www.arcipelagomilano.org edizione stampabile
Transcript
www.arcipelagomilano.org edizione stampabile
www.arcipelagomilano.org numero 35 anno VII 14 ottobre 2015 ISSN 2421-6909 edizione stampabile www.arcipelagomilano.org DOPO EXPO: TRAGICO COME LA TORRE DI BABELE? Luca Beltrami Gadola La “Lettera aperta” che abbiamo pubblicato la settimana scorsa e che in molti stanno ancora sottoscrivendo, spero otterrà risposte alle tante domande. Alcuni motivati rifiuti a sottoscrivere sono pure giunti, chi per ruolo ricoperto nelle pubbliche istituzioni chiamate in causa, chi per dissenso, ma anche commenti all’iniziativa. Ne diamo conto con gli articoli di Giorgio Goggi e Damiano Di Simine e con la lettera di Roberto Biscardini. Vorrei a quelle domande aggiungerne una che non mi pare irrilevante: siamo sicuri di capirci parlando del futuro delle aree di Expo (ma non soltanto di questo)? Mi piacerebbe veder scendere in campo, per darci una mano, gli esperti di semantica che dottamente registrassero, se ci riescono, i significati che diamo alla stessa parola, assegnandole una sorta di hashtag distintivo per ogni significato (almeno per i principali). Lasciamo da parte le parole più diffuse e bistrattate come democrazia (uno dei tormentoni preferiti dell’ultimo Berlusconi), libertà, destra, sinistra e così almanaccando, perché sarebbe un lavoro improbo. Gli esperti di semantica ci farebbero un favore se cominciassero da quelle che stiamo usando nel dibattito sul “dopoexpo”: ricerca, innovazione, progresso, compatibilità, visione, condivisione, partecipazione, campus … . Operazione semantica non solo utile ma indispensabile perché la politica ormai si fa per slogan e scavalcando i comunicati ufficiali con i tweet, spesso comodi nella loro sintetica ambiguità: da chiosare, da interpretare e da smentire secondo il comodo, tanto ognuno usa le parole a modo suo. Tornando alle nostre beneamate aree e al loro destino, io penso che la fase degli slogan comunque debba finire che si debba arrivare presto alla fase delle idee (appunto comprensibili), alla fase delle decisioni, a quella dei programmi, a quella dei tempi, a quella che le comprende tutte: l’assunzione di responsabilità. Emerge prepotente dal dibattito sulla stampa e dalle reazioni alla nostra “Lettera aperta” un interrogativo: chi deve decidere? Anche qui dovremmo chiarirci le idee: chi deve proporre? Chi deve decidere? E chi decide nell’interesse di chi deve prendere le decisioni? È esemplare da questo punto di vista la lettera che pubblichiamo qui accanto e che abbiamo ricevuto dal consigliere comunale nonché presidente della Commissione urbanistica Roberto Biscardini: “L’unico interlocutore cui spetti dire per competenza la sua sul dopo Expo, non ex post ma ex ante, è il Consiglio Comunale …”. Dunque il Consiglio Comunale dovrebbe prendere decisioni che riguardano in parole povere forse uno degli episodi più significativi nel mondo della ricerca? Dovrebbe decidere su una parte dei destini italiani in tema di economia della conoscenza? Ne dubito. Non solo ne dubito ma mi domando: chi avrebbe in Consiglio il coraggio di stendere una “Proposta di delibera di iniziativa consigliare” sul destino di queste aree? Quanto tempo ci vorrebbe per discuterla? Quale sarebbe l’atteggiamento della maggioranza che non sembra così compatta? Forse se ognuno dei livelli istituzionali chiarisse, il che è più facile e meno divisivo, quali ricadute sarebbero auspicabili per il Paese e i cittadini in relazione alle specifiche competenze territoriali di ognuno, faremmo un passo avanti. Si avrebbe un panorama utile a tutti. Sarebbe comunque meglio non seguire la vecchia strada di aspettare le decisioni altrui e mettersi di traverso per ostacolare quelle che si ritengono dannose o tropo poco utili per i pro- pri amministrati, la classica scelta al ribasso. Il problema del “decisore” è dunque aperto e, di conseguenza, quello dell’attuatore. Credo che debba essere ovvio che il caso “aree Expo” è un banco di prova per tutti: classe politica, classe dirigente, i cosiddetti oggi poco amati intellettuali, la classe imprenditoriale, il mondo dell’università e della ricerca, i cittadini e le loro organizzazioni e per finire i media. Una scommessa di civiltà. Mission impossibile? E Babele che c’azzecca? Tra me e me vedendo la vicenda ”dopoexpo” mi vien da pensare alla torre di Babele e alla confusione dei linguaggi, perché è uno dei versetti della Bibbia (1) che si presta a molte interpretazioni ma che parla di certo della difficoltà di fare se non ci si capisce. Cosa vogliamo dire? Un vecchio problema. (1) «Tutta la terra aveva una sola lingua e le stesse parole. Emigrando dall'oriente gli uomini capitarono in una pianura nel paese di Sennaar e vi si stabilirono. Si dissero l'un l'altro: "Venite, facciamoci mattoni e cociamoli al fuoco". Il mattone servì loro da pietra e il bitume da cemento. Poi dissero: "Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo e facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la terra". Ma il Signore scese a vedere la città e la torre che gli uomini stavano costruendo. Il Signore disse: "Ecco, essi sono un solo popolo e hanno tutti una lingua sola; questo è l'inizio della loro opera e ora quanto avranno in progetto di fare non sarà loro impossibile. Scendiamo dunque e confondiamo la loro lingua, perché non comprendano più l'uno la lingua dell'altro". Il Signore li disperse di là su tutta la terra ed essi cessarono di costruire la città. Per questo la si chiamò Babele, perché là il Signore confuse la lingua di tutta la terra e di là il Signore li disperse su tutta la terra. » (Gen. 11, 1-9) EXPO VERSO POST-EXPO: QUALI LEZIONI PER IL FUTURO? Luciano Pilotti I molti contributi analitici sbocciati negli ultimi mesi e settimane su Expo- Post-Expo e tra questi anche quello del Commissario Expo sulle pagine del Corriere della Sera assieme a tanti altri chiariscono abbastanza bene una delle traiettorie portanti sulle quali indirizzare gli impatti di Expo nei prossimi mesi e n.35 VII 14 ottobre 2015 ISSN 2421-6909 anni e come trasferirne gli effetti positivi nel medio - lungo termine: la promozione del turismo in chiave di sviluppo delle relazioni internazionali derivate dal-l’evento e del suo mix tra buon livello di servizio, cultura, paesaggio e gusto dell’Italian life style che sono stati enfatizzati nelle aspettative degli utenti, assegnando continuità nelle capacità di attrarre e - soprattutto trattenere - gli utilizzatori effettivi e potenziali (consumatori, investitori, imprese, istituzioni). Un Grande evento deve innanzitutto essere un mezzo (di sviluppo, di benessere, di qualità del contesto, di consapevolezza dei fattori di forza e debolezza) e non un fine, co- 2 www.arcipelagomilano.org gliendo “prima” cosa e come verrà trasferita la sua eredità “dopo” e disegnandola proprio con questa scansione temporale. I tanti failures di non poche precedenti manifestazioni universali sono derivati da questo punto. Una prospettiva che può aiutarci a capire e scegliere la strada migliore per il dopo che ora sembra delinearsi all’oriz-zonte con la decisione del Governo di fare la sua parte in un progetto che è di scala europea, non solo milanese o lombarda. Ma si può e si deve allargare lo sguardo indagando proprio quelle aspettative che l’evento a tutta evidenza, nonostante le (spesso improprie) critiche iniziali - ha sospinto e alle quali ha saputo dare risposte concrete per affidabilità del servizio, continuità e livello di prestazione. Uno degli epifenomeni, le code, apparentemente interminabili, e tuttavia sempre ordinate e ben canalizzate, vanno lette come una domanda crescente del rilievo dell’Italian Life Style nel mondo da una parte e, dall’altra, anche e forse soprattutto come espressione di una forte domanda di partecipazione certo non “al ristorante globale” - come detto incautamente - ma quale segnale inequivocabile di volere contribuire al “cambiamento del mondo”. Un cambiamento che parte dalla più antica tecnologia della vita che è il cibo con le filiere produttive derivate dell’alimentazione e dell’a-gro - industria (della ristorazione come del turismo ovviamente), così come della ricerca e innovazione che queste piattaforme di produzione e consumo (sempre più integrate e ben sintetizzate dalle figure dei prosumer) trascinano inevitabilmente. Quindi il tema “Feeding the Planet Energy for Life” si è rivelato ben focalizzato e del tutto coerente con la nostra storia passata recente e (probabilmente) futura, anche perché capace di intercettare le grandi sfide planetarie: climate change, fame, scarsità dell’acqua, diseguaglianze, education, accessibilità alle risorse. È dunque, potremmo dire, l’avanguardia “normale” di un “popolo planetario” a essere stata presente a Expo per cambiare il mondo a partire dai giovani e dalle donne innanzitutto nella responsabilità e sostenibilità della ricerca di un nuovo rapporto tra uomo e natura, tra cultura e tecnologia, tra paesaggio e urbanesimo, tra territori e infrastrutture, tra manuale e intellettuale da consegnare alle nuove generazioni. Accoppiamenti che ‘800 e ‘900 avevano cercato inesorabilmente di separare e che oggi vanno invece ricomposte e sui quali si sono addensati molti insegnamenti e lasciti di questa Esposizione Universale così diversa da quelle originarie del 1750 e del 1851, entrambe a Londra a “mostrare” i “salti” delle prime due rivoluzioni industriali relativamente a prodotti e tecnologie idrauliche e meccaniche, perché pone al centro le relazioni tra persone e culture, l’ambiente nel quale vivono e la conoscenza utile per migliorare la convivenza “sostenibile e responsabile” dell’umanità intera. Infatti sono almeno altre tre le dimensioni che vanno rilette per cogliere appieno l’impatto di Expo sulle capacità attrattive e che riguardano gli utenti primari (i loro comportamenti), le imprese (le loro forme e traiettorie di crescita e di internazionalizzazione) e le istituzioni (nazionali e internazionali) e per potere dare continuità ai diversi (micro e macro) insegnamenti (che illustrano le nostre forze e anche le nostre debolezze) che - ora che ci avviamo alla sua conclusione - ne possiamo derivare assieme a quelli già ricordati dai molti osservatori per delinearne con più compiutezza gli effetti eco-sistemici ai quali dobbiamo dare indirizzo rinforzando ciò che Expo 2015 ha seminato. Le culture di consumo sono forse quelle più enfatizzate dall’evento richiamando a comportamenti sobri e responsabili e soprattutto solidali nell’uso/accesso delle/alle risorse e che si possono sintetizzare nel “consumare meno per consumare meglio” e in questo modo “vivere meglio” nel rispetto degli altri e dell’am-biente nel quale siamo inseriti e con il quale interagiamo e dal quale apprendiamo, ripresi opportunamente nel protocollo disegnato dalla Carta di Milano. Un consumo attento non spreca, perché lo spreco del cibo è soprattutto distruzione di lavoro, di risorse e di tempo oltre che di saperi e di varietà degli stessi. L’Esposizione Universale di Milano ci ha stimolato in questo a una continua curiosità verso l’altro e alle fonti della vita e in questo coltivando la varietà (di prodotti, colture e culture, di processi moderni e pratiche antiche di produzione e consumo come di canali distributivi) e che vuole fare incontrare una globalizzazione dei sapori con quella dei saperi perché nulla venga spento, magari facendo dialogare i contadini africani e McDo- nald, le donne sudamericane e la Nestlè, Ferrero e i produttori di olio. Expo come ponte ambizioso tra global e no-global, tra Carlin Petrini e la Coca Cola. Tutto ciò richiede la disponibilità alla fruizione di convivialità, di mercati che diventano dunque “conversazioni” che “superano” un individualismo autointeressato per aprirsi a una relazione con l’altro e con la comunità di riferimento che è sempre più locale e globale insieme. Una comunità ben simulata da Expo in Città e le decine di migliaia di eventi che hanno coinvolto e partecipato un’intelligenza planetaria in forme collaborative anche inaspettate, creative, con migliaia di piccole e grandi invenzioni sperimentate dal