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Premio Letterario
Castelfiorentino
edizione 2014
FRANCESCA MAIRANI
La Beata Dorotea
Nel corridoio buio la veste nera della suora quasi si confonde. A passetti veloci, sui piedini calzati nelle pianelle di feltro, si scapicolla Suor Teresa. Porta con sè una bugia e protegge la fiammella della candela con la mano. Gli occhi sono
spalancati che sembrano due taralli. Di fronte a una porta si blocca. La manina bianca si stringe in un pugno grande
come una noce poi attacca con vigore un concitato toc toc.
“Madre! Madre! Si svegli! Sono tornati!”
Nannelli Giovanni detto Giovannone, un armadio a muro con due cosce come tronchi d’albero e Stacchiotti Enrico
detto Brodo, sono appostati dietro a un cespuglio. Indossano entrambi un berretto di lana ben calato sugli occhi e una
sciarpa a coprire la bocca, che la notte ormai si è fatto freddino e un po’ di camuffo si addice a due ladri. Ma la sciarpa
del Nannelli è di lana spessa, rifatta da un vecchio maglione della moglie, e gli pizzica sotto i peli del naso. Ha una
torcia in mano, che però tiene spenta perché le batterie si consumano e poi tocca comprarle.
“Brodo. Oh, Brodo! Ma sei sicuro che a quest’ora le dormon tutte? A me m’è parso di sentire dei rumori...”
“Giovannone, e se tu t’agitassi meno, forse lo sentiremmo un po’ di silenzio. E pare che tu c’abbia le pulci, l’è tutto un
grattare!”
“Gli è la sciarpa che mi prude, Brodo. Un si poteva fare con un fazzoletto sulla bocca, come nei films dei cowboy?”
“Un l’è mi’a un attacco alla diligenza, codesto. Si ha da entrare, si prende la mano e poi si torna a casa. Son quattro
suore, dio bonino, cinque con la superiora. Un avrai mi’a paura?” “Delle suore no, Brodo. Però... rubare in chiesa?
Quando ero piccino che andavo al catechismo, Don Alfio diceva che rubare in chiesa l’è peccato. Ancora più peccato
che rubare negli orti o nelle case, perché tradisci la fiducia del Signore.” “Don Alfio... bono quello. E se ne intendeva
di peccati, lui! Oh Giovannone, o tu lo sapevi che si veniva a fare stanotte. Un era mi’a una novità. Dai, accendi quella
pila e stai un po’ cheto.”
La porta si apre e ne esce una faccia bianca e tonda, come uno spettro gonfio dagli occhi assonnati. “Suor Teresa, è
mezzanotte passata. Ma si può sapere che le prende? A quest’ora dovrebbe essere nel suo letto, non a passeggio per il
corridoio.”
“Madre ho sentito dei rumori e mi sono svegliata. Un fruscio e poi delle foglie che venivano calpestate.”
“Sarà una volpe, Suor Teresa. O una faina. Vi siete sincerate di avere chiuso il pollaio?”
“Come ogni sera, Madre. Come ogni sera. No.. no... son passi di cristiano, questi, non di animale. Beata Dorotea, ti
prego, proteggici! Sono sicura che quei mariuoli sono tornati. L’ultima volta ci hanno rubato tre galline e una faraona.
Persino Morella, la favorita di Suor Ignazia. Madre, che dobbiamo fare?” La superiora si gratta il cranio sotto la cuffia.
E’ il suo modo di pensare. Inarca le sopracciglia e poi, con voce decisa, proclama il verdetto.
“Sveglia Suor Maria. Che ci pensi lei.”
Giovannone e Brodo, a passi furtivi, sono arrivati fino alla porta della chiesa. Hanno fatto saltare il chiavistello con un
piede di porco – Giovannone è un esperto nello scasso, con quelle mani può scardinare un portone a colpi di nocchini
– e poi sono entrati. La pila illumina un cerchio di pavimento polveroso e una fila di panche. C’è un odore misto di
muffa e incenso, un’aria umida che trasuda dalle pareti di sassi intonacati. In un angolino a destra dell’altare, vestita
con una camicia da notte tutta sbuffi e frappe, riposa con l’aria estatica e incartapecorita la Beata Dorotea. Ha sulla
testa una coroncina di fiori mummificati. Il vetro della teca è opaco delle ditate dei fedeli.
