la leggenda (vivente) del ciclismo

Transcript

la leggenda (vivente) del ciclismo
numero 12 estate 2011
crogiolarsi in una sorta di sublimazione del personaggio, ti accolga per l’intervista con toni affabili
e alla fine si accomiati quasi dispiaciuto, portanLA LEGGENDA (VIVENTE)
dosi via, con la propria immagine un po’ appeDEL CICLISMO
santita dal tempo, alcune ore intense di colloquio.
«E› la prima volta - ammette Ercole Baldini
Protagonista in Val Stirone di una memorabile tappa del
- che concedo un›intervista così lunga».
Giro 1959, malgrado un ginocchio dolorante.
Il flop del mago di Napoli accorso a Salsomaggiore per
Oddio, a pensarci bene, più che un’intervista
guarirglielo.La grande amicizia con Jacques Anquetil,
quella con l’ex campione del pedale, è stata la
inarrivabile re del cronometro, suo avversario in tante
gradevole audizione di un racconto. Fuori dagli
gare, cui fece visita in Francia pochi giorni prima che moschemi peraltro e calibrato un pò sulle emoziorisse.“La Dama Bianca si era messa in testa che portavo
ni, un po’ sui ricordi, ancora vivi, di un vissuto
via i tifosi e popolarità a Fausto Coppi.
Non mi sopportava”.
sportivo breve, ma intenso. Il campione del passato è in vena di raccontare non solo sé stesso, ma
anche retroscena inediti.
E le ore filano che non te
ne accorgi. Poco presenzialista, scarso feeling coi
media. Ma questa positiva anomalia, sospettata di essere vagamente
snob, è una precisa scelta.
Dice: «Il ciclismo rimane
la mia vita e ogni evento
che passa in TV è al centro della mia attenzione».
Ercole Baldini ci accoglie
nella sua casa di Villanova, alle porte di Forlì. Villa medio borghese,
stile
americaneggiante,
scalinata sul retro che
digrada sul prato. La piscina a due passi. Da
Baldini posa nel Museo del ciclismo, presso la sua abitazione
quando il destino gli ha tolto la moglie VanVLLANOVA DI FORLÌ - Giusto per sfatare un da, compagna di una vita, Baldini vive solo.
luogo comune, nell’ambito dello sport capita tal- Qui abitano anche i suoi due figli, costruttori
volta che il grande nome del passato, lungi dal edili in Costarica, durante le loro frequenti
A colloquio con Ercole Baldini uno dei più grandi campioni del pedale
Baldini posa nel Museo del
ciclismo, presso la sua abitazione
rimpatriate. A cinquanta metri un casolare ristrutturato che, dal 2002, ospita il suo museo personale: immagini fotografiche, giornali, cimeli
che narrano la storia di un campione del pedale.
Una storia carica di affetto popolare ma finita
troppo presto, nel 1964, a soli 31 anni. Sospira: «Il mio ginocchio non ce la faceva più...».
Già, proprio quel ginocchio che lo ha reso protagonista di un singolare retroscena legato
in qualche modo alla città di Salsomaggiore.
«E› vero. Durante il Giro d›Italia del 1959 feci tappa a
Salsomaggiore. Vestivo la maglia dell›Ignis e il patron
Giovanni Borghi era convinto che solo il Mago di
Napoli avrebbe potuto risolvere il mio problema.
Così me lo fece trovare nella camera del mio albergo.
lo ero piuttosto scettico - confessa - ma siccome
sono sempre stato un gran figlio di buona donna prego ? - sì, ha capito bene, sono sempre stato un
gran figlio di buona donna (eufemismo ndr) sono
stato al gioco e, d’accordo col massaggiatore, gli
indicai il ginocchio sano.
La scena fu imbarazzante, col Mago che riteneva di aver individuato
al tatto il punto dolente. Lasciamo perdere».
Flop clamoroso. Oggi,
quel Mago e le sue teorie taumaturgiche sarebbero materia per le Iene.