cibo all’elettronica, dalla sicurezza alla casa fino alla cultura e all’arte e che forse troveranno diffusione nei prossimi mesi e anni ma che già nella sharing econmy o nel coworking trovano spinte e realizzazioni di interesse dove Milano sta facendo da apripista. Abbiamo imparato ad agire come comunità aperte e permeabili all’innovazione e al cambiamento nella varietà delle interdipendenze tra proposte globali e locali nel “superamento” di consumi e produzione di massa di un paese che può competere se saprà sviluppare la “personalizzazione di massa” (mass customization) essendo la palestra di piccola e media imprenditorialità più ampia e creativa del mondo. L’Italian Life Style così come il Made in Italy guardano proprio a un consumo personalizzato di massa veicolato da migliaia di PMI che - in connessione complementare con medie e grandi imprese - oggi domandano infrastrutture adeguate (banda larga, scuola, formazione, mobilità, accesso a risorse finanziarie) e che tuttavia oggi richiedono approcci di filiera per la porosità intersettoriale emergente che lega prodotti ai servizi e ai processi che li generano in specifici contesti: dal cibo all’agroi-ndustria alla ristorazione, dalla robotica alla meccanica strumentale, dalla chimica alla farmaceutica fino alla nutriceutica. Filiere che agiscono dentro precisi contesti territoriali che fanno la qualità dei loro prodotti finali se quel territorio è attrattivo e accogliente, tollerante cioè se diventa capitale sociale, come dicono Giacomo Becattini e Richard Florida. (continua) *ArExpo SpA e Università di Milano n.35 VII 14 ottobre 2015 ISSN 2421-6909 3 www.arcipelagomilano.org IL TRAMONTO DI PISAPIA Walter Marossi Tempo addietro Pisapia voleva fare il ponte: “Serve un nuovo soggetto di sinistra che riesca a governare con il Pd. Io vorrei avere un ruolo di ponte per fare tornare al dialogo persone che non si parlano ma che possono governare insieme, rinunciando a strappi e insulti. La sinistra ha mancato la rotazione di incarichi che è fondamentale per la vitalità. Spero che il futuro leader non sia uno dei soliti nomi, ma qualcuno che finora è rimasto dietro le quinte.». L’esperimento milanese, secondo Pisapia, dimostrava come si potessero unire le varie anime della sinistra, a Roma ormai lontane. In pratica prospettava per sé il ruolo di facitore di un centrosinistra nel quale Arancioni, Sel e movimenti vari dialogavano da pari con il Pd, con l'ipotesi di esportare il modello Milano in giro per la penisola e forse a Roma. Un’opzione alternativa a quella renziana che preso atto dei numeri parlamentari, governa con Alfano e Verdini e non disdegna i patti con Berlusconi. Oggi però Pisapia non riesce neppure a indicare un suo successore nonostante questa indicazione sia l'unica concreta possibilità di dare continuità politica al lavoro di questa giunta e nonostante gli sia stato richiesto con inusuale umiltà e generosità dal Presidente del consiglio (visto anche l'esperienza non felicissima del candidato sostenuto da Pisapia per la Regione) e da tutti gli attori milanesi del centrosinistra. L'indicazione in corner della Balzani eccellente esperta di bilanci, assessora silenziosa e affascinante ma senza alcuna popolarità né cittadina né politica e comunque di molto inferiore a quella di Fiano o Majorino, sembra più che altro un espediente per non fare scena muta, e più che un ponte sembra una passerella di salvataggio. Neanche il mantra delle primarie appare sincerissimo, visto che per farle basterebbe fissare delle regole, compito non proprio complicatissimo, invece ci mettono mesi per dare mandato a 11 volonterosi di scrivere una Carta dei valori di cui nessuno se ne cale; diciamo che Pisapia e con lui buona parte del centro sinistra spera che le primarie spaventino e allontanino Sala, il vero rappresentante del partito della nazione, che più che in continuità con Pisapia è in continuità con la Moratti che lo volle in Comune e in- n.35 VII 14 ottobre 2015 ISSN 2421-6909 sieme con altri fedelissimi (meno commendevoli) in Expo. Strumento anti Sala forse efficace, le primarie sono però anche uno strumento pro Fiano e Majorino, due che misteriosamente risultano essere indigesti manco c'avessero la rogna. Perché un declino così rapido? Semplicemente perché nel momento in cui ha rinunciato a ricandidarsi Pisapia ha rinunciato alla leadership che aveva ricevuto dalle primarie prima e dal voto popolare poi e che aveva ben esercitato nei primi anni del suo mandato. Non ricandidarsi è come annunciare le dimissioni, è lasciarsi risucchiare nel gioco dei partiti, dei partitini, delle correnti, dei candidati, è condannare al massacro i fedelissimi arancioni (giustamente i più delusi dalla rinuncia definita schettiniana), è lasciare campo libero all'omologazione tra politica nazionale e locale, è in poche parole disertare. Anche in termini di popolarità ne ha sofferto, che come diceva mia madre: “Chi non mi vuole non mi merita”. Il sindaco si è adeguato a quella sentenza latina che dice “Meglio dover sopportare il proprio erede che doversene cercare uno” e ha cercato di rinviare sine die il chiarimento con Renzi. Suo legittimo diritto quello di riposare ma come diceva il re nano “in casa Savoia si regna uno per volta” e decisa l'abdicazione Pisapia se voleva fare il king maker doveva accelerare tempi e modalità dell’investitura dando prova dello stesso decisionismo dei tempi del ghigliottinamento di Boeri, invece ha tentennato troppo a lungo. Nel centro sinistra con tipica ipocrisia politically correct (pianto d'erede è mascherato riso diceva Seneca), ci si nasconde dietro la valorizzazione dei programmi e del ruolo delle primarie, per nascondere una banale verità: scomparso Pisapia scompare quel modello di proposta politica. Ricordate i 50.000 in piazza con Vendola e Camusso? Il manifesto “Grazie Milano si cambia davvero”? Il titolo dell'Unità “finalmente” e del Manifesto: “Che sballo”? Ne rimane solo il ricordo. L'entusiasmo del 2011 è evaporato in nostalgia e oggi Vendola e Camusso sono tra i principali avversari del governo Renzi. Ricorderemo Pisapia con affetto per aver rinverdito la speranza di un socialismo municipale, per aver dimostrato che si può vincere partendo dalle idee di sinistra, per aver ridato vita a una Milano da bere (vedasi le folle sui Navigli) nel senso positivo del motto: è stato un bravo amministratore e un modesto politico. É stata la sua una giunta di ottimi e onesti gestori verrebbe da dire albertinianamente condominiali, di seri normalizzatori delle stupidaggini morattiane, di coraggiosi affrontatori di emergenze, di rigorosi realizzatori dei progetti ereditati, una giunta che ha migliorato la qualità della vita dei milanesi (sia lode in primis a Maran), di low profile per creatività e inventiva: una giunta long seller, un’amministrazione rosa-grigio. Penso che a Pisapia toccherà il destino di Caldara: archiviata la sua opzione strategico politica non si ricandidò alla carica di sindaco ma fu utilizzato dal suo successore in pectore per la campagna elettorale e poi pensionato in ruoli minori. Comunque sia con tipico spirito meneghino pagato il tributo al merito passato, si volta pagina. I primi a prenderne atto sono stati Majorino e Fiano che certo non hanno aspettato l'imprimatur del sindaco; poi la De Cesaris che quando ha capito che dal sindaco non sarebbe uscita la sua indicazione ha tolto il disturbo; poi da Rifondazione Comunista che ha salutato le primarie di coalizione premettendo che loro la coalizione con Renzi non la vogliono fare, generando entusiasmo tra quei renziani che ben sostituirebbe Rizzo con Colucci; dal viperino Civati: lo "schema Pisapia non esiste più" questo perché "c’è chi ha scelto la governabilità a scapito della rappresentanza... In giunta erano quasi tutti renziani, più o meno dichiarati … .Il sindaco di Milano non è una figura minore: non può non avere un’opinione sulle cose che accadono a Roma, discuterle e influenzarle. L’idea che Milano faccia altro è molto pericolosa e parecchio ipocrita” e altri verranno. Con Pisapia appassisce anche il progetto Arancione originario, quello della somma di diversi: dai circoli movimentisti agli ottimati borghesi dai riformisti socialdemocratici ai libertari radicali; sbaglierò ma il nuovo civismo mi pare essere l'apripista del partito della nazione di cui aspira a essere l'ala sinistra. Appassisce l'epoca del rito ambrosiano, delle giunte anomale rispetto al quadro nazionale: il candidato o sarà renziano o lo diverrà. Appassisce l'idea di primarie come strumento 4 www.arcipelagomilano.org palingenetico (come diceva il programma ufficiale: “La scelta delle primarie nasce dall’esigenza di rilegittimare la politica e questo mette in discussione il ruolo dei partiti. La loro riforma è senza dubbio necessaria ma passa attraverso la consa- pevolezza della loro parzialità, della crescita di esperienze politiche in altra forma, con altre modalità“). Appassisce l'idea che da Palazzo Marino si possa costruire un modello nuovo di partecipazione popolare. Se fosse andato meno alla Scala e più ai concerti forse il sindaco avrebbe ricordato i Nirvana: “meglio bruciare che appassire” e adottato una strategia diversa. Comunque grazie. DOPO L'EXPO, C'E' UNA CITTÀ? Damiano Di Simine La decisione sul post-Expo si dibatte in un conflitto di difficile composizione. Da un lato c'è l'urgenza, perché un'area così attrezzata lasciata in stand-by ha i giorni contati: mantenerla presidiata durante e dopo lo smontaggio è inevitabile se non si vuole compromettere il mantenimento in efficienza delle infrastrutture tecnologiche ed evitare l'innesco di una spirale di degrado ma ha anche un costo alla lunga insostenibile. Occorre fare in fretta anche perché le risorse finanziarie per localizzare un polo universitario, ancorché disponibili, non possono certo aspettare a lungo. Ma occorre allo stesso tempo governare l'effetto domino che uno spostamento in blocco del campus di Lambrate determinerebbe sul quartiere universitario: non dimentichiamo che solo due anni fa la Regione Lombardia ha deciso di localizzare Città della Salute nelle aree ex - Falck di Sesto, per trasferirvi gli istituti di ricerca e cura di Città Studi, ove si lamentava l'indisponibilità di spazi per i necessari ampliamenti. Come si giustificherà ora l'enorme investimento richiesto, se contestualmente il campus storico si avvia alla dismissione? Occorre affrontare una vera e propria voragine di programmazione territoriale. Insieme all'urgenza c'è però la necessità di non prendere decisioni affrettate, considerando che il destino dell'area ha a che fare con il progetto di città metropolitana, per il quale la piastra Expo costituisce piattaforma di atterraggio di funzioni strategiche. La discesa in campo del Governo è un segnale importante a una condizione: che sia ferma e chiara la volontà di localizzare un intervento di rilevanza nazionale, e quindi sussista la disponibilità a iniettare risorse finalizzate ad esempio a insediare un polo tecnologico che ambisca a costituire un’eccellenza del Paese, possibilmente in continuità con il tema di Expo. Se così fosse, la metropoli milanese ha di sicuro le carte in regola per ospitarlo e accudirne lo sviluppo e l'accreditamento internazionale. L'idea di localizzare un mix di funzioni, dal campus universitario al polo di ricerca, alle agenzie pubbliche, alla residenza sociale, all'economia sociale, è intrigante ma presuppone una regia, un disegno ed anche un discernimento non scontati, per evitare che alla fine nel mix confluiscano funzioni “di risulta” o di semplice riorganizzazione dell'esistente. La piastra Expo infatti non è un'isola felice, ma un’enclave entro un quadrante periferico la cui problematicità, occultata durante il periodo di Expo, è destinata a pesare sugli utilizzi successivi. Lungo il perimetro esterno del sito sono presenti un carcere, industrie ad alto rischio di incidente rilevante, una cava contenente centinaia di migliaia di tonnellate di rifiuti tossici smaltiti illegalmente per decenni, un'illeggibile concentrazione di capannoni industriali, il quartiere Stephenson, ovvero uno dei più estesi