Ultime notizie dal mondo 15-30 Giugno 2007

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Ultime notizie dal mondo 15-30 Giugno 2007
Ultime notizie dal mondo
15-30 Giugno 2007
(http://www.rivistaindipendenza.org/)
a)
Palestina. Come si arriva alla crisi attuale (17, 22, 23) e lettura d’insieme della
situazione (21, 27). Già circolano documenti scottanti presi negli uffici degli inquietanti, a
dir poco, Abu Mazen (presidente ANP) e Dahlan (Intelligence). «Il più grande disastro di
spionaggio nell’ultimo secolo» dicono preoccupati da Israele (15, 18). E quel che filtra si
dice sia ancora niente. Intanto lo screditato (tra i palestinesi) Abu Mazen, su procura di
Tel Aviv e di Washington, che lo riempiono di dollari (20), con decreti (17, 18, 28, 29)
vìola anche la Costituzione palestinese e prefigura un’entità bantustan gradita a USA e
Israele. Lavora per un più consistente bagno di sangue inter-palestinese, mentre si
propone una legge elettorale (24) per eliminare Hamas che alle ultime elezioni ha avuto
la maggioranza assoluta dei seggi. Da vedere: chi è Fayyad (15), messo a capo di un
esecutivo illegittimo; il ruolo di Dahlan (18, 21); crisi di Fatah (17, 21) e clamorosa
dichiarazione, con immediato dimissionamento, del consigliere-capo dello stesso Abbas
(29); atteggiamento di Israele (17, 26); alcune reazioni negative di analisti egiziani
sull’«azione preventiva» di Hamas (17); dichiarazioni di esponenti di Hamas (15, 16):
l’atteggiamento USA (16).
b)
USA. Sembra incredibile ma al Pentagono progetta(va)no una «bomba gay» (20).
Intanto dai documenti desecretati della CIA ulteriori chicche sul «modello democratico» di
questo paese (26). Guantanamo e lo “stato di diritto” a stelle e strisce (24). L’Unione
Europea s’inchina alle richieste, da parte di Washington, di schedature dei passeggeri in
volo per gli States ed anzi già si parla, con inascoltate voci critiche, di imitarle (30). Dai
principali teatri d’occupazione. Afghanistan: «bounty killer» con licenza di uccidere /
torturare per conto di Washington (15, 18, 24, 30) e la guerriglia punta su Kabul (22).
Iraq: gli USA armano tribù sunnite e generano polemiche (17); Negroponte, attentato alla
moschea di Samarra e governo iracheno (17); chiude l’agenzia ONU su armi distruzione
di massa senza aver trovato alcunché (18); preoccupazioni dell’ambasciatore USA a
Baghdad (18); 9-10 anni ancora in Iraq (19).
c)
Catalogna: inaspettata vittoria alle municipali degli indipendentisti (15); Corsica: “cade”
dal terzo piano di un ufficio dell’antiterrorismo un indipendentista còrso (15) e comunicato
del FLNC-UC (28); Irlanda del Nord (21, 26, 29).
Sparse ma significative:
•
Italia / USA. Base USA “Dal Molin” al via. Lo annuncia ambasciatore USA. Parlamento
italiano all’oscuro. Roba da banani-land (15).
•
Turchia / Iraq / Kurdistan. L’esercito turco spinge per un attacco contro i kurdi nell’Iraq del
nord. Ma lo fa anche per altre ragioni (19, 29).
•
Venezuela. Seconda tappa della rivoluzione energetica (18), referendum revocatori (17),
nascita del PSUV (23), petrolio (26) e un invito di Chávez alle forze armate del suo paese
(25).
•
Russia. Scudo antimissile: la sbeffeggiata di Washington su un’uscita del Cremlino (15) e
penetrazione energetica nei Balcani (25).
1
Tra l’altro:
Lettonia (16 giugno).
Serbia (26 giugno).
Sahara Occidentale (21, 27 giugno).
Etiopia (29 giugno).
Libano (16, 26 giugno).
Yemen (16 giugno).
Pakistan (23 giugno).
Cina / Iraq (23 giugno).
Canada (30 giugno).
USA / Cina (16 giugno).
Messico (17 giugno).
Brasile (15 giugno).
Colombia (23 giugno).
Bolivia (27 giugno).
•
Italia / USA. 15 giugno. È l'ambasciatore USA in Italia, Ronald Spogli, a comunicare, al
posto del governo italiano, che gli USA hanno ricevuto «l'avallo scritto che autorizza il
progetto per la base». «Ora inizia la parte attuativa» del progetto stesso, ha proseguito
Spogli, chiarendo che Prodi ha ribadito il suo ok nell'incontro con George W. Bush a Roma,
sabato scorso. Il governo Prodi non ha ritenuto di dover informare il parlamento del via
libera ufficiale alla base.
•
Catalogna. 15 giugno. La sinistra indipendentista catalana fa un balzo in avanti con le CUP
alle municipali dello scorso 27 maggio. Con le Candidature d'Unità Popolare (CUP), da 6
consiglieri ottenuti quattro anni fa, gli indipendentisti sono arrivati a 22, oltre ad altri 20
ottenuti presentandosi collegati con altre proposte elettorali di sinistra. Presentati candidati
provenienti dai settori sindacale, ecologista, di difesa della cultura e della lingua catalana,
libertario. Il successo è venuto dal lavoro delle organizzazioni che configurano la sinistra
indipendentista catalana (Endavant, MDT e le organizzazioni giovanili Maulets i CAJEI).
Le CUP si sono convertite nello spazio unitario della sinistra indipendentista nell’ambito
della lotta elettorale municipale, come già lo sono anche le SEPC nell’ambito studentesco e
l’organizzazione Alerta Solidària per le questioni anti-repressive. A livello nazionale, lo
spazio d’incontro intorno al quale si sta strutturando tutto il movimento è la campagna «300
anni di occupazione, 300 anni di resistenza» (in ricordo della battaglia di Almansa del 1707,
che vide la vittoria delle truppe borboniche e che ha dato l’inizio all’occupazione spagnola
dei Paesi Catalani), che denuncia la divisione amministrativa dei Paesi Catalani e rivendica
il diritto all’autodeterminazione. Secondo un’analisi dei flussi elettorali, la sinistra
indipendentista avrebbe attratto voti di scontenti dell’ERC (la sinistra repubblicana catalana,
indipendentista), dell’ICV (Iniciativa per Catalunya Verds) e di una parte significativa
tradizionalmente astensionista. L’8 luglio è convocata l’Assemblea Generale delle CUP, per
dotarsi da subito di una struttura che permetta una maggior coesione e agilità nel lavoro
politico.
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Corsica. 15 giugno. Un prigioniero còrso è grave dopo essere caduto da una finestra
dell’Antiterrorismo. L’indipendentista Dominique Pasqualaggi è precipitato ieri da una
finestra del terzo piano del palazzo dove ha sede la Sezione Antiterrorista della Polizia
Giudiziaria francese a Parigi. Secondo la versione della polizia, Pasqualaggi, 34 anni, «si è
lanciato da una finestra aperta» ed è stato trasferito con urgenza in un ospedale vicino.
Pasqualaggi è accusato di aver partecipato, il 21 gennaio 2006, ad un attentato contro uffici
2
del ministero dell’Economia a Aix-en-Provence ed era stato trasferito alle dipendenze della
polizia per essere interrogato su un altro caso.
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Palestina. 15 giugno. Hamas mette le mani su documenti scottanti. Dopo la caduta
dell'edificio della Sicurezza preventiva, sede del palestinese filo-israeliano Mohammed
Dahlan, luogo dove faceva torturare gli oppositori islamici e tagliare loro le barbe in segno
di spregio, sarebbero state trovate le prove della collaborazione tra i servizi segreti guidati
da Dahlan e la CIA. La notizia, a Gaza, non ha sorpreso nessuno. Si tratta, sostiene Hamas,
di documenti segretissimi che svelerebbero uomini, reti e trame di molti servizi segreti
occidentali a cominciare dalla CIA. Varie fonti sostengono che a Gaza è avvenuta la più
grossa fuga di informazioni subita da israeliani, statunitensi e britannici in questi ultimi anni.
I documenti conterrebbero gli elenchi nominativi di agenti, di informatori, di politici che
avrebbero passato informazioni, di infiltrati nelle reti straniere di spionaggio e
controspionaggio fino ai piani realizzati dagli 007 palestinesi sotto copertura in vari paesi
del Medio Oriente, spesso in collaborazione (se non per conto) di agenzie internazionali
come CIA statunitense, MI6 britannico e in parte l'FBS russo. Una parte dei documenti
riguarderebbe delicate questioni interne alla politica palestinese, come la destinazione dei
milioni di dollari giunti sotto forma di aiuti negli anni scorsi e poi dispersi in una fitta rete di
corruzione.
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Palestina. 15 giugno. Abu Mazen ha nominato, ieri sera, un nuovo primo ministro: è Salam
Fayyad, 55 anni, ministro delle finanze nel governo di unità nazionale e ministro
dell'economia nel governo di al Fatah del 2002. Un moderato che piace agli statunitensi: ha
studiato economia in Texas, ex-funzionario della Banca Mondiale, è anche l'unico esponente
del governo Hamas-Fatah ricevuto dall'amministrazione USA (il 18 aprile dal segretario di
Stato Rice). Non ha molto credito tra i palestinesi. Alle ultime elezioni, molto partecipate, ha
raccolto solo il 2% delle preferenze non solo a Gaza ma anche in Cisgiordania.
•
Palestina. 15 giugno. «Precipitosa» e «illegittima» la decisione di Abu Mazen di sciogliere
il governo d'unità nazionale, annunciare costituzione di un governo d'emergenza e elezioni
anticipate. Il primo ministro destituito da Mazen, Ismail Haniyeh, replica subito in
conferenza stampa: («il governo in carica porterà avanti i suoi compiti») e propone la
ripresa dei colloqui con Mazen («ribadisco che la porta è ancora aperta per ricostruire le
relazioni palestinesi sulla base dei valori nazionali»). Haniyeh ha escluso l'intenzione di
creare una Repubblica islamica («La Striscia di Gaza è una parte indissociabile della patria
e i suoi abitanti costituiscono una parte indissociabile del popolo palestinese. Appartiene a
tutto il popolo palestinese non solo ad Hamas»). Abu Mazen però non sembra dare ascolto a
Haniyeh. Entrambe le parti accusano l'altra di aver effettuato un colpo di Stato (ma quale
Stato?, ndr).
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Iran. 15 giugno. Un attacco militare USA sarebbe «catastrofico e un atto di pura follia che
non risolverebbe il problema». Così il responsabile dell'Agenzia internazionale per l'energia
atomica Mogammed, El Baradei, a Vienna. L'Iran –ha detto– è vicino alla produzione di
uranio arricchito su larga scala e ha fatto appello alle autorità iraniane perché sospendano il
loro programma nuclreare.
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Afghanistan. 15 giugno. Karzai «perdona» ex militare USA delle forze speciali, «bounty
killer» e torturatore. Il presidente afghano Karzai (ex dipendente della Halliburton del
vicepresidente USA Cheney) ha scagionato Jack Idema, che in Afghanistan aveva
impiantato un sistema di carceri private dove i prigionieri anti-governativi venivano
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torturati. Nella sua difesa Idema ha sostenuto che il lavoro suo e di altri «bounty killer» a
caccia di taglie era conosciuto e approvato dai governi di Washington e Kabul.
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Russia. 15 giugno. Washington respinge l’offerta russa sullo scudo antimissile. Il radar
offerto da Mosca in Azerbaijan non è ritenuta un’alternativa a quello che il Pentagono
intende installare nella Repubblica Ceca come parte del suo scudo antimissile in Europa.