Affabile, i toni misurati,
in palese combutta coll’ago della bilancia ma di
aspetto ancora giovanile,
Ercole Baldini, leggenda
vivente del ciclismo degli anni 50-60, innesta la
quarta e spazia in un ampio ventaglio di fatti ed
episodi del mondo delle
due ruote, per nulla ossidati dal tempo.
Che cosa ricorda in particolare di quella sosta a
Salsomaggiore Terme?
«Beh, la cronometro del
giorno dopo. Era la seconda
tappa e si correva sul circuito
Salsomaggiore,
Tabiano,
Fidenza,
Salsomaggiore,
per complessivi 22 km.
Vinse Anquetil, secondo Graf, terzo io, che correvo
con quel ginocchio malconcio. Anquetil quel
giorno fu strepitoso. Oltre i limiti del possibile,
titolò il giornale sportivo di Bologna. Dalle vostre parti feci poi un circuito a Collecchio.
C’era anche Fausto Coppi. Ma vinsi io”.
Il grande Fausto Coppi, Ercole Baldini ricorda di averlo conosciuto per la prima volta sulle strade di Forlì, dove entrambi erano casualmente impegnati in una seduta di allenamento.
«lo ero ancora dilettante e lo incrociai, con tutto il
suo numeroso seguito, mentre stava attaccando la
salita del Muraglione. lo, che stavo scendendo, tornai
sui miei passi e mi affiancai a lui. Coppi mostrò di
gradire la mia presenza e mi invitò a proseguire. Per
un giovane come me, questo fu un grande onore».
Poi, come succede, il tempo muta gli scenari:
Ercole diventò collega di Fausto. Ma soprattutto, quando nel 1956 stabilì il record dell’ora,
deve vincere, a costo di sputare l’anima lo dobbiamo riprendere. Così i due si lanciano in un
inseguimento pazzesco. E vince Darrigade».
Breve pausa. C’è spazio per una veloce introspezione. Stai a vedere che il copione si ripete.
«Gliene dico un›altra. Al mondiale su strada di
Reims, sono in fuga in tre: Bobet, Voortig e Nencini. Gli ordini del CT Binda sono chiari: se c’è
in fuga un italiano, niente iniziative. Ma aggiunge: in ogni caso, fate quello che vi dice Coppi. E
Coppi mi ordina di lanciarmi all’inseguimento.
A 250 km. Dall’arrivo scatto e li raggiungo, accolto dalla reazione stizzita di Nencini: che ci fai
qui? mi urla. Ordini di Fausto replico”. I tre in
fuga diventano quattro. Finchè Voortig, stremato, perde terreno e si stacca, seguito poco dopo da
Nencini. Ma Gastone, prima di cedere, regala a
Baldini l’assist decisivo. Ho visto Bobet attaccato
alla borraccia – mi dice -. Questo significa che è
in crisi. Lo devi attaccare subito, perché poi, fra 7,
8 minuti si riprende. Così ho
fatto e gli ho preso quel paio
di minuti che lui non ha saputo recuperare. La mia vittoria
al mondiale di Reims è stata
anche la vittoria di Nencini».
E in qualche modo la sconfitta di Fausto... - «Seppi
dopo che mi aveva mandato allo sbaraglio a 250
km. dal traguardo convinto che sarei scoppiato...».
Baldini
sorride.
«Vittoria normale» - dice. E passa oltre. Troppo navigato
per complicarsi la vita...
«Meglio la vittoria al Giro d›Italia
del 1958, dove vinsi la tappa del
Pordoi davanti a due mostri
sacri delle scalate come Gaul
e Bahamontes. Ricordo che i
due andarono subito in fuga
ma, ogni volta che riuscivo a
raggiungerli, loro scattavano
di nuovo, vanificando il mio
recupero. Se non la smettete
di fare i coglioni, dissi loro, vi
faccio perdere il Gran Premio
della Montagna. BahamonA fianco di Fausto Coppi, mentre sta disputando il Trofeo Ba- tes, indifferente, partì di nuovo ma io mi attacracchi...
cai alla sua ruota, favorendo il recupero di De
Filippis e Brankaert. Finì che il GPM lo vinse De
a Magni un gestaccio. Ricordo la rabbia di Fio- Filippis.Di quel tappone mitico Baldini ricorda
renzo che, rivolto a Darrigade, urla: Coppi non
ne divenne avversario e grande antagonista.