non-luoghi nel perimetro urbano milanese, il vasto ambito di trasformazione di Cascina Merlata dalle sorti incerte, un impressionante e ridondante groviglio di grandi infrastrutture di mobilità. Punto di forza è l'eccellente accessibilità dalla rete del trasporto pubblico ferroviario, migliorabile con una fermata di rinforzo del passante sul lato orientale. Ma nonostante ciò la patologia da perifericità, aggravata dalle condizioni al contorno, resta in agguato. Vi è poi da ricordare la giusta ipoteca dei referendum civici: un’ampia consultazione dei cittadini ha infatti inequivocabilmente stabilito la necessità che il post-Expo lasci in eredità un'area verde di vaste proporzioni, un parco: nei primi masterplan circolati il verde non manca, ma appare distribuito generosamente a colmare, in modo più o meno vero- simile, gli interstizi compresi tra i futuri volumi: non emerge il disegno di un vero parco. L'auspicio è quello di un progetto che risulti abilitante per un percorso di rigenerazione, urbana e territoriale, che non sia circoscritto al perimetro della piastra Expo ma si riverberi sull'intorno metropolitano: diversamente occorrerebbe pensare a un campus dotato di recinzioni invalicabili e vigilanza permanente, una specie di caserma tecnologica, l'unica configurazione che consenta di convivere con le funzioni al contorno. Al contrario, il progetto deve essere un progetto aperto, che non escluda la società ed anzi sia inclusivo di Cascina Triulza come asset strategico per l'attivazione e la manutenzione di funzioni comunitarie; della configurazione espositiva deve conservare la dimensione di quartiere privo di auto entro cui praticare schemi, costumi e innovazioni di mobilità leggera e logistica intelligente, riducendo così anche la necessità di superfici lastricate a favore di spazi pubblici permeabili; le funzioni del polo tecnologico devono integrarsi in un insediamento che sviluppi nel modo più efficace i temi dell'efficienza ecologica, non solo in termini di prestazioni energetiche, ma anche per quanto riguarda, ad esempio, gli aspetti di gestione e trattamento delle acque, di resilienza e adattamento climatico, di permeabilità e connessione ecosistemica. Insomma un ecoquartiere ma, tassativamente, non esclusivo, bensì una vera e propria piattaforma urbana aperta, che agisca da catalizzatore per il rinnovamento della metropoli circostante: è quanto Legambiente aveva proposto già ai tempi della prima candidatura, con la consapevolezza che dall'evento non potesse sortire un satellite di Milano, ma una nuova e completa centralità metropolitana. MILANO TRASFORMAZIONI E INCLUSIONE SOCIALE: AGENDA AL FUTURO Silvia Bartellini, Adriana Nannicini, Paolo Oddi n.35 VII 14 ottobre 2015 ISSN 2421-6909 5 www.arcipelagomilano.org “La Milano di domani tra scenari in trasformazione e inclusione sociale”. Questo il workshop che insieme abbiamo pensato e proposto a Peer Milano, la maratona politica del 5/6 ottobre all’ex Ansaldo, con lo scopo di mettere in rete idee e proposte verso la Milano del 2016, progettato a partire da una domanda centrale per noi e per la sinistra: Come coniugare, a livello locale, sviluppo sociale ed economico con l’inclusione sociale? Quali politiche pubbliche saranno capaci di investire sulle persone, desideri e risorse, al contempo capaci di combattere l’esclusione sociale? E di dare invece pari dignità e accesso alle risorse che la città è in grado di sviluppare? Nasce da qui l’idea di mettere al centro del workshop la visione della Milano dei prossimi anni. Chi saranno gli abitanti del futuro? Chi abiterà Milano? E intorno a questa domanda interrogare alcuni dei punti di vista di chi Milano la studia, la abita, la vive, e considerando importante collocare questo confronto nella prospettiva di un protagonismo della sinistra verso le elezioni dell’anno prossimo. Sono stati coinvolti il sociologo Alessandro Rosina: “Gli abitanti del futuro”, la ricercatrice Carlotta Cossutta: “Amare e costruire relazioni”, il giornalista ed ecologista Paolo Hutter: “Le nuove pratiche ecologiche di condivisione per un nuovo benessere sociale”. L’urbanista e presidente di Consiglio di Zona 6 Gabriele Rabaiotti: “Abitare e governare la città, tra spazi pubblici e spazi privati” e Cosimo Palazzo dello staff dell’Assessorato alle politiche sociali e della salute del Comune di Milano. Quindi non solo punti di vista differenti ma altrettante differenze di generazioni, di appartenenza al tessuto sociale o a varie collocazioni nel governo e nell’amministrazione, e soprattutto diversità di competenze e saperi. Siamo rimasti sorpresi anche noi, come chi ascoltava e chi parlava, del dispiegarsi di un evidente filo rosso tra temi, dati, interrogativi, azioni e orizzonti politici espressi. La domanda di partenza per tutti era centrata sulle trasformazioni della città con al centro gli abitanti, non dunque solo cittadini elettori, a cui rivolgere prima i nostri sguardi e in futuro le politiche. L’incipit arriva da Alessandro Rosina: “Milano tra 10 anni sarà più povera e con maggiori disuguaglianze, a meno che non riusciamo a gestire dei cambiamenti già in n.35 VII 14 ottobre 2015 ISSN 2421-6909 corso, perché se li subiamo e ci difendiamo non ne cogliamo le opportunità”. E dunque alcuni i dati indicativi che ci hanno aiutato a immaginare la Milano di domani. Invecchiamento: la popolazione è maggiormente anziana già adesso, infatti ben il 25% è over 65 anni, e solo il 20% ha meno di 25 anni. Diventa sempre più necessario distinguere tra anziani con risorse e gli over 85 non autosufficienti. E ancora l’aumento dell’immigrazione a Milano, il doppio della media nazionale, il 35% dei nati che sono di madre straniera. In aumento il numero di immigrati che si stabilizza, si è superata la fase emergenziale, bisogna passare a un modello d’integrazione. Infine le trasformazioni familiari: più del 50% è single e il dato è in costante aumento, aumenta la monogenitorialità e il rischio dunque di povertà soprattutto quella infantile. Attenzione a quei “processi corrosivi” che colpiscono chi subisce eventi negativi (si pensi all’effetto “a catena” di alcune separazioni), attenzione ai giovani NEET – Not in Education, Employment or Training (forte crescita relativa a Milano), che ancora parlano del difficile percorso di transizione alla vita adulta (il tasso di occupazione giovanile 25/34anni - in città è 29% nel 2008, del 18% nel 2014!). Rosina ci ha poi raccontato delle risorse di questa città. “La grande opportunità della popolazione studentesca, abitanti e non cittadini, non elettori, non stanziali eppure fascia consistente e rilevante”. Questa l’immagine che appare: una città non statica ma fatta di flussi e veloci cambiamenti. Dal punto di vista sociale, sono in molti a concordare che una delle sfide maggiori sarà proprio rappresentata dai modelli di convivenza che sapremo sviluppare e sostenere nelle città europee mete dei progetti migratori epocali. Carlotta Cossutta ha portato da subito lo sguardo di chi riflette sui processi sociali a partire dal viverli. Giovani abitanti milanesi che vogliono vedere riconosciuti e legittimate le forme di legame affettivo che è sempre più spesso abitativo e che non sono, né vogliono essere, famiglie. "Condividere le case e la mancanza di reddito con gli amici, il lato oscuro della sharing economy”. Legami e relazioni non visti che non trovano accesso nel rapporto con le istituzioni cittadine. In una fase storica di contrazione dei redditi per i giovani è necessario “immaginare spazi fruibili senza spendere e con- sumare, dal bar al coworking!” Con queste parole Carlotta Cossutta ci ricorda che “privato” e “pubblico” non sono due termini necessariamente sovrapponibili. Paolo Hutter sottolinea con grande convinzione che “La nuova politica del benessere si deve basare sulla riduzione degli sprechi e sulle pratiche di condivisione, in particolare quelle ecologiche. Basta auto private, ciclabilità per tutti, le lavatrici siano di condominio, ogni casa il suo orto, scambio e recupero del cibo eccedente, risparmio energetico, "cool-sharing" (condivisione del raffrescamento), riciclo totale dei rifiuti. L'ecologia da radical chic a sociale. Ogni candidato firmi un suo codice ecologico con i progressi previsti nei prossimi mesi e anni”. Appare abbastanza evidente che anche il modo di concepire lo sviluppo delle attività economiche in un contesto cittadino sia in grado di influenzare la dimensione culturale delle relazioni e la costruzione dei legami sociali. Molto interessante il punto di vista di Gabriele Rabaiotti, il quale ha premesso “come passaggio necessario per il prossimo mandato sia quello di non sottovalutare l’azione che la macchina amministrativa produce (o non produce) autonomamente, a prescindere dalle forze che governano. Non basta avere buone idee e buoni principi affinché si sviluppino buone azioni e buoni progetti. Per il futuro dobbiamo anche prestare attenzione a quella che si configura come una deriva in atto da tempo: la città si è chiusa, lo spazio privato è diventato spazio “egoisticamente difeso”, lo spazio pubblico diritto il cui utilizzo sembra essere riservato a chi vi risiede. Sono evidenti le forze che spingono nella direzione di una città fatta di quartieri dormitorio provinciali, dove sicuramente è facile prendere sonno ma dove altrettanto certamente l’energia urbana si riduce fino a spegnersi. E sono proprio i luoghi in cui il pubblico e privato si incontrano a diventare spie e paradigmi di questa deriva e del suo probabile esito. Abbiamo avuto esperienza di immissioni di azione pubblica in quartieri popolari già molto provati (Lorenteggio - Giambellino, Martinelli) dove le persone hanno reagito mostrando capacità di ascolto e accoglienza e un livello di tolleranza non prevedibile e, per contro, reazioni molto dure e difensive in contesti di maggior agio economico, culturale e sociale (Darsena e area Navigli, Via Tortona e Via Solari). 6 www.arcipelagomilano.org La città ha bisogno di trovare spazi e occasioni per parlare e dare voce a un “pubblico” che non si risolve nella sola popolazione che risiede. La pluralità degli abitanti, la loro diversità e molteplicità, costituisce la sfida per lo spazio di domani che o è pubblico (e perciò stesso inclusivo) o non è spazio urbano. Anche su questo competiamo e competeremo con le altre città d’Europa e del mondo e a questa sfida non possiamo rispondere chiudendoci noi stessi e anestetizzando le strade, le piazze, gli spazi della collettività”. Cosimo Palazzo introduce il punto di vista del governo delle politiche di welfare. Parlare di welfare (cioè “benessere”) significa parlare innanzitutto della cultura con cui costruiamo l’idea di città. Tutt’altro che una politica residuale ma anzi il cuore della proposta di valore su cui costruire convivenze e appartenenze. Il nostro (ma non solo) welfare da anni e anni affonda le proprie radici in quella che viene definita “libertà di scelta” che presuppone l’idea che al centro del nostro vivere, vi sia il singolo individuo e non la dimensione collettiva delle relazioni umane (vengono in mente le famose parole dell’allora Primo Ministro inglese Margaret Thatcher "La vera società non esiste: esistono gli individui” 1987), quindi singoli individui espressioni di singoli bisogni a cui dar risposta attraverso singole prestazioni sociali, costruite su meccanismi burocratici e amministrativi a cui si aggiunge “una forte frammen- tazione delle responsabilità (Stato, Regione, Provincia, Comune, Asl), delle funzioni, delle fonti di finanziamento e delle unità di offerta”. Cosimo Palazzo è chiaro: “Dobbiamo continuare nella strada intrapresa e passare da un welfare individuale a uno comunitario. Anche a Milano, nel tempo, si sono sviluppati servizi che, paradossalmente, tendono a favorire la frammentazione anziché promuovere la ricomposizione sociale, ad escludere più che a includere, a istituzionalizzare (implicitamente) barriere di separazione tra chi accede ai servizi del “pubblico” e chi no. Meccanismi di selezione e logiche di gestione dei servizi definiscono nei fatti, in modo spesso implicito, chi beneficia