Dopo un Consiglio NATO-Russia, ieri il capo del Pentagono, Robert Gates, ha detto che il
radar dell’Azerbaijan è «una capacità addizionale» a quello nella Repubblica Ceca. Dopo di
che Gates ha espresso, beffardamente, il suo «apprezzamento» per l’offerta russa, che
considera un «riconoscimento» dell’esistenza della «minaccia di un attacco con missili dal
Medio Oriente».
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Brasile. 15 giugno. Critiche a Lula sulla riforma agraria e per gli agro-combustibili. Ha
chiuso oggi, a Brasilia, il V congresso del Mst (Movimiento dos Trabalhadores Sem Terra),
il più numeroso (18mila i partecipanti) nei 23 anni di storia del movimento, con una marcia
contro le multinazionali dell'agro-business. Oggi l'Mst è presente in 24 stati del paese e
rappresenta più di 350mila famiglie occupanti. Uno dei nodi centrali del congresso è stata la
critica agli accordi presi nel marzo scorso dal governo Lula con George Bush sulla
produzione di agro-combustibili: accordi fortemente orientati al modello agricolo delle
esportazioni e quindi della coltivazione intensiva, assai avverso ai piccoli produttori rurali.
Una posizione, quella di Lula, che ha segnato un passo in più verso la rottura, finora sempre
evitata, fra l'ex sindacalista e i Sem Terra che l'avevano portato alla vittoria nel 2002 e
contribuito –pur con molte riserve– a quella del 2006. Lula ha inaugurato il secondo
mandato cedendo alle seduzioni dei giganti dell'agro-business. Vanderlei Martini, uno dei
dirigenti dell'Mst, ha reso noto che il gabinetto di governo aveva preso contatti con gli
organizzatori del congresso affinché invitassero Lula a parteciparvi, ricevendo in risposta un
secco rifiuto. Il Sem Terra è oggi un movimento di massa divenuto punto di riferimento di
tutte le altre lotte contadine, non solo del continente. Fidel Castro, in una lettera al
congresso, l'ha dipinto come una delle più organizzate roccaforti del mondo contro l'impero
statunitense. Quest'ultimo congresso è stato inoltre marcato da una novità: l'alleanza inedita
fra lotta per la terra e movimenti che si occupano di casa, salute e lavoro nelle aree urbane.
Ossia la convergenza fra riforma agraria e più generale giustizia sociale.
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Brasile. 15 giugno. Contro «gli atti genocidi promossi dagli Stati Uniti nel mondo». Ieri, gli
oltre 17mila delegati al Congresso del Mst (Movimiento dos Trabalhadores Sem Terra),
hanno manifestato davanti alla rappresentanza diplomatica USA: deposte venti bare di legno
coperte da teli neri e con i nomi dei paesi aggrediti da Washington. Di fronte alla sede del
Ministero degli Esteri i manifestanti hanno espresso la loro opposizione alla presenza di
militari brasiliani al comando dei caschi blu ad Haiti.
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Lettonia. 16 giugno. Riga «certamente d’accordo» se Washington decidesse di piazzare
elementi del proprio sistema missilistico in Lettonia. Lo ha dichiarato il primo ministro
lettone Aigars Kalvitis lo scorso 7 giugno.
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Libano. 16 giugno. Prova di forza dell’«illegale e anticostituzionale» (parole di Lahoud)
governo Siniora. Il ministro dell’Informazione, Ghazi Aridi, ha reso noto che l’esecutivo ha
stabilito per il 5 agosto prossimo la data delle elezioni suppletive per i seggi parlamentari
rimasti vacanti a causa dell’uccisione di Pierre Gemayel e Walid Eido. «Una volta emesso il
decreto, verrà eseguito anche se il presidente della Repubblica si rifiutasse di approvarlo»,
ha minacciato Ghazi al-Aridi. Il presidente Emile Lahoud ha replicato con un comunicato
che, in quanto garante della Costituzione, il governo «illegale» (secondo la Costituzione e
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gli accordi di Taif, un esecutivo libanese deve essere comprensivo di tutte le comunità;
quella sciita, con le dimissioni, lo scorso novembre, di tutti i suoi sei ministri, non lo è più),
per convocare elezioni suppletive, deve formare un «governo costituzionale», di unità
nazionale, per approvare la misura. Se il governo Siniora persistesse nel voler evitare il
ricorso alle urne per elezioni generali, questo voto parziale non potrà aver luogo in una
cornice di costituzionalità. Ora il presidente della Repubblica deve ratificare o meno il
decreto entro 15 giorni, come prevede l’iter. Aridi ha già fatto sapere che «la nostra
decisione è di fare le elezioni (suppletive, ndr)». In questo caso c'è chi già ipotizza che il
presidente possa nominare un nuovo governo, e così il paese potrebbe ritrovarsi con due
esecutivi.
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Palestina. 16 giugno. «C'è in carica un governo legittimo che raccoglie la fiducia del
parlamento palestinese e la benedizione della grande maggioranza del nostro popolo». Lo
ha dichiarato il portavoce di Hamas nella Striscia di Gaza, Ismail Redwan. Che ha aggiunto:
«La decisione del presidente è un colpo di Stato contro la legittimità palestinese e una
violazione della nostra legge». Secondo il portavoce di Hamas «da questo momento in poi
la Striscia di Gaza è al sicuro dopo che è stato rimosso il pasticcio istituzionale che esisteva
nelle fila della sicurezza, e quindi il popolo palestinese non aveva alcun bisogno di questo
governo di emergenza». Ismail Redwan ha inoltre ribadito che «Hamas ha aperto e continua
ad aprire le braccia a Fatah e a tutte le altre espressioni della resistenza palestinese», per
governare insieme così come stabilito nell'accordo fra le principali fazioni.
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Palestina. 16 giugno. Gli USA annunciano che revocheranno le sanzioni al nuovo governo
di emergenza e Israele si accinge a fare lo stesso. Coloro che, incuranti delle conseguenze
per i civili palestinesi, avevano bloccato il flusso di finanziamenti all'Autorità Nazionale
Palestinese e che con le loro pressioni fortissime hanno contribuito allo scontro FatahHamas, si preparano ora a coprire d'oro il governo d'emergenza proclamato dal presidente
Abu Mazen. Il Quartetto per il Medio Oriente (USA, Russia, UE ed ONU) ieri ha
riconosciuto la «legittimità» delle decisioni di Abu Mazen, il quale ha sciolto il governo di
unità nazionale guidato dal premier di Hamas Ismail Haniyeh, per nominare un esecutivo di
emergenza che avrà alla guida l'ex ministro delle finanze Salam Fayyad, un passato alla
Banca Mondiale e molto gradito a Washington. «Ritengo che lavoreremo a fianco di questo
governo», ha dichiarato con tono soddisfatto il console USA a Gerusalemme Jacob Walles.
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Palestina. 16 giugno. Gli Stati Uniti hanno «la responsabilità essenziale» della crisi
palestinese. Lo ha dichiarato Khaled Meshaal, il capo dell’Ufficio politico di Hamas,
aggiungendo che «il popolo palestinese dagli americani non ha ricevuto altro che complotti,
tormenti e afflizioni». Durante una conferenza stampa tenutasi ieri sera a Damasco prima
della riunione della Lega araba, Khaled, definendo illegale la decisione di Abu Mazen di
sciogliere il governo di unità nazionale e nominare Salam al Fayyad alla guida di un nuovo
esecutivo, ha ribadito la volontà del suo movimento di lavorare insieme con al-Fatah.
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Yemen. 16 giugno. Accordo di cessate il fuoco per i combattimenti nel nord dello Yemen. Il
governo yemenita e i militanti sciiti hanno raggiunto un accordo, con la mediazione del
Qatar: il governo, in cambio della consegna delle armi pesanti, rilascerà i militanti sciiti
prigionieri, pagherà i costi per ricostruire i villaggi danneggiati, sosterrà le spese di
risarcimento e aiuterà la popolazione deportata a rientrare nelle proprie case.
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Iran. 16 giugno. Appello all’unità ai palestinesi. Teheran rivolge un appello ai palestinesi
affinché restino uniti, rispettino i risultati delle elezioni del 2006 vinte da Hamas e
«combattano il nemico sionista». L’appello è contenuto in una dichiaraione del portavoce
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del ministero degli Esteri, Mohammad Ali Hosseini. «La Repubblica islamica ha sempre
dichiarato la sua contrarietà ai conflitti interni, che vanno contro gli obiettivi rivoluzionari
dei palestinesi. Noi crediamo che i gruppi palestinesi debbano unirsi e combattere il nemico
sionista per porre fine all’occupazione».
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Iran / Cuba. 16 giugno. Ventinove memoranda per una cooperazione economica e
commerciale sono stati siglati oggi a L’Avana, durante il dodicesimo incontro della
Commissione Economica Congiunta Iran-Cuba. Lo comunica l’agenzia iraniana Irna.
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Kirghizistan. 16 giugno. Mosca intende nei prossimi due anni incrementare il numero di
truppe e di velivoli di combattimento nella propria base aerea in Kirghizistan. La base russa
di Kant è distante circa 20 miglia da Bishkek ed impegna al momento 400 soldati e 20 aerei
ed elicotteri da combattimento e da trasporto. Questi numeri dovrebbero salire a 500 truppe
e 28 velivoli.
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Corea del Nord. 16 giugno. La Corea del Nord ha invitato gli ispettori dell’ONU a
Pyongyang per verificare l’avvenuta disattivazione della centrale atomica di Yongbyon. A
dare l’annuncio è l’agenzia nordcoreana Kcna. Come contropartita, Kim Jong Il dovrebbe
ricevere lo sblocco dei fondi congelati per iniziativa USA dal settembre 2005.
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USA / Cina. 16 giugno. Nuovi controlli sull'esportazione di materiale di alta tecnologia
acquistato dalla Cina, inclusi sistemi di comunicazione spaziale e aeromobili. Potrebbe
essere usato dai militari cinesi. Lo ha deciso il dipartimento per il commercio statunitense.
Le nuove disposizioni, in vigore dal 19 giugno, porteranno ad un programma di «clienti
affidabili» che consentirà ad aziende cinesi approvate di importare materiale high-tech senza
l'obbligo di ottenere una licenza specifica.
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Palestina. 17 giugno. Da oggi esistono due amministrazioni palestinesi. Il nuovo governo di
emergenza, che controlla la West Bank occupata, affidato da Abu Mazen a Salam al-Fayyad,
ha prestato giuramento. Abu Mazen ha anche emesso un decreto dichiarando illegale la
Forza di pronto intervento che a suo dire è un’organizzazione armata di Hamas e non del
Ministero degli Interni palestinese. Il decreto specifica, senza citarle per nome, anche
cosiddette altre milizie che vengono messe fuorilegge «a causa del colpo di Stato contro le
legittime istituzioni palestinesi», che sarebbe stato compiuto nella striscia di Gaza. Il decreto
rileva che coloro che fanno parte di questi gruppi «verranno puniti».
•
Palestina / Israele. 17 giugno. «Un partner per la pace». Così il primo ministro israeliano
Ehud Olmert ha definito il nuovo governo nominato dal presidente palestinese. Nel
frattempo il nuovo ministro della Guerra israeliano Ehud Barak, il cui insediamento è
previsto per domani, starebbe preparando un’operazione militare a Gaza per le prossime
settimane. Lo scrive il Sunday Times, che cita fonti militari del regime sionista, secondo cui
verrebbero mobilitati non meno di 20mila uomini. Intanto, la compagnia energetica
israeliana Dor Alon ha annunciato di aver bloccato le forniture di carburante a Gaza, in
coordinamento con le Forze militari israeliane. Secondo quanto scrive il quotidiano Yediot
Ahronot, se i rifornimenti non riprenderanno, nel giro di due o tre giorni tutte le pompe di
benzina della Striscia resteranno senza carburante.