«E› stato comunque un amico», ammette. E qui Baldini si
atteggia ad un sorrisetto malizioso. L›impressione che
voglia levarsi un sassolino dalla scarpa cݏ tutta. Quel
«comunque», in ogni caso, va spiegato. Vero Ercole?
«La sua compagna (la Dama Bianca ndr) si era
messa in testa che io gli portavo via tifosi e
popolarità. Non mi sopportava. Ricordo che
a Valeggio sul Mincio, nel corso di un Criterium, il mio ingaggio, di poco superiore a
quello di Fausto, la mandò su tutte le furie».
Baldini sorride, forse non è finita. Cambiano gli
scenari. Siamo al Giro di Lombardia del 1956, col
mitico Fausto Coppi che sulla salita del Ghisallo
stacca Magni e Darrigade e si invola verso Milano.
Torriani
manda
avanti
le
ammiraglie,
i
giochi
sembrano
fatti...
“A bordo di una di queste macchine - ricorda c’è la Dama Bianca. La donna, non appena arriva
al fianco dei due inseguitori, rivolge
anche un aneddoto spiritoso, maturato a due
chilometri dall’arrivo, nella discesa su Bolzano.
«Attento Ercole, mi avvisa Pavesi dall›ammiraglia, a
Bolzano la pista è in terra (chiara allusione al fondo
ndr). E dove dovrebbe essere ... in cielo? Ribatto io. Lì ho capito che avevo la lucidità e la freschezza necessarie per vincere la volata. Ero in
quarta posizione, ma vinsi io».
«L›impresa fu più difficile di quanto pensassi, ma
alla fine le due donne uscirono a prendere un caffè e
Jacques si attaccò al telefono per mezz›ora. Ercole ti
ringrazio, mi disse poi, è stata la bella telefonata
della mia vita”
Due parole su Jacques Anquetil...
«E› stato in assoluto il più grande cronoman di tutti i tempi. Riviere, Gimondi, Adorni e Coppi, pur bravissimi, non erano della sua portata.
Su certi percorsi era imbattibile. Al
Trofeo Tendicollo, a Forlì, lungo
un percorso tutto pianeggiante, che
riuniva 80-90 mila persone, vinsi
io alcune volte. A Lugano e al GP
delle Nazioni di Parigi vinse lui.
Ma perdere con lui significava perdere con un fenomeno. Grande avversario, ma anche grande amico.
Una volta mi disse: Ercole tu parli bene il francese e siccome sei il
mio unico amico in Italia, non serve che io impari l’italiano. Quando
mi ritirai dalle corse, in occasione
della cronometro Baganzola-Busseto, da lui
dominata, mi volle al seguito sulla sua ammiraglia. “Così vedi come pedalo”, mi disse».
Di quel periodo Baldini racconta divertito di
quando il francese, alla vigilia del Trofeo Tendicollo, fu ospite nella sua casa di Forlì. «Arrivò in
piena notte, fece tardi a tavola e la mattina successiva si alzò alla 11, per nulla preoccupato né di
studiare il tracciato, nè di un certo Gimondi che gli
avrebbe dovuto contendere il successo... Tanto,
mi disse, vinco io. E naturalmente fu di parola».
Il tono della sua voce ora si attenua e la mente sembra frugare nel passato. E un flash back che cattura vecchi ricordi e restituisce emozioni ancora palpitanti. Quella
che ci rivela è una confidenza inedita…
“Credo di essere stato l’unico italiano che ha
potuto incontrare Jacques pochi giorni prima della sua morte (Rouen 18/11/1987 ndr).