degli interventi e chi ne viene lasciato fuori: una “città dei servizi” contrapposta “alla città di tutti” e ancora “Garantire servizi gratuiti a chi altrimenti non potrebbe permetterseli, sia chiaro, deve continuare a essere responsabilità del “pubblico” ma oggi, a fronte di situazioni in cui i bisogni sociali delle persone non coincidono necessariamente con un disagio di tipo economico si pone la necessità – ineludibile – di intervenire in molti ambiti tradizionalmente lasciati sullo sfondo. Detto altrimenti, il welfare deve imparare a guardare alla società nel suo complesso, a tutte le “sofferenze urbane” e infine “dobbiamo continuare a considerare le politiche di welfare come strumento per il benessere dei cittadini e come occasione di sviluppo inclusivo dell’in- tera comunità. Un welfare, quindi, che sia per e “di tutti”. Qual è oggi la sintesi di questa esperienza che è anche un piccolo tentativo di immaginare i prossimi 10 anni caratterizzati da una sempre maggior sintonia (e dialogo) tra abitanti e governo? L’incrocio tra letture differenti costruiscono un focus che non è solo la sempre evocata “visione della città” ma la condivisione di un’analisi e una lettura partecipata sia da chi la città la studia sia da chi la governa sia da chi la abita. Questo incrocio comprende e non separa il governo delle politiche cittadine e ne evidenzia la richiesta di superare le tradizionali ripartizioni di assessorati, quasi fotocopia di letture anch’esse tradizionali e non più attuali della città. Non una politica settoriale ma un approccio che proponga interventi rivolti all’intera popolazione di un dato territorio, affinché sia il territorio stesso a essere luogo di produzione del benessere di tutti. Superarla con un disegno coraggioso, radicato nella realtà e non nelle ideologie (amministrativiste comprese!) che governi il territorio? A proposito di sguardi sulla città, può il lavoro promosso da Peer Milano può diventare l’inizio di un percorso che metta insieme i tanti e frammentati punti di vista della sinistra? Ce ne sarebbe davvero un gran bisogno! DOPO EXPO: FARE BENE PRIMA CHE FARE PRESTO Giorgio Goggi Mi ha stupito il coro delle sollecitazioni a “fare presto” nel decidere sui progetti del dopo Expo e a individuare da subito un “commissario” per sveltire il tutto, dando per scontato che i progetti già ci siano e vadano bene. Se, come dice Giuseppe Sala, “bisogna sapere chi comanda”, il commissario interverrà nella fase dell’attuazione. Per la fase della scelta, invece, si sa già chi comanda: le istituzioni democratiche, i consigli comunali e quelli metropolitano e regionale. La scelta non può essere spostata in altra sede senza vulnus all’ordinamento democratico. Quanto al fare presto, è meglio meditare la scelta ponderatamente: l’urbanizzazione di un milione di metri quadri è opera di tale rilevanza da modificare non poco l’assetto dell’intera città. Anche le proposte formulate vanno valutate con atten- n.35 VII 14 ottobre 2015 ISSN 2421-6909 zione, non per rifiutarle, ma per renderle fattibili ed evitare che comportino costi e disagi ai cittadini, nonché ingenti oneri a carico del bilancio dello Stato e degli Enti locali. Accenno solo brevemente all’aspetto finanziario del problema: alla Statale mancano 160 milioni di Euro, la Cassa Depositi e Prestiti non comprende nei suoi conti i 295 milioni del valore nominale dell’area. Non sono propriamente bruscolini, se ne farà carico lo Stato? Più importante è considerare gli aspetti urbanistici critici. Ne citerò sommariamente alcuni, rilevanti sul piano pratico. La Cassa depositi e Prestiti intende trasferire a Expo tutti gli uffici statali presenti a Milano. Assolombarda intende insediare aziende tecnologiche su 20 ettari. L’Università Statale vuole trasferire nell’area tutte le facoltà scientifiche ad eccezione di medicina. Cosa ne sarà dell’assetto urbanistico di Città Studi, che già verrà colpita dal trasferimento a Sesto del suo sistema ospedaliero, Besta e Istituto dei Tumori; chi si prenderà carico del suo futuro assetto urbanistico? L’area Expo è giudicata molto accessibile, perché è collegata a passante e M1 al suo accesso Ovest, ma non è facile l’accesso alle sue parti interne e, cosa di non poco conto per i milanesi, si trova fuori dall’area di tariffa urbana dell’ATM. Con il territorio circostante i collegamenti stradali sono ridottissimi, quelli di trasporto pubblico inesistenti e gli accessi alla grande rete stradale complicati. I parcheggi sono tutti remoti. L’ampio spazio esclusivamente pedonale all’interno va benissimo per un’esposizione, dove si trascorre 7 www.arcipelagomilano.org tutta la giornata, ma non per spostamenti di lavoro e studio. Le lunghezze dei percorsi per raggiungere dagli accessi l’incrocio tra cardo e decumano (Piazza Italia) sono le seguenti: 1.495 m dai tram 12-19, 1.560 m dalla stazione del passante, 1.986 m dalla M1. Non si tratta quindi di distanze pedonali (si considera normalmente distanza pedonale per un persona media quella di 250 m, per un anziano può essere assai minore). Dovremo dire ad uno studente che va a lezione o ad un anziano che va a sbrigare una pratica all’Agenzia delle Entrate che deve percorre a piedi un chilometro e mezzo o anche due? Nessun progetto finora considera il costo dei necessari trasporti pubblici; vedremo anche che non si può parlare solo di navette. Infatti, la Statale vuole trasferire 18.000 studenti e 2.500 addetti, gli Uffici statali trasferiranno qualche migliaio di addetti, oltre al pubblico che vi accederà. Studenti e addetti arriveranno e partiranno tutti nelle ore di punta. Considerato il volume degli spostamenti, un servizio di trasporto pubblico dovrebbe avere la capacità di 10.000 pax/h/direzione, come un metrò leggero. Per di più, come è caratteristico delle funzioni previste, la massa si muoverà prevalente- mente al mattino in un senso, in senso contrario alla sera, ne risulta un modello d’esercizio squilibrato e deficitario, se privo di una mobilità diffusa che lo riequilibri nelle morbide. L’eventuale apertura della stazione FS di Stephenson migliorerebbe la situazione, ma non la risolverebbe del tutto. La nuova stazione, peraltro, necessita ancora di studi di fattibilità e di non interferenza con l’esercizio del passante e, successivamente, di quattro anni per la realizzazione; inoltre richiederebbe circa 900 m di percorso pedonale per giungere al decumano e circa 1,5 chilometri per Piazza Italia. Le funzioni finora ipotizzate, inoltre, lascerebbero l’area del tutto deserta alla sera. I 600 abitanti previsti nei 30.000 mq di edilizia sociale si troverebbero totalmente isolati in un’area di cento ettari (confinata perché circondata da ogni parte da autostrade e ferrovie). Avranno seri problemi di sicurezza ed i costi per mantenerla saranno ingenti. L’impianto urbano, poi, non potrà essere ricalcato sugli isolati espositivi lunghi 300 m con una sola strada interna longitudinale, altrimenti questo non diventerà mai un pezzo di città, non sarà il motore urbano del “quadrante Nord-Ovest”, ma resterà sempre un’esposizione. Faccio queste osservazioni non per rigettare i progetti di Assolombarda, Statale e Agenzia del Demanio, ma perché va trovata una ragionevole mediazione tra le esigenze dei progetti insediativi e le caratteristiche urbane dell’area e del territorio circostante, che renda questi progetti fattibili. Una scelta sbagliata costerà molto cara a tutti noi. Una maggiore quantità di laboratori di ricerca ed una minore di spazi didattici e di sportelli per il pubblico mitigherebbe i problemi di trasporto. Un campus residenziale li migliorerebbe ulteriormente. La realizzazione di linee di trasporto che attraversassero l’area mettendola in rete con i comuni vicini aiuterebbe molto. Un più vasto mix di funzioni sarebbe necessario. L’insediamento di attività serali (anche a carattere ludico, sportivo o di intrattenimento) contribuirebbe alla sicurezza. Per trovare questa ragionevole mediazione occorre però calma, ponderazione, dibattito aperto e inquadramento delle azioni nell’assetto complessivo della città di Milano ed in quella metropolitana. E il potere di scelta saldamente nelle mani delle istituzioni milanesi e lombarde. ONU E AGENDA 2030: STARTING FROM GIRLS Simona Seravesi Si prevede un boom demografico in Africa entro il 2050 con una crescita della popolazione fino a oltre 2 miliardi di persone, di cui un’ampia parte costituita da adolescenti e giovani donne. In generale, l'intera popolazione degli adolescenti è destinata ad aumentare e tra il 2010 e il 2030 ci sarà una crescita di questo gruppo demografico da 1.2 a 1.3 miliardi. Si tratta di una fetta consistente di popolazione e se non vogliamo un futuro di povertà e ai limiti della sopravvivenza per la maggior parte di loro, dobbiamo agire adesso, attraverso scelte politiche forti e condivise. Di conseguenza mai come oggi è necessario investire sulle ragazze, soprattutto nell’Africa SubSahariana. Questo è stato il punto di partenza della riflessione lanciata a Milano ad Expo lo scorso 3 luglio, dal titolo Starting from Girls: they are the source to trigger a change!, promossa da Save the Children in collaborazione con la piattaforma WE Women for Expo. Il momento è stato importante per promuovere una riflessione attenta su questo tema a n.35 VII 14 ottobre 2015 ISSN 2421-6909 livello internazionale. Il tema del diritto universale al cibo non può infatti prescindere da un’attenzione speciale alle ragazze che sono il vero motore del cambiamento, spesso proprio nel settore della nutrizione. Ma perché proprio le ragazze? Facciamo un passo indietro. La maggior parte delle adolescenti in Africa Sub-Sahariana di età compresa tra i 14 e i 19 anni vive nelle zone rurali e sostiene con il lavoro nei campi e quello domestico intere famiglie e comunità. Il loro é un lavoro non remunerato e non riconosciuto, eppure fondamentale per combattere la malnutrizione dei loro figli e delle loro famiglie. I dati ci dicono che oltre il 70% della produzione agricola proviene dal lavoro delle donne che costituiscono il 43% della forza lavoro agricola. Nonostante il ruolo chiave nell'agricoltura, le ragazze rimangono 'invisibili' senza accesso alla terra, alle sementi e all'educazione ma sopratutto senza la possibilità di decidere del proprio futuro. Esse sono anche vittime di matrimoni e gravidanze precoci che le portano ad abbandonare la scuola. In molti paesi in via di sviluppo appena il 60% delle ragazze completa il ciclo di istruzione primaria e solo il 30% accede alla scuola secondaria. Alla dispersione scolastica si aggiunge la violenza perpetrata negli ambienti domestici e scolastici. La mancanza di attenzione e sopratutto di politiche adeguate in favore di queste giovani donne, il cosiddetto “girl gap” non solo ha effetti devastanti sulle vite di queste donne ma è anche tra le cause principali di una bassa produzione di cibo, di scarsi guadagni e di alti livelli di malnutrizione. Si stima che assicurando alle ragazze e alle donne le stesse risorse degli uomini, il numero di bambini e persone malnutrite diminuirebbe di 100-150 milioni. È anche dimostrato che a un aumento del 10% dei tassi di iscrizione delle adolescenti alla scuola secondaria, corrisponde una riduzione di circa 350.000 morti infantili ogni anno e di circa 15.000 morti materne. Inoltre, una adolescente istruita impiegherà il 90% dei suoi successivi guadagni 8 www.arcipelagomilano.org a favore della famiglia mentre un ragazzo ne utilizzerà solo il 35%. È quindi cruciale investire sulle adolescenti e metterle al centro dell’“agenda dello sviluppo” mondiale perché sono loro la leva del cambiamento globale e il vero antidoto alla malnutrizione e mortalità infantile. Queste giovani donne devono avere maggiori tutele e diritti a partire dall’età adolescenziale e anche nell’ottica di future mamme. Questo processo richiede un cambiamento profondo del paradigma dello sviluppo, così come un sostegno allo sviluppo di quadri normativi, di politiche e di investimenti che garantiscano alle adolescenti pari diritti e accesso alle risorse. Bisogna mettere in campo politiche e iniziative più appropriate