Capitolo III - Alessandro PUGI

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Capitolo III - Alessandro PUGI
Capitolo 3
Come ogni mattina Raphaël prese dal cassetto della scrivania le
chiavi del suo motorino e uscì.
Il SI della Piaggio, di colore bianco e nero, era parcheggiato
all’interno della piccola baracca che usavano come magazzino. Ogni
giorno doveva percorrere parecchia strada per arrivare alla facoltà
di lettere, dove aveva iniziato a frequentare i corsi del professor
Malvagnini. Il quartiere San Vitale, che ospitava la rinomata università di Bologna, era infatti situato dalla parte opposta della città.
Si era spesso congratulato con se stesso per l’acquisto fatto. Anche se aveva viaggiato per tre anni, il veicolo che aveva comperato
di seconda mano era ben conservato e offriva una certa garanzia:
l’aveva acquistato da un amico che aveva il padre meccanico; era
quindi certo dell’integrità del motore.
Si mise seduto sulla sella foderata in pelle nera, mentre ne ammirava gli optional: un piccolo portapacchi argenteo nella parte posteriore e due manopole rivestite di pelle alle quali aveva applicato delle fasce colorate, rossa a sinistra e nera a destra. La rossa per ricordare la dittatura comunista in URSS e i Gulag, i famosi campi di concentramento creati inizialmente per rinchiudere i criminali, ma che
furono usati come mezzo di repressione degli oppositori politici
dell’Unione Sovietica; la nera, invece, per commemorare le migliaia
di vittime che il nazismo aveva mietuto per tutta l’Europa. Con un
gesto veloce fece scattare il cavalletto iniziando a pedalare in direzione della piccola discesa che conduceva a villa Pandolfi, una meravigliosa residenza sul lato destro della strada. Una volta messo in
moto, sterzò il manubrio nella direzione opposta, tornando sulla
strada principale per dirigersi poi verso via Zamboni.
Nonostante l’ora la città sembrava affollata più del solito e Raphaël preferì attraversarla infilandosi con destrezza per le strade
interne. Amava sentire i rumori delle serrande dei negozi che si alzavano, il vociare dei primi clienti, la vita che si risvegliava dopo il
silenzio della notte. Lasciò via Saragozza svoltando in via del Riccio.
Percorse il breve tratto con fatica; fu costretto a pedalare per aiutare il SI a compiere con dignità la corta salita alla fine della quale,
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come ogni mattina, lo aspettava Roberto, il giornalaio, che riconoscendo il rumore del motorino si appostava sul ciglio della strada
con il quotidiano tra le mani. Ogni volta che si apprestava a compiere quel gesto, Raphaël si sentiva come Moreno Argentin nell’attimo
in cui gli veniva passata la borraccia piena d’acqua: transitava con il
braccio teso e raccoglieva il giornale, infilandoselo all’interno della
giacca.
Si immise poi sulla strada che costeggiava la biblioteca comunale
percorrendola fino ad arrivare in via Castiglione. Il primo obiettivo
era raggiunto. Spense il motorino, parcheggiandolo tra due auto e,
dopo qualche istante, scese, cercando di scorgere con lo sguardo la
leggiadra dama che gli aveva dato appuntamento. Paola arrivò ansimante; i suoi lunghi capelli ramati si muovevano avanti e indietro,
come impegnati in una danza cadenzata, mentre il respiro affannoso
le disegnava strane forme sul viso. Si fermò a pochi centimetri di
distanza da lui piegandosi leggermente in avanti e tenendosi con
una mano la zona del basso ventre corrispondente alla milza.
«Ciao…» disse dopo aver preso un respiro lungo e profondo.
«Scusa per il ritardo ma…» continuava ad ansimare come se avesse
percorso chilometri di corsa «mi sono alzata tardi.»
Raphaël la guardò sorridente, divertito dalle diverse espressioni
che prendevano forma sul suo volto.
«Mi stai prendendo in giro, con quello sguardo e quel tuo sorrisetto da ebete?» gli domandò con un tono di voce che assomigliava
tanto a uno dei rimproveri di sua madre.
«No… no» rispose divertito, «è che… » cedette le armi «… sì, ti sto
prendendo in giro, sembra che tu abbia percorso la maratona delle
Dolomiti.»
Paola aggrottò le ciglia. «Brutto cafone che non sei altro, non si
deride una donna che si è fatta in quattro per essere presentabile.»
Poi mostrò un sorriso beffardo lasciando che la sua mano si muovesse dall’alto verso il basso, indicando gli abiti che indossava. «La
prossima volta aspetterai il mio arrivo per ore, stanne certo. Ti farò
pentire di avermi chiesto un appuntamento: mi prenderò tutto il
tempo necessario per truccarmi a dovere, mi proverò più abiti, sceglierò con cura le scarpe giuste, come si conviene a una vera signora.»