•
Palestina. 17 giugno. Lento ma progressivo il declino di al-Fatah. La costituzione del
governo di Fayyad, subito sostenuto da USA, Israele e dalla vassalla Unione Europea, segna
indubbiamente una vittoria per le fazioni (filo USA e filo Israele) di al-Fatah. Ma ad
un’analisi a più ampio raggio, non si può non rilevare innanzitutto il fallimento, per le
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aspirazioni del popolo palestinese, della politica di al-Fatah che da Oslo in poi ha puntato a
raggiungere per via negoziale un accordo con Israele sulla base dello slogan «due popoli,
due Stati». Dopo quasi vent’anni, i sionisti hanno consolidato e rafforzato la loro
occupazione, tra l’altro costruendo nuovi insediamenti coloniali nel cuore della Cisgiordania
ed erigendo un colossale “Muro dell’Apartheid” con gli obiettivi di annettersi ulteriori terre
e rinchiudere / accerchiare i villaggi palestinesi per farne dei veri e propri Bantustan o
prigioni a cielo aperto che dir si voglia. Al-Fatah si è prestato a questo gioco. Notoria la
corruzione ed il nepotismo nell’amministrazione del potere nei Bantustan cisgiordani, così
come la collaborazione dei servizi di sicurezza di Abu Mazen –del famigerato Dahlan in
primis– con quelli sionisti nella repressione delle componenti palestinesi più radicali.
•
Palestina. 17 giugno. La vittoria di Hamas nelle elezioni del gennaio 2006 è stata la logica
conclusione della strategia di al-Fatah. In quell’occasione gli USA, con l’appoggio
dell’Unione Europea, diedero l’avvio al blocco economico dei territori palestinesi,
prendendo come pretesto il rifiuto da parte di Hamas di precondizioni per una trattativa che
un alto funzionario dell’ONU, Alvaro de Soto, in un rapporto che avrebbe dovuto rimanere
confidenziale, doveva poi definire «non ottenibili (unachievable)». Fin dal principio fu
chiaro che il fine del boicottaggio era la creazione di una situazione talmente catastrofica da
spingere i palestinesi a rivoltarsi contro quello stesso governo di Hamas da loro
democraticamente eletto solo poco prima. Insomma, come argomentato dallo studioso
statunitense Augustus Richard Norton, si trattava di realizzare un colpo di Stato «soft». In
effetti, il blocco economico imposto dagli USA e il mancato versamento da parte di Israele
dei proventi di una serie di imposte e di tariffe doganali, riscosse dallo Stato sionista
secondo il dettato dell’accordo di Oslo, ma dovute all’ANP, hanno determinato una vera e
propria catastrofe umanitaria nei territori occupati (largamente sottaciuta dai nostri media).
Tuttavia, contrariamente agli auspici statunitensi, la rivolta popolare contro Hamas non c’è
stata.
•
Palestina. 17 giugno. Arriviamo all’accordo della Mecca dell’8 febbraio, mediato dai
Sauditi, che avrebbe dovuto stabilizzare la situazione nei territori occupati attraverso la
creazione di un governo di unità nazionale tra Hamas e al-Fatah. Un accordo fallito a causa
del blocco economico. La mediazione saudita, per portare a risultati concreti e permanenti,
avrebbe dovuto comportare l’invio di cospicui aiuti economici alla popolazione dei territori
occupati. Tali aiuti, in effetti, erano stati previsti –e in modo generoso– dai Sauditi. Il
problema è che la continuazione del blocco economico dei territori occupati ne ha impedito
l’afflusso: mentre la situazione sul terreno si faceva sempre più drammatica, i palestinesi
hanno continuato a sprofondare nell’indigenza e perfino nella fame, nelle loro gabbie a cielo
aperto a Gaza e nella Cisgiordania. La politica di affamare i palestinesi per determinare il
crollo di popolarità di Hamas è stata fatta alla luce del sole. Questa, però, era solo una parte
del piano di destabilizzazione messo in atto sotto la regìa di Washington. Il 30 aprile, il
settimanale giordano Al-Majd ha pubblicato un servizio su un documento intitolato “Action
Plan for the Palestinian Presidency”, piano finalizzato ad abbattere il governo di unità
nazionale palestinese nato dalla mediazione saudita. Secondo il testo diffuso da Al-Majd,
che ha riferito di avere ottenuto il documento da una fonte interna ai servizi segreti giordani,
il deterioramento della situazione economica nei territori occupati avrebbe dovuto portare
alla decisione del presidente dell’ANP, Mahmoud Abbas, di sciogliere il parlamento
palestinese e di indire nuove elezioni. In considerazione però del fatto che Hamas
continuava a disporre non solo della maggioranza parlamentare, ma anche dell’appoggio
della maggioranza della popolazione, una decisione del genere –ingiustificabile dal punto di
vista legale– non avrebbe avuto nessuna possibilità di ottenere l’accettazione di Hamas.
Perché il progetto potesse realizzarsi era quindi necessario che il governo palestinese fosse
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rimosso con la forza delle armi, nel corso di un vero e proprio colpo di Stato. Una soluzione
questa che, secondo altre fonti, era stata prevista e poi fortemente voluta da un alto
esponente dell’Amministrazione Bush fin dal febbraio 2006, Elliott Abrams, già longa
manus di Reagan in tutte le attività sovversive allora messe in atto dagli USA in Centro
America ed oggi uno dei personaggi più potenti dell’Amministrazione Bush.
•
Palestina. 17 giugno. Rimesso in pista da George Bush all’inizio del suo secondo mandato,
Abrams è stato promosso a “vice consigliere per la sicurezza nationale incaricato della
strategia per la democrazia globale” (Deputy National Security Advisor for Global
Democracy Strategy). Coerentemente con le proprie politiche, Bush ha poi incaricato il suo
consigliere per la “democrazia globale” di destabilizzare la democrazia palestinese. Il ruolo
di protagonista del colpo di stato ideato da Abrams era stato individuato nel presidente
Abbas. Quest’ultimo avrebbe usato le milizie di al-Fatah, a lui fedeli, capeggiate dall’ex
capo della sicurezza preventiva a Gaza, Mohammad Dahlan (che, attualmente, ricopre la
carica di consigliere per la Sicurezza del presidente Abbas). Secondo Conflictsforum, il
ruolo più importante nella preparazione del colpo di Stato avrebbe finito per essere affidato
non tanto alla CIA (scettica sulla possibilità di riuscita del piano), quanto ad un gruppo di
funzionari dell’antiterrorismo alle dipendenze del Dipartimento di Stato USA. Costoro,
agendo attraverso i servizi segreti giordani ed egiziani, hanno promosso il riarmo delle
milizie di al-Fatah e, addirittura, il loro addestramento in due basi a Gerico e a Ramallah.
Nel frattempo, gli israeliani guardavano dall’altra parte: come ammesso da un portavoce
della Difesa (Jerusalem Post del 7 giugno), «non forniamo fisicamente armi ai palestinesi.
Permettiamo semplicemente che accada».
•
Palestina. 17 giugno. Il programma di destabilizzazione ha subìto una netta accelerazione
subito dopo la conclusione, lo scorso febbraio, della mediazione saudita e la conseguente
formazione del nuovo governo di unità nazionale. Secondo le nuove tabelle di marcia, la
destituzione del governo palestinese avrebbe dovuto avvenire tanto presto da poter indire
nuove elezioni per l’autunno di quest’anno. Parte integrante dell’accelerazione del piano è
stato un parziale rilassamento del blocco economico, in modo da rendere possibile
convogliare aiuti finanziari di una certa entità al presidente Abbas. Tali aiuti avevano il fine
ufficiale di avviare una serie di progetti di ricostruzione e quello reale di permettere ad
Abbas di finanziare i propri partigiani e di puntellare la propria traballante popolarità. Il
piano Abrams aveva però una fatale pecca: la ormai scarsissima popolarità del presidente
Abbas e del suo partito al-Fatah. In un articolo del 25 dicembre su Ha’aretz, Yuval Diskin,
capo dello Shin Bet (il corpo dell’intelligence responsabile della sicurezza in Israele e nei
territori occupati), in una dichiarazione di fronte al governo israeliano, aveva messo in luce
come, mentre Hamas manteneva il suo seguito popolare, al-Fatah si stesse disgregando.
Secondo Diskin, in caso di nuove elezioni nell’Autorità Palestinese, «le probabilità di Fatah
di vincere (…) sarebbero state prossime allo zero». Il piano, però, è andato avanti lo stesso,
anche se, forse, non nei modi previsti da Abrams: Hamas, infatti, capita l’antifona, invece di
impantanarsi in un conflitto alla lunga logorante, trovatasi in una posizione di forza ha scelto
l’attacco alle brigate di Dahlan.
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Palestina. 17 giugno. Sconfitte le milizie di Dahlam, Hamas ha preso il controllo della
Striscia di Gaza. A questo punto Abu Mazen ha dimissionato il governo di unità nazionale
parlando di “colpo di Stato”. E con gli israeliani che pressoché quotidianamente uccidono,
bombardano, arrestano, demoliscono e sradicano case e coltivazioni in Palestina
nell’assoluta impunità, cosa fa Abu Mazen? Lancia un velato quanto immotivato
ammonimento a Siria ed Iran a non interferire nella situazione interna. Incredibile! Non c’è
da stupirsi allora del sostegno offerto da Bush e da Olmert ad Abu Mazen nella formazione
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di un nuovo governo. Le decisioni di Abu Mazen violano apertamente la Costituzione
palestinese in quanto egli, pur formalmente potendo dimissionare un governo, non può
insediarne un altro con atto d’imperio, ovvero senza l’approvazione del Consiglio
Legislativo Palestinese (il Parlamento dell’Autorità Nazionale Palestinese, dove Hamas ha
la maggioranza assoluta). La Costituzione, inoltre, non dà al Presidente, nemmeno ove
dichiarasse lo stato di emergenza, di sospendere gli articoli che riguardano l’autorità del
Consiglio Legislativo Palestinese né ha l’autorità di dissolverne o interromperne i lavori
durante il periodo di emergenza (articolo 113). In poche parole se golpe c’è stato, questo è
quello orchestrato per procura da Abu Mazen.
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Palestina. 17 giugno. Analisti e commentatori egiziani non hanno dubbi: prendendo
militarmente il controllo della Striscia di Gaza, Hamas ha firmato il suo atto di morte.
