jobs Act sul “contratto di lavoro a tempo
indeterminato a tutele crescenti” è ufficialmente entrato in vigore il 7 marzo
2015; le sue norme, che stabiliscono una nuova disciplina dei licenziamenti
individuali e collettivi, si applicheranno a tutti gli impiegati, operai e quadri
assunti o trasformati a tempo indeterminato dopo tale data. Ad esserne esclusi
126
Cfr. TREU T., Jobs Act, il riordino dei contratti di lavoro in attesa del parere delle
Camere, in Guida al lavoro, n.10, 6 marzo 2015, pag. 60
127
Cfr. POGLIOTTI G., TUCCI C., Tempo determinato, il tetto resta a 36 mesi, in Il sole
24 ore, n. 49, giovedì 19 febbraio 2015, pag. 8
128
Cfr. TREU T., Jobs Act, il riordino dei contratti di lavoro in attesa del parere delle
Camere, in Guida al lavoro, n.10, 6 marzo 2015, pag. 60
68
sono i dipendenti pubblici (oggetto di specifica riforma in via di elaborazione da
parte del Governo), i lavoratori domestici, gli sportivi, i lavoratori in prova, i
lavoratori in età pensionabile.
Il nuovo dettato normativo, stabilisce che, in aziende che hanno più di 15
dipendenti a livello comunale o più di 60 a livello complessivo, in caso di
licenziamento discriminatorio (ovvero determinato da motivi di ordine sessuale,
politico razziale, linguistico, ecc.), nullo (in violazione ad esempio delle norme a
tutela della maternità) o intimato in forma orale, resta la possibilità del giudice di
decidere il reintegro in azienda.
Mentre per i licenziamenti disciplinari, la reintegrazione resta solo quando
sia accertata “l’insussistenza del fatto materiale contestato”.
Negli altri casi in cui si appuri che non ricorrano gli estremi del
licenziamento per giusta causa o giustificato motivo, ovvero i cosiddetti
“licenziamenti ingiustificati”, viene introdotta una tutela risarcitoria certa,
commisurata all'anzianità di servizio e, quindi, sottratta alla discrezionalità del
giudice. La regola applicabile ai nuovi licenziamenti è quella del risarcimento in
misura pari a due mensilità per ogni anno di anzianità di servizio, con un minimo
di 4 ed un massimo di 24 mesi (da qui la dicitura “tutele crescenti” che viene data
a tale tipologia di contratto) 129.
Inoltre, per evitare di andare in giudizio si potrà fare ricorso alla nuova
conciliazione facoltativa incentivata. In questo caso il datore di lavoro offre una
somma esente da imposizione fiscale e contributiva pari ad un mese per ogni
anno di servizio, non inferiore a due e sino ad un massimo di diciotto mensilità.
Con l’accettazione il lavoratore rinuncia alla causa.
Le nuove previsioni quindi, apportano rilevanti modifiche sul tema,
limitando fortemente il diritto del lavoratore alla reintegrazione in caso di
illegittimità del recesso. Con le nuove norme infatti, l’indennizzo diventa la
129
Cfr. GOVERNO ITALIANO, Consiglio dei Ministri n.51 – Lavoro e concorrenza, 20
febbraio 2015
69
regola generale al posto del reintegro, che sarà quindi possibile solo qualora sia
dimostrato direttamente in giudizio, che il fatto materiale contestato in realtà non
è avvenuto (o è avvenuto per opera altrui).
In tutti gli altri casi, ivi compreso quello in cui il giudice ritenga il fatto,
seppur provato, non così grave da giustificare il licenziamento, vi sarà soltanto il
riconoscimento di un’indennità risarcitoria, in linea con quanto fin qui previsto
dalla riforma Fornero.
Appare evidente, il tentativo del legislatore di limitare la discrezionalità del
giudice nel valutare la proporzionalità della sanzione irrogata dal datore di
lavoro. Al fine di evitare incertezze applicative sul punto, il testo del decreto
precisa che rispetto all’insussistenza del fatto materiale “rimane estranea ogni
valutazione circa la sproporzione del licenziamento” 130.
Per i licenziamenti collettivi il decreto stabilisce che, in caso di violazione
delle procedure (art. 4, comma 12, legge 223/1991) o dei criteri di scelta (art. 5,
comma 1), si applica sempre il regime dell’indennizzo monetario che vale per gli
individuali (da un minimo di 4 ad un massimo di 24 mensilità).
È da sottolineare che sul punto, si sono espressi con parere sfavorevole le
Commissioni Lavoro di Camera e Senato (oltre che una parte politica e i
sindacati) che, limitatamente al caso di violazione dei criteri di scelta previsti dai
contratti collettivi, auspicavano il mantenimento del diritto al reintegro, anche
per i lavoratori neoassunti, allo scopo di non creare un doppio binario di tutele.
Ma il Governo non ha accolto tale posizione, mantenendo per il solo caso
di licenziamento collettivo intimato senza l’osservanza della forma scritta, la
sanzione del reintegro, così come previsto per i licenziamenti individuali.
Per le piccole imprese, con meno di 15 dipendenti, il reintegro resta solo
per i casi di licenziamenti nulli, discriminatori e intimati in forma orale.
130
Cfr. ZAMBELLI A., Jobs Act: tutte le novità in tema di licenziamenti disciplinari, in
Guida al lavoro, n.10, 6 marzo 2015, pag. 18
70
Negli altri casi di licenziamenti ingiustificati è prevista un’indennità
crescente di una mensilità per anno di servizio con un minimo di 2 e un massimo
di 6 mensilità 131.
Il testo del nuovo decreto, rappresenta la conclusione del percorso iniziato
con la riforma Fornero, che aveva già tentato di delimitare il confine tra reintegro
e indennità in materia di licenziamento disciplinare, cercando di intervenire sul
controverso e inattaccabile art.18 dello Statuto dei Lavoratori che sino ad allora,
in caso di “licenziamento intimato senza giusta causa o giustificato motivo”
prevedeva il diritto per il lavoratore alla reintegrazione nel proprio posto di
lavoro.
L’intervento del legislatore, in tema di licenziamenti, dovrebbe in qualche
modo favorire, il passaggio verso il nuovo regime contrattuale di una parte
significativa degli attuali collaboratori, plausibilmente quelli meno autonomi e
quindi più a rischio di conversione in contratti di lavoro subordinato 132.
Dal 1 gennaio 2016, infatti lo schema di decreto recante “testo organico
delle tipologie contrattuali e revisione delle mansioni” prevede all’ art.47, che si
applicherà la disciplina del rapporto di lavoro subordinato, anche ai rapporti di
collaborazione che si concretino in prestazioni di lavoro esclusivamente
personali, continuative, di contenuto ripetitivo e le cui modalità di esecuzione
siano organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di
lavoro. Si attua in questo modo un’estensione dell’area del lavoro subordinato
tramite la ridefinizione del concetto di subordinazione. In tal senso il
cambiamento è netto: al criterio tradizionale dell’ ”etero-direzione” viene
sostituito il criterio dell’ ”etero-organizzazione” 133.
131
Cfr. GOVERNO ITALIANO, Consiglio dei Ministri n.51 – Lavoro e concorrenza, 20
febbraio 2015
132
Cfr. ZAMBELLI A., Jobs Act: tutte le novità in tema di licenziamenti disciplinari, in
Guida al lavoro, n.10, 6 marzo 2015, pag. 18
133
Cfr. TREU T., Jobs Act, il riordino dei contratti di lavoro in attesa del parere delle
Camere, in Guida al lavoro, n.10, 6 marzo 2015, pag. 60
71
Secondo Treu, la nuova definizione ha un contenuto limitativo, in quanto la
riconduzione al lavoro subordinato secondo tali modalità, escluderebbe da tale
area, sia le prestazioni occasionali (riconducibili al lavoro accessorio), sia quelle
di contenuto non ripetitivo. Per quest’ultime quindi non varrebbe la nuova
definizione, ma resta applicabile la regola generale dell’art.2094 del Codice
civile.
L’innovazione più rilevante del decreto, è quella di ritenere decisivo per la
qualificazione di lavoro dipendente, il fatto che la prestazione sia organizzata dal
committente, anche con riferimento ai tempi e ai luoghi di lavoro, andando così a
mettere in discussione il concetto di subordinazione che ha retto il diritto del
lavoro per un secolo, fondato prioritariamente sulla soggezione del lavoratore al
potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro.
Tale cambiamento acquista importanza, non solo rispetto alla tradizionale
interpretazione dell’art.2094 del Codice civile, ma anche rispetto ai criteri posti a
base delle presunzioni stabilite dalla legge Fornero per la qualificazione delle cd.
partite Iva: durata della collaborazione superiore ad otto mesi per due anni
consecutivi; prevalente derivazione del reddito (80%) dal committente; utilizzo
di una postazione fissa di lavoro nelle sedi del committente (indicatori di
presunzione di rapporto di lavoro subordinato, stabiliti dalla legge 92/2012, che
sarà possibile riscontrare oggettivamente solo a partire dal corrente anno).
La
difficoltà
maggiore
sarà
quella
di
distinguere
l’inserimento
nell’organizzazione del committente, rilevante per la qualificazione di lavoro
subordinato, dal mero coordinamento che è la caratteristica tradizionale delle
collaborazioni autentiche, assimilabili a rapporti di lavoro autonomo 134.
Il legislatore, ha fatto salve nel decreto figure di collaboratori tipicamente
autonome, quali: professionisti, amministratori, collaboratori di associazioni
sportive.
134
Cfr. TREU T., Jobs Act, il riordino dei contratti di lavoro in attesa del parere delle
Camere, in Guida al lavoro, n.10, 6 marzo 2015, pag. 60
72
Inoltre ha rinviato alla contrattazione collettiva per stabilire la disciplina del
trattamento economico e normativo adatto alle collaborazioni, in ragione delle
particolari esigenze del settore; e quindi anche per valutare quale sia la loro
qualificazione, di lavoro autonomo o subordinato.
Il decreto non fornisce ulteriori indicazioni sulla sorte delle collaborazioni,
(che in effetti non scompaiono dal nostro ordinamento), salvo un rinvio alla
disciplina generale dell’art.409 c.p.c.; pertanto se non ricorrono i caratteri
dell’etero-organizzazione indicati nel decreto, si collocherebbero nell’area del
lavoro autonomo, fattispecie ancora una volta trascurato dal legislatore nella
previsione di una disciplina specifica 135.
Inoltre l’art. 48, recante “stabilizzazione dei collaboratori coordinati e
continuativi anche a progetto e di persone titolari di partita Iva”, prevede la
possibile stabilizzazione di tali fattispecie, nonché una sorta di “sanatoria” per i
datori di lavoro che procedono alla stabilizzazione di “finti” collaboratori entro il
31 dicembre 2015, chiudendo ogni contenzioso sia con il lavoratore che con gli
enti previdenziali 136.
In attesa che venga definitivamente approvato il “Testo organico delle
tipologie contrattuali e la revisione della disciplina delle mansioni”, dal 1 maggio
2015 saranno intanto operativi i nuovi ammortizzatori sociali, con la NASPI,
l’Asdi e Dis Col, che andranno a sostituire le attuali ASPI e Mini Aspi, nel
tentativo di realizzare quel modello di tutele basato sulla flexsecurity (di
ispirazione nord-europea), che affianca alla maggiore facilità di licenziamento
adeguate indennità di disoccupazione e politiche attive per la formazione ed il
ricollocamento dei lavoratori.
135
Cfr. TREU T., Jobs Act, il riordino dei contratti di lavoro in attesa del parere delle
Camere, in Guida al lavoro, n.10, 6 marzo 2015, pag. 60
136
Cfr. SANTELLI F., Così il Jobs Act cambierà la vita degli avvocati giuslavoristi, in
La Repubblica A&F, 2 marzo 2015, pag. 26
73
3. Il lavoro autonomo
3.1 Le fonti normative
Il lavoro autonomo ha rappresentato per lungo tempo l’unica categoria
all’interno della quale far confluire tutte le prestazioni lavorative “svolte senza
vincolo di subordinazione” nei confronti del committente e quindi alternative al
lavoro subordinato (art.2222 Cod. civ.) 137.
“Il tema dell’autonomia individuale possiede una particolare forza
evocativa. Allude ad una duplice contrapposizione sulla quale si è storicamente
edificato l’equilibrio del diritto del lavoro – la contrapposizione tra autonomia e
eteronomia e quella tra individuale e collettivo – e suggerisce che stia
cambiando, all’interno di ciascun termine di essa, il peso dei rispettivi
elementi” 138.
Secondo Renato Scognamiglio, l’autonomia individuale è anzitutto libertà
della persona di essere e di agire cioè autodeterminazione, ma è anche attitudine
dei privati a dare regola ad una serie di propri interessi, cioè autonomia
contrattuale. [..] Senza libertà di determinazione non c’è autonomia contrattuale,
ma l’inverso è vero fino ad un certo punto. La libertà di autodeterminazione può
non essere accompagnata in modo adeguato, almeno, dall’autonomia contrattuale
[…] 139.
Connotato tipico che caratterizza la categoria dei contratti di lavoro
autonomo, è la finalizzazione al risultato dell’opera finita (opus perfectum).
Il lavoro autonomo è disciplinato nel titolo III, capo I del libro V del Codice
civile. Il legislatore non fornisce una definizione specifica di lavoro autonomo,
137
Cfr. PERSIANI M., “et al”, op. cit., pag. 34
138
Cfr. D’ANTONA M., L’autonomia individuale e le fonti del diritto del lavoro, in
Autonomia individuale e rapporto di lavoro, in Atti X Congresso nazionale di diritto del lavoro
Udine 10-11-12 Maggio 1991, in Annuario Di Diritto Del Lavoro, Milano, Giuffrè, n.26, 1994,
pag. 31
139
Cfr. SCOGNAMIGLIO R., in Atti X Congresso nazionale di diritto del lavoro Udine
10-11-12 Maggio 1991, in Annuario Di Diritto Del Lavoro, Milano, Giuffrè, n.26, 1994,
pag.106
74
pertanto viene presa a riferimento la nozione del “contratto d’opera” prevista
dall’art. 2222 del Cod. civ. “Quando una persona si obbliga a compiere verso un
corrispettivo un'opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza
vincolo di subordinazione nei confronti del committente, si applicano le norme di
questo capo, salvo che il rapporto abbia una disciplina particolare nel libro IV”,
che si pone quale fattispecie generica, circoscritta alle ipotesi non riconducibili
alle altre. Tale categoria comprende altre quattro figure fondamentali:
- L’appalto (art. 1655 ss. c.c.), la cui causa è nello scambio di un’opera o di
un servizio da eseguirsi con organizzazione dell’appaltatore, con un
corrispettivo;
- Il trasporto (art.1678 ss. cc.), che assolve la funzione di trasferire persone
o cose da un luogo ad un altro;
- Il deposito generico (art. 1776 e ss. cc.) che assolve alla funzione di
custodia dei beni;
- Il mandato (art.1703 e ss. cc.) e le sue sottospecie, che hanno tutti come
elemento tipico la gestione di affari nell’altrui interesse mediante la conclusioni
di contratti 140.
Il lavoro autonomo
è svolto da piccoli imprenditori (artigiani,
commercianti, coltivatori diretti) e da altri soggetti con contratto d’opera (art.
2222 Cod. civ.); dai prestatori d’opera intellettuale con contratto avente per
oggetto una prestazione d’opera intellettuale e professionale (artt. 2229, 2230
Cod. civ.); dagli imprenditori medio - grandi con contratto d’appalto (art. 1665
Cod. civ.) 141.
È da sottolineare che un vincolo di sottoposizione del debitore all’ingerenza
del creditore nell’esecuzione della prestazione è possibile averla anche nel
contratto d’opera come negli altri contratti di lavoro autonomo, in quanto il
committente, può stabilire nel contratto le condizioni per l’esecuzione dell’opera
140
Cfr. GHERA E., Diritto del Lavoro, Torino, Giappichelli, 2013, pag. 48
141
Cfr. GALANTINO L., Diritto del Lavoro, Torino, Giappichelli, 2010, pp. 3-4
75
pattuita, fissando anche i termini unilateralmente entro il quale il prestatore è
tenuto ad adempiere alle stesse, per non incorrere al recesso per giusta causa ed il
diritto del committente al risarcimento del danno.
Carattere comune di queste obbligazioni di lavoro autonomo è la
coesistenza dell’ingerenza o direzione del committente, con l’esecuzione
dell’opera, a rischio del prestatore o appaltatore, il quale è dunque obbligato al
risultato della propria attività personale oppure organizzata: diversamente dal
prestatore di opere o lavoratore subordinato che è obbligato ad una mera attività
alle dipendenze del datore di lavoro.
Il lavoratore autonomo può essere vincolato alla direzione, ma non può
essere dipendente del committente 142.
[…] se si vuole conservare al rapporto creato dalle parti la figura di locatio
operis, occorre pure che l’ingerenza del committente o della persona incaricata
da quest’ultimo, non sia assoluta, ma limitata. In caso diverso, il contratto, come
oggettivamente si è formato, è più una locazione di opere, che di opera; chè
allora il debitore dell’opera viene ad essere un mero strumento che il
committente maneggia come vuole, e cui non si può accollare la garanzia della
bonitas operis […] 143.
L’assenza di subordinazione, in tale fattispecie, si riflette dunque nelle
modalità di concretizzazione dell’attività lavorativa, in quanto il lavoratore
autonomo agisce in piena discrezionalità e auto direzione; è da sottolineare
comunque che attualmente la dottrina è orientata ad adottare quale criterio
distintivo tra il lavoro autonomo e quello subordinato, non tanto la tradizionale
contrapposizione tra obbligazioni di mezzi ed obbligazione di risultato, quanto la
modalità con cui viene eseguita l’attività dedotta in contratto.
142
Cfr. GHERA E., Diritto del Lavoro, Torino, Giappichelli, 2013, pp. 48, 49
143
Cfr. BARASSI L., (a cura di) NAPOLI M., Il contratto di lavoro nel diritto positivo
italiano 1901, Milano, V&P, 2003, pag. 41
76
Nel lavoro autonomo la materiale esecuzione dell’attività può essere
affidata a sostituti o assistenti, anche se il lavoratore rimane sempre l’unico e
personale responsabile nei confronti del committente per difformità e vizi
d’opera (art. 2226 Cod. civ.), che deve essere eseguita secondo le condizioni
stabilite dal contratto a regola d’arte (art. 2224 Cod. civ.).
Al contrario, nel lavoro subordinato è richiesto invece l’obbligo di prestare
l’opera personalmente e a prevalere, è il carattere continuativo della prestazione,
che è temporalmente suddivisibile, a differenza dell’attività prestata dal
lavoratore autonomo, considerata nella sua unitarietà 144.
È oggetto dei rapporti disciplinati dal libro V del Codice civile il “lavoro”
come attività personale produttiva, affermazione che trova rispondenza
nell’art.2060 del Codice: “Il lavoro è tutelato in tutte le sue forme organizzative
ed esecutive, intellettuali, tecniche e manuali “, e nell’art. 35 della Costituzione
“la Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni”.
A tale riguardo si rileva che, proprio perché l’attività lavorativa può essere
prestata sia con carattere di subordinazione che con carattere di autonomia, ed è
tutelata in entrambe le suesposte manifestazioni, non può escludersi la disciplina
del lavoro autonomo dall’ambito del diritto del lavoro, i cui principi generali
devono comunque considerarsi applicabili 145.
Tuttavia è emblematica al riguardo la ritenuta inapplicabilità al lavoro
autonomo dell’art.36 della Costituzione, che riconosce il diritto ad una
retribuzione sufficiente ed adeguata, al riposo giornaliero e settimanale, alle ferie
annuali retribuite e quant’altro, esclusivamente alla categoria dei lavoratori
riconducibili all’art.2094 del Codice civile 146.
Si richiamano in tal senso le seguenti sentenze della Corte di Cassazione:
144
Cfr. DEL GIUDICE F., MARIANI F., IZZO F., op. cit., pag. 43
145
Cfr. GIACOBBE G., GIACOBBE D., Il lavoro autonomo. Contratto d'opera. Artt.
2222-2228, Torino, Giuffrè, 2009, pag. 6
146
Cfr. PAVESE A., op. cit., pag. 2
77
“Il precetto dell'art. 36, comma 1, della Costituzione, relativo al diritto di
una retribuzione proporzionata e sufficiente non è applicabile ai rapporti di
lavoro autonomo, come quello concernente l'esercizio di prestazione d'opera
professionale, priva del requisito della subordinazione, ancorché in regime di
parasubordinazione (art. 409, n. 3, c.p.c.)” 147;
"Il principio della retribuzione sufficiente, sancito dall'art. 36 Cost.,
riguarda esclusivamente il lavoro subordinato e non può essere invocato in tema
di compenso per prestazioni lavorative autonome – ancorché rese, con carattere
di continuità e coordinazione, nell'ambito di un rapporto di collaborazione che ne
comporti l'assimilazione, sotto il profilo esclusivamente processuale, a quelle
svolte in regime di subordinazione –, senza che rilevi in contrario la direttiva di
cui all'art. 2 della legge di delega n. 741 del 1959, rimasta, peraltro, inattuata
nella parte in cui tendeva ad assicurare la regola del minimo inderogabile di
trattamento economico anche per le prestazioni suddette” 148.
Il legislatore, nel disciplinare il lavoro autonomo in un apposito titolo,
contrappone tale figura negoziale all’impresa ed alla piccola impresa.
Gli elementi caratteristici dell’imprenditore non possono considerarsi in
alcun modo comuni a quelli che distinguono il lavoratore autonomo, fatta
eccezione per l’assunzione del rischio, che a differenza di quanto accade nel
lavoro subordinato, è sopportato dal prestatore di lavoro come dall’imprenditore.
Il lavoratore autonomo esplica la propria attività individuale al fine di
produrre un bene o un servizio, svolgendo una personale attività esecutiva.
Da questo punto di vista, la figura in esame potrebbe essere avvicinata al
piccolo imprenditore che l’art. 2083 del cod. civ. qualifica come: “Sono piccoli
imprenditori i coltivatori diretti del fondo, gli artigiani, i piccoli commercianti e
coloro che esercitano un'attività professionale organizzata prevalentemente con il
lavoro proprio e dei componenti della famiglia”.
147
Cfr. Corte di Cassazione (Sez. lav.), sentenza del 26 luglio 1990 n. 7543
148
Cfr. Corte di Cassazione (Sez. lav.), sentenza del 27 aprile 1990 n. 3532
78
L’elemento comune consiste nell’espletamento, appunto, di un’attività
personale, che si distingue dall’organizzazione attraverso la quale, invece è
impegnato l’imprenditore ai sensi dell’art. 2082 del Cod. civ.: “È imprenditore
chi esercita professionalmente un'attività economica organizzata al fine della
produzione o dello scambio di beni o di servizi”, che opera in un ambito molto
più ampio rispetto a quello del lavoratore autonomo. Quest’ultimo infatti agisce
in virtù di un incarico ricevuto, e dunque finalizza la propria opera alla
realizzazione dell’interesse del committente.
Nell’ambito dell’impresa al contrario, acquista particolare rilievo,
l’elemento della professionalità, caratterizzata dall’esercizio continuo di una
determinata attività economica che tende al raggiungimento di un fine produttivo
e di lucro, che si inserisce nell’ottica di uno sviluppo economico, al quale deve
ritenersi estraneo, sotto il profilo indicato, il lavoratore autonomo 149.
Ciò consente di inquadrare la disciplina del lavoro autonomo, al di fuori
della complessa normativa, relativa all’impresa, proprio perché, pur sussistendo
dei punti di contatto, diverse sono le ragioni e le finalità dei due istituti, con la
conseguenza che ad ognuno di essi presiedono distinti principi generali 150.
3.2 Elementi di qualificazione del lavoro autonomo
Il Codice civile inserisce il lavoro autonomo tra il titolo II “il lavoro
nell’impresa” e il titolo IV “il lavoro subordinato in particolari rapporti”, quelli
cioè” non inerenti all’esercizio di un’impresa” (art. 2239).
Il titolo III del libro V del Codice civile disciplina il “lavoro autonomo”; qui
viene fatta la distinzione tra “contratto d’opera”, definito al Capo I – disposizioni
generali, dall’art. 2222 e artt. 2223-2228, e l’“esercizio delle professioni
intellettuali”, definite al Capo II all’art. 2230, specificando che il contratto avente
per oggetto le prestazioni intellettuali è normato dagli artt. 2231-2238, nonché
149
Cfr. GIACOBBE G., GIACOBBE D., op. cit., pp. 7-9
150
Cfr. GIACOBBE G., GIACOBBE D., op. cit., pag. 12
79
dalle disposizioni del Capo I, se “compatibili”, con quelle del Capo II e “con la
natura del rapporto” di lavoro autonomo professionale.
Scriveva Barassi nel 1901, riguardo a tale seconda fattispecie: […] nel
contratto di lavoro si ponno comprendere anche quelle che i Romani chiamarono
operae liberales […] questo nome non ha che un significato storico, e lo si
accetta oggi […] per esprimere il lavoro non manuale, ma intellettivo: il lavoro
preponderante dello spirito o dell’intelligenza […] 151.
Si può per quanto sopra affermare pertanto, che il “contratto d’opera” sia
quale genus del lavoro autonomo, mentre il contratto d’opera intellettuale ne
sarebbe una species.
Il rapporto di lavoro autonomo quindi si realizza attraverso lo strumento
negoziale del “contratto d’opera”. Gli elementi del sinallagma contrattuale sono
determinati dall’art. 2222 del Cod. civ., che delinea un contratto consensuale con
effetti obbligatori impostato intorno a due obbligazioni principali, quella del
prestatore “di compiere un’opera o un servizio (il cd. risultato): “con lavoro
prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del
committente”, e quella del committente di dare un corrispettivo 152.
Elemento distintivo pertanto, del lavoro autonomo rispetto al lavoro
subordinato (ove il datore di lavoro, può modificare la prestazione dell’attività
lavorativa ed il contratto, senza il bisogno del consenso del lavoratore, se esercita
quel potere nei limiti consentiti dalla legge), è che il committente può solo
pretendere che l’esecuzione dell’opera pattuita avvenga secondo le condizioni
stabilite nel contratto ed a regola d’arte (art. 2224 Cod. civ.) in quanto gli è
precluso ogni potere unilaterale di intervenire: per modificare infatti l’oggetto del
contratto e lo svolgimento della prestazione dell’attività lavorativa, è necessario
il consenso delle parti.
151
Cfr. BARASSI L., (a cura di) NAPOLI M., op. cit., pag. 153
152
Cfr. PERSIANI M., I Nuovi Contratti di Lavoro, Torino, Utet, 2011, pp. 3-5
80
Con il concetto di “opera” poi, si vuole intendere la modificazione
materiale di uno stato di cose preesistente, al fine di crearne una res nova.
Al contrario la nozione di “servizio”, si differenzierebbe da quella di
“opera”, perché caratterizzato da un lato, dalla mancanza di un’attività materiale
rivolta alla trasformazione della res, dall’altro, dalla continuità della prestazione
che non è comunque da intendere come disponibilità nel tempo dell’attività o
delle energie del prestatore da parte del committente, in quanto altrimenti si
ricadrebbe nella fattispecie della subordinazione.
Il contratto d’opera è un contratto per la cui realizzazione è sempre dovuto
un facere, infatti consiste nell’obbligazione, di un risultato (cd. opus), come
evidenzia la preminenza assegnata dagli artt. 2222-2228 del Cod. civ. all’opera
(o servizio) quale oggetto della prestazione dovuta a soddisfare l’interesse
creditorio 153.
“Il prestatore d’opera, per adempiere esattamente l’obbligo assunto, deve
eseguire l’opus a regola d’arte e secondo gli accordi intervenuti, ma salvo il caso
di una pattuizione dettagliata e completa dell’attività da svolgere, egli deve anche
compiere tutte quelle attività ed opere che secondo il principio di buona fede e
l’ordinaria diligenza dell’homo eiusdem condicionis ac professionis sono
funzionali al raggiungimento del risultato voluto” 154
Un elemento caratteristico di tale obbligazione è dato dal carattere
normalmente istantaneo dell’adempimento: l’interesse del creditore, ai sensi
dell’art.2226 del Cod. civ., è soddisfatto nel momento dell’accettazione
dell’opera, restando a quel punto irrilevante l’attività e soprattutto, il tempo
occorso per realizzarla. Laddove sia contrattualmente stabilito un termine, esso
indica il momento finale dell’esecuzione dell’opera.
È da rilevare, che l’adempimento istantaneo è carattere normale, ma non
indefettibile, assume infatti connotazioni di durata quando il prestatore si
153
Cfr. PERSIANI M., op. cit., pp. 3-5
154
Cfr. Corte di Cassazione (Sez. II), sentenza dell’11 novembre 2004, n. 21421
81
obblighi all’esecuzione periodica di più opus, così soddisfacendo un interesse del
committente duraturo e causualmente rilevante. Si è tuttavia in presenza di una
serie di adempimenti istantanei, sebbene ripetuti nel tempo, di natura diversa
rispetto al lavoro subordinato dove il protrarsi dell’adempimento nel tempo è
elemento strutturale dell’obbligazione 155.
La legge inoltre richiede che il lavoro necessario per l’esecuzione
dell’opera sia fornito in prevalenza dal prestatore, tale fatto, rende possibili
apporti lavorativi di altri soggetti, ma apre, tuttavia la questione della relazione
intercorrente tra prestatore d’opera e piccolo imprenditore, ai sensi dell’art. 2083
del Codice civile.
Effettivamente il fattore discriminante tra appalto e contratto d’opera,
equivalenti in quanto all’oggetto della prestazione, risiede nell’organizzazione, in
cui consiste l’attività dell’appaltatore, che grazie al coordinamento dei fattori
della produzione (tra cui il lavoro altrui, principalmente subordinato), consegue il
compimento di un’opera o servizio, risultato invece raggiunto dal prestatore
d’opera personalmente o, al più avvalendosi di familiari o anche di qualche
collaborazione.
Ma, se l’“organizzazione” è, unitamente alla professionalità di esercizio di
un’attività
economica,
elemento
tipizzante
la
figura
dell’imprenditore,
nell’ipotesi di “piccolo imprenditore” essa riguarda precisamente il “lavoro
prevalentemente proprio”. A seguito di ciò si apre il quesito sulla compatibilità o
meno della compresenza in un soggetto, della qualità di piccolo imprenditore e di
lavoratore autonomo 156.
Si richiamano sul punto, alcune sentenze della Suprema Corte di
Cassazione:
“Il contratto d’appalto e il contratto d’opera si differenziano per il fatto che
nel
primo
l’esecuzione
dell’opera
155
Cfr. PERSIANI M., op. cit., pp. 6-8
156
Cfr. PERSIANI M., op. cit., pp. 10-11
commissionata
avviene
mediante
82
un’organizzazione di media o grande impresa cui l’obbligato è preposto, mentre
nel secondo, con il prevalente lavoro di quest’ultimo, pur se coadiuvato da
componenti della sua famiglia o da qualche collaboratore, secondo il modulo
organizzativo della piccola impresa” 157.
“Ai fini della qualificazione dell’affidamento di lavori edili come contratto
d’opera e non come contratto d’appalto, una lettura coordinata degli artt. 2083 e
2226 c.c., adeguata all’evoluzione della realtà socioeconomica, conduce ad
affermare che anche l’artigiano e il piccolo imprenditore possono disporre di un
minimo di organizzazione aziendale (che può manifestarsi nel ricorso all’ausilio
di terzi per attività accessorie, quali trasporti o esecuzioni di parti secondarie
dell’opera, o anche nell’esecuzione della stessa con mansioni di collaborazione
non qualificata), senza ciò faccia venir meno la determinante rilevanza
dell’attività diretta e personale dell’artigiano o del piccolo imprenditore e dei
familiari all’esecuzione della prestazione commessagli” 158.
È comunque da sottolineare, che ad oggi, le fattispecie di lavoro autonomo,
che hanno ad oggetto una prestazione d’opera, sono rappresentate da tre tipologie
contrattuali di riferimento, dotate ciascuna di una propria disciplina tipica: il
tradizionale contratto di prestazione d’opera (art. 2222 Cod. civ.); il contratto di
collaborazione coordinata e continuativa (art. 409, n. 3, c.p.c.); il contratto di
lavoro a progetto (art. 61 del D.lgs. n. 276 del 2003).
Infatti, qualora l’esecuzione dell’opera o del servizio desunto nel contratto
richiede una prestazione che sia anche coordinata e continuativa essa deve
qualificarsi come una prestazione d’opera da ricondurre ad un progetto, come
previsto dall’art. 61, co. 1°, del d.lgs. n. 276 del 2003 e s.m.i., fatta eccezione per
quei limitati casi nei quali è consentito utilizzare il contratto di collaborazione
157
Cfr. Corte di Cassazione (Sez. II), sentenza del 21 maggio 2010, n. 12519, anche Corte
di Cassazione (Sez. II), sentenza del 29 maggio 2001, n. 7307
158
Cfr. Corte di Cassazione, sentenza del 29 dicembre 2008, n. 30407, anche Corte di
Cassazione, sentenza del 17 luglio 1999, n. 7606
83
coordinata e continuativa non ricondotta ad un progetto (art. 61, co. 3°, del d.lgs.
n. 276 del 2003 e s.m.i.).
In questo per la realizzazione di un determinato risultato (prestazione
d’opera), al committente è consentito interferire nell’esecuzione dell’opera
attraverso un coordinamento, con l’esercizio del potere di istruzione (artt. 1711 e
1746 del Cod. civ.) 159.
“In tema di qualificazione del rapporto di lavoro intercorrente fra un
professionista e uno studio professionale, va escluso il vincolo di subordinazione
nel caso in cui, come nella specie, il potere organizzativo del committente sia
finalizzato a realizzare un mero coordinamento dell'attività del professionista con
quella dello studio, risultando inoltre l'attività di controllo incentrata sul risultato
conclusivo del lavoro svolto e non, invece, sulle modalità di espletamento
dell'incarico, di per sé compatibile con il vincolo della subordinazione” 160.
3.3 Lavoro autonomo: le tutele
Per molto tempo, al lavoratore autonomo non si è ritenuto accordare
l’apparato di garanzie previste dal legislatore per il lavoratore subordinato, in
virtù dell’assenza o comunque attenuata condizione di inferiorità economica
dello stesso, rispetto all’imprenditore 161.