Lui si avvicinò e le passò una mano tra i capelli ricci. Il suo viso
assunse un’aria dolce come la sua voce. «Tu sei bellissima così… al
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naturale.» Paola rimase spiazzata da quella frase.
Sempre con la stessa espressione tenera stampata sul volto la
baciò dolcemente sulle labbra. Lei lo spinse giù dal marciapiede e il
movimento brusco fece cadere il giornale che il ragazzo teneva nella
giacca. Raphaël lo raccolse e il suo sguardo si soffermò sulla prima
pagina: c’erano ancora le foto del disastro avvenuto a sud delle Filippine. Il traghetto Dona Paz si era scontrato con la petroliera Victor provocando, tra morti e dispersi, migliaia di vittime.
Per un istante si immaginò le grida d’aiuto di quelle persone.
“Che tragedia” pensò.
Paola lo riportò al presente.
«Ma ti sembra il modo? Io… io… non lo so, ma guarda che tipo.»
Raphaël alzò gli occhi al cielo. «Adesso qual è il problema?»
«Te lo dico io qual è il problema. Stai parlando con me, mi baci e
poi che fai? Ti fermi a leggere il giornale?»
Le si avvicinò nuovamente e le accarezzò il viso, poi come attratto da una potente calamita, si lasciò andare baciandola nuovamente.
Paola, ancora una volta, lo scostò.
«Sì, sì, adesso vorresti farti perdonare con questa misera coccola? Eh no, caro mio, non te la cavi così a buon prezzo, come minimo
dovrai offrimi la colazione.»
Raphaël riprese a sorridere. Gli piaceva giocare con lei. «Dov’è il
problema? Pensi che non sia in grado di farlo?» rispose mostrandole una banconota da cinquemila lire. «Ma prima dovrai darmi un
segno tangibile della nostra vera “amicizia…”»
Paola sgranò i suoi dolcissimi occhioni verdi in direzione di quel
viso che le appariva ogni volta più bello e sensuale. Le fossette sulle
sue guance presero forma quando un sorriso le si stampò sulle labbra. Si avvicinò e lo baciò con una passione che le ricordava ogni
volta il loro primo incontro, il loro primo bacio.
Si erano conosciuti solamente pochi mesi prima, durante una lezione di filosofia. Alla “veneranda” età di ventisei anni, Paola frequentava il terzo anno di università. Era una mattina uggiosa a Bologna quando aveva incontrato quel ragazzo dagli occhi neri come la
pece che, imbranato come un poppante, si era accomodato accanto a
lei. Sedendosi le aveva fatto cadere tutti i testi e gli appunti che teneva sul banco. Paola si era chinata a raccoglierli. Raphaël, nel tentativo di aiutarla, le aveva rifilato una gomitata sulla testa. Lei aveva
chiuso gli occhi evitando di imprecare, poi aveva rialzato il busto
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ritrovandosi viso contro viso, occhi negli occhi.
«Scusa, mi dispiace io… non volevo, sai non è molto tempo che
frequento le lezioni e…»
Paola allargò le braccia. «Ed è anche quella sbagliata, imbranato.
Questa è l’aula per quelli del terzo anno, sarebbe bene che tu ti svegliassi.»
Il volto del giovane aveva cambiato repentinamente espressione
e colore, passando da un bianco pallido a un rosso quasi violaceo.
Lei era scoppiata in una fragorosa risata.
«Signorina Grimaldini, vuol far sorridere anche noi?» le aveva
chiesto in tono ironico l’insegnante che, togliendosi gli occhiali,
l’aveva guardata dal basso verso l’alto.
Paola aveva risposto quasi nascondendo il viso dietro un quaderno. «Mi scusi professore. Non succederà più.» Poi con una mano
si era coperta la bocca e mentre guardava l’insegnante si era rivolta
al ragazzo seduto accanto a lei.
«Bella figura da fessa che mi hai fatto fare. Guarda che io qui dentro ho una reputazione da difendere, non sono mica una pivellina
come te. Questo disturbo ti costerà almeno un caffè.»
Raphaël aveva annuito rimanendo in silenzio. Finita la lezione,
della quale il ragazzo non aveva capito un accidente, avevano passato il resto della giornata chiacchierando del più e del meno,
all’interno del bar “Dell’Angolo”, sorseggiando prima un caffè e poi
un cappuccino con sopra spruzzi di cioccolato caldo e panna.
«Posso accompagnarti a casa?» le aveva chiesto infine. «Ho il mio
bolide parcheggiato qui fuori.»
Paola aveva accettato di buon grado l’invito, immaginandoselo a
cavallo di una moto, magari una Yamaha Tenerè XT 600 azzurra e
gialla, un modello che l’aveva sempre fatta impazzire. Quando erano
usciti per recarsi al parcheggio della facoltà i suoi occhi si erano inteneriti vendendo Raphaël armeggiare con una catena e un lucchetto attorcigliati intorno a un SI bianco e nero.