«Hamas si è messo in prigione da solo e ha consegnato le chiavi al nemico», dice Emad
Gad, principale esperto egiziano di affari israeliani. «Chiuso dentro a 360 chilometri
quadrati, Hamas si troverà a gestire un milione e mezzo di persone alle quali Israele può
togliere tutto, acqua, elettricità, cibo. Quanto potrà durare? Cinque o sei settimane al
massimo», dice Gad. E già oggi la compagnia petrolifera israeliana Dor Alon ha annunciato
che taglierà i rifornimenti alle stazioni di servizio della Striscia. Per il momento rifornirà
soltanto le centrali elettriche. «Sono caduti come stupidi nella trappola di Mohammed
Dahlan (responsabile della sicurezza di Fatah, ndr) che mette in atto un'agenda scritta da
Stati Uniti e Israele», aggiunge Gad, «Il nuovo premier israeliano otterrà subito l'aiuto di
USA e Israele e, in conclusione, la Cisgiordania sarà il paradiso e Gaza sprofonderà ancor
più nell'inferno». Nemmeno l'Egitto muoverà un dito per aiutare Hamas, che ha già
abbandonato, riconoscendo immediatamente il governo scelto da Abu Mazen insediatosi
oggi a Ramallah: «Il Cairo non ha alcun interesse ad aiutare Hamas», commenta ancora
Gad, «perché la fine di Gaza sarà di esempio a chi sostiene i Fratelli musulmani», la
principale forza d'opposizione egiziana legata a Hamas. Occupando Gaza, scrive Makram
Mohammed Ahmed sul quotidiano governativo egiziano al Ahram, «Hamas ha sepolto per
un tempo indeterminato la causa palestinese... ha offerto su un piatto d'argento a Israele la
separazione tra Cisgiordania e Gaza». Il piano era evidente, commenta sullo stesso giornale
Salama Ahmad Salama, «ora che Gaza è sotto controllo (del movimento islamico, ndr),
comincia la seconda fase, isolare Hamas e dare tutto il potere a Ramallah a Mahmud
Abbas... creando due entità separate non ci sarà più bisogno di nessun negoziato». L'ANP
sarà riconosciuta governo legittimo e Hamas un potere ribelle «che protegge a Gaza
terroristi e sostenitori di al Qaeda».
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Palestina. 17 giugno. A Gaza è iniziata la caccia alle ultime scorte di benzina dopo che la
società israeliana Dor Alon ha annunciato di aver congelato da oggi tutti i rifornimenti di
gas e benzina, fatta eccezione per quelli destinati alle centrali elettriche. Molte fabbriche e
laboratori, a iniziare da quelli per la produzione del pane, riescono ad avere energia solo
attraverso i generatori. Dai generatori dipendono anche gli ospedali, nei quali molte
ambulanze sono ferme per mancanza di carburante.
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Iraq. 17 giugno. Al-Maliki critica la pratica USA di armare le tribù sunnite contro alQaeda. Il primo ministro iracheno Nouri al-Maliki ha criticato apertamente la nuova pratica
seguita dalle forze di occupazione USA di armare delle tribù sunnite nella speranza di
vederle arruolate nella battaglia contro al-Qaeda. Al-Malki, citato dalla Reuters, ha detto al
settimanale Newsweek «Vogliamo armare alcune tribù che intendono stare al nostro fianco,
ma a condizione di conoscerle molto bene e sicuri che non siano collegate con il
terrorismo». Al-Malki ha poi aggiunto che «alcuni ufficiali USA sul campo hanno sbagliato
per mancanza di conoscenze riguardo la gente con cui hanno a che fare. Credo che le forze
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della coalizione non conoscano la storia delle tribù locali. Hanno commesso degli errori e
questo è pericoloso, perché contribuirà a creare nuove milizie».
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Iraq. 17 giugno. Negroponte sapeva di Samarra. Una fonte citata dall’iraniana Press Tv ha
affermato che ci sono indicazioni secondo cui il vice segretario di Stato USA John
Negroponte fosse al corrente già il 12 giugno scorso, durante la sua inattesa visita a
Baghdad, dell’imminente attentato al santuario sciita di Samarra, avvenuto l’indomani.
Durante i suoi colloqui a Baghdad, Negroponte avrebbe insistito con diversi alti
rappresentanti iracheni affinché rassegnassero le dimissioni, tra loro il vice presidente Adel
Abdul Mahdi, per procedere poi con un cambio di governo. Negroponte avrebbe fatto
promesse ai suoi interlocutori di importanti incarichi nel prossimo esecutivo. L’attentato
sarebbe stato portato a termine da ex appartenenti ai servizi di sicurezza del deposto regime
di Saddam Hussein, con cui gli Stati Uniti ora collaborerebbero attivamente.
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Messico. 17 giugno. La Corte suprema messicana ammette per la prima volta che la
repressione della rivolta del 2006 ha violato i diritti umani. Il principale responsabile, il
governatore Ulisese Ruiz del Pri (Partito rivoluzionario istituzionale), è però sempre al suo
posto. Il giudice della Corte suprema di giustizia messicana, Juan N. Silvia Meza, ha
pubblicamente sostenuto che «le autorità federali, statali e municipali dello stato di Oaxaca
hanno gravamente violato le garanzie individuali nel periodo compreso tra il 2 giugno e il
31 gennaio scorso». Restano le tante persone scomparse dopo la brutale repressione da parte
di tutte e tre le forze di sicurezza (federale, statale e municipale), in particolare, il 25
novembre del 2006. Quel giorno furono fermate più di 350 persone, tra cui bambini ed
anziani; moltissimi furono incarcerati e 63 colpiti a morte. Altre, in quella stessa circostanza,
sono state fatte sparire.
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Venezuela. 17 giugno. Si raccolgono firme per attivare i referendum revocatori contro 167
autorità. L’operazione è iniziata ieri presso il Consiglio Nazionale Elettorale. Condizione
minima è l’ottenimento della firma del 20% degli elettori. Nella circostanza la richiesta di
revoca è stata mossa contro 9 dei 23 governatori del paese, 109 sindaci e 49 legislatori
nazionali. È la seconda volta che si realizza un processo di questo tipo, essendo il primo
stato celebrato contro il presidente Hugo Chávez, che, sottoposto a referendum revocatorio
nell’agosto 2004, ne è uscito trionfatore con oltre il 60%.
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Palestina. 18 giugno. Promulgati ieri due decreti da parte di Abu Mazen. Il primo è più
grave e gravido di conseguenze del secondo. Il presidente dell’Autorità Nazionale
Palestinese ha stabilito così, a suo arbitrio, che la disposizione che obbligava il governo
palestinese a ricevere l’approvazione del Parlamento è derogata. Il potere legislativo è in
mano ad Hamas che, nel gennaio 2006, ha vinto le elezioni ed ha la maggioranza assoluta.
Per legittimare il suo (e di USA e Israele) governo, Abu Mazen –con un colpo di spugna
degno degli anni più bui delle dittature latinoamericane– ha rimosso il problema per decreto.
Con un secondo decreto presidenziale, Abbas ha illegalizzato la Forza Esecutiva e le milizie
di Hamas. Il decreto specifica, minacciosamente, che «chiunque sia coinvolto in questi
gruppi, sarà punito, in accordo con la legge e gli ordini derivati dallo stato di emergenza».
Il primo ministro dell’esecutivo di unità nazionale, Ismail Haniyeh, ha insistito da Gaza che
il suo governo continua ad essere il legittimo governo palestinese. «Il Consiglio dei Ministri
considera senza base giuridica gli atti compiuti dal presidente, Mahmud Abbas. Il governo
di unità palestinese proseguirà nell’adempimento dei suoi obblighi in accordo con la
legge», ha dichiarato.
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Palestina. 18 giugno. Su Dahlan e la sua gang (Rashid Abu Shubak, Maher al Maqdah e
altri), al-Fatah si spacca. Alcune figure di spicco del partito di Abu Mazen, nella Striscia di
Gaza, hanno chiesto di mettere sotto processo sia Muhammad Dahlan, uomo forte di Fatah e
del presidente Abu Mazen, nonché uomo più volte apprezzato da Israele e USA, sia altri
dirigenti corrotti che si sono arricchiti con fondi palestinesi e usato il potere in modo
spregiudicato. Tra le accuse, anche quella di aver abbandonato i loro agenti a Gaza,
mettendosi al sicuro in Cisgiordania. Abu Mazen, impossibilitato a difendere Dahlan, lo ha
rimosso dalla vice presidenza del Consiglio nazionale per la sicurezza. Dacché Dahlan ha
assunto quell'incarico, il suo intento è stato creare caos e minare la presenza di Hamas nel
governo di unità nazionale. Le conseguenze sono davanti agli occhi di tutti.
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Palestina. 18 giugno. Un gruppo di Fatah, ieri, ha chiesto di perseguire penalmente tutti i
personaggi-chiave del movimento responsabili della caduta di Fatah nella Striscia di Gaza.
Per Dahlan ha chiesto la «massima pena possibile». Tra i dirigenti che hanno richiesto
un'epurazione e una condanna per i colleghi di partito c'è anche l'ex segretario di Fatah nella
Striscia, Husam 'Udwan. Durante una conferenza stampa, 'Udwan ha chiesto a un leader di
Fatah, Ahmad Hillis, di unirsi al gruppo e di formare un comitato di emergenza per
«proteggere il movimento». L'ex segretario ha avvertito i colleghi che la stessa «corrente
golpista» di Fatah che ha portato alla sconfitta nella Striscia, potrebbe diffondersi anche in
Cisgiordania. E ha chiesto le dimissioni dei membri di questa ala «prima che sia troppo
tardi». Alla conferenza stampa hanno partecipato leader delle Brigate al-Aqsa (Ala' Tafish,
Abu Alwalid al-Ja'bari e il segretario di Fatah nella regione centrale di Gaza, Yousif Issa).
Tutti hanno ribadito che la «resistenza contro l'occupazione è l'unico principio palestinese
immutabile». Intanto Hamas ha rilanciato il suo appello ad Abbas, «presidente legittimo» ed
ai settori «non corrotti» di al-Fatah per cercare un’uscita negoziata alla crisi. Dahlan a
Ramallah ha allestito una «sala operativa» per studiare come «recuperare Gaza» assieme ai
suoi uomini.
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Palestina. 18 giugno. Dahlan aveva pianificato di «liquidare Hamas nella Striscia di Gaza
e di eseguire un massacro su vasta scala». Lo ha dichiarato Yahya Mousa, vice-capo del
blocco di Hamas nel Consiglio Legislativo palestinese, a Palestine-info. «Il gruppo di
Muhammed Dahlan, in collaborazione con gli Stati Uniti, Israele e il capo dell'ANP,
Mahmoud Abbas, stava pianificando una campagna sanguinosa contro Hamas nella
Striscia di Gaza, e l'uccisione di centinaia di leader e attivisti». Mousa ha riferito che
Dahlan stava orchestrando di trasformare Gaza in una gigantesca fossa comune per Hamas e
i suoi sostenitori. Tutto ciò, al servizio della guerra contro l'Islam di Israele e del presidente
Bush. «Gli 'sradicatori' avevano pianificato di decapitare Hamas. Questo è ciò che ha
costretto Hamas a agire».
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Israele / Palestina. 18 giugno. «Il più grande disastro di spionaggio nell’ultimo secolo.
Mai successa una cosa simile nella storia dei servizi di intelligence internazionale,
compresa la caduta del nazismo a seguito della seconda guerra mondiale, e la caduta del
comunismo in Germania dell’est negli anni Novanta». Così, da fonti dell’intelligence
israeliana, si commenta la caduta dei servizi di sicurezza palestinesi a Gaza in mano al
movimento di Hamas. «Questi documenti riveleranno a Hamas e fra poco all’Iran e alla
Siria i piani del Mossad, dello Shabak e Aman, delle agenzie di intelligence dei paesi
europei, comprese le liste dei collaborazionisti e i nomi di personalità israeliane che hanno
lavorato con i palestinesi in diverse azioni in cambio di soldi». Le fonti dell’intelligence
israeliana hanno aggiunto che i documenti abbandonati dal regime di Saddam Hussein in
Iraq nel 2003 sono considerati «gioco da ragazzi» al confronto di quelli delle forze di
intelligence appartenenti al presidente Mahmud Abbas e al suo braccio destro, Mohammad
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Dahlan. E hanno sottolineato che si sta parlando di «una bomba ad orologeria» reale
presente nella sede “delle forze preventive” a Taal al-Hawa e nella sede dell’intelligence
palestinese che si trova vicino al porto di Gaza. Materiale che sarà utilizzato da Hamas,
Siria, Iran e Hezbollah. «Hamas ha preso il controllo di documenti che riguardano
operazioni segrete di organizzazioni di intelligence occidentali eseguite in Medioriente,
oltre alle informazioni sui contatti tra i palestinesi e organi di intelligence dal tempo del
presidente Yasser Arafat». Le fonti sopraindicate aggiungono che Hamas è in possesso di
apparecchiature di ascolto e di osservazione fornite da Washington all’Autorità Nazionale
Palestinese. «Siria e Iran saranno disposti, per avere queste informazioni, a pagare grandi
somme per capire cosa è successo e quello che sta succedendo. Questo tesoro investigativo
sarà una grande mina per tutti i poteri politici in Occidente e per i loro organi di
intelligence». Giovedì, fonti occidentali hanno contattato dirigenti israeliani e espresso
meraviglia perché questi ultimi non hanno reagito a quanto stava accadendo a Gaza. Si sono
chiesti perché l’aviazione non abbia bombardato l'area e le sedi di intelligence palestinese.