Al lavoratore autonomo infatti, sul piano delle tutele, non è riconosciuto il
diritto a ferie retribuite, ai riposi settimanali, e deve far fronte da sé al pagamento
di premi assicurativi e previdenziali.
Negli ultimi decenni la maggiore e continua esigenza di flessibilità, ha
affievolito la contrapposizione ad excludendum tra lavoratore autonomo e
lavoratore subordinato, aprendo la strada ad una graduale emersione di modelli di
159
Cfr. MARAZZA M., Il lavoro autonomo dopo la riforma del Governo Monti, in
http://csdle.lex.unict.it
160
Cfr. Corte di Cassazione, sentenza del 14 febbraio 2011, n. 3594
161
Cfr. PERSIANI M., “et al”, Fondamenti di diritto del lavoro, Padova, Cedam, 2013,
pag. 34
84
collaborazione all’impresa che, seppur fortemente differenti dal prototipo
standard di lavoratore subordinato, sono comunque funzionali alla realizzazione
dell’interesse dell’impresa. Si tratta di forme di lavoro che, per quanto autonome,
non escludono, l’assoggettamento al potere datoriale e che, pur collaborando
all’impresa con attività “prevalentemente personale” (art.2222 Cod. civ.), non
attingono alle stesse tutele riconosciute lavoratori subordinati 162.
Se è possibile affermare che il mercato del lavoro europeo abbia raggiunto
un sufficiente livello di flessibilità ed elasticità, ciò non si può dire per quel che
concerne il regime di protezione sociale dei lavori flessibili 163.
Un primo riconoscimento normativo di questi nuovi modelli di
collaborazione si ebbe con la L.533/1973 che ha riformato il processo del lavoro
e novellato l’art.409 del Cod. Proc. Civ.), estendendo l’applicazione del rito del
lavoro anche alle “[…] controversie relative ai rapporti di collaborazione che si
concretino in una prestazione di opera continuativa e coordinata, anche se a
carattere subordinato”.
Inoltre verso la metà degli anni ’90, il legislatore ha previsto per questa
particolare categoria di lavoratori una specifica tutela previdenziale (L.223/95),
istituendo un’apposita gestione dell’INPS (cd. Gestione separata) 164.
Il D.lgs. n.276/2003, impose in linea generale di ricondurre le
collaborazioni coordinate e continuative (tranne alcune eccezioni), ad un
“progetto, programma di lavoro o fase di esso”, tipizzando un nuovo schema
negoziale, al quale sono tenute a ricorrere le parti, ogni qualvolta una prestazione
di “fare”, pur orientata alla produzione di un’opera o di un servizio, debba essere
necessariamente coordinata con l’attività e l’organizzazione del committente.
162
Cfr. PERSIANI M., “et al”, Fondamenti di diritto del lavoro, Padova, Cedam, 2013,
pp. 34-35
163
Cfr. PERSIANI M., I nuovi contratti di lavoro”, Torino, Utet, 2011, pag. 891
164
Cfr. PERSIANI M., “et al”, Fondamenti di diritto del lavoro, Padova, Cedam, 2013,
pp. 35-36
85
Una tutela minima viene riconosciuta a tale figura di lavoratore, per quanto
concerne malattia, infortunio e maternità.
Tuttavia, la necessità di contrastare le persistenti pratiche abusive, sorte
nella dissimulazione di rapporti di lavoro subordinato sotto l’apparenza di lavoro
a progetto, nascosti con lo strumento della partita Iva (allo scopo di evitare di
sostenere gli elevati oneri contributivi), ha indotto il legislatore a trovare un
rimedio, mediante disincentivi normativi, in grado di assicurare spontaneamente
ed in automatico il rispetto della legge (L.92/2012 cd. Riforma Fornero) 165.
La partita Iva, strumento fiscale riservato, oltre che alle imprese, ai
lavoratori autonomi (ex art.2222 del Cod. civ.), e che nello specifico, ai sensi
dell’art.35 del D.P.R. n.633/1972 ne sono titolare “i soggetti che intraprendono
l’esercizio di un’impresa, arte o professione nel territorio dello Stato, o vi
istituiscono una stabile organizzazione”, non è comunque precluso a coloro che,
sotto il profilo lavoristico, vedono inquadrate le loro prestazioni nell’ambito della
collaborazione coordinata e continuativa.
In virtù di ciò, ad oggi, qualora nell’ambito di questo tipo di prestazione, si
ravvisino non rispettati i criteri stabiliti dalla norma, si determinerà la
“conversione” ad un rapporto di lavoro subordinato, a tempo indeterminato, a
decorrere dalla costituzione del rapporto 166.
165
Cfr. PINTO V., La nuova disciplina delle collaborazioni a progetto, in Flessibilità e
tutele nel lavoro. Commentario della legge 28 giugno 2012, n.92, AA. VV, a cura di CHIECO
P., Bari, Cacucci, 2013, pp. 200-201
166
Cfr. Circolare del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, n.32/2012
86
CAPITOLO SECONDO
SALUTE E SICUREZZA SUL LAVORO
1. Sicurezza sul lavoro e giustizia sociale
1.1 Le origini del sistema prevenzionistico
[…] Colui che appresta un ambiente di lavoro (e cioè gli strumenti, il
capitale dal cui innesto col lavoro si ha il prodotto), è tenuto a fornire un
ambiente sano, scevro da vizi, non pregiudizievole all’operaio […] 167.
Il tema del lavoro, o meglio delle condizioni di lavoro dell’uomo moderno,
è stato sapientemente raccontato nella letteratura e nel cinema tra ‘800 e ‘900, ma
infortuni e malattie professionali continuano anche ai nostri giorni, ad essere
argomento di attualità, tanto da far pensare, che poco nel tempo sia veramente
cambiato nella scelta tra le ragioni del profitto e l’attenzione verso l’integrità
fisica dei lavoratori.
Èmile Zola, nel celebre romanzo “Germinal” (del 1885), ambientato in una
zona mineraria della Francia del nord, all’epoca della seconda rivoluzione
industriale, raccontava la dura vita dei minatori:
[…] Tre volte m’hanno tirato fuori di lì in fin di vita, […] – Una volta senza
più un pelo che non fosse strinato; un’altra con della terra persino nel gozzo; la
terza gonfio d’acqua come un rospo […] 168.
Parallelamente in Italia, Giovanni Verga pubblicava nel 1880, la novella
“Rosso Malpelo”, ambientata in una cava di rena rossa, nella quale l’autore
descriveva le condizioni di povertà e sfruttamento delle classi disagiate in Sicilia.
167
Cfr. BARASSI L., (a cura di) NAPOLI M., Il contratto di lavoro nel diritto positivo
italiano 1901, Milano, V&P, 2003, pag. 562
168
Cfr. ZOLA E., Germinal, L’Aquila, Rea, 2013, parte prima
87
Il racconto si apre con la toccante narrazione della morte del padre di
Malpelo, che accetta l’offerta del suo padrone di lavorare all’abbattimento di un
pilastro della cava; un lavoro pericoloso, rifiutato dagli altri, ma che il padre di
Malpelo accetta per il disperato bisogno di soldi:
[…] Era morto così, che un sabato voleva terminare certo lavoro preso a
cottimo, di un pilastro lasciato altra volta per sostegno alla cava, e che ora non
serviva più […]. Era stato un magro affare e solo mastro Misciu aveva potuto
lasciarsi gabbare a quel modo dal padrone […] 169.
Qualche decennio più tardi, nel 1923, la filosofia capitalista e il mondo
degli industriali tayloristi, veniva messo in scena con la proiezione della pellicola
“Modern Times”, di Charles S. Chaplin, che per la prima volta riproduceva in
immagini, lo sfruttamento degli operai nella catena di montaggio, costantemente
monitorati a distanza dal padrone, in quella che era un’organizzazione del lavoro
senza precedenti, che riduceva l’uomo a mera funzione meccanica e ripetitiva 170.
Emblematiche sono le celebri sequenze con cui Charlot, l’operaio
protagonista del film, a causa dei gesti replicati all’infinito, dei ritmi disumani,
spersonalizzanti ed alienanti imposti della catena di montaggio, perde
progressivamente ogni controllo sulla propria mente, facendosi inghiottire lui
stesso dalla linea, diventandone spettacolarmente un ingranaggio.
Questo mondo, che fu fonte di ispirazione di romanzieri e registi, era lo
specchio delle drammatiche condizioni in cui versavano nella realtà le classi
operaie, che furono indotte ad organizzarsi per pretendere migliori e più salubri
condizioni di lavoro, nonché modalità tecniche di lavorazione e di prestazione,
più conformi alle esigenze di tutela della salute e della sicurezza.
Da questi iniziali movimenti, scaturirono le prime rivendicazioni, e
attraverso il diritto di sciopero, il nascente movimento sindacale, riuscì ad
169
Cfr. VERGA G., Novelle, Milano, Feltrinelli, 1992
170
Cfr. GIORDANO B., 20 Film che stupirono il mondo, www.lulu.com, 2009, pp. 31-32
88
ottenere, dai datori di lavoro, condizioni lavorative più favorevoli, e la presa di
coscienza della necessità di garantire la salubrità dei luoghi di lavoro.
Anche il legislatore, già alla fine dell’800, si interessa alla materia della
sicurezza del lavoro, consapevole che il degenerare della situazione in cui si
trovava questa moltitudine di lavoratori, poteva condurre, anche a problemi di
ordine pubblico, considerato il progressivo allarmante aumento del fenomeno
degli infortuni e delle malattie professionali.
Questa attenzione verso la tutela dell’integrità psico-fisica dei lavoratori,
trovò fondamento, in una serie di disposizioni di legge, che costituirono la
legislazione sociale di inizio secolo scorso 171.
Inizialmente, l’individuazione delle cause degli infortuni sul lavoro, venne
concepita, come conseguenza di fattori di tipo soggettivo, riconducibili
all’imprudenza o alla negligenza comportamentale dei lavoratori, escludendo
dall’indagine, sia i fattori organizzativi del lavoro (fatica, stress, carenza di
formazione, ecc.), sia gran parte dei fattori legati alle caratteristiche proprie
dell’ambiente di lavoro (salubrità, pericolosità delle macchine, ecc.) 172.
All’idea che l’elemento umano fosse una causa determinante al verificarsi
dell’evento,
si
univa
la
convinzione
persistente
della
inevitabilità
o
dell’imprevedibilità dell’infortunio sul lavoro, coniugata con il principio
dominante negli anni della prima industrializzazione, della assoluta libertà
dell’iniziativa privata, che non poteva essere limitata da ingerenze esterne di
carattere normativo, che andassero a comprimere l’autonomia imprenditoriale.
In tale quadro culturale, il legislatore adottò per lungo tempo una logica
riparatrice rispetto a quella ispirata alla prevenzione, privilegiando una tutela
basata sul risarcimento dei danni sofferti dai lavoratori, lasciando ai margini
finalità di tipo prevenzionistico.
171
Cfr. UNITELMA, Video lezione di Diritto del Lavoro, lezione 24
172
Cfr. PERSIANI M., LEPORE M. “et al”, Il nuovo diritto della sicurezza sul lavoro,
Milano, Utet, 2012, pag. 3
89
Il primo intervento normativo in materia si ebbe con la legge n.80 del 17
marzo 1898, che introdusse l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul
lavoro degli operai addetti ai settori industriali considerati pericolosi,
successivamente ordinata nel r.d. n.51 del 31 gennaio 1904, che approvò il t.u.
per gli infortuni degli operai sul lavoro.
L’obbligo di assicurazione fu posto a carico degli imprenditori, ai quali
compete il risarcimento dei danni subiti dai lavoratori a seguito di infortuni
fortuiti, dovuti a forza maggiore o determinati da fatti colposi dell’imprenditore
purché perseguibili a querela dell’infortunato.
La responsabilità civile del datore di lavoro rimase solo nei casi di una sua
colpa, accertata da sentenza penale, per fatti perseguibili d’ufficio o per fatti
imputabili a preposti alla sorveglianza o direzione del lavoro.
In tal modo si dispose una parziale deroga al principio di diritto comune che
esigeva l’esistenza di un nesso causale tra responsabilità soggettiva e imputabilità
dell’agente. Ciò in quanto in quegli anni solo una ridottissima quota di operai
infortunati riusciva ad ottenere il risarcimento dei danni, data la difficoltà di
dimostrare la responsabilità dell’imprenditore 173.
L’assicurazione obbligatoria, imposta per legge, tendeva proprio ad
eliminare queste criticità, in quanto il risarcimento veniva così garantito
dall’assicuratore. L’introduzione di tale istituto venne motivato ricorrendo al
concetto di rischio professionale, con l’assunzione da un lato del principio della
casualità della maggior parte degli infortuni sul lavoro (ovvero della relativa
occasionalità di tutte le ipotesi di colpa sia dell’imprenditore che del lavoratore)
e, dall’altro, ponendo a carico dell’imprenditore il rischio degli infortuni secondo
l’antico principio commoda et incommoda sint (secondo il quale il soggetto che
trae vantaggio da una situazione deve anche sopportare gli svantaggi derivanti
dalla stessa).
173
Cfr. PERSIANI M., LEPORE M. “et al”, op. cit., pag. 4
90
Sebbene l’introduzione dell’assicurazione obbligatoria, soluzionò sul piano
economico il problema sociale e umano determinato dal fenomeno degli
infortuni, superando i limiti del diritto civile, essa andò comunque a consolidare
l’idea della fatalità ed imprevedibilità del fenomeno, impedendo lo sviluppo di
una coscienza sociale e giuridica volta alla prevenzione.
Infatti
l’introduzione
del
concetto
di
responsabilità
oggettiva
dell’imprenditore, basata sul rischio professionale (ma limitata all’obbligo del
premio assicurativo), pose in secondo piano, non solo l’obbligo di risarcire i
danni, ma anche di organizzare condizioni di lavoro più sicure.
È bene tuttavia rilevare, che la legge del 1898 in realtà introdusse anche il
principio dell’obbligatorietà dell’adozione di misure tecniche atte a prevenire gli
infortuni, delegando il governo ad emanare regolamenti che avrebbero dovuto
prevederli.
Venne così promulgato il r.d. 18.6.1899, n.230 (primo regolamento
generale di prevenzione), ed altre norme speciali relative ad alcune lavorazioni
particolarmente pericolose (ad esempio nel settore delle costruzioni e delle
ferrovie).
Tali regolamenti tuttavia, si limitavano a stabilire disposizioni per la
razionalizzazione dell’assicurazione obbligatoria, con lo scopo di mantenere il
fenomeno infortunistico entro i limiti del rischio preventivato dagli istituti
assicuratori sulla base del calcolo medio degli infortuni in un determinato settore.
Ciò che veniva richiesto al datore di lavoro, era un minimo di diligenza
prevenzionistica, affinché non contribuisse a far lievitare la quota prevista,
ritenuta fisiologica, di infortuni e non aggravasse di conseguenza, i costi di
gestione assicurativa 174.
174
Cfr. PERSIANI M., LEPORE M. “et al”, op. cit., pp. 5-6
91
1.2 La sicurezza sul lavoro nel codice penale, nel codice civile e nella
Costituzione.
Un’evoluzione significativa della normativa della sicurezza sul lavoro si
ebbe nel 1930 con il r.d. n. 1398 con il quale viene emanato il Codice Penale,
noto come codice Rocco.
Precedentemente, il codice Zanardelli del 1889 non contemplava alcun
reato specifico rivolto all’integrità dei lavoratori, pertanto le norme possibili
applicabili erano da ricondurre a quelle relative ai reati contro la persona, previsti
all’artt. 371 e 375, o contro l’incolumità pubblica sancita dagli artt. 311 e 375.
Con il codice Rocco, la tutela penale della sicurezza sul lavoro è attuata
anzitutto con due fattispecie delittuose (tuttora vigenti):
- l’art. 437 che sanziona la “rimozione od omissione dolosa di cautele
contro infortuni sul lavoro”, e stabilendo che “chiunque omette di collocare
impianti, apparecchi o segnali destinati a prevenire disastri o infortuni sul lavoro,
ovvero li rimuove o li danneggia, è punito con la reclusione da sei a cinque anni.
Se dal fatto deriva un disastro o un infortunio, la pena è della reclusione da
tre a dieci anni”;
- l’art. 451 che sanziona la “omissione colposa di cautele o difese contro
disastri o infortuni sul lavoro” e stabilisce che “chiunque, per colpa, omette di
collocare, ovvero rimuove o rende inservibili apparecchi o altri mezzi destinati
all’ estinzione d’un incendio, al salvataggio o al soccorso contro disastri e
infortuni sul lavoro, è punito con la reclusione fino ad un anno o con la multa da
lire duecentomila a un milione” 175.
Tali disposizioni, che almeno sulla carta, introducono un micro-sistema di
repressione di condotte che pongono in pericolo l’incolumità sul lavoro,
175
Cfr. ANTOLISEI F., GROSSO C. F., Manuale di diritto penale, Milano, Giuffrè,
2007, pag. 825
92
andarono ad anticipare il principio dell’esistenza di un obbligo generale di
sicurezza che si consoliderà negli anni ’50 176.
Si rileva, che tali articoli prevedono una responsabilità penale per
comportamenti attivi o passivi, che possono determinare eventi infortunistici (art.
437), o pregiudichino la possibilità di ridurne le conseguenze (art. 451), a
prescindere dal verificarsi dell’infortunio; pertanto, l’eventualità di un danno,
costituisce un aggravante del reato, ma non un elemento costitutivo dello
stesso 177.
Gli artt. 589 e 590 (omicidio colposo e lesioni colpose), del codice penale, a
differenza degli artt.437 e 451 che hanno una finalità “prevenzionistica”, hanno
un carattere punitivo/repressivo di eventi gravi già accaduti a seguito di diretta
violazione di norme antinfortunistiche.
Ma
ad
introdurre
dell’imprenditore,
un
autonomo
sostanzialmente
di
dovere
di
prevenzione
sicurezza
rispetto
a
alle
carico
finalità
assicurative, è stato il Codice civile del 1942, che con l’art.2087 “L'imprenditore
è tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la
particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare
l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”, introduce una
norma di chiusura del sistema sicurezza, volta a ricomprendere ipotesi e
situazioni non espressamente previste dalla legislazione speciale in materia 178.
“Ai sensi dell'art. 2087 del cod. civ., che è norma di chiusura del sistema
antinfortunistico estensibile a situazioni ed ipotesi non ancora espressamente
considerate e valutate dal legislatore al momento della sua formulazione,
l'obbligo dell'imprenditore di tutelare l'integrità psicofisica dei dipendenti impone
l'adozione - ed il mantenimento - non solo di misure di tipo igienico sanitario o
antinfortunistico ma anche di misure atte, secondo le comuni tecniche di
176
Cfr. CANESTRARI S., Trattato di diritto penale - Parte speciale Vol. IV: I delitti
contro l’incolumità pubblica e in materia di stupefacenti, Torino, Utet, 2010, pag. 302
177
Cfr. PERSIANI M., LEPORE M. “et al”, op. cit., pp. 5-6
178
Cfr. PERSIANI M., LEPORE M. “et al”, op. cit., pp. 8-9
93
sicurezza, a preservare i lavoratori dalle loro lesioni nell'ambiente od in costanza
di lavoro in relazione ad attività, pur se allo stesso, non collegate direttamente,
come le aggressioni conseguenti all'attività criminosa di terzi (in particolare,
nelle banche) […] giustificandosi l'interpretazione estensiva della predetta norma
alla stregua sia del rilievo costituzionale del diritto alla salute (art. 32 Cost.), sia
dei principi di correttezza e buona fede (artt. 1175 e 1375 cod. civ.), cui deve
ispirarsi anche lo svolgimento del rapporto di lavoro” 179.
Rientra quindi tra i doveri dell’imprenditore, assicurare ai lavoratori
condizioni idonee, sia dal punto di vista della sicurezza, con l’applicazione della
normativa concernente la prevenzione degli infortuni, sia per quanto riguarda la
salubrità degli ambienti di lavoro e delle lavorazioni, con l’applicazione delle
norme, riguardanti l’igiene del lavoro 180.
Ciò determina che, in capo al datore di lavoro, affinché possa essere tutelata
“l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”, vi sia l’obbligo
di predisporre tutte le misure collegate alla “tipologia di lavoro” (individuate in
relazione ai rischi ed alla nocività dell’attività svolta), dall’ ”esperienza”
(riferibili alle conseguenze dannose prevedibili in virtù di eventi già verificatisi
in precedenza) e dalla “tecnica” (in relazione alle innovazioni in materia di
sicurezza messe a disposizione dal progresso scientifico e tecnologico) 181.
È peraltro da sottolineare che la giurisprudenza ha esteso le responsabilità
di ordine contrattuale, amministrativo e penale anche al datore di lavoro non
imprenditore. Inoltre una parte di essa ritiene che l’art.2087 del Codice civ. sia
un’astratta previsione dell’obbligo del datore di lavoro di assicurare i maggiori
livelli di sicurezza, adottando tutte quelle che potevano essere le possibili cautele,
atte ad impedire l’evento infortunistico, comprese quelle non conosciute o diffuse
al momento del verificarsi del sinistro.
179
Cfr. Cassazione civile, (Sez. lav.), sentenza del 6 settembre 1988, n. 5040
180
Cfr. DEL GIUDICE F., MARIANI F., IZZO F., op.cit., pp. 287-288
181
Cfr. PERSIANI M., LEPORE M. “et al”, op. cit., pag. 9
94
Altra
corrente
giurisprudenziale
ritiene
che
l’obbligo
desumibile
dall’art.2087 non può considerarsi assoluto e generatore di una responsabilità
oggettiva in capo al datore di lavoro ogni qualvolta si verifichi l’infortunio;
quest’ultimo infatti, deve comunque poter essere riconducibile ad una colpa del
datore di lavoro per inosservanza di un obbligo di comportamento imposto dalla
norma di legge o dalle norme tecniche, effettivamente e ragionevolmente
individuabili precedentemente al verificarsi del fatto 182.
Si deve quindi trattare in ogni caso di “norme specifiche e non frutto di
tentativi esplorativi, i quali possono essere anche utili, ma la cui omissione non
può fondare alcun giudizio di responsabilità. Ciò perché in uno stato di diritto,
una responsabilità, sia pur civile, non può essere fondata su illazioni o su mere
ipotesi, non essendo giuridicamente corretto parlare di norme “innominate” che
solo il datore di lavoro, deve reperire” 183.
Principio confermato anche da ulteriori sentenze della Corte di Cassazione
“dal dovere di prevenzione imposto al datore di lavoro dall’art. 2087 cod. civ. che non configura una ipotesi di responsabilità oggettiva - non può desumersi la
prescrizione di un obbligo assoluto di rispettare ogni cautela possibile e
innominata diretta ad evitare qualsiasi danno, con la conseguenza di ritenere la
responsabilità del datore di lavoro ogni volta che un danno si sia comunque
verificato, occorrendo invece che l’evento sia pur sempre riferibile a sua colpa,
per violazione di obblighi di comportamento imposti da norme di fonte legale o
suggeriti dalla tecnica, ma concretamente individuati” 184.
In ogni caso, l’art. 2087 del Codice civ., in sede di verifica di legittimità
costituzionale, con la sentenza n. 312 del 1996, è stato interpretato come dovereobbligo del datore di lavoro alla costante adozione di misure di sicurezza,
organizzative e procedurali che si evolvono con la tecnica, privilegiando gli
182
Cfr. PERSIANI M., “et al”, Fondamenti di diritto del lavoro, Padova, Cedam, 2013,
pp. 160-161
183
Cfr. Cassazione civile, (Sez. lav.), sentenza del 29 marzo 1995, n. 3740
184
Cfr. Cassazione civile, (Sez. lav.), sentenza del 02 giugno 1998, n. 5409
95
interventi alla fonte che se non azzerano il rischio, lo riducono al minimo (cfr.
Corte cost. n.312 del 1996) 185.
L’obbligo di sicurezza, si inserisce quindi nel sinallagma contrattuale tra
datore di lavoro e prestatore di lavoro che diventa titolare di un tassativo diritto
creditizio anche sotto l’aspetto della personale tutela fisica, psicologica e morale,
nei confronti del soggetto responsabile dell’impresa 186.
Da ciò ne discende che il lavoratore, potrà chiedere legittimamente, che
questa obbligazione venga adempiuta esattamente.
L’importanza della tutela dell’integrità fisica e morale del prestatore di
lavoro, trova successivamente riscontro nei principi fondamentali della
Costituzione Repubblicana (1948), laddove se nell’art.41 viene sancita la "libertà
dell’iniziativa economica, si dispone anche che la stessa, non possa svolgersi in
contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno, alla sicurezza, alla
libertà, alla dignità umana; tale presupposto viene rafforzato dall’art.2 “La
Repubblica riconosce i diritti inviolabili dell’uomo […]”, dall’art. 32 “La
Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse
della collettività […]”, e infine dall’art.35 “La Repubblica tutela il lavoro in tutte
le sue forme ed applicazioni […]”.
Peraltro sempre la Costituzione con l’art.38 sancisce che: “I lavoratori
hanno diritto che siano previsti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di
vita in caso di infortunio […]”, riconoscendo di fatto il rischio connesso con
l’espletamento dell’attività lavorativa, stabilendo una tutela ex post nel caso in
cui il lavoratore sia colpito da infortunio.
La salvaguardia della persona umana, della sua salute e sicurezza durante lo
svolgimento dell’attività lavorativa, diventa così principio inderogabile, che si
configura come diritto alla predisposizione di condizioni ambientali e di lavoro
185
Cfr. PERSIANI M., “et al”, Fondamenti di diritto del lavoro, Padova, Cedam, 2013,
pag. 161
186
Cfr. DE FILIPPO D., La sicurezza nel cantiere, Santarcangelo di Romagna, Maggioli,
2012, pag. 17
96
sicure e salubri, svincolate dal concetto di convenienza e di produttività o di
fatalità dell’evento infortunistico 187.
1.3 Gli anni del Boom economico: nascita della prima normativa
prevenzionistica specifica e i soggetti tutelati
Il secondo dopoguerra ha rappresentato un momento cruciale per lo
sviluppo economico e sociale del nostro Paese, impegnato, grazie anche agli aiuti
statunitensi derivanti dal piano Marshall, e al successivo ingresso nel Mercato
Comune Europeo (nel 1957 viene istituita la CEE), alla ricostruzione di fabbriche
e produzione, messe in ginocchio dal secondo conflitto mondiale. Ma mentre
l’organizzazione del lavoro, fondata sul modello dell’uomo-operaio al servizio
delle macchine e della catena di montaggio, conduceva ai cosiddetti anni del
boom economico, l’industria italiana negli anni ’60 raggiunge indici infortunistici
altissimi 188.
È in questo allarmante contesto che il Parlamento italiano, con la legge
delega del 12 febbraio 1955 n.51, in applicazione del dettato costituzionale
dell’art.41 e dell’art 2087 del Codice civile, autorizzò il governo ad emanare
norme generali e speciali, per la prevenzione degli infortuni e per l’igiene del
lavoro, da adottarsi in tutti i settori produttivi, ad eccezione di alcuni (le ferrovie
dello Stato, il Ministero delle poste e telecomunicazioni, l’esercizio dei trasporti
terrestri pubblici, della navigazione marittima, aerea ed interna, le miniere, le
cave e torbiere) 189.
Vennero quindi varati in quegli anni diversi decreti, che individuavano da
un lato una normativa di prevenzione tecnica degli infortuni sul lavoro (connessa
all’utilizzo di macchine, sostanze, prodotti, dispositivi di protezione, ecc.),
187
Cfr. DE FILIPPO D., La sicurezza nel cantiere, Santarcangelo di Romagna, Maggioli,
2012, pag. 23
188
Cfr. RAUSEI P., ROTELLA A., Procedure standardizzate per la valutazione dei
rischi - La disciplina generale della valutazione dei rischi, Milanofiori Assago, IPSOA, 2013,
pp. 1-2
189
Cfr. PERSIANI M., LEPORE M. “et al”, op. cit., pag. 10
97
dall’altro una normativa di prevenzione sanitaria di igiene del lavoro (che
introduce l’obbligo del controllo medico periodico per i lavoratori addetti a
lavorazioni nell’industria e dell’agricoltura ritenute pericolose, stabilendo un
rapporto di casualità e patologie).
I principali decreti emanati, che hanno rappresentato il fondamentale corpo
di norme in materia di salute e sicurezza sul lavoro per un cinquantennio, furono:
il d.p.r. 27 aprile 1955, n.547 “Norme per la prevenzione degli infortuni sul
lavoro”; il d.p.r. 19 marzo 1956, n. 302 “Norme di prevenzione degli infortuni sul
lavoro, integrative di quelle generali emanate con il d.p.r. 27 aprile 1955,
n.547”; il d.p.r. 7 gennaio 1956, n. 164, “Norme per la prevenzione degli
infortuni sul lavoro nel costruzioni”; il d.p.r. 19 marzo 1956, n.303, “Norme
generali per l’igiene del lavoro”.
Si andò così a scardinare definitivamente l’ottica con la quale si era andata
a costruire l’originaria legislazione speciale, sostituendo il concetto di tutela
riparatoria con quello di tutela preventiva dell’integrità psicofisica dei
lavoratori 190.
I decreti emanati negli anni ’50, presentavano elementi comuni,
individuabili nella: tassatività delle previsioni aventi natura di norme tecniche;
natura prevenzionistica delle regole introdotte; rilevanza penale delle
disposizioni. Tali provvedimenti delinearono un sistema che si concretizzò con
l’elaborazione di una serie di disposizioni tecniche puntuali, specifiche ed
oggettive, per ogni ambito disciplinato, il cui rispetto veniva imposto
prioritariamente ai datori di lavoro, ma anche “nell’ambito delle rispettive
attribuzioni e competenze” (come esplicitato dall’art. 4 del d.p.r. n.547/1955), ai
dirigenti ed ai preposti, nonché ai costruttori e ai commercianti di macchine.
La mancata osservanza delle prescrizioni tecniche contenute nella
normativa in oggetto comportava l’applicazione di contravvenzioni, con
190
Cfr. PERSIANI M., LEPORE M. “et al”, op. cit., pag.10
98
l’irrogazione di una sanzione penale, a prescindere dal realizzarsi dell’evento
infortunistico.
Si rileva, che la natura penalistica dell’apparato sanzionatorio in materia di
salute e sicurezza sul lavoro disposto dalla normativa antinfortunistica
unitamente a quello presente nel codice penale, rappresentano principi costanti
nell’evoluzione normativa italiana in materia, ancora oggi operanti 191.
Con i decreti del 1955 e del 1956 è stata introdotta nell’ordinamento
italiano una prevenzione di tipo tecnologico, finalizzata alla predisposizione di
un ambiente oggettivamente sicuro, in grado di garantire una tutela, anche in
presenza di negligenza ed imperizia da parte degli stessi lavoratori, intesi quali
principali beneficiari della norma di tutela. Tuttavia tale approccio, mostrò nel
tempo, il limite legato ad un sistema di norme da applicarsi indifferentemente a
qualsiasi ambito lavorativo, alla difficoltà di adattamento al sempre più veloce
processo di evoluzione delle tecnologie produttive e dell’organizzazione del
lavoro, nonché alla mancanza di una valutazione preventiva dei rischi e di una
programmazione della sicurezza. Inoltre non era previsto il coinvolgimento dei
lavoratori dalle norme prevenzionistiche, destinatari esclusivamente di obblighi
comportamentali da adottare durante la prestazione dell’attività lavorativa 192.
In tal senso, importante fu l’introduzione dell’art.9 della legge 20 maggio
1970, n.300, che stabilì il diritto dei lavoratori, mediante le loro rappresentanze
sindacali, di controllare l’applicazione delle norme per la prevenzione degli
infortuni e delle malattie professionali, promuovendo la ricerca, l’elaborazione e
l’attuazione delle misure idonee a tutelare la loro salute e l’integrità fisica 193.
191
Cfr. FANTINI L., GIULIANI A., Salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Le norme,
l’interpretazione e la prassi, Milano, Giuffrè, 2011, pag. 4
192
Cfr. RAUSEI P., ROTELLA A. Procedure standardizzate per la valutazione dei
rischi-La disciplina generale della valutazione dei rischi, Milanofiori Assago, IPSOA, 2013,
pp. 2, 3
193
Cfr. PERSIANI M., “et al”, Fondamenti di diritto del lavoro, Padova, Cedam, 2013,
pag. 161
99
Altri interventi legislativi da annoverare in quegli anni riguardo alla materia
in esame sono stati, l’emanazione del d.p.r. del 30 giugno 1965, n. 1124 “Testo
unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul
lavoro e le malattie professionali”, che riportava anche l’elenco di una serie di
malattie, riconosciute quali professionali (elenco esteso con il d.p.r. del 13
giugno 1994, n.336, anche a malattie non rientranti nella tabella, purché fosse
oggettivamente riscontrato un nesso di casualità tra patologia e attività
lavorativa), nonchè la legge 23 dicembre 1978, n.833 (c.d. riforma Sanitaria), che
istituiva il Servizio Sanitario Nazionale, con specifiche competenze in materia di
igiene e medicina del lavoro, nonché di prevenzione degli infortuni e delle
malattie professionali.
2. La normativa europea. Cosa cambia nel sistema della prevenzione in
materia di salute e sicurezza sul lavoro
2.1 Attuazione nell’ordinamento giuridico italiano del quadro comunitario.
L’impianto legislativo italiano in materia, rimase sostanzialmente invariato
sino agli anni’80, ovvero sino a quando la disciplina comunitaria non entrò a
pieno titolo nel nostro ordinamento.
L’attenzione della Comunità europea verso i temi relativi alla tutela
dell’integrità fisica dei lavoratori, era già stata esplicitata nel Trattato che
istituiva la Comunità Economica Europea, siglato a Roma nel 1957; in
particolare l’art.118 (oggi art.137 TCE) riportava: “la Commissione ha il compito
di promuovere una stretta collaborazione tra gli Stati membri nel campo sociale,
in particolare per le materie riguardanti: […] la protezione contro gli infortuni e
le malattie professionali, l’igiene del lavoro[…]” 194.
