Ultime notizie dal mondo 15-30 Giugno 2007
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Ultime notizie dal mondo 15-30 Giugno 2007
Ultime notizie dal mondo 15-30 Giugno 2007 (http://www.rivistaindipendenza.org/) a) Palestina. Come si arriva alla crisi attuale (17, 22, 23) e lettura d’insieme della situazione (21, 27). Già circolano documenti scottanti presi negli uffici degli inquietanti, a dir poco, Abu Mazen (presidente ANP) e Dahlan (Intelligence). «Il più grande disastro di spionaggio nell’ultimo secolo» dicono preoccupati da Israele (15, 18). E quel che filtra si dice sia ancora niente. Intanto lo screditato (tra i palestinesi) Abu Mazen, su procura di Tel Aviv e di Washington, che lo riempiono di dollari (20), con decreti (17, 18, 28, 29) vìola anche la Costituzione palestinese e prefigura un’entità bantustan gradita a USA e Israele. Lavora per un più consistente bagno di sangue inter-palestinese, mentre si propone una legge elettorale (24) per eliminare Hamas che alle ultime elezioni ha avuto la maggioranza assoluta dei seggi. Da vedere: chi è Fayyad (15), messo a capo di un esecutivo illegittimo; il ruolo di Dahlan (18, 21); crisi di Fatah (17, 21) e clamorosa dichiarazione, con immediato dimissionamento, del consigliere-capo dello stesso Abbas (29); atteggiamento di Israele (17, 26); alcune reazioni negative di analisti egiziani sull’«azione preventiva» di Hamas (17); dichiarazioni di esponenti di Hamas (15, 16): l’atteggiamento USA (16). b) USA. Sembra incredibile ma al Pentagono progetta(va)no una «bomba gay» (20). Intanto dai documenti desecretati della CIA ulteriori chicche sul «modello democratico» di questo paese (26). Guantanamo e lo “stato di diritto” a stelle e strisce (24). L’Unione Europea s’inchina alle richieste, da parte di Washington, di schedature dei passeggeri in volo per gli States ed anzi già si parla, con inascoltate voci critiche, di imitarle (30). Dai principali teatri d’occupazione. Afghanistan: «bounty killer» con licenza di uccidere / torturare per conto di Washington (15, 18, 24, 30) e la guerriglia punta su Kabul (22). Iraq: gli USA armano tribù sunnite e generano polemiche (17); Negroponte, attentato alla moschea di Samarra e governo iracheno (17); chiude l’agenzia ONU su armi distruzione di massa senza aver trovato alcunché (18); preoccupazioni dell’ambasciatore USA a Baghdad (18); 9-10 anni ancora in Iraq (19). c) Catalogna: inaspettata vittoria alle municipali degli indipendentisti (15); Corsica: “cade” dal terzo piano di un ufficio dell’antiterrorismo un indipendentista còrso (15) e comunicato del FLNC-UC (28); Irlanda del Nord (21, 26, 29). Sparse ma significative: • Italia / USA. Base USA “Dal Molin” al via. Lo annuncia ambasciatore USA. Parlamento italiano all’oscuro. Roba da banani-land (15). • Turchia / Iraq / Kurdistan. L’esercito turco spinge per un attacco contro i kurdi nell’Iraq del nord. Ma lo fa anche per altre ragioni (19, 29). • Venezuela. Seconda tappa della rivoluzione energetica (18), referendum revocatori (17), nascita del PSUV (23), petrolio (26) e un invito di Chávez alle forze armate del suo paese (25). • Russia. Scudo antimissile: la sbeffeggiata di Washington su un’uscita del Cremlino (15) e penetrazione energetica nei Balcani (25). 1 Tra l’altro: Lettonia (16 giugno). Serbia (26 giugno). Sahara Occidentale (21, 27 giugno). Etiopia (29 giugno). Libano (16, 26 giugno). Yemen (16 giugno). Pakistan (23 giugno). Cina / Iraq (23 giugno). Canada (30 giugno). USA / Cina (16 giugno). Messico (17 giugno). Brasile (15 giugno). Colombia (23 giugno). Bolivia (27 giugno). • Italia / USA. 15 giugno. È l'ambasciatore USA in Italia, Ronald Spogli, a comunicare, al posto del governo italiano, che gli USA hanno ricevuto «l'avallo scritto che autorizza il progetto per la base». «Ora inizia la parte attuativa» del progetto stesso, ha proseguito Spogli, chiarendo che Prodi ha ribadito il suo ok nell'incontro con George W. Bush a Roma, sabato scorso. Il governo Prodi non ha ritenuto di dover informare il parlamento del via libera ufficiale alla base. • Catalogna. 15 giugno. La sinistra indipendentista catalana fa un balzo in avanti con le CUP alle municipali dello scorso 27 maggio. Con le Candidature d'Unità Popolare (CUP), da 6 consiglieri ottenuti quattro anni fa, gli indipendentisti sono arrivati a 22, oltre ad altri 20 ottenuti presentandosi collegati con altre proposte elettorali di sinistra. Presentati candidati provenienti dai settori sindacale, ecologista, di difesa della cultura e della lingua catalana, libertario. Il successo è venuto dal lavoro delle organizzazioni che configurano la sinistra indipendentista catalana (Endavant, MDT e le organizzazioni giovanili Maulets i CAJEI). Le CUP si sono convertite nello spazio unitario della sinistra indipendentista nell’ambito della lotta elettorale municipale, come già lo sono anche le SEPC nell’ambito studentesco e l’organizzazione Alerta Solidària per le questioni anti-repressive. A livello nazionale, lo spazio d’incontro intorno al quale si sta strutturando tutto il movimento è la campagna «300 anni di occupazione, 300 anni di resistenza» (in ricordo della battaglia di Almansa del 1707, che vide la vittoria delle truppe borboniche e che ha dato l’inizio all’occupazione spagnola dei Paesi Catalani), che denuncia la divisione amministrativa dei Paesi Catalani e rivendica il diritto all’autodeterminazione. Secondo un’analisi dei flussi elettorali, la sinistra indipendentista avrebbe attratto voti di scontenti dell’ERC (la sinistra repubblicana catalana, indipendentista), dell’ICV (Iniciativa per Catalunya Verds) e di una parte significativa tradizionalmente astensionista. L’8 luglio è convocata l’Assemblea Generale delle CUP, per dotarsi da subito di una struttura che permetta una maggior coesione e agilità nel lavoro politico. • Corsica. 15 giugno. Un prigioniero còrso è grave dopo essere caduto da una finestra dell’Antiterrorismo. L’indipendentista Dominique Pasqualaggi è precipitato ieri da una finestra del terzo piano del palazzo dove ha sede la Sezione Antiterrorista della Polizia Giudiziaria francese a Parigi. Secondo la versione della polizia, Pasqualaggi, 34 anni, «si è lanciato da una finestra aperta» ed è stato trasferito con urgenza in un ospedale vicino. Pasqualaggi è accusato di aver partecipato, il 21 gennaio 2006, ad un attentato contro uffici 2 del ministero dell’Economia a Aix-en-Provence ed era stato trasferito alle dipendenze della polizia per essere interrogato su un altro caso. • Palestina. 15 giugno. Hamas mette le mani su documenti scottanti. Dopo la caduta dell'edificio della Sicurezza preventiva, sede del palestinese filo-israeliano Mohammed Dahlan, luogo dove faceva torturare gli oppositori islamici e tagliare loro le barbe in segno di spregio, sarebbero state trovate le prove della collaborazione tra i servizi segreti guidati da Dahlan e la CIA. La notizia, a Gaza, non ha sorpreso nessuno. Si tratta, sostiene Hamas, di documenti segretissimi che svelerebbero uomini, reti e trame di molti servizi segreti occidentali a cominciare dalla CIA. Varie fonti sostengono che a Gaza è avvenuta la più grossa fuga di informazioni subita da israeliani, statunitensi e britannici in questi ultimi anni. I documenti conterrebbero gli elenchi nominativi di agenti, di informatori, di politici che avrebbero passato informazioni, di infiltrati nelle reti straniere di spionaggio e controspionaggio fino ai piani realizzati dagli 007 palestinesi sotto copertura in vari paesi del Medio Oriente, spesso in collaborazione (se non per conto) di agenzie internazionali come CIA statunitense, MI6 britannico e in parte l'FBS russo. Una parte dei documenti riguarderebbe delicate questioni interne alla politica palestinese, come la destinazione dei milioni di dollari giunti sotto forma di aiuti negli anni scorsi e poi dispersi in una fitta rete di corruzione. • Palestina. 15 giugno. Abu Mazen ha nominato, ieri sera, un nuovo primo ministro: è Salam Fayyad, 55 anni, ministro delle finanze nel governo di unità nazionale e ministro dell'economia nel governo di al Fatah del 2002. Un moderato che piace agli statunitensi: ha studiato economia in Texas, ex-funzionario della Banca Mondiale, è anche l'unico esponente del governo Hamas-Fatah ricevuto dall'amministrazione USA (il 18 aprile dal segretario di Stato Rice). Non ha molto credito tra i palestinesi. Alle ultime elezioni, molto partecipate, ha raccolto solo il 2% delle preferenze non solo a Gaza ma anche in Cisgiordania. • Palestina. 15 giugno. «Precipitosa» e «illegittima» la decisione di Abu Mazen di sciogliere il governo d'unità nazionale, annunciare costituzione di un governo d'emergenza e elezioni anticipate. Il primo ministro destituito da Mazen, Ismail Haniyeh, replica subito in conferenza stampa: («il governo in carica porterà avanti i suoi compiti») e propone la ripresa dei colloqui con Mazen («ribadisco che la porta è ancora aperta per ricostruire le relazioni palestinesi sulla base dei valori nazionali»). Haniyeh ha escluso l'intenzione di creare una Repubblica islamica («La Striscia di Gaza è una parte indissociabile della patria e i suoi abitanti costituiscono una parte indissociabile del popolo palestinese. Appartiene a tutto il popolo palestinese non solo ad Hamas»). Abu Mazen però non sembra dare ascolto a Haniyeh. Entrambe le parti accusano l'altra di aver effettuato un colpo di Stato (ma quale Stato?, ndr). • Iran. 15 giugno. Un attacco militare USA sarebbe «catastrofico e un atto di pura follia che non risolverebbe il problema». Così il responsabile dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica Mogammed, El Baradei, a Vienna. L'Iran –ha detto– è vicino alla produzione di uranio arricchito su larga scala e ha fatto appello alle autorità iraniane perché sospendano il loro programma nuclreare. • Afghanistan. 15 giugno. Karzai «perdona» ex militare USA delle forze speciali, «bounty killer» e torturatore. Il presidente afghano Karzai (ex dipendente della Halliburton del vicepresidente USA Cheney) ha scagionato Jack Idema, che in Afghanistan aveva impiantato un sistema di carceri private dove i prigionieri anti-governativi venivano 3 torturati. Nella sua difesa Idema ha sostenuto che il lavoro suo e di altri «bounty killer» a caccia di taglie era conosciuto e approvato dai governi di Washington e Kabul. • Russia. 15 giugno. Washington respinge l’offerta russa sullo scudo antimissile. Il radar offerto da Mosca in Azerbaijan non è ritenuta un’alternativa a quello che il Pentagono intende installare nella Repubblica Ceca come parte del suo scudo antimissile in Europa. Dopo un Consiglio NATO-Russia, ieri il capo del Pentagono, Robert Gates, ha detto che il radar dell’Azerbaijan è «una capacità addizionale» a quello nella Repubblica Ceca. Dopo di che Gates ha espresso, beffardamente, il suo «apprezzamento» per l’offerta russa, che considera un «riconoscimento» dell’esistenza della «minaccia di un attacco con missili dal Medio Oriente». • Brasile. 15 giugno. Critiche a Lula sulla riforma agraria e per gli agro-combustibili. Ha chiuso oggi, a Brasilia, il V congresso del Mst (Movimiento dos Trabalhadores Sem Terra), il più numeroso (18mila i partecipanti) nei 23 anni di storia del movimento, con una marcia contro le multinazionali dell'agro-business. Oggi l'Mst è presente in 24 stati del paese e rappresenta più di 350mila famiglie occupanti. Uno dei nodi centrali del congresso è stata la critica agli accordi presi nel marzo scorso dal governo Lula con George Bush sulla produzione di agro-combustibili: accordi fortemente orientati al modello agricolo delle esportazioni e quindi della coltivazione intensiva, assai avverso ai piccoli produttori rurali. Una posizione, quella di Lula, che ha segnato un passo in più verso la rottura, finora sempre evitata, fra l'ex sindacalista e i Sem Terra che l'avevano portato alla vittoria nel 2002 e contribuito –pur con molte riserve– a quella del 2006. Lula ha inaugurato il secondo mandato cedendo alle seduzioni dei giganti dell'agro-business. Vanderlei Martini, uno dei dirigenti dell'Mst, ha reso noto che il gabinetto di governo aveva preso contatti con gli organizzatori del congresso affinché invitassero Lula a parteciparvi, ricevendo in risposta un secco rifiuto. Il Sem Terra è oggi un movimento di massa divenuto punto di riferimento di tutte le altre lotte contadine, non solo del continente. Fidel Castro, in una lettera al congresso, l'ha dipinto come una delle più organizzate roccaforti del mondo contro l'impero statunitense. Quest'ultimo congresso è stato inoltre marcato da una novità: l'alleanza inedita fra lotta per la terra e movimenti che si occupano di casa, salute e lavoro nelle aree urbane. Ossia la convergenza fra riforma agraria e più generale giustizia sociale. • Brasile. 15 giugno. Contro «gli atti genocidi promossi dagli Stati Uniti nel mondo». Ieri, gli oltre 17mila delegati al Congresso del Mst (Movimiento dos Trabalhadores Sem Terra), hanno manifestato davanti alla rappresentanza diplomatica USA: deposte venti bare di legno coperte da teli neri e con i nomi dei paesi aggrediti da Washington. Di fronte alla sede del Ministero degli Esteri i manifestanti hanno espresso la loro opposizione alla presenza di militari brasiliani al comando dei caschi blu ad Haiti. • Lettonia. 16 giugno. Riga «certamente d’accordo» se Washington decidesse di piazzare elementi del proprio sistema missilistico in Lettonia. Lo ha dichiarato il primo ministro lettone Aigars Kalvitis lo scorso 7 giugno. • Libano. 