Queste fonti hanno precisato che non ci sono state risposte da parte israeliana.
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Iraq. 18 giugno. Chiude l’agenzia ONU incaricata di cercare le armi di distruzione di massa
in possesso di Saddam Hussein. Dopo otto anni di lavoro e una guerra dalle conseguenze
ancora non quantificabili, non si è trovato alcunché. La decisione è frutto di un accordo
raggiunto all'ONU tra Stati Uniti e Russia. Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite
adotterà pertanto, per fine mese, una risoluzione per la chiusura della U.N. Monitoring,
Inspection and Verification Commission, creata nel 1999 proprio per cercare le armi
biologiche e chimiche presuntivamente in possesso di Saddam. La stessa risoluzione porrà
fine anche al lavoro degli uomini dell'ONU a caccia delle armi atomiche irachene. Il
possesso da parte dell'Iraq di Saddam delle presunte armi di distruzioni di massa era stata la
giustificazione formale per l'invasione ordinata da Bush nel 2003. Feisal al-Istrabadi, viceambasciatore iracheno alle Nazioni Unite, usa parole amare: «Il nostro paese sta ancora
pagando le conseguenze di essere stato trattato come uno stato canaglia».
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Iraq / USA. 18 giugno. L’ambasciatore USA a Baghdad ha ammesso la gravità della
situazione attuale in Iraq. Ryan Crocker ha affermato stamani che le circostanze sono gravi e
che ci sono tanti problemi irrisolti in questo paese. Intanto il Washington Post ieri in un
editoriale, citando gli esperti del Consiglio delle Relazioni Estere, ha definito fallimentare la
politica adottata dalla Casa Bianca in Iraq.
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Afghanistan. 18 giugno. La guerra preventiva continua a seminare morti innocenti. Stavolta
è toccato a sette bambini. Almeno sette bambini afghani sono stati uccisi dalle bombe della
coalizione multinazionale guidata dagli USA. Lo hanno annunciato fonti della coalizione
stessa, mentre monta la rabbia per le vittime civili provocate dalle operazioni militari. La
violenza è divampata negli ultimi mesi in Afghanistan dopo la pausa invernale, con le truppe
straniere impegnate in un’offensiva contro le roccaforti dei guerriglieri talebani e a subire i
contrattacchi di questi ultimi. Negli ultimi mesi sono stati più di 120 i civili uccisi dalle
truppe straniere in Afghanistan, secondo le stime del governo afgano. Morti che hanno
provocato proteste con richieste di dimissioni del presidente Hamid Karzai ed il ritiro delle
truppe USA, nerbo dei 50mila militari stranieri impegnati nel Paese.
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Venezuela. 18 giugno. Sostituire quasi 27 milioni di lampadine inefficienti con altre a basso
consumo energetico, nei settori commerciale, industriale e ufficiale. Riguarderà i 13 stati dal
maggior potenziale industriale. È l’inizio di una nuova fase della Rivoluzione Energetica
annunciata dal presidente del Venezuela, Hugo Chávez, durante l’inaugurazione
dell’impianto a ciclo combinato della termoelettrica Trermozulia, nell’ovest del paese. Lo
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riferisce il quotidiano cubano Granma. La prima fase ha visto la sostituzione di 53,2 milioni
di lampadine incandescenti nelle abitazioni venezuelane. È da mesi che non si producono
interruzioni nell’erogazione dell’elettricità in stati come Nueva Esparta, Amazonas e Delta
Amacuro, dove queste erano frequenti ed il miglioramento del servizio ha beneficiato molte
abitazioni. L’impiego di Termozulia, che riduce al minimo le emissioni nell’atmosfera, è
un’altra delle iniziative della Rivoluzione Energetica, che comprende inoltre la sostituzione
del petrolio con gas naturale nella generazione elettrica, la sostituzione di impianti d’aria
condizionata con altri dal minor consumo e l’impiego di fonti rinnovabili.
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Turchia / Iraq / Kurdistan. 19 giugno. Dirigente del PKK avverte la Turchia di non
invadere il Kurdistan Sud. Cemil Bayik, figura di spicco del PKK (Partito dei Lavoratori del
Kurdistan), ha messo in guardia l’esercito turco dall’intervenire militarmente nel Kurdistan
Sud perché si esporrebbe «a un disastro politico e militare». Così dice Bayik al quotidiano
britannico The Guardian, dal suo rifugio sulle montagne kurde, aggiungendo che non solo
troveranno un’accanita resistenza della guerriglia kurda, ma che «l’esercito turco finirà in
un pantano» con un possibile intervento dell’Iran. Per il dirigente del PKK, «i generali
turchi giocano ad un gioco molto pericoloso» nel loro tentativo di sloggiare dal potere, ad
Ankara, gli islamisti di Recep Tayyip Erdogan, destabilizzare il Kurdistan Sud ed impedire
che si celebri un referendum a Kirkuk per decidere se sarà parte o meno dell’ente autonomo
kurdo. «Il PKK è solo l’ultima delle sue [dell’esercito turco, ndr] preoccupazioni», ha
aggiunto.
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Iraq / USA. 19 giugno. Washington prevede di mantenere le sue truppe in Iraq «per almeno
altri 9-10 anni». A dichiararlo, ieri, alla televisione Fox News, è stato il comandante delle
forze statunitensi nel paese arabo occupato, il generale David Petraeus. Richiesto, quindi, se
pensa che gli obiettivi degli Stati Uniti siano raggiungibili per settembre, come da accordi
tra il Congresso e l’amministrazione Bush, quando cioè sarà presentata una valutazione della
situazione, Petraeus ha risposto che non lo crede possibile.
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Gran Bretagna / Afghanistan. 20 giugno. «Rimarremo ancora per decenni».
L'ambasciatore di Londra a Kabul, Sherard Cowper-Coles, che ha assunto l'incarico un mese
e mezzo fa, ha dichiarato oggi che il suo paese intende mantenere una significativa presenza
in Afghanistan per diversi decenni. «Il compito di tenere in piedi un governo
dell'Afghanistan che sia sostenibile prenderà molto, moto tempo», ha detto Cowper-Coles
alla radio della BBC. «È una maratona, non una gara di velocità. Dovremmo pensare in
termini di decenni». L'ambasciatore ha fatto appello al futuro primo ministro Gordon Brown
perché non si faccia condizionare dai timori di Tony Blair per possibili rivolte antioccidentali, in particolare contro la Gran Bretagna. Londra ha stanziato 7700 truppe nel
paese, in gran parte nel sud, nella provincia di Helmand, dove incontrano la dura resistenza
dei combattenti taliban. Negli ultimi mesi le richieste di ritiro da parte della popolazione
afghana sono sempre più pressanti soprattutto per i sempre più frequenti massacri di civili
sotto i bombardamenti USA-NATO. Su questo l'ambasciatore ha detto: «Sono stati
commessi errori, ma la verità è che il popolo afgano ci vuole qui».
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Palestina. 20 giugno. In Cisgiordania arriveranno aiuti finanziari per un miliardo di dollari,
prontamente promessi da USA, UE e Israele al governo «moderato» di Salam Fayyad. In
serata, con l'ennesimo decreto presidenziale, il medico Zakaria al-Agha, uno dei dirigenti
storici di Al-Fatah, sarà nominato responsabile del partito a Gaza. Un compito non facile per
l'anziano esponente palestinese, tra i protagonisti della Conferenza di pace di Madrid del
1991, chiamato a placare le laceranti polemiche esplose nel partito per la sconfitta umiliante
patita, nonostante gli attivisti di Fatah e gli agenti dei servizi di sicurezza fossero più
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numerosi e meglio armati di quelli di Hamas. «Non volevo morire per quelli (i dirigenti di
Fatah, ndr) che ci hanno abbandonato. Ho deposto le armi ai primi attacchi. Dahlan e i suoi
amici si dividevano milioni di dollari mentre noi militari guadagnavamo 300 dollari al
mese», è la lamentela diffusa tra gli agenti del servizio di sicurezza preventiva legato a
Fatah. Ieri sera i media locali riferivano che il leader più popolare di Fatah, Marwan
Barghuti, in carcere in Israele, ha chiesto che Dahlan e i suoi collaboratori vengano
allontanati immediatamente dal partito mentre si diffondono indiscrezioni, alimentate anche
dal ministro israeliano Ben Eliezer, sulla possibilità che Barghuti venga scarcerato su
richiesta di Abu Mazen.
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Palestina. 20 giugno. Hamas ricorda all’Occidente che sta dando il suo appoggio ad un
esecutivo illegittimo e non eletto. Il Movimento della Resistenza Islamica (Hamas) qualifica
questa decisione come «un altro tentativo per far mordere la polvere al popolo palestines e
punire Hamas». Il portavoce del movimento islamista, Sami Abu Zuhri, rileva che «un anno
e mezzo dopo l’arrivo di Hamas al governo, i tentativi di abbatterlo continuano ad essere
un’illusione e pare che l’Occidente non abbia appreso la lezione». Intanto il presidente
USA, George W. Bush, ed il primo ministro israeliano, Ehud Olmert, hanno ribadito da
Washington il loro «forte appoggio» al Gabinetto non eletto nominato per decreto dal
presidente dell’Autorità Palestinese (ANP), Mahmud Abbas (al-Fatah). Leader politico di
uno Stato, quello israeliano, che ha ingannato più volte i palestinesi, Olmert ha espresso la
sua disponibilità ad intavolare, a partire da ora, «negoziazioni serie [come a dire che prima
non lo erano, ndr] sulla creazione di uno Stato palestinese».
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Palestina. 20 giugno. ONU: poche settimane e la striscia di Gaza resterà priva di generi
alimentari. Stando a un comunicato dell’Ufficio di coordinamento dell’ONU per gli aiuti
umanitari nei Territori palestinesi, «la riapertura del valico di Karni (tra Gaza e territori
occupati, ndr) è essenziale per evitare una carenza di generi alimentari nella striscia di
Gaza entro due-quattro settimane». Stando al funzionario di al Fatah, Saeb Erekat, la
popolazione di Gaza avrebbe riserve per non più di nove giorni.
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Iraq. 20 giugno. Teheran condanna il bombardamento di centri abitati. «Il bombardamento
delle zone abitate da civili in Iraq è il segno di confusione in cui si dibattono gli occupanti
di questo Paese». Così il portavoce del ministero degli Esteri iraniano condanna le azioni
violente delle forze occupanti sui civili. Mohammad Ali Hosseini ha chiesto alle forze
straniere in Iraq di «osservare le convenzioni internazionali e non violare i principi umani e
morali». Per Hosseini «sono gli statunitensi ad armare i gruppi terroristi iracheni allo
scopo di fomentare guerra civile in Iraq che di conseguenza gli permette di prolungare la
loro presenza in questo Paese».