Tuttavia, la fase iniziale dell’azione comunitaria, tra il 1957 e il 1978, che
delineò il primo programma di intervento comunitario in materia di salute e
sicurezza sul lavoro, fu un’opera frammentaria, caratterizzata principalmente
194
Cfr. PERSIANI M., LEPORE M. “et al”, op. cit., pag. 12
100
dall’emanazione di raccomandazioni (atti non vincolanti), prese come
riferimento dai vari ordinamenti interni, con notevole ritardo.
Inizialmente infatti, la produzione di direttive fu limitata: tra queste si
ricordano la n.77/576, modificata successivamente con la direttiva 79/640, la
prima in materia di prevenzione concernente la segnaletica di sicurezza sui posti
di lavoro; la n.72/23 sul materiale elettrico destinato ad essere adoperato entro
taluni limiti di tensione; la n.78/610 sulla protezione dei lavoratori esposti al
cloruro di vinile monomero.
A questa prima fase ne seguì una seconda che ebbe inizio con il “primo
programma di azione comunitaria in materia di salute e sicurezza nel lavoro”,
che individuava una serie di azioni coordinate prioritarie da realizzarsi entro il
1982, riguardanti in particolare la protezione dei lavoratori da particolari agenti
chimici, fisici e biologici.
In attuazione di tale programma venne emanata un’importante direttiva
quadro, la n. 80/1107 (poi modificata dalla direttiva 88/642), sulla protezione
contro i rischi derivanti dall’esposizione ad agenti chimici, fisici e biologici,
nonché altre “direttive particolari”, concernenti la tutela dei lavoratori contro i
rischi derivanti dall’esposizione al piombo, all’amianto al rumore ed il divieto di
alcuni agenti specifici e di alcune attività 195.
Ma sarà la sottoscrizione dell’Atto Unico Europeo, entrato in vigore il 1
gennaio 1987, a dare un decisivo impulso all’azione comunitaria in materia, in
quanto vennero adottati numerosi provvedimenti, di natura vincolante per gli
Stati membri, che dovettero adeguarsi pertanto all’obiettivo di armonizzazione
delle discipline nazionali, con quelle comunitarie.
È il 12 giugno 1989 la data in cui viene emanata la fondamentale direttiva
quadro n.89/391/CEE in materia di salute e sicurezza sul lavoro “concernente
195
Cfr. RUSCIANO M., NATULLO G., Ambiente e sicurezza del lavoro in Diritto del
Lavoro, commentario diretto da CARINCI F., Vol. VIII, Torino, 2007, pp. 9-10
101
l’attuazione di “misure volte a promuovere il miglioramento della salute e
sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro” 196.
Tale direttiva garantì prescrizioni minime in materia di salute e sicurezza in
tutta Europa, sebbene gli Stati membri fossero autorizzati a mantenere o stabilire
misure più severe.
Alcune disposizioni della direttiva quadro hanno apportato notevoli
innovazioni, tra le quali: l'espressione "ambiente di lavoro", che è stata coniata
conformemente alla convenzione n°155 dell'Organizzazione Internazionale del
Lavoro (OIL) e indica un approccio moderno che tiene conto della sicurezza
tecnica, nonché della prevenzione generale delle malattie; l’obiettivo di stabilire
un equo livello di salute e sicurezza a vantaggio di tutti i lavoratori (le uniche
eccezioni sono costituite da lavoratori domestici e da lavoratori che operano nel
servizio pubblico o che prestano servizio militare); l’obbligo dei datori di lavoro
di adottare adeguate misure preventive per rendere il luogo di lavoro più sano e
sicuro. Inoltre la direttiva introduce quale elemento chiave il principio di
valutazione dei rischi specificandone gli elementi principali. In sostanza, il nuovo
obbligo di mettere a punto misure preventive sottolinea implicitamente
l'importanza di moderne forme di gestione della salute e della sicurezza come
parte dei processi di gestione generale 197.
Entro la fine del 1992 la direttiva quadro doveva essere recepita dalla
legislazione nazionale, e costituì la base per l’emanazione delle successive
direttive particolari: 89/654 CEE (luoghi di lavoro); 89/655 CEE (attrezzature di
lavoro); 89/656 CEE (attrezzature di protezione individuale); 90/269 CEE
(movimentazione manuale di carichi); 90/270 CEE (attrezzature munite di
videoterminale); 92/57/CEE (prescrizioni minime di sicurezza e di salute da
attuare nei cantieri temporanei o mobili). Venne inoltre emanata dal Consiglio
della Comunità Europea, la direttiva di mercato n.89/392, concernente il
196
Cfr. PERSIANI M., LEPORE M. “et al”, op.cit., pp. 12-13
197
Cfr. https://osha.europa.eu/it/legislation/directives/the-osh-framework-directive
102
riavvicinamento delle legislazioni degli Stati membri, per quanto riguarda le
macchine (oggi Direttiva macchine 2006/42/CE del 17 maggio 2006) 198.
2.2 Dal D.lgs. n.626/1994 al D.lgs.81/2008 e s.m.i.
In Italia, il recepimento della direttiva quadro n.89/391/CEE, si attuò con
l’entrata in vigore del d.lgs. 19 settembre 1994, n.626, che segnò una vera e
propria svolta nella logica di approccio alla materia.
Infatti alla concezione tradizionale degli anni ’50, basata su di un sistema di
prevenzione tecnologica dove a prevalere era esclusivamente il fattore
“oggettivo”, si affianca un nuovo elemento, quello “soggettivo”.
Questa importante evoluzione ha significato il passaggio, per quanto
concerne la figura del lavoratore, da un ruolo passivo ad un ruolo attivo,
significando che l’infortunio di per sé non è causato solo dalla macchina, ma dal
rapporto uomo-macchina, ovvero dalle procedure operative degli utilizzatori 199.
Il decreto infatti, spostava l’attenzione sui comportamenti di tutti i soggetti
coinvolti nelle attività produttive, dai responsabili, ai destinatari finali della
sicurezza, i lavoratori, introducendo un sistema di “sicurezza globale che pone
l’uomo, anziché la macchina, al centro della nuova organizzazione della
sicurezza in azienda”, introducendo anche, con l’art. 5 comma 1, un principio di
autotutela, “ogni lavoratore deve prendersi cura della propria sicurezza e della
propria salute e quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro” 200.
Con il d.lgs. 626/94, vengono introdotte importanti novità nella gestione
della sicurezza, tra cui le più rilevanti sono state: l’obbligo di valutazione del
rischio da parte del datore di lavoro, l’obbligo di costituire il servizio di
prevenzione e protezione aziendale, la nomina del medico competente nei casi
198
Cfr. PERSIANI M., LEPORE M. “et al”, op. cit., pag. 13
199
Cfr. RUSCIANO M., NATULLO G., Ambiente e sicurezza del lavoro, in Diritto del
Lavoro, commentario diretto da CARINCI F., Vol. VIII, Torino, 2007, pp. 12-13
200
Cfr. ZUCCHETTI R., Il nuovo sistema prevenzionale di organizzazione della sicurezza
aziendale negli anni 90, in Quotidiano Sicurezza.it, 2011
103
previsti dal decreto, l’obbligo di sorveglianza sanitaria per i lavoratori esposti a
determinati rischi, l’obbligo di informare e formare i lavoratori sui rischi
connessi
alla
propria
mansione
e
all’ambiente
di
lavoro,
nonché
l’istituzionalizzazione del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (figura
che va a completare, quanto già antecedentemente previsto, dall’art.9 della legge
300/1970)
201
.
È da sottolineare che l’applicazione del decreto era esteso a tutti i campi di
attività pubblici e privati (con delle limitazioni per Forze armate, Polizia e servizi
di protezione civile), a cui venivano adibiti lavoratori subordinati, compresi i soci
lavoratori di cooperative e società di fatto, con l’esclusione degli addetti ai
servizi domestici e familiari.
Il D.lgs.626/94, andò così ad arricchire la copiosa normativa esistente in
materia di salute e sicurezza sul lavoro: continuavano infatti ad essere in vigore i
decreti tecnici emanati negli anni ’50, nonché le ulteriori norme di attuazione di
direttive comunitarie, recepite successivamente. Ciò contribuì a generare dubbi
sulla corretta applicazione delle disposizioni che disciplinavano la materia,
inducendo inevitabilmente il legislatore ad avviarne un riordino.
Peraltro, l’innovativo corpo normativo introdotto, non contribuì a registrare
una significativa riduzione del fenomeno infortunistico in Italia, che continuava
ad avere in quegli anni, un’incidenza elevata.
Tale tema, è diventato pertanto centrale nel dibattito politico e giuridico del
nostro Paese, che con la strategia europea elaborata dalla Commissione Europea
per la salute e sicurezza sul lavoro per gli anni 2007-2012, è stato chiamato a
predisporre efficaci misure per la riduzione di infortuni e malattia professionali,
affinché si potesse raggiungere, nell’area UE nel quinquennio menzionato, una
riduzione del 25% degli infortuni negli ambienti di lavoro 202.
201
Cfr. PERSIANI M., LEPORE M. “et al”, op. cit., pag. 13
202
Cfr. FANTINI L., GIULIANI A., Salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Le norme,
l’interpretazione e la prassi, Milano, Giuffrè, 2011, pag. 6
104
2.3 Il campo d’applicazione del D.lgs.81/2008 e s.m.i.
L’ulteriore fondamentale intervento operato dal legislatore in tema di salute
e sicurezza sul lavoro, si è concretizzato con l’emanazione del d.lgs. 9 aprile
2008, n.81, con il quale il Governo, in attuazione dell’articolo 1 del legge 3
agosto 2007 n. 123, è stato delegato a procedere al il riassetto e alla riforma delle
norme vigenti in materia, mediante il riordino e il coordinamento delle medesime
in un unico testo normativo.
Tali finalità vengono perseguite nel rispetto delle normative comunitarie e
delle convenzioni internazionali in materia, nonché in conformità all’articolo 117
della Costituzione che colloca a seguito della legge costituzionale n.3 del 2001,
tra le materie riservate alla potestà legislativa concorrente tra Stato e Regioni
anche la “sicurezza sul lavoro”, attribuendo alle Regioni possibilità di legiferare
in materia, fermo restando che vengano rispettati i “principi fondamentali”
determinati dal legislatore statale 203.
L’iter di approvazione del d.lgs.81 del 2008 fu piuttosto travagliato, a
seguito delle accese diatribe tra Governo e parti sociali in particolare per quanto
riguardava l’entità dell’apparato sanzionatorio; ma nel 2007 il tragico rogo
presso lo stabilimento ThyssenKrupp di Torino, dove persero la vita sette operai
e la conseguente pressione di opinione pubblica ed alte cariche dello Stato,
accelerarono il processo di approvazione del testo.
Il d.lgs.81 del 2008 è stato definito “Testo Unico”, in quanto perseguiva lo
scopo di riunire in un unico corpus normativo, le principali disposizioni sino ad
allora in vigore in materia di salute e sicurezza sul lavoro; in particolare abrogò i
previgenti d.p.r. 547/55, d.p.r. 164/56, d.p.r. 303/56 (ad esclusione dell’art. 64) e
i decreti di recepimento delle direttive comunitarie quali il d.lgs. 626/94 e il d.lgs.
494/96. Pur comprendendo la maggior parte delle disposizioni applicabili ai
luoghi di lavoro pubblici e privati, il Testo Unico predetto, non può comunque
considerarsi esaustivo, in quanto non sono in esso confluite alcune disposizioni
203
Cfr. FANTINI L., GIULIANI A., op. cit., pp. 7-8
105
tuttora vigenti (quali il d.lgs.230/95 e s.m.i. in materia di radioprotezione, il d.lgs.
624/1996 disposizioni sulle industrie estrattive a cielo aperto e buona parte del
d.p.r. 320/56 relativo ai lavori in sotterraneo); relativamente invece alla mancata
inclusione di alcuni provvedimenti (richiamati comunque nel testo per le ovvie
connessioni con il tema della sicurezza, quali il d.lgs. n.151/01 sulla maternità, o
il d.lgs. n.66/2003 in tema di orario di lavoro), tale esclusione è giustificata in
ragione della loro autonoma valenza, non strettamente ed esclusivamente legata
alla tutela della sicurezza sul lavoro 204.
Il “Testo Unico”, a distanza di un anno, fu oggetto di un importante
intervento correttivo attuato con l’emanazione del d.lgs.106/2009, al fine di
rivedere i numerosi errori materiali presenti nella versione originaria e per
realizzare un maggior equilibrio tra la tutela della sicurezza e la libertà
d’impresa, mediante un incisivo intervento sull’apparato sanzionatorio,
decisamente ridimensionato nei valori, rispetto alla prima versione 205.
Si completa in questo modo il disegno di riforma iniziato nel 2007,
equiparando l’Italia agli standard normativi internazionali europei.
Il d.lgs.81/2008, successivamente alle disposizioni integrative e correttive
introdotte con il d.lgs.106 del 3 agosto 2009, è stato oggetto (e lo è tutt’ora), di
ulteriori modifiche; in particolare ricordiamo: la legge n.101 del 12 luglio 2012
(di conversione del d.l. 57/2012), che posticipava al 30 giugno 2012 la possibilità
di autocertificare la valutazione dei rischi da parte dei datori di lavoro fino a 10
dipendenti e non rientranti in alcune categorie speciali (termine successivamente
differito al 30 giugno del 2013 dalla legge 24 dicembre 2012 n. 228); la legge
n.177/2012 in materia di sicurezza sul lavoro per la bonifica degli ordigni bellici;
la legge n.98/2013 “disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia” (di
conversione del d.l. 69/2013), introducendo, per quanto concerne la sicurezza
semplificazioni in materia di DURC e semplificazione di adempimenti formali in
204
Cfr. FANTINI L., GIULIANI A., op. cit., pag. 9
205
Cfr. TIRABOSCHI M., FANTINI L., Il Testo Unico della salute e sicurezza sul
lavoro dopo il correttivo (D.lgs. n.106/2009), Milano, Giuffrè, 2009, pp. 7-8
106
materia di lavoro; e recentemente la legge n. 161/2014 che, a seguito della
procedura d’infrazione della Commissione europea n. 2010/4227, è intervenuta
sulla modifica degli artt. 28 comma 3-bis e 29 comma del T.U..
Il d.lgs.81/2008 rinvia inoltre, all’emanazione di ulteriori provvedimenti
attuativi, che integrano e completeranno nel tempo la normativa vigente in tema
di salute e sicurezza sul lavoro 206.
Tra i provvedimenti ad oggi emanati ricordiamo cronologicamente:
- d.p.r. 15 Marzo 2010, n. 90, “Testo unico delle disposizioni regolamentari
in materia di ordinamento militare, a norma dell’articolo 14 della legge 28
novembre 2005, n. 246”;
- d.interm. 11 aprile 2011, “Verifiche periodiche attrezzature di lavoro di
cui all’Allegato VII del d.lgs. 81/08”;
- d.interm. 13 aprile 2011 “disposizioni che caratterizzano le attività e gli
interventi svolti dai volontari della protezione civile, dai volontari della Croce
Rossa Italiana e del Corpo nazionale soccorso alpino e speleologico e dai
volontari dei vigili del fuoco”;
- d.p.r. n. 177 del 14 settembre 2011, “Regolamento recante norme per la
qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi operanti in ambienti
sospetti di inquinamento o confinanti, a norma dell'articolo 6, comma 8, lettera
g), del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81”;
- d.interm. 30 novembre 2012 “Procedure standardizzate” per la valutazione
dei rischi di cui all'articolo 29, comma 5, del decreto legislativo n. 81/2008, ai
sensi dell'articolo 6, comma 8, lettera f);
- d.interm. 6 marzo 2013 “Criteri di qualificazione della figura del
formatore per la salute e sicurezza sul lavoro”;
206
Cfr. MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI, in
http://www.lavoro.gov.it/SicurezzaLavoro/Pages/home.aspx
107
- d.interm. 27 marzo 2013 “Semplificazione in materia di informazione,
formazione e sorveglianza sanitaria dei lavoratori stagionali del settore agricolo”;
- d.interm. 22 luglio 2014 “Disposizioni che si applicano agli spettacoli
musicali, cinematografici e teatrali e alle manifestazioni fieristiche tenendo conto
delle particolari esigenze connesse allo svolgimento delle relative attività”;
- d.interm. 9 settembre 2014 “Modelli semplificati per la redazione del
piano operativo di sicurezza (POS), del piano di sicurezza e di coordinamento
(PSC) e del fascicolo dell'opera (FO) nonché del piano di sicurezza sostitutivo
(PSS)”;
- decreto dirigenziale del 29 settembre 2014 “elenco dei soggetti abilitati
per l’effettuazione delle verifiche periodiche”.
A questi si aggiungono gli atti della Conferenza Stato-Regioni, che vede tra
i suoi principali:
- accordo sui corsi di formazione per lo svolgimento diretto, da parte del
datore di lavoro, dei compiti di prevenzione e protezione dai rischi, pubblicato
sulla Gazzetta Ufficiale - Serie Generale n. 8 del 11-01-2012;
- accordo per la formazione dei lavoratori, ai sensi dell’articolo 37, comma
2, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 812, pubblicato sulla Gazzetta
Ufficiale - Serie Generale n. 8 del 11-01-2012;
- accordo per l’individuazione delle attrezzature di lavoro per le quali è
richiesta una specifica abilitazione degli operatori, ai sensi dell’articolo 73,
comma 5, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, pubblicato sulla Gazzetta
Ufficiale - Serie Generale n. 60 del 12 marzo 2012 - Supplemento Ordinario n.
47 207.
Possiamo dire che il d.lgs.81/2008 e s.m.i., è un testo legislativo in continua
evoluzione, che si è arricchito ed si accresce nel tempo, anche di una cospicua
207
Cfr. MINISTERO DEL LAVORO E DELLE
http://www.lavoro.gov.it/SicurezzaLavoro/Pages/home.aspx
POLITICHE SOCIALI,
in
108
produzione di circolari del MLPS, di linee guida e di buone prassi quest’ultime
finalizzate al miglioramento delle condizioni di lavoro, con la validazione dalla
Commissione consultiva permanente di cui all'articolo 6 del medesimo decreto.
Il T.U. esplicita rispetto al passato “obblighi di natura organizzativa”, che
devono riguardare oltre che la produzione di beni e servizi anche la sicurezza e la
salute dei lavoratori; tali doveri si aggiungono come obbligo giuridico, ai già
esistenti doveri di natura tecnica (che hanno caratterizzato l’approccio normativo
degli anni ’50), e comportamentali di prevenzione e formativi, introdotti con il
d.lgs. 626/94 208.
Il d.lgs.81/2008 e s.m.i., si suddivide in 306 articoli e 51 allegati (che
riportano sostanzialmente le prescrizioni tecniche emanate sino ad allora dalla
normativa del dopoguerra), ed è strutturato in una parte generale, il Titolo I, con
le disposizioni necessariamente applicabili ad ogni soggetto e ad ogni ambiente
di lavoro, e in ulteriori tredici Titoli, nei quali vengono inserite norme specifiche
da applicarsi in determinati settori: Titolo II luoghi di lavoro; Titolo III uso delle
attrezzature di lavoro e dei dispositivi di protezione individuale; Titolo IV
cantieri temporanei o mobili; Titolo V segnaletica di salute e sicurezza sul
lavoro; Titolo VI movimentazione manuale dei carichi; Titolo VII attrezzature
munite di videoterminali; Titolo VIII agenti fisici; Titolo IX sostanze pericolose;
Titolo X esposizione ad agenti biologici; Titolo X- bis protezione dalle ferite da
taglio e da punta nel settore ospedaliero e sanitario; Titolo XI protezione da
atmosfere esplosive
209
.
Il Titolo I Principi comuni, composto da 61 articoli suddivisi in quattro
capi, è quello che contiene, rispetto al precedente d.lgs.626/94, le principali
novità.
Il Capo I Disposizioni generali amplia le maglie del campo di applicazione
della normativa, a tutti i datori di lavoro pubblici e privati, a tutte le tipologie di
208
Cfr. PERSIANI M., LEPORE M. “et al”, op. cit., pag. 14
209
Cfr. FANTINI L., GIULIANI A., op. cit., pp. 13-14
109
rischio, e a tutte le forme contrattuali di lavoro, seppur con specifici adattamenti
(artt.2 e 3 T.U.), individuando quelle escluse dal computo dei lavoratori, dal
quale derivano specifici obblighi stabiliti dal decreto (art. 4 del T.U.).
Il Capo I, definisce il Sistema Istituzionale della prevenzione la cui regia è
affidata al Comitato per l’indirizzo e la valutazione delle politiche attive e per il
coordinamento nazionale delle attività di vigilanza in materia di salute e
sicurezza sul lavoro, presieduto dal Ministro del Lavoro, il cui compito principale
è quello di indirizzare e valutare le politiche attive e coordinare a livello
nazionale le attività di vigilanza in materia di salute e sicurezza sul lavoro (art. 5
del T.U.).
Altro ruolo rilevante è rappresentato dalla Commissione consultiva
permanente per la salute e sicurezza sul lavoro (art.6 del T.U.), istituita presso il
Ministero del Lavoro, che tra i suoi numerosi compiti ha quello di: esaminare i
problemi applicativi della normativa e formulare proposte per lo sviluppo e il
perfezionamento della legislazione vigente, validare le buone prassi in materia di
salute e sicurezza sul lavoro nonché elaborare le procedure standardizzate per la
redazione del documento di valutazione dei rischi di cui all’articolo 26, co. 3.
Del sistema istituzionale fanno parte anche i Comitati regionali di
coordinamento istituiti presso ogni regione con “il fine di realizzare una
programmazione coordinata di interventi e un necessario raccordo con il
Comitato per l’indirizzo e la valutazione delle politiche attivate e per il
coordinamento nazionale delle attività di vigilanza in materia di salute e
sicurezza sul lavoro” (art.7 del T.U.).
L’art. 13 del Capo I disciplina anche l’attività di vigilanza, le cui
competenze restano in capo (salvo alcuni settori speciali), principalmente alla
Azienda Sanitaria Locale competente per territorio e, per quanto di specifica
competenza, al personale ispettivo del Ministero del lavoro, della salute e delle
politiche sociali e dal Corpo nazionale dei Vigili del Fuoco 210.
210
Cfr. D.lgs.81/2008 e s.m.i., Capo I
110
Rientrano in ultimo in questo Capo, le “Disposizioni per il contrasto del
lavoro irregolare e per la tutela della salute e sicurezza dei lavoratori” (art.14 del
T.U.); In base a tale disposizione, gli organi di vigilanza possono adottare il
provvedimento di sospensione dell’attività imprenditoriale nei casi in cui viene
riscontrato l’impiego di personale non risultante dalla documentazione
obbligatoria in misura pari o superiore al 20% del totale dei lavoratori presenti
sul luogo di lavoro, nonché in caso di gravi e reiterate violazioni in materia di
tutela della salute e della sicurezza sul lavoro 211.
2.4 Concetto di “lavoratore” secondo il D.lgs.81/2008 e s.m.i. e tutela
prevenzionistica
Il Titolo I denominato “Principi comuni” del T.U., contiene le disposizioni
generali che delineano il campo di applicazione “oggettivo” delle stesse, che
ricalcano sostanzialmente, quanto già espresso nel d.lgs. 626/94.
Tra le novità introdotte dal nuovo testo normativo, troviamo l’ampliamento
del campo di applicazione “soggettivo”, definito dal combinato disposto
dell’art.2 comma 1 lett. a), che dilata la nozione di “lavoratore” e le categorie dei
soggetti ad esso equiparati ex lege, nonchè dell’art. 3, che estende il campo di
applicazione “a tutti i lavoratori e lavoratrici, subordinati ed autonomi […]”,
prevedendo applicazioni parziali o differenziate nei casi di tipologie lavorative
atipiche e flessibili,
a forme di lavoro speciali non esistenti al momento
dell’emanazione del d.lgs.626/94.
In questo modo si mira ad un allineamento con quanto sancito dalla
direttiva comunitaria n. 89/391/CEE, che considerava “lavoratore” “qualsiasi
persona impiegata dal datore di lavoro […]”, indipendentemente dal carattere
subordinato della prestazione lavorativa, recependo altresì l’orientamento
giurisprudenziale prevalente, che tende a garantire la tutela prevenzionistica a
tutti coloro che si trovano in un ambiente di lavoro di cui un datore di lavoro,
abbia disponibilità a prescindere dal titolo o dalla tipologia contrattuale (Cfr.
211
Cfr. D.lgs.81/2008 e s.m.i., Capo I
111
Cassazione 1 dicembre 2004 n.46515, Cassazione 9 gennaio 2002, n.478,
Cass.19 dicembre 2001, n. 45297) 212.
L’art. 2 del T.U., definisce come lavoratore (al quale vengono garantite
integralmente le tutele previste dal decreto), la “persona che, indipendentemente
dalla
tipologia
contrattuale,
svolge
un’attività
lavorativa
nell’ambito
dell’organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato, con o senza
retribuzione, anche al solo fine di apprendere un mestiere, un’arte o una
professione, esclusi gli addetti ai servizi domestici e familiari. Al lavoratore così
definito è equiparato: il socio lavoratore di cooperativa o di società, anche di
fatto, che presta la sua attività per conto delle società e dell’ente stesso;
l’associato in partecipazione di cui all’articolo 2549, e seguenti del Codice civile;
il soggetto beneficiario delle iniziative di tirocini formativi e di orientamento
[…]; l’allievo degli istituti di istruzione ed universitari e il partecipante ai corsi di
formazione professionale […]; i volontari del Corpo nazionale dei Vigili del
Fuoco e della Protezione Civile; i lavoratori socialmente utili di cui al d.lgs.
468/97.
La norma, peraltro, con l’espressione “indipendentemente dalla tipologia
contrattuale”, sposta l’attenzione dal contratto, alla “circostanza di fatto”,
costituita dall’inserimento di un soggetto nell’ambito di un organizzazione di un
datore di lavoro pubblico e privato 213.
Si è tentato in questo modo di colmare il problema di divaricazione tra
diritto del lavoro, e diritto alla salute, che si era andato a creare, in connessione
con l’emersione di figure contrattuali non standard, diventate da rapporti di
lavoro atipici, utilizzabili solo in situazioni occasionali, a strategia permanente di
occupazione.
212
Cfr. SANTORO PASSARELLI G. (a cura di), La nuova sicurezza in azienda.
Commentario al Titolo I del D.lgs.81/2008, IPSOA, 2008, pag. 21
213
Cfr. VENTURI D., Lavoratore: definizione e obblighi, in Il Testo Unico della salute e
sicurezza sul lavoro dopo il correttivo (D.lgs. n.106/2009), TIRABOSCHI M., FANTINI L. (a
cura di), Giuffrè, 2009, pag. 371
112
D’altra parte, per tali fattispecie di lavoratori, svincolati dalla strumentalità
del contratto a tempo indeterminato, sia la dottrina, che gli studi condotti
dall’Agenzia Europea per la tutela della salute e sicurezza del lavoro,
segnalarono l’insorgenza di nuove tipologie di rischio in quanto categorie, più
facilmente sottratte ai controlli pubblici e alle tutele giurisdizionali sindacali 214.
Nel caso dei lavoratori in somministrazione, ad esempio, le garanzie per
quanto concerne la salute e sicurezza sul lavoro erano state sino all’emanazione
del T.U. definite dalla disciplina specialistica del d.lgs.276/2003, che individuava
nel datore di lavoro formale del dipendente (l’agenzia di somministrazione), il
soggetto su cui far ricadere il potere disciplinare (art. 23, 7° comma), mentre nel
datore di lavoro sostanziale, per il quale viene svolta la prestazione lavorativa
(l’utilizzatore, esercente potere direttivo e di controllo), la figura garante
dell’adozione di tutte le misure di prevenzione e protezione atte a salvaguardare
la salute e la sicurezza dei lavoratori (art.20 comma 2 del d.lgs.276/2003).
Peraltro l’obbligo di effettuare la valutazione dei rischi, da parte
dell’utilizzatore, è stata sancita quale condizione necessaria per la stipulazione
del contratto di somministrazione di lavoro, la cui assenza, legittimava il
lavoratore a chiedere giudizialmente la costituzione del rapporto di lavoro, alle
dirette dipendenze dell’utilizzatore 215.
Il d.lgs.81/2008 e s.m.i., in raccordo con la disciplina previgente, ha
introdotto con l’art. 3 comma 5, la regola generale che tutti gli obblighi di
prevenzione e protezione sono a carico dell’utilizzatore, in qualità di “datore di
lavoro”, fermo restando quanto specificamente previsto dal comma 5 dell’art. 23
comma 5 del d.lgs. n. 276/2003, relativamente agli obblighi di ripartizione di
informazione, formazione ed addestramento in materia di salute e sicurezza dei
lavoratori, tra somministratore e utilizzatore. Tuttavia, il contratto di
214
Cfr. GIOVANNONE M., TIRABOSCHI M., Organizzazione del lavoro e nuove forme
di impiego. Literature review, CENTRO STUDI INTERNAZIONALI E COMPARATI
“MARCO BIAGI, Modena, 2007, pp. 9-10
215
Cfr. PERSIANI M., LEPORE M. “et al”, op. cit., pp. 57-62
113
somministrazione può prevedere che anche tale dovere, possa essere adempiuto
dall'utilizzatore; in tale caso ne va fatta indicazione nel contratto con il
lavoratore. Restano in vigore le disposizioni di cui all’art.20 comma 4, lett. c) e
all’art.21 comma 1 lett. d) del d.lgs. n.276/2003, in quanto non abrogate dal
d.lgs.81/2008 e s.m.i. 216.
Nelle ipotesi di distacco del lavoratore, disciplinato dall’ art. 30 del d.lgs.
276/2003 e s.m.i., e dall’art. 3 comma 6 del d.lgs.81/2008 e s.m.i., tutti gli
obblighi di prevenzione e protezione sono a carico del distaccatario, fatto salvo
l’obbligo a carico del distaccante di informare e formare il lavoratore sui rischi
tipici generalmente connessi allo svolgimento delle mansioni per le quali egli
viene distaccato.
Nel settore pubblico, disciplinato dal d.lgs. 165/2001, per il lavoratore che
“presta
servizio
con
rapporto
di
dipendenza
funzionale
presso
altre
amministrazioni pubbliche, organi o autorità nazionali, gli obblighi di cui al
decreto sono a carico del datore di lavoro designato dall’amministrazione, organo
o autorità ospitante” 217.
Il T.U., con l’art. 3 comma 7, nei confronti dei lavoratori a progetto (di cui
agli artt.61, e seguenti, del d.lgs. 276/2003 e s.m.i.), e dei collaboratori coordinati
e continuativi (di cui all’articolo 409, primo comma, n. 3, del Codice di
procedura civile), si è limitato a ribadire che l’applicazione della normativa
antinfortunistica si applica nei soli casi in cui il lavoratore a progetto svolga la
prestazione di lavoro nei luoghi di lavoro del committente 218.
Appare evidente come la regolamentazione della tutela antinfortunistica
venga legata al dato sostanziale della presenza del soggetto nell’ambiente
216
Cfr. SANTORO PASSARELLI G. (a cura di), op. cit., pag. 25
217
Cfr. SANTORO PASSARELLI G. (a cura di), op. cit., pp. 28-29
218
Cfr. LEPORE M., Le prestazioni di sicurezza, in Trattato di Diritto del Lavoro, in
Contratto di lavoro e organizzazione, MARAZZA M. (a cura di), Tomo II, vol. IV, in Trattato
di diritto del lavoro, diretto da Persiani e Carinci, Padova, Cedam, 2012, pag. 1758
114
lavorativo del datore di lavoro, anche se dal punto di vista formale il lavoratore a
progetto svolge un’attività riconducibile al lavoro autonomo 219.
Resta invece irrisolta l’applicabilità del decreto nei casi dei collaboratori
c.d. “misti” ed esterni, che svolgono la loro prestazione al di fuori dei locali
aziendali, rimanendo incerta l’individuazione delle disposizioni sulla sicurezza
effettivamente applicabili 220.
Il lavoro parasubordinato, va detto non era stato disciplinato compiutamente
nemmeno dal d.lgs.626/94, non essendo assimilabile appunto, al lavoro
subordinato. In particolare, l’art. 7 di tale decreto, prevedeva una generica
verifica dell’idoneità tecnico-professionale dei lavoratori autonomi impegnati
presso la sede del datore di lavoro/committente, sul quale gravava l’obbligo di
informazione sui rischi specifici presenti nell’ambiente; sussisteva poi l’onere di
cooperare per l’attuazione delle misure di prevenzione e protezione
221
.
Al fine di ridurre la posizione di debolezza contrattuale, di tale categoria di
lavoratori, vennero predisposte, alcune tutele tipiche della subordinazione in
materia previdenziale e di processo del lavoro, in attuazione del principio di cui
all’art. 35, comma 1°, della Costituzione.
Ma
le
prime
aperture
giurisprudenziali,
orientate
a
riconoscere
l’applicabilità delle tutele della disciplina di cui al d.lgs.626/94 anche ai
lavoratori autonomi, si ebbero a partire dagli anni 2000, anche se nate, più che
dalla lettura estensiva del d.lgs.626/94, sulla scorta dell’applicazione art.2087 del
codice civile.
La Cassazione civile con la sentenza, Sez. lavoro, 22/03/2002, n. 4129,
ribadì alcuni fondamentali principi, già consolidati in giurisprudenza, in merito
all'esatta estensione dell'obbligo di sicurezza di cui agli artt. 32 Cost. e 2087 c.c.,
219
Cfr. MAGLI C.V. (a cura di), Il sistema sicurezza in azienda, Santarcangelo di
Romagna, Maggioli, 2011, pp. 35-36
220
Cfr. PERSIANI M., LEPORE M. “et al”, op. cit., pag. 83
221
Cfr. PERSIANI M., LEPORE M. “et al”, op. cit., pp. 81-82
115
il cui ventaglio dei soggetti destinatari comprende anche i terzi che, in modo non
abusivo, vengano a trovarsi in uno stato di pericolo cagionato dalla medesima
attività.
Fu con l’art. 66 comma 4 del d.lgs. 276/2003, che per la prima volta venne
prevista l’espressa applicabilità del d.lgs. 626/94, anche ai lavoratori coordinati e
continuativi a progetto, purché occupati presso i luoghi di lavoro di pertinenza
dei datori di lavoro. Per gli altri collaboratori, le parti erano libere di determinare
eventuali misure di tutela (art. 62 comma 1 lett. e).