16 giugno. Prova di forza dell’«illegale e anticostituzionale» (parole di Lahoud) governo Siniora. Il ministro dell’Informazione, Ghazi Aridi, ha reso noto che l’esecutivo ha stabilito per il 5 agosto prossimo la data delle elezioni suppletive per i seggi parlamentari rimasti vacanti a causa dell’uccisione di Pierre Gemayel e Walid Eido. «Una volta emesso il decreto, verrà eseguito anche se il presidente della Repubblica si rifiutasse di approvarlo», ha minacciato Ghazi al-Aridi. Il presidente Emile Lahoud ha replicato con un comunicato che, in quanto garante della Costituzione, il governo «illegale» (secondo la Costituzione e 4 gli accordi di Taif, un esecutivo libanese deve essere comprensivo di tutte le comunità; quella sciita, con le dimissioni, lo scorso novembre, di tutti i suoi sei ministri, non lo è più), per convocare elezioni suppletive, deve formare un «governo costituzionale», di unità nazionale, per approvare la misura. Se il governo Siniora persistesse nel voler evitare il ricorso alle urne per elezioni generali, questo voto parziale non potrà aver luogo in una cornice di costituzionalità. Ora il presidente della Repubblica deve ratificare o meno il decreto entro 15 giorni, come prevede l’iter. Aridi ha già fatto sapere che «la nostra decisione è di fare le elezioni (suppletive, ndr)». In questo caso c'è chi già ipotizza che il presidente possa nominare un nuovo governo, e così il paese potrebbe ritrovarsi con due esecutivi. • Palestina. 16 giugno. «C'è in carica un governo legittimo che raccoglie la fiducia del parlamento palestinese e la benedizione della grande maggioranza del nostro popolo». Lo ha dichiarato il portavoce di Hamas nella Striscia di Gaza, Ismail Redwan. Che ha aggiunto: «La decisione del presidente è un colpo di Stato contro la legittimità palestinese e una violazione della nostra legge». Secondo il portavoce di Hamas «da questo momento in poi la Striscia di Gaza è al sicuro dopo che è stato rimosso il pasticcio istituzionale che esisteva nelle fila della sicurezza, e quindi il popolo palestinese non aveva alcun bisogno di questo governo di emergenza». Ismail Redwan ha inoltre ribadito che «Hamas ha aperto e continua ad aprire le braccia a Fatah e a tutte le altre espressioni della resistenza palestinese», per governare insieme così come stabilito nell'accordo fra le principali fazioni. • Palestina. 16 giugno. Gli USA annunciano che revocheranno le sanzioni al nuovo governo di emergenza e Israele si accinge a fare lo stesso. Coloro che, incuranti delle conseguenze per i civili palestinesi, avevano bloccato il flusso di finanziamenti all'Autorità Nazionale Palestinese e che con le loro pressioni fortissime hanno contribuito allo scontro FatahHamas, si preparano ora a coprire d'oro il governo d'emergenza proclamato dal presidente Abu Mazen. Il Quartetto per il Medio Oriente (USA, Russia, UE ed ONU) ieri ha riconosciuto la «legittimità» delle decisioni di Abu Mazen, il quale ha sciolto il governo di unità nazionale guidato dal premier di Hamas Ismail Haniyeh, per nominare un esecutivo di emergenza che avrà alla guida l'ex ministro delle finanze Salam Fayyad, un passato alla Banca Mondiale e molto gradito a Washington. «Ritengo che lavoreremo a fianco di questo governo», ha dichiarato con tono soddisfatto il console USA a Gerusalemme Jacob Walles. • Palestina. 16 giugno. Gli Stati Uniti hanno «la responsabilità essenziale» della crisi palestinese. Lo ha dichiarato Khaled Meshaal, il capo dell’Ufficio politico di Hamas, aggiungendo che «il popolo palestinese dagli americani non ha ricevuto altro che complotti, tormenti e afflizioni». Durante una conferenza stampa tenutasi ieri sera a Damasco prima della riunione della Lega araba, Khaled, definendo illegale la decisione di Abu Mazen di sciogliere il governo di unità nazionale e nominare Salam al Fayyad alla guida di un nuovo esecutivo, ha ribadito la volontà del suo movimento di lavorare insieme con al-Fatah. • Yemen. 16 giugno. Accordo di cessate il fuoco per i combattimenti nel nord dello Yemen. Il governo yemenita e i militanti sciiti hanno raggiunto un accordo, con la mediazione del Qatar: il governo, in cambio della consegna delle armi pesanti, rilascerà i militanti sciiti prigionieri, pagherà i costi per ricostruire i villaggi danneggiati, sosterrà le spese di risarcimento e aiuterà la popolazione deportata a rientrare nelle proprie case. • Iran. 16 giugno. Appello all’unità ai palestinesi. Teheran rivolge un appello ai palestinesi affinché restino uniti, rispettino i risultati delle elezioni del 2006 vinte da Hamas e «combattano il nemico sionista». L’appello è contenuto in una dichiaraione del portavoce 5 del ministero degli Esteri, Mohammad Ali Hosseini. «La Repubblica islamica ha sempre dichiarato la sua contrarietà ai conflitti interni, che vanno contro gli obiettivi rivoluzionari dei palestinesi. Noi crediamo che i gruppi palestinesi debbano unirsi e combattere il nemico sionista per porre fine all’occupazione». • Iran / Cuba. 16 giugno. Ventinove memoranda per una cooperazione economica e commerciale sono stati siglati oggi a L’Avana, durante il dodicesimo incontro della Commissione Economica Congiunta Iran-Cuba. Lo comunica l’agenzia iraniana Irna. • Kirghizistan. 16 giugno. Mosca intende nei prossimi due anni incrementare il numero di truppe e di velivoli di combattimento nella propria base aerea in Kirghizistan. La base russa di Kant è distante circa 20 miglia da Bishkek ed impegna al momento 400 soldati e 20 aerei ed elicotteri da combattimento e da trasporto. Questi numeri dovrebbero salire a 500 truppe e 28 velivoli. • Corea del Nord. 16 giugno. La Corea del Nord ha invitato gli ispettori dell’ONU a Pyongyang per verificare l’avvenuta disattivazione della centrale atomica di Yongbyon. A dare l’annuncio è l’agenzia nordcoreana Kcna. Come contropartita, Kim Jong Il dovrebbe ricevere lo sblocco dei fondi congelati per iniziativa USA dal settembre 2005. • USA / Cina. 16 giugno. Nuovi controlli sull'esportazione di materiale di alta tecnologia acquistato dalla Cina, inclusi sistemi di comunicazione spaziale e aeromobili. Potrebbe essere usato dai militari cinesi. Lo ha deciso il dipartimento per il commercio statunitense. Le nuove disposizioni, in vigore dal 19 giugno, porteranno ad un programma di «clienti affidabili» che consentirà ad aziende cinesi approvate di importare materiale high-tech senza l'obbligo di ottenere una licenza specifica. • Palestina. 17 giugno. Da oggi esistono due amministrazioni palestinesi. Il nuovo governo di emergenza, che controlla la West Bank occupata, affidato da Abu Mazen a Salam al-Fayyad, ha prestato giuramento. Abu Mazen ha anche emesso un decreto dichiarando illegale la Forza di pronto intervento che a suo dire è un’organizzazione armata di Hamas e non del Ministero degli Interni palestinese. Il decreto specifica, senza citarle per nome, anche cosiddette altre milizie che vengono messe fuorilegge «a causa del colpo di Stato contro le legittime istituzioni palestinesi», che sarebbe stato compiuto nella striscia di Gaza. Il decreto rileva che coloro che fanno parte di questi gruppi «verranno puniti». • Palestina / Israele. 17 giugno. «Un partner per la pace». Così il primo ministro israeliano Ehud Olmert ha definito il nuovo governo nominato dal presidente palestinese. Nel frattempo il nuovo ministro della Guerra israeliano Ehud Barak, il cui insediamento è previsto per domani, starebbe preparando un’operazione militare a Gaza per le prossime settimane. Lo scrive il Sunday Times, che cita fonti militari del regime sionista, secondo cui verrebbero mobilitati non meno di 20mila uomini. Intanto, la compagnia energetica israeliana Dor Alon ha annunciato di aver bloccato le forniture di carburante a Gaza, in coordinamento con le Forze militari israeliane. Secondo quanto scrive il quotidiano Yediot Ahronot, se i rifornimenti non riprenderanno, nel giro di due o tre giorni tutte le pompe di benzina della Striscia resteranno senza carburante. • Palestina. 17 giugno. Lento ma progressivo il declino di al-Fatah. La costituzione del governo di Fayyad, subito sostenuto da USA, Israele e dalla vassalla Unione Europea, segna indubbiamente una vittoria per le fazioni (filo USA e filo Israele) di al-Fatah. Ma ad un’analisi a più ampio raggio, non si può non rilevare innanzitutto il fallimento, per le 6 aspirazioni del popolo palestinese, della politica di al-Fatah che da Oslo in poi ha puntato a raggiungere per via negoziale un accordo con Israele sulla base dello slogan «due popoli, due Stati». Dopo quasi vent’anni, i sionisti hanno consolidato e rafforzato la loro occupazione, tra l’altro costruendo nuovi insediamenti coloniali nel cuore della Cisgiordania ed erigendo un colossale “Muro dell’Apartheid” con gli obiettivi di annettersi ulteriori terre e rinchiudere / accerchiare i villaggi palestinesi per farne dei veri e propri Bantustan o prigioni a cielo aperto che dir si voglia. Al-Fatah si è prestato a questo gioco. Notoria la corruzione ed il nepotismo nell’amministrazione del potere nei Bantustan cisgiordani, così come la collaborazione dei servizi di sicurezza di Abu Mazen –del famigerato Dahlan in primis– con quelli sionisti nella repressione delle componenti palestinesi più radicali. • Palestina. 17 giugno. La vittoria di Hamas nelle elezioni del gennaio 2006 è stata la logica conclusione della strategia di al-Fatah. In quell’occasione gli USA, con l’appoggio dell’Unione Europea, diedero l’avvio al blocco economico dei territori palestinesi, prendendo come pretesto il rifiuto da parte di Hamas di precondizioni per una trattativa che un alto funzionario dell’ONU, Alvaro de Soto, in un rapporto che avrebbe dovuto rimanere confidenziale, doveva poi definire «non ottenibili (unachievable)». Fin dal principio fu chiaro che il fine del boicottaggio era la creazione di una situazione talmente catastrofica da spingere i palestinesi a rivoltarsi contro quello stesso governo di Hamas da loro democraticamente eletto solo poco prima. Insomma, come argomentato dallo studioso statunitense Augustus Richard Norton, si trattava di realizzare un colpo di Stato «soft». In effetti, il blocco economico imposto dagli USA e il mancato versamento da parte di Israele dei proventi di una serie di imposte e di tariffe doganali, riscosse dallo Stato sionista secondo il dettato dell’accordo di Oslo, ma dovute all’ANP, hanno determinato una vera e propria catastrofe umanitaria nei territori occupati (largamente sottaciuta dai nostri media). Tuttavia, contrariamente agli auspici statunitensi, la rivolta popolare contro Hamas non c’è stata. • Palestina. 17 giugno. Arriviamo all’accordo della Mecca dell’8 febbraio, mediato dai Sauditi, che avrebbe dovuto stabilizzare la situazione nei territori occupati attraverso la creazione di un governo di unità nazionale tra Hamas e al-Fatah. Un accordo fallito a causa del blocco economico. La mediazione saudita, per portare a risultati concreti e permanenti, avrebbe dovuto comportare l’invio di cospicui aiuti economici alla popolazione dei territori occupati. Tali aiuti, in effetti, erano stati previsti –e in modo generoso– dai Sauditi. Il problema è che la continuazione del blocco economico dei territori occupati ne ha impedito l’afflusso: mentre la situazione sul terreno si faceva sempre più drammatica, i palestinesi hanno continuato a sprofondare nell’indigenza e perfino nella fame, nelle loro gabbie a cielo aperto a Gaza e nella Cisgiordania. La politica di affamare i palestinesi per determinare il crollo di popolarità di Hamas è stata fatta alla luce del sole. Questa, però, era solo una parte del piano di destabilizzazione messo in atto sotto la regìa di Washington. Il 30 aprile, il settimanale giordano Al-Majd ha pubblicato un servizio su un documento intitolato “Action Plan for the Palestinian Presidency”, piano finalizzato ad abbattere il governo di unità nazionale palestinese nato dalla mediazione saudita. Secondo il testo diffuso da Al-Majd, che ha riferito di avere ottenuto il documento da una fonte interna ai servizi segreti giordani, il deterioramento della situazione economica nei territori occupati avrebbe dovuto portare alla decisione del presidente dell’ANP, Mahmoud Abbas, di sciogliere il parlamento palestinese e di indire nuove elezioni. In considerazione però del fatto che Hamas continuava a disporre non solo della maggioranza parlamentare, ma anche dell’appoggio della maggioranza della popolazione, una decisione del genere –ingiustificabile dal punto di vista legale– non avrebbe avuto nessuna possibilità di ottenere l’accettazione di Hamas. Perché il progetto potesse realizzarsi era quindi necessario che il governo palestinese fosse 7 rimosso con la forza delle armi, nel corso di un vero e proprio colpo di Stato. Una soluzione questa che, secondo altre fonti, era stata prevista e poi fortemente voluta da un alto esponente dell’Amministrazione Bush fin dal febbraio 2006, Elliott Abrams, già longa manus di Reagan in tutte le attività sovversive allora messe in atto dagli USA in Centro America ed oggi uno dei personaggi più potenti dell’Amministrazione Bush. • Palestina. 17 giugno. Rimesso in pista da George Bush all’inizio del suo secondo mandato, Abrams è stato promosso a “vice consigliere per la sicurezza nationale incaricato della strategia per la democrazia globale” (Deputy National Security Advisor for Global Democracy Strategy). Coerentemente con le proprie politiche, Bush ha poi incaricato il suo consigliere per la “democrazia globale” di destabilizzare la democrazia palestinese. Il ruolo di protagonista del colpo di stato ideato da Abrams era stato individuato nel presidente Abbas. Quest’ultimo avrebbe usato le milizie di al-Fatah, a lui fedeli, capeggiate dall’ex capo della sicurezza preventiva a Gaza, Mohammad Dahlan (che, attualmente, ricopre la carica di consigliere per la Sicurezza del presidente Abbas). Secondo Conflictsforum, il ruolo più importante nella preparazione del colpo di Stato avrebbe finito per essere affidato non tanto alla CIA (scettica sulla possibilità di riuscita del piano), quanto ad un gruppo di funzionari dell’antiterrorismo alle dipendenze del Dipartimento di Stato USA. Costoro, agendo attraverso i servizi segreti giordani ed egiziani, hanno promosso il riarmo delle milizie di al-Fatah e, addirittura, il loro addestramento in due basi a Gerico e a Ramallah. Nel frattempo, gli israeliani guardavano dall’altra parte: come ammesso da un portavoce della Difesa (Jerusalem Post del 7 giugno), «non forniamo fisicamente armi ai palestinesi. Permettiamo semplicemente che accada». • Palestina. 