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USA. 20 giugno. Per l’alto comandante dell’esercito USA in Medioriente, l’Ammiraglio
William Fallon, la questione nucleare iraniana dovrebbe essere risolta tramite la diplomazia.
«L’uso della forza contro l’Iran non porterebbe da nessuna parte e la crisi con questa paese
dovrebbe essere risolta attraverso la diplomazia». Fallon ha affermato che «l’Iran svolge un
ruolo costruttivo nell’area e potrebbe essere un grande aiuto per noi per stabilire pace e
sicurezza in Iraq e Afghanistan». Fallon si era non molto tempo fa rifiutato di schierare tre
portaerei nel Golfo Persico come monito all’Iran.
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USA. 20 giugno. Bomba sessuale predisposta dal Pentagono. Il fine: indurre l’omosessualità
tra le fila nemiche. In tal modo si pensava di «minare disciplina e morale dei combattenti».
Di questo progetto si viene a conoscenza per la prima volta alla fine del 2004, grazie alla
Legge sulla Libertà d’Informazione, che obbliga alla declassificazione di documenti
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ufficiali, e soprattutto all’attività di Sunshine Project. Questa organizzazione, con sede ad
Austin (Texas) e Amburgo (Germania), lavora per denunciare ricerca e uso di armi
biologiche dopo la Guerra Fredda. La settimana scorsa il Pentagono ha ammesso che si era
deciso di avviare ricerche in tal senso, ma che l’idea è stata poi accantonata. La proposta del
Pentagono sarebbe stata passata ai laboratori Wright delle forze aeree, a Dayton (Ohio); c’è
chi però sostiene che sarebbero stati detti laboratori a proporre la cosa al Pentagono. Si
trattava di creare una bomba non letale contenente un poderoso afrodisiaco chimico che
penetrasse per le vie respiratorie e cutanee e fosse suscettibile di mutare i soldati
eterosessuali in soldati gay. Per questo sono stati destinati 7,5 milioni di dollari per ricerche
portate avanti nel massimo segreto possibile. Secondo il tenente colonnello Brian Maka, tale
idea faceva parte di una serie di proposte su armi non letali, includenti altri progetti come un
prodotto chimico che rendesse i nemici molto sensibili alla luce del sole e un altro che
intendeva creare api estremamente aggressive e topi specialmente furiosi contro i soldati
nemici. Secondo Sunshine Project il progetto della bomba gay non è stata accantonata.
Edward Hammond, portavoce negli USA, sostiene sul sito dell’organizzazione che non
ritiene che il Pentagono dica tutta la verità per il fatto che il progetto è stato tenuto in conto e
finanziato per diversi anni. Hammond assicura che esiste un CD-Rom del 2000 di un
organismo legato al Pentagono su armi non legali inviato alle Accademie Nazionali della
Scienza che include questo progetto.
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Irlanda del Nord. 21 giugno. Gli orangisti accettano di negoziare con gli abitanti di
Garvaghy Road. È la prima volta che la massoneria dell’Ordine di Orange accetta di farlo.
Negli scorsi anni le marce degli orangisti per le strade anche dei quartieri
cattolico/repubblicani era solitamente fattore di incidenti durissimi. Ieri l’annuncio degli
orangisti di Portadown. Darryl Hewitt, responsabile a Portadown, ha detto alla BBC che
intendono negoziare con gli abitanti il passaggio della sfilata por Garvaghy Road. Hewitt ha
aggiunto di aver espresso la sua disponibilità ad un incontro diretto lo scorso ottobre, con
l’unica condizione della presenza, come coordinatore dell’incontro, di una persona
indipendente.
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Sahara occidentale. 21 giugno. Rabat non si smuove dopo due giorni di dialogo con il
Fronte Polisario. Il ministro marocchino degli Interni, Chakib Benmusa, ha ribadito, alla due
giorni di colloqui a New York con il Polisario, che il governo di Rabat sul destino del
Sahara Occidentale non cambia posizione. Benmusa, citato dall’agenzia MAP, ha ribadito
che Rabat continua a sostenere l’opzione dell’autonomia, «una soluzione realista e
indivisibile per dare soluzione a questo conflitto, rispettando l’integrità territoriale del
Regno del Marocco». Cioè senza accettare il diritto di autodeterminazione dei saharawi. Era
il primo incontro diretto in dieci anni. È previsto che Marocco e Fronte Polisario, che
rivendica l'indipendenza del Sahara Occidentale, tornino a riunirsi ad agosto, sotto gli
auspici del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Il Polisario ribadisce la sua volontà di
convocare un referendum in cui sia prevista, tra le varie opzioni possibili, anche quella
dell'indipendenza dell'ex colonia spagnola occupata dal 1975 dalle forze di Rabat.
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Sahara occidentale. 21 giugno. Un negoziato difficile, quello tra Marocco e Fronte
Polisario, per un conflitto che dura da trentadue anni e che vive dal 1991 in una sorta di
strano status quo congelato. Dopo la firma di un cessate il fuoco in attesa di un referendum
sull'autodeterminazione che non si è mai tenuto per le manovre dilatorie di Rabat, metà della
regione rimane occupata dai marocchini, l'altra metà è controllata dal Fronte Polisario, che
ha costituito la Repubblica araba sahrawi democratica (Rasd) nell'esilio algerino di Tindouf,
dove migliaia di rifugiati vivono in accampamenti di fortuna. L'occupazione marocchina del
territorio non è riconosciuta da nessuno, mentre diversi paesi (e l'Unione africana)
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riconoscono ufficialmente la Rasd. Tra i due belligeranti si erge un lungo muro costruito dai
marocchini negli anni Ottanta e si aggirano un pugno di caschi blu della Minurso, la
missione ONU incaricata di vigilare sulla tregua e di organizzare l'ipotetico referendum.
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Palestina. 21 giugno. «L'interrogativo che abbiamo di fronte è: Fatah deve ritornare al suo
programma politico nazionale o continuare a seguire persone che fanno solo i loro interessi
e quelli di parti estere?», si chiede Ahmed Helles, autorevole membro del Consiglio
rivoluzionario di Fatah, intervistato da il Manifesto di oggi. «La realtà è di fronte a tutti i
palestinesi. Hamas non può vivere senza la Cisgiordania e Fatah non può rinunciare a
Gaza. Non parlarci aiuta solo i nostri nemici». Monta la protesta delle milizie di Fatah per il
comportamento dei comandanti dei servizi di sicurezza e di quei leader politici che hanno
organizzato con Israele la propria fuga da Gaza, abbandonando migliaia di uomini. Potrebbe
peraltro essere di nuovo Hamas, questa volta non in modo violento, a decidere il destino di
diversi dirigenti di Fatah e capi militari. Il suo braccio armato, Ezzedin Qassam, ha messo le
mani su «documenti scottanti» trovati nelle sedi della sicurezza preventiva e dell'intelligence
a Gaza. Carte, dicono fonti ben informate, che riferiscono di «operazioni di sicurezza
congiunte» fra «Stati stranieri» (anche arabi) e una parte di Fatah. Tra il materiale
sequestrato ci sarebbe anche «un sofisticato sistema statunitense di ascolto». Quando
saranno resi pubblici, i documenti potrebbero offrire a qualcuno in Fatah l'opportunità per
mettere in difficoltà Dahlan e per chiedere, assieme a Fronte popolare, Fronte democratico,
Fida, Fronte di lotta popolare, Partito del popolo e Mubadara, elezioni anticipare entro
qualche mese. Ma da Ramallah giungono segnali ben diversi. Il Consiglio centrale dell'OLP,
riunitosi ieri, darà ampio sostegno alla linea di Abu Mazen e il quotidiano Al-Ayyam ha
scritto che il governo di emergenza di Salam Fayyad rimarrà in carica ben oltre il mese di
vita che prevede lo statuto palestinese, grazie al fatto che 44 deputati di Hamas sono in
carcere in Israele e al-Fatah è in grado, con i suoi 41 seggi, d'impedire il raggiungimento del
numero legale per convocare l'assemblea sul futuro dell'esecutivo nominato da Abu Mazen
in opposizione a quello di Ismail Haniyeh a Gaza.
•
Palestina. 21 giugno. «Aggrediti, non topi in trappola. Niente guerra civile. L'auspicio di
Tel Aviv è un conflitto aperto tra palestinesi ma per ora stiamo assistendo a scontri tra
milizie». Questo il senso di un articolo di Michael Warschawski, tradotto e pubblicato su il
Manifesto di oggi. «Il vecchio sogno di Ariel Sharon si sta avverando: palestinesi che
uccidono palestinesi mentre Israele conta le vittime con grande soddisfazione. Le lacrime
dei leader israeliani sono lacrime di coccodrillo e il loro presunto cordoglio per i tragici
eventi di Gaza pura ipocrisia. I conflitti sanguinosi erano prevedibili così come la
responsabilità e il diretto coinvolgimento di Israele e degli Stati Uniti sono palesi.
All'interno delle analisi di molti giornalisti israeliani la responsabilità di Israele sembra
essere indiretta: “1,4 milioni di persone chiuse in un territorio piccolo come la Striscia di
Gaza, senza alcuna possibilità di condurre una vita economica regolare e senza alcuna
possibilità di fuga, sono fatalmente destinate ad ammazzarsi a vicenda, come topi in
trappola”. Questa metafora zoologica non è solo tipicamente razzista, ma anche basata su
un grosso fraintendimento. Perché l'atteggiamento d'Israele e degli USA nelle vicende
attuali non si limita a favorire delle condizioni per un conflitto interno palestinese. Per mesi
il Dipartimento di Stato USA ha incoraggiato la leadership di Al-Fatah a lanciare
un'offensiva militare nei confronti di Hamas e, due settimane fa, Israele ha dato il proprio
nulla osta all'ingresso di una grossa quantità di armi per le milizie di Fatah presenti a
Gaza. Chi è l'aggressore? Credo sia necessario chiarire subito quello che dovrebbe essere
ovvio: Hamas ha schiacciato Fatah alle ultime elezioni palestinesi, in seguito ad un
processo elettorale che l'intera comunità internazionale, Washington compresa, non ha
esitato a definire “il più democratico nella storia del Medio-oriente”. Un processo
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democratico incontestabile e un massiccio sostegno popolare, pochi regimi possono vantare
tanta legittimità».
•
Palestina. 21 giugno. Prosegue Warschawski: «Nonostante la clamorosa vittoria, Hamas
ha accettato di condividere il potere con Fatah in un governo di unità nazionale sotto
l'egida dell'Arabia Saudita e dell'Egitto e accolto con favore dalla comunità internazionale,
con l'eccezione di Washington e Tel Aviv. L'agenda politica del nuovo governo ha
riconosciuto, de facto, lo Stato d'Israele e adottato la strategia del negoziato basato sui
meccanismi di Oslo. La piattaforma governativa moderata di Hamas, comunque, si è dovuta
confrontare con due nemici potenti: una parte dei funzionari di Fatah non ancora pronta a
rinunciare al proprio monopolio sul potere politico e, dall'altra parte, i governi neoconservatori di Israele e degli Stati Uniti, che stanno portando avanti una crociata globale
contro l'Islam politico. Muhammad Dahlan, ex comandante delle “Forze di Sicurezza
Preventiva” e attuale consigliere alla sicurezza nazionale di Mahmoud Abbas rappresenta
entrambi: è sia l'esecutore materiale dei piani di Washington nella leadership palestinese,
sia il rappresentante di quel tipo di funzionario di Fatah corrotto e pronto a fare qualsiasi
cosa
pur
di
non
perdere
i
propri
guadagni.