Tale intervento di fatto si mostrò inadeguato perché rimanevano esclusi i
collaboratori coordinati e continuativi non a progetto (numerosi nel settore
pubblico), e i lavoratori a progetto che pur utilizzando i mezzi del committente,
erano impegnati fuori dai locali aziendali del committente. Inoltre di difficile
conciliazione erano l’applicabilità delle tutele previste dal d.lgs. 626/94 (cucite
sul modello di un’organizzazione gerarchica precisa), con l’autonomia propria di
tali categorie atipiche 222.
Le disposizioni del T.U. e tutte le altre norme speciali vigenti in materia di
sicurezza e tutela della salute, si applicano anche nei confronti dei lavoratori che
effettuano prestazioni occasionali di tipo accessorio di cui all’art. 70 e seguenti
del d.lgs. 276 e s.m.i., con esclusione dei piccoli lavori domestici a carattere
straordinario, compresi l’insegnamento privato supplementare e l’assistenza
domiciliare ai bambini, agli anziani, agli ammalati e ai disabili (art. 3 comma 8
del T.U.).
Per quanto riguarda il lavoro a domicilio, disciplinato dalla L. n. 877 del 18
dicembre 1973, l’intervento legislativo ha confermato gli obblighi di
informazione e formazione di cui agli artt.36 e 37 del d.lgs.81/2008, nonché
introdotto il dovere in capo al datore di lavoro di fornire ai lavoratori, i
dispositivi di protezione individuale necessari in base alle mansioni assegnate,
conformi al Titolo III del decreto (art.3 comma 9).
222
Cfr. PERSIANI M., LEPORE M. “et al”, op. cit., pp. 82-83
116
La scelta legislativa, prova la presa di coscienza del legislatore
relativamente al fatto che, lo svolgimento dell’attività lavorativa, al di fuori del
contesto organizzativo del datore di lavoro, possa essere idonea ad attenuare, ma
non ad eliminare la protezione del lavoratore, sebbene in capo a quest’ultimo
permangano ancora notevoli preclusioni circa l’applicabilità della quasi totalità
delle disposizioni legislative previste dalla normativa speciale 223.
L’art.3 comma 10 del T.U., disciplina anche l’istituto del telelavoro, vale a
dire la possibilità del lavoratore subordinato, di svolgere la sua attività, in un
luogo spostato dall’unità operativa aziendale, effettuando una prestazione
continuativa di lavoro a distanza, mediante collegamento informatico e
telematico, compresi quelli di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8
marzo 1999, n. 70, e di cui all’Accordo-Quadro Europeo sul telelavoro concluso
il 16 luglio 2002.
A tale fattispecie si applicano le disposizioni di cui al Titolo VII del
d.lgs.81/2008 e s.m.i., indipendentemente dall’ambito in cui si svolge la
prestazione stessa. Nell’ipotesi in cui il datore di lavoro fornisca attrezzature
proprie, o per il tramite di terzi, queste devono essere conformi alle disposizioni
di cui al Titolo III. I lavoratori a distanza sono informati dal datore di lavoro
circa le politiche aziendali in materia di salute e sicurezza sul lavoro, in
particolare in ordine alle esigenze relative ai videoterminali ed applicano
correttamente le direttive aziendali di sicurezza […]. Il lavoratore a distanza può
chiedere ispezioni. Il datore di lavoro garantisce l’adozione di misure dirette a
prevenire l’isolamento del lavoratore a distanza rispetto agli altri lavoratori
interni all’azienda, permettendogli di incontrarsi con i colleghi e di accedere alle
informazioni dell’azienda, nel rispetto di regolamenti o accordi aziendali 224.
Si rileva, che tale istituto è regolamentato nel nostro ordinamento soltanto
nell’impiego pubblico, ai sensi del d.p.r. n. 70/1999, mentre per l’impiego privato
223
Cfr. PERSIANI M., LEPORE M. “et al”, op. cit., pp. 88-89
224
Cfr. D.lgs. 81/2008 e s.m.i., art.3 comma 10
117
rappresenta riferimento fondamentale, l’Accordo-Quadro Europeo sul telelavoro
concluso il 16 luglio 2002 a Bruxelles, secondo cui “il telelavoro costituisce una
forma di organizzazione e/o svolgimento del lavoro, in cui l’attività lavorativa,
che potrebbe essere svolta nei locali dell’impresa, viene regolarmente svolta al di
fuori dei locali della stessa”. Tale formula è stata poi recepita nell’Accordo
interconfederale del 9/6/2004, che tuttavia, sconta il limite della efficacia erga
omnes, per quanto concerne la sua possibilità di attuazione nel diritto interno 225.
Restano esclusi, dal novero di “lavoratore”, con diritto di tutela
prevenzionistica, gli addetti ai servizi domestici e familiari (art. 2 comma 1 lett.
a) del d.lgs.81/2008 e s.m.i.), come peraltro confermato dall’art. 3 comma 8 del
T.U. che ne esclude l’applicazione anche nel lavoro accessorio, qualora riguardi i
piccoli lavori domestici a carattere straordinario, compresi l’insegnamento
privato supplementare e l’assistenza domiciliare ai bambini, agli anziani, agli
ammalati e ai disabili. L’unica tutela residuale, in capo a tali tipologie di
lavoratori resta la vigenza dell’art.6 della legge 274/1958, n.339 secondo la
quale, il datore di lavoro deve garantire, nel caso in cui vi sia l'impegno del vitto
e dell'alloggio, un ambiente che non sia nocivo alla integrità fisica e morale del
lavoratore stesso, nonché una nutrizione sana e sufficiente; tutelarne la salute
particolarmente qualora vi siano in famiglia fonti di infezione; garantire al
lavoratore il rispetto della sua personalità e della sua libertà morale […]. Tale
articolo è stato tuttavia indebolito dalla modifica apportata dall’art. 179 del d.lgs.
196/2003, che ha soppresso dal dettato normativo precedente l’obbligo di
garantire al lavoratore il rispetto della sua personalità e della sua libertà
morale 226.
Va detto, che l’estensione dell’applicabilità della norma a soggetti non più
ricadenti nella tipologia tipica del lavoro subordinato, non ha tuttavia
generalizzato, l’obbligo per il datore di lavoro di applicazione integrale delle
disposizioni del decreto a tutte le categorie di lavoratori.
225
Cfr. PERSIANI M., LEPORE M. “et al”, op. cit., pp. 95
226
Cfr. PERSIANI M., LEPORE M. “et al”, op. cit., pp. 128-130
118
È ancora da rilevare che dal computo dei lavoratori, dal quale discendono
particolari obblighi a carico del datore di lavoro (ad esempio: l’utilizzo delle
procedure standardizzate per la valutazione del rischio art. 29 del T.U.), la
costituzione all’interno dell’azienda del SSP (art.31 del T.U.), lo svolgimento
diretto da parte del datore di lavoro dei compiti di RSPP (art.34 del T.U.), ecc.),
ai sensi dell’art. 4 del T.U. sono esclusi: i collaboratori familiari di cui
all’articolo 230-bis del Codice civile, i soggetti beneficiari delle iniziative di
tirocini formativi e di orientamento,
gli allievi degli istituti di istruzione e
universitari e i partecipanti ai corsi di formazione professionale […], i lavoratori
assunti con contratto di lavoro a tempo determinato (ex art. 1 del d.lgs. 368/2001)
in sostituzione di altri prestatori di lavoro assenti con diritto alla conservazione
del posto di lavoro, i lavoratori autonomi di cui all’articolo 2222 del Codice
civile, i collaboratori coordinati e continuativi di cui all’articolo 409, primo
comma, n. 3, del c.p.c., nonché i lavoratori a progetto di cui agli articoli 61 e
seguenti del d.lgs. 276/2003, e s.m.i., ove la loro attività non sia svolta in forma
esclusiva a favore del committente […] 227.
2.5 Gli obblighi dei lavoratori
Con il d.lgs.81/2008 e s.m.i., vi è una più ampia responsabilizzazione del
lavoratore, il quale svolge un ruolo di soggetto attivo della sicurezza individuale
e collettiva nel sistema complessivo di sicurezza aziendale, diventando non più
esclusivamente titolare di mero credito di sicurezza.
Il lavoratore infatti contribuisce, unitamente al datore di lavoro, ai dirigenti
e ai preposti, all’adempimento di tutti gli obblighi imposti dalla normativa,
necessari per la tutela dell’integrità fisica dei lavoratori, in quanto su di lui
gravano “doveri di autotutela”.
L’art. 20, comma 1, statuisce espressamente che ogni lavoratore deve
prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone
227
Cfr. SANTORO PASSARELLI G. (a cura di), op. cit., pag. 41
119
presenti sul luogo di lavoro, su cui ricadono gli effetti delle sue azioni o
omissioni, conformemente alla sua formazione, alle istruzioni e ai mezzi forniti
dal datore di lavoro. Ciò significa, che i responsabili dell’organizzazione del
lavoro, qualora predispongano nel migliore dei modi le procedure da compiere
per l’esecuzione dello stesso, hanno ragione di poter contare sulla corretta
esecuzione dell’obbligazione di lavoro da parte dei lavoratori e attendersi da
questi la normale diligenza e l’esatto adempimento del proprio dovere
nell’eseguire l’operazione 228.
L’art. 20, comma 2, del d.lgs. n. 81/2008 pone pertanto in capo ai lavoratori
specifi doveri, quali: a) contribuire, insieme al datore di lavoro, ai dirigenti e ai
preposti, all’adempimento degli obblighi previsti a tutela della salute e sicurezza
sui luoghi di lavoro; b) osservare le disposizioni e le istruzioni impartite dal
datore di lavoro, dai dirigenti e dai preposti, ai fini della protezione collettiva ed
individuale; c) utilizzare correttamente le attrezzature di lavoro, le sostanze e i
preparati pericolosi, i mezzi di trasporto, nonché i dispositivi di sicurezza; d)
utilizzare in modo appropriato i dispositivi di protezione messi a loro
disposizione; e) segnalare immediatamente al datore di lavoro, al dirigente o al
preposto le deficienze dei mezzi e dei dispositivi di cui alle lettere c) e d), nonché
qualsiasi eventuale condizione di pericolo di cui vengano a conoscenza,
adoperandosi direttamente, in caso di urgenza, nell’ambito delle proprie
competenze e possibilità e fatto salvo l’obbligo di cui alla lettera f), per eliminare
o ridurre le situazioni di pericolo grave e incombente, dandone notizia al
rappresentante dei lavoratori per la sicurezza; f) non rimuovere o modificare
senza autorizzazione i dispositivi di sicurezza o di segnalazione o di controllo; g)
non compiere di propria iniziativa operazioni o manovre che non siano di loro
competenza ovvero che possano compromettere la sicurezza propria o di altri
lavoratori; h) partecipare ai programmi di formazione e di addestramento
228
Cfr. GIUNTA F., MICHELETTI D., Il nuovo diritto penale della sicurezza nei luoghi
di lavoro, Milano, Giuffrè, 2010, pag. 92
120
organizzati dal datore di lavoro; i) sottoporsi ai controlli sanitari previsti dal
presente decreto legislativo o comunque disposti dal medico competente.
Infine, il comma 3 del citato art. 20 statuisce che i lavoratori di aziende che
svolgono attività in regime di appalto o subappalto devono esporre apposita
tessera di riconoscimento, corredata di fotografia, contenente le generalità del
lavoratore e l'indicazione del datore di lavoro 229.
Il T.U., all’art. 59, recante la rubrica “sanzioni per i lavoratori”, prevede
anche in capo ad esso un apparato sanzionatorio, qualora violi le suddette
disposizioni, attraverso la previsione di illeciti penali ed amministrativi.
Naturalmente, il dovere del lavoratore è complementare rispetto al debito di
sicurezza previsto a carico dei principali garanti individuati dalla legge, ma è
indiscutibile che l’obiettivo globale di sicurezza possa essere perseguito, soltanto
con la partecipazione attiva dei diretti interessati e beneficiari.
D’altra parte, dottrina e giurisprudenza consolidata ritengono che si possa
ravvisare la responsabilità esclusiva in capo al lavoratore per gli infortuni
occorsi, con l’esclusione di addebiti a carico del datore di lavoro, esclusivamente
quando il comportamento del dipendente presenti i caratteri dell’abnormità,
inopinabilità e esorbitanza, rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive
ricevute, o dell’atipicità ed eccezionalità, così da porsi come causa esclusiva
dell’evento 230.
Infine è da rilevare che l’eventuale inadempimento degli obblighi di
sicurezza che gravano sul lavoratore, legittima l’esercizio del potere disciplinare
da parte del datore di lavoro 231.
229
Cfr. D.lgs.81/2008, Capo I, art. 20
230
Cfr. GIUNTA F., MICHELETTI D., op. cit., pp. 92-95
231
Cfr. PERSIANI M., “et al”, Fondamenti di diritto del lavoro, Padova, Cedam, 2013,
pag. 164
121
2.6 I lavoratori autonomi e i componenti dell’impresa familiare: le nuove
disposizioni del D.lgs.81/2008 e s.m.i.
Il lavoratore autonomo, con il d.lgs.81/2008, entra finalmente a far parte dei
soggetti considerati dal legislatore, per quanto concerne l’assicurazione di un
minimo di garanzie prevenzionistiche, recependo in questo modo la
raccomandazione 2003/134/CE del Consiglio UE del 18 febbraio 2003 intesa a
favorire l’estensione della direttiva quadro a tale tipologia di lavoratori, almeno
per quanto concerne l’informazione, la sensibilizzazione sulla prevenzione dei
rischi, formazione adeguata e controllo della salute, e ponendosi in questo modo,
in linea con il dettato costituzionale che “tutela il lavoro in tutte le sue forme” 232.
Di fatto, malgrado molti dei rischi sul lavoro siano comuni sia ai lavoratori
subordinati sia a quelli autonomi, gli Stati membri hanno teso a non applicare la
norma alla seconda fattispecie di lavoratori; posizione invece non ignorata dalla
normativa comunitaria che per il lavoro svolto nei cantieri temporanei e mobili,
con la direttiva particolare del Consiglio, 92/57/CEE (ottava direttiva particolare
ai sensi dell'articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 89/391/CEE), estendeva
alcune disposizioni in materia di tutela, anche ai lavoratori autonomi, con
l’intento di proteggerli ed orientarne i comportamenti.
La normativa comunitaria ha considerato il lavoratore autonomo, da un lato
“debitore di sicurezza”, per la sua influenza sui rischi da interferenza dovuti alla
sua presenza in contemporanea con altri operatori nell’ambito di un processo
produttivo, dall’altro “creditore di sicurezza”, per quanto riguarda la sua tutela
diretta che attiene all’uso delle attrezzature e dei dispositivi di sicurezza
individuale 233.
In passato, nonostante il significato ampio del concetto di lavoratore
introdotto dalla normativa europea, il d.lgs. 626/94 riconduceva comunque la
232
Cfr. SANTORO PASSARELLI G., op. cit., pag. 34
233
Cfr. PERSIANI M., LEPORE M. “et al”, op. cit., pp. 263-264
122
tutela prevenzionistica sostanzialmente alla prestazione subordinata, escludendo
il lavoratore autonomo dal sistema delle tutele.
Solo l’art.7 del d.lgs.626/94, considerava marginalmente tale categoria,
disciplinando la specifica fattispecie del contratto d’opera, accanto al contratto
d’appalto, con obbligo di informazione in capo al committente anche ai
lavoratori autonomi, che dovevano comunque possedere dei requisiti tecnico
professionali, per poter svolgere l’attività commissionata.
A segnare il superamento del precedente limite normativo, sarà anche in
questo caso il d.lgs.81/2008 e s.m.i., sancendo, con l’art. 3 comma 11 che “nei
confronti dei lavoratori autonomi, di cui all’art. 2222 del Codice civ., si
applicano le disposizioni di cui agli articoli 21 e 26 del medesimo decreto” 234.
In generale, l’estensione della tutela prevenzionistica per tali lavoratori, si
esplica nell’ottemperanza ai seguenti obblighi, previsti dall’art.21 del
d.lgs.81/2008 e s.m.i.: a) utilizzare attrezzature di lavoro in conformità alle
disposizioni di cui al Titolo III; b) munirsi di dispositivi di protezione individuale
(DPI) ed utilizzarli conformemente alle disposizioni di cui al Titolo III; C)
munirsi di apposita tessera di riconoscimento corredata di fotografia, contenente
le proprie generalità, qualora effettuino la loro prestazione in un luogo di lavoro
nel quale si svolgano attività in regime di appalto o subappalto.
Le disposizioni di cui all’art.21 comma 1 lett. a) e lett. b) rappresentano
un’importante innovazione della normativa in quanto impongono al lavoratore
autonomo, ovunque svolga la sua prestazione lavorativa, di conformarsi a quanto
espresso dal decreto.
La tessera di riconoscimento invece, di cui all’art.21 comma 1 lett. c) non
rappresenta una novità in quanto già prevista dalla l. 123/2007; peraltro la stessa
è stata ulteriormente oggetto di interesse con le integrazioni in merito apportate
dall’art.5, “identificazione degli addetti in cantiere”, dalla l. 136/2010 (che
prevede anche l’indicazione, nella stessa, del committente).
234
Cfr. SANTORO PASSARELLI G., op. cit., pag. 34
123
L’art. 21 al comma 2) riconosce ai lavoratori autonomi, relativamente ai
rischi propri delle attività svolte e con oneri a proprio carico, la facoltà di: a)
beneficiare della sorveglianza sanitaria secondo le previsioni di cui all’articolo
41, fermi restando gli obblighi previsti da norme speciali; b) partecipare a corsi
di formazione specifici in materia di salute e sicurezza sul lavoro, incentrati sui
rischi propri delle attività svolte, secondo le previsioni di cui all’articolo 37,
fermi restando gli obblighi previsti da norme speciali 235.
Il lavoratore autonomo viene poi preso in considerazione nel decreto,
nell’ambito dell’art.26 (modificato dall’art. 32 del decreto-legge 21/06/2013, n.
69 recante “Disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia”), relativamente
alle disposizioni connesse ai rischi interferenziali, nell’ambito dei contratti
d’appalto o d’opera o di somministrazione. Sebbene la sua sia una posizione
sostanzialmente indiretta, poiché gli obblighi principali incombono sul
committente “datore di lavoro”, essi devono comunque possedere i requisiti di
idoneità tecnico professionale e collaborare con il committente per il relativo
accertamento
degli
stessi,
qualunque
sia
la
modalità
di
verifica
(autocertificazione o qualificazione).
Inoltre sono tenuti a ricevere dal committente tutte le informazioni sui rischi
presenti in azienda e devono cooperare all’attuazione delle misure di prevenzione
e protezione coordinandosi, al fine di eliminare rischi dovuti alle interferenze tra
i lavoratori delle diverse imprese coinvolte nell’esecuzione dell’opera
complessiva.
La figura dell’autonomo assume altresì rilievo nel campo della valutazione
dei rischi, considerato che oggetto della stessa, sono anche i rischi connessi alla
specifica tipologia contrattuale attraverso cui viene resa la prestazione di lavoro
(art.28 comma 1 del d.lgs.81/2008 e s.m.i.) 236.
235
Cfr. SANTORO PASSARELLI G., op. cit., pag. 35
236
Cfr. PERSIANI M., LEPORE M. “et al”, op. cit., pp. 267-268
124
Le disposizioni di cui all’art.21 del T.U. si estendono anche ai componenti
dell’impresa familiare di cui all’articolo 230-bis del Codice civile, ai coltivatori
diretti del fondo, ai soci delle società semplici operanti nel settore agricolo, agli
artigiani e ai piccoli commercianti, nonché con le modifiche apportate dalla l.
98/13, ad ulteriori fattispecie, tra le quali: i volontari di cui alla l. 266/1991, i
volontari che effettuano servizio civile, i soggetti che prestano la propria attività,
spontaneamente e a titolo gratuito (o con mero rimborso di spese) in favore delle
associazioni di promozione sociale di cui l.383/2000, le associazioni sportive
dilettantistiche di cui alla l. 398/1991.
Un ulteriore novità del T.U. è rappresentato dall’art.27 che istituisce,
mediante l’emanazione di apposito decreto del Presidente della Repubblica, per
determinati settori di attività, un sistema di qualificazione delle imprese e dei
lavoratori autonomi. Il possesso di determinati requisiti, sarà fattore
indispensabile per effettuare particolari tipologie di lavori e partecipare alle gare
d’appalto pubbliche 237.
Ad oggi in tal senso, è stato emanato esclusivamente il d.p.r. n.177/2011,
“Regolamento recante norme per la qualificazione delle imprese e dei lavoratori
autonomi operanti in ambienti sospetti di inquinamento o confinanti, a norma
dell’articolo 6, comma 8, lettera g), del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81”.
Tale norma prevede nello specifico per i lavoratori autonomi, l’integrale e
vincolante applicazione anche del comma 2 dell’articolo 21 del d.lgs.81/2008 e
s.m.i., rendendo così, ciò che era una facoltà, un obbligo.
2.7 I soggetti della prevenzione in azienda: ruoli e competenze. Titolo I del
D.lgs.81/2008 e s.m.i.
I soggetti titolari di posizione di garanzia individuati dal T.U. (principali
destinatari degli obblighi giuridici posti a tutela dei lavoratori), sono i “datori di
237
Cfr. SANTORO PASSARELLI G., op. cit., pag. 36
125
lavoro”, i “dirigenti” ed i “preposti”, in quanto gerarchicamente sovra-ordinati e
detentori a diverso titolo, dei poteri direttivi nei confronti dei prestatori di lavoro.
Tali soggetti sono affiancati da ulteriori figure che hanno l’onere di
collaborare nella gestione della sicurezza, anch’essi con specifiche funzioni ed
incombenze; tra questi troviamo il medico competente, il responsabile del
servizio di prevenzione e protezione (RSPP), gli addetti al servizio di
prevenzione e protezione, il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (RLS),
gli addetti alle emergenze (antincendio e di primo soccorso), nonché il lavoratore
stesso, principale soggetto destinatario della tutela. Si delinea in questo modo,
una gestione della salute e della sicurezza, che presuppone una strategia
aziendale, che va a coinvolgere tutti i soggetti del sistema di prevenzione 238.
Con il T.U., vengono sostanzialmente esplicitati gli obblighi di natura
organizzativa, facendo sì che la pianificazione della gestione della sicurezza,
diventi un vero e proprio obbligo giuridico, di completamento agli oneri già
esistenti di natura tecnica, comportamentale e formativi 239.
È obbligo pertanto del datore di lavoro, ai sensi dell’art. 17 comma 1 del
d.lgs.81/2008 e s.m.i., senza possibilità di delega, la valutazione dei rischi e la
nomina dell’RSPP.
Mentre, ai sensi dell’ art. 16 del d.lgs.81/2008 e s.m.i., possono essere
oggetto di delega, ad un “dirigente” provvisto delle necessarie competenze,
poteri ed autonomia di spesa, diversi oneri di competenza del datore di lavoro, tra
cui: la nomina del medico competente per l’effettuazione della sorveglianza
sanitaria (nei casi previsti dal decreto); la designazione preventiva dei lavoratori
incaricati all’attuazione delle misure di prevenzione antincendio, evacuazione dei
luoghi di lavoro, salvataggio, primo soccorso e gestione delle emergenze; la
fornitura ai lavoratori degli idonei dispositivi di protezione individuale (DPI);
l’obbligo generale di informazione, formazione ed addestramento dei dipendenti;
238
Cfr. PERSIANI M., “et al”, Fondamenti di diritto del lavoro, Padova, Cedam, 2013,
pag. 162
239
Cfr. PERSIANI M., LEPORE M. “et al”, op. cit., pag. 14
126
il controllo che i lavoratori soggetti a sorveglianza sanitaria, non siano adibiti al
lavoro, senza il prescritto giudizio di idoneità; prendere le misure appropriate
affinché soltanto i lavoratori che hanno ricevuto adeguate istruzioni e specifico
addestramento accedano alle zone che li espongono ad un rischio grave e
specifico; richiedere l’osservanza da parte dei singoli lavoratori delle norme
vigenti, nonché delle disposizioni aziendali in materia di sicurezza e di igiene del
lavoro e di uso dei mezzi di protezione collettivi e dei dispositivi di protezione
individuali messi a loro disposizione; […].
Altro soggetto individuato dal T.U., con responsabilità e precisi doveri, è il
“preposto”, dipendente incaricato, attraverso la delega di funzioni, a
sovraintendere all’attività lavorativa.
Come previsto dall’art.19 del decreto, ad esso spetta il compito di:
sovrintendere e vigilare sulla osservanza da parte dei singoli lavoratori dei loro
obblighi di legge, nonché delle disposizioni aziendali in materia di salute e
sicurezza sul lavoro e di uso dei mezzi di protezione collettivi e dei DPI messi a
loro disposizione e, in caso di persistenza della inosservanza, informare i loro
superiori diretti; verificare affinché soltanto i lavoratori che hanno ricevuto
adeguate istruzioni accedano alle zone che li espongono ad un rischio grave e
specifico; richiedere l’osservanza delle misure per il controllo delle situazioni di
rischio in caso di emergenza e dare istruzioni affinché i lavoratori, in caso di
pericolo grave, immediato e inevitabile, abbandonino il posto di lavoro o la zona
pericolosa; […]; frequentare appositi corsi di formazione secondo quanto
previsto dall’art.37 del decreto 240.
La delega di funzioni nel sistema prevenzionistico, era già un principio
acquisito con il d.lgs. n.626/1994, ma il T.U. ha definito in modo esplicito
l’ammissibilità della stessa, disegnandone in modo più preciso i confini e le
caratteristiche principali. La delega infatti al comma 1 dell’art.16 del decreto
prevede che: deve risultare da atto scritto recante data certa; il delegato deve
240
Cfr. PERSIANI M., “et al”, Fondamenti di diritto del lavoro, Padova, Cedam, 2013,
pag. 163
127
possedere tutti i requisiti di professionalità ed esperienza richiesti dalla specifica
natura delle funzioni delegate; deve attribuire al delegato tutti i poteri di
organizzazione, gestione e controllo richiesti dalla specifica natura delle funzioni
delegate; l’autonomia di spesa necessaria allo svolgimento delle funzioni
delegate e che la delega sia accettata dal delegato per iscritto. Inoltre, alla delega
deve esserne data adeguata e tempestiva pubblicità (art. 16 comma 2).
In difetto dell’attribuzione di questi poteri, in particolare quelli attinenti il
potere organizzativo, gestionale e di spesa, la giurisprudenza si è espressa
sostenendo che il delegato non deve limitarsi a segnalare questa carenza al datore
di lavoro delegante, ma deve espressamente rifiutare la delega stessa, ovvero
dismetterla (sia che si tratti di aziende private che nel caso di enti pubblici).
Qualora il delegato si limiti alla segnalazione senza rinunciare all’esercizio
dei poteri delegati, sarà comunque tenuto a rispondere dell’eventuale evento
infortunistico (cfr. Cassazione penale, sez. III, 21 ottobre 2009, n.44890) 241.
Il c.d. principio di ‘‘scalettamento’’ delle responsabilità, deve essere
coniugato con il principio di ‘‘effettività’’, in base al quale l’accertamento della
qualità di destinatario delle norme in materia di prevenzione degli infortuni sul
lavoro “va compiuto in concreto con riferimento alle mansioni svolte e alla
specifica sfera di responsabilità attribuita” (Cfr. Cass. pen., sez. IV, 20 dicembre
2007, n. 47173) 242.
Il concetto di effettività sancito dall’art.299 del d.lgs.81/2008 e s.m.i.
(esercizio di fatto dei poteri direttivi) secondo cui: le posizioni di garanzia
relative ai soggetti (datore di lavoro, dirigente, preposto), di cui all’articolo 2,
comma 1, lettere b), d) ed e)), gravano altresì su colui il quale, pur sprovvisto di
regolare investitura, eserciti in concreto i poteri giuridici riferiti a ciascuno dei
soggetti ivi definiti, stabilisce che ai fini dell’accertamento delle posizioni di
garanzia in materia di salute e sicurezza sul lavoro non conta solo la situazione di
241
Cfr. TADDIA G., in Ambiente & Sicurezza, n.14, 2010, pag. 35
242
Cfr. SOPRANI P., Inderogabilità e non dismettibilità delle posizioni di garanzia
prevenzionistiche, in ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 2/2013
128
diritto riconducibile all’esistenza di incarichi e nomine formali, ma anche quella
di fatto. Pertanto, chi esercita in sostanza le funzioni di datore di lavoro, dirigente
e preposto, ne assume giuridicamente anche la responsabilità in quanto la stessa è
autonomamente conformata sul ruolo che essi svolgono in base alle rispettive
attribuzioni e competenze nell’ambito dell’organizzazione di impresa, a
prescindere da una formale investitura. 243
Va detto che la delega di funzioni, non esime dall’obbligo di vigilanza, che
comunque permane in capo al delegante 244 (art. 16 comma 3 primo periodo del
T.U.). Inoltre il delegato, può a sua volta (previa intesa con il datore di lavoro),
delegare ulteriormente le funzioni a lui delegate (art. 16 comma 3-bis).
Tuttavia, l’obbligo previsto dall’art. 16 comma 3 primo periodo del T.U., si
intende assolto in caso di adozione, ed efficace attuazione del modello di verifica
e controllo di cui all’articolo 30, comma 4. Ovvero, nel caso in cui il datore di
lavoro delegante, adotti e faccia attuare in modo efficace il c.d. modello di
organizzazione e gestione, potrà contare sulla presunzione legale di assolvimento
dell’obbligo di vigilanza, comportante, in caso di giudizio, l’inversione a suo
vantaggio, dell’onere della prova, ai fini della eventuale definizione delle
responsabilità 245.
È tuttavia da rilevare in merito, che sulla questione delle deleghe, per
l’Italia è stata aperta la procedura d'infrazione n. 2010/4227, per violazione
dell'art. 5 della direttiva 89/391/CEE, in quanto gli artt. 16 e 30 del T.U.,
aprirebbero ad una deresponsabilizzazione del datore di lavoro.
La Direttiva europea prevede la possibilità di escludere la responsabilità del
datore di lavoro, solo in presenza di circostanze imprevedibili e secondo la
Commissione, la semplice la decisione di delegare alcune funzioni (per le quali
non viene definita la qualità e l’intensità della vigilanza), non può essere
243
Cfr. SOPRANI P., Inderogabilità e non dismettibilità delle posizioni di garanzia
prevenzionistiche, in ISL - Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 2/2013
244
Cfr. PERSIANI M., “et al”, Fondamenti di diritto del lavoro, Cedam, 2013, pag. 162
245
Cfr. PERSIANI M., LEPORE M. “et al”, op. cit., pag. 17
129
annoverata fra le circostanze imprevedibili. Inoltre, riferendosi all'art. 30 del TU
(richiamato dall'art. 16), e all’adozione del “modello di organizzazione e
gestione”, sempre la Commissione ritiene che anche in questo caso si
costituirebbe una violazione della Direttiva in quanto ammetterebbe l'esclusione
o la diminuzione delle responsabilità dei datori di lavoro, in quanto “la violazione
significativa deve essere impedita e contrastata, non si può aspettare che sia
evidente per procedere al riesame di un modello che ‘assicura in ogni caso al
datore di lavoro la presunzione di conformità’”. La questione, allo stato attuale,
è ancora irrisolta 246.
Altro soggetto con specifici compiti e funzioni che rientra nel sistema
gestionale della sicurezza è il medico compente, la cui nomina è obbligatoria nei
casi in cui è prevista la sorveglianza sanitaria. Tale figura, i cui requisiti sono
definiti dall’art.38 del T.U., collabora con il datore di lavoro nella valutazione del
rischio aziendale; a lui sono inoltre demandati i compiti di programmazione e
sorveglianza sanitaria, la definizione dei protocolli sanitari e l’istituzione delle
cartelle sanitarie di rischio per ogni lavoratore, nonché tutte le incombenze
previste dagli artt. 25, 35, 39, 40, 41 del d.lgs.81/2008 e s.m.i..
Il datore di lavoro inoltre, all’interno dell’azienda o dell’unità produttiva
organizza un “Servizio di prevenzione e protezione”, definito dal legislatore
come “l’insieme di persone, sistemi e mezzi, esterni o interni all’azienda
finalizzati all’attività di prevenzione e protezione dai rischi professionali” (artt.3
comma 1 lett. l) e 31 del T.U.) 247. I soggetti responsabili di tale Servizio, sono: il
“Responsabile del servizio prevenzione e protezione” (RSPP) “persona […]
designata dal datore di lavoro, a cui risponde, per coordinare il Servizio di
prevenzione e protezione dai rischi” (art.2 lett. f del T.U.), e l’”Addetto al
servizio di prevenzione e protezione” (ASPP) “persona […] facente parte del
Servizio di cui alla lettera l)” (art.2 lett. f del T.U.). Entrambi devono avere le
246
Cfr. MENDUTO T., in www.puntosicuro.it, 2014
247
Cfr. PERSIANI M., “et al”, Fondamenti di diritto del lavoro, Padova, Cedam, 2013,
pag. 163
130
capacità e i requisiti professionali definiti dall’art.32 del T.U. ed aver frequentato
specifici corsi di formazione. La funzione di RSPP nei casi contemplati
dall’art.34 del decreto, può essere svolta dallo stesso datore di lavoro.
Obbligatoria è inoltre la designazione dei lavoratori incaricati dell’attività di
prevenzione incendi e lotta antincendio, di primo soccorso e, comunque, di
gestione dell’emergenza, che devono ricevere un’adeguata e specifica
formazione e un aggiornamento periodico e non possono, se non per giustificato
motivo, rifiutare l’incarico assegnatoli dal datore di lavoro (artt. 18 comma 1 lett.
b), 37 comma 9, 43 comma 1 lett. b) e comma 3).
L’art. 47 del T.U., stabilisce inoltre che in tutte le aziende, o unità
produttive, è designato il “Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza” (RLS),
eletto tra i lavoratori o nell’ambito delle rappresentanze sindacali aziendali (a
seconda che il numero dei lavoratori sia inferiore o maggiore alle 15 unità), o
individuato per più aziende, nell’ambito territoriale o del comparto produttivo,
secondo quanto previsto dall’art.48 del T.U.. La funzione dell’RLS è di tipo
consultivo, propone e partecipa alle riunioni periodiche di prevenzione e ha di
diritto di accesso ai luoghi di lavoro e alla documentazione rilevante ai fini della
sicurezza 248.