«E tu vorresti accompagnarmi a casa con quel… quel coso, non so
neanche dargli una giusta definizione. Quanto tempo hai previsto di
impiegare per portarmi a via Casarini? Tre ore? Quattro? Vorrei riuscire ad arrivare prima di domani.»
Raphaël l’aveva guardata di sbieco, mentre tentava di aprire il
lucchetto che sembrava non volerne sapere. In un gesto di stizza si
era alzato dando un calcio alla catena e il lucchetto come per magia
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si era aperto.
«Ha capito chi comanda» aveva detto sorridendo.
«Immagino… allora in quanto tempo pensi di arrivare a destinazione?»
«Vedrai, ti stupirò» le aveva risposto.
Dopo averla invitata a salire sul piccolo mezzo di locomozione,
aveva tentato una disperata impennata rischiando di perdere il suo
prezioso carico. Inizialmente Paola si era sentita a disagio, ma la
sicurezza che lui aveva mostrato nel sapersi districare nel traffico
cittadino e la simpatia con la quale aveva risposto ad alcune domande, l’aveva indotta a pensare che la prima impressione che aveva
avuto su quel ragazzo era stata sbagliata. Non era affatto un imbranato, al contrario pareva sapere il fatto suo. Il comportamento di
Raphaël l’aveva stupita, rendendola felice di quell’incontro. Nella
lunga conversazione che avevano avuto durante il tragitto, si era
dimostrato intelligente e colto, sicuro dei suoi mezzi e con degli ideali ben precisi.
Il viaggio era durato circa quaranta minuti e Paola era stata felice
di aver avuto quel tempo per assaporare la bellezza della sua città,
celata in stradine secondarie e divieti di transito violati.
Un piccolo buffetto dato con dolcezza sulla testa di Raphaël aveva accompagnato la sua discesa dal motorino.
«Tu sei un pazzo scatenato!»
«Grazie, è la stessa identica cosa che mi dice mia madre tutti i
giorni, quando mi vede arrivare su una ruota sola a casa.»
Aveva alzato gli occhi al cielo. «Non è facile riuscirci con un SI.»
Raphaël aveva sorriso. «Basta avere il dominio del mezzo.» Poi
aveva tentato una sgommata girando la manopola dell’acceleratore,
ma il motorino per tutta risposta non si era mosso che di pochi centimetri. «Certamente non è il massimo, ma bisogna sapersi accontentare. Quando avrò i soldi necessari vorrei comprarmi la moto.»
Sul viso di Paola sembrava essersi disegnato un punto interrogativo. «Che tipo di moto?»
«Ma… mi piacerebbe la Yamaha Tenerè XT 600, hai presente?
Quella azzurra e gialla.»
Paola aveva strabuzzato gli occhi.
«Ma dai… è la stessa che piace a me.»
Raphaël si era finto sorpreso. «Davvero?»
«Ti giuro, è un modello fantastico, sportiva e potente nello stesso
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tempo. Io l’adoro.»
«Lo so… lo so, ho visto la foto sul tuo diario quando è caduto per
terra in aula» aveva risposto con un sorriso appena velato.
«Ma che stronzo!» la voce si era fatta profonda. «Continui a fare
lo spiritoso? E bravo il pivello, credo che tu abbia bisogno di una
seria lezione.»
Raphaël era sceso lentamente e con un piede aveva bloccato il
cavalletto a terra, poi dopo aver messo una mano sulla parte anteriore della sella l’aveva spinto indietro con forza. Il motorino, dopo
aver barcollato un paio di volte, era rimasto in perfetto equilibrio.
Si era voltato e lentamente si era avvicinato con le mani in tasca,
cercando di farle capire che si aspettava qualcosa.
Paola sembrava ignorare i segnali che il corpo di Raphaël le stava
inviando. «Grazie per il passaggio, sei stato molto gentile.»
«Vorrei rivederti.» era stata la secca risposta del ragazzo.
Lei aveva inclinato la testa verso sinistra guardando, dall’alto del
marciapiede, i suoi occhi dallo sguardo sicuro.
«Certo, perché no? Possiamo vederci tutti i giorni se vuoi, frequentiamo la stessa università, capiterà ancora di incontrarci, non
devi essere così disperato, vedrai che avrai ancora questa fortuna.»
«No, no, io intendevo… ecco… magari…»
«Mmh… ce la puoi fare, prova a spiegarti con parole tue, semplici,
chiare, ma parole tue.»
«Magari potremmo vederci per scambiare due chiacchiere seduti
davanti a una pizza e una birra?»
«Due chiacchiere? Bé… mi aspettavo qualcosa di più originale.
Non sarà che corri troppo?»
«Dimmelo tu... »
Senza darle il tempo di reagire l’aveva baciata con passione. Paola aveva tirato indietro le braccia. Raphaël aveva continuato a baciarla stringendole le spalle: aspettava con ansia l’arrivo di un ceffone. Invece lei aveva ricambiato quel bacio con un dolce abbraccio.
Erano rimasti in quella posizione per un tempo interminabile.
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