Dalla vittoria elettorale di Hamas, le milizie di Dahlan hanno continuamente provocato il
governo, assalendo le milizie di Hamas e rifiutandosi di delegare il controllo delle forze di
polizia al governo. Nonostante le offensive di Dahlan, Hamas ha cercato in tutti modi di
trovare un compromesso con quest'ultimo, chiedendo ai propri attivisti di astenersi da
eventuali ritorsioni. Comunque, quando è apparso chiaro che Dahlan non stava cercando
un compromesso, ma piuttosto stava tentando di neutralizzare Hamas, l'organizzazione
islamica non ha avuto alternative se non difendersi e contrattaccare. Il piano israelianostatunitense fa parte di una strategia globale tesa ad imporre dei governi fedeli ai propri
interessi, in contrasto con il volere della popolazione locale».
•
Palestina. 21 giugno. Warschawski ricorda un precedente. «L'Algeria fornisce un'esempio
di tale strategia, ma anche del suo fallimento e del suo pesante costo umano: l'indiscutibile
vittoria del Fis (Fronte islamico di salvezza) sul Fln, ormai corrotto e screditato, nel 1991,
fu seguita da un colpo di stato, sostenuto dalla Francia e dagli Stati Uniti, che spianarono
la strada ad una guerra civile durata per oltre un decennio e responsabile della morte di
oltre
centomila
vittime
civili.
Avendo imparato la lezione dalla tragedia algerina, Hamas ha deciso di non lasciare che i
piani di Dahlan gli permettessero di prendere il potere con la forza. Appoggiandosi sul
consenso di buona parte della popolazione locale, i militanti di Hamas hanno sconfitto
Fatah in meno di due giorni, nonostante quest'ultima avesse a disposizione un quantitativo
di armi fornito da Israele. Perfino dopo la vittoria schiacciante su Fatah, la dirigenza di
Hamas ha ribadito la propria ferma intenzione di mantenere un governo di unità nazionale
e di non voler sfruttare il colpo di stato tentato da Fatah come pretesto per estirpare
l'organizzazione o escluderla dal governo. Tuttavia, i vertici di Fatah hanno deciso
d'interrompere ogni rapporto con Hamas e di formare, in Cisgiordania, un nuovo governo
senza la presenza degli islamisti. Un altro vecchio sogno di Ariel Sharon si sta avverando:
la completa separazione tra Cisgiordania e Gaza, quest'ultima considerata un “Hamastan”
senza scampo, entità terrorista in cui non esistono civili, ma solo terroristi da porre in stato
d'assedio, destinati ad essere affamati. Washington, che abbraccia senza riserve questa
strategia, ha promesso il proprio sostegno illimitato a Mahmoud Abbas e al suo nuovo
bantustan in Cisgiordania, al punto che Olmert ha deciso di concedergli una parte del
denaro palestinese ancora nelle mani del governo israeliano».
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•
Palestina. 21 giugno. Conclude Warschawski: «Uno degli obiettivi dell'amministrazione
israeliana e di quella statunitense non è stato tuttavia raggiunto: a Gaza non regna il caos.
Al contrario. Come ha dichiarato il 17 giugno ad Ha'aretz un ufficiale della sicurezza
palestinese: “La città non è stata tranquilla per molto tempo. Preferisco la situazione
attuale a quella passata. Posso finalmente uscire di casa”. L'estirpazione delle bande di
Fatah da Gaza potrebbe sancire la fine di un lungo periodo di anarchia e permettere il
ritorno ad un tenore di vita più stabile. I recenti fatti confermano che Hamas può imporre il
controllo. I discorsi di Israele a proposito di una guerra civile palestinese non sono altro
che auspici. Lo scontro armato è avvenuto esclusivamente tra milizie armate e se,
purtroppo, ci sono state vittime tra i civili, si è trattato di quello che l'esercito statunitense
definisce “danno collaterale”. La popolazione è senza dubbio politicamente spaccata, in
Cisgiordania come a Gaza, ma non in conflitto, almeno per il momento».
•
Palestina. 21 giugno. Un deputato di Hamas, Faraj al-Ghoul, accusa il dirigente di al-Fatah,
Mohammed Dahlan, di essere stato coinvolto nell'uccisione di Arafat. Il presidente
palestinese morì in un ospedale di Parigi nel 2004 in seguito ad una malattia la cui natura è
stata oggetto di diverse inchieste. Citato dal sito Palestine-Info, al-Ghoul dice di basare le
proprie accuse su documenti ritrovati dai miliziani di Hamas e sulle confessioni rese loro dai
comandanti dei servizi di sicurezza dell'Autorità Nazionale Palestinese.
•
USA. 21 giugno. La «guerra al terrorismo» non finirà con l’amministrazione Bush. Il
candidato democratico alla presidenza, Barak Obama, nell’articolo ‘Renewing American
Leadership’ scritto per Foreign Affairs (‘dazio letterario’ cui ogni pretendente democratico
alla Casa Bianca che si rispetti deve sottoporsi) ha sostenuto la necessità di una politica
estera altrettanto assertiva di quella di Bush. Magari più attenta alle alleanze multilaterali,
ma comunque pronta a sostenere la “primacy” statunitense nel mondo contro «estremisti
islamici e non».
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Palestina. 22 giugno. Hamas sapeva che Dahlan e i suoi alleati, palestinesi e stranieri,
progettavano a Gaza un pesante attacco militare contro il movimento islamico, grazie alle
armi e ai sostegni che gli Stati Uniti e più di recente Israele stavano dando. Lo riferisce
l’edizione odierna de il Manifesto. I vertici politici e militari avevano raggiunto una
conclusione: eliminare, anche con la forza, la minaccia. Il piano sarebbe dovuto scattare
nelle prossime settimane ma il rapimento e l'uccisione dell'iman (pare da parte di uomini di
Dahlan), Mohammed al-Rasati, ha dato il via all'operazione. «Sul terreno però le cose sono
andate oltre i piani stabiliti», riferisce un esponente politico di Hamas chiedendo
l'anonimato, «bisognava farla finita con quei dirigenti di Fatah e i capi dei servizi di
sicurezza che ci minacciavano in continuazione ma i comandanti militari (di Hamas, ndr)
non si sono attenuti agli ordini ricevuti e hanno colto l'occasione spazzare via anche la più
piccola traccia delle istituzioni di Fatah e dei servizi di sicurezza. Il risultato è stato che
agli occhi dei palestinesi e del mondo non abbiamo eliminato corrotti ma imposto il nostro
potere assoluto». A passare la «linea rossa» sono state in modo particolare le Brigate
Ezzedin al Qassam mentre il comandante della Tanfisiye, Abu Obeidah al-Jarrah, sarebbe
riuscito a controllare meglio i suoi uomini.
•
Afghanistan. 22 giugno. «Kabul è il nostro prossimo obiettivo. Stiamo accentuando lì la
nostra pressione, perché è la capitale ed il principale punto di ritrovo delle truppe
occupanti». Lo ha dichiarato all’emittente britannica BBC Zabiyullah Mujahed, un
portavoce dei taliban. Mujahed ha aggiunto che «sono sempre più numerose le persone
disposte a sacrificarsi per ottenere l'indipendenza e la libertà del paese, come stanno
facendo gli insorti in Iraq». Si intensificano intanto a sud del paese gli scontri dei resistenti
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con le truppe NATO-USA, che quest'anno hanno subito pesanti perdite. Da tre giorni, poi, le
emissioni di Radio Sharía possono essere ascoltate fino a Kabul dal sudest del paese. «La si
ascolta nel punto 88 in FM a Paktika, Paktia, Khost, Ghazni ed una parte di Logar. Hanno
inizio con un messaggio del mullah Omar e per adesso durano un’ora», ha aggiunto
Zabiyullah Muyahed.
•
Palestina. 23 giugno. Israele spinge sulla violenza inter-palestinese per impedire la
creazione di uno Stato palestinese. Lo sostiene il ministro degli Esteri del governo di unità
nazionale palestinese e segretario generale dell’Iniziativa Nazionale Palestinese, Mustafa
Barghouthi, ieri, in un’intervista alla Frankfurter Rundschau. Barghouti si è incontrato a
Ramallah con il presidente dello stato tedesco dell’Hessen, Roland Koch. Barghouti ritiene
che il governo di Tel Aviv stia tentando di impedire la formazione dello Stato palestinese
incitando i miliziani di al-Fatah e Hamas a scontrarsi tra loro e installando 530 nuovi posti di
controllo e 600 barriere mobili sulle strade della Cisgiordania.
•
Palestina. 23 giugno. Le truppe israeliane hanno catturato oggi nei territori occupati della
Cisgiordania un importante esponente di Hamas. Lo riferiscono fonti dell'esercito israeliano
e della sicurezza palestinese. Saleh al-Aruri, ritenuto il fondatore dell'ala militare di Hamas
in Cisgiordania, le Brigate Qassam, è stato preso in un villaggio a nord di Ramallah. Hamas
ha indicato l'arresto di Aruri come una prova della collusione tra Israele e le forze del
presidente palestinese Mahmoud Abbas, sconfitte dai militanti del movimento islamico a
Gaza il 14 giugno scorso. Il portavoce di Hamas, Sami Abu Zuhri, ha detto che l'evento è la
prova di una «cospirazione a due» contro Hamas in Cisgiordania, guidata sia da Israele che
dalle forze di sicurezza di Abbas. Israele aveva rilasciato Aruri nel marzo scorso, dopo 15
anni di carcere proprio per avere fondato le Brigate Qassam, ha detto una fonte della
sicurezza israeliana. Secondo la stessa fonte l'uomo sarebbe stato arrestato di nuovo perché
«continua ad agire apertamente nell'ambito dell'organizzazione terroristica di Hamas».
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Pakistan. 23 giugno. In costruzione terzo reattore nucleare per bombe. Il Pakistan, alleato
degli USA, sta costruendo un terzo rattore nucleare al plutonio destinato ad aumentare la
costruzione di armamenti: lo assicura l’Istituto per la Scienza e la Sicurezza internazionale,
un gruppo di ricerca con sede negli Stati Uniti. Le immagini raccolte dai satelliti mostrano
un rapido avanzamento dei lavori a Khusab, un centinaio di chilometri da Islamabad, dove
sono già in funzione altri due reattori. L’Istituto sottolinea in un rapporto che, a giudicare
dal ritmo con cui procedono i lavori, «il governo pachistano ha preso la decisione di
aumentare in modo significativo la sua produzione di plutonio da destinare agli armamenti
nucleari». E aggiunge: «La gran parte della costruzione del terzo reattore visibile
nell'immagine scattata il 3 giugno del 2007 è stata realizzata negli ultimi dieci mesi». Il
primo reattore a Khusab è diventato operativo nel 1998, mentre il secondo, stando a quanto
ha riferito lo stesso Istituto, è stato costruito a luglio del 2006. Il terzo è situato a diverse
centinaia di metri di distanza dal precedente. Nessuno di questi impianti, si legge nel
rapporto, è stato posto sotto la sorveglianza dell’AIEA, l’Agenzia Internazionale per
l’Energia Atomica.