Sul letto d’ospedale mi chiamò vicino e con
un filo di voce riuscì a confidarmi che avrebbe desiderato tantissimo telefonare alla ex moglie Janine, ma l’attuale compagna non usciva dalla stanza. Vedi di convincere tua moglie
a portarla fuori con un pretesto, mi disse».
Giro d›Italia 1959: Ercole compostissimo senza alzarsi in piedi, sta
salendo al Poggio Diana, nella tappa a cronometro individuale.
I CAMPIONI DEL GIORNALISMO
SU BALDINI
Per un grande campione del ciclismo come Ercole Baldini pubblichiamo alcuni stralci della prosa di due grandi
campioni del giornalismo, all’indomani della tappa del
Giro d’Italia
a Salsomaggiore, il 18 maggio 1959.
GIANNI BRERA SU “IL GIORNO”
Quando ho veduto Baldini allungare per prova, in attesa che lo chiamassero, mi è parso di
notare che il suo ginocchio destro ballasse un
tantino nel manico. Baldini curvava appena le
spalle e teneva le braccia quasi tese sul manubrio. “E’ brutto - mi son detto - va proprio male”.
...Baldini si portò sulla linea e spense in una
smorfia il gran vociare di tutti. Poi si alzò sui pedali e partì in progressivo. Alla stessa curva in
cui mi era parso brutto e slegato aggiunse una
strepitosa potenza ad ogni giro di pedivella. Si
avventò al Poggio Diana afferrandosi al manu-
brio e strattonandolo, quasi cercasse di fermare un torello imbizzito. La bicicletta, nonché
squassarsi, balzava ad ogni spinta. Lo spettacolo di forza avvinceva la gente che il primo giorno di vera estate accaldava non meno del tifo.
Giunto al Poggio, Baldini si abbandonò con un
tuffo. La lancetta del tachimetro oscillava sui 65
orari. Visto da tergo, destava tale impressione di
stile da riuscire monotono. l gomiti, piegatissimi,
aderivano ai fianchi. Le gambe mulinavano fin
nel minimo sussulto, quasi le ruote sfiorassero
appena l’asfalto. Sorse quasi improvviso il campanile barocco di Fidenza. Baldini vorticava le
gambe in tale compostezza da esaltare ...
GIOVANNI MOSCA SUL “CORRIERE D’INFORMAZIONE”
Nel 1954, da dilettante, stabilisce il record dell’ora, percorrendo km. 44,870. Nel 1956 diventa prima campione italiano di inseguimento e poi campione mondiale sconfiggendo Leandro Faggin.
Sempre nel 1956, migliora il suo record dell’ora
( km. 46,394) e, ai Giochi Olimpici di Melbourne, si aggiudica il titolo olimpico su strada. Nel
1957 Baldini diventa professionista e arricchisce il suo palmarès: vince il Gíro di Romagna,
il Giro del Lazio, il Gran Premio di Lugano.
Al suo attivo, cinque edizioni del Trofeo Baracchí: in coppia con Fausto Coppi Joseph Velly,
Vittorio Adorni e due volte con Aldo Moser.