per dare visibilità a questa fetta di popolazione. L'intera comunità internazionale a partire dalla nuova agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile lanciata a New York a settembre, deve impegnarsi per dare l'opportunità a queste giovani donne di costruire il proprio futuro. C'è la necessità di tradurre gli impegni presi in atti concreti favorendo maggiori investimenti nel campo dell'educazione e nell'accesso all'imprenditoria, ai crediti finanziari e alla terra. In questo contesto diversi attori sono chiamati a partecipare tra cui i rappresentati di Governi, delle Nazioni Unite, della Società Civile e del settore privato. Durante la fase preparatoria all'Agenda 2030, il governo italiano ha rinnovato il suo impegno a sostenere politiche per la parità di genere, il cui obiettivo specifico deve essere trasformativo, in grado, cioè, di affrontare le cause strutturali delle disuguaglianze fra uomini e donne. In questo scenario e sull'onda delle dichiarazioni recenti del Presidente del Consiglio sull'aumento dell'aiuto pubblico allo sviluppo, si auspica che una particolare attenzione venga data a questo tema. Ci auguriamo che il nostro paese possa fare la sua parte nel contenere il Girl Gap e in tempi stretti visto che di tempo ne abbiamo poco. *International Policy & Advocacy Advisor Save the Children QUARTO CAGNINO LA COESIONE CHE VINCE Francesco Floris Per fondare una nazione ci vuole una bandiera. A Quarto Cagnino, nella periferia ovest di Milano, si sono portati avanti con il lavoro e ne hanno creata una lunghissima, realizzata con cinquanta tovaglie cucite insieme, su cui ogni famiglia ha disegnato il proprio simbolo. Lo stendardo ha sfilato per il chilometro e mezzo di via fratelli Zoia in due occasioni – l’ultima a fine settembre, durante la seconda edizione della ‘‘Festa in Borgo’’ - la festa di quartiere assieme alle cascine, alla banda jazz ‘‘Figli di Pulcinella’’ e agli inquilini dei caseggiati popolari. Festa e parata sono state finanziate col crowdfunding. Una nazione, o comunque un borgo indipendente, ha bisogno anche della propria spina dorsale: cioè di un’economia. E allora a Quarto Cagnino si raccoglie il riso (l’area è per tradizione dedita alla risicoltura), lo si stipa in alcuni silos nelle scuole e lo si ridistribuisce durante l’inverno alle famiglie meno abbienti. Il terzo pilastro di una nazione è la legge, da far rispettare in un luogo in cui non sempre è questa l’abitudine. E allora c’è una donna di nome Mara, che ha stilato un breve e chiaro codice penale sui generis, per gli adolescenti dei caseggiati di via Fleming – strada nota alle cronache, sopratutto nere, della città. Queste leggi orali non coincidono con quelle scritte nei codici utilizzati dalle procure della Repubblica italiana, ma per alcuni dei ragazzi che abitano qui è il miglior modo per non fare dentro-fuori dall’Istituto Beccaria – il carcere minorile di via Calchi Taeggi, che si trova poco distante. Ovviamente, nessuno pensa di dichiarare davvero l’indipendenza del quartiere, perché, anche se è stata creata una bandiera, nessuno ha ancora pensato a un esercito (che è la quarta e ultima condizione per la nascita di una nazione). Si tratta invece di riflettere sul fatto che la periferia, ormai, si consideri sempre più un luogo a sé, come a una cittadella dentro la città, e provveda da sola ai bisogni degli abitanti, troppo spesso sono abbandonati a loro stessi. È iniziato tutto nel 2013, quando un collettivo di artisti, architetti e designer, con passate esperienze internazionali nella riqualificazione di aree degradate – dalla Transilvania, negli ex quartieri operai anni ’70 del regime di Ceausescu, fino agli arsenali militari abbandonati di Taranto – ha fondato un’impresa sociale di nome Mare Culturale Urbano. È registrata alla Camera di Commercio e ha lo scopo di fare a Milano quello che è stato tentato con successo in altre città europee: per esempio a Madrid, con il recupero del Matadero, l’ex mattatoio chiuso nel 1996 dove oggi esiste un enorme centro artistico e culturale. Non è nemmeno un sogno da fricchettoni, o almeno non è questo ciò che pensa l’Università Bocconi, che ha addirittura studiato questo fenomeno di sostenibilità e riconversione urbana, all’interno del proprio master in Management delle Imprese Sociali, Non Profit e Cooperative. ... Per continuare a leggere l'articolo su LINKIESTA clicca qui. A MILANO PER DISCUTERE DI PROSTITUZIONE E TRATTA Donatella Martini Prostituzione e tratta sono fenomeni complessi che devono essere attentamente studiati prima di poter essere compresi, tenendo ben presente gli interessi economici miliardari superiori addirittura ai proventi della droga - delle grandi organizzazioni del crimine organizzato. L’industria globale del sesso comprende prosti- n.35 VII 14 ottobre 2015 ISSN 2421-6909 tuzione, pornografia e pedo-pornografia, turismo sessuale. Stiamo parlando di gestori e proprietari di locali-bordello di ogni specie, proprietari di agenzie di escort, intermediari, reclutatori e veri e propri magnaccia, trafficanti, funzionari vari corrotti, clienti potenti che usano le donne come merce di scambio ecc. Lo descrive molto be- ne la messicana Lydia Cacho, giornalista, scrittrice e attivista per i diritti delle donne e i bambini, nel suo libro inchiesta in giro per il mondo. E mentre intellettuali, femministe, liberi pensatori, politici, donne nella prostituzione e fuoriuscite dibattono sulle proposte di legge, le organizzazioni malavitose difendono i propri interessi organizzando la più 9 www.arcipelagomilano.org grande campagna mondiale di normalizzazione - banalizzazione della prostituzione. Addirittura utilizzando argomenti del femminismo e dei diritti umani per raccogliere consensi. Cinquantasette anni fa nel nostro paese venne approvata la legge Merlin, le case chiuse vennero vietate, lo sfruttamento punito, anche se la prostituzione non divenne reato. Da allora è calato il silenzio su questo tema nonostante negli anni novanta in Europa la discussione si sia riaccesa e altri paesi stiano sperimentando modelli contrapposti. Germania e Olanda hanno scelto la legalizzazione, Svezia, Norvegia, Islanda e più recentemente Francia hanno scelto di punire i clienti in quanto considerano la prostituzione una forma di violenza nei confronti delle donne. Nel primo caso, Germania e Olanda non hanno risolto il problema della tratta né intaccato il business degli sfruttatori, in quanto sono le organizzazioni criminali a fornire la manodopera anche per la prostituzione legalizzata. Nel secondo caso, la legge svedese ha avuto effetti sostanzialmente positivi e la prostituzione di strada è notevolmente diminuita. Ha inoltre contribuito al cambiamento culturale: nel 1999 la maggioranza dell’opi nione pubblica svedese era contraria alla legge, oggi il 70% della popolazione è favorevole. Sulla linea del modello nordico è la Risoluzione del Parlamento Europeo su “Sfruttamento sessuale e prostituzione e sulle loro conseguenze per la parità di genere” approvata nel 2014, la cosiddetta Risoluzione Honeyball. “Se vogliamo vivere in un’Europa dove le donne hanno eguali diritti, dobbiamo lavorare per eliminare la prostituzione e creare una cultura in cui non sia permesso o accettabile acquistare il corpo di qualcun altro”, così sostiene la eurodeputata inglese Mary Honeyball. Lo scorso agosto Amnesty International, durante il 32° International Council Meeting, ha invece votato per la depenalizzazione della prostituzione e dell’acquisto di prestazioni sessuali, scegliendo di dare priorità al diritto dell’esercizio della prostituzione delle sex workers. Contro la decisione di Amnesty si sono schierate anche Meryl Streep, Kate Winslet, Carey Mulligan, Lena Durham e altre ancora e hanno sottoscritto il testo della Coalizione Contro la Tratta delle Donne (Coalition Against Trafficking in Women), che sostiene che la prostituzione è di per sé causa e conseguenza della diseguaglianza di genere nonché l’esercizio del potere degli uomini sulle donne. In Italia nel biennio 2013-2015 in Parlamento sono stati depositati ben 16 progetti di legge, la Lega sta raccogliendo le firme per abrogare la legge Merlin, in Consiglio Comunale a Milano è stata depositata una mozione sullo zoning che è stata già approvata in Consiglio di Zona 2, a Roma lo zoning è stato proposto al IX Municipio mentre a Venezia si sta sperimentando dal 1999. È tempo quindi che l’opinione pubblica e la nostra classe politica riprendano a discutere e per questo motivo l'associazione DonneinQuota ha organizzato il convegno “Prostituzione e tratta in Italia e in Europa: proposte e modelli a confronto” (il 19 ottobre alla Casa della Cultura di Milano dalle 9.30 alle 17.30) La costituzionalista Marilisa D’Amico analizzerà criticamente la legge Merlin, Suor Claudia Biondi della Caritas ci farà capire come prostituzione e tratta siano due facce della stessa medaglia, Maria Costa della CGIL ci parlerà delle molestie sessuali sul lavoro, la psicologa Elvira Reale ci racconterà della servitù sessuale. Diana de Marchi presenterà il dibattito con la Consigliera delegata alle Pari Opportunità della Città Metropolitana di Milano, Rosaria Iardino, promotrice di un emendamento contrario allo zoning, e il consigliere radicale di Zona 2 Yuri Guaiana, autore di una mozione pro - zoning che stata votata in Zona 2. La sessione pomeridiana verrà introdotta da Tiziana Scalco della CGIL di Milano e ascolteremo la posizione europea con l’intervento dell’eurodeputata Mary Honeyball, a seguire Francesca Russo di Amnesty International e l’Avvocata Siusi Casaccia della sezione italiana della Lobby Europea delle Donne. Il dibattito politico è affidato alla moderazione del giornalista Rinaldo Gianola, al tavolo si confronteranno: Giovanna Martelli (delegata alle Pari Opportunità del Presidente del Consiglio), i Senatori del PD Pina Maturani e Sergio Lo Giudice (firmatari di due ddl), Vera Lamonica (Segretaria nazionale CGIL), Pietro Romani, (Sindaco di Rho e Consigliere al Bilancio della Città Metropolitana) e Stefania Cantatore (UDI, Unione Donne in Italia). Come premessa, c’è l’assoluta necessità di scardinare gli stereotipi sulla sessualità: il mestiere più vecchio del mondo è in realtà la discriminazione più antica del mondo. Nella società moderna la prostituzione non può più essere considerata un istituto necessario al buon funzionamento della nostra comunità, che ha come obiettivo la parità di genere. Le donne non possono né vogliono essere considerate oggetti. Come disse Martin Luther King, we have a dream ..., noi sogniamo una società paritaria, dove la prostituzione e la violenza contro le donne non esistono più. *Donne in Quota “PROSTITUZIONE E TRATTA IN ITALIA E IN EUROPA: PROPOSTE E MODELLI A CONFRONTO” 19 OTTOBRE 2015 9.30 – 17.00 Casa della Cultura Via Borgogna 3 Milano ECCO MILANO: LA CAPITALE DEL VOLONTARIATO Giovanni Agnesi Vista la notevole presenza nella nostra città di ben 3.500 enti non profit nei quali operano 109.000 volontari (dati dell’Assessorato alla Sicurezza, protezione Civile e Volontariato, e del CSV - Centro Servizi del Volontariato di Milano), possiamo affermare con tutta umiltà che Milano è la capitale del volontariato. Su queste pagine ho trattato in diverse occasioni sull’esigenza di valorizza- n.35 VII 14 ottobre 2015 ISSN 2421-6909 re l’esperienza del volontariato e del Terzo Settore inserendolo in un contesto più ampio, quale quello di un rinnovato Stato Sociale capace di offrire efficaci servizi a fronte di un costante impoverimento di risorse economiche. Finalmente dopo mesi di consultazioni e discussioni giovedì 9 Aprile è stato approvato in prima lettura la delega per la riforma del Terzo Set- tore, dell’impresa sociale e per la disciplina del servizio civile universale. Il testo passerà alla Camera e successivamente al Senato per il voto definitivo, dopo di che spetterà al Governo scrivere i decreti attuativi. Un passaggio questo che, secondo me, è passato purtroppo, quasi inosservato, ma di un’importanza estrema per il nostro Welfare che rischia sempre più di trasfor- 10 www.arcipelagomilano.org marsi da universalistico a