Anche l’RLS, deve essere adeguatamente formato dal datore di lavoro, in
funzione del ruolo di cui è investito (art. 37 comma 10 del T.U.).
Ed è proprio la formazione, accanto al fondamentale contributo dei soggetti
che insieme al datore di lavoro devono collaborare alla tutela dell’integrità del
lavoratore, ad avere un ruolo chiave nel mantenere alti i livelli di sicurezza
nell’organizzazione aziendale.
Il legislatore infatti, ha previsto, per tutti i
lavoratori, una adeguata e sufficiente informazione e formazione, che istruisca
costantemente nel tempo, tutto il personale sulle procedure di emergenza e
pronto soccorso aziendale, sui rischi specifici dell’ambiente lavorativo e delle
248
Cfr. PERSIANI M., “et al”, Fondamenti di diritto del lavoro, Cedam, 2013, pag. 163
131
mansioni da eseguire (art. 36 e 37 del T.U.), anche nel rispetto alle conoscenze
linguistiche.
L’art.15 del T.U. dispone poi, in un lungo elenco, le misure generali di
tutela, che il datore di lavoro deve garantire nei luoghi di lavoro.
Il primo e principale dovere, perché da esso ne discendono i successivi, è la
valutazione di tutti i rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori (DVR, artt.
17 comma 1, 28 e 29 del d.lgs.81/2008 e s.m.i.).
Tale documento alla cui redazione può collaborare il medico competente
(se nominato) e l’RSPP, deve contenere l’analisi di tutti i rischi connessi
all’ambiente di lavoro, alle mansioni specifiche svolte dal personale, compreso
quelli collegati allo stress lavoro-correlato, alle lavoratrici in stato di gravidanza,
alle differenze di genere, all’età, alla provenienza da altri Paesi e alla specifica
tipologia contrattuale attraverso cui viene resa la prestazione di lavoro.
Inoltre devono essere specificate le misure di prevenzione, i dispositivi di
protezione individuali da adottare, gli interventi di adeguamento da attuare con
urgenza o da inserire nella programmazione aziendale.
Il DVR individua anche tutti i soggetti dell’organigramma della sicurezza
aziendale, deve essere custodito presso l’unità produttiva oggetto di valutazione e
deve riportare data certa, attestata dalla firma del datore di lavoro, RSPP, RLS, e
medico competente 249.
Dal 1 giugno 2013, è venuta meno, la possibilità delle aziende con meno di
10 dipendenti di autocertificare la valutazione del rischio, pertanto per loro come
per gli altri datori di lavoro con aziende che occupano fino a 50 lavoratori (ad
esclusione di particolari categorie), è possibile effettuarla sulla base delle
“procedure standardizzate” ai sensi dell’art. 29, comma 5, del d.lgs. n. 81/2008 e
s.m.i..
249
Cfr. PERSIANI M., “et al”, Fondamenti di diritto del lavoro, Padova, Cedam, 2013,
pp. 163-165
132
Inoltre l’art. 13 della l. 161/2014, a seguito della (già menzionata),
procedura d’infrazione n. 2010/4227 aperta dalla Commissione europea nei
confronti dell’Italia, è dovuto intervenire sugli artt. 28, comma 3-bis e 29 comma
3 del T.U., prevedendo che anche in caso di costituzione di nuova impresa o di
modifiche significative nell'attività di un'impresa, malgrado i novanta giorni per
l’elaborazione del DVR, il datore di lavoro deve dare immediata evidenza
documentale delle valutazioni fondamentali atte a garantire l’integrità dei
lavoratori. D’altro canto, la Commissione si è espressa chiaramente in merito,
ritenendo, impossibile differire nel tempo l'adempimento di tale obbligo, che trae
origine dalla necessità di proteggere i lavoratori.
2.8
Obblighi
connessi
ai
contratti
d’appalto
o
d’opera
o
di
somministrazione
L’art.1655 del Codice civile, definisce appalto “il contratto col quale una
parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio
rischio, il compimento di un'opera o di un servizio verso un corrispettivo in
danaro”.
Le parti del contratto sono pertanto l’ ”appaltatore”, ovvero colui che
assume il compimento dell’opera o del servizio, ed il committente (o appaltante),
ovvero colui che tale opera o servizio commissiona 250.
Con il contratto d’appalto, vi è l’impegno da parte dell’appaltatore nei
confronti del committente, a fornire un determinato risultato, oggetto del
contratto, mediante l’organizzazione dei mezzi necessari ed a proprio rischio
economico. A questi competerà il compito di organizzare il lavoro, i fattori della
produzione (capitali, materiali, macchine attrezzature, risorse umane), per
adempiere all’obbligo contrattuale. Pur non essendo indispensabile che
l’appaltatore disponga direttamente di tutti i mezzi, è necessario che la
combinazione degli stessi, la scelta e la responsabilità della loro utilizzazione sia
250
Cfr. BACCHINI F., Il contratto d’appalto e il contratto d’opera in azienda e in
cantiere: la sicurezza sul lavoro, Padova, Cedam, 2001, pag. 1
133
in ogni caso a lui imputabile. Pertanto, considerato che l’appaltatore deve essere
dotato di una capacità organizzativa e gestionale, l’attività che si è obbligato a
svolgere non è riconducibile ad una mera prestazione lavorativa personale, ma ad
una vera e propria attività d’impresa (cfr. Cass. Civ. 18.6.1975, n.2429) 251.
L’art. 26 del d.lgs.81/2008 e s.m.i., disciplina gli obblighi connessi ai
contratto d’appalto o d’opera o di somministrazione, nei quali il committente
chiami il personale dell’appaltatore o il lavoratore autonomo ad operare
nell’ambito della propria azienda.
Appaltatore e appaltante sono due entità distinte sia sul piano soggettivo sia
su quello oggettivo, perché a ciascuno di essi compete una propria
organizzazione aziendale e l’assunzione del rischio d’impresa.
Pertanto, nell’ambito dell’appalto, il committente, per quanto di sua
competenza, è garante della sicurezza dei suoi dipendenti , nonché di quella dei
dipendenti dell’impresa appaltatrice e dei lavoratori autonomi. Obbligo del
committente è quindi la verifica tecnico professionale delle imprese appaltatrici e
dei lavoratori autonomi in relazione ai lavori, alle forniture, ai servizi da affidare
in appalto o mediante contratto d’opera o di somministrazione, di informazione
sui rischi specifici presenti nell’ambiente di lavoro e sulle misure di sicurezza
adottate; i datori di lavoro, compresi i subappaltatori cooperano e si coordinano
per quanto concerne le misure di prevenzione e protezione 252.
Il datore di lavoro committente, provvede alla valutazione del rischio di
interferenze mediante la redazione del documento unico dei rischi interferenziali
(c.d. DUVRI), od in alternativa alla nomina di un proprio incaricato
(limitatamente ai settori di attività a basso rischio infortunistico e di malattie
professionali), per sovraintendere alle azioni di cooperazione e coordinamento
(come previsto dall’art.32 del d.l. 69/2013 “Disposizioni urgenti per il rilancio
dell'economia”, convertito con modificazioni dalla l. 98/013).
251
Cfr. BACCHINI F., op. cit., pp. 2-3
252
Cfr. PERSIANI M., LEPORE M. “et al”, op. cit., pp. 251-252
134
Il DUVRI è un documento da allegare al contratto d’appalto o d’opera e
deve adeguarsi in funzione dell’evoluzione dei lavori, servizi e forniture.
In caso di contratti pubblici (cfr. d.lgs. 163/2006 e s.m.i.), il documento, ai
fini dell’affidamento del contratto, viene redatto dal soggetto con potere
decisionale e di spesa, in relazione alla gestione dello specifico appalto.
Nei singoli contratti di subappalto, di appalto e di somministrazione,
devono essere specificamente indicati a pena di nullità ai sensi dell’art. 1418 del
Codice civile i costi delle misure adottate per eliminare (od ove ciò non sia
possibile, ridurre al minimo), i rischi in materia di salute e sicurezza sul lavoro
derivanti dalle interferenze delle lavorazioni. Tali costi non sono soggetti a
ribasso.
L’art. 26 al comma 4 introduce un obbligo solidale tra committente ed
appaltatore per quanto riguarda gli infortuni sul lavoro. Infatti precisa che, ferme
restando le disposizioni di legge vigenti in materia di responsabilità solidale per
il mancato pagamento delle retribuzioni e dei contributi previdenziali e
assicurativi, l’imprenditore committente risponde in solido con l’appaltatore,
nonché con ciascuno degli eventuali subappaltatori, per tutti i danni per i quali il
lavoratore, dipendente dall’appaltatore o dal subappaltatore, non risulti
indennizzato ad opera dell’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli
infortuni sul lavoro (INAIL).
Tali disposizioni non si applicano ai danni conseguenza dei rischi specifici
propri dell’attività delle imprese appaltatrici o subappaltatrici.
Tale ultima puntualizzazione della norma, fa emergere che l’obbligazione
in solido riguardi quei casi in cui il danno sia conseguenza ad un rischio
interferenziale o alla violazione di un obbligo posto in capo al committente,
relativamente ai rischi specifici della propria organizzazione ed attività 253.
253
Cfr. PERSIANI M., LEPORE M. “et al”, op. cit., pag. 253
135
2.9 Sistema sanzionatorio del d.lgs.81/2008 e s.m.i.
Il d.lgs.81/2008 e s.m.i. delinea un apparato sanzionatorio, che conferma
l'impostazione classica di una prevalenza di illeciti penali di natura
contravvenzionale, rispetto agli illeciti amministrativi e che continua a
considerare centrale la figura penale della contravvenzione, rinsaldando un
intervento punitivo, diversamente graduato, a fondamento della prevenzione,
intesa come obiettivo programmatico per la gestione della sicurezza.
Ciò in quanto le norme sanzionatorie riguardanti la gestione della
prevenzione nei luoghi di lavoro (Titolo I) e delle diverse disposizioni tecniche
(Titoli II-XI ed allegati relativi), sono dirette alla tutela dei beni giuridici primari
della persona che lavora.
L’attuale quadro sanzionatorio deriva dall'intervento correttivo apportato al
testo originario dal d.lgs. 106/2009, e dall'intervento di rimodulazione operato dal
d.l. n.76/2013, convertito nella legge n. 99/2013 che ha aumentato del 9,6%
l’importo delle violazioni 254.
Le sanzioni penali previste dal T.U., sono quelle dell’arresto, posto in
alternativa dell’ammenda; del solo arresto o della sola ammenda. Va rilevato
tuttavia, come venga mantenuto il solo arresto per il mancato rispetto del
provvedimento di sospensione dell'attività imprenditoriale e per l'omessa
valutazione del rischio nelle aziende a rischio di incidente rilevante e nei cantieri
temporanei mobili.
I reati contravvenzionali sono estinguibili ai sensi dell’art.301 del d.lgs.
81/2008 e s.m.i., con la procedura agevolata della prescrizione obbligatoria di cui
agli artt. 20 ss. d.lgs. 758/1994 (estesa anche all’art. 162-bis c.p.), mediante
oblazione 255. Tale procedimento deflattivo è volto alla regolarizzazione
dell’illecito, in via agevolata, denigrando il reato a livello di illecito
254
Cfr. RAUSEI P., Sicurezza sul lavoro. Responsabilità illeciti sanzioni, Milanofiori
Assago, IPSOA, 2014, pp. 3-5
255
Cfr. GIUNTA F., MICHELETTI D., Il nuovo diritto penale della sicurezza nei luoghi
di lavoro, Milano, Giuffrè, 2010, pag. 423
136
amministrativo e consentendo al contravventore di eliminare eventuali pendenze
di procedimenti penali a suo carico 256.
L’illecito amministrativo, previsto prioritariamente per violazioni di
carattere formale, può essere invece estinto mediante regolarizzazione e
pagamento del minimo edittale ai sensi dell’art. 301-bis del T.U., per effetto
dell’art. 16 della l. 689/1981.
Nell’ambito delle disposizioni in materia penale e di procedura penale di
cui al Titolo XII, si rileva anche l’art. 300 che interviene a modificare in modo
rilevante l'articolo 25 septies del d.lgs. 231/2001 in materia di responsabilità
amministrativa dell'ente, per violazione di norme di tutela della salute della
sicurezza dei lavoratori, nonché l’art. 302, “definizione delle contravvenzioni
punite con la sola pena dell’arresto” 257.
Al fine di operare un coordinamento tra le varie disposizione contenute nel
decreto, l’art. 298 del T.U., dispone che “quando uno stesso fatto è punito da una
disposizione prevista dal Titolo I e da una o più disposizioni previste negli altri
titoli, si applica la disposizione speciale”.
Tale concetto costituisce la concretizzazione di un principio generale
sussistente in ambito penalistico previsto dall’art. 15 del codice penale ai sensi
del quale: “Quando più leggi penali o più disposizioni della medesima legge
penale regolano la stessa materia, la legge o la disposizione di legge speciale
deroga alla legge o alla disposizione di legge generale, salvo che sia altrimenti
stabilito” 258.
256
Cfr. PERSIANI M., LEPORE M. “et al”, op. cit., pag. 528
257
Cfr. RAUSEI P., Sicurezza sul lavoro. Responsabilità Illeciti Sanzioni, Milanofiori
Assago, IPSOA, 2014, pag. 16
258
Cfr. PERSIANI M., LEPORE M. “et al”, op. cit., pag. 528
137
3. Il Titolo IV del D.lgs.81/2008 e s.m.i.: l’organizzazione della
sicurezza nei cantieri edili
3.1 Campo di applicazione.
L’edilizia, è da sempre un settore particolarmente critico per quanto
concerne il fenomeno infortunistico, in quanto è tra quelli che registra ogni anno,
il maggior numero di infortuni e malattie professionali sul lavoro.
Tale primato è causato dalla pericolosità intrinseca del tipo di attività
lavorativa, che espone i lavoratori a rischi particolarmente elevati, trovandosi
spesso ad operare simultaneamente ad altre imprese e lavoratori autonomi, nella
medesima area di cantiere.
Il legislatore proprio per arginare il fenomeno infortunistico, ha emanato nel
tempo alcune normative costituenti una disciplina speciale per garantire la
sicurezza nei cantieri edili.
Il primo intervento in merito è stato il varo del d.p.r. 7 gennaio 1956, n.164
“Norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro nelle costruzioni”, che
individuava una serie di prescrizioni e norme tecniche specifiche costituenti
obbligo di applicazione, a carico del datore di lavoro. Tale decreto, si andò ad
affiancare successivamente, al d.lgs. n.494/1996 (c.d. “direttiva cantieri”), di
recepimento della direttiva della Comunità Europea n. 92/57/CEE, “Concernente
le prescrizioni minime di sicurezza e salute da attuare nei cantieri temporanei e
mobili” 259, e al d.p.r. n. 222/2003 “Regolamento sui contenuti minimi dei piani di
sicurezza nei cantieri temporanei o mobili […]”.
Si è trattato di una normativa principalmente a carattere organizzativo, che
ha introdotto due importanti innovazioni: il coinvolgimento del committente
dell’opera nel “sistema sicurezza” (al quale sono stati attribuiti obblighi generali
connessi al mantenimento delle condizioni di sicurezza nelle attività che
259
Cfr., AA.VV., Il testo unico della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro nell’ottica del
cambiamento dei modelli di produzione e organizzazione del lavoro, Adapt centro Studi Marco
Biagi, in www.adapt.it, pag. 64
138
comportano l’esecuzione di lavori edili o di ingegneria civile), nonché la
pianificazione a monte (prima dell’apertura del cantiere) del processo produttivo,
già nella fase di progettazione dell’opera, attraverso la designazione del
Coordinatore per la sicurezza in fase di progettazione (ovvero il professionista
abilitato che dovrà redigere per quello specifico cantiere, il Piano di sicurezza e
di coordinamento -PSC-) 260.
Con la promulgazione del d.lgs.81/2008 e s.m.i., vengono abrogati sia il
d.lgs. n.494/1996 (modificato successivamente dal d.lgs. n. 528/1999), che il
d.p.r. n.164/56.
Il nuovo corpo normativo (che sostanzialmente ricalca i precedenti decreti
non più in vigore), viene inserito nel Titolo IV “Cantieri temporanei e mobili”,
del T.U., con lo scopo di regolamentare in modo sistematico la sicurezza nel
settore delle costruzioni, mediante un copioso elenco di disposizioni puntuali
(unitamente per quanto concerne i lavori pubblici ad alcune precisazioni normate
nel d.p.r.163/2006 e nel d.p.r. n.207/2010).
Va specificato, che gli obblighi previsti per i soggetti che operano nei
cantieri edili non si esauriscono ai precetti del Titolo IV e relativi allegati nello
stesso richiamati, in quanto comunque dovranno essere opportunamente integrati
dalle disposizioni pertinenti, riscontrabili nelle altre sezioni del testo normativo
(prime fra tutte le disposizioni generali del Titolo I, o ad esempio quelle
contenute nel Titolo III, relative all’uso delle attrezzature di lavoro e dei
dispositivi di protezione individuale), nonché da quelle previste da altre norme in
materia.
Il Titolo IV, oggetto di questa trattazione, è suddiviso dal legislatore in:
Capo I, contenente le “Misure per la salute e sicurezza nei cantieri temporanei o
mobili” (dall’art.88 all’art.104-bis, e n.8 allegati); Capo II, contenente le “Norme
per la prevenzione degli infortuni sul lavoro nelle costruzioni e nei lavori in
260
Cfr., AA. VV., Manuale sicurezza 2014, Milanofiori Assago, IPSOA, 2014, pag. 164
139
quota” (dall’art. 105 all’art. 156 e n.8 allegati); Capo III, “Sanzioni” (dall’art.157
all’art.60) 261.
Il campo di applicazione del Capo I del Titolo IV, si desume dalla lettura
combinata degli articoli:
- art.88 comma 1 “disposizioni specifiche relative alle misure per la tutela
della salute e per la sicurezza dei lavoratori nei cantieri temporanei o mobili”;
- art.89 comma 1 lett. a), che definisce “cantiere temporaneo o mobile […]
qualunque luogo in cui si effettuano lavori edili o di ingegneria civile il cui
elenco è riportato nell’Allegato X”;
- Allegato X, che individua quale lavori edili o di ingegneria civile:
1. I lavori di costruzione, manutenzione, riparazione, demolizione,
conservazione, risanamento, ristrutturazione o equipaggiamento, la
trasformazione, il rinnovamento o lo smantellamento di opere fisse,
permanenti o temporanee, in muratura, in cemento armato, in metallo, in
legno o in altri materiali, comprese le parti strutturali delle linee elettriche e
le parti strutturali degli impianti elettrici, le opere stradali, ferroviarie,
idrauliche, marittime, idroelettriche e, solo per la parte che comporta lavori
edili o di ingegneria civile, le opere di bonifica, di sistemazione forestale e
di sterro;
2. Sono, inoltre, lavori di costruzione edile o di ingegneria civile gli scavi,
ed il montaggio e lo smontaggio di elementi prefabbricati utilizzati per la
realizzazione di lavori edili o di ingegneria civile.
- Art. 88 comma 2, che in negativo individua le lavorazioni alle quali non si
applicano le disposizioni di cui al Capo I del Titolo IV, “qualora non comportino
opere edili o di ingegneria civile”. Tra queste troviamo: le attività disciplinate dal
d.lgs. 624/1996 e s.m.i (relativa alla sicurezza e salute dei lavoratori nelle
261
Cfr., AA. VV., Il testo unico della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro nell’ottica
del cambiamento dei modelli di produzione e organizzazione del lavoro, Adapt centro Studi
Marco Biagi, in www.adapt.it, pag. 66
140
industrie estrattive); i lavori svolti in mare; le attività svolte in studi teatrali,
cinematografici, televisivi o in altri luoghi in cui si effettuino riprese; i lavori
relativi a impianti elettrici, reti informatiche, gas, acqua, condizionamento e
riscaldamento, nonché ai piccoli lavori la cui durata presunta non è superiore a
dieci uomini-giorno, finalizzati alla realizzazione o alla manutenzione delle
infrastrutture per servizi, che non espongano i lavoratori ai rischi di cui
all’Allegato XI (ovvero ai rischi di seppellimento o di sprofondamento a
profondità superiore a m 1,5 o di caduta dall’alto da altezza superiore a m 2,
ecc.); le attività di cui al d.lgs. n. 272/1999 (Adeguamento della normativa sulla
sicurezza e salute dei lavoratori nell'espletamento di operazioni e servizi portuali
[…]) 262.
È da rilevare che l’art. 32 del d.l. n. 69/2013, ha apportato alcune modifiche
importanti al secondo comma dell’art.88, tra cui l’inserimento del comma 2-bis,
che ha esteso l’applicazione delle disposizioni previste per i cantieri temporanei o
mobili “anche per gli spettacoli musicali, cinematografici, teatrali e nelle
manifestazioni fieristiche, tenendo conto delle particolari esigenze connesse allo
svolgimento delle relative attività”, con le modalità meglio specificate con il
Decreto Interministeriale del 22 luglio 2014 263.
Con tale iniziativa, il legislatore ha voluto dare una risposta ai gravi
incidenti mortali occorsi nel corso di questi ultimi anni durante, l’allestimento dei
palchi di concerti musicali.
3.2 Definizioni, soggetti responsabili
L’art.89 comma 1 del T.U., riporta le definizioni che individuano i soggetti
ai quali si applicano le disposizione speciali del Titolo IV, la cui platea, rispetto
al Titolo I, si amplia.
262
Cfr. PERSIANI M., LEPORE M. “et al”, op. cit., pp. 506-508
263
Cfr. PASCUCCI P., Una carrellata sulle modifiche apportate nel 2013 al
d.lgs.81/2008 in materia di salute e sicurezza sul lavoro, in La riforma del mercato del lavoro:
Vol. IV, FIORILLO L., PERULLI A. (a cura di), Torino, Giappichelli, 2014, pag. 450
141
Vengono così definiti:
- lett. b) Committente: il soggetto per conto del quale l’intera opera viene
realizzata, indipendentemente da eventuali frazionamenti della sua
realizzazione. Nel caso di appalto di opera pubblica, il committente è il
soggetto titolare del potere decisionale e di spesa relativo alla gestione
dell’appalto;
- lett. c) Responsabile dei lavori: soggetto che può essere incaricato dal
committente per svolgere i compiti ad esso attribuiti dal presente decreto;
nel campo di applicazione del d.lgs. n.163/2003, e s.m.i., il Responsabile
dei lavori è il Responsabile del procedimento;
- lett. d) Lavoratore autonomo: persona fisica la cui attività professionale
contribuisce alla realizzazione dell’opera senza vincolo di subordinazione;
- lett. e) Coordinatore in materia di sicurezza e di salute durante la
progettazione dell’opera […]: soggetto incaricato, dal committente o dal
responsabile dei lavori, dell’esecuzione dei compiti di cui all’articolo 91;
- lett. f) Coordinatore in materia di sicurezza e di salute durante la
realizzazione dell’opera […]: soggetto incaricato, dal committente o dal
responsabile dei lavori, dell’esecuzione dei compiti di cui all’articolo 92,
[…];
- lett. i) Impresa affidataria: impresa titolare del contratto di appalto con il
committente che, nell’esecuzione dell’opera appaltata, può avvalersi di
imprese subappaltatrici o di lavoratori autonomi […];
- lett. i-bis) Impresa esecutrice: impresa che esegue un’opera o parte di essa
impegnando proprie risorse umane e materiali 264.
264
Cfr. art. 89 del d.lgs.81/2008 e s.m.i.
142
L’art.89 del T.U., oltre alla definizione dei soggetti ed all’enunciazione (già
vista) di cantiere temporaneo o mobile, contiene ulteriori esplicitazioni che hanno
una valenza importante per l’applicazione della norma, quali:
- lett. g) Uomini-giorno: entità presunta del cantiere rappresentata dalla
somma delle giornate lavorative prestate dai lavoratori, anche autonomi, previste
per la realizzazione dell’opera;
- lett. h) Piano operativo di sicurezza (P.O.S.): il documento che il datore di
lavoro dell’impresa esecutrice redige, in riferimento al singolo cantiere
interessato, ai sensi dell’articolo 17 comma 1, lettera a), i cui contenuti sono
riportati nell’Allegato XV;
- lett. l) Idoneità tecnico-professionale: possesso di capacità organizzative,
nonché disponibilità di forza lavoro, di macchine e di attrezzature, in riferimento
ai lavori da realizzare 265.
3.3 Il committente o responsabile dei lavori
La definizione di committente (che ricalca quella adotta nell’art.2, lett. b)
della direttiva 92/57/CEE: “qualsiasi persona fisica o giuridica per conto della
quale l'opera viene realizzata”, chiarisce che tale ruolo può essere ricoperto sia da
un soggetto privato che da un soggetto pubblico.
Il ruolo del committente è stato riconosciuto dalla giurisprudenza anche a
soggetti privati non imprenditori e non titolari di rapporto di lavoro, per non
incorrere ad alcuna lacuna nella tutela degli appalto.
“La responsabilità del committente è espressamente prevista dalla
normativa di settore (prima, il D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 7; ora, trasfuso
sostanzialmente nel d.lgs. n. 81 del 2008, art. 26); con riferimento ai lavori svolti
in esecuzione di un contratto di appalto o di prestazione d'opera, […] è, pertanto
vero, che il dovere di sicurezza è riferibile, oltre che al datore di lavoro (di regola
l'appaltatore, destinatario delle disposizioni antinfortunistiche), anche al
265
Cfr. art. 89 del d.lgs.81/2008 e s.m.i.
143
committente, con conseguente possibilità, in caso di infortunio, di intrecci di
responsabilità, coinvolgenti anche il committente medesimo. […]” 266.
La giurisprudenza ha anche stabilito le responsabilità in capo al
“committente di fatto” individuato, nella fattispecie che segue, nella figura del
direttore dei lavori 267.
“La responsabilità per l’omessa adozione delle cautele antinfortunistiche
incombe su chi dirige in concreto i lavori, indipendentemente da ogni sua
posizione o qualifica formale, ed anche sulla figura del committente “di fatto” 268.
Il committente “deve essere una persona fisica, in quanto titolare di
obblighi penalmente sanzionabili” e, nell’ambito delle persone giuridiche
pubbliche o private, “tale persona deve essere individuata nel soggetto
legittimato alla firma dei contratti di appalto per l’esecuzione dei lavori”269.
La norma prevede che il committente, possa nominare un responsabile dei
lavori, ai quali trasferire l’incombenza degli obblighi previsti a suo carico dal
Titolo IV (tra cui, progettazione, esecuzione, controllo dell'esecuzione dell'opera,
ecc.). Trattasi comunque, di una facoltà e non di un obbligo in quanto il
committente rimane comunque responsabile per culpa in “eligendo o in
vigilando” 270.
È da rilevare tuttavia, che il legislatore, per quanto concerne il settore
pubblico, individua il responsabile dei lavori, quale soggetto obbligatorio,
identificandolo nel responsabile unico del procedimento (RUP).
In linea generale comunque, in tutti i casi in cui il responsabile dei lavori
viene individuato con efficacia della delega di funzioni, si può asserire che
266
Cfr. Cassazione penale, 30 gennaio 2012, n. 3563
267
Cfr. PERSIANI M., LEPORE M. “et al”, op. cit., pp. 512-513
268
Cfr. Cassazione penale, sez. IV, 9 settembre 2008, n. 35021
269
Cfr. Circolare Ministero Del Lavoro e Previdenza Sociale, n. 41/97, 18 marzo 1997
270
Cfr. Circolare Ministero Del Lavoro e Previdenza Sociale, n. 41/97, 18 marzo 1997
144
quanto previsto per la figura del committente, in materia di obbligazioni
giuridiche, è integralmente valido anche per il responsabile dei lavori.
Sull’efficacia della delega di funzioni viene fatto accenno indirettamente,
nell’art.93 del T.U. “Il committente è esonerato dalle responsabilità connesse
all’adempimento
degli
obblighi
limitatamente
all’incarico
conferito
al
responsabile dei lavori”. Sembrerebbe che solo in caso di una delega piena il
trasferimento di responsabilità dal committente al responsabile dei lavori è
integralmente efficace (fermo restando l’obbligo di vigilanza che permane
sempre in capo al soggetto delegante, come si evidenzia dall’art.93 comma 2 del
T.U.) 271.
Pertanto, responsabilità ed obblighi del responsabile dei lavori dipendono
dalla portata e dall’efficacia della delega che accompagna l’incarico trasferito.
Di questo orientamento risulta essere la Cassazione penale con sentenza del
2011, con la quale rigetta il ricorso del legale rappresentante di una S.p.A.
(committente dei lavori di un’opera edile), condannato per lesioni colpose in
danno di un operaio, salito sul tetto per iniziare a smantellare le parti in vetro e
caduto dal lucernaio da demolire.
"In materia di infortuni sul lavoro in un cantiere edile, il committente
rimane il soggetto obbligato in via principale all'osservanza degli obblighi
imposti in materia di sicurezza, D.lgs. 14 agosto 1996, n. 494, ex art. 6, come
modificato dal D.lgs. 19 novembre 1999, n. 528, atteso che l'effetto liberatorio si
verifica solo a seguito della nomina del responsabile dei lavori e nei limiti
dell'incarico conferito a quest'ultimo". […] Perché operi l'esonero da
responsabilità del committente è necessario che egli nomini un responsabile dei
lavori; che detta nomina sia riferita agli adempimenti da osservarsi in materia di
271
Cfr. DE FILIPPO D., La sicurezza nel cantiere, Santarcangelo di Romagna, Maggioli,
2012, pp. 65-67
145
sicurezza del lavoro; che sia conferita una delega e specificata la sua
estensione 272.
Sulle responsabilità del committente, si richiamano anche le sentenze della
Cassazione penale, sez. IV, del 10 giugno 2008, n. 23090 e del 22 settembre
2009, n.36869.
I principali obblighi, sanzionati penalmente, in capo al committente o al
responsabile dei lavori, individuati dal T.U., sono definiti nei seguenti articoli:
-
art. 90 co. 3. Nei cantieri in cui è prevista la presenza di più imprese
esecutrici, anche non contemporanea, il committente, anche nei casi di
coincidenza con l’impresa esecutrice, o il responsabile dei lavori,
contestualmente all’affidamento dell’incarico di progettazione, designa il
coordinatore per la progettazione 273.
-
art. 90 co. 4. Nei cantieri in cui è prevista la presenza di più imprese
esecutrici, anche non contemporanea, il committente o il responsabile dei
lavori, prima dell’affidamento dei lavori, designa il coordinatore per
l’esecuzione dei lavori, in possesso dei requisiti di cui all’articolo 98.
-
art. 90 co. 5, La disposizione di cui al comma 4 si applica anche nel caso
in cui, dopo l’affidamento dei lavori a un’unica impresa, l’esecuzione dei
lavori o di parte di essi sia affidata a una o più imprese.
-
Art.90 co. 9 lett. a) Verifica l’idoneità tecnico-professionale delle imprese
affidatarie, delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi in relazione
alle funzioni o ai lavori da affidare, con le modalità di cui all’allegato
XVII. Nei cantieri la cui entità presunta è inferiore a 200 uomini-giorno e i
cui lavori non comportano rischi particolari di cui all’allegato XI, il
requisito di cui al periodo che precede si considera soddisfatto mediante
presentazione da parte delle imprese e dei lavoratori autonomi del
272
Cfr. Cassazione Penale, Sez. IV, 21 dicembre 2011, n. 47476
273
Cfr. PERSIANI M., LEPORE M. “et al”, op. cit., pag. 513
146
certificato di iscrizione alla C.C.I.A.A. e del documento unico di
regolarità contributiva, corredato da autocertificazione in ordine al
possesso degli altri requisiti previsti dall’allegato XVII;
-
Art.93 co. 2. La designazione del coordinatore per la progettazione e del
coordinatore per l’esecuzione dei lavori, non esonera il committente o il
responsabile dei lavori dalle responsabilità connesse alla verifica
dell’adempimento degli obblighi di cui agli articoli 91, comma 1, e 92,
comma 1, lettere a), b), c) d) ed e);
-
Art. 100 co.6 bis). Il committente o il responsabile dei lavori, se nominato,
assicura l’attuazione degli obblighi a carico del datore di lavoro
dell’impresa affidataria previsti dall’articolo 97 comma 3-bis e 3-ter. Nel
campo di applicazione del d.lgs. n. 163/2006 e s.m.i., si applica l’articolo
118, comma 4, secondo periodo, del medesimo decreto legislativo.
Sono invece sanzionati amministrativamente, ai sensi dell’art.301-bis, le
violazioni seguenti:
-
Art.90 co. 7. Il committente o il responsabile dei lavori comunica alle
imprese affidatarie, alle imprese esecutrici e ai lavoratori autonomi il
nominativo del coordinatore per la progettazione e quello del coordinatore
per l’esecuzione dei lavori. Tali nominativi sono indicati nel cartello di
cantiere.
-
Art.90 co. 9 lett. c), trasmette all’amministrazione concedente, prima
dell’inizio dei lavori oggetto del permesso di costruire o della denuncia di
inizio attività, copia della notifica preliminare di cui all’articolo 99, il
documento unico di regolarità contributiva delle imprese e dei lavoratori
autonomi (oggi acquisito d’ufficio dalla p.a.) […] 274.
274
Cfr. PERSIANI M., LEPORE M. “et al”, op. cit., pag. 513
147
-
Art. 101, co. 1 primo periodo, Il committente o il responsabile dei lavori
trasmette il piano di sicurezza e di coordinamento a tutte le imprese
invitate a presentare offerte per l’esecuzione dei lavori 275.
Restano naturalmente in essere eventuali responsabilità in capo al
committente o responsabile dei lavori ai sensi degli artt.589 e 590 del c.p..
L’azione positiva ed attiva del committente (o responsabile dei lavori, se
nominato), pertanto deve avere inizio già in fase di progettazione dell’opera, in
quanto è tenuto ad attenersi ai principi e alle misure generali di tutela previste
dall’art.15 del T.U., nelle scelte architettoniche, tecniche organizzative al fine di
pianificare i vari lavori o fasi di lavoro che si svolgeranno simultaneamente o
successivamente. Quindi già in questo stadio preliminare, in base all’entità, alla
tipologia dell’opera, al contesto in cui i lavori si svolgeranno, è in grado di
stabilire quante imprese esecutrici dovranno parteciparvi.