Nel 1958, anno di grazia, vince il Giro d’Italia, il Giro dell’Emilia, una tappa del Tour de
France e il Campionato del Mondo su strada a
Reims. Nel suo curriculum, anche il Gran Premio Industria e Commercio, il Gran Premio del-
...Baldini parte con uno scatto degno del mitico nome che
porta. Aggredisce la salita (del
Poggio Diana n.d.r.) facendo
scricchiolare le giunture, s’avventa alla vetta quasi mordendo la strada. Dà un’impressione di forza da strappare persino
qualche grido a questa folla
silenziosa. Arriva sulla cima,
si precipita lungo la discesa
sopravanzando il manubrio di
tutta la testa e spalancando i
gomiti come moncherini d’ala
... ed ecco a Fidenza lungo un
rettilineo che Baldini percorre a velocità prodigiosa, ecco,
a Fidenza, levarsi un grido:
“Coppi! Coppi!” È il grido di
uno cui è parso, in Baldini, di
rivedere Coppi, il campionissimo. E’ vero, sembra Coppi,
anzi è Coppi; per un minuto la
folla impazzisce. Si grida, si invoca, ci si rotola…
le Nazioni (a cronometro individuale) a Parigi
(1960), una Milano - Mantova (1961), 4 edizioni
LA SCHEDA DI ERCOLE BALDINI
del Trofeo Tendicollo Universal (a cronometro
Quarto dí sei fratelli tutti maschi, Ercole Baldi- individuale) e infine, nel 1963, la Coppa Placni nasce a Forlì il 26 gennaio 1933. Ciclista su ci e il Giro della Provincia di Reggio Calabria.
strada e pistard di notevole levatura, è profes- E’ stato medaglia di bronzo nell’inseguimento
sionista dal 1957 al 1964, quando un problema individuale ai mondiali di Lipsia (1960) e Parigi
al ginocchio lo costringe al ritiro a soli 31 anni. (1964). Al Giro di Lombardia del 1962, stabilì il
record assoluto di scalata del durissimo Muro di
Sormano, con il tempo di 9’ e 24”. Recentemente,
é stato anche collaboratore di Hein Verbruggen,
presidente dell’Unione Ciclistica Internazionale.
IO , CLAUDIA TU, MARIA
Così vicine, così lontane. Pubblichiamo il capolavoro di
un talentuoso fotografo americano datato 1965. La straordinaria foto (o quadro?) è stata fatta a Cangelasio, sulle
colline salsesi,
ed è apparsa, in grande formato, sulle pagine colorate di
“Life”.
Cara Vai Stirone ha incontrato l’unica sopravvissuta del
gruppo, Cardinale a parte.
E’ una donna minuta di 95 anni, con una mente lucidissima e una memoria di ferro.
Può succedere che l’idea di intervistare tale Maria Del Bene, vegliarda di Cangelasio Moracchi,
suggerisca calma piatta e qualche perplessità.
Ma che cos’ha di speciale questa donna, che
dopo aver percorso circa un intero secolo, ora
mi ritrovo qui davanti? Diciamo pure che è un
gran bel traguardo. Nobilitato per di più da una
mente lucida e da una memoria che è ancora
uno scrigno prezioso a cui attingere, per elaborare fatti, sentimenti, vecchi ricordi ed emozioni
in bianco e nero. Maria è una donna minuta, di
95 anni, resa ancor più esile da quel fazzoletto
che le nasconde i capelli, proprio come si faceva
una volta. Il tratto è affabile, il vestito ben curato, l’atteggiamento è tipico di chi sa ancora
stare in mezzo alla gente. Una semplicità che è
soprattutto espressione di quella dignità contadina sulla quale, coi tempi che corrono, incombe
il pericolo di estinzione. Ho tra le mani questa
fotografia datata1965 che, più che una fotografia,
è un quadro, un’esplosione di colori, un’opera
d’arte che ha fatto il giro del mondo, “sparata”
sulle pagine di Life, prestigiosa rivista americana in carta patinata.
Maria, ma come ci è entrata?
Davvero una bella domanda per una signora
della sua età, costretta ad un...doppio salto mortale a ritroso di
quasi mezzo secolo. Ma
tant’è. Maria sorride, un
po’ sorpresa, raccoglie
l’invito e comincia a rimestare nella memoria.
Quella mattina tornavo dalla vigna, avevo
dato l’acqua alle viti.
Ero sporca, conciata
male. C’era uno strano
vociare e movimento
di gente in quello “slargo” dietro a casa mia. . .
Poi sento uno che fa:
“c’la lè, la va ben” Mi
invitano ad unirmi al
gruppo. Tutti abitanti
del posto, che ben conoscevo, con gli abiti
di tutti i giorni un po’
messi male, un po’ “lis”,
come i miei. Sa, eravamo
gente
semplice,
di
campagna».