selettivo. Alcuni esperti calcolano che già oggi la spesa privata per l’assistenza non coperta dalla finanza pubblica ha raggiunto i 175 miliardi. Tenterò qui di seguito segnalare alcune attuali situazioni critiche relative al Terzo Settore da perfezionare, e alcune importanti proposte inserite nel disegno di legge delega. A tutt’oggi il Terzo Settore esprime quell’insieme di enti privati (organizzazioni di volontariato, associazioni di promozione sociale, fondazioni, organizzazioni non governative, società di mutuo soccorso, ONLUS, cooperative sociali e imprese sociali) che perseguono finalità civiche e solidaristiche. Esse operano senza scopo di lucro (infatti hanno l’obbligo di reinvestire tutti gli utili, o meglio avanzi economici, nelle loro attività istituzionali) nei settori legati alle attività di assistenza sociale e sanitaria, nella promozione culturale, sportiva e religiosa, nell’istruzione e ricerca, nella cooperazione internazionale, nell’ambiente e sviluppo economico/sociale. Le istituzioni del Terzo Settore contano (dati ISTAT del 2013) sul contributo lavorativo di oltre 5 milioni di volontari, 800 mila dipendenti, 300 mila lavoratoti esterni e 6.000 lavoratori temporanei, un tessuto produttivo che rappresenta un notevole valore etico ed economico da tutelare e agevolare. Una ricchezza di esperienza solidale e di cittadinanza, unita a un costante impegno economico che deve essere definiti- vamente inserito a pieno titolo nel sistema economico/sociale del Paese unitamente al Primo Settore (lo Stato) e al Secondo Settore (il mercato). All’interno del Terzo Settore si trovano anche le imprese sociali e le cooperative sociali, le quali perseguono le finalità civiche e solidaristiche esclusivamente e prevalentemente attraverso l’attività di impresa tramite la vendita di beni e servizi di pubblico impiego, rispettando sempre i vincoli del non profit (non distribuzione degli utili). Purtroppo lo svilupparsi delle cooperative sociali in questi ultimi anni senza una precisa normativa, per una malintesa sussidiarietà, è stata la forma attraverso cui si sono esternalizzati troppi servizi pubblici con bandi al massimo ribasso, peggiorandone a volte le prestazioni. O peggio ancora con affidamenti diretti (senza bando) che hanno causato in alcuni casi quelle distorsioni e corruzioni che le recenti inchieste hanno messo in luce, e che rischiano di gettare un’ombra su realtà che nella stragrande maggioranza dei casi operano con estremo senso di altruismo e generosità. Tornando al testo della riforma del Terzo Settore in sintesi si prevedono: l’istituzione di un Registro unico del Terzo Settore; un Consiglio permanente degli Enti con attività di vigilanza, indirizzo e monitoraggio; incentivi e sgravi fiscali per gli Enti non profit (cioè per quanti si finanziano tramite donazioni, lasciti, offerte, ecc.); un perfezionamento del 5 per mille; una profonda rivisitazione e sviluppo del Servizio Civile universale; una revisione dell’impresa sociale finalizzata a rendere le loro attività più attrattive da parte degli investitori di capitale e per poter accedere ai Fondi Europei a esse destinati. In parole povere per le imprese sociali si propone un forte coinvolgimento di imprenditori sociali, amministrazioni locali, investitori e strumenti finanziari oltre a tutti i cittadini a investire capitali nelle imprese sociali, al fine di sostenere e sviluppare la loro attività di realizzazione e vendita di beni e servizi di pubblico impiego, partecipando in compenso a una parziale distribuzione degli utili, investendone però la maggior parte per migliorare le attività istituzionali dell’impresa. Il presidente di Ciessevi, Ivan Nissoli, sottolinea che: “La riforma è approdata al Senato sommersa da ben 700 emendamenti, da parte nostra continueremo a prestare attenzione agli sviluppi che vi saranno, attraverso il percorso di elaborazione e di confronto che abbiamo attivato insieme al Forum Terzo Settore Lombardia, al Forum Terzo Settore Città di Milano e CSVnet Lombardia, proprio in merito alla Riforma”! È questo un invito a informarsi responsabilmente ed è un’importante chiamata alla responsabilità di ognuno di noi per realizzare un miglior Welfare universalistico. MUSICA questa rubrica è a cura di Paolo Viola [email protected] Fabio Vacchi e Michele Serra Vorrei tornare sul tema “musica contemporanea” da me praticamente riscoperta dopo anni di disinteresse - lo confesso - solo la settimana scorsa all’Auditorium ascoltando il melologo "Sull’acqua (sotto di noi il diluvio)” di Fabio Vacchi, diretto da Claire Gibault e recitato da Lella Costa, con un meraviglioso testo appositamente scritto da Michele Serra. L’ho annunciato nell’ultima rubrica con queste parole: “… l’inebriante sensazione di assistere alla nascita di una musica che resterà nella storia, e che fino a un’ora prima non esisteva, potrà sembrare banale ma è stata davvero potente …”. Ci torno perché ap- n.35 VII 14 ottobre 2015 ISSN 2421-6909 partengo a quella folta schiera di musicofili che ignorano la musica leggera, non sono attratti dalla musica cosiddetta etnica, sono stati molto presi in gioventù dalla musica contemporanea - incantati da John Cage, da Luigi Nono, da Stockhausen, dalla musica elettronica - dalla quale si sono brutalmente staccati quando è nato il sospetto che “si cercava, si cercava, ma non si trovava nulla”. Ricordo il pensiero perverso che indirizzavo ai compositori contemporanei: lavorate, cercate, sperimentate, e quando finalmente avrete risolto il problema del linguaggio, trovato il bandolo della matassa, e soprattutto scritto un capo- lavoro, mandateci un segnale e ne riparleremo. Ma forse non era un pensiero così perverso se l’altra sera, ascoltando Vacchi, ho provato e non ero il solo - la sensazione di ascoltare finalmente un linguaggio nuovo, comprensibile e affabile, e l’emozione di trovarmi faccia a faccia con un’opera che sembra aver già trovato posto nella storia della musica. In una delle sue belle interviste ai compositori contemporanei (nel volume “Note d’autore” edito da Postmedia books, 2013) Ricciarda Belgiojoso rivolge a Vacchi questa domanda: “E che linguaggi devono usare i compositori per essere a- 11 www.arcipelagomilano.org scoltati con semplicità e senza pretese?” La risposta di Vacchi è esemplare: “Non usare trucchi! Andare direttamente a un’espressione chiara, onesta, semplice ma non semplicistica. È pericolosissimo confondere la semplicità con il semplicismo perché sono due cose antitetiche”. E poco prima, a una domanda sui suoi precedenti rapporti con l’avanguardia rispondeva “Mi sembrava, timidamente, che scrivere una musica non destinata all’ascolto fosse un’operazione insensata. Tutt’al più utile per la filosofia, per la storia del pensiero interpretativo del mondo ma che rischiava di uccidere la musica dopo averne aperto i confini e le aspettative. Un paradosso”. Raramente, quando si legge di musica, si trovano parole così concrete e aderenti alla realtà (sappiamo tutti quanto fumosi e ambigui siano i nostri esegeti e critici musicali); Vacchi non solo usa parole chiare ma poi scrive anche musica coerente con quelle parole. Non è poco. Nel volume “Il mio Liszt” (Bompiani, 2011) Michele Campanella descrive il melologo come “una composizione musicale che commenta un brano di letteratura, quale può essere un poema, un racconto, una poesia in cui la voce recitante e il pianoforte (o, come nel nostro caso, l’orchestra) procedono insieme oppure separatamente, senza alcuna regola predisposta a priori”. Che non vi siano regole lo si dimostra mettendo a confronto due celebri melologhi diversissimi fra loro come l’Enoch Arden di Richard Strauss per voce e pianoforte (che lo stesso Campanella eseguì con Glauco Mauri alla Scala vent’anni fa) e il grandioso Façade di William Walton per voce e orchestra su testo di Edith Sitwell (un’opera spiritosa, ironica, amabile, sorridente, una vera delizia molto difficile da eseguire e dunque da ascoltare) di cui esiste un indimenticabile vinile di almeno quarant’anni fa. La storia del melologo è molto più lunga di quanto non si creda, ha le sue origini nel Settecento, Mozart dice in una sua lettera che gli piacerebbe scriverne uno (lo chiama in realtà “duodrama” ma poi non lo scrive perché in lui il canto prende sempre il sopravvento sul recitato), è stato praticato da Beethoven, Mendelssohn, Schumann, Liszt (famoso il suo Der traurige Mönch, Il monaco triste) fino a Schönberg e ai contemporanei; questo di Fabio Vacchi non ha nulla da invidiare ai precedenti, anzi mi sembra che finalmente trovi la corda giusta, ne elevi la dignità fino a farlo diventare un’opera importante e completa, non solo per la complessità della scrittura musicale, l’accuratezza dell’orchestrazione, l’uso frequente e incisivo degli strumenti solisti (in particolare il violoncello, cui affida un intrigante incipit), ma anche per la particolare aderenza al testo di Serra. Il quale testo, peraltro, è a sua volta straordinariamente complesso e sorprendente per la sua attualità e per la sua ricca articolazione. Serra, partendo dalla crisi economica, dall’angoscia della disoccupazione, dallo spaesamento per lo svuotamento delle grandi fabbriche, “sente” - e la musica l’aiuta - la falda innalzarsi sotto la città perché l’industria si è fermata, e immagina già l’acqua zampillare dalle crepe dell’asfalto; e ricorda come la città sia costruita sull’acqua come su un grande lago e come di essa, da sempre, la città viva. Poco a poco si capisce che sta parlando di Milano, dell’area della Falk di Sesto San Giovanni, e tutto prende la piega un po’ giornalistica e un po’ filosofica – anche un po’ moraleggiante – cui siamo da anni abituati leggendo la sua “L’amaca” su Repubblica; alla fine, quando spiega che possiamo salvarci o soccombere in funzione del comportamento che decideremo di assumere verso l’acqua e la terra, il testo prende il respiro di un grandioso Corale e la musica, che ricorda i grandi Oratori classici, diventa sublime. Non è la prima volta che Vacchi e Serra lavorano insieme: La madre del mostro (il mostro è un ragazzo fanatico “ultra” del calcio) è una loro opera andata in scena al Teatro dei Rozzi di Siena nel 2007. Dopo questo gustosissimo assaggio sarebbe forse opportuno che qualcuno ce la facesse vedere qui a Milano. ARTE questa rubrica è a cura di Benedetta Marchesi [email protected] Nuove occasioni per riscoprire le Case Museo di Milano Le quattro case museo di Milano, Museo Bagatti Valsecchi, Casa Boschi Di Stefano, Villa Necchi Campiglio, Museo Poldi Pezzoli, lanciano una nuova sfida ai giovanissimi milanesi, e non. Ambrogio, un vecchio corniciaio con le toppe sul camice, ha trovato una misteriosa mappa sul retro di una tela di un quadro. L’enigma risulta difficilmente interpretabile dal momento che mancano molte parole: il compito dei ‘piccoli enigmisti’ sarà, dunque, quello di cercare le parole chiave mancanti visitando le quattro sedi museali. Chi risolverà il cruciverba e troverà la parola chiave relativa a ciascuna casa museo riceverà in regalo una cornice magnetica che riproduce quella di un quadro pre- n.35 VII 14 ottobre 2015 ISSN 2421-6909 sente nelle collezioni, mentre per chi completerà il percorso risolvendo tutti e quattro i cruciverba è previsto un ulteriore premio: una chiave magnetica che riproduce il logo delle Case Museo. Il gioco è una delle proposte per FAMU 2015, domenica 4 ottobre (Giornata delle famiglie al Museo) e sarà disponibile fino al 10 gennaio con la ‘CasaMuseoCard’ al prezzo speciale di 10 euro per ciascun genitore, i bambini hanno diritto all'ingresso gratuito nelle quattro Case Museo e alla mappa omaggio per ciascuna visita. La CasaMuseoCard dà diritto all’ingresso in ciascuna delle case museo nell’arco di 12 mesi. Il progetto è reso possibile grazie non solo alla collaborazione virtuosa tra le quattro casa museo, ma anche al sostegno della Fondazione Cologni dei Mestieri d'Arte, ma anche al lavoro dei giovani studenti dell’Accademia di Brera che si sono occupati dello storytelling e della realizzazione del cruciverba. I cruciverba non sono banali, e ci vuole davvero grande attenzione per