17 giugno. Il programma di destabilizzazione ha subìto una netta accelerazione subito dopo la conclusione, lo scorso febbraio, della mediazione saudita e la conseguente formazione del nuovo governo di unità nazionale. Secondo le nuove tabelle di marcia, la destituzione del governo palestinese avrebbe dovuto avvenire tanto presto da poter indire nuove elezioni per l’autunno di quest’anno. Parte integrante dell’accelerazione del piano è stato un parziale rilassamento del blocco economico, in modo da rendere possibile convogliare aiuti finanziari di una certa entità al presidente Abbas. Tali aiuti avevano il fine ufficiale di avviare una serie di progetti di ricostruzione e quello reale di permettere ad Abbas di finanziare i propri partigiani e di puntellare la propria traballante popolarità. Il piano Abrams aveva però una fatale pecca: la ormai scarsissima popolarità del presidente Abbas e del suo partito al-Fatah. In un articolo del 25 dicembre su Ha’aretz, Yuval Diskin, capo dello Shin Bet (il corpo dell’intelligence responsabile della sicurezza in Israele e nei territori occupati), in una dichiarazione di fronte al governo israeliano, aveva messo in luce come, mentre Hamas manteneva il suo seguito popolare, al-Fatah si stesse disgregando. Secondo Diskin, in caso di nuove elezioni nell’Autorità Palestinese, «le probabilità di Fatah di vincere (…) sarebbero state prossime allo zero». Il piano, però, è andato avanti lo stesso, anche se, forse, non nei modi previsti da Abrams: Hamas, infatti, capita l’antifona, invece di impantanarsi in un conflitto alla lunga logorante, trovatasi in una posizione di forza ha scelto l’attacco alle brigate di Dahlan. • Palestina. 17 giugno. Sconfitte le milizie di Dahlam, Hamas ha preso il controllo della Striscia di Gaza. A questo punto Abu Mazen ha dimissionato il governo di unità nazionale parlando di “colpo di Stato”. E con gli israeliani che pressoché quotidianamente uccidono, bombardano, arrestano, demoliscono e sradicano case e coltivazioni in Palestina nell’assoluta impunità, cosa fa Abu Mazen? Lancia un velato quanto immotivato ammonimento a Siria ed Iran a non interferire nella situazione interna. Incredibile! Non c’è da stupirsi allora del sostegno offerto da Bush e da Olmert ad Abu Mazen nella formazione 8 di un nuovo governo. Le decisioni di Abu Mazen violano apertamente la Costituzione palestinese in quanto egli, pur formalmente potendo dimissionare un governo, non può insediarne un altro con atto d’imperio, ovvero senza l’approvazione del Consiglio Legislativo Palestinese (il Parlamento dell’Autorità Nazionale Palestinese, dove Hamas ha la maggioranza assoluta). La Costituzione, inoltre, non dà al Presidente, nemmeno ove dichiarasse lo stato di emergenza, di sospendere gli articoli che riguardano l’autorità del Consiglio Legislativo Palestinese né ha l’autorità di dissolverne o interromperne i lavori durante il periodo di emergenza (articolo 113). In poche parole se golpe c’è stato, questo è quello orchestrato per procura da Abu Mazen. • Palestina. 17 giugno. Analisti e commentatori egiziani non hanno dubbi: prendendo militarmente il controllo della Striscia di Gaza, Hamas ha firmato il suo atto di morte. «Hamas si è messo in prigione da solo e ha consegnato le chiavi al nemico», dice Emad Gad, principale esperto egiziano di affari israeliani. «Chiuso dentro a 360 chilometri quadrati, Hamas si troverà a gestire un milione e mezzo di persone alle quali Israele può togliere tutto, acqua, elettricità, cibo. Quanto potrà durare? Cinque o sei settimane al massimo», dice Gad. E già oggi la compagnia petrolifera israeliana Dor Alon ha annunciato che taglierà i rifornimenti alle stazioni di servizio della Striscia. Per il momento rifornirà soltanto le centrali elettriche. «Sono caduti come stupidi nella trappola di Mohammed Dahlan (responsabile della sicurezza di Fatah, ndr) che mette in atto un'agenda scritta da Stati Uniti e Israele», aggiunge Gad, «Il nuovo premier israeliano otterrà subito l'aiuto di USA e Israele e, in conclusione, la Cisgiordania sarà il paradiso e Gaza sprofonderà ancor più nell'inferno». Nemmeno l'Egitto muoverà un dito per aiutare Hamas, che ha già abbandonato, riconoscendo immediatamente il governo scelto da Abu Mazen insediatosi oggi a Ramallah: «Il Cairo non ha alcun interesse ad aiutare Hamas», commenta ancora Gad, «perché la fine di Gaza sarà di esempio a chi sostiene i Fratelli musulmani», la principale forza d'opposizione egiziana legata a Hamas. Occupando Gaza, scrive Makram Mohammed Ahmed sul quotidiano governativo egiziano al Ahram, «Hamas ha sepolto per un tempo indeterminato la causa palestinese... ha offerto su un piatto d'argento a Israele la separazione tra Cisgiordania e Gaza». Il piano era evidente, commenta sullo stesso giornale Salama Ahmad Salama, «ora che Gaza è sotto controllo (del movimento islamico, ndr), comincia la seconda fase, isolare Hamas e dare tutto il potere a Ramallah a Mahmud Abbas... creando due entità separate non ci sarà più bisogno di nessun negoziato». L'ANP sarà riconosciuta governo legittimo e Hamas un potere ribelle «che protegge a Gaza terroristi e sostenitori di al Qaeda». • Palestina. 17 giugno. A Gaza è iniziata la caccia alle ultime scorte di benzina dopo che la società israeliana Dor Alon ha annunciato di aver congelato da oggi tutti i rifornimenti di gas e benzina, fatta eccezione per quelli destinati alle centrali elettriche. Molte fabbriche e laboratori, a iniziare da quelli per la produzione del pane, riescono ad avere energia solo attraverso i generatori. Dai generatori dipendono anche gli ospedali, nei quali molte ambulanze sono ferme per mancanza di carburante. • Iraq. 17 giugno. Al-Maliki critica la pratica USA di armare le tribù sunnite contro alQaeda. Il primo ministro iracheno Nouri al-Maliki ha criticato apertamente la nuova pratica seguita dalle forze di occupazione USA di armare delle tribù sunnite nella speranza di vederle arruolate nella battaglia contro al-Qaeda. Al-Malki, citato dalla Reuters, ha detto al settimanale Newsweek «Vogliamo armare alcune tribù che intendono stare al nostro fianco, ma a condizione di conoscerle molto bene e sicuri che non siano collegate con il terrorismo». Al-Malki ha poi aggiunto che «alcuni ufficiali USA sul campo hanno sbagliato per mancanza di conoscenze riguardo la gente con cui hanno a che fare. Credo che le forze 9 della coalizione non conoscano la storia delle tribù locali. Hanno commesso degli errori e questo è pericoloso, perché contribuirà a creare nuove milizie». • Iraq. 17 giugno. Negroponte sapeva di Samarra. Una fonte citata dall’iraniana Press Tv ha affermato che ci sono indicazioni secondo cui il vice segretario di Stato USA John Negroponte fosse al corrente già il 12 giugno scorso, durante la sua inattesa visita a Baghdad, dell’imminente attentato al santuario sciita di Samarra, avvenuto l’indomani. Durante i suoi colloqui a Baghdad, Negroponte avrebbe insistito con diversi alti rappresentanti iracheni affinché rassegnassero le dimissioni, tra loro il vice presidente Adel Abdul Mahdi, per procedere poi con un cambio di governo. Negroponte avrebbe fatto promesse ai suoi interlocutori di importanti incarichi nel prossimo esecutivo. L’attentato sarebbe stato portato a termine da ex appartenenti ai servizi di sicurezza del deposto regime di Saddam Hussein, con cui gli Stati Uniti ora collaborerebbero attivamente. • Messico. 17 giugno. La Corte suprema messicana ammette per la prima volta che la repressione della rivolta del 2006 ha violato i diritti umani. Il principale responsabile, il governatore Ulisese Ruiz del Pri (Partito rivoluzionario istituzionale), è però sempre al suo posto. Il giudice della Corte suprema di giustizia messicana, Juan N. Silvia Meza, ha pubblicamente sostenuto che «le autorità federali, statali e municipali dello stato di Oaxaca hanno gravamente violato le garanzie individuali nel periodo compreso tra il 2 giugno e il 31 gennaio scorso». Restano le tante persone scomparse dopo la brutale repressione da parte di tutte e tre le forze di sicurezza (federale, statale e municipale), in particolare, il 25 novembre del 2006. Quel giorno furono fermate più di 350 persone, tra cui bambini ed anziani; moltissimi furono incarcerati e 63 colpiti a morte. Altre, in quella stessa circostanza, sono state fatte sparire. • Venezuela. 17 giugno. Si raccolgono firme per attivare i referendum revocatori contro 167 autorità. L’operazione è iniziata ieri presso il Consiglio Nazionale Elettorale. Condizione minima è l’ottenimento della firma del 20% degli elettori. Nella circostanza la richiesta di revoca è stata mossa contro 9 dei 23 governatori del paese, 109 sindaci e 49 legislatori nazionali. È la seconda volta che si realizza un processo di questo tipo, essendo il primo stato celebrato contro il presidente Hugo Chávez, che, sottoposto a referendum revocatorio nell’agosto 2004, ne è uscito trionfatore con oltre il 60%. • • Palestina. 18 giugno. Promulgati ieri due decreti da parte di Abu Mazen. Il primo è più grave e gravido di conseguenze del secondo. Il presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese ha stabilito così, a suo arbitrio, che la disposizione che obbligava il governo palestinese a ricevere l’approvazione del Parlamento è derogata. Il potere legislativo è in mano ad Hamas che, nel gennaio 2006, ha vinto le elezioni ed ha la maggioranza assoluta. Per legittimare il suo (e di USA e Israele) governo, Abu Mazen –con un colpo di spugna degno degli anni più bui delle dittature latinoamericane– ha rimosso il problema per decreto. Con un secondo decreto presidenziale, Abbas ha illegalizzato la Forza Esecutiva e le milizie di Hamas. Il decreto specifica, minacciosamente, che «chiunque sia coinvolto in questi gruppi, sarà punito, in accordo con la legge e gli ordini derivati dallo stato di emergenza». Il primo ministro dell’esecutivo di unità nazionale, Ismail Haniyeh, ha insistito da Gaza che il suo governo continua ad essere il legittimo governo palestinese. «Il Consiglio dei Ministri considera senza base giuridica gli atti compiuti dal presidente, Mahmud Abbas. Il governo di unità palestinese proseguirà nell’adempimento dei suoi obblighi in accordo con la legge», ha dichiarato. 10 • Palestina. 18 giugno. Su Dahlan e la sua gang (Rashid Abu Shubak, Maher al Maqdah e altri), al-Fatah si spacca. Alcune figure di spicco del partito di Abu Mazen, nella Striscia di Gaza, hanno chiesto di mettere sotto processo sia Muhammad Dahlan, uomo forte di Fatah e del presidente Abu Mazen, nonché uomo più volte apprezzato da Israele e USA, sia altri dirigenti corrotti che si sono arricchiti con fondi palestinesi e usato il potere in modo spregiudicato. Tra le accuse, anche quella di aver abbandonato i loro agenti a Gaza, mettendosi al sicuro in Cisgiordania. Abu Mazen, impossibilitato a difendere Dahlan, lo ha rimosso dalla vice presidenza del Consiglio nazionale per la sicurezza. Dacché Dahlan ha assunto quell'incarico, il suo intento è stato creare caos e minare la presenza di Hamas nel governo di unità nazionale. Le conseguenze sono davanti agli occhi di tutti. • Palestina. 18 giugno. Un gruppo di Fatah, ieri, ha chiesto di perseguire penalmente tutti i personaggi-chiave del movimento responsabili della caduta di Fatah nella Striscia di Gaza. Per Dahlan ha chiesto la «massima pena possibile». Tra i dirigenti che hanno richiesto un'epurazione e una condanna per i colleghi di partito c'è anche l'ex segretario di Fatah nella Striscia, Husam 'Udwan. Durante una conferenza stampa, 'Udwan ha chiesto a un leader di Fatah, Ahmad Hillis, di unirsi al gruppo e di formare un comitato di emergenza per «proteggere il movimento». L'ex segretario ha avvertito i colleghi che la stessa «corrente golpista» di Fatah che ha portato alla sconfitta nella Striscia, potrebbe diffondersi anche in Cisgiordania. E ha chiesto le dimissioni dei membri di questa ala «prima che sia troppo tardi». Alla conferenza stampa hanno partecipato leader delle Brigate al-Aqsa (Ala' Tafish, Abu Alwalid al-Ja'bari e il segretario di Fatah nella regione centrale di Gaza, Yousif Issa). Tutti hanno ribadito che la «resistenza contro l'occupazione è l'unico principio palestinese immutabile». Intanto Hamas ha rilanciato il suo appello ad Abbas, «presidente legittimo» ed ai settori «non corrotti» di al-Fatah per cercare un’uscita negoziata alla crisi. Dahlan a Ramallah ha allestito una «sala operativa» per studiare come «recuperare Gaza» assieme ai suoi uomini. • Palestina. 18 giugno. Dahlan aveva pianificato di «liquidare Hamas nella Striscia di Gaza e di eseguire un massacro su vasta scala». Lo ha dichiarato Yahya Mousa, vice-capo del blocco di Hamas nel Consiglio Legislativo palestinese, a Palestine-info. «Il gruppo di Muhammed Dahlan, in collaborazione con gli Stati Uniti, Israele e il capo dell'ANP, Mahmoud Abbas, stava pianificando una campagna sanguinosa contro Hamas nella Striscia di Gaza, e l'uccisione di centinaia di leader e attivisti». Mousa ha riferito che Dahlan stava orchestrando di trasformare Gaza in una gigantesca fossa comune per Hamas e i suoi sostenitori. Tutto ciò, al servizio della guerra contro l'Islam di Israele e del presidente Bush. «Gli 'sradicatori' avevano pianificato di decapitare Hamas. Questo è ciò che ha costretto Hamas a agire». • Israele / Palestina. 