Una vera “sciccheria”, per un tipo come Howell
Conant. Il talentuoso fotografo americano ha
già individuato la “quinta” nella fatiscente facciata di una modestissima casa di Cangelasio. Il
quadro prende forma con solenne levità, nulla
è affidato al caso in questo strano assemblaggio di gente contadina, dallo sguardo fiero, segnato dal tempo e dalla fatica. In qualche modo
provo a ricostruire l’allestimento scenico: «Tu
siediti qui...voi in piedi. . .sorridete...tu guarda l’obiettivo...voi affacciatevi alla finestra...».
Poi arriva lei, Claudia Cardinale ed è la “pennellata” finale dell’artista sulla “tela”: 27 anni,
dolce e solare, miscela esplosiva di charme e
radiosa sensualità in quel suo atteggiamento si-
Maria Del Bene nella cucina della sua casa a Cangelasio. Ha davanti la “storica” foto in cui posa insieme all’attrice.
sinuoso e svolazzante. Racconta: «Ci hanno radunato e messi in posa. Ci siamo rimasti per un po’ di tempo, perché la signora (la
definisce così) si cambiava spesso i vestiti».
Maria Del Bene ci accoglie nella sua casa, tra le
verdi colline di Cangelasio, in località Moracchi.
La stanzetta, al piano terra, è modesta ma accogliente. L’ingresso fa da salottino e anche da cucina; se vuoi, puoi toccare il soffitto con le dita. Alle
pareti qualche foto in bianco e nero, nell’angolo
la stufa a legna, come una volta, perché sono mai
mossa da qui. Vivo bene e non mi lamento. Guardo poco la televisione, solo il telegiornale e Gerry Scotti. Ho qualche nipote e un fratello, Rino,
che ha 80 anni e una volta lavorava alle Terme.
Quello che vede nella fotografia sulla parete è
l’altro mio fratello, Giuseppe, morto alcuni anni
fa. Era molto bravo a suonare la fisarmonica».
Un gentile signore, originario di Oggiono, che
ha una casetta qui a Cangelasio, mi accompagna
dietro l’angolo, sul vecchio “palcoscenico” di
questo capolavoro fotografico passato alla storia. Ma è come nuovo, le ante verniciate, quattro
gradini di scale e un pianerottolo che un tempo
non esisteva, e forse era meglio allora. Vorremmo ancora declinare al passato, ma l’immagine
adesso parla al presente e l’antica suggestione è
sfiorita. Tutto sembra consegnato alla memoria
e alla certificazione storica di quello scatto fotografico provvidenziale: i personaggi, il rudimentale acciottolato, la panca di legno, le vecchie
ante sgangherate, il muro di mattoni scalcinato
e l’anello, dove un tempo si
legava il bue o il cavallo. Normale, che le mutate esigenze
della vita abbiano in qualche
misura stravolto gli scenari e le abitudini della gente.
«Di quella fotografia - racconta sono rimasta soltanto io». Come
dire: l›elenco dei sopravvissuti
parla al singolare. Uno alla volta
se ne sono andati tutti: l›Anna,
la Corinna, Luigi, Sempronio,
la Virginia, la Massimina,
Ferdinando
e
la
Nella.
E’ rimasta anche Claudia Cardinale e buon per lei, naturalmente. «A quel tempo io non
sapevo chi fosse questa Cardinale, ho saputo dopo che
era venuta a Salsomaggiore
per il Concorso di Miss Italia». (L’attrice, che poi
scalerà i vertici del cinema mondiale, fu chiamata, in quella occasione, a presiedere la Giuria del concorso n.d.r.) «In vita mia - continua
- sono andata al cinema un paio di volte. Non
avevo tempo, s’era par sèrva al Baistrocchi».