risolverli … anche per i genitori. Ma si tratta di un’ottima occasione per tornare (o andare per la prima volta) in visita a quattro luoghi che rappresentano una delle tante essenze dalle milanesità. Il circuito nasce con l’intento di far conoscere e promuovere il patrimonio culturale e artistico milanese, nel 12 www.arcipelagomilano.org corso di quasi due secoli di storia, attraverso alcuni dei suoi protagonisti: i nobili Gian Giacomo Poldi Pezzoli e i fratelli Fausto e Giuseppe Bagatti Valsecchi nell’Ottocento, i coniugi Boschi di Stefano e gli industriali Necchi Campiglio nel Nove- cento. Le quattro case museo, tutte situate nel centro di Milano, sono accomunate dalla generosità dei loro fondatori, che hanno messo a disposizione della collettività le loro abitazioni e le loro collezioni d’arte, e sono oggi luoghi di grande fasci- no. Visitarle permette di conoscere storie personali e scelte di gusto che riflettono anche l’evoluzione e la trasformazione della società cittadina. La potenza dell’acqua nelle fotografie di Edward Burtynsky Palazzo della Ragione propone Acqua Shock, una mostra dal titolo evocativo che si concentra sul lavoro del fotografo canadese Edward Burtynsky, confermando ancora una volta lo spazio di Piazza dei Mercanti come punto di riferimento cittadino di qualità per la fotografia. Inaugurata il 3 settembre, l’esposizione porta per la prima volta in Europa il lavoro di Burtynsky in una riflessione sulla maggiore risorsa naturale essenziale per la vita. La mostra rappresenta un capitolo all’interno della più ampia riflessione sulla relazione tra Uomo e Natura che la Città intera ha promosso nei sei mesi di ExpoinCittà. La mostra raccoglie 60 fotografie divise in sette capitoli - Golfo del Messico, Devastazioni, Controllo, Agricoltura, Acquacoltura, Rive, Sorgenti - dove vengono toccati alcuni degli aspetti connessi all’origine e all’utilizzo dell’acqua: dal delta dei fiumi agli spettacolari pozzi a gradini, dalle colture acquatiche alle irrigazioni a pivot centrale, dai paesaggi disidratati alle sorgenti indispensabili per la vita. È stato grazie all’osservazione dei siti e delle immagini dello stabilimento della Ge- neral Motors nella sua città natale che Burtynsky gettò le fondamenta del suo lavoro fotografico. Il suo immaginario esplora l'impatto collettivo che gli esseri umani stanno avendo sulla superficie del pianeta, il controllo imposto ai paesaggi naturali. L’acqua delle fotografie di Bur*tynsky, declinata nelle sue numerose forme, offre paesaggi di straordinaria varietà e nell’incontro con l’uomo, a volte si piega al suo volere e a volte vince sopravvalendo. Le immagini raccolte sono tanto spettacolari per colori, armonia e rigore da sembrare quasi finzioni digitali. La visita si conclude con un documentario “Where I Stand” (10 min.) prodotto dallo stesso Studio Burtynsky dove viene mostrato il processo di produzione sotteso alla realizzazione delle straordinarie immagini. Per il progetto sull’acqua Burtynsky ha fatto ampio uso di droni, elicotteri e strutture per poter guardare dall’alto i suoi soggetti e immortalarli da punti di visti privilegiati. “Burtynsky ha un dono e da trent’anni lo mette al servizio della cultura della sostenibilità. Burtynsky riesce a farci riflettere sui temi scottanti dell’ambiente con un garbo che non ha eguali. Negli occhi ha i dipinti dei paesaggisti dell’Ottocento, nell’anima un amore sconfinato per la natura, nella testa tutte le informazioni possibili, nello spirito l’indomito desiderio di migliorare il futuro dei nostri figli.” Queste le parole con le quali Enrica Viganò, curatrice della mostra, presenta l’autore, sottolineando il carattere di osservatore con occhio fotografico votato alla tradizione, ma che osserva il continuo cambiamento degli scenari e dei paesaggi che lo circondano. Edward Burtynsky. Acqua Shock fino al 1 novembre Palazzo della Ragione, piazza dei Mercanti Milano, orari: da mar a dom 9.30 -20.30 / giov e sab fino alle 22.30. La biglietteria chiude un'ora prima dell'orario di chiusura. Biglietti: 10,00/ 8,00 / 5,00 euro Foto: Pozzo a gradini n. 2 Panna Meena, Amber, Rajasthan, India 2010 © Edward Burtynsky/courtesy Admira, Milano Il Trittico di Antonello ricomposto al Bagatti Valsecchi In occasione di Expo 2015 Milano dedica una mostra a uno dei padri del Rinascimento italiano: Antonello da Messina. Con Rinascimento. Il trittico di Antonello da Messina ricomposto, curata da Antonio Natali e Tommaso Mozzati, il Museo Bagatti Valsecchi rappresenta l’unica istituzione culturale a organizzare un evento rivolto a omaggiare uno dei più alti periodi dell’arte e della cultura della nostra penisola. Presso la celebre casa museo milanese viene allestito un percorso che vede nell’opera del pittore messinese il fulcro centrale dell’esposizione, un trittico che finalmente trova la sua integrità e la manifesta orgogliosamente ai visitatori. L’opera di Antonello, smembrata nelle sue parti, vede le due tavole della Vergine col Bambino e di San Giovanni evangelista di proprietà della Galleria degli Uffizi mentre quella raffigurante San Benedetto di n.35 VII 14 ottobre 2015 ISSN 2421-6909 proprietà della Regione Lombardia. In un nuovo spazio progettato e allestito dallo studio Lissoni Associati, il Museo Bagatti Valsecchi consente di ripercorrere verticalmente la florida espressione artistica del Rinascimento attraverso altre tre opere esposte in mostra: l’Annunciata e l’Angelo annunciante di Piero della Francesca, la Madonna col Bambino e un angelo di Vincenzo Foppa, e il Cristo in Pietà di Perugino. Quattro opere che insieme consentono di attraversare idealmente l’Italia dalla Lombardia del Foppa fino alla Sicilia di Antonello da Messina, passando per la scuola umbrotoscana di Piero della Francesca e di Perugino. La casa museo contribuisce inoltre con la sua Santa Giustina di Giovanni Bellini che rappresenta in questa seda l’altra grande scuola del Rinascimento italiano, quella veneta, tracciando una linea che fa emergere quel dialogo fra artisti che da Nord a Sud si influenzavano reciprocamente in continui scambi e relazioni. Il dipinto di Bellini accoglie i visitatori nella sua consueta e originaria collocazione ed entra nel percorso di visita attraverso una didascalia realizzata appositamente per la mostra. La selezione delle opere esposte consente di affrontare un tema che si esprime in tutta la sua coerenza e che conferisce allo spazio un profondo senso religioso e un’intimità che lega l’osservatore ai dipinti. È con le tavole di Piero che si preannuncia la venuta salvifica di Cristo mentre Antonello raffigura una Vergine col Bambino trionfanti dove emergono però già i primi simboli di un sacrificio venturo con quel velo che il Bambino afferra come a voler richiamare quella sindone che avvolgerà il suo corpo dopo la morte. Lo stesso elemento compare nel 13 www.arcipelagomilano.org dipinto del Foppa dove l’atmosfera è, al contrario, più cupa contribuendo a rafforzare il legame della nascita di Cristo con la sua morte in una consapevolezza che caratterizza i volti della madre e del figlio. Conclude questo ideale percorso la tavola del Perugino con il Cristo in Pietà, manifestazione esplicita della sua crocifissione e insieme del suo sacrificio salvifico. La mostra vuole anche rappresentare un modello di collaborazione fra le varie istituzioni culturali italiane nella reciproca valorizzazione per realizzare un’offerta culturale sempre più aggiornata e viva. Il trittico tornerà ricomposto presso le Gallerie degli Uffizi per quindici anni. Il museo fiorentino concederà in cambio alla Pinacoteca del Castello Sforzesco il dipinto di Vincenzo Foppa. Si potrebbe aprire un dibattito circa l’esigenza di esporre all’interno del museo milanese una altra opera di un artista lombardo, laddove mancano esempi di altre scuole italiane, alla luce del mega evento rappresentato da Expo 2015 che dovrebbe consacrare definitivamente Milano come città internazionale e globale. Resta il fatto che il capoluogo lombardo, durante l’Esposizione Universale, offre ai cittadini una mostra gioiello, intensa, comprensibile, semplice, unica e incredibilmente preziosa. Il Museo Bagatti Valsecchi è uno scrigno in una città che deve imparare ad amarlo per valorizzare le sue enormi potenzialità. Rinascimento. Il trittico di Antonello da Messina ricomposto costituisce il significativo e importante passo per avvicinare il museo alla sua comunità e per consacrarsi come uno dei più importanti poli culturali di Milano. Giordano Conticelli Rinascimento. Il trittico di Antonello da Messina ricomposto fino al 18 ottobre 2015 Museo Bagatti Valsecchi via Gesù 4 Milano orari: martedì – domenica 13-18 giovedì 13-21 biglietto: intero 9 euro, ridotto 6 euro. Moira Ricci. Capitale Terreno Salendo le scale dello Spazio Oberdan si viene immersi in un mondo contadino tanto delicato quanto destabilizzante che grazie agli occhi dell’artista, Moira Ricci, racconta storie di una realtà (forse solo in apparenza) fuori dal tempo. La mostra “Moira Ricci. Capitale Terreno” rappresenta l’ultimo step del progetto “Dal territorio alla terra. Progetto per un museo di fotografia diffuso”, che intende anticipare la fisionomia e l’identità del Museo di Fotografia Contemporanea nella sua nuova accezione a rete. Nata nella campagna maremmana, Moira Ricci, è sempre rimasta fedele alla cultura della sua terra, studiandone le tradizioni più antiche e radicate, approfondendone i significati simbolici e costruendo storie immaginarie intorno ad essa. In Ca- pitale Terreno vengono raccolti e presentati insieme per la prima volta a Milano due grandi progetti recenti dell’artista: Da buio a buio, 2009 2015 (comprendente quattro storie: La bambina cinghiale, Il Lupo Mannaro, L’Uomo Sasso, I gemellini), e Dove il cielo è più vicino, 2014. Nel primo progetto, il ciclo Da buio a buio, alcuni personaggi appartenenti alla comunità contadina e protagonisti dei racconti popolari vengono documentati dall’artista attraverso fotografie, riprese video, registrazioni sonore che danno vita a narrazioni totalmente costruite ma assolutamente “reali” nella verosimiglianza della realizzazione. Tra bambine nate con il grugno da cinghiale e uomini che camminano nudi per i campi trascinandosi grossi massi di pietra, emerge una fanta- siosa vivacità che riporta il visitatore a un tempo di fiabe e racconti. Nel secondo progetto, Dove il cielo è più vicino che comprende grandi fotografie a colori e due videoproiezioni, l’artista racconta della terra in crisi e immagina l’abbandono dei poderi da parte dei contadini impoveriti, delusi e oppressi da sentimenti di inadeguatezza alla vita contemporanea, che trasformano un trattore in astronave per andarsene dalla terra tanto amata e raggiungere il cielo. Moira Ricci. Capitale Terreno fino al 18 ottobre - Spazio Oberdan, viale Vittorio Veneto 2, Milano Orari: martedì-venerdì 12-19.30; sabatodomenica 10-19.30. Chiuso il lunedì Allucinazioni estive e spinosauri nel parco Se in un caldo pomeriggio d’estate state passeggiando nei Giardini Pubblici, imputerete al caldo la visione dello Spinosauro a grandezza naturale che divora un pesce. O forse penserete di essere finiti nel remake di Jurassic Park. Ma non si tratta né delle alte temperature, né di un set cinematografico: si tratta invece della nuova mostra “Spinosaurus. Il gigante perduto del Cretaceo”, frutto della collaborazione tra Museo di Storia Naturale di Milano, National Geographic Society, Univer-sity of Chicago, e Geo-Model. L’esposizione rappresenta l’occasione ideale per riaprire alla cittadinanza e al pubblico il prestigioso Palazzo Dugnani, che fu nell’Ottocento la prima sede del Museo di Storia Naturale di Milano e che diventa ora n.35 VII 14 ottobre 2015 ISSN 2421-6909 sede distaccata dello stesso, dedicata alle mostre temporanee. L’allestimento milanese è una versione ampliata di quello statunitense e focalizza l’importanza del contributo italiano nella lunga vicenda degli studi su Spinosaurus: iniziata nel 1912 con i primi ritrovamenti di Ernst Stromer e bruscamente interrotta con la distruzione dei reperti durante la seconda guerra mondiale. Questa