18 giugno. «Il più grande disastro di spionaggio nell’ultimo secolo. Mai successa una cosa simile nella storia dei servizi di intelligence internazionale, compresa la caduta del nazismo a seguito della seconda guerra mondiale, e la caduta del comunismo in Germania dell’est negli anni Novanta». Così, da fonti dell’intelligence israeliana, si commenta la caduta dei servizi di sicurezza palestinesi a Gaza in mano al movimento di Hamas. «Questi documenti riveleranno a Hamas e fra poco all’Iran e alla Siria i piani del Mossad, dello Shabak e Aman, delle agenzie di intelligence dei paesi europei, comprese le liste dei collaborazionisti e i nomi di personalità israeliane che hanno lavorato con i palestinesi in diverse azioni in cambio di soldi». Le fonti dell’intelligence israeliana hanno aggiunto che i documenti abbandonati dal regime di Saddam Hussein in Iraq nel 2003 sono considerati «gioco da ragazzi» al confronto di quelli delle forze di intelligence appartenenti al presidente Mahmud Abbas e al suo braccio destro, Mohammad 11 Dahlan. E hanno sottolineato che si sta parlando di «una bomba ad orologeria» reale presente nella sede “delle forze preventive” a Taal al-Hawa e nella sede dell’intelligence palestinese che si trova vicino al porto di Gaza. Materiale che sarà utilizzato da Hamas, Siria, Iran e Hezbollah. «Hamas ha preso il controllo di documenti che riguardano operazioni segrete di organizzazioni di intelligence occidentali eseguite in Medioriente, oltre alle informazioni sui contatti tra i palestinesi e organi di intelligence dal tempo del presidente Yasser Arafat». Le fonti sopraindicate aggiungono che Hamas è in possesso di apparecchiature di ascolto e di osservazione fornite da Washington all’Autorità Nazionale Palestinese. «Siria e Iran saranno disposti, per avere queste informazioni, a pagare grandi somme per capire cosa è successo e quello che sta succedendo. Questo tesoro investigativo sarà una grande mina per tutti i poteri politici in Occidente e per i loro organi di intelligence». Giovedì, fonti occidentali hanno contattato dirigenti israeliani e espresso meraviglia perché questi ultimi non hanno reagito a quanto stava accadendo a Gaza. Si sono chiesti perché l’aviazione non abbia bombardato l'area e le sedi di intelligence palestinese. Queste fonti hanno precisato che non ci sono state risposte da parte israeliana. • Iraq. 18 giugno. Chiude l’agenzia ONU incaricata di cercare le armi di distruzione di massa in possesso di Saddam Hussein. Dopo otto anni di lavoro e una guerra dalle conseguenze ancora non quantificabili, non si è trovato alcunché. La decisione è frutto di un accordo raggiunto all'ONU tra Stati Uniti e Russia. Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite adotterà pertanto, per fine mese, una risoluzione per la chiusura della U.N. Monitoring, Inspection and Verification Commission, creata nel 1999 proprio per cercare le armi biologiche e chimiche presuntivamente in possesso di Saddam. La stessa risoluzione porrà fine anche al lavoro degli uomini dell'ONU a caccia delle armi atomiche irachene. Il possesso da parte dell'Iraq di Saddam delle presunte armi di distruzioni di massa era stata la giustificazione formale per l'invasione ordinata da Bush nel 2003. Feisal al-Istrabadi, viceambasciatore iracheno alle Nazioni Unite, usa parole amare: «Il nostro paese sta ancora pagando le conseguenze di essere stato trattato come uno stato canaglia». • Iraq / USA. 18 giugno. L’ambasciatore USA a Baghdad ha ammesso la gravità della situazione attuale in Iraq. Ryan Crocker ha affermato stamani che le circostanze sono gravi e che ci sono tanti problemi irrisolti in questo paese. Intanto il Washington Post ieri in un editoriale, citando gli esperti del Consiglio delle Relazioni Estere, ha definito fallimentare la politica adottata dalla Casa Bianca in Iraq. • Afghanistan. 18 giugno. La guerra preventiva continua a seminare morti innocenti. Stavolta è toccato a sette bambini. Almeno sette bambini afghani sono stati uccisi dalle bombe della coalizione multinazionale guidata dagli USA. Lo hanno annunciato fonti della coalizione stessa, mentre monta la rabbia per le vittime civili provocate dalle operazioni militari. La violenza è divampata negli ultimi mesi in Afghanistan dopo la pausa invernale, con le truppe straniere impegnate in un’offensiva contro le roccaforti dei guerriglieri talebani e a subire i contrattacchi di questi ultimi. Negli ultimi mesi sono stati più di 120 i civili uccisi dalle truppe straniere in Afghanistan, secondo le stime del governo afgano. Morti che hanno provocato proteste con richieste di dimissioni del presidente Hamid Karzai ed il ritiro delle truppe USA, nerbo dei 50mila militari stranieri impegnati nel Paese. • Venezuela. 18 giugno. Sostituire quasi 27 milioni di lampadine inefficienti con altre a basso consumo energetico, nei settori commerciale, industriale e ufficiale. Riguarderà i 13 stati dal maggior potenziale industriale. È l’inizio di una nuova fase della Rivoluzione Energetica annunciata dal presidente del Venezuela, Hugo Chávez, durante l’inaugurazione dell’impianto a ciclo combinato della termoelettrica Trermozulia, nell’ovest del paese. Lo 12 riferisce il quotidiano cubano Granma. La prima fase ha visto la sostituzione di 53,2 milioni di lampadine incandescenti nelle abitazioni venezuelane. È da mesi che non si producono interruzioni nell’erogazione dell’elettricità in stati come Nueva Esparta, Amazonas e Delta Amacuro, dove queste erano frequenti ed il miglioramento del servizio ha beneficiato molte abitazioni. L’impiego di Termozulia, che riduce al minimo le emissioni nell’atmosfera, è un’altra delle iniziative della Rivoluzione Energetica, che comprende inoltre la sostituzione del petrolio con gas naturale nella generazione elettrica, la sostituzione di impianti d’aria condizionata con altri dal minor consumo e l’impiego di fonti rinnovabili. • Turchia / Iraq / Kurdistan. 19 giugno. Dirigente del PKK avverte la Turchia di non invadere il Kurdistan Sud. Cemil Bayik, figura di spicco del PKK (Partito dei Lavoratori del Kurdistan), ha messo in guardia l’esercito turco dall’intervenire militarmente nel Kurdistan Sud perché si esporrebbe «a un disastro politico e militare». Così dice Bayik al quotidiano britannico The Guardian, dal suo rifugio sulle montagne kurde, aggiungendo che non solo troveranno un’accanita resistenza della guerriglia kurda, ma che «l’esercito turco finirà in un pantano» con un possibile intervento dell’Iran. Per il dirigente del PKK, «i generali turchi giocano ad un gioco molto pericoloso» nel loro tentativo di sloggiare dal potere, ad Ankara, gli islamisti di Recep Tayyip Erdogan, destabilizzare il Kurdistan Sud ed impedire che si celebri un referendum a Kirkuk per decidere se sarà parte o meno dell’ente autonomo kurdo. «Il PKK è solo l’ultima delle sue [dell’esercito turco, ndr] preoccupazioni», ha aggiunto. • Iraq / USA. 19 giugno. Washington prevede di mantenere le sue truppe in Iraq «per almeno altri 9-10 anni». A dichiararlo, ieri, alla televisione Fox News, è stato il comandante delle forze statunitensi nel paese arabo occupato, il generale David Petraeus. Richiesto, quindi, se pensa che gli obiettivi degli Stati Uniti siano raggiungibili per settembre, come da accordi tra il Congresso e l’amministrazione Bush, quando cioè sarà presentata una valutazione della situazione, Petraeus ha risposto che non lo crede possibile. • Gran Bretagna / Afghanistan. 20 giugno. «Rimarremo ancora per decenni». L'ambasciatore di Londra a Kabul, Sherard Cowper-Coles, che ha assunto l'incarico un mese e mezzo fa, ha dichiarato oggi che il suo paese intende mantenere una significativa presenza in Afghanistan per diversi decenni. «Il compito di tenere in piedi un governo dell'Afghanistan che sia sostenibile prenderà molto, moto tempo», ha detto Cowper-Coles alla radio della BBC. «È una maratona, non una gara di velocità. Dovremmo pensare in termini di decenni». L'ambasciatore ha fatto appello al futuro primo ministro Gordon Brown perché non si faccia condizionare dai timori di Tony Blair per possibili rivolte antioccidentali, in particolare contro la Gran Bretagna. Londra ha stanziato 7700 truppe nel paese, in gran parte nel sud, nella provincia di Helmand, dove incontrano la dura resistenza dei combattenti taliban. Negli ultimi mesi le richieste di ritiro da parte della popolazione afghana sono sempre più pressanti soprattutto per i sempre più frequenti massacri di civili sotto i bombardamenti USA-NATO. Su questo l'ambasciatore ha detto: «Sono stati commessi errori, ma la verità è che il popolo afgano ci vuole qui». • Palestina. 20 giugno. In Cisgiordania arriveranno aiuti finanziari per un miliardo di dollari, prontamente promessi da USA, UE e Israele al governo «moderato» di Salam Fayyad. In serata, con l'ennesimo decreto presidenziale, il medico Zakaria al-Agha, uno dei dirigenti storici di Al-Fatah, sarà nominato responsabile del partito a Gaza. Un compito non facile per l'anziano esponente palestinese, tra i protagonisti della Conferenza di pace di Madrid del 1991, chiamato a placare le laceranti polemiche esplose nel partito per la sconfitta umiliante patita, nonostante gli attivisti di Fatah e gli agenti dei servizi di sicurezza fossero più 13 numerosi e meglio armati di quelli di Hamas. «Non volevo morire per quelli (i dirigenti di Fatah, ndr) che ci hanno abbandonato. Ho deposto le armi ai primi attacchi. Dahlan e i suoi amici si dividevano milioni di dollari mentre noi militari guadagnavamo 300 dollari al mese», è la lamentela diffusa tra gli agenti del servizio di sicurezza preventiva legato a Fatah. Ieri sera i media locali riferivano che il leader più popolare di Fatah, Marwan Barghuti, in carcere in Israele, ha chiesto che Dahlan e i suoi collaboratori vengano allontanati immediatamente dal partito mentre si diffondono indiscrezioni, alimentate anche dal ministro israeliano Ben Eliezer, sulla possibilità che Barghuti venga scarcerato su richiesta di Abu Mazen. • Palestina. 20 giugno. Hamas ricorda all’Occidente che sta dando il suo appoggio ad un esecutivo illegittimo e non eletto. Il Movimento della Resistenza Islamica (Hamas) qualifica questa decisione come «un altro tentativo per far mordere la polvere al popolo palestines e punire Hamas». Il portavoce del movimento islamista, Sami Abu Zuhri, rileva che «un anno e mezzo dopo l’arrivo di Hamas al governo, i tentativi di abbatterlo continuano ad essere un’illusione e pare che l’Occidente non abbia appreso la lezione». Intanto il presidente USA, George W. Bush, ed il primo ministro israeliano, Ehud Olmert, hanno ribadito da Washington il loro «forte appoggio» al Gabinetto non eletto nominato per decreto dal presidente dell’Autorità Palestinese (ANP), Mahmud Abbas (al-Fatah). Leader politico di uno Stato, quello israeliano, che ha ingannato più volte i palestinesi, Olmert ha espresso la sua disponibilità ad intavolare, a partire da ora, «negoziazioni serie [come a dire che prima non lo erano, ndr] sulla creazione di uno Stato palestinese». • Palestina. 20 giugno. ONU: poche settimane e la striscia di Gaza resterà priva di generi alimentari. Stando a un comunicato dell’Ufficio di coordinamento dell’ONU per gli aiuti umanitari nei Territori palestinesi, «la riapertura del valico di Karni (tra Gaza e territori occupati, ndr) è essenziale per evitare una carenza di generi alimentari nella striscia di Gaza entro due-quattro settimane». Stando al funzionario di al Fatah, Saeb Erekat, la popolazione di Gaza avrebbe riserve per non più di nove giorni. • Iraq. 20 giugno. Teheran condanna il bombardamento di centri abitati. «Il bombardamento delle zone abitate da civili in Iraq è il segno di confusione in cui si dibattono gli occupanti di questo Paese». Così il portavoce del ministero degli Esteri iraniano condanna le azioni violente delle forze occupanti sui civili. Mohammad Ali Hosseini ha chiesto alle forze straniere in Iraq di «osservare le convenzioni internazionali e non violare i principi umani e morali». Per Hosseini «sono gli statunitensi ad armare i gruppi terroristi iracheni allo scopo di fomentare guerra civile in Iraq che di conseguenza gli permette di prolungare la loro presenza in questo Paese». • USA. 20 giugno. Per l’alto comandante dell’esercito USA in Medioriente, l’Ammiraglio William Fallon, la questione nucleare iraniana dovrebbe essere risolta tramite la diplomazia. «L’uso della forza contro l’Iran non porterebbe da nessuna parte e la crisi con questa paese dovrebbe essere risolta attraverso la diplomazia». Fallon ha affermato che «l’Iran svolge un ruolo costruttivo nell’area e potrebbe essere un grande aiuto per noi per stabilire pace e sicurezza in Iraq e Afghanistan». Fallon si era non molto tempo fa rifiutato di schierare tre portaerei nel Golfo Persico come monito all’Iran. • USA. 20 giugno. Bomba sessuale predisposta dal Pentagono. Il fine: indurre l’omosessualità tra le fila nemiche. In tal modo si pensava di «minare disciplina e morale dei combattenti». Di questo progetto si viene a conoscenza per la prima volta alla fine del 2004, grazie alla Legge sulla Libertà d’Informazione, che obbliga alla declassificazione di documenti 14 ufficiali, e soprattutto all’attività di Sunshine Project. Questa organizzazione, con sede ad Austin (Texas) e Amburgo (Germania), lavora per denunciare ricerca e uso di armi biologiche dopo la Guerra Fredda. La settimana scorsa il Pentagono ha ammesso che si era deciso di avviare ricerche in tal senso, ma che l’idea è stata poi accantonata. La proposta del Pentagono sarebbe stata passata ai laboratori Wright delle forze aeree, a Dayton (Ohio); c’è chi però sostiene che sarebbero stati detti laboratori a proporre la cosa al Pentagono. Si trattava di creare una bomba non letale contenente un poderoso afrodisiaco chimico che penetrasse per le vie respiratorie e cutanee e fosse suscettibile di mutare i soldati eterosessuali in soldati gay. Per questo sono stati destinati 7,5 milioni di dollari per ricerche portate avanti nel massimo segreto possibile. Secondo il tenente colonnello Brian Maka, tale idea faceva parte di una serie di proposte su armi non letali, includenti altri progetti come un prodotto chimico che rendesse i nemici molto sensibili alla luce del sole e un altro che intendeva creare api estremamente aggressive e topi specialmente furiosi contro i soldati nemici. Secondo Sunshine Project il progetto della bomba gay non è stata accantonata. Edward Hammond, portavoce negli USA, sostiene sul sito dell’organizzazione che non ritiene che il Pentagono dica tutta la verità per il fatto che il progetto è stato tenuto in conto e finanziato per diversi anni. Hammond assicura che esiste un CD-Rom del 2000 di un organismo legato al Pentagono su armi non legali inviato alle Accademie Nazionali della Scienza che include questo progetto. • Irlanda del Nord. 21 giugno. Gli orangisti accettano di negoziare con gli abitanti di Garvaghy Road. È la prima volta che la massoneria dell’Ordine di Orange accetta di farlo. Negli scorsi anni le marce degli orangisti per le strade anche dei quartieri cattolico/repubblicani era solitamente fattore di incidenti durissimi. Ieri l’annuncio degli orangisti di Portadown. Darryl Hewitt, responsabile a Portadown, ha detto alla BBC che intendono negoziare con gli abitanti il passaggio della sfilata por Garvaghy Road. Hewitt ha aggiunto di aver espresso la sua disponibilità ad un incontro diretto lo scorso ottobre, con l’unica condizione della presenza, come coordinatore dell’incontro, di una persona indipendente. • Sahara occidentale. 