Poi si concentra e la sua memoria elabora sequenze che tagliano in quattro
il secolo passato. «Sono nata nel 1915 a
Case Passeri, quando ancora la località stava sotto a Vigoleno. Scoppiò la prima guerra
mondiale e mio padre morì subito. Non l’abbiamo più trovato. Nella piazza di Vigoleno
c’è una lapide con inciso il suo nome». Scandisce quelle parole ed ha un sussulto di orgoglio,
una sorta di appagamento tardivo che nemmeno il capolavoro fotografico di Conant, che
la vede tra i protagonisti e che pure ha fatto il
giro del mondo, ha saputo darle. «Si - ammette quella fotografia me l’avevano mandata».
Maria sorride e si sottopone di buon grado alla
foto di rito. «Sì, era davvero una gran bella donna», taglia corto riferendosi a Claudia Cardinale. E si capisce che, in fondo, l’argomento non le
interessa più di tanto. Questa vicenda, inusuale,
divertente e simpatica, forse sa tanto di “americano». Anzi di “hollywoodiano”. E per una come
lei, capitata sulla scena quasi per caso, rimane
sempre una storia troppo difficile da raccontare.
LA “SCHEDA” DI CLAUDIA CARDINALE
Claudia Cardinale, all’anagrafe Claude Josephine Cardinale, nasce a La Goletta (Tunisia)
il 15 aprile 1938 da padre di origine siciliana
e madre francese. E’ l’attrice più importante
emersa negli anni sessanta, l’unica a conseguire notorietà internazionale. Claudia Cardinale, all’apice della sua carriera, viene chiamata a
far parte della giuria del Concorso di Miss Italia 1965, a Salso. Luchino Visconti, che la diresse nel celebre “Rocco e i suoi fratelli” e nel
“Gattopardo”, la definì “un gatto che un giorno o l’altro si trasformerà in una tigre”. Claudia Cardinale è stata diretta da registi di fama
mondiale, certamente i nomi più prestigiosi
della storia del cinema italiano e internazionale.
Tra le sue principali interpretazioni ricordiamo:
“I soliti ignoti” (regia di Mario Monicelli), “Un
maledetto imbroglio” (Pietro Germi), “Il bell’Antonio” e “Senilità” (Mauro Bolognini), “La ragazza con la valigia” (Valerio Zurlini), Otto e
mezzo (Federico Fellini), “La ragazza di Bube”
(Luigi Comencini), “Vaghe stelle dell’Orsa” (Luchino Visconti), “Nell’anno del Signore” (Luigi Magni), “Bello, onesto emigrato in Australia
sposerebbe compaesana illibata” (Luigi Zampa),
“Enrico IV” (Marco Bellocchio), “La donna delle meraviglie” (Alberto Bevilacqua), “La pelle”
(Liliana Cavar)°, “Corleone” (Pasquale Squittieri), “Il comune senso del pudore” (Alberto
Sordi), “C’era una volta il west” (Sergio Leone),
“II giorno della civetta” (Damiano Damiani).
Compagna per oltre un decennio del produttore cinematografico Franco Cristaldi, ha avuto
tra i suoi principali partner Marcello Mastroianni, Alberto Sordi, Renato Salvatori, Alain
Delon, David Niven, Rock Hudson, Henry
Fonda, Charles Bronson. Nel 1964, ne “Il circo e la sua grande avventura” di Henry Hathaway, Claudia Cardinale lavora anche con
due star assolute:John Wayne e Rita Haywoorth.
Nel 1995 è uscito “lo, Claudia. Tu, Claudia” scritto da Anna Maria Mori per l’editore Frassinelli.
Libro di trecento pagine dedicato al “romanzo di
una vita” di Claudia Cardinale, che in libreria è
andato forte.
Claudia presidente della Giuria di Miss Italia, a Salsomaggiore
nel 1965. Dietro di lei il giornalista Corrado Corti, a destra il
regista cinematografico Citto Maselli.
La copertina del libro “Io Claudia, tu Claudia” sulla vita della
Cardinale.