Lo spazio autistico Enrico Valtellina We say `autistic spectrum
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Lo spazio autistico Enrico Valtellina We say `autistic spectrum
Lo spazio autistico Enrico Valtellina We say ‘autistic spectrum’, which is not quite right, because a spectrum is a one-dimensional range. Autism ranges in at least three dimensions: language deficit, social deficit and obsession with order. We should talk of an autistic space. Ian Hacking - What is Tom saying to Maureen? Ian Hacking sostiene la necessità di passare dalla definizione di “spettro autistico”, un continuo di condizioni che ai due estremi trova la piena abilità sociale e l’assoluta mancanza di apertura al mondo, a quella di “spazio autistico”, visto che all’autismo vengono riportate situazioni talmente differenziate da non potersi ridurre a una schematizzazione bidimensionale. Cosa a mio parere fondamentale, considerando che da quando mi ci dedico non ho trovato due persone autistiche uguali, in qualche modo comparabili per la sola gravità della compromissione sociale. Nel mio intervento raccolgo l’invito di Hacking e rilancio l’analisi individuando alcune delle possibili connotazioni derivabili dall’accostamento dei termini “autismo” e “spazio”. Appena ho cominciato a pensarci, le immagini sono proliferate. Parlerò pertanto di Star Trek, del Dr. Spok e di Data, di Adam, film vincitore del Sundance festival, che racconta di un ingegnere autistico con la fissa dello spazio siderale e della sua storia d’amore (spazio degli affetti, luogo insidioso). Ma anche degli spazi autismo. Silvio Ceccato di Piaget diceva che era uno che faceva cose strane coi bambini, anche negli spazi autismo si fanno cose strane con i bambini. Non entro nel merito delle metodologie di intervento, ma gli autistici sono gli ultimi destinatari di educazioni speciali separate. Parlerò del cyberspazio come possibilità per il costituirsi dell’autoconsapevolezza identitaria delle persone autistiche, nonché come motore di molta parte dell’attenzione culturale per l’autismo. A questo correlato, per la comune matrice tecnologica, è lo spazio ludico virtuale, esemplificato nel film Ben X. Spazio comunque meno circoscritto della stanza dell’hikikomori. Altro spazio autistico d’elezione era fino al secolo scorso lo spazio totale dell’istituzione. Nessuno più di loro, sosteneva il Maitre di Sainte Anne Valentin Magnan, si giova dell’asilo. Un’occasione per presentare il mio lavoro in corso sull’istituzionalizzazione degli autistici a fine ottocento nel frenocomio dell’isola di San Servolo a Venezia. Altra connotazione spaziale in relazione all’autismo sono gli spazi personali, da preservare e coltivare. Subisco come assalto violento ogni tentativo di chiunque di intromettersi nella mia vita, cosa che naturalmente fa saltare sul nascere qualunque forma di relazione interpersonale/affettiva stabile. Allo spazio rimanda uno dei testi cardine della storia della “cultura dell’autismo”, Un antropologo su Marte, di Oliver Sacks. La metafora significa ovviamente che ci troviamo ad interpretare senza possederne il codice una lingua bizzarra che scorre accanto alla lingua denotativa e comprensibile e che, come antropologi in una selva ostile, siamo coinvolti in una pratica continua e faticosissima di decodificazione di linguaggi sconosciuti. Ma significa ad un tempo che, se noi siamo antropologi, voi siete marziani.