Giovannone le si piazza davanti a gambe larghe, i polsi ai fianchi, come una massaia indaffarata. Accanto a lui Brodo
stringe gli occhi.
“Ventimila lire, hai detto?”
“Ventimila sull’unghia.”
“L’è un bel po’ di quattrini”.
“Un bel po’.” “E dobbiamo portarla via tutta?”
“No. No. Il collezionista ha detto la mano. Solo la mano.”
“E che se ne fa di una mano? Guarda, l’è tutta rattrappita che pare un artiglio.”
“Oh Giovannone, a me che se ne fa costui della mano non interessa mi’a nulla. Per me la può usare anche per grattarsi
la schiena. Lui ci dà ventimilalire per la mano della Beata. E io per ventimilalire gli venderei pure la mi moglie, figurati un
po’.”
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edizione 2014
Giovannone appoggia gli arnesi a terra, attento a non fare rumore. Poi si sporge in avanti. La schiena è larga come una
pala d’altare. Allunga le braccia e sistema le mani con cura ai lati della teca.
“Sta pronto Brodo. Adesso la sollevo”
Suor Teresa si è rifatta tutto il corridoio all’incontario. Con il petto che sussulta per l’affanno, si piazza decisa davanti
ad una porta e inizia un bussare che non si potrebbe ignorare neanche volendolo. Dall’altra parte c’è un rumore di
mobili spostati e poi una voce profonda e cavernosa.
“Da?”
Lo sforzo lo ha sentito, Giovannone è rosso in faccia e ha due vene nel collo tirate come due lacci, che pulsano al ritmo
delle bestemmie. Sotto di lui Brodo si affanna con un seghetto. Si credevano fosse più facile, ma la manina mummificata non ne vuole sapere di staccarsi dal resto del braccio.
La Beata Dorotea non emana un profumo di fiori come si addice al suo rango, ma un odore marcio di vecchiume e
polvere. Le frappe della camiciola si sfaldano in briciole cenciose a contatto delle mani indaffarate di Brodo.Suor Maria
appare sull’uscio e lo riempie tutto. E’ alta come un uomo alto ma molto più robusta. Quando era più giovane fece la
rivoluzione al suo paese, poi, non si sa bene come, si ritrovò dalla parte sbagliata e la spedirono in un posto freddo,
molto freddo, per rieducarla. Suor Maria, nata Tatiana Alessandrova, non parla volentieri di quel periodo. Corre voce
che per il freddo perse due dita del piede destro e per questo zoppica un poco. In Siberia conobbe un ex prete ortodosso, anche lui in vacanza riabilitativa, che le spiegò alcune cose su Dio, i Santi e la Madonna. Tatiana ne rimase folgorata
e pensò fra sé che se lo avesse saputo prima, altro che Lenin: quella sarebbe stata la sua rivoluzione. In modo rocambolesco riuscì a fuggire e a trovare rifugio in un convento in Polonia. Da lì approdò in Italia, prese i voti e fu mandata
a custodire la Beata Dorotea, che con la sua preghiera aveva tanto sostenuto la comunità e convinto il padre, un ricco
Conte, a donare alla curia svariati terreni.
Del suo passato Suor Maria conserva l’accento e una certa belligeranza. La stessa che la porta far scroccare le nocche
delle dita mentre Suor Teresa, tenendo al petto il crocefisso e fissandola dal basso all’alto, le racconta che i ladri sono
tornati a fare scempio nel pollaio.
“Aspetta che io prende vanga, da?”
La mano non si stacca e Brodo ha un bello spingere e tirare. La carne della Beata Dorotea si è asciugata sulle ossa e ha
saldato cartilagini e legamenti. Giovannone sbuffa e impreca sotto il peso della teca. Il sudore ha preso a colare da sotto
il cappello in gocce sempre più copiose. Ne ha una proprio grossa che gli scivola lungo il naso e si spande fra i peli della
narice e le fibre della sciarpa. Impossibile in quelle condizioni trattenere lo starnuto. A quel punto è giocoforza che le
mani perdano la presa, la teca scivoli portando con sé schegge di vetro, un urlo di Brodo – che a momenti la mano ce
la perde lui – e un qualcosa di duro e scuro che cade a terra con rumore di legno.