21 giugno. Rabat non si smuove dopo due giorni di dialogo con il Fronte Polisario. Il ministro marocchino degli Interni, Chakib Benmusa, ha ribadito, alla due giorni di colloqui a New York con il Polisario, che il governo di Rabat sul destino del Sahara Occidentale non cambia posizione. Benmusa, citato dall’agenzia MAP, ha ribadito che Rabat continua a sostenere l’opzione dell’autonomia, «una soluzione realista e indivisibile per dare soluzione a questo conflitto, rispettando l’integrità territoriale del Regno del Marocco». Cioè senza accettare il diritto di autodeterminazione dei saharawi. Era il primo incontro diretto in dieci anni. È previsto che Marocco e Fronte Polisario, che rivendica l'indipendenza del Sahara Occidentale, tornino a riunirsi ad agosto, sotto gli auspici del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Il Polisario ribadisce la sua volontà di convocare un referendum in cui sia prevista, tra le varie opzioni possibili, anche quella dell'indipendenza dell'ex colonia spagnola occupata dal 1975 dalle forze di Rabat. • Sahara occidentale. 21 giugno. Un negoziato difficile, quello tra Marocco e Fronte Polisario, per un conflitto che dura da trentadue anni e che vive dal 1991 in una sorta di strano status quo congelato. Dopo la firma di un cessate il fuoco in attesa di un referendum sull'autodeterminazione che non si è mai tenuto per le manovre dilatorie di Rabat, metà della regione rimane occupata dai marocchini, l'altra metà è controllata dal Fronte Polisario, che ha costituito la Repubblica araba sahrawi democratica (Rasd) nell'esilio algerino di Tindouf, dove migliaia di rifugiati vivono in accampamenti di fortuna. L'occupazione marocchina del territorio non è riconosciuta da nessuno, mentre diversi paesi (e l'Unione africana) 15 riconoscono ufficialmente la Rasd. Tra i due belligeranti si erge un lungo muro costruito dai marocchini negli anni Ottanta e si aggirano un pugno di caschi blu della Minurso, la missione ONU incaricata di vigilare sulla tregua e di organizzare l'ipotetico referendum. • Palestina. 21 giugno. «L'interrogativo che abbiamo di fronte è: Fatah deve ritornare al suo programma politico nazionale o continuare a seguire persone che fanno solo i loro interessi e quelli di parti estere?», si chiede Ahmed Helles, autorevole membro del Consiglio rivoluzionario di Fatah, intervistato da il Manifesto di oggi. «La realtà è di fronte a tutti i palestinesi. Hamas non può vivere senza la Cisgiordania e Fatah non può rinunciare a Gaza. Non parlarci aiuta solo i nostri nemici». Monta la protesta delle milizie di Fatah per il comportamento dei comandanti dei servizi di sicurezza e di quei leader politici che hanno organizzato con Israele la propria fuga da Gaza, abbandonando migliaia di uomini. Potrebbe peraltro essere di nuovo Hamas, questa volta non in modo violento, a decidere il destino di diversi dirigenti di Fatah e capi militari. Il suo braccio armato, Ezzedin Qassam, ha messo le mani su «documenti scottanti» trovati nelle sedi della sicurezza preventiva e dell'intelligence a Gaza. Carte, dicono fonti ben informate, che riferiscono di «operazioni di sicurezza congiunte» fra «Stati stranieri» (anche arabi) e una parte di Fatah. Tra il materiale sequestrato ci sarebbe anche «un sofisticato sistema statunitense di ascolto». Quando saranno resi pubblici, i documenti potrebbero offrire a qualcuno in Fatah l'opportunità per mettere in difficoltà Dahlan e per chiedere, assieme a Fronte popolare, Fronte democratico, Fida, Fronte di lotta popolare, Partito del popolo e Mubadara, elezioni anticipare entro qualche mese. Ma da Ramallah giungono segnali ben diversi. Il Consiglio centrale dell'OLP, riunitosi ieri, darà ampio sostegno alla linea di Abu Mazen e il quotidiano Al-Ayyam ha scritto che il governo di emergenza di Salam Fayyad rimarrà in carica ben oltre il mese di vita che prevede lo statuto palestinese, grazie al fatto che 44 deputati di Hamas sono in carcere in Israele e al-Fatah è in grado, con i suoi 41 seggi, d'impedire il raggiungimento del numero legale per convocare l'assemblea sul futuro dell'esecutivo nominato da Abu Mazen in opposizione a quello di Ismail Haniyeh a Gaza. • Palestina. 21 giugno. «Aggrediti, non topi in trappola. Niente guerra civile. L'auspicio di Tel Aviv è un conflitto aperto tra palestinesi ma per ora stiamo assistendo a scontri tra milizie». Questo il senso di un articolo di Michael Warschawski, tradotto e pubblicato su il Manifesto di oggi. «Il vecchio sogno di Ariel Sharon si sta avverando: palestinesi che uccidono palestinesi mentre Israele conta le vittime con grande soddisfazione. Le lacrime dei leader israeliani sono lacrime di coccodrillo e il loro presunto cordoglio per i tragici eventi di Gaza pura ipocrisia. I conflitti sanguinosi erano prevedibili così come la responsabilità e il diretto coinvolgimento di Israele e degli Stati Uniti sono palesi. All'interno delle analisi di molti giornalisti israeliani la responsabilità di Israele sembra essere indiretta: “1,4 milioni di persone chiuse in un territorio piccolo come la Striscia di Gaza, senza alcuna possibilità di condurre una vita economica regolare e senza alcuna possibilità di fuga, sono fatalmente destinate ad ammazzarsi a vicenda, come topi in trappola”. Questa metafora zoologica non è solo tipicamente razzista, ma anche basata su un grosso fraintendimento. Perché l'atteggiamento d'Israele e degli USA nelle vicende attuali non si limita a favorire delle condizioni per un conflitto interno palestinese. Per mesi il Dipartimento di Stato USA ha incoraggiato la leadership di Al-Fatah a lanciare un'offensiva militare nei confronti di Hamas e, due settimane fa, Israele ha dato il proprio nulla osta all'ingresso di una grossa quantità di armi per le milizie di Fatah presenti a Gaza. Chi è l'aggressore? Credo sia necessario chiarire subito quello che dovrebbe essere ovvio: Hamas ha schiacciato Fatah alle ultime elezioni palestinesi, in seguito ad un processo elettorale che l'intera comunità internazionale, Washington compresa, non ha esitato a definire “il più democratico nella storia del Medio-oriente”. Un processo 16 democratico incontestabile e un massiccio sostegno popolare, pochi regimi possono vantare tanta legittimità». • Palestina. 21 giugno. Prosegue Warschawski: «Nonostante la clamorosa vittoria, Hamas ha accettato di condividere il potere con Fatah in un governo di unità nazionale sotto l'egida dell'Arabia Saudita e dell'Egitto e accolto con favore dalla comunità internazionale, con l'eccezione di Washington e Tel Aviv. L'agenda politica del nuovo governo ha riconosciuto, de facto, lo Stato d'Israele e adottato la strategia del negoziato basato sui meccanismi di Oslo. La piattaforma governativa moderata di Hamas, comunque, si è dovuta confrontare con due nemici potenti: una parte dei funzionari di Fatah non ancora pronta a rinunciare al proprio monopolio sul potere politico e, dall'altra parte, i governi neoconservatori di Israele e degli Stati Uniti, che stanno portando avanti una crociata globale contro l'Islam politico. Muhammad Dahlan, ex comandante delle “Forze di Sicurezza Preventiva” e attuale consigliere alla sicurezza nazionale di Mahmoud Abbas rappresenta entrambi: è sia l'esecutore materiale dei piani di Washington nella leadership palestinese, sia il rappresentante di quel tipo di funzionario di Fatah corrotto e pronto a fare qualsiasi cosa pur di non perdere i propri guadagni. Dalla vittoria elettorale di Hamas, le milizie di Dahlan hanno continuamente provocato il governo, assalendo le milizie di Hamas e rifiutandosi di delegare il controllo delle forze di polizia al governo. Nonostante le offensive di Dahlan, Hamas ha cercato in tutti modi di trovare un compromesso con quest'ultimo, chiedendo ai propri attivisti di astenersi da eventuali ritorsioni. Comunque, quando è apparso chiaro che Dahlan non stava cercando un compromesso, ma piuttosto stava tentando di neutralizzare Hamas, l'organizzazione islamica non ha avuto alternative se non difendersi e contrattaccare. Il piano israelianostatunitense fa parte di una strategia globale tesa ad imporre dei governi fedeli ai propri interessi, in contrasto con il volere della popolazione locale». • Palestina. 21 giugno. Warschawski ricorda un precedente. «L'Algeria fornisce un'esempio di tale strategia, ma anche del suo fallimento e del suo pesante costo umano: l'indiscutibile vittoria del Fis (Fronte islamico di salvezza) sul Fln, ormai corrotto e screditato, nel 1991, fu seguita da un colpo di stato, sostenuto dalla Francia e dagli Stati Uniti, che spianarono la strada ad una guerra civile durata per oltre un decennio e responsabile della morte di oltre centomila vittime civili. Avendo imparato la lezione dalla tragedia algerina, Hamas ha deciso di non lasciare che i piani di Dahlan gli permettessero di prendere il potere con la forza. Appoggiandosi sul consenso di buona parte della popolazione locale, i militanti di Hamas hanno sconfitto Fatah in meno di due giorni, nonostante quest'ultima avesse a disposizione un quantitativo di armi fornito da Israele. Perfino dopo la vittoria schiacciante su Fatah, la dirigenza di Hamas ha ribadito la propria ferma intenzione di mantenere un governo di unità nazionale e di non voler sfruttare il colpo di stato tentato da Fatah come pretesto per estirpare l'organizzazione o escluderla dal governo. Tuttavia, i vertici di Fatah hanno deciso d'interrompere ogni rapporto con Hamas e di formare, in Cisgiordania, un nuovo governo senza la presenza degli islamisti. Un altro vecchio sogno di Ariel Sharon si sta avverando: la completa separazione tra Cisgiordania e Gaza, quest'ultima considerata un “Hamastan” senza scampo, entità terrorista in cui non esistono civili, ma solo terroristi da porre in stato d'assedio, destinati ad essere affamati. Washington, che abbraccia senza riserve questa strategia, ha promesso il proprio sostegno illimitato a Mahmoud Abbas e al suo nuovo bantustan in Cisgiordania, al punto che Olmert ha deciso di concedergli una parte del denaro palestinese ancora nelle mani del governo israeliano». 17 • Palestina. 21 giugno. Conclude Warschawski: «Uno degli obiettivi dell'amministrazione israeliana e di quella statunitense non è stato tuttavia raggiunto: a Gaza non regna il caos. Al contrario. Come ha dichiarato il 17 giugno ad Ha'aretz un ufficiale della sicurezza palestinese: “La città non è stata tranquilla per molto tempo. Preferisco la situazione attuale a quella passata. Posso finalmente uscire di casa”. L'estirpazione delle bande di Fatah da Gaza potrebbe sancire la fine di un lungo periodo di anarchia e permettere il ritorno ad un tenore di vita più stabile. I recenti fatti confermano che Hamas può imporre il controllo. I discorsi di Israele a proposito di una guerra civile palestinese non sono altro che auspici. Lo scontro armato è avvenuto esclusivamente tra milizie armate e se, purtroppo, ci sono state vittime tra i civili, si è trattato di quello che l'esercito statunitense definisce “danno collaterale”. La popolazione è senza dubbio politicamente spaccata, in Cisgiordania come a Gaza, ma non in conflitto, almeno per il momento». • Palestina. 21 giugno. Un deputato di Hamas, Faraj al-Ghoul, accusa il dirigente di al-Fatah, Mohammed Dahlan, di essere stato coinvolto nell'uccisione di Arafat. Il presidente palestinese morì in un ospedale di Parigi nel 2004 in seguito ad una malattia la cui natura è stata oggetto di diverse inchieste. Citato dal sito Palestine-Info, al-Ghoul dice di basare le proprie accuse su documenti ritrovati dai miliziani di Hamas e sulle confessioni rese loro dai comandanti dei servizi di sicurezza dell'Autorità Nazionale Palestinese. • USA. 21 giugno. La «guerra al terrorismo» non finirà con l’amministrazione Bush. Il candidato democratico alla presidenza, Barak Obama, nell’articolo ‘Renewing American Leadership’ scritto per Foreign Affairs (‘dazio letterario’ cui ogni pretendente democratico alla Casa Bianca che si rispetti deve sottoporsi) ha sostenuto la necessità di una politica estera altrettanto assertiva di quella di Bush. Magari più attenta alle alleanze multilaterali, ma comunque pronta a sostenere la “primacy” statunitense nel mondo contro «estremisti islamici e non». • Palestina. 