Da tali valutazioni, si determina ciò che rappresenta il momento chiave per
quella che sarà la successiva gestione della sicurezza del cantiere, infatti qualora
sia possibile prevedere la presenza di più imprese esecutrici (quindi
sostanzialmente almeno due), che opereranno anche in fase differita nel tempo, il
committente o responsabile dei lavori, in parallelo all’affidamento dell’incarico
di progettazione, è tenuto ad individuare e designare il coordinatore in fase di
progettazione, che avrà il compito di redigere il piano di sicurezza e di
coordinamento (cd. PSC) e il fascicolo tecnico dell’opera.
La norma prevede che tale nomina sia obbligatoria anche nel caso in cui il
committente coincide con il datore di lavoro di una delle imprese esecutrici.
Terminata la fase di progettazione dell’opera e di progettazione della
sicurezza del cantiere, con l’individuazione dei rischi, delle misure e procedure
da adottare, prima dell’affidamento dei lavori, il committente o responsabile dei
lavori, è obbligato ad individuare e designare la figura professionale del
275
Cfr. PERSIANI M., LEPORE M. “et al”, op. cit., pag. 513
148
coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione dei lavori, che espleterà il suo
compito dall’inizio delle lavorazioni, sino alla conclusione completa del cantiere.
La designazione di tali figure è fondamentale, in quanto esse hanno
l’incarico di governare le interferenze spaziali e temporali, dovute alla presenza
di più imprese esecutrici, che concorrono all’esecuzione dell’opera, condizione
che rappresenta il primo fattore di rischio infortunistico in un cantiere edile.
Il T.U. precisa che la nomina del coordinatore per la sicurezza in fase
esecutiva, sia obbligatoria anche nei casi in cui, dopo l’affidamento dei lavori ad
un’unica impresa, risulti necessario incaricare ulteriori ditta per l’esecuzione dei
lavori (art.90 comma 5), (eventualità piuttosto frequente in edilizia).
Inoltre l’art.90 comma 11, stabilisce che nei casi di lavori privati non
soggetti a permesso di costruire, in base alla normativa vigente, e comunque di
importo inferiore ad euro 100.000, non è obbligatoria la nomina del coordinatore
per la sicurezza in fase di progettazione, e che in tal caso, le funzioni del
coordinatore per la progettazione sono svolte dal coordinatore in fase di
esecuzione dei lavori, sempre qualora sia prevista la presenza, anche non
simultanea, di almeno due imprese esecutrici 276.
È da rilevare che il nostro legislatore, ha cercato di individuare già con la
normativa precedente, fattispecie che escludessero dall’obbligo di designazione
dei coordinatori, rispetto a quanto prescritto dalla formulazione originaria della
direttiva europea 92/57/CEE del 24/6/1992. Il precedente d.lgs. 494/96, ad
esempio, prevedeva l’obbligo di nomina dei coordinatori “nei cantieri nei quali é
prevista la presenza di più imprese, anche non contemporanea, solo dove l’entità
presunta era pari o superiore a 200 uomini-giorno o nei cantieri i cui lavori
comportavano i rischi particolari elencati nell'allegato II”.
In merito, la Corte di Giustizia UE, con sentenza della sezione I, del
25/7/2008, causa C-504/06, ha condannato il nostro Paese a rivedere le proprie
276
Cfr. DE FILIPPO D., La sicurezza nel cantiere, Santarcangelo di Romagna, Maggioli,
2012, pp. 73-74
149
disposizioni legislative in materia, nonché ad attenersi agli indirizzi forniti dal
Consiglio delle Comunità europea, ritenendo che l’Italia, era venuta meno
all’obbligo di trasposizione nell’ordinamento dell’art.3 par.1 della direttiva, nella
parte in cui non ammette alcun deroga all’obbligo di designazione dei
coordinatori.
Si rileva che l’attuale accezione dell’art.90 comma 11, è stata modificata
dal nostro legislatore proprio a seguito della sentenza sopra citata.
Ma anche questa ulteriore modifica è stata oggetto di censura in sede
comunitaria, tanto che il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, è
intervenuto in merito, con una circolare n.30 del 29/10/2009, esplicativa,
precisando: “tale norma persegue la finalità di consentire al committente la
nomina del solo coordinatore per l'esecuzione in cantieri non particolarmente
complessi nei quali gli obblighi del coordinatore per la progettazione sono di
entità tale da poter essere affidati all'unica figura del coordinatore per
l'esecuzione [… ]. La Corte di Giustizia UE, sez. V, con sentenza 7/10/2010,
causa C-224/09, ha affermato nuovamente che la direttiva comunitaria “esige
che, nel caso in cui siano presenti più imprese, venga sempre nominato il
coordinatore in materia di salute e sicurezza, al momento della progettazione
dell’opera o, comunque, prima dell’esecuzione dei lavori, indipendentemente
dalla circostanza che i lavori siano soggetti o meno a permesso di costruire
ovvero che tale cantiere comporti o no rischi particolari” 277.
La giurisprudenza comunque, ha sostenuto fortemente l’importanza di
figure investite di posizioni di garanzie autonome all’interno dei cantieri, in
particolare nei procedimenti penali aventi ad oggetto infortuni sul lavoro. Si
richiamano a tal proposito le sentenze della Cassazione penale, Sez. IV,
n.17770/2009, n.4161/2006, n.5075/2010 278.
277
Cfr. PERSIANI M., LEPORE M. “et al”, op. cit., pag. 510
278
Cfr. DE FILIPPO D., La sicurezza nel cantiere, Santarcangelo di Romagna, Maggioli,
2012, pp. 74-76
150
Altri importanti obblighi previsti dal T.U. in capo al committente o
responsabile dei lavori, sono la verifica dell’idoneità tecnico professionale delle
imprese affidatarie, delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi, da
effettuarsi con le modalità di cui all’allegato XVII del decreto, l’invio della
notifica preliminare agli organi di vigilanza, nei casi previsti dal decreto ed
elencati all’art.99 del T.U., la trasmissione del piano di sicurezza e di
coordinamento a tutte le imprese invitate a presentare offerte per l’esecuzione dei
lavori.
3.4 L’ idoneità tecnico professionale
La verifica dell’idoneità tecnico professionale in capo al committente o al
responsabile dei lavori, è da ricondurre alla volontà del legislatore di evitare che
imprese improvvisate o con dipendenti dalla discutibile professionalità (magari
non in regola con il versamento dei contributi di legge), operino in attività di
appalto o subappalto. Infatti l’affidamento di lavori, sulla base esclusiva del costo
minore, non considerando le effettive competenze e capacità dei soggetti,
comporterebbe certamente per il committente, nel caso di grave infortunio,
responsabilità, di cui dovrà rispondere in giudizio.
È da rilevare, che la verifica dell’idoneità tecnico professionale prevista nel
Titolo IV, compete sia al committente privato (non contemplato dall’art.26 del
T.U., sebbene restino a suo carico le responsabilità penali e civili), che al
committente datore di lavoro, e vale nei confronti di tutte le imprese appaltatrici
e subappaltatrici 279.
Le imprese appaltatrici, subappaltatrici ed i lavoratori autonomi, possono
operare legittimamente in un cantiere, solo con esplicito incarico e autorizzazione
diretta da parte del committente o del responsabile dei lavori (art. 1656 del
Codice civile). Tuttavia questo obbligo a volte viene disatteso dalle imprese che
concedono in subappalto le opere affidategli, ad altri soggetti, in assenza della
279
Cfr. DE FILIPPO D., Il coordinatore per la sicurezza nel cantiere, Santarcangelo di
Romagna, Maggioli, 2013, pp. 59-60
151
preventiva autorizzazione da parte del committente. Quest’ultimo pertanto si
trova nella concreta impossibilità di verificarne l’idoneità tecnico professionale,
incorrendo nella “culpa in vigilando”, che lo obbliga a conoscere sempre
chiunque operi nel proprio cantiere, indipendentemente dall’autorizzazione
citata 280.
Se pertanto, di regola, è l’appaltatore che deve ritenersi quale unico
responsabile dei danni derivati a terzi nell’esecuzione di un opera, rimane
tuttavia sempre imputabile al committente in alcuni specifici casi: una culpa “in
eligendo”, che ricorre qualora il compimento dell’opera è affidato ad un’impresa
appaltatrice priva della capacità e dei mezzi tecnici indispensabili per eseguire la
prestazione oggetto del contratto senza che si determini una situazione di
pericolo per i terzi; oppure una “culpa in vigilando”, per non avere usato
adeguatamente i poteri conferiti dall’ art. 1662 del Codice civile.
Responsabilità in capo al committente si ha anche nei casi in cui
quest’ultimo abbia ridotto l’appaltatore a “nudus minister”, ossia mero esecutore
dei suoi ordini, spogliandolo di quell’autonomia nell’esecuzione dell’opera che è
invece una caratteristica dello schema contrattuale dell’appalto; oppure quando il
committente
abbia
condizionato
le
modalità
esecutive
del
contratto,
concordandole o meno con l’appaltatore (Cfr. Cass. civ. sez. III, 26 marzo 2009,
n.7356 e Cass. civ. sez. lav. 27 maggio 2011, n.11757).
In ipotesi del genere il committente, in deroga al suddetto principio, potrà
rispondere direttamente per i danni patiti dai terzi e derivanti dall’esecuzione del
contratto d’appalto.
Il Titolo IV del T.U. (art.90 co.9 lett. a), stabilisce che il committente e/o il
responsabile dei lavori, verifica l’idoneità tecnico-professionale delle imprese
affidatarie, delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi in relazione alle
funzioni o ai lavori da affidare, con le modalità di cui all’allegato XVII.
280
Cfr. DE FILIPPO D., Il coordinatore per la sicurezza nel cantiere, Santarcangelo di
Romagna, Maggioli, 2013, pp. 59-60
152
L’allegato XVII prevede distinte modalità di verifica, in base ai soggetti ai
quali i lavori vengono affidati, ed in particolare:
-
le imprese affidatarie dovranno indicare al committente o al responsabile dei
lavori almeno il nominativo del soggetto o i nominativi dei soggetti della propria
impresa, con le specifiche mansioni, incaricati per l’assolvimento dei compiti di
cui all’articolo 97;
-
le imprese esecutrici nonché le imprese affidatarie, ove utilizzino anche proprio
personale, macchine o attrezzature per l’esecuzione dell’opera appaltata,
dovranno esibire al committente o al responsabile dei lavori almeno:
a) iscrizione alla C.C.I.A.A con oggetto sociale inerente alla tipologia
dell’appalto; b) documento di valutazione dei rischi di cui all’articolo 17, comma
1, lettera a); c) documento unico di regolarità contributiva (DURC), di cui al
decreto ministeriale 24 ottobre 2007; d) dichiarazione di non essere oggetto di
provvedimenti di sospensione o interdittivi di cui all’articolo 14 del presente
decreto legislativo.
-
I lavoratori autonomi dovranno esibire almeno:
a) iscrizione alla C.C.I.A.A con oggetto sociale inerente alla tipologia
dell’appalto; b) specifica documentazione attestante la conformità alle
disposizioni di cui al presente decreto legislativo di macchine, attrezzature e
opere provvisionali; c) elenco dei dispositivi di protezione individuali in
dotazione; d) attestati inerenti la propria formazione e la relativa idoneità
sanitaria ove espressamente previsti dal presente decreto legislativo; e)
documento unico di regolarità contributiva (DURC), di cui al decreto ministeriale
24 ottobre 2007 281.
Inoltre l’allegato XVII, prevede che in caso di subappalto, il datore di
lavoro dell’impresa affidataria verifica l’idoneità tecnico professionale dei sub
281
Cfr. INTERPELLO n. 7/2013 del 02/05/2013 - Idoneità tecnico professionale dei
lavoratori autonomi nell’ambito del titolo IV del D.lgs. 81/2008
153
appaltatori, con gli stessi criteri dei punti precedenti, previsti per il committente
e/o responsabile dei lavori.
I requisiti sopra esposti, nei cantieri la cui entità presunta è inferiore a 200
uomini-giorno e i cui lavori non comportano rischi particolari di cui all’allegato
XI, si considerano soddisfatti mediante presentazione da parte delle imprese e dei
lavoratori autonomi della seguente documentazione: del certificato di iscrizione
alla C.C.I.A.A.; del DURC, corredato da autocertificazione in ordine al possesso
degli altri requisiti previsti dall’allegato XVII.
Il DURC, nato originariamente come attestato unitario comprovante la
regolarità dell’impresa a fini previdenziali e assicurativi, è diventato
progressivamente strumento di contrasto del lavoro irregolare e sommerso e
mezzo per ostacolare la concorrenza sleale delle imprese operanti sul mercato. Il
DURC è disciplinato dall’art.1 comma 1176 della l. n.296/2006, dal d. m. del 24
ottobre 2007, dall’art.15 della l.183/2011 recepita dalla direttiva n.14/2011 e
dalle novità introdotte dal d.l. n.69/2013 (c.d. decreto del fare) 282.
Altri obblighi in capo al committente e/o responsabile dei lavori è quello
previsto dall’art.90, comma 9 lett. b) del T.U., secondo cui: ha l’onere di
richiedere alle imprese esecutrici una dichiarazione dell’organico medio annuo,
distinto per qualifica, corredata dagli estremi delle denunce dei lavoratori
effettuate all’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), all’Istituto
nazionale assicurazione infortuni sul lavoro (INAIL) e alle casse edili, nonché
una dichiarazione relativa al contratto collettivo stipulato dalle organizzazioni
sindacali comparativamente più rappresentative, applicato ai lavoratori
dipendenti.
Nei cantieri la cui entità presunta è inferiore a 200 uomini-giorno e i cui
lavori non comportano rischi particolari di cui all’allegato XI, il requisito di cui
al periodo che precede si considera soddisfatto mediante presentazione da parte
282
Cfr. DE FILIPPO D., Il coordinatore per la sicurezza nel cantiere, Santarcangelo di
Romagna, Maggioli, 2013, pag. 65
154
delle imprese del DURC, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 16-bis, comma
10, del d.l. n. 185/2008, convertito, con modificazioni, dalla l. n.2/2009, nonché
dell’autocertificazione relativa al contratto collettivo applicato.
In assenza del piano di sicurezza e di coordinamento o del fascicolo,
quando previsti, oppure in assenza di notifica di cui all’articolo 99, quando
prevista oppure in assenza del DURC delle imprese o dei lavoratori autonomi,
l’organo di vigilanza ne comunica l’inadempienza all’amministrazione
concedente, che sospende l’efficacia del titolo abilitativo 283.
Si rileva che la conversione in legge del “decreto del fare” ha introdotto una
importante accezione all’obbligo di richiesta del DURC, infatti, l’art. 31 comma
1 bis del d.l. n.69/2013, inserisce una deroga totale per i lavori in economia: “In
caso di lavori privati di manutenzione in edilizia realizzati senza ricorso a
imprese direttamente in economia dal proprietario dell’immobile, non sussiste
l’obbligo della richiesta del documento unico di regolarità contributiva (DURC)
agli istituti o agli enti abilitati al rilascio” 284.
3.5 Il coordinatore per la sicurezza in fase di progettazione ed esecuzione.
Il PSC e fascicolo dell’opera
I coordinatori per la sicurezza, in fase di progettazione ed esecuzione, sono
le figure garanti, per conto del committente o responsabile dei lavori (che ne
hanno l’obbligo di nomina nei casi previsti dal Titolo IV), della corretta
pianificazione e gestione dei rischi interferenziali che durante l’esecuzione dei
lavori possono caratterizzare la vita del cantiere, ed essere fonte di infortunio per
i lavoratori.
Entrambi, per poter svolgere tale ruolo devono essere in possesso dei
requisiti previsti dall’art.98 comma 1, che si possono sintetizzare in: titolo di
studio tecnico (art. 98, c. 1, lett. a), b) e c) del D.lgs. 81/2008); esperienza nel
283
Cfr. PERSIANI M., LEPORE M. “et al”, op. cit., pp. 516-517
284
Cfr. DE FILIPPO D., Il coordinatore per la sicurezza nel cantiere, Santarcangelo di
Romagna, Maggioli, 2013, pag. 70
155
settore delle costruzioni (variabile da un anno a tre anni a seconda del titolo di
studio posseduto); frequenza di un corso di “abilitazione” della durata di 120 ore,
erogato secondo modalità e contenuti indicati all’allegato XIV del D.lgs.
81/2008; aggiornamento periodico quinquennale di 40 ore complessive, ottenuto
con partecipazione a corsi, seminari e convegni (in materia di salute e sicurezza
dei lavoratori nei cantieri) 285.
Il coordinatore per la sicurezza in fase di progettazione (CSP), oltre a
coordinare l’applicazione delle disposizioni di cui all’art.90 comma 1 del T.U.,
per quanto concerne la pianificazione dei lavori che devono svolgersi
simultaneamente
o
successivamente
(prevedendone
la
durata),
ha
la
responsabilità e l’obbligo, della redazione di due documenti, fondamentali per la
gestione futura della sicurezza e della salute dei lavoratori nel cantiere: il piano di
sicurezza e di coordinamento (PSC) e il fascicolo adatto alla caratteristiche
dell’opera, previsti rispettivamente dall’art. 91 comma 1 lett. a), dall’art.100
comma 1 e all’allegato XV, e dall’art. 91 comma 1 lett. b) e allegato XVI.
Il fascicolo in particolare, è preso in considerazione all’atto di eventuali
lavori successivi all’opera (art. 91 comma 2), e non va redatto nei casi di
manutenzione ordinaria, come previsti dall’art.3, comma 1 lett. a), del d.p.r.
n.380/2001 286.
Il PSC dovrà essere un documento contenente l’individuazione e la
descrizione dell’opera, l’esplicitazione di tutti i soggetti responsabili della
sicurezza, contenere una relazione generale (accompagnata da elaborati grafici e
dal cronogramma lavori), dalla quale si evincono tutti i rischi che non possono
essere esaminati ed analizzati a priori dalle singole imprese e lavoratori autonomi
partecipanti all’esecuzione dell’opera, in quanto conseguenti dalle possibili
interferenze connesse dalle reciproche attività ed utilizzo di apprestamenti ed
285
Cfr. SEMERARO G., Questioni critiche nei cantieri, www.cseplanner.com, 2013, pp.
286
Cfr. PERSIANI M., LEPORE M. “et al”, op. cit., pag. 526
30-31
156
attrezzature comuni. Il PSC, si affianca ai piani operativi di sicurezza (POS),
redatti dai datori di lavoro dalle imprese esecutrici coinvolte nei lavori.
Per tale motivo, è necessario considerare il PSC, non come mero
adempimento formale, ma come il documento rappresentativo di quelli che
saranno i rischi effettivi potenziali di quel specifico cantiere; pertanto deve
fornire a tutti gli operatori le indicazioni puntuali sulle misure e procedure da
intraprendere per mantenere alti i livelli di sicurezza.
Anche la giurisprudenza in merito ha un orientamento intransigente. La
Cassazione penale, sez. III, con la sentenza n.21022 del 26 maggio 2008 ha
ritenuto non adeguato il PSC redatto da un CSP osservando che “l'imputato ha
completamente eluso di corredare il piano di sicurezza delle indicazioni prescritte
o per meglio dire ha proceduto, [...] al mero assemblamento informatico di
astratte previsioni legislative con nessuna aderenza ai lavori svolti in concreto e
quindi di nessuna utilità in materia di prevenzione infortuni, [...] la relazione
tecnica de qua è solo un sofisticato stratagemma utile ad adempiere in modo
burocratico e formale agli obblighi di legge però eludendoli in sostanza del
tutto” 287.
Infatti il PSC, come stabilito dall’art.100 comma 2 del T.U., è un
documento che costituisce parte integrante del contratto di appalto, in quanto in
esso vengono esplicitati anche i costi per la sicurezza, per i quali non è previsto il
ribasso, da parte delle imprese chiamate a presentare le offerte per
l’aggiudicazione dell’appalto. In tale disposizione si vanno ad intrecciare gli
obblighi del committente o responsabile dei lavori, di cui all’art.101 comma 1 del
T.U., che prevedono la trasmissione del PSC a tutte le imprese invitate a
presentare offerte per l’esecuzione dei lavori. In caso di appalto di opera pubblica
si considera ottemperata la trasmissione con la messa a disposizione del piano a
tutti i concorrenti alla gara di appalto.
287
Cfr. DE FILIPPO D., La sicurezza nel cantiere, Santarcangelo di Romagna, Maggioli,
2012, pag. 82
157
La norma prevede precise disposizioni relativamente alla trasmissione dei
documenti di sicurezza. Infatti l’impresa che si aggiudica i lavori ha facoltà di
presentare al coordinatore per l’esecuzione proposte di integrazione al PSC, ma
in nessun caso le eventuali integrazioni possono giustificare modifiche o
adeguamento dei prezzi pattuiti (art.100 comma 5 del T.U.).
Inoltre, prima dell’inizio dei lavori l’impresa affidataria trasmette il PSC
alle imprese esecutrici e ai lavoratori autonomi (art.101 comma 2 del T.U.), e
prima dell’inizio dei rispettivi lavori ciascuna impresa esecutrice trasmette il
proprio POS all’impresa affidataria, la quale, previa verifica della congruenza
rispetto al proprio, lo trasmette al coordinatore per l’esecuzione. I lavori hanno
inizio dopo l’esito positivo delle suddette verifiche che sono effettuate
tempestivamente e comunque non oltre 15 giorni dall’avvenuta ricezione (art.101
comma 3 del T.U.).
Si rileva che le disposizioni previste dall’art.100 del T.U. non si applicano
ai lavori la cui esecuzione immediata è necessaria per prevenire incidenti
imminenti o per organizzare urgenti misure di salvataggio o per garantire la
continuità in condizioni di emergenza nell'erogazione di servizi (art.100 comma 6
del T.U.).
Inoltre, nell’ambito degli appalti pubblici, qualora il coordinatore non fosse
nominato, il PSC deve essere comunque redatto dall’impresa affidataria, come
piano sostitutivo di sicurezza (PSS), come previsto dall’allegato XV punti 3.1.1 e
3.2.2 e art. 131, comma 2, lett. b) del d.lgs. n.163/2006 e s.m.i. 288
Si evidenzia, che con decreto ministeriale, ex art.104-bis 289 del
d.lgs.81/2008 e s.m.i. ed art. 131, comma 2-bis del codice dei contratti pubblici
relativi a servizi e forniture di cui al d.lgs.163/2006, sono stati individuati i
288
Cfr. VIGONE M., La sicurezza nei cantieri temporanei e mobili, in I Libri di
Ambiente & Sicurezza, n.2, 2010, pag. 14
289
Cfr. Articolo inserito nel T.U. dall’art. 32 del d.l. 21/06/2013, n. 69 recante
“Disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia”, convertito con modificazioni dalla l.
9/08/2013, n. 98
158
modelli semplificati per la redazione del PSC e del fascicolo dell’opera, nonché
del PSS.
Il coordinatore per l’esecuzione dei lavori (CSE), è titolare di una autonoma
posizione di garanzia, che nei limiti degli obblighi specificatamente individuati
dal d.lgs.81/2008 e s.m.i., si affianca a quelle degli altri soggetti destinatari delle
norme antinfortunistiche (cfr. Cassazione penale, sez. IV, 9 luglio 2008,
n.38002) 290.
Il CSE, durante l’esecuzione dell’opera, è tenuto ad una serie di compiti
disciplinati dall’art.92 comma 1 del d.lgs.81/2008 e s.m.i.; in particolare: a)
verifica, con opportune azioni di coordinamento e controllo, l’applicazione, da
parte delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi, delle disposizioni loro
pertinenti contenute nel PSC e la corretta applicazione delle relative procedure di
lavoro; b) verifica l’idoneità del POS, piano complementare di dettaglio del PSC,
lo adegua unitamente al fascicolo dell’opera, in relazione all’evoluzione dei
lavori ed alle eventuali modifiche intervenute, valutando le proposte delle
imprese esecutrici dirette a migliorare la sicurezza in cantiere e verifica che le
stesse adeguino, se necessario, i rispettivi POS; c) organizza tra i datori di lavoro,
ivi compresi i lavoratori autonomi, la cooperazione ed il coordinamento delle
attività nonché la loro reciproca informazione; d) verifica l’attuazione di quanto
previsto negli accordi tra le parti sociali al fine di realizzare il coordinamento tra
i rappresentanti della sicurezza finalizzato al miglioramento della sicurezza in
cantiere; e) segnala al committente o al responsabile dei lavori (previa
contestazione scritta alle imprese e ai lavoratori autonomi interessati), le
inosservanze alle disposizioni degli artt. 94, 95, 96 e 97, comma 1, e alle
prescrizioni del PSC, proponendo finanche la sospensione dei lavori,
l’allontanamento delle imprese o dei lavoratori autonomi dal cantiere, o la
risoluzione del contratto. Nel caso in cui il committente (o il responsabile dei
lavori) non adotti alcun provvedimento in merito alla segnalazione, senza fornire
290
Cfr. RONCO M., ROMANO B., Codice penale commentato, Torino, Utet, 2012, pag.
40
159
idonea motivazione, il coordinatore per l’esecuzione, dà comunicazione
dell’inadempienza all’Azienda Unità Sanitaria Locale e alla Direzione
Territoriale del Lavoro competente; f) sospende, in caso di pericolo grave e
imminente, direttamente riscontrato, le singole lavorazioni fino alla verifica degli
avvenuti adeguamenti effettuati dalle imprese interessate.
La norma prevede che il coordinatore in fase di esecuzione non può essere
il datore di lavoro delle imprese affidatarie ed esecutrici o un suo dipendente o il
responsabile del servizio di prevenzione e protezione (RSPP) da lui designato.
Tali incompatibilità non operano tuttavia, in caso di coincidenza fra
committente e impresa esecutrice.
Relativamente ai compiti assegnati al CSE, la giurisprudenza, ha cambiato
nel tempo orientamento. Inizialmente infatti gli oneri ad esso attribuiti, furono
interpretati come obblighi di vigilanza sulla corretta osservanza da parte delle
imprese delle prescrizioni del PSC e sulla precisa applicazione delle procedure di
lavoro, equiparandolo ad un secondo datore di lavoro; pertanto il CSE veniva
condannato anche per inosservanze contravvenzionali alla normativa di
prevenzione degli infortuni e di igiene del lavoro, tipicamente riconducibili al
c.d. “status” dell’impresa (cfr. Cassazione penale, Sez. IV, 30 giugno 2009, n.
26664, Cassazione Penale, Sez. 4, 12 aprile 2011, n. 14654) 291.
Successivamente è stata riconosciuta al coordinatore in fase di esecuzione,
una funzione c.d. di “alta vigilanza”, infatti la Suprema Corte, ha ritenuto che:
“Così come per il committente, anche per il coordinatore la funzione di
vigilanza è "alta" e non si confonde con quella operativa demandata al datore di
lavoro ed alle figure che da esso ricevono poteri e doveri: il dirigente ed il
preposto. Tanto è vero che il coordinatore articola le sue funzioni in modo
formalizzato: contestazione scritta alle imprese delle irregolarità riscontrate per
ciò che riguarda la violazioni dei loro doveri "tipici", e di quelle afferenti
all'inosservanza del piano di sicurezza e di coordinamento; indi segnalazione al
291
Cfr. PERSIANI M., LEPORE M. “et al”, op. cit., pp. 528-530
160
committente delle irregolarità riscontrate. Solo in caso di imminente e grave
pericolo direttamente riscontrato è consentita l’immediata sospensione dei lavori.
Appare dunque chiara la rimarcata diversità di ruolo rispetto al datore di lavoro
delle imprese esecutrici: un ruolo di vigilanza che riguarda la generale
configurazione delle lavorazioni e non la puntuale stringente vigilanza, momento
per momento, demandata alle figure operative (datore di lavoro, dirigente,
preposto)” (Cfr. Cassazione Penale, Sez. IV, 14 gennaio 2010, n. 1490;
Cassazione Penale sez. IV, 13 maggio 2010, n. 18149).
La Cassazione ha anche affrontato gli aspetti relativi al ruolo
prevenzionistico in capo al CSE, vale a dire il coordinamento e la presenza in
cantiere. Per quanto concerne il coordinamento, ne ha dedotto l’esercizio a fronte
di riunioni di coordinamento con cadenza settimanale, “sebbene non
formalizzate”; mentre relativamente alla presenza in cantiere, ha ritenuto
sufficiente il recarsi “con una certa frequenza nel cantiere”.
Nel rispetto di tali condizioni, i Giudici di legittimità hanno ritenuto la
condotta del CSE “conforme al modello di vigilanza "alta" più volte evocata e
distinta dalla vigilanza operativa demandata all'appaltatore” 292.
3.6 L’impresa affidataria e l’impresa esecutrice. Il POS
L’impresa affidataria, dopo le modifiche apportate al T.U. dal d.lgs.
n.106/2009, viene definita dall’art. 89 comma1 lett. i): “impresa titolare del
contratto di appalto con il committente che, nell’esecuzione dell’opera appaltata,
può avvalersi di imprese subappaltatrici o di lavoratori autonomi. Nel caso in cui
titolare del contratto di appalto sia un consorzio tra imprese che svolga la
funzione di promuovere la partecipazione delle imprese aderenti agli appalti
pubblici o privati, anche privo di personale deputato alla esecuzione dei lavori,
l’impresa affidataria è l’impresa consorziata assegnataria dei lavori oggetto del
contratto di appalto, individuata dal consorzio nell’atto di assegnazione dei lavori
comunicato al committente o, in caso di pluralità di imprese consorziate
292
Cfr. SOPRANI P., in Ambiente & Sicurezza, 2010
161
assegnatarie di lavori, quella indicata nell’atto di assegnazione dei lavori come
affidataria, sempre che abbia espressamente accettato tale individuazione” 293.
Dalla definizione di impresa affidataria si desume che essa possa
legittimamente decidere di avvalersi di una o più di imprese subappaltatrici o di
un certo numero di lavoratori autonomi per la realizzazione dell'intera opera (o
parte di essa), affidatagli dalla committenza.
Qualora scegliesse di non essere anche esecutrice, all’impresa affidataria,
non è richiesto l'obbligo di essere in “grado di fare”, ma piuttosto di essere in
grado di “organizzare, gestire e vigilare”.
Nel settore delle costruzioni è
frequente che l'impresa titolare del contratto d'appalto, non partecipi direttamente
con proprie maestranze all'esecuzione materiale dell'opera (come nel caso di una
società immobiliari o di un General contractor) 294; in questa ipotesi, si limiterà a
gestire le imprese subappaltatrici, verificando le condizioni di sicurezza dei
lavori affidati e rispettando quanto disciplinato dall’art.97 del T.U..
Pertanto, anche i criteri per valutare da parte del committente l’idoneità
tecnico professionale della ditta affidataria, varieranno a seconda che la stessa sia
esecutrice o non esecutrice. Nel secondo caso si realizzerà con la dimostrazione
da parte dell'impresa di possedere le capacità professionali organizzative idonee
alla gestione delle lavorazioni mediante soggetti (datore di lavoro, dirigenti e
preposti), che abbiano ricevuto un'adeguata formazione e che provvedano a
vigilare sul regolare e sicuro svolgimento dell'opera; mentre nel primo caso, la
suddetta idoneità deve anche tener conto della disponibilità di proprie risorse
umane e materiali, in relazione all’opera da realizzare, come per l'appunto
richiesto per le imprese esecutrici 295.
293
Cfr. PERSIANI M., LEPORE M. “et al”, op. cit., pag. 522
294
Cfr. DE FILIPPO D., Obblighi e responsabilità nel cantiere, Santarcangelo di
Romagna, Maggioli, 2011, pp. 390-391
295
Cfr. COMMISSIONE PER GLI INTERPELLI (art.12 del d.lgs.81/2008 e s.m.i),
Interpello 13/2014
162
Per quanto riguarda gli obblighi specifichi del datore di lavoro dell’impresa
affidataria, disciplinati dall’art. 97del T.U. si rilevano: la verifica delle condizioni
di sicurezza dei lavori affidati e l’applicazione delle disposizioni e delle
prescrizioni del PSC (art. 97 comma 1); il coordinamento degli interventi di cui
agli articoli 95 e 96 del T.U.; la verifica della congruenza dei POS delle imprese
esecutrici rispetto al proprio, prima della trasmissione dei suddetti piani operativi
di sicurezza al coordinatore per l’esecuzione (art. 97 comma 3). Inoltre, per lo
svolgimento delle attività, il datore di lavoro dell’impresa affidataria, i dirigenti e
i preposti devono essere in possesso di adeguata formazione.
La Cassazione penale, con sentenza n.25529 del 5 luglio 2010, ha
confermato il ruolo di garanzia della impresa affidataria, ponendola in una
situazione equivalente a quella del coordinatore per la sicurezza, avendo
individuato responsabilità concorsuali, nell’accadimento di un infortunio mortale
accaduto in un cantiere edile, dove, per un complesso sistema di lavori appaltati a
cascata, si trovavano ad operare simultaneamente diverse imprese esecutrici.
Sono stati infatti chiamati a rispondere dell’evento, sia il CSE che il datore
di lavoro dell’impresa affidataria: “Nel cantiere erano presenti più imprese,
elemento di indubbia moltiplicazione del rischio ha affermato la Corte di
Appello, ed il dovere di adottare le misure generali di tutela di tutti i lavoratori,
anche non suoi dipendenti, era a carico dell'impresa affidataria" 296.
Inoltre, sulla corretta applicazione dell’art.89 comma 1 lett. i) del T.U., si è
espressa anche l’Autorità di Vigilanza sui Contratti Pubblici “Il legislatore ha
assegnato all’impresa affidataria l’importante ruolo di verificare concretamente
in cantiere il rispetto delle prescrizioni poste a tutela della sicurezza e della salute
dei lavoratori. Si tratta di compiti di coordinamento e di gestione operativa del
296
Cfr. DE FILIPPO D., Obblighi e responsabilità nel cantiere, Santarcangelo di
Romagna, Maggioli, 2013, pag. 385
163
cantiere, con controllo del livello di sicurezza in tutte le lavorazioni svolte, sia
dai propri lavoratori, sia dai subappaltatori” 297.