“Oh imbecille, che hai fatto? Adesso le avrai svegliate tutte. Manderanno a chiamare il maresciallo. Altro che ventimila lire, quello ci mette al gabbio. E adesso che gli racconto alla mi moglie?”
Giovannone si piega con il fiato grosso, arraffa quello che può dei suoi arnesi, li butta nella sacca alla meno peggio.
“Scappiamo Brodo. Facciamo in fretta!”
Dal convento le suore si stanno dando voce l’una all’altra, sempre più concitate.
“Corri Giovannone. Corri. Son solo suore.” Fuori dalla chiesa è tutto buio, le luci sono accese nel convento, si sente uno
scalpiccio di piedi, alcuni più frenetici, altri più lenti. Si sa, l’età delle suore non è più verdissima.
Giovannone e Brodo scavalcano il cespuglio sacco in spalla. Il cancello non è lontano. L’hanno quasi raggiunto quando un colpo di pala sferrato di piatto gli arriva sulle vertebre cervicali, proprio nel punto fra schiena e collo, un colpo
secco e scientifico.
“Vi faremo passare voglia di rubare nuostre galline.”
Suor Maria risolleva la vanga e un altro colpo si abbatte sui gropponi. Potrebbe andare di taglio sulle anche o sui ginocchi, come fece a suo tempo in un’altra vita, ma è pur sempre una sposa del Signore. Si accontenterà di dar loro una
buona lezione. E la pala scende per la terza volta.
Suor Teresa nel frattempo è entrata in chiesa. Vede la teca in frantumi e la Beata Dorotea con la mandibola spalancata
in una specie di grido di sorpresa. La riassetta come può. Sacrileghi. Blasfemi. Chissà che volevano dalla loro Beata.
“Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno” mormora stringendo al petto il rosario e sistemando sul cranio
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qualche ciuffo di capelli. Ma in cuor suo spera che Suor Maria abbia picchiato duro.
Intanto Brodo e Giovannone sono riusciti a passare oltre il cancello e stentano a riaversi. La schiena duole. Brodo ha
anche del sangue che gli esce da un orecchio.
“Ti fa male Brodo?”
“Dio bonino, Giovannone. M’ha fatto vedere tutte le stelle del firmamento, quella suora. Da lontano paiono tanto piccine, tutte nere. Ma lo sapevi tu che c’avevano quella specie di lottatore? Così forte un mi aveva picchiato mai neppure
la mi moglie.”
“Ventimila lire sfumate così. Ce l’avremmo quasi fatta se tu non fossi stato così lento con quel seghetto.”
“E ce l’avremmo fatta sì, se tu non avessi lanciato la teca a terra. A momenti mi tranciavi una mano di netto, bucaiolo!”
“Bucaiola sarà la tu sorella, Brodo.”
Gli amici si fanno gli occhi cattivi, paiono due randagi pronti ad azzuffarsi. Ma la memoria delle botte è fresca. No,
non ce la farebbero di sicuro ad affrontarne altre. Brodo abbassa lo sguardo a terra. Giovannone, per darsi contegno,
rimesta con la mano nella sacca. Vuole controllare se qualcosa è rimasto in chiesa, qualcosa che possa comprometterlo.
Ma non manca nulla. Anzi. C’è qualcosa in più.
“E questo cosa l’è?”
Lo solleva in alto e alla luce della pila l’intero braccio della Beata Dorotea si mostra ligneo e opaco in tutto il suo splendore.
“Si vede che la teca cadendo ha fatto leva. Giovannone, ma ti rendi conto? Ce l’abbiamo fatta! Ce l’abbiamo fatta!”
Giovannone guarda incredulo l’artiglio d’ebano. “Maremma bucaiola, Brodo. S’ha la mano della Beata. No. S’ha tutto
il braccio!”
“Oh Giovannone, siamo intesi. Per il braccio intero, si chiede trentamila!”
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