22 giugno. Hamas sapeva che Dahlan e i suoi alleati, palestinesi e stranieri, progettavano a Gaza un pesante attacco militare contro il movimento islamico, grazie alle armi e ai sostegni che gli Stati Uniti e più di recente Israele stavano dando. Lo riferisce l’edizione odierna de il Manifesto. I vertici politici e militari avevano raggiunto una conclusione: eliminare, anche con la forza, la minaccia. Il piano sarebbe dovuto scattare nelle prossime settimane ma il rapimento e l'uccisione dell'iman (pare da parte di uomini di Dahlan), Mohammed al-Rasati, ha dato il via all'operazione. «Sul terreno però le cose sono andate oltre i piani stabiliti», riferisce un esponente politico di Hamas chiedendo l'anonimato, «bisognava farla finita con quei dirigenti di Fatah e i capi dei servizi di sicurezza che ci minacciavano in continuazione ma i comandanti militari (di Hamas, ndr) non si sono attenuti agli ordini ricevuti e hanno colto l'occasione spazzare via anche la più piccola traccia delle istituzioni di Fatah e dei servizi di sicurezza. Il risultato è stato che agli occhi dei palestinesi e del mondo non abbiamo eliminato corrotti ma imposto il nostro potere assoluto». A passare la «linea rossa» sono state in modo particolare le Brigate Ezzedin al Qassam mentre il comandante della Tanfisiye, Abu Obeidah al-Jarrah, sarebbe riuscito a controllare meglio i suoi uomini. • Afghanistan. 22 giugno. «Kabul è il nostro prossimo obiettivo. Stiamo accentuando lì la nostra pressione, perché è la capitale ed il principale punto di ritrovo delle truppe occupanti». Lo ha dichiarato all’emittente britannica BBC Zabiyullah Mujahed, un portavoce dei taliban. Mujahed ha aggiunto che «sono sempre più numerose le persone disposte a sacrificarsi per ottenere l'indipendenza e la libertà del paese, come stanno facendo gli insorti in Iraq». Si intensificano intanto a sud del paese gli scontri dei resistenti 18 con le truppe NATO-USA, che quest'anno hanno subito pesanti perdite. Da tre giorni, poi, le emissioni di Radio Sharía possono essere ascoltate fino a Kabul dal sudest del paese. «La si ascolta nel punto 88 in FM a Paktika, Paktia, Khost, Ghazni ed una parte di Logar. Hanno inizio con un messaggio del mullah Omar e per adesso durano un’ora», ha aggiunto Zabiyullah Muyahed. • Palestina. 23 giugno. Israele spinge sulla violenza inter-palestinese per impedire la creazione di uno Stato palestinese. Lo sostiene il ministro degli Esteri del governo di unità nazionale palestinese e segretario generale dell’Iniziativa Nazionale Palestinese, Mustafa Barghouthi, ieri, in un’intervista alla Frankfurter Rundschau. Barghouti si è incontrato a Ramallah con il presidente dello stato tedesco dell’Hessen, Roland Koch. Barghouti ritiene che il governo di Tel Aviv stia tentando di impedire la formazione dello Stato palestinese incitando i miliziani di al-Fatah e Hamas a scontrarsi tra loro e installando 530 nuovi posti di controllo e 600 barriere mobili sulle strade della Cisgiordania. • Palestina. 23 giugno. Le truppe israeliane hanno catturato oggi nei territori occupati della Cisgiordania un importante esponente di Hamas. Lo riferiscono fonti dell'esercito israeliano e della sicurezza palestinese. Saleh al-Aruri, ritenuto il fondatore dell'ala militare di Hamas in Cisgiordania, le Brigate Qassam, è stato preso in un villaggio a nord di Ramallah. Hamas ha indicato l'arresto di Aruri come una prova della collusione tra Israele e le forze del presidente palestinese Mahmoud Abbas, sconfitte dai militanti del movimento islamico a Gaza il 14 giugno scorso. Il portavoce di Hamas, Sami Abu Zuhri, ha detto che l'evento è la prova di una «cospirazione a due» contro Hamas in Cisgiordania, guidata sia da Israele che dalle forze di sicurezza di Abbas. Israele aveva rilasciato Aruri nel marzo scorso, dopo 15 anni di carcere proprio per avere fondato le Brigate Qassam, ha detto una fonte della sicurezza israeliana. Secondo la stessa fonte l'uomo sarebbe stato arrestato di nuovo perché «continua ad agire apertamente nell'ambito dell'organizzazione terroristica di Hamas». • Pakistan. 23 giugno. In costruzione terzo reattore nucleare per bombe. Il Pakistan, alleato degli USA, sta costruendo un terzo rattore nucleare al plutonio destinato ad aumentare la costruzione di armamenti: lo assicura l’Istituto per la Scienza e la Sicurezza internazionale, un gruppo di ricerca con sede negli Stati Uniti. Le immagini raccolte dai satelliti mostrano un rapido avanzamento dei lavori a Khusab, un centinaio di chilometri da Islamabad, dove sono già in funzione altri due reattori. L’Istituto sottolinea in un rapporto che, a giudicare dal ritmo con cui procedono i lavori, «il governo pachistano ha preso la decisione di aumentare in modo significativo la sua produzione di plutonio da destinare agli armamenti nucleari». E aggiunge: «La gran parte della costruzione del terzo reattore visibile nell'immagine scattata il 3 giugno del 2007 è stata realizzata negli ultimi dieci mesi». Il primo reattore a Khusab è diventato operativo nel 1998, mentre il secondo, stando a quanto ha riferito lo stesso Istituto, è stato costruito a luglio del 2006. Il terzo è situato a diverse centinaia di metri di distanza dal precedente. Nessuno di questi impianti, si legge nel rapporto, è stato posto sotto la sorveglianza dell’AIEA, l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica. • Cina / Iraq. 23 giugno. La Cina punta al petrolio. Più assistenza dalla Cina all'Iraq nell'ambito del processo di ricostruzione: questo l'impegno espresso ieri dal premier cinese Wen Jiabo al presidente iracheno Jalal Talabani, in visita ufficiale a Pechino, la prima compiuta da un capo dello Stato iracheno. In cambio Pechino vorrebbe che Baghdad confermi le forniture di petrolio precedentemente contrattate con Saddam Hussein. «La Cina intende cancellare il debito iracheno, offrire assistenza all'Iraq nell'ambito delle sue capacità e contribuire all'addestramento del personale iracheno per migliorare il sistema 19 sanitario e dell'istruzione», ha detto Wen, citato dall'agenzia di stampa ufficiale cinese Xinhua. Il premier cinese ha quindi sottolineato come Pechino intende lavorare al fianco del Paese arabo per raggiungere un livello più alto di cooperazione in diversi settori sulla base del rispetto e della fiducia reciproci. Il presidente iracheno è arrivato due giorni fa a Pechino per una visita ufficiale di una settimana, la prima di un leader del Paese arabo da quando l'Iraq e la Cina hanno stabilito relazioni diplomatiche nel 1958. • Venezuela. 23 giugno. Nasce il Partito Socialista Unito del Venezuela (PSUV). Il presidente Chávez ne ha celebrato oggi la nascita, alla presenza di migliaia di sostenitori. Già oltre cinque milioni e mezzo gli iscritti. La proposta di costituzione del nuovo partito era stata lanciata dopo la rielezione presidenziale avvenuta il 3 dicembre 2006. Erano seguiti mesi di discussioni e non poche resistenze da parte delle forze alleate: Podemos, il Partido Patria para Todos e il Partido Comunista erano apparsi fin dall'inizio restii a sciogliersi nella grande forza del PSUV. Da qui la decisione di Chávez di accelerare i tempi per porli di fronte al fatto compiuto e indurli ad una scelta di campo. • Colombia. 23 giugno. Attacco alle FARC, morti 11 ostaggi. Si tratta di 11 dei 12 deputati del dipartimento del Valle da cinque anni prigionieri delle FARC. L’episodio è avvenuto il 18 giugno, nel «fuoco incrociato» durante l'attacco di «un gruppo militare non identificato» all'accampamento in cui si trovavano. Nel loro comunicato, le FARC scrivono che il deputato Sigfredo López è sopravvissuto perché «non si trovava in quel momento con gli altri trattenuti». La notizia è comparsa nella pagina web del gruppo guerrigliero. «La demenziale intransigenza del presidente Uribe nel negare un interscambio umanitario e la sua strategia di riscatto militare, posta al di sopra di ogni altra considerazione, portano a tragedie come quella che stiamo rendendo nota», aggiunge il comunicato. In un messaggio diffuso il 29 giugno il portavoce delle FARC, Raúl Reyes, sollecita una diminuzione delle operazioni militari nella zona in cui è avvenuto il massacro, per poter restituire i corpi alle famiglie. Reyes responsabilizza dell'accaduto ancora una volta il presidente Uribe, ricordando come questi abbia ripetutamente ordinato ai militari di liberare con ogni mezzo i sequestrati, nonostante le proteste dei familiari. Il comando dell’esercito colombiano nega di aver ordinato l’operazione. Nell’area dei fatti, però, sono in corso da diverse settimane operazioni congiunte di militari e paramilitari, cosa che ha prodotto innumerevoli combattimenti. Le FARC insistono nel negoziare, a parità di condizioni, uno scambio tra i 56 «trattenuti» e 500 suoi prigionieri e pone, come premessa per dialogare, la smilitarizzazione dei municipi di Florida e Pradera, nella Valle di Cauca. Anche i familiari degli ostaggi, oltre che Spagna, Francia e Svizzera che hanno offerto la loro collaborazione per dare soluzione al conflitto politico in Colombia, sono favorevoli allo scambio umanitario e respingono azioni armate per la liberazione degli ostaggi. • Colombia. 23 giugno. Prolungato il “Plan Colombia”. Ieri il Congresso USA ha stanziato 530 milioni di dollari, 60 in meno di quanto sollecitato dal governo Bush per il suo fedele alleato Uribe. La continuazione del “Plan Colombia” deve ancora essere ratificata dal Senato USA. Intanto le FARC (Forze Armate Rivoluzionarie di Colombia), con un comunicato via internet, aprono alle trattative per uno scambio umanitario di prigionieri, rispondendo positivamente alla scarcerazione di Rodrigo Granda e affermando di non scartare l'ipotesi di nominarlo «verificatore» della demilitarizzazione di Florida e Pradera. Il ritiro delle forze armate da queste due località è la condizione posta dalla guerriglia al negoziato, anche se su questo punto Uribe ha sempre opposto un netto rifiuto. Granda, attualmente a Cuba, la scorsa settimana ha dichiarato che, quando fu catturato nel 2004, gli era stata offerta la libertà in cambio di una dichiarazione che coinvolgesse il presidente venezuelano Chávez nel sostegno alle FARC. 20 • Palestina. 24 giugno. Hamas respinge qualunque modifica della legge elettorale palestinese. Il Consiglio Centrale dell’OLP ha proposto che tutti i partiti che concorrano alle prossime elezioni «rispettino il programma politico» dell’OLP, nel quale sono inclusi gli Accordi di Oslo, che Hamas respinge decisamente. La proposta, insomma, mira ad escludere di fatto il movimento di resistenza islamica che ha vinto le ultime elezioni. Fazi Barhoum, un portavoce di Hamas, ha rimarcato che il Consiglio Centrale non ha la facoltà di modificare la legge elettorale, giacché compete al Consiglio Legislativo. «Hamas», ha aggiunto, «non è stata consultata e ciò rappresenta una dittatura applicata con metodi brutali contro la legalità palestinese». • Afghanistan. 24 giugno. Karzai alza la voce contro la NATO. È lo stesso presidentefantoccio messo su dagli Stati Uniti a bollare i bombardamenti NATO-USA come «sconsiderati». Lo fa di fronte al nuovo pesante bilancio di vittime civili per i bombardamenti sui villaggi rei di dare sostegno alla resistenza. A scatenare l'ira di Hamid Karzai è stato l’ultimo, che ha ucciso 25 persone nel sud del Paese. Karzai ha insistito: «Se la NATO vuole vincere la guerra contro il terrore, se vuole fare dell'Afghanistan un posto sicuro, allora deve coordinarsi». Secondo le organizzazioni umanitarie, solo quest'anno più di 230 civili sono stati uccisi durante operazioni condotte dalla coalizione e dalle forze afghane. Non pochi ritengono il numero largamente per difetto. • USA. 24 giugno. «Prove inconsistenti», processi farsa, pressioni fortissime per tenerli in carcere, a ogni costo. Nel dibattito sulla chiusura del carcere USA di Guantanamo, nell'isola di Cuba, irrompe la denuncia di un avvocato militare sulle modalità di funzionamento dei cosiddetti Combat status review tribunals, le corti (di tre componenti) addette periodicamente al riesame della posizione dei detenuti. Il colonnello Stephen Abraham, un veterano con 26 anni d'esperienza nell'intelligence militare USA, ha deposto davanti alla Corte suprema. «Quelle che avrebbero dovuto essere dichiarazioni contenenti prove specifiche, mancavano anche del più basilare riscontro oggettivo», ha dichiarato Abraham davanti ai giudici, durante un'udienza per Fawzi al-Odah, un detenuto quwaitiano ricorso alla suprema corte di Washington chiedendo di essere giudicato dalle corti federali anziché dalle commissioni militari di Guantanamo. Intanto sulla chiusura di Guantanamo, dove sono tuttora detenuti in circa 375, al di là di frasi di circostanza, non ci sono iniziative concrete: i tentativi si scontrano con la linea del vicepresidente Cheney e con le obiezioni giuridiche del ministro della Giustizia Gonzales, per il quale trasferire i detenuti in prigioni su suolo USA aprirebbe la strada a una marea di cause e processi. • Russia. 25 giugno. Con l’energia, Mosca si riaffaccia nei Balcani. Il presidente russo, Vladimir Putin, ha dichiarato ieri, nel contesto di un vertice sull’energia nel sudest europeo, l’intenzione di rafforzare i progetti energetici comuni tra Mosca e paesi balcanici. Presenti i presidenti di Croazia (paese ospitante il vertice), Albania, Bosnia, Bulgaria, Macedonia, Montenegro, Romania e Serbia. La Slovenia era rappresentata da un ministro, la Grecia da un viceministro e la Commissione di Bruxelles ha inviato un delegato. Tra i progetti che il Cremlino, attraverso il suo gigante Gazprom, intende ultimare, c’è l’oleodotto BurgasAlexandrópolis, che unirà la costa bulgara del Mar Nero con il Mediterraneo. Mosca propone poi di costruire una centrale nucleare a Belene (Bulgaria). Quattro degli Stati presenti al vertice sono membri dell’Unione Europea e della NATO, mentre il resto si trova a distinti stadi di avvicinamento a queste due entità occidentali. Putin arriva nei Balcani due settimane dopo la visita in Albania del presidente USA, George W. Bush. 21 • Venezuela. 