Viene definita invece “impresa esecutrice” dall’art. 89 comma1 lett. i-bis):
l’impresa “che esegue un’opera o parte di essa impegnando proprie risorse
umane e materiali”. Tale formulazione richiama l’art.29 del d.lgs. 276/2003
“secondo cui il contratto di appalto, stipulato e regolamentato ai sensi
dell'articolo 1655 del codice civile, si distingue dalla somministrazione di lavoro
per la organizzazione dei mezzi necessari da parte dell'appaltatore, che può anche
risultare, in relazione alle esigenze dell'opera o del servizio dedotti in contratto,
dall'esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori
utilizzati nell'appalto, nonché per la assunzione, da parte del medesimo
appaltatore, del rischio d'impresa”.
Con la definizione riportata dal T.U., è possibile affermare che l’impresa
esecutrice, deve essere identificata in un soggetto produttivo che con i propri
mezzi, dimostra di poter portare a compimento l’opera appaltata.
Pertanto, qualunque sia la forma societaria scelta dall’impresa esecutrice, la
normativa prevede l’esistenza di una struttura organizzativa d’impresa,
compatibile ed adeguata all’opera che deve essere realizzata; prerogativa peraltro
confermata dai requisiti tecnico professionali, elencati nell’allegato XVII del
T.U. richiesti per la ditta esecutrice.
I datori di lavoro delle imprese esecutrici sono poi i veri destinatari del
maggior numero di precetti previsti nel Titolo IV, ma va detto, che queste
disposizioni speciali vanno a sommarsi agli obblighi generali previsti dal Titolo
I; infatti è da ricordare che tale impresa è da considerare prima di tutto una
organizzazione strutturale, nella quale è possibile individuare un datore di lavoro,
che dovrà garantire in primis, l’adempimento di tutti gli obblighi previsti dal
legislatore a garanzia della salute e sicurezza dei lavoratori (nomina dell’RSPP,
297
Cfr. AUTORITÀ DI VIGILANZA SUI CONTRATTI PUBBLICI, Parere del
22/07/2010
164
del medico competente, dell’RLS, la designazione degli addetti alle emergenze,
l’obbligo
d’informazione/formazione/addestramento
dei
lavoratori,
della
sorveglianza sanitaria, ecc.) 298.
Fatta questa doverosa premessa, come cornice generale degli oneri in capo
al datore di lavoro dell’impresa esecutrice, disciplinati dal Titolo IV, abbiamo le
misure generali di tutela previste dall’art. 95 comma 1 (che mutuano le misure
generali di tutela di cui all’art.15 del Titolo I) “i datori di lavoro delle imprese
esecutrici, durante l’esecuzione dell’opera osservano le misure generali di tutela
curano, ciascuno per la parte di competenza, in particolare: a) il mantenimento
del cantiere in condizioni ordinate e di soddisfacente salubrità; b) la scelta
dell’ubicazione di posti di lavoro tenendo conto delle condizioni di accesso a tali
posti, definendo vie o zone di spostamento o di circolazione; c) le condizioni di
movimentazione dei vari materiali […]” 299.
Naturalmente tali oneri vanno a sommarsi alle innumerevoli disposizioni
tecniche puntuali rinvenibili nel Titolo IV ed allegati richiamati.
Inoltre, in base a quanto prescritto dall’art. 96 comma 1 del T.U., i datori di
lavoro dell’ impresa affidataria e delle imprese (anche nel caso in cui nel cantiere
operi una unica impresa, anche familiare o con meno di dieci addetti), hanno
l’obbligo comune di: a) adottare le misure conformi alle prescrizioni di cui
all’allegato XIII; b) predispongono l’accesso e la recinzione del cantiere con
modalità chiaramente visibili e individuabili; c) curano la disposizione o
l’accatastamento di materiali o attrezzature in modo da evitarne il crollo o il
ribaltamento; d) curano la protezione dei lavoratori contro le influenze
atmosferiche che possono compromettere la loro sicurezza e la loro salute; e)
curano le condizioni di rimozione dei materiali pericolosi, previo, se del caso,
coordinamento con il committente o il responsabile dei lavori; f) curano che lo
298
Cfr. DE FILIPPO D, Obblighi e responsabilità nel cantiere, Santarcangelo di
Romagna, Maggioli, 2013, pag. 405
299
Cfr. D.lgs.81/2008 e s.m.i, art.95 comma 1
165
stoccaggio e l’evacuazione dei detriti e delle macerie avvengano correttamente;
g) redigono il POS di cui all’articolo 89, comma 1, lettera h).
Il POS in particolare, costituisce con il PSC, l’altro fondamentale
documento atto a garantire la pianificazione e gestione della sicurezza del
cantiere. L’obbligo della redazione del POS grava sui datori di lavoro delle
imprese esecutrici, dell’impresa affidataria e dell’impresa familiare; ne risultano
ancora esclusi i lavoratori autonomi.
La giurisprudenza, ha evidenziato come il PSC e il POS debbano integrarsi
tra loro costituendo, idealmente, un unico documento (fatto avvalorato dal
richiamo dell’art. 17, comma 1, lett. a), contenuto all’art. 96, comma 2 del T.U.),
ciò in quanto, il POS documenta per il singolo cantiere, la specifica valutazione
dei rischi, le conseguenti misure di prevenzione e protezione che il datore di
lavoro ha il dovere di attuare in armonia con quanto stabilito nel PSC e le
prescrizioni eventualmente disposte dal coordinatore nell’esercizio delle sue
delicate funzioni di vigilanza durante l’esecuzione dell’opera (cfr. Cassazione
penale, sez. IV, 26 ottobre 2011, n. 38791) 300.
Come indicato nell’Allegato XV del decreto, il POS deve contenere i
seguenti elementi:
a) i dati identificativi dell’impresa esecutrice, che comprendono: il
nominativo del datore di lavoro, gli indirizzi ed i riferimenti telefonici
della sede legale e degli uffici di cantiere; la specifica attività e le singole
lavorazioni svolte in cantiere dall’impresa esecutrice e dai lavoratori
autonomi sub affidatari; i nominativi degli addetti al pronto soccorso,
antincendio ed evacuazione dei lavoratori e, comunque, alla gestione delle
emergenze in cantiere, del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza
[…]; il numero e le relative qualifiche dei lavoratori dipendenti
dell’impresa esecutrice e dei lavoratori autonomi operanti in cantiere per
conto della stessa impresa;
300
Cfr. GALLO M., in Ambiente & Sicurezza, n.19, 2014
166
b) le specifiche mansioni, inerenti la sicurezza, svolte in cantiere da ogni
figura nominata allo scopo dall’impresa esecutrice;
c) la descrizione dell’attività di cantiere, delle modalità organizzative e dei
turni di lavoro;
d) l’elenco dei ponteggi, dei ponti su ruote a torre e di altre opere
provvisionali di notevole importanza, delle macchine e degli impianti
utilizzati nel cantiere;
e) l’elenco delle sostanze e preparati pericolosi utilizzati nel cantiere con le
relative schede di sicurezza;
f) l’esito del rapporto di valutazione del rumore;
g) l’individuazione delle misure preventive e protettive, integrative rispetto a
quelle contenute nel PSC quando previsto, adottate in relazione ai rischi
connessi alle proprie lavorazioni in cantiere;
h) le procedure complementari e di dettaglio, richieste dal PSC quando
previsto;
i) l’elenco dei dispositivi di protezione individuale forniti ai lavoratori
occupati in cantiere; la documentazione in merito all’informazione ed alla
formazione fornite ai lavoratori occupati in cantiere 301.
La redazione del POS, in particolare, non è prevista alle mere forniture di
materiali o attrezzature, trovando applicazione le disposizione di cui all’art.26,
inoltre l'accettazione da parte di ciascun datore di lavoro delle imprese del PSC,
nonché la redazione del POS costituiscono, limitatamente al singolo cantiere
interessato, adempimento alle disposizioni di cui all'articolo 17 comma 1, lettera
a), all’articolo 26, commi 1, lettera b), 2, 3, e 5, e all’articolo 29, comma 3 302.
301
Cfr. D.lgs.81/2008 e s.m.i, allegato XV
302
Cfr. PERSIANI M., LEPORE M. “et al”, op. cit., pag. 523
167
3.7 Documenti di sicurezza del cantiere e nuove disposizioni.
Il decreto legge n. 69/2013, convertito con la legge 9 agosto 2013, n. 98, ha
emanato numerose misure di semplificazione che hanno riguardato anche
l’edilizia. Tra le misure previste è stata inclusa per i cantieri e temporanei o
mobili l’adozione di modelli semplificati per la redazione del piano operativo di
sicurezza (POS), del piano di sicurezza e coordinamento (PSC) e del fascicolo
dell’opera, introducendo nel T.U., ai sensi dell’art.32 comma 2 del predetto
decreto legge, l’art. 104-bis, nel T.U. 303
Pertanto in attuazione di quanto sopra i Ministeri del Lavoro e Politiche
sociali di concerto con quelli delle Infrastrutture e della Salute, hanno emanato il
decreto interministeriale 9 settembre 2014, che ha introdotto i modelli
semplificati per la redazione del piano operativo di sicurezza (POS), del piano di
sicurezza e di coordinamento (PSC) e del fascicolo dell'opera (FO) nonché del
piano di sicurezza sostitutivo (PSS).
La nuova norma è composta da 5 articoli e 4 Allegati. I 4 Allegati
contengono i modelli semplificati dei menzionati piani che i datori lavoro delle
imprese affidatarie ed esecutrici, i coordinatori, gli appaltatori e i concessionari
possono utilizzare, ferma restando l’integrale applicazione del Titolo IV, d.lgs.
n.81/2008 e s.m.i., e del d.lgs. n. 163/2006 e s.m.i. 304.
3.8 Il lavoratore autonomo nei cantieri temporanei o mobili.
Il lavoratore autonomo che opera nei cantieri temporanei o mobile, oltre a
doversi conformare a quelle che sono le disposizioni generali, già individuate
nell’ art.21, è soggetto alla normativa speciale del Titolo IV del T.U. 305.
Il lavoratore autonomo di cui all’art. 2222 del Codice civ. viene definito
dall’art. 89 co.1 lett. d) come “persona fisica la cui attività professionale
303
Cfr. GALLO M., in Ambiente & Sicurezza, n.19, 2014
304
Cfr. LEONARDI A., CINI A., NAVA S. in Ambiente & Sicurezza, n.21, 2014
305
Cfr. SANTORO PASSARELLI G. (a cura di), op. cit., pag. 35
168
contribuisce alla realizzazione dell’opera senza vincolo di subordinazione”,
mentre l’art. 94 comma 1 ne stabilisce gli obblighi: “I lavoratori autonomi che
esercitano la propria attività nei cantieri, fermo restando gli obblighi di cui al
presente decreto legislativo, si adeguano alle indicazioni fornite dal coordinatore
per l’esecuzione dei lavori, ai fini della sicurezza”.
Tale precetto normativo sancisce innanzitutto l’assoluto dovere di tale
figura a conformarsi alle indicazioni del CSE, ribadendone l’obbligo ad attenersi
a tutta una serie di disposizioni che lo riguardano, e che sono contenute nel Titolo
IV del T.U., in particolare:
- all’art.90 commi 9 e 10 obbligo di dimostrazione al committente/
responsabile dei lavori dell’idoneità tecnico professionale (con i criteri già
visti);
- all’art.92 comma 1 lett.a), lett.c), lett.e), partecipazione al coinvolgimento
attivo nella pianificazione della sicurezza di cantiere predisposta dal CSE;
- all’art.100 comma 3, il datori di lavoro delle imprese esecutrici e i
lavoratori autonomi sono tenuti ad attuare quanto previsto nel piano di cui
al comma 1 e nel piano operativo di sicurezza 306.
A queste si aggiungono prescrizioni più puntuali, riconducibili all’attività
propria prestata nel cantiere edile, quali: l’art. 124 commi 1 e 2, “Deposito di
materiali sulle impalcature”; l’art. 138, commi 3 e 4, “Norme particolari”; l’art.
152, comma 2, “Misure di sicurezza”.
È evidente quindi, che anche il lavoratore autonomo è chiamato a
partecipare attivamente al mantenimento della sicurezza del cantiere, sebbene
essendo la sua prestazione, riconducibile al contratto d’opera, è ridotto
notevolmente il numero degli oneri a suo carico rispetto a quanto richiesto
all’impresa esecutrice.
306
Cfr. DE FILIPPO D., Il coordinatore per la sicurezza nel cantiere, Santarcangelo di
Romagna, Maggioli, 2013, pag. 124
169
Infatti, giova sottolineare, che il lavoratore autonomo, non essendo impresa,
oltre ad essere manlevato dagli oneri obbligatori generali previsti dal Titolo I del
T.U. concepiti a tutela del lavoratore subordinato, nei cantieri temporanei o
mobili, non è soggetto obbligato alla redazione del POS.
Tuttavia sia il PSC che il POS, compilato dalle imprese esecutrici per le
quali eventualmente operano, devono includere in tali documenti la loro attività
regolamentandola nel dettaglio.
Ma la questione si complica nei casi che escludono l’onere per il
committente di nominare la figura del coordinatore con la conseguente
elaborazione del PSC, adempimenti che ricordiamo, la norma prevede
obbligatori, qualora operino in cantiere più imprese esecutrici, anche non
simultaneamente. Il lavoratore autonomo, non rientrando nella definizione di
impresa, è escluso da predetto conteggio.
In tal senso si è espresso il Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale
con la nota n. 418 del 22 febbraio 2001, precisando che tale esclusione si
giustifica in forza della sostanzialità della nozione di impresa, quale area
datoriale di lavoro, che porta ad escludere da essa l'area del lavoro autonomo.
Da ciò ne consegue, che ai fini della normativa in materia di sicurezza,
l'imprenditore artigiano potrà definirsi “impresa” solo quando avrà dipendenti e
rispetto ad essi si porrà quale datore di lavoro. Sarà al contrario considerato
“lavoratore autonomo” quando non si avvalga di collaboratori, partecipando da
solo all’attività di cantiere 307.
Allo stato non sussiste, dalla lettura lessicale della norma, l’obbligo da
parte del committente, della nomina del coordinatore nel caso in cui questi
incarichi più lavoratori autonomi ad eseguire delle opere in un cantiere edile;
anche se tuttavia, sulla questione è intervenuta la giurisprudenza che con la
sentenza della Cassazione, sezione IV, n. 1770 del 16 gennaio 2009, ha
307
Cfr. GIUNTA F., MICHELETTI D., Il nuovo diritto penale della sicurezza sul lavoro,
Milano, Giuffrè, 2010, pp. 459-460
170
sostanzialmente ritenuto che il committente è tenuto a designare i coordinatori
per la sicurezza nei cantieri temporanei o mobili, quando richiesti dalle
disposizioni di legge, anche se nello stesso cantiere si trovino ad operare da soli
più lavoratori autonomi.
L’utilizzo dei lavoratori autonomi nel settore dell’edilizia, è diventata
pertanto negli ultimi anni questione particolarmente problematica, in quanto
sempre di più vengono utilizzate forme di pseudo artigiani, in alternativa a forme
societarie vincolanti ed onerose, creando una vera e propria distorsione del
mercato, con ripercussioni dirette sul sistema sicurezza.
Per cui si delinea un doppio binario, da un lato quella che si può definire la
nuova frontiera del lavoro nero, ovvero di chi ha sostituito il lavoro sommerso
con rapporti di lavoro millantati come autonomi, ma riconducibili a vere e
proprie prestazioni subordinate. Dall’altro, gruppi di lavoratori autonomi, che
operando di fatto in maniera organica e unitaria, sono refrattari a ricorrere a
forme societarie regolari, che comporterebbero naturalmente, maggiori gravami e
costi di gestione, anche per quanto concerne la sicurezza 308.
308
Cfr. DE FILIPPO D., Il coordinatore per la sicurezza nel cantiere, Santarcangelo di
Romagna, Maggioli, 2013, pag. 126
171
CAPITOLO TERZO
AUTONOMIA O SUBORDINAZIONE IN EDILIZIA: UN
PROBLEMA DI SICUREZZA
1. Lavoratori autonomi e attività di cantiere
1.1 La genuinità della prestazione di carattere autonomo in edilizia
La crisi economica e sociale degli ultimi anni, ha visto, a decorrere dal
2008, quale settore più colpito, quello dell’edilizia, tanto che i dati ISTAT hanno
confermato anche per l’anno 2014 una vera e propria emorragia di posti di lavoro
persi (60.000 mila) e oltre 15 mila imprese fallite 309.
Il fenomeno, ormai conclamato, unitamente all’eredità della rigida
uniformità dello statuto protettivo del lavoro, ha indotto il sistema a ricorrere a
nuove forme di organizzazione dell’attività lavorativa nei cantieri edili,
determinando anche in questo comparto una vera e propria fuga dal “lavoro
subordinato”, verso il “lavoro autonomo”, con modalità che celano forme di
lavoro irregolare.
L’ultimo decennio è stato caratterizzato da un’importante accelerazione del
fenomeno delle esternalizzazioni in vari settori dell’economia, compreso quello
delle costruzioni, che non ne è rimasto indenne; infatti, è progressivamente più
accentuato il diffondersi del ricorso a forme di decentramento estremo delle
lavorazioni che vede quale caso limite quello in cui il cantiere è costituito
interamente da lavoratori autonomi 310.
Sempre di più i lavoratori appartenenti a tale categoria, rappresentano gran
parte della forza lavoro del settore, ma questi spesso vengono utilizzati in modo
improprio, in quanto pur se formalmente riconducibili alla tipologia contrattuale
309
Cfr. ANCE, Associazione Nazionale Costruttori Edili, 2 dicembre 2014
310
Cfr. GALLO M., in Ambiente & Sicurezza n.15, 7 agosto 2012
172
di cui all’art.2222 del Codice civile, di fatto, svolgono le medesime attività delle
imprese esecutrici, in quanto inseriti a tutti gli effetti come dipendenti, all’interno
dell’organizzazione di cantiere.
È evidente che in tale cotesto, la distinzione tra autonomia e
subordinazione, diventa particolarmente pregnante per le fondamentali ricadute
che l’inquadramento nell’una o nell’altra fattispecie comporta, sia per quanto
riguarda la corretta qualificazione del rapporto di lavoro, sia per quanto attiene
l’applicazione delle tutele infortunistiche, per i lavoratori interessati 311.
Di particolare rilievo in questo senso è stata la legge n.92/2012, che ha
avuto tra i suoi obiettivi, anche quello di arginare l’uso distorto ed elusivo di
alcune tipologie di lavoro flessibile, accendendo un faro sulle discusse “partite
Iva”.
Come è stato rilevato nel corso della trattazione nel primo capitolo, il testo
della legge è rivolto particolarmente, al contrasto dell’uso improprio degli
elementi di flessibilità, progressivamente introdotti nell’ordinamento, nel
tentativo di ripristinare un più rigoroso discrimine tra i “genuini” contratti di
lavoro autonomo e la sfera della subordinazione giuridica, riducendone
convenienza economica e spazi di operatività, piuttosto che muovendosi in
un’ottica regolativa del lavoro autonomo 312.
Operando pertanto con fini antielusivi, il legislatore utilizzando lo
strumento delle c.d. “presunzioni”, presenti in un rapporto di collaborazione a
partita Iva (e indicando in questo modo i limiti per il disconoscimento del
rapporto autonomo), ha prodotto degli effetti di allargamento della fattispecie
classica del tipo legale di subordinazione di cui all’art. 2094 del Codice civile,
recependo condizioni diverse da quelle tradizionali.
311
Cfr. MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI, Circolare n.16,
4 luglio 2012
312
Cfr. MAGNANI M., Autonomia, subordinazione, coordinazione nel gioco delle
presunzioni, in Working Papers, Centre for the Study of European Labour Law “Massimo
D’Antona”, htpp://csdle.exe.unict.it, 2013
173
“La conseguenza è che sulla individuazione della fattispecie del contratto
d’opera, sull’oggetto dell’obbligazione e la valenza euristica dell’alternativa
mezzi/risultato, sulla possibile caratterizzazione del contratto d’opera come
contratto di durata, non vi è consonanza di vedute, se non una vera e propria
babele di lingue” […] 313.
In coerenza con l’indirizzo del Governo e della riforma Fornero pertanto, il
Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, allo scopo di arginare il fenomeno
dei “falsi autonomi” o meglio lavoratori dipendenti mascherati da autonomi
detentori di partita Iva nel settore dell’edilizia, ha diramato nel luglio del 2012 la
circolare n°16, con la quale ha allertato il personale ispettivo a prestare
particolare considerazione a tali fenomeni elusivi, aggravati dal ricorso ad
“ulteriori formule aggregative” di sospetta legittimità, che prescindono da
un’organizzazione di impresa, in quanto costituite da associazioni temporanee di
lavoratori autonomi, ai quali viene affidata da parte del committente l’esecuzione
dell’intera opera edilizia 314.
In tal senso, sono state fornite precise indicazioni al personale di vigilanza,
finalizzate alla verifica della genuinità delle prestazioni qualificate come
autonome, mediante l’individuazione di indici sintomatici di subordinazione
specifici, unitamente ad un elenco di tipologie di attività ritenute “dubbie”.
Il Ministero, invitando ad accertare in fase di controllo, con più attenzione,
l’utilizzo irregolare di “sedicenti lavoratori autonomi”, ha sottolineato che non vi
è comunque a priori, in capo allo stesso soggetto, incompatibilità tra lo “status”
di imprenditore autonomo, o di imprenditore artigiano, con l’eventuale qualifica
di lavoratore dipendente, se tale attività non finisca per essere prevalente, rispetto
a quella di tipo autonomo 315.
313
Cfr. MAGNANI M., Autonomia, subordinazione, coordinazione nel gioco delle
presunzioni, in Working Papers, Centre for the Study of European Labour Law “Massimo
D’Antona”, htpp://csdle.exe.unict.it, 2013
314
Cfr. MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI, Circolare n.16,
4 luglio 2012
315
Cfr. Cassazione Sez. Unite, 12 febbraio 2010, n. 3240
174
1.2 Elementi sintomatici della non genuinità della prestazione di carattere
autonomo in edilizia
Abbiamo già evidenziato nel capitolo precedente, come il lavoratore
autonomo contemplato dal T.U. sulla sicurezza, che opera in edilizia, sia la figura
disciplinata dall’art. 2222 del Codice civile, la cui specificità, nell’ambito dei
cantieri temporanei o mobili, viene meglio esplicitata dalla definizione fornita
dall’art.89 comma 1 lett. d) del T.U., i cui tratti salienti sono sintetizzabili nella
personalità fisica della prestazione, nell’assenza di vincoli di subordinazione, e
nella professionalità dell’attività prestata in termini di contributo, alla
realizzazione dell’opera.
Tale definizione in effetti (considerato che la dizione di “lavoratore
autonomo”, non è contemplata nelle visure camerali), trova analogia con la
nozione di “impresa artigiana” di cui alla l. 443/85 (Legge quadro per
l’artigianato), ma con una voluta limitazione, del suo campo d’azione; possiamo
dire che di fatto il lavoratore autonomo che opera nei cantieri edili è
sostanzialmente riconducibile all’impresa individuale artigiana senza dipendenti,
ovvero che non si avvale del supporto di quelle figure previste dall’art. 2 del T.U.
sulla sicurezza.
D’altro canto il Titolo IV del T.U. cita costantemente nel suo articolarsi le
“imprese” ed i “lavoratori autonomi”, a significare come di fatto il ruolo di
quest’ultimi sia prettamente marginale, rispetto all’intera opera da realizzare,
considerato che le lavorazioni che possono essere compiute in un cantiere edile,
in maniera genuinamente autonoma sono piuttosto limitate. Tale orientamento
evidenzia chiaramente la volontà di affidare lo stesso, alla gestione di imprese
convenientemente strutturate che possano garantire adeguati livelli di tutela
antinfortunistica al personale operante 316.
316
Cfr. DE FILIPPO D. G. M., La sicurezza nel cantiere, Santarcangelo di Romagna,
Maggioli, 2012, pp. 134-135
175
L’esatta individuazione del soggetto, imprenditore o autonomo, si manifesta
pertanto, al momento dell’affidamento del lavoro da svolgere in cantiere, da parte
del committente, che lo potrà correttamente definire solo in fase contrattuale. Le
ragioni che debbono supportare la scelta se stipulare un contratto d’opera (ex art.
2222 del Codice civ.) o un d’appalto (ex art. 1655 del Codice civ.), dipenderanno
quindi dalla natura, dalla complessità e dall’ entità dell’opera da realizzare, dai
tempi indispensabili per l’esecuzione, nonché dalle attrezzature necessarie per
portare a compimento quanto pattuito.
Stabilito il corretto inquadramento contrattuale, il committente provvederà,
di
conseguenza
alla
verifica
dell’idoneità
tecnico
professionale,
e
all’applicazione di tutte le disposizioni previste in merito dal d.lgs.81/2008 e
s.m.i. (cfr. capitolo II) 317.
Ma le variabili che disattendono questi principi generali sanciti dalla norma,
riscontrabili quotidianamente da chi svolge l’attività di vigilanza nei cantieri
edili, sono molteplici, anche se è possibile individuare alcuni casi standard:
l’impresa che utilizza la formula di subappaltare alcune lavorazioni a lavoratori
autonomi, che di fatto mettono a disposizione le loro energie agendo come veri e
propri dipendenti, o all’opposto il lavoratore autonomo che acquisisce l’intera
opera dal committente e la realizza unitamente ad altri omologhi, agendo
sostanzialmente come datore di lavoro di fatto, o ancora ex dipendenti che per
poter continuare a lavorare aprono partite Iva fittizie, continuando a svolgere le
stesse mansioni di lavoratore subordinato, sino ad arrivare alla costituzione di
discutibili associazioni temporanee di lavoratori autonomi che esulano da
legittime organizzazioni imprenditoriali.
La valutazione di quale sia il reale rapporto di lavoro rispetto a quello
dichiarato, da parte dell’organo ispettivo e quindi stabilire la genuinità di tali
fattispecie, è spesso di non semplice ed immediata soluzione, considerata la
317
Cfr. Documento predisposto dal Gruppo Interregionale Edilizia e licenziato dal
Comitato Interregionale PISLL nella seduta del 29 novembre 2011 e approvato dal
coordinamento tecnico interregionale della prevenzione nei luoghi di lavoro
176
complessità dell’attività produttiva in tale settore, che, per sua natura è
caratterizzata dalla temporaneità, dalla molteplicità e sovrapposizione delle
lavorazioni e dalla pluralità dei soggetti coinvolti nella filiera.
Di fatto la possibilità di inquadrare un lavoratore come autenticamente
autonomo o meno si gioca innanzitutto sugli elementi cristallizzati in fase di
primo accesso ispettivo, dove è necessario saper giustamente valutare, una serie
di condizioni essenziali, quali la tipologia di attività svolta e le modalità con la
quale la prestazione lavorativa viene effettuata; al quale naturalmente seguirà un
più approfondito esame di rilievi documentali. Tali elementi dovranno comunque
relazionarsi ed essere supporti dai riscontri testimoniali dei soggetti coinvolti, che
nell’immediato del controllo, risultano più attendibili.
Così le valutazioni di natura tecnica si fondono con quelle di natura
giuslavoristica, essendo le une indispensabili alle altre al fine della corretta
qualificazione del rapporto.
Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, fornendo indicazioni in tal
senso al personale di vigilanza, ha però specificato, che queste sono da intendere
quali mere istruzioni di carattere tecnico che si muovono sul piano della
metodologia accertativa, anche mediante l’utilizzo di “presunzioni operative”, e
non principi di carattere generale in ordine ai criteri di distinzione tra autonomia
e subordinazione; il loro fine è sostanzialmente quello di orientare l’azione del
personale ispettivo, uniformandone comportamenti e valutazioni sul piano
nazionale 318.
Un
primo
elemento
significativo
secondo
il
Ministero,
ai
fini
dell’accertamento, è la verifica del possesso o meno della disponibilità di
macchine ed attrezzature (macchine edili, motocarri, apparecchi di sollevamento,
opere provvisionali, ecc.), dalle quali si possa evincere una effettiva autonomia
organizzativa e capacità, in buona sostanza, di portare a compimento
318
Cfr. MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI, Circolare n.16,
4 luglio 2012
177
autonomamente le intere opere da eseguire. Dall’esame documentale ne deve
scaturire la proprietà e la disponibilità giuridica delle stesse, e a dimostrazione
della loro non occasionalità d’uso, la loro risultanza nel registro dei beni
ammortizzabili 319.
Al contrario il possesso di attrezzatura minuta (carriola, secchi, pale, ecc.),
o la disponibilità delle macchine fornite dall’impresa esecutrice o dal
committente, anche se a titolo oneroso, sono elementi sintomatici della non
genuinità del carattere autonomo della prestazione.
D’altro canto, l’assenza di idonea strumentazione, rende inidoneo il pseudo
autonomo alla realizzazione dell’opera, non avendo in sostanza i mezzi per
eseguirla, condizione essenziale per il conseguimento del risultato e pertanto
dell’opus previsto in un contratto d’opera, ai sensi dell’art.2222 del Codice
civile, mentre la messa a disposizione degli stessi da parte del committente o di
un’impresa
esecutrice,
sarebbe
più
compatibile
con
la
richiesta
di
un’obbligazione di mezzi del prestatore d’opera, ai sensi dell’art.2094 del Codice
civile.
Tale aspetto del resto è in linea con la verifica tecnico-professionale che il
committente deve effettuare anche nei confronti del lavoratore autonomo,
secondo quanto stabilito dall’art. 90 comma 9 lett. a) e allegato XVII del
d.lgs.81/2008 e s.m.i., la cui mancanza comporta implicazioni di carattere penale
per lo stesso.
Altro elemento sintomatico di non genuinità del rapporto di lavoro
autonomo, tuttavia non decisivo e considerato residuale dallo stesso Ministero
(stante il carattere temporaneo delle attività effettuate in edilizia), è il riscontro di
una eventuale mono committenza. Anche se, certamente un rapporto
prevalentemente o del tutto esclusivo con un committente o impresa esecutrice di
un pseudo-lavoratore autonomo può configurare un suo stabile inserimento
319
Cfr. MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI, Circolare n.16,
4 luglio 2012
178
nell’ambito dell’organizzazione aziendale, costituendo un possibile indice di non
genuinità del rapporto di lavoro 320.
Gli ulteriori fattori da esaminare evidenziati dal Ministero, nel tentativo di
inquadrare i margini della citata autonomia nell’ambito della concreta attività
svolta in cantiere, sono legati all’accertamento della effettiva modalità di
esecuzione complessiva dell’opera edile.
La circolare evidenzia come ai fini della qualificazione della prestazione,
tutte le attività che caratterizzano la fase terminale dell’opera: finiture ed
impiantistica (quali lavori idraulici, elettrici, operazioni di decoro, ecc.), sono
normalmente compatibili con un’attività autonoma.
Meno verosimili invece risultano lavorazioni che riguardano l’esecuzione
strutturale di un manufatto in edilizia, quali, sbancamenti, costruzione di
fondamenta, strutture in elevazione di cemento armato; ovvero di tutte quelle
opere che richiedono la simultanea presenza di maestranze convergenti alla
costruzione di un unico prodotto, in forza ad indicazioni tecniche e direttive
necessariamente univoche, con tempi e modalità di esecuzione dei lavori.
Operazioni di questo tipo, normalmente vengono eseguite da categorie di
operai quali: manovale edile, muratore, carpentiere e ferraiolo, previste nei
CCNL edilizia, e richiedono ragionevolmente, per poter essere realizzate, la
qualità di “impresa esecutrice”, in possesso di mezzi, forza lavoro e struttura
organizzativa.
Ciò che rileva è che tali attività sono caratterizzate da una precisa
pianificazione che determina una sequenzialità temporale e di coordinamento tra
le varie fasi lavorative, indispensabili per arrivare al completamento dell’opera in
maniera unitaria ed organica; vale a dire, modalità poco conciliabili sia ad una
prestazione di natura autonoma sia ad un raggiungimento del risultato, se non in
forma di cooperazione con altri lavoratori.
320
Cfr. MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI, Circolare n.32,
27 dicembre 2012
179
Si può in effetti più parlare di messa a disposizione della forza lavoro, da
parte di queste maestranze. Un chiaro esempio sono le opere in elevazione che
riguardano il ciclo del cemento armato, ovvero il montaggio-smontaggio di
strutture metalliche o prefabbricate.
Da queste considerazioni, il Ministero conclude, che almeno sul piano delle
“presunzioni”, ove non emergano fenomeni di conclamata sussistenza di una
effettiva organizzazione aziendale e nemmeno una un’inequivocabile situazione
di pluricommittenza, il personale ispettivo, debba ricondurre nell’ambito della
subordinazione, nei confronti del reale beneficiario degli stesse, le prestazioni dei
lavoratori autonomi iscritti nel Registro delle Imprese o all’Albo delle Imprese
artigiane adibiti alle seguenti attività: manovalanza, muratura, carpenteria,
rimozione amianto, posizionamento di ferri e ponti, addetti a macchine edili
fornite dall’impresa committente o appaltatore.
Tale ricostruzione, precisa il Ministero, deve essere adottata anche nelle
ipotesi in cui il committente, assumendo le vesti di datore di lavoro, affidi la
realizzazione dell’opera esclusivamente a lavoratori autonomi, di fatto totalmente
eterodiretti.
Inoltre, conclude, che in tutti i casi di disconoscimento della natura
autonoma della prestazione, il personale ispettivo debba contestare all’
utilizzatore, oltre che le violazioni di natura lavoristica, connesse alla
riqualificazione del rapporto di lavoro da autonomo a subordinato, con le
conseguenti evasioni contributive, anche gli illeciti riscontrabili in materia di
salute e sicurezza sul lavoro, per quanto concerne la sorveglianza sanitaria e la
mancata informazione e formazione dei lavoratori sui rischi 321.
Per quanto esposto, traspare la volontà del Ministero del Lavoro di
contrastare ed arginare, attraverso controlli mirati ed omogenei a livello
nazionale, evidenti forme di raggiramento delle norme che hanno come
321
Cfr. MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI, Circolare n.16,
4 luglio 2012
180
conseguenza effetti distorsivi del mercato, attraverso una concorrenza sleale, che
penalizza quelle imprese che per contro investono in personale e sicurezza, e
pertanto risultano essere meno competitive.