affascinate avventura è ricominciata nel 2005, con lo studio di un enorme muso di questa specie, conservato al Museo di Storia Naturale di Milano, ed è continuata nel 2008, grazie a un nuovo esemplare scoperto nel deserto del Sahara, e studiato pubblicato sulla prestigiosa rivista Science. Le “star” assolute della mostra sono il modello in grandezza naturale del dinosauro, riprodotto secondo l’aspetto “in vivo”, e la riproduzione completa dello scheletro lunga 15 metri, ottenuta attraverso la scansione dei fossili e la stampa 3D, e, per la prima volta, sono anche esposti esemplari mai visti delle collezioni del Museo di Storia Naturale di Milano, messi a disposizione dai Conservatori delle varie sezioni. A guidare il visitatore tra i siti remoti, gli esemplari fossili e le avveniristiche tecniche di studio vi sono i filmati originali degli scavi e delle ricerche nel deserto di Kem-Kem (Marocco), la storia delle scoperte precedenti, con la ricostruzione dell’ufficio del paleontologo Stromer, modelli anatomici virtuali, animazioni e un’accurata pannellistica in italiano e inglese, oltre a un servizio di iniziative didattiche mirate, rivolto alle classi di ogni ordine e grado e 14 www.arcipelagomilano.org un’offerta di visite guidate con operatori specializzati. Tra le varie iniziative nell’ultima stanza sono ospitate le tecnologie contemporanee usate dagli studiosi per ricreare modelli 3d di ossa e animali, per la gioia dei più piccoli (e dei più grandi) qua può essere ac- quistata la riproduzione del volto dello Spinosauro perché faccia compagnia nella calda estate milanese. Valeria Barilli - Benedetta Marchesi Spinosaurus. Il gigante perduto del Cretaceo Palazzo Dugnani, via Manin Milano lunedì dalle 9:30 alle 13:30* martedì, mercoledì, venerdì, sabato e domenica dalle 9:30 alle 19:30* giovedì dalle 9:30 alle 22:30* (* l'ultimo ingresso un'ora prima della chiusura) Biglietti € 10,00/€ 8,00/€ 5,00/Omaggio La Fondazione Prada e la rigenerazione culturale di Milano Il 9 maggio il sempre più vasto mosaico culturale di Milano si è arricchito di un importantissimo e preziosissimo tassello: la Fondazione Prada. La celebre stilista Miuccia Prada e il marito Patrizio Bertelli hanno regalato al capoluogo lombardo uno dei più interessanti interventi culturali visti in Italia in materia di arte, ma anche di architettura e, soprattutto, di rigenerazione urbana. Le vecchie distillerie di inizio Novecento sono state restaurate, ristrutturate, trasformate e integrate per offrire ai visitatori una superficie di 19.000 mq dove trovano posto non soltanto spazi espositivi per le varie mostre temporanee, ma anche un cinema, un’area didattica dedicata ai bambini, una biblioteca e il Bar Luce concepito dal regista Wes Anderson che si ispira ai celebri caffè meneghini e già diventato “cult” nel giro di pochi giorni. La molteplicità e la versatilità degli spazi della Fondazione consentono un’offerta culturale estremamente variegata. Sono attualmente aperte al pubblico le mostre “An Introduction”, nata da un dialogo fra Miuccia Prada e Germano Celant, “In Part” a cura di Nicholas Cullinan e le installazioni permanenti di Robert Gober e di Louise Bourgeois presso la “Haunted House”, una struttura preesistente che, rivestita di uno strato di foglia d’oro, acquista un’aura altamente immaginifica e imprime un segno forte ed evidente nel paesaggio urbano di Milano. Ma è “Serial Classic” la mostra più sorprendente: Miuccia Prada abbandona momentaneamente la passione per il contemporaneo per rivolgersi al passato, all’arte antica dove sono scolpite le origini della nostra cultura. Salvatore Settis e Anna Anguissola curano magistralmente una mostra che presenta l’ambiguo rapporto fra l’originale e la copia nell’arte greca e romana. Un allestimento geniale presenta più di sessanta opere che dialogano fra di loro e con lo spazio esterno circostante attraverso ampie vetrate. Il modello perduto, giustamente sfocato, giunge ai nostri giorni attraverso le innumerevoli imitazioni, emulazioni o interpretazioni commissionate dalla ricca aristocrazia romana. Ed ecco che il solido blocco di marmo prende vita e si circonda di un’aura di sacralità ancora oggi percettibile. Gli spazi rivisti da Rem Koolhaas e dal suo studio OMA consentono a una vecchia fabbrica di trovare nuova vita in un tempio che ospita personaggi della mitologia, guerrieri e divinità quali Venere e Apollo con opere provenienti dai più importanti musei del mondo, dai Vaticani al Louvre. La Fondazione Prada diventa oggi il modello di quella inevitabile e illuminata collaborazione che deve esserci fra pubblico e privato per il beneficio dei cittadini milanesi, italiani e di tutti i visitatori stranieri che iniziano a intravedere nel laboratorio creativo di Milano la nuova Capitale Europea. Giordano Conticelli Fondazione Prada - Largo Isarco 2 Milano (M3 Lodi T.I.B.B.) orari: tutti i giorni h10-21 biglietti: 10€ ridotto 8€ gratuito minori 18 anni e maggiori di 65 LIBRI questa rubrica è a cura di Marilena Poletti Pasero [email protected] Carlo Cottarelli La lista della spesa La verità sulla spesa pubblica italiana e come si può tagliare Feltrinelli, Milano 2015 pp.203, euro 15 Un libro breve e densissimo, semplice. Puntuale. Dove l'autore affronta con un linguaggio chiaro e quotidiano, privo di ogni riferimento al politichese e alla terminologia specialistica proprie degli autori di cose economiche, i temi essenziali del bilancio pubblico, delle voci di entrata e uscita delle amministrazioni centrali, periferiche, regionali e locali, delle possibilità di comprimere, ridurre o razionalizzare quel gigantesco fiume di oltre 800 miliardi di euro, che costituisce il complesso della spesa pubblica. n.35 VII 14 ottobre 2015 ISSN 2421-6909 Il professore cremonese narra con prosa, brillante, a volte quasi scanzonata e, comunque, sempre godibilissima, quell'anno difficile ma assai interessante di commissario straordinario per la revisione della spesa pubblica, dall'ottobre 2013 al novembre 2014. Come Cottarelli tiene a chiarire immediatamente, nel volume non ci sono scoop o rivelazioni su quello che accade nei corridoi dei ministeri romani, nelle anticamere degli assessorati regionali o nei consigli di amministrazione delle 8.000 aziende controllate dalla mano pubblica. Obiettivo primario è fare giustizia delle troppe "leggende metropolitane", con esagerazioni sia in un senso ("tutta la spesa è spreco") sia nell'altro ("se si taglia la spesa pubblica si distrugge il welfare state"). Obiettivo perfettamente riuscito, anche se perseguito con uno stile discorsivo ed elegante e senza ricorso a tavole e a grafici. Anche perché, ricorda l'autore, l'editore gli aveva precisato, "che ogni tavola dimezza le vendite!". I dati di partenza esposti nel primo capitolo costituiscono la base per tutta la restante narrazione: 1) La 15 www.arcipelagomilano.org spesa pubblica italiana, nonostante i tagli realizzati a partire dal 2010, eccede quello che ci possiamo permettere (secondo criteri internazionali universalmente accettati) di almeno il 2 e mezzo per cento del prodotto interno lordo, ovvero circa 40 miliardi. 2) Assumendo che la spesa per pensioni sia poco comprimibile, spendiamo troppo in quasi tutti i settori, con l'eccezione di cultura e istruzione. Ed infatti le proposte avanzate da Cottarelli non prevedevano tagli per questi due settori. Ma non perché non ci fosse da risparmiare anche in queste aree, ma perché, se si fosse risparmiato, si sarebbe dovuto reinvestire nelle medesime. Fra l'altro, studi condotti dal dipartimento di finanza pubblica del FMI, diretto proprio da Cottarelli fino al 2013, indicano che la spesa per l'istruzione è quella che più fa aumentare il reddito di un paese nel medio periodo. In ogni caso, ed è questa la filosofia che percorre l'intera opera, ogni governo e parlamento che si ponessero il concreto obiettivo di incidere sulla spesa, dovrebbero rispondere preliminarmente a queste cinque domande: 1) Occorre fare ogni sforzo per accentrare gli acquisti di beni e servizi? 2) La spesa pubblica deve essere utilizzata per sostenere taluni settori produttivi? 3) Si intende ridurre la spesa pensionistica ed entro quali limiti? 4) Le tariffe pubbliche debbono coprire i costi dei servizi offerti? Chi deve godere di tariffe agevolate? 5) Quali sono le aree considerate prioritarie per la spesa pubblica? Ai posteri, e soprattutto a Yoram Gutgelt, successore di Cottarelli nel delicato incarico, l'ardua sentenza!. Paolo Bonaccorsi SIPARIO questa rubrica è a cura di E. Aldrovandi e D.Muscianisi [email protected] Da non perdere - Segnalazioni d'autore Il 15 ottobre debutta ai Filodrammatici “Il compromesso”, il nuovo testo di Angela Demattè, attrice/autrice fresca della vittoria del Premio Scenario 2015, scritto apposta per i neo-diplomati dell’accademia dei Filodrammatici, che hanno l’occasione di mettersi subito alla prova con un regista del calibro di Carmelo Rifici. Al Teatro I fino al 18 ottobre “Non correre Amleto”, di Francesca Garolla, testo da poco presentato in Francia al Festival di Avignone, regia di Renzo Martinelli. All’Elfo Puccini, fino al 31 ottobre, uno degli spettacoli più belli della scorsa stagione, “Morte di un commesso viaggiatore” di Arthur Miller, con la regia di Elio De Capitani. Emanuele Aldrovandi CINEMA questa rubrica è curata da Anonimi Milanesi [email protected] Arianna di Carlo Lavagna. [Italia, 2015, 83'] con Ondina Quadri, Massimo Popolizio, Valentina Carnelutti, Corrado Sassi, Blu Yoshimi Arianna,19 anni, si sente diversa dalle sue coetanee. Non ha ancora il ciclo mestruale, ha seni acerbi e ogni giorno si applica un cerotto. Ritorna per un weekend con i genitori nella casa in campagna sul lago di Bolsena che frequentava da piccola. Accanto vivono gli zii e soprattutto Celeste, una cugina della sua stessa età. I genitori rientrano in città e Arianna decide di restare in campagna. Lontano dagli adulti scopre la vita sentimentale e sessuale della cugina, la osserva amoreggiare con il fidanzato. È curiosa, vuole sapere cosa si prova per il sesso, per lei il desiderio è qualcosa che appartiene più alla mente che al fisico, il suo corpo androgino non risponde agli stimoli del piacere. Alla ricerca di normalità Arianna decide di provare ad avere una relazione con un ragazzo che la n.35 VII 14 ottobre 2015 ISSN 2421-6909 corteggia. L’esperienza la conferma che qualcosa che non va nel suo corpo e le rassicurazioni del padre medico (“aspetta e vedrai che tutto si aggiusterà”) non la convincono più. Quasi sentendosi in colpa per questo suo corpo refrattario ai piaceri amorosi si reca da una ginecologa. L’ incontro la spinge a rileggere frammenti della sua vita, a dare nuovi nomi a ciò che le è accaduto nella prima infanzia e che i suoi hanno travestito da esigenza chirurgica. Arianna scopre che alla nascita era intersessuale (ermafrodito) e mal digerisce che i suoi genitori abbiano scelto la sua identità sessuale e soprattutto le abbiano nascosto il suo passato. Il tema scelto da Carlo Lavagna per il suo debutto è decisamente difficile e richiede coraggio. Il regista mostra una certa capacità nel presentarlo in maniera delicata, credibile e lontana da pruriginosità. Il racconto segue passo per passo Arianna nei suoi dubbi e nelle sue sperimentazioni, con lei ripercorre il filo che la condurrà a prendere coscienza della sua origine. Ciononostante il film si rivela incertezze (ma è un’opera prima), soprattutto nella ricerca di simbolismi eccessivi (si veda la scena della caccia al cinghiale). Gli attori, in compenso, sono molto bravi e ben diretti, specie Ondina Quadri, (Arianna) che con naturalezza dà spessore alla protagonista e che si è meritata il premio per la migliore attrice esordiente alla 72 Mostra del Cinema di Venezia. Dorothy Parker 16 www.arcipelagomilano.org IL FOTO RACCONTO DI URBAN FILE SKATEBOARD: DALLA STAZIONE CENTRALE AL GRATOSOGLIO! http://blog.urbanfile.org/2015/10/11/zona-gratosoglio-inaugurato-lo-skatepark-baroni/ foto Luca Basilico MILANO OGGI IN THE MIDDLE OF THE FUTURE di Giancarmine Arena https://youtu.be/tBVXyblAvFM n.35 VII 14 ottobre 2015 ISSN 2421-6909 17