25 giugno. Prepararsi ad applicare un nuovo pensiero militare in accordo con la realtà mondiale e con la nuova guerra globale imposta dagli Stati Uniti. È quanto ha detto il presidente venezuelano Hugo Chávez rivolgendosi alle forze armate del suo paese, durante la commemorazione del 186° anniversario della Battaglia di Carabobo, che suggellò l’indipendenza del paese e della Giornata dell’Esercito Liberatore. Lo riferisce l’edizione odierna del Granma. Chávez ha accusato Washington di utilizzare il pretesto della “guerra al terrorismo” per imporre un progetto egemonico, un nuovo tipo di guerra che acquisisce diverse forme: politica, economica, sociale, psicologica, mediatica e armata. Ha precisato che ciò diventa evidente quando l’impero statunitense minaccia il mondo, interviene in ogni parte del pianeta, violando il diritto internazionale, invadendo paesi, enunciando la tesi della guerra preventiva e realizzando operazioni segrete in qualsiasi parte del mondo per sequestrare. Quando questo accade, sostiene Chávez, vuol dire che si è entrati nella fase della guerra globale, di minaccia globale e permanente, con nuove forme di guerra, aggressioni, colpi di stato duri, ‘soft’ o di altro tipo, che costituiscono la maggiore minaccia alla democrazia. Chávez ha quindi chiesto di recuperare il pensiero militare liberatore che per molti anni gli Stati Uniti hanno tentato di far scomparire utilizzando meccanismi come la Scuola delle Americhe e le istruzioni del Pentagono. • Irlanda del Nord. 26 giugno. Londra smantella la sua ultima base militare operativa nel sud di Armagh, cuore simbolico del movimento repubblicano. Ieri ha chiuso la base di Bessbrook Mill, con i suoi venti effettivi militari. Quella di Armagh, che fu la zona più militarizzata dell’Europa Occidentale, laboratorio delle tecniche di contro-insorgenza britanniche, con gli abitanti della zona usati loro malgrado come cavie, si è vista beneficiata dal processo di smilitarizzazione che culminerà in agosto quando il numero dei militari britannici nel nord Irlanda si ridurrà a 5mila, un quinto del totale di quelli presenti nell’area nei momenti più acuti del conflitto. • Serbia. 26 giugno. Kostunica ammonisce gli USA: nessuna ingerenza sul Kosovo. ll primo ministro serbo Kostunica ed il presidente della Repubblica Tadic minacciano di interrompere le relazioni con gli USA per le ripetute dichiarazioni dell'amministrazione Bush a favore dell'indipendenza della regione a maggioranza albanese del Kosovo. La leadership serba, appoggiata da Putin, invita Washington a non imporre soluzioni unilaterali che vìolano i «principi di sovranità territoriale, garantiti dal diritto internazionale». Neanche una settimana fa Ahtisaari ha affermato che il Kosovo potrà essere indipendente nel 2007, un’indipendenza tutelata dalla “comunità internazionale”. L’ex presidente finlandese e mediatore internazionale per il Kosovo, Martti Ahtisaari, lo ha dichiarato in un’intervista alla televisione finlandese YLE, nel corso di una sua visita in Austria. Ha aggiunto che questa “indipendenza” sarà riconosciuta da USA e alcuni Stati dell’Unione Europea. Pronta era stata la replica del ministro serbo per il Kosovo, Slobodan Samardzic: Belgrado è pronto per un nuovo piano sullo statuto del Kosovo, ma senza che questo implichi una rinuncia della sua appartenenza alla Serbia. • Israele / Palestina. 26 giugno. Grande apertura –si fa per dire– di Olmert: liberi 250 di Fatah. Per sostenere il moderato Abu Mazen saranno liberati 250 prigionieri di Al Fatah. Nelle carceri israeliane ne sono detenuti circa 10mila e tra loro c'è Marwan Barghuti, leader della seconda intifada la cui liberazione –secondo gli analisti israeliani– rafforzerebbe il Fatah di Abu Mazen. Ma Olmert ha proposto la scarcerazione solo di prigionieri che non hanno «le mani sporche di sangue», in pratica qualche decina dei palestinesi che quotidianamente vengono arrestati per episodi minori di resistenza e che vengono tenuti per mesi o anni in regime di detenzione amministrativa (senza capi d'accusa formali). Nemmeno sui posti di blocco che strangolano l'economia e la vita della Cisgiordania Olmert è riuscito 22 ad andare incontro al suo amico moderato. L'esercito israeliano –si è giustificato il premier– considera troppo pericolosa la rimozione dei checkpoint. Davanti all’egiziano Mubarak e al re giordano Abdallah II –entrambi preoccupati di isolare Hamas per il pericolo di contagio che una «vittoria» di quest'ultima rappresenta nei confronti degli islamisti di casa propria– Olmert ha chiesto d'intensificare gli sforzi per contrastare il traffico di armi che dall'Egitto vengono introdotte a Gaza. • Libano. 26 giugno. «Sostegno illimitato» al governo libanese. Lo ha espresso la responsabile degli esteri USA, Condoleezza Rice, incontrando ieri il primo ministro libanese Siniora a Parigi, a margine della conferenza internazionale sul Darfur. Intanto, secondo il quotidiano di Beirut, As Safir, Hezbollah ha avviato proprie indagini sull'attacco che domenica ha ucciso sei caschi blu (tre spagnoli e tre colombiani) dell'Unifil. Hezbollah, aggiunge il giornale, comunicherà poi all'Unifil e alle autorità locali i risultati. C'è chi ipotizza lo zampino degli Hariri. Hezbollah non ha alcuna intenzione di turbare il quadro sudlibanese emerso dopo la devastante offensiva militare israeliana dello scorso anno. Non ha bisogno di escalation –al contrario vuole evitarle– perché vuole confermare il ruolo che si sta costruendo di forza politica genuinamente libanese che guarda soltanto agli interessi del Paese, come il segretario generale Hassan Nasrallah ha fatto capire nelle scorse settimane, nel caso dello scontro tra esercito e Fatah al Islam, a Nahr al Bared. Inoltre ha nelle mani una carta decisiva per la partita con Israele –i due soldati israeliani catturati il 12 luglio 2006 scorso– e ritiene che presto o tardi il governo Olmert sarà costretto ad intavolare una nuova trattativa segreta per ottenere il ritorno a casa dei due militari. Per questo non pochi invitano ad indagare sugli appoggi che esponenti del salafismo sunnita di Tripoli e del nord del paese hanno ricevuto dal partito di maggioranza “Mustaqbal” di Saad Hariri, come riferito all'inizio dell'anno dal giornalista statunitense Seymour Hersh. • Iran / Palestina. 26 giugno. Ahmadinejad si scaglia contro «il governo mercenario» insediato da Abu Mazen. «I popoli non permetteranno ai traditori di rimanere sui loro seggi» ha detto il presidente iraniano. Meno di una settimana fa il parlamento iraniano ha approvato una mozione di sostegno ad Hamas che definisce i combattimenti a Gaza «complotto pre-organizzato» dagli USA. La dichiarazione aggiunge che gli scontri mirano a mettere da parte il movimento islamico palestinese. • USA. 26 giugno. Circa 700 i documenti desecretati della CIA e resi pubblici oggi sul suo sito internet. «Gioielli di famiglia» li hanno soprannominati gli addetti ai lavori. Si tratta di operazioni riservate e imbarazzanti compiute dall'agenzia d'intelligence tra il 1953 e il 1975. La documentazione racconta dettagliatamente 25 anni di abusi dell'agenzia di Langley. Attività illegali di vario genere. Tra le sue «operazioni» nel mondo, c’è il tentativo della CIA di assoldare mafiosi statunitensi per assassinare, tra l'agosto del 1960 e l'aprile del 1961, il leader cubano Fidel Castro. I documenti raccontano come la CIA tentò di convincere il mafioso Johnny Roselli a partecipare al complotto per assassinare Castro, dietro compenso di 150mila dollari, dopo averlo informato che «il governo degli Stati Uniti non era e non sarebbe stato al corrente di questa operazione». L’Archivio della Sicurezza Nazionale rivela che l’ex procuratore generale Robert Kennedy diresse personalmente un piano contro Castro, fatto che trova ulteriore riscontro in una conversazione del 4 gennaio 1975 tra l’ex presidente Gerald Ford ed il suo segretario di Stato, Henry Kissinger. Dai documenti emerge anche il progetto “Mockinbird”, basato sullo spionaggio a giornalisti di Washington scomodi e la descrizione delle condizioni di detenzione di una spia del KGB passata alla CIA, Yuriy Ivanovich Nosenko, che gli statunitensi trattarono duramente. I «gioielli» documentano inoltre una serie di attività illecite all'interno degli Stati Uniti contro dissidenti durante la guerra in Vietnam e gruppi di sinistra. 23 • Venezuela. 26 giugno. Lo Stato recupera il petrolio. Sottoscritti oggi gli accordi che consentono al Venezuela di assicurarsi il controllo del pacchetto azionario della maggioranza delle compagnie operanti nella Faja dell’Orinoco. Hanno accettato la formazione di imprese miste con la petrolifera statale Pdvsa (che ha una maggioranza azionaria riservata allo Stato salita dal 39 al 78%) la francese Total, la norvegese Statoil, la statunitense Chevron-Texaco e la britannica Bp. Anche l'italiana Eni, la cinese Sinpec e la venezuelana Inelectra sono giunte a un accordo con Caracas, mentre Exxon Mobil, Conoco Phillips, PetroCanada e la cino-venezuelana Sinovensa hanno respinto ogni ipotesi di sistema misto e dovranno lasciare la regione. Il recupero delle risorse petrolifere era stato uno degli obiettivi che il presidente Hugo Chávez si era posto all'inizio del suo secondo mandato. • Gran Bretagna / Iraq. 27 giugno. Il procuratore generale britannico chiede un’inchiesta sulla tortura in Iraq. Lo ha fatto ieri alla vigilia del giorno, oggi, in cui lascia l’incarico. Peter Goldsmith, intervenendo ad una riunione di una commissione parlamentare, ha chiesto che si chiarisca l’uso da parte di militari britannici di «tecniche illegali di tortura» (evidentemente ve ne sono di «legali», ndr) in Iraq, «chi le ha autorizzate e su che basi». Le polemiche per il comportamento delle truppe britanniche nel corso dell’invasione ed occupazione dell’Iraq, sotto la guida USA, ha accompagnato Tony Blair fino all’ultimo giorno del suo mandato, che si conclude oggi. • Sahara occidentale. 27 giugno. Arresti e maltrattamenti sui minori saharawi. L’ennesima denuncia contro le autorità marocchine è arrivata dall’Associazione Saharawi sulle Gravi Violazioni dei Diritti Umani. Cinque giovani, quattro dei quali minorenni (tra i 14 e i 15 anni), sono stati arrestati e torturati. La loro colpa: aver partecipato a manifestazioni indipendentiste. Uno dei ragazzi, 15 anni, da domenica è tenuto in isolamento. • Palestina. 27 giugno. «Questa settimana», scrive Uri Avnery su il Manifesto di oggi, «sono state pubblicate sulla stampa israeliana alcune rivelazioni choccanti che confermano i sospetti iniziali: cioè che la “scissione” (Gaza a Hamas, Cisgiordania –per ora– a alFatah, ndr) non fosse nient'altro che la prima mossa all'interno di una più ampia e segreta strategia. Sharon aveva in mente un piano in tre mosse: segregare fisicamente e politicamente la Striscia di Gaza, lasciandola sotto il controllo di Hamas, trasformare la Cisgiordania in un bantustan frammentato sotto la guida di Fatah e mantenere il controllo dell'esercito israeliano su entrambi i territori. Questo spiegherebbe l'insistenza di Sharon per il ritiro unilaterale (da Gaza). Senza questa ipotesi, il ritiro appare una mossa completamente illogica. Ora il rifornimento di cibo, medicine, acqua ed elettricità per Gaza dipende unicamente dal benestare di Israele, così come le operazioni di passaggio della frontiera egiziana (con l'aiuto di un'unità monitorante europea, controllata dall'esercito israeliano), le importazioni ed esportazioni e persino il censimento». • Palestina. 27 giugno. «Che sia chiaro:», prosegue Avnery, «questa non è una linea politica inedita. La separazione di Gaza dalla Cisgiordania è stata per molti anni un obiettivo militare e politico prioritario per il governo israeliano. In seguito Shimon Peres inventò lo slogan «Gaza per prima». I palestinesi si sono chiaramente opposti. Alla fine, il governo israeliano si è arreso e nel 1994 ha firmato l'Accordo riguardante la Striscia di Gaza e l'area di Gerico. Lo spazio concesso all'autorità palestinese in Cisgiordania doveva assicurare la continuità tra i due territori. Purtroppo, durante i tredici anni che sono passati da allora, il passaggio non è stato aperto neanche una volta. Quando Barak si è accomodato sulla poltrona di Primo ministro, ha vaneggiato su possibili ponti di lunghezza 24 record tra la Striscia e la Cisgiordania (Circa 40 km). Come molte altre brillanti intuizioni di Barak, questa si spense prima di nascere ed il passaggio rimase sigillato». • Palestina. 27 giugno. «La scissione della Striscia di Gaza dalla Cisgiordania è il principale obiettivo strategico del governo e dell'esercito, un passo esiziale nello strenuo tentativo di spezzare la resistenza palestinese all'occupazione e all'annessione. L'obiettivo è stato raggiunto e la manovra ufficiale di “rafforzamento” di Abbas fa parte del disegno. A Gerusalemme per qualcuno i sogni sono diventati realtà: la Cisgiordania separata da Gaza, suddivisa in miriadi di enclaves, separate tra loro e dal mondo, sul passato modello dei bantustan sudafricani. Come capitale della Palestina, Ramallah, per far dimenticare Gerusalemme ai palestinesi. Fornitura di armi e rinforzi ad Abbas perché sconfigga Hamas in Cisgiordania. L'esercito israeliano attivo nei dintorni delle città ed eventualmente anche all'interno. Crescita smisurata degli insediamenti, isolamento della valle del Giordano dal resto della Cisgiordania, proseguimento indisturbato del Muro di separazione e conseguente annessione di altra terra palestinese». • Palestina. 