Ma ai fini dell’accertamento della natura subordinata e non autonoma del
rapporto di lavoro, le presunzioni operative elencate dalla circolare (che sono di
natura empirica e non contemplate dall’art.2094 del Codice civ.), devono
comunque corroborarsi con gli indici sintomatici del vincolo di subordinazione,
ovvero in via prioritaria con il vincolo di soggezione personale del lavoratore al
potere direttivo, disciplinare e di controllo del datore di lavoro.
L’eterodirezione in tal senso può articolarsi in molteplici dimensioni
operative: potere di conformazione e/o specificazione della prestazione dovuta;
potere di coordinamento spazio-temporale della prestazione di lavoro con le
esigenze dell’organizzazione produttiva del creditore; potere di determinazione
delle concrete modalità della prestazione; ciò che rileva è la conseguente
limitazione dell’indipendenza del pseudo-lavoratore autonomo ed il suo
inserimento nell’organizzazione aziendale 322.
La sussistenza di tali indici pertanto, va comunque sempre contestualizzata
al caso specifico, qualora, come spesso accade, non sia così limpida e
indiscutibile la soggezione del prestatore d’opera al potere direttivo del datore di
lavoro, in quanto la presenza di alcuni di essi, non rappresenta una certezza
assoluta di subordinazione poiché le situazioni riscontrabili in concreto sono
molteplici, e non sempre considerabili totalmente regolari o irregolari.
1.3 Formule associative di dubbia legittimità
Il Gruppo di Coordinamento Tecnico Interregionale edilizia il 12.03.2012,
ha convalidato un documento predisposto dal Gruppo di Lavoro Nazionale
Edilizia delle Regioni, allo scopo di fornire una traccia di quelle che sono le
322
Cfr. GALLO M., in Ambiente & Sicurezza n.15, 7 agosto 2012
181
situazioni che relativamente all’argomento trattato, possano considerarsi regolari
o irregolari, riscontrabili in cantiere.
Il primo caso considerato è quello del lavoratore genuinamente autonomo,
ovvero quel soggetto che assume un incarico (da un committente, o da
un’impresa affidataria od esecutrice), ed è in grado di portarlo a termine
autonomamente con le proprie forze ed attrezzature. La fattispecie in questo caso
è regolare, in quanto conforme al prestatore d’opera di cui all’art.2222 del Cod.
civile e al tipo a cui il T.U. sulla sicurezza fa riferimento.
Il lavoratore autonomo così definito è soggetto ai soli obblighi di cui agli
artt. 21, 26, 94, 100, 124, 138 e 152 del d.lgs.81/2008 e s.m.i., già visti nel
capitolo II. È il caso ad esempio dell’artigiano che esegue opere di ordinaria
manutenzione all’interno di un appartamento (intonaci, pitturazioni, modeste
opere murarie, ecc.), piccoli lavori edili in generale, con movimentazione
manuale di materiali e di attrezzature compatibili con l’autonomia della
prestazione.
Sempre nell’area della regolarità, in base a tale documento, è da
considerarsi la pluralità di lavoratori autonomi, ciascuno con un proprio
contratto, che ripartisce l’opera in singole lavorazioni disgiunte, che
effettivamente sia plausibile possano essere svolte autonomamente dai soggetti
interessati, in piena autonomia organizzativa. Anche questi sono casi riferibili a
lavori di piccola entità (come ad esempio le opere idrauliche, la realizzazione di
impianti elettrici, ecc.) 323.
La pluralità di lavoratori autonomi, invece, provvisti di un unico contratto,
ma aggregati secondo le forme associative ammesse dalla legge, assumono a tutti
gli effetti in questo caso la connotazione di impresa esecutrice, e la situazione è
possibile inquadrarla come regolare, solo nel caso in cui viene data applicazione
323
Cfr. Documento predisposto dal Gruppo Interregionale Edilizia e licenziato dal
Comitato Interregionale PISLL nella seduta del 29 novembre 2011 e approvato dal
coordinamento tecnico interregionale della prevenzione nei luoghi di lavoro
182
integrale alle disposizioni di cui al T.U. sulla sicurezza previste normalmente per
le imprese.
Ai casi di cui sopra, in linea di principio non sintomatici di forme elusive
della normativa, seguono invece quelli, che il più delle volte è possibile
riscontrare nel concreto, nella usuale attività di vigilanza, da parte degli organi
ispettivi.
La prima possibile situazione è quella in cui un lavoratore autonomo, viene
ingaggiato da un’impresa, ma agisce in base a precisi indici da lavoratore
subordinato, nei confronti dell’impresa stessa (coordinandosi ed eseguendo di
fatto le stesse attività dei dipendenti della ditta). In questo caso siamo in una
situazione irregolare, con l’applicabilità peraltro anche dell’art.299 del T.U.
“esercizio di fatto dei poteri direttivi” e l’impresa sarà tenuta ad assumere il
lavoratore pseudo autonomo, con decorrenza a ricondursi all’inizio della
prestazione stessa (anche a tempo determinato), per il periodo necessario al
compimento dell’opera. È da sottolineare che l’assunzione non pregiudica il
mantenimento della qualifica di impresa individuale 324. Verranno inoltre
riconosciuti gli oneri previdenziali, assicurativi, contributivi, retributivi e le tutele
del T.U. proprie del lavoro subordinato, e tipiche dell’impresa. Si dovrà inoltre
provvedere per il lavoratore alla informazione/formazione sui rischi, alla
sorveglianza sanitaria, alla fornitura dei D.P.I. e all’inserimento dello stesso, nel
Piano operativo di sicurezza (POS).
Ulteriore casistica è quella nella quale si ha una pluralità di lavoratori
autonomi, di cui solo uno ha assunto le obbligazioni contrattuali e gli altri
operano con un vincolo di subordinazione di fatto nei confronti del primo
obbligato, in presenza o meno di un contratto formale. In sostanza, dovendosi
avvalere per la realizzazione dell’opera delle prestazione di altri autonomi (o
presunti tali), decade la possibilità di portare a termine le lavorazioni in piena
324
Cfr. Documento predisposto dal Gruppo Interregionale Edilizia e licenziato dal
Comitato Interregionale PISLL nella seduta del 29 novembre 2011 e approvato dal
coordinamento tecnico interregionale della prevenzione nei luoghi di lavoro
183
autonomia. Si pensi ad esempio alla manutenzione straordinaria di un tetto, o
comunque tutti quei lavori edili dove la movimentazione dei materiali e delle
attrezzature non può essere effettuata da una persona sola.
Eclatante è il caso del montaggio e smontaggio dei ponteggi, per le quali è
la norma stessa che stabilisce che tali attività vengano effettuate sotto la diretta
sorveglianza di un preposto, ad opera di lavoratori che hanno ricevuto
un’adeguata formazione, significando la ovvia non compatibilità con l’autonomia
della prestazione 325.
Anche in questo caso ovviamente la situazione è da considerarsi irregolare e
il primo contraente, sempre in virtù dell’art.299 del d.lgs.81/2008 e s.m.i.,
assume nei confronti degli altri, oneri e responsabilità, è sarà soggetto ai
medesimi obblighi previsti nel caso precedente. Si ravvisa anche una scorretta
valutazione dell’idoneità tecnico professionale da parte del committente,
nell’affidamento dell’opera.
Infine altra casistica indicata dal documento, è quando, si ha una pluralità di
lavoratori autonomi, provvisti di un proprio contratto che ripartisce l’opera in
singole lavorazioni disgiunte, ma che nei fatti, operano in maniera unitaria e
organica, anche se in assenza di vincoli di subordinazione.
Anche questa rappresenta una condizione di irregolarità, in virtù di un
comportamento concludente, operato dai soggetti in causa; dovrà esserne in
questo caso disposta la regolarità istitutiva e l’applicazione di tutti gli
adempimenti previsti per le imprese esecutrici dal d.lgs.81/2008 e s.m.i. Inoltre, è
possibile rinvenire una errata valutazione dell’idoneità tecnico professionale da
parte del committente o dell’impresa per conto del quale l’opera viene
eseguita 326.
325
Cfr. D.lgs.81/2008 e s.m.i., articolo 136
326
Cfr. Documento predisposto dal Gruppo Interregionale Edilizia e licenziato dal
Comitato Interregionale PISLL nella seduta del 29 novembre 2011 e approvato dal
coordinamento tecnico interregionale della prevenzione nei luoghi di lavoro
184
2. Lavoratore autonomo o subordinato? Ricadute dal punto di vista
della sicurezza
Le ragioni che hanno portato ad una crescente presenza di lavoratori
autonomi nel settore delle costruzioni, è semplicemente perché tale
inquadramento “conviene” economicamente, in quanto, oltre agli aspetti
contributivi e previdenziali, e quindi più in generale il costo del lavoro, si
abbattono in modo sostanziale gli oneri relativi alla sicurezza, sia per chi
materialmente esegue i lavori (che siano autonomi, presunti tali, od imprese che
se ne avvalgono illegittimamente in subappalto), sia per i committenti, che si
vedono anch’essi esonerati da importanti obblighi previsti dal T.U. sulla
sicurezza. Senza contare che, con tali espedienti, si ricorre a formule meno
rischiose, del più tradizionale utilizzo di lavoratori totalmente in nero.
L’ autonomo all’interno di un cantiere edile, come abbiamo già visto nel
capitolo II, ha ancor oggi incombenze limitatissime, a fronte di quelle in capo ad
un datore di lavoro di impresa esecutrice, che dovrà al contrario, provvedere
all’applicazione integrale del d.lgs. 81/2008 e s.m.i. (redazione del P.O.S. di
cantiere, nomina RSPP, addetti alle emergenze, RLS, medico competente,
sorveglianza sanitaria, informazione/formazione sui rischi per i dipendenti, ecc.),
a tutela dei lavoratori dipendenti.
Il committente d’altro canto, affidando l’esecuzione di un’opera a più
lavoratori autonomi, o ad un’impresa e più lavoratori autonomi, si avvantaggerà a
sua volta, dell’esonero dall’obbligo di nomina delle figure di coordinamento
previste dall’art.90 commi 3, 4, 5 ed 11, del d.lgs.81/2008 e s.m.i. 327.
Ma tale architettura, decade qualora l’accertamento della genuinità dei
rapporti contrattuali posti in essere, conduce nei fatti a prestazioni di lavoro
subordinato, assumendo un’apprezzabile rilevanza anche sul piano delle
responsabilità penali, diventando le violazioni alle disposizioni di cui al d.lgs.
327
Cfr. NADALINI M., in Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 11, 2012
185
81/2008 e s.m.i., immediatamente applicabili da parte del personale ispettivo,
mediante l’istituto della prescrizione obbligatoria di cui all’art. 758/1994.
La posizione del datore di lavoro di fatto, poi, si andrà naturalmente ad
aggravare in caso di infortunio, tanto che potrà essere chiamato a rispondere per i
reati di omicidio colposo o lesioni colpose, con diritto della parte lesa ad ottenere
il risarcimento del danno.
I lavoratori autonomi, tradizionalmente, essendo datori di lavoro di se
stessi, hanno potuto scegliere di non tutelare adeguatamente la propria integrità
fisica, con il conseguente aumento degli infortuni che li riguarda; anche se è
tuttavia da sottolineare che nei casi meno gravi l’opzione adottata dagli stessi, per
limitare i giorni di assenza dal lavoro, è quella di continuare a lavorare, e
pertanto il numero effettivo di incidenti a loro carico, sfugge al dato statistico 328.
I rischi maggiori si celano particolarmente nell’ambito di lavori in appalto e
subappalto, dove la limitata consapevolezza dei luoghi e delle zone di pericolo,
delle eventuali lavorazioni che vi si effettuano e la possibilità di interferire con
l’attività di altre imprese e lavoratori, fa aumentare notevolmente i fattori di
rischio e la possibilità di infortuni.
Con la sentenza del 6 maggio 2009, n. 18998, la Corte di Cassazione,
sezione IV penale, ha confermato un importante orientamento in materia di
obblighi di prevenzione degli infortuni sul lavoro stabilendo che nelle aziende, ai
lavoratori autonomi, spettano le stesse garanzie previste per i dipendenti per
quanto riguarda la informazione, le protezioni, i controlli e le direttive dei
superiori, ribadendo anche sotto questo profilo il principio penalistico generale
della rilevanza, ai fini dall’accertamento delle posizioni soggettive, dei poteri e
dell’attività effettivamente esercitate, principio ora codificato nell’articolo 299
del d.lgs. 81/2008 s.m.i.. 329
328
Cfr. NADALINI M., in Igiene e Sicurezza del Lavoro n. 11, 2012
329
Cfr. GALLO M., in Ambiente & Sicurezza n.15, 7 agosto 2012
186
3. Casi concreti. Giurisprudenza
Le sentenze della Cassazione che definiscono i presupposti per poter
regolare o meno sia un appalto che un rapporto di lavoro autonomo sono
numerose, e sono riconducibili, al tentativo di conservare il principio generale di
divieto d’appalto e di interposizione fittizia di manodopera, allo scopo di
“impedire che l’imprenditore, servendosi di strumenti negoziali apparentemente
leciti, ottenga prestazioni di lavoro inerenti al ciclo produttivo della propria
impresa, in frode al trattamento normativo, retributivo, assicurativo e
previdenziale” 330.
Con il diritto vivente inoltre, si riesce meglio a comprendere, quali sono le
ripercussione importanti che inquadramenti non corretti, possano comportare in
caso di infortunio sul lavoro, per i soggetti coinvolti.
La Cassazione penale sez. IV del 20 giugno 2008, con la sentenza n. 25278,
ad esempio, sancisce come il committente sia la figura di garanzia della sicurezza
dei lavoratori autonomi, nei casi in cui non sussistano i requisiti della prestazione
d’opera, ma si riscontrino quelli tipici della subordinazione. Tale sentenza è di
particolare rilievo, in quanto fornisce indicazioni circa l’individuazione dei limiti
tra lavoro subordinato ed autonomo nonché degli elementi tipici che
caratterizzano tali tipi di lavoro.
Nel caso specifico, il committente, aveva affidato a due operai dei lavori
sulla copertura del tetto a spiovente del villino di sua proprietà, quando, uno dei
due rimaneva folgorato a causa del contatto di un’asta metallica di circa 4 m (che
stava utilizzando per allineare le tegole), con una linea elettrica a media tensione
posta nelle vicinanze del villino.
A seguito di tale infortunio il Tribunale riteneva responsabile il
committente dell’accaduto, per la sua condotta colposa, negligente ed
imprudente, poiché aveva commissionato agli operai la realizzazione dell’opera
330
Cfr. Cassazione Penale, Sez. IV, Sentenza del 16 novembre 2010, n. 40499
187
in argomento ad una distanza dalla linea elettrica inferiore ai 5 m stabiliti come
limiti dalle disposizioni in materia di sicurezza, e di non aver informato gli operai
del pericolo dovuto alla presenza della linea stessa. Per tali ragioni lo condannava
alla pena di nove mesi di reclusione oltre al pagamento delle spese processuali ed
al risarcimento del danno in favore delle costituite parti civili.
Nonostante il ricorso fatto dall’imputato in Cassazione, contestando che
quello intercorso con gli operai non poteva essere considerato un rapporto di
lavoro subordinato dovendo invece essere lo stesso inquadrato nell’ambito del
contratto di prestazione d’opera di cui all’art.2222 del Codice civ., la Corte per
contro, pose in evidenza che i due operai non erano titolari di un’impresa edile,
ma erano stati direttamente contattati ed assunti dal committente come manovali
per l’esecuzione di uno specifico lavoro, pattuendo un compenso complessivo;
inoltre che i due operai, a parte gli attrezzi di uso strettamente personale
(cazzuola e metro), utilizzavano materiale e attrezzature messe loro a
disposizione dal committente, pertanto erano da ritenere subordinati. Per la
Corte, non assumeva pertanto alcun valore, come sostenuto dal difensore, che il
committente non aveva fornito alcuna indicazione di come eseguire i lavori.
Pertanto, richiamando principi giurisprudenziali già affermati in precedenti
sentenze della stessa Corte di cassazione, evidenziava che “colui che dà in
concreto l’ordine di effettuare un lavoro, anche se non impartisce delle direttive
in ordine alle modalità di esecuzione dello stesso, assume di fatto la mansione di
dirigente, con il conseguente dovere di accertarsi che il lavoro venga compiuto
nel rispetto delle norme antinfortunistiche” 331.
Inoltre in merito al rapporto di lavoro intercorso tra il committente e gli
operai, ritenuto per la difesa doversi inquadrare nell’ambito del contratto di
prestazione d’opera di cui all’art.2222 del Codice civ., la Suprema Corte ha posto
in evidenza che “elemento essenziale, come tale indefettibile, del rapporto di
lavoro subordinato – e criterio discretivo, nel contempo, rispetto a quello del
331
Cfr. Cassazione penale sez. IV del 20 giugno 2008, con la sentenza n. 25278
188
lavoro autonomo – è la subordinazione, intesa questa come vincolo di soggezione
personale del prestatore al potere direttivo del datore di lavoro, che inerisce alle
intrinseche modalità di svolgimento delle prestazioni lavorative e non già
soltanto al risultato; hanno invece carattere sussidiario e funzione meramente
indiziaria – secondo l’orientamento, ormai consolidato almeno nelle linee
essenziali, della giurisprudenza di questa Corte Sezioni Civili – altri elementi del
rapporto di lavoro (quali ad esempio, collaborazione, osservanza di un
determinato orario, continuità della prestazione lavorativa, inserimento della
prestazione medesima nell’organizzazione aziendale e coordinamento con
l’attività imprenditoriale, assenza di rischio per il lavoratore, forma della
retribuzione), che – lungi dal surrogare la subordinazione o, comunque,
dall’assumere valore decisivo ai fini della prospettata qualificazione giuridica del
rapporto – possono tuttavia, essere valutati globalmente come indizi della
subordinazione stessa, tutte le volte che non ne sia agevole l’apprezzamento
diretto a causa di peculiarità delle mansioni, che incidano sull’atteggiarsi del
rapporto”.
La Sezione IV, ha concluso ribadendo nel caso specifico che “come
correttamente rilevano i giudici di merito, le situazioni di rischio, esistenti nel
luogo ove veniva eseguito il lavoro di cui trattasi, erano talmente macroscopiche
ed evidenti, che non potevano essere ignorate dall’imputato, il quale non ha
neanche, come minimo comportamento improntato a prudenza, avvertito gli
operai della presenza a meno di tre metri dal tetto dei fili di alta tensione” 332.
La sentenza della Cassazione penale sez. IV del 20 marzo 2008, n. 12348,
pone invece la questione di lavori dati in subappalto da un’impresa esecutrice ad
un presunto “lavoratore autonomo”, altra situazione irregolare tipica, facilmente
riscontrabile nei cantieri edili.
Il questo caso, il Tribunale condannava per il delitto di lesioni colpose gravi
e per le contravvenzioni in materia antinfortunistica, il titolare di una società, a
332
Cfr. Cassazione penale sez. IV del 20 giugno 2008, con la sentenza n. 25278
189
seguito di un infortunio occorso ad un subappaltatore che nel corso di alcuni
lavori di coibentazione dei balconi di un edificio cadeva, rimanendo infortunato,
da un terrazzo privo di idonee protezioni contro la caduta dall'alto, in quanto
dotato di un solo corrente intermedio e sprovvisto di tavola fermapiede 333.
L'imputato faceva ricorso alla Corte di Appello, la quale confermava la
condanna già inflitta dal Tribunale, ritenendo che il lavoratore infortunato, già
dipendente della società della quale l'imputato era il rappresentante legale, non
fosse in realtà un lavoratore autonomo, ma un lavoratore subordinato e che
comunque in ogni caso, indipendentemente dalla natura del rapporto, l'imputato
era tenuto a garantire la sicurezza del luogo di lavoro, che di fatto era venuta
meno.
L'imputato faceva ulteriormente ricorso alla Corte di Cassazione chiedendo
l'annullamento della sentenza della corte di Appello, ribadendo che con
l'infortunato non sussisteva alcun rapporto di lavoro in quanto lo stesso si era
dimesso per sua esclusiva volontà, per intraprendere un’attività autonoma.
L'imputato metteva in evidenza altresì, che essendo in essere un contratto
di subappalto, non gli si potevano addebitare violazioni in materia di sicurezza,
non essendo lui il datore di lavoro e che fosse lo stesso subappaltatore, essendo
dotato di autonomia tecnica ed organizzativa, tenuto a garantire l'osservanza delle
norme di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro, anche perché il committente
non aveva avuto alcuna ingerenza nell’esecuzione delle opere. Pertanto, laddove
non venisse riconosciuta la natura subordinata del rapporto, tali violazioni non
potrebbero essere addebitate al subappaltante.
La Sezione IV della Corte di Cassazione rigettò il ricorso evidenziando che
l'infortunato era da considerarsi lavoratore dipendente della società della quale
l'imputato era il titolare in quanto sostanzialmente, pur avendo aperto una ditta
artigiana a lui intestata, aveva proseguito l'attività con le modalità precedenti e
333
Cfr. Cassazione penale sez. IV del 20 marzo 2008, n. 12348
190
riceveva ancora ordini dall'imputato di cui utilizzava le attrezzature, il mezzo di
trasporto e il materiale. La Corte di Cassazione proseguiva affermando: “ma se
anche potesse ritenersi accertato che l'infortunato, prestava la propria opera in
esecuzione di un contratto d'appalto (ma sembra più appropriato parlare di
contratto d'opera), non per questo sarebbero venuti meno gli obblighi del
committente di assicurare che la prestazione di lavoro avvenisse in luogo protetto
e privo di pericoli perla sicurezza" 334.
Altra sentenza interessante, che coinvolge ancora una volta il committente è
quella della Cassazione penale sez. IV del 16 gennaio 2009, n. 1770, che pone in
questa circostanza però, la questione dei casi in cui vige l’obbligo di nominare o
meno la figura del coordinatore in materia di sicurezza. Come già trattato nel
precedente capitolo, sostanzialmente condizione ai sensi della legge (art.90
commi 3 e 4 del T.U.), per l’istituzione di tale figura di garanzia è la presenza
anche non contemporanea, di più imprese nella realizzazione delle opere,
escludendo dal computo i lavoratori autonomi.
Il caso specifico coinvolge un artigiano che nel corso di alcuni lavori di
ripavimentazione di un cortile a lui appaltati dalla proprietaria, veniva travolto da
una scala, al di sotto della quale si era venuto a trovare, nel mentre questa veniva
demolita mediante escavatore da un altro artigiano, chiamato da questi a
collaborare. A seguito dell’evento, la parte offesa riportava lesioni personali
gravi.
Il Tribunale prima, e poi la Corte di Appello, hanno emesso entrambi
sentenza di condanna nei confronti del committente per delitto di lesioni colpose
ai danni dell’infortunato, ravvisando nell’imputato elementi di colpa specifica
per la violazione alla normativa antinfortunistica, in quanto come committente e
responsabile dei lavori non verificava l’adempimento degli obblighi di redazione
del PSC e designava coordinatore per l'esecuzione dei lavori un tecnico privo dei
prescritti requisiti previsti dalla legge. I Giudici di merito hanno affermato che
334
Cfr. Cassazione penale sez. IV del 20 marzo 2008, n. 12348
191
l'infortunio occorso al lavoratore si era verificato proprio per la mancanza di un
coordinamento tra gli interventi di pavimentazione del cortile e quelli di
demolizione della scala, lavori inevitabilmente e strettamente connessi tra loro,
visto che la scala incombeva sul cortile 335.
L’imputata ha fatto ricorso alla Corte di Cassazione esponendo a propria
difesa che l’artigiano al quale aveva affidato i lavori, rimasto poi vittima
dell’infortunio, aveva la gestione del cantiere, la direzione ed il governo
dell'unica maestranza ivi presente al momento dell'infortunio, cioè l’artigiano
escavatorista da lui stesso incaricato della demolizione della scala e che
nessun piano della sicurezza e nessun coordinatore per l'esecuzione avrebbe mai
potuto evitare od impedire l'evento infortunistico.
Il crollo, secondo la ricorrente, era avvenuto nell'ambito di un'attività
controllata dal primo artigiano il quale ne aveva la direzione di tutte le operazioni
lavorative, ne conosceva la consistenza ed aveva anche il coordinamento con il
proprio ausiliario.
La Corte di Cassazione ha giudicato infondati i motivi addotti dalla
ricorrente ed ha pertanto rigettato il ricorso.
Il lavoratore infortunato secondo la Sez. IV, ben sapendo che la stabilità del
manufatto da demolire era già fortemente compromessa dal taglio degli
ancoraggi all'edificio, nel porsi al di sotto di essa mentre l'escavatorista operava,
ha posto in essere incontestabilmente un comportamento imprudente ma ha
affermato poi che lo stesso non potesse considerarsi causa simultanea da sola,
sufficiente a determinare l'evento, tant’è che nella circostanza è stato riconosciuto
dai giudici il concorso di colpa della parte offesa.
Quindi la suprema Corte ha proseguito affermando che: “la mancanza di
organizzazione dei lavori, secondo un piano ben preciso, volto a garantire la
sicurezza di tutti i lavoratori, ha consentito che quella attività, che peraltro
richiedeva cognizioni tecniche relative alla stabilità, fosse svolta con molta
335
Cfr. Cassazione penale sez. IV del 16 gennaio 2009, n. 1770
192
leggerezza da solo due persone senza una preventiva programmazione”, ed ha
concluso ribadendo che: “se, infatti, il piano di sicurezza fosse stato
effettivamente predisposto e la nomina del coordinatore per l'esecuzione dei
lavori correttamente e validamente effettuata, ne sarebbe derivata in concreto una
precisa organizzazione degli interventi facenti capo alle varie ditte incaricate
delle opere da eseguire ed una vigilanza sul coordinamento di tali interventi,
come specificamente previsto dal decreto legislativo n. 494 del 1996 articolo 5
(oggi d.lgs.81/2008 e s.m.i.)” 336.
Ciò che rileva nella predetta sentenza è che la stessa mette in discussione
l’esonero dalla nomina del coordinatore in materia di sicurezza, anche nel caso in
cui in uno stesso cantiere si trovino ad operare da soli più lavoratori autonomi,
evidenziando ancora una volta quanto siano cruciali, le scelte operate, al
momento dell’affidamento dei lavori.
336
Cfr. Cassazione penale sez. IV del 16 gennaio 2009, n.1770
193
4. Riflessioni conclusive
Ritornando all’antica contrapposizione romana “locatio operarum” e
“locatio operis”, evolutasi nel tempo, sino ad arrivare alla odierna distinzione tra
“lavoro subordinato” e “lavoro autonomo”, sembrerebbe apparentemente
semplice ricondurre una prestazione lavorativa nell’una o nell’altra fattispecie,
ma dottrina e giurisprudenza in realtà ci hanno mostrano quanto è impervia la
corretta qualificazione di un rapporto di lavoro, se non, avendo riguardo alla
natura effettiva ed al reale contenuto dello stesso; soprattutto con l’ingresso di
formule contrattuali intermedie che ne hanno reso ancora più labili i confini.
E se “ogni attività umana economicamente rilevante può essere oggetto sia
di rapporto di lavoro subordinato, che di rapporto di lavoro autonomo, a seconda
delle modalità di svolgimento”, è chiaro come la prestazione subordinata sia
spesso volutamente elusa e dissimulata dietro le sembianze di un rapporto di
lavoro autonomo, con lo scopo di sottrarlo alla rigida disciplina di tutele e delle
garanzie del primo, chiaramente più onerose per il datore di lavoro.
Nel settore delle costruzioni tracciare un perimetro tra le due tipologie è
ancora più difficoltoso in quanto, l’edilizia sin dall’antichità è equiparabile ad un
arte, fondata su regole e tecniche costruttive, tradizionalmente tramandate dai
mastri operai ai loro apprendisti.
Nel cantiere, d’altra parte, il concetto di catena di montaggio tipico delle
fabbriche fordiste, non c’è mai stato perché di fatto: “i muratori non prestano mai
soltanto le loro braccia ma, essendo tutti, chi più chi meno, in possesso di un
mestiere, prestano sempre anche la loro intelligenza. Ogni lavoro diventa alla
fine un capolavoro”. Inoltre, l’imprenditore edile è sentito dai suoi operai, anche
qualora fosse diplomato o laureato, molto più vicino agli stessi, di qualunque
altro imprenditore, salvo i rari casi di grande impresa, senza contare che molti
sono gli operai divenuti imprenditori edili” 337.
337
Cfr. LOMBARDI S., in ADAPT Centro Studi Internazionali e Comparati Marco
Biagi, Edizione speciale n.55, 30 ottobre 2006
194
Certamente l’individuazione di una serie di “presunzioni” ed un elenco di
attività sospette, da utilizzare come supporto agli indici sintomatici rivelatori
della natura subordinata del rapporto di lavoro, sono strumenti che consentono
agli organi ispettivi di meglio contrastare, l’uso distorto del contratto d’opera,
rendendo più efficace l’azione dei controlli.
Tuttavia, sebbene nei cantieri di una certa rilevanza, è più semplice
apprezzare la qualità imprenditoriale, del soggetto che organizza e dirige
professionalmente il processo produttivo, meno scontato appare nei cantieri
medio piccoli, dove alcune lavorazioni che rientrano nella rosa delle dubbie, non
è escluso che possano essere realizzate autonomamente.
Ne sono un esempio le opere di modesta muratura o di piccola carpenteria;
ogni caso può diventare unico e diversamente valutabile, e a volte difficilmente
riscontrabile nell’immediato di un’ispezione.
Pertanto il problema centrale in edilizia, resta sempre comunque quello
della sicurezza e l’alto rischio di infortuni a cui sono esposti gli operatori,
indipendentemente dalla tipologia contrattuale e dalle dimensioni del cantiere;
tale pericolo ovviamente si amplifica notevolmente per quei lavoratori
“irregolari”, che diventano più di altri, anelli deboli della catena.
L’azione ispettiva è certamente fondamentale, in quanto deterrente
significativo, al ricorso anomalo di alcune pratiche, ma non è sufficiente. Le
ispezioni, dovrebbe sposarsi con un allargamento capillare della cultura della
sicurezza, che ancor oggi, nonostante tutto viene snobbata. Quando accade un
infortunio, opinione comune è che la causa è tutta nell’insufficienza dei controlli
da parte delle autorità, ma quando le ispezioni vengono effettuate, l’accusa è
quella di deprimere ancora di più un settore già fortemente in crisi.
E allora bisognerebbe recuperare il dettato dell’art.2060 del Codice civ. “il
lavoro è tutelato in tutte le sue forme esecutive, intellettuali, tecniche e manuali”
concetto rafforzato dall’art. 35 della Costituzione, che ne fa dello Stato il garante.
195
In virtù di tali principi fondamentali, bisognerebbe estendere gli obblighi
fondamentali previsti dal T.U. (magari prevedendo delle agevolazioni, affinché la
sicurezza non sia vissuta come un pesante costo da subire), anche ai lavoratori
autonomi che operano in edilizia, a prescindere dalla loro genuinità, imponendo:
la formazione sui rischi, la sorveglianza sanitaria, la capacità di gestione delle
emergenze, la compilazione del POS, e la loro contabilizzazione, nel computo
del numero di imprese, che rendono obbligatoria la redazione del PSC; in questo
modo almeno sul piano della sicurezza, si riuscirebbe ad operare a priori una
tutela, che troverebbe poi comunque il suo completamento, dal punto di vista
previdenziale e contributivo in caso di disconoscimento del rapporto di lavoro.
D’altro canto, come ricorda la Raccomandazione 2003/134/CE, 18 febbraio
2003 del CONSIGLIO UE: “quando vengono affidati dei lavori è necessario
tenere sempre presente che, i lavoratori autonomi, sia che lavorino da soli o con
altri dipendenti, possono essere esposti a rischi per la salute e la sicurezza
analoghi a quelli che corrono i lavoratori dipendenti, e con la loro attività
possono compromettere la salute e la sicurezza di altre persone che lavorano nel
medesimo luogo di lavoro”.
Con gli artt. 6 comma 8 lett. g) e 27 del d.lgs.81/2008 e s.m.i., il legislatore
ha demandato alla Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza
sul lavoro il compito di definire, anche per l’edilizia (come è già stato effettuato
per chi opera in ambienti confinati), l’introduzione di sistemi di qualificazione e
continua verifica dell’idoneità tecnico-professionale, tanto delle imprese quanto
dei lavoratori autonomi; ciò sarebbe auspicabile in quanto porterebbe in futuro,
sicuramente ad una maggiore regolamentazione del settore.
Ma la tutela della salute e sicurezza sul lavoro, resta in capo innanzitutto
alla responsabilità dei singoli soggetti, ai quali la legge conferisce funzione di
garanzia. Ognuno (in primis gli stessi lavoratori), ha il compito di custodire
consapevolmente la sicurezza propria ed altrui, sforzandosi di mettere
quotidianamente in pratica le buone prassi, di cui la normativa è alla fine solo un
veicolo, evitando scorciatoie, solo apparentemente convenienti, in quanto tutto
196
non può essere giustificato dalle difficoltà economiche dovute alla “contrazione
del mercato”.
Ma è anche vero, che per migliorare i livelli di sicurezza e tentare di
riportare i rapporti di lavoro nel settore delle costruzioni, a forme compatibili con
l’attività svolta, è indispensabile una rivisitazione del sistema, anche in virtù
della concorrenza sempre più rilevante proveniente dagli altri paesi comunitari,
che risultano fortemente competitivi sul nostro territorio nazionale, sino ad
arrivare a veri e propri fenomeni di dumping sociale.
Oggi più che mai, anche per quanto riguarda il lavoro ed il complesso delle
sue tutele: “Sussiste l’esigenza di confermare il patto costituzionale che mantiene
unito il Paese e che riconosce a tutti i cittadini i diritti fondamentali e pari dignità
sociale” [...] e “dobbiamo saper scongiurare il rischio che la crisi economica
intacchi il rispetto di principi e valori su cui si fonda il patto sociale sancito dalla
Costituzione” 338.
338
Cfr. MATTARELLA S., Discorso del Presidente della Repubblica, 3 febbraio 2015
197
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