27 giugno. «Il presidente Bush si dice soddisfatto della diffusione della democrazia nell'area palestinese, mentre i contributi al rafforzamento militare d'Israele crescono di anno in anno. Dal punto di vista di Olmert si può definire questa una situazione ideale? Reggerà? La risposta è No! Come tutte le misure di Bush e Olmert, e dei loro predecessori, è basata sul disprezzo degli arabi, disprezzo che molto spesso si è rivelato foriero di disastri. I media israeliani, convertiti in organi di propaganda al servizio di Mahmoud Abbas e Mohammad Dahlan, stanno già immaginando con gioia lo faccia verde di invidia degli affamati abitanti di Gaza al cospetto dei cittadini della Cisgiordania, pasciuti e prosperi. Si rivolteranno contro la leadership di Hamas di modo che Israele possa piazzare un bel governo fantoccio anche lì. Ma queste sono solo ridicole fantasie. È molto più probabile che la rabbia della gente di Gaza venga indirizzata contro gli aguzzini israeliani che li stanno affamando. E il popolo della Cisgiordania non vorrà abbandonare i propri connazionali, che languono a Gaza. Nessun palestinese accetterà mai la totale separazione di Gaza dalla Cisgiordania. La condotta politica israeliana è dilaniata da due aspirazioni contrapposte: da un lato, evitare che gli eventi di Gaza si ripetano in Cisgiordania, dove i rischi sarebbero ben peggiori se Hamas dovesse prevalere, e dall'altro, impedire che il consenso intorno ad Abbas cresca a tal punto da obbligare gli americani a costringere Olmert intorno ad un tavolo con Abbas per dei negoziati veri. Come al solito, il governo vorrebbe la botte piena e la moglie ubriaca. Al momento tutti i provvedimenti di Olmert mettono a repentaglio la posizione di Abbas. Il suo abbraccio è l'abbraccio di Giuda e il suo bacio, letale». • Palestina. 27 giugno. «Brigate Badr e Barghuti libero». Cioè la liberazione di Marwan Barghouti e il rientro in Cisgiordania delle Brigate Badr, le milizie di Fatah di stanza in Giordania. Queste le richieste avanzate, durante il summit nel Sinai, dal presidente palestinese, Abu Mazen, al premier israeliano, Ehud Olmert: la prima è un'indiscrezione rivelata da Al Hyat; la seconda è stata una richiesta ufficiale. • Bolivia. 27 giugno. Ripreso il controllo di due raffinerie. Il presidente della Bolivia, Evo Morales, ora chiede di proibire le privatizzazioni. Per 112 milioni di dollari alla compagnia brasiliana Petrobras, le raffinerie di Guillermo Elder Bell (a Santa Cruz) e di Gualberto Villarroel (Cochabamba) sono tornate sotto sovranità boliviana. Morales ora ha chiesto all’Assemblea Constituente che nella nuova Carta Magna siano proibite per sempre le privatizzazioni. «Che mai ritornino i vendipatria. Che mai le nostre raffinerie, le nostre risorse naturali siano consegnate alle transnazionali», ha detto, confidando che la 25 Costituente, nella nuova Costituzione, «dia una sicurezza, una specie di blindatura perché le nostre imprese, le nostre risorse naturali, non siano privatizzate, come è stato fino adesso». • Corsica. 28 giugno. Il FLNC-UC reclama dialogo politico. Il gruppo armato indipendentista còrso FLNC-Unione dei Combattenti ha chiesto ieri al nuovo governo francese che «stabilisca un dialogo politico». Lo ha fatto con un comunicato, indirizzato all’emittente France 3 in Corsica, nel quale ha anche rivendicato 21 azioni. Secondo il Fronte, il governo di François Fillon «dispone di nuove condizioni politiche per sostituire l’immobilismo ed il blocco con un dialogo aperto a tutte le componenti della società còrsa». Reclama inoltre da Sarkozy che metta in atto quell’idea di «rottura» con i governi precedenti che ha avvitato le relazioni con la Corsica e ha ricordato Dominique Pascualaggi, precipitato per cause ancora da accertare da una finestra degli uffici dell’antiterrorismo. • Israele / Palestina. 28 giugno. Abbas emana un decreto per l’obbligatorietà di un permesso per il porto d’armi e di esplosivi. Mahmud Abbas, presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) lo fa in coincidenza dell’ennesima «operazione di routine» (come da vocabolario dell’esercito israeliano). A Gaza i reparti corazzati israeliani si sono lanciati ieri nell'assalto più sanguinoso e profondo nella Striscia dai raid della scorsa estate, scattati dopo la cattura del caporale Gilad Shalit da parte di tre gruppi armati palestinesi. I morti sono stati almeno 13, tra cui alcuni civili, più di 50 i feriti, alcuni dei quali bambini in gravi condizioni. Le Brigate Ezzedin Al Qassam, braccio armato di Hamas, che insieme ad altri gruppi della resistenza hanno contrastato duramente con le armi l’incursione israeliana, hanno replicato ad Abbas assicurando che «i gruppi della resistenza (palestinese, ndr) non aspetteranno nessun decreto per andare a combattere l’invasione». In aperta sfida al presidente palestinese spalleggiato da USA e Israele, hanno definito il decreto «puro inchiostro su carta che non vale nemmeno l’inchiostro impiegato per redigerlo». • Irlanda del Nord. 29 giugno. Shaun Woodward, passato dai Conservatori ai Laburisti, con esperienze di lavoro in Irlanda del Nord, sarà il nuovo segretario di Stato per questa parte dell’isola. Woodward ha dichiarato che il suo obiettivo è assicurare il trasferimento del controllo sulla polizia e giustizia all’Assemblea di Belfast. • Etiopia. 29 giugno. «Pronti alla guerra con l'Eritrea». Così, senza mezzi termini, il primo ministro ed uomo forte etiopico, Meles Zenawi, ha parlato in Parlamento sulle relazioni con l'Eritrea. Meles ha detto che l'esercito etiopico è preparatissimo. Ha quindi ribadito che Addis Abeba accetta in linea di principio il responso dell'arbitrato internazionale, che ha fissato i confini tra i due Paesi, anche se non lo condivide e ne chiede marginali revisioni. Sulla Somalia, dove l'esercito etiopico è impegnato militarmente a sostegno del debole governo di transizione d’intesa con la Casa Bianca, Meles ha ventilato la possibilità di un ritiro «per motivi di sicurezza nazionale». • Turchia / Iraq / Kurdistan. 29 giugno. Ankara ha un «piano particolareggiato» per un'operazione militare contro il PKK in nord Iraq e potrebbe convocare il parlamento (attualmente in vacanza per le elezioni del 22 luglio) per autorizzare una tale operazione, se USA e governo iracheno, contrari a un intervento turco, non risolveranno il problema. Lo ha affermato il ministro degli esteri turco Abdullah Gul. L'autorizzazione del parlamento è necessaria –secondo la Costituzione– per ogni impiego di forze militari turche all'estero. • Turchia / Iraq / Kurdistan. 29 giugno. «Un miliardo di dollari». Questo è quanto ha ricevuto il governo turco dalla Casa Bianca per non autorizzare l'operazione contro i campi 26 del PKK (Partito dei Lavoratori del Kurdistan, indipendentisti) in Nord Iraq. La denuncia è venuta ieri dal leader del maggior partito di opposizione (CHP, socialdemocratico), Deniz Baykal, nel corso di un comizio elettorale. Intanto, ieri, il capo di Stato maggiore dell’esercito turco, il generale Yasar Buyukanit, ha sollecitato il governo a fissare un calendario politico per un’incursione effettiva nel Kurdistan Sud (nord dell’Iraq). Non ha escluso la possibilità che i militari turchi siano attaccati da «gruppi iracheni kurdi» e, per questo, governo e parlamento dovrebbero fornire gli obiettivi politici di un'eventuale operazione, tenendo conto delle possibili reazioni dovute alla ferma opposizione della Casa Bianca, dei kurdi nord-iracheni e del governo di Baghdad. Il governo turco non ha finora fissato queste direttive. L'esercito critica da tempo l'atteggiamento soft del governo, guidato dal partito Ak, moderatamente islamico e favorito alle prossime elezioni. • Palestina. 29 giugno. Clamorosa dichiarazione del consigliere-capo del presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP): Washington ha provocato l’ultima crisi interpalestinese e stava per cacciare con la forza –e il concorso di una parte di al-Fatah– Hamas, l’organizzazione palestinese più votata e ora al governo. Hani al-Hassan, che fu anche consigliere dello scomparso presidente palestinese, Yasser Arafat, e fino a ieri lo era di Abbas, lo ha dichiarato ad al-Jazeera. Al-Fatah ha reagito privandolo ieri della carica, espellendolo dal comitato centrale di al-Fatah ed attaccando la sua abitazione in Cisgiordania. All’emittente qatariota Al-Hassan ha puntato l’indice contro il coordinatore della sicurezza statunitense in Medio Oriente, il generale Keith Dayton. Questi aveva predisposto un piano insieme all’ambasciatore USA in Israele, Richard Jones, in base al quale Israele avrebbe permesso il rifornimento di armi e munizioni alle milizie di Abbas ed in cambio queste, contro Hamas, avrebbero dovuto far cessare i lanci di razzi dalla Striscia di Gaza verso Israele ed interrompere il flusso di armi dall’Egitto a Gaza. Il piano aveva ricevuto l’avallo da Condoleezza Rice in persona (dipartimento di Stato USA). • Palestina. 29 giugno. Analoga denuncia è venuta da parte del primo ministro del governo legittimo dell’ANP, Ismail Haniyeh, nella sua ultima apparizione pubblica. Il generale Dayton, secondo Haniyeh, ha consegnato armi e milioni di dollari «ad una fazione traditrice di al-Fatah». Questa fornitura, ha proseguito, è stato il quarto passaggio di un mabizioso piano che è iniziato con il boicottaggio economico (dopo la vittoria elettorale di Hamas nel gennaio 2006), poi con l’arresto di decine di parlamentari di Hamas –«nel tentativo di paralizzare il recentemente eletto Consiglio Legislativo»– e quindi con intrighi di settori di al-Fatah per impedire ad Hamas che assumesse funzioni chiave –come quella della sicurezza– per l’esercizio del governo. • Palestina. 29 giugno. Abu Mazen diede ordine di uccidere i miliziani palestinesi impegnati nel lancio di razzi da Gaza contro Israele. Escono le prime indiscrezioni sui documenti «molto gravi» trovati a metà giugno, dopo la conquista delle sedi a Gaza della Sicurezza preventiva e dell'Intelligence generale. Il presidente palestinese Abu Mazen «ha tradito» la causa palestinese e va processato, se prima non chiederà perdono, hanno dichiarato oggi le Brigate Ezzedin al-Qassam, braccio armato di Hamas. • Sri Lanka. 29 giugno. Circa 1.300 civili, più di mille tamil, sono stati giustiziati o sono scomparsi in cinque mesi, tra settembre 2006 e febbraio 2007. Lo sostiene una commissione d’inchiesta ufficiale. I cadaveri di 430 tamil presentavano un foro di proiettile alla testa. • Unione Europea / USA. 30 giugno. Washington ottiene da Bruxelles di poter avere i dati dei passeggeri europei che si recano negli Stati Uniti. Le varie agenzie di sicurezza USA potranno aver accesso a dati privati conservabili per quindici anni (rispetto ai tre anni e 27 mezzo attuali). Nonostante critiche in tema, Bruxelles ha già detto che intende installare un sistema simile a quello USA per i viaggiatori che arrivano in Europa. «Sarebbe irresponsabile non farlo», ha detto il ministro degli Interni tedesco, Wolfgang Schaüble. Fino a fine luglio i negoziatori statunitensi ed europei metteranno a punto gli ultimi dettagli tecnici, per una normativa che sostituirà il testo in precedenza annullato dalla Corte Europea di Giustizia. Tra i 34 dati accessibili al momento dell’acquisto del biglietto aereo, ci sono numero di telefono, carta di credito che si utilizza in viaggio, origine etnica, credenze religiose, preferenze alimentari, eccetera. Questi dati potranno essere diffusi per qualunque motivo dal Dipartimento della Sicurezza Interna (DHS) e da tutte le agenzie “antiterroriste”, come l’FBI. Le compagnie dovranno consegnare i dati 72 ore prima dell’imbarco. Il supervisore dell’Unione Europea per la protezione dei dati, Peter Hustinx, ha criticato duramente l’accordo ed espresso seri dubbi che «sia realmente compatibile con i diritti umani». • Iraq. 30 giugno. Le forze USA e irachene controllano il 48/49% dei 474 quartieri della capitale dell'Iraq. Poco meno della metà di Baghdad, insomma. Lo ha detto il generale dell'esercito USA Joseph Fil, parlando da Baghdad in videoconferenza con i giornalisti a Washington. Sembra poco, ma –ha detto– si tratta di un passo avanti rispetto ad aprile quando sotto controllo era solo il 19% della capitale. Due settimane fa il generale Raymond Odierno, numero due nel comando militare USA in Iraq, aveva parlato del 40%. Il generale Fil definisce «controllo» un luogo dove «abbiamo le nostre forze di sicurezza e dove siamo in grado di negare tale spazio al nemico». Il generale ha poi aggiunto che «il nemico è determinato, abile e spietato, come mai visto prima nella mia vita». • Afghanistan. 30 giugno. Almeno 65 civili afghani, compresi donne e bambini, sono rimasti uccisi in attacchi aerei NATO-USA sul villaggio di Haidar Abad, nella provincia meridionale di Helmand. Il fatto, confermato da Dor Alisah, capo del distretto di Gereskh, dove il villaggio si trova, rilancia la questione dei cosiddetti «danni collaterali» causati dalle forze d’occupazione. • Canada. 30 giugno. Contro povertà e colera gli indigeni bloccano la principale rete ferroviaria del paese. Indigeni mohawks hanno bloccato la via che collega Toronto e Montreal. La compagnia ferroviaria VIA Rail ha sospeso anche la linea Ottawa-Toronto in previsione dell’intensificarsi delle proteste e alla vigilia della festa «nazionale» che si celebra questo fine settimana. «I canadesi ed il governo ci considerano solo quando portiamo avanti iniziative di questo tipo», ha detto il portavoce del gruppo, Shawn Brant, alla CBC. La polizia ha già emesso un ordine di arresto contro questo dirigente mohawk. Il gran capo indigeno della provincia dell’Ontario, Angus Touluse, ha preso le distanze da quest’azione, anche se si è chiesto «perché bisogna ricorrere ai blocchi per spingere il governo ad agire». Dall’Ontario, da cui è previsto un corteo di protesta, il dirigente degli indigeni del Canada, Phil Fontaine, ha assicurato che «intendiamo, con queste proteste, generare una massa critica e senza precedenti di appoggio alla nostra giusta causa». In Canada vivono 1,3 milioni di indigeni, su una popolazione di 32. La loro aspettativa di vita è tra i 5-7 anni inferiore alla media ed il tasso di suicidi tra i giovani 8-10 volte superiore. «Bisogna farla finita con il regime coloniale che continuiamo a subire», ha detto Ghislain Picard, leader degli indigeni del Quebec e del Labrador. 28