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Cina / Iraq. 23 giugno. La Cina punta al petrolio. Più assistenza dalla Cina all'Iraq
nell'ambito del processo di ricostruzione: questo l'impegno espresso ieri dal premier cinese
Wen Jiabo al presidente iracheno Jalal Talabani, in visita ufficiale a Pechino, la prima
compiuta da un capo dello Stato iracheno. In cambio Pechino vorrebbe che Baghdad
confermi le forniture di petrolio precedentemente contrattate con Saddam Hussein. «La Cina
intende cancellare il debito iracheno, offrire assistenza all'Iraq nell'ambito delle sue
capacità e contribuire all'addestramento del personale iracheno per migliorare il sistema
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sanitario e dell'istruzione», ha detto Wen, citato dall'agenzia di stampa ufficiale cinese
Xinhua. Il premier cinese ha quindi sottolineato come Pechino intende lavorare al fianco del
Paese arabo per raggiungere un livello più alto di cooperazione in diversi settori sulla base
del rispetto e della fiducia reciproci. Il presidente iracheno è arrivato due giorni fa a Pechino
per una visita ufficiale di una settimana, la prima di un leader del Paese arabo da quando
l'Iraq e la Cina hanno stabilito relazioni diplomatiche nel 1958.
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Venezuela. 23 giugno. Nasce il Partito Socialista Unito del Venezuela (PSUV). Il
presidente Chávez ne ha celebrato oggi la nascita, alla presenza di migliaia di sostenitori.
Già oltre cinque milioni e mezzo gli iscritti. La proposta di costituzione del nuovo partito era
stata lanciata dopo la rielezione presidenziale avvenuta il 3 dicembre 2006. Erano seguiti
mesi di discussioni e non poche resistenze da parte delle forze alleate: Podemos, il Partido
Patria para Todos e il Partido Comunista erano apparsi fin dall'inizio restii a sciogliersi
nella grande forza del PSUV. Da qui la decisione di Chávez di accelerare i tempi per porli di
fronte al fatto compiuto e indurli ad una scelta di campo.
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Colombia. 23 giugno. Attacco alle FARC, morti 11 ostaggi. Si tratta di 11 dei 12 deputati
del dipartimento del Valle da cinque anni prigionieri delle FARC. L’episodio è avvenuto il
18 giugno, nel «fuoco incrociato» durante l'attacco di «un gruppo militare non identificato»
all'accampamento in cui si trovavano. Nel loro comunicato, le FARC scrivono che il
deputato Sigfredo López è sopravvissuto perché «non si trovava in quel momento con gli
altri trattenuti». La notizia è comparsa nella pagina web del gruppo guerrigliero. «La
demenziale intransigenza del presidente Uribe nel negare un interscambio umanitario e la
sua strategia di riscatto militare, posta al di sopra di ogni altra considerazione, portano a
tragedie come quella che stiamo rendendo nota», aggiunge il comunicato. In un messaggio
diffuso il 29 giugno il portavoce delle FARC, Raúl Reyes, sollecita una diminuzione delle
operazioni militari nella zona in cui è avvenuto il massacro, per poter restituire i corpi alle
famiglie. Reyes responsabilizza dell'accaduto ancora una volta il presidente Uribe,
ricordando come questi abbia ripetutamente ordinato ai militari di liberare con ogni mezzo i
sequestrati, nonostante le proteste dei familiari. Il comando dell’esercito colombiano nega di
aver ordinato l’operazione. Nell’area dei fatti, però, sono in corso da diverse settimane
operazioni congiunte di militari e paramilitari, cosa che ha prodotto innumerevoli
combattimenti. Le FARC insistono nel negoziare, a parità di condizioni, uno scambio tra i
56 «trattenuti» e 500 suoi prigionieri e pone, come premessa per dialogare, la
smilitarizzazione dei municipi di Florida e Pradera, nella Valle di Cauca. Anche i familiari
degli ostaggi, oltre che Spagna, Francia e Svizzera che hanno offerto la loro collaborazione
per dare soluzione al conflitto politico in Colombia, sono favorevoli allo scambio umanitario
e respingono azioni armate per la liberazione degli ostaggi.
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Colombia. 23 giugno. Prolungato il “Plan Colombia”. Ieri il Congresso USA ha stanziato
530 milioni di dollari, 60 in meno di quanto sollecitato dal governo Bush per il suo fedele
alleato Uribe. La continuazione del “Plan Colombia” deve ancora essere ratificata dal
Senato USA. Intanto le FARC (Forze Armate Rivoluzionarie di Colombia), con un
comunicato via internet, aprono alle trattative per uno scambio umanitario di prigionieri,
rispondendo positivamente alla scarcerazione di Rodrigo Granda e affermando di non
scartare l'ipotesi di nominarlo «verificatore» della demilitarizzazione di Florida e Pradera. Il
ritiro delle forze armate da queste due località è la condizione posta dalla guerriglia al
negoziato, anche se su questo punto Uribe ha sempre opposto un netto rifiuto. Granda,
attualmente a Cuba, la scorsa settimana ha dichiarato che, quando fu catturato nel 2004, gli
era stata offerta la libertà in cambio di una dichiarazione che coinvolgesse il presidente
venezuelano Chávez nel sostegno alle FARC.
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•
Palestina. 24 giugno. Hamas respinge qualunque modifica della legge elettorale palestinese.
Il Consiglio Centrale dell’OLP ha proposto che tutti i partiti che concorrano alle prossime
elezioni «rispettino il programma politico» dell’OLP, nel quale sono inclusi gli Accordi di
Oslo, che Hamas respinge decisamente. La proposta, insomma, mira ad escludere di fatto il
movimento di resistenza islamica che ha vinto le ultime elezioni. Fazi Barhoum, un
portavoce di Hamas, ha rimarcato che il Consiglio Centrale non ha la facoltà di modificare
la legge elettorale, giacché compete al Consiglio Legislativo. «Hamas», ha aggiunto, «non è
stata consultata e ciò rappresenta una dittatura applicata con metodi brutali contro la
legalità palestinese».
•
Afghanistan. 24 giugno. Karzai alza la voce contro la NATO. È lo stesso presidentefantoccio messo su dagli Stati Uniti a bollare i bombardamenti NATO-USA come
«sconsiderati». Lo fa di fronte al nuovo pesante bilancio di vittime civili per i
bombardamenti sui villaggi rei di dare sostegno alla resistenza. A scatenare l'ira di Hamid
Karzai è stato l’ultimo, che ha ucciso 25 persone nel sud del Paese. Karzai ha insistito: «Se
la NATO vuole vincere la guerra contro il terrore, se vuole fare dell'Afghanistan un posto
sicuro, allora deve coordinarsi». Secondo le organizzazioni umanitarie, solo quest'anno più
di 230 civili sono stati uccisi durante operazioni condotte dalla coalizione e dalle forze
afghane. Non pochi ritengono il numero largamente per difetto.
•
USA. 24 giugno. «Prove inconsistenti», processi farsa, pressioni fortissime per tenerli in
carcere, a ogni costo. Nel dibattito sulla chiusura del carcere USA di Guantanamo, nell'isola
di Cuba, irrompe la denuncia di un avvocato militare sulle modalità di funzionamento dei
cosiddetti Combat status review tribunals, le corti (di tre componenti) addette
periodicamente al riesame della posizione dei detenuti. Il colonnello Stephen Abraham, un
veterano con 26 anni d'esperienza nell'intelligence militare USA, ha deposto davanti alla
Corte suprema. «Quelle che avrebbero dovuto essere dichiarazioni contenenti prove
specifiche, mancavano anche del più basilare riscontro oggettivo», ha dichiarato Abraham
davanti ai giudici, durante un'udienza per Fawzi al-Odah, un detenuto quwaitiano ricorso
alla suprema corte di Washington chiedendo di essere giudicato dalle corti federali anziché
dalle commissioni militari di Guantanamo. Intanto sulla chiusura di Guantanamo, dove sono
tuttora detenuti in circa 375, al di là di frasi di circostanza, non ci sono iniziative concrete: i
tentativi si scontrano con la linea del vicepresidente Cheney e con le obiezioni giuridiche del
ministro della Giustizia Gonzales, per il quale trasferire i detenuti in prigioni su suolo USA
aprirebbe la strada a una marea di cause e processi.
•
Russia. 25 giugno. Con l’energia, Mosca si riaffaccia nei Balcani. Il presidente russo,
Vladimir Putin, ha dichiarato ieri, nel contesto di un vertice sull’energia nel sudest europeo,
l’intenzione di rafforzare i progetti energetici comuni tra Mosca e paesi balcanici. Presenti i
presidenti di Croazia (paese ospitante il vertice), Albania, Bosnia, Bulgaria, Macedonia,
Montenegro, Romania e Serbia. La Slovenia era rappresentata da un ministro, la Grecia da
un viceministro e la Commissione di Bruxelles ha inviato un delegato. Tra i progetti che il
Cremlino, attraverso il suo gigante Gazprom, intende ultimare, c’è l’oleodotto BurgasAlexandrópolis, che unirà la costa bulgara del Mar Nero con il Mediterraneo. Mosca
propone poi di costruire una centrale nucleare a Belene (Bulgaria). Quattro degli Stati
presenti al vertice sono membri dell’Unione Europea e della NATO, mentre il resto si trova
a distinti stadi di avvicinamento a queste due entità occidentali. Putin arriva nei Balcani due
settimane dopo la visita in Albania del presidente USA, George W. Bush.
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Venezuela. 25 giugno. Prepararsi ad applicare un nuovo pensiero militare in accordo con la
realtà mondiale e con la nuova guerra globale imposta dagli Stati Uniti. È quanto ha detto il
presidente venezuelano Hugo Chávez rivolgendosi alle forze armate del suo paese, durante
la commemorazione del 186° anniversario della Battaglia di Carabobo, che suggellò
l’indipendenza del paese e della Giornata dell’Esercito Liberatore. Lo riferisce l’edizione
odierna del Granma. Chávez ha accusato Washington di utilizzare il pretesto della “guerra al
terrorismo” per imporre un progetto egemonico, un nuovo tipo di guerra che acquisisce
diverse forme: politica, economica, sociale, psicologica, mediatica e armata. Ha precisato
che ciò diventa evidente quando l’impero statunitense minaccia il mondo, interviene in ogni
parte del pianeta, violando il diritto internazionale, invadendo paesi, enunciando la tesi della
guerra preventiva e realizzando operazioni segrete in qualsiasi parte del mondo per
sequestrare. Quando questo accade, sostiene Chávez, vuol dire che si è entrati nella fase
della guerra globale, di minaccia globale e permanente, con nuove forme di guerra,
aggressioni, colpi di stato duri, ‘soft’ o di altro tipo, che costituiscono la maggiore minaccia
alla democrazia. Chávez ha quindi chiesto di recuperare il pensiero militare liberatore che
per molti anni gli Stati Uniti hanno tentato di far scomparire utilizzando meccanismi come la
Scuola delle Americhe e le istruzioni del Pentagono.
•
Irlanda del Nord. 26 giugno. Londra smantella la sua ultima base militare operativa nel
sud di Armagh, cuore simbolico del movimento repubblicano. Ieri ha chiuso la base di
Bessbrook Mill, con i suoi venti effettivi militari. Quella di Armagh, che fu la zona più
militarizzata dell’Europa Occidentale, laboratorio delle tecniche di contro-insorgenza
britanniche, con gli abitanti della zona usati loro malgrado come cavie, si è vista beneficiata
dal processo di smilitarizzazione che culminerà in agosto quando il numero dei militari
britannici nel nord Irlanda si ridurrà a 5mila, un quinto del totale di quelli presenti nell’area
nei momenti più acuti del conflitto.
•
Serbia. 26 giugno. Kostunica ammonisce gli USA: nessuna ingerenza sul Kosovo. ll primo
ministro serbo Kostunica ed il presidente della Repubblica Tadic minacciano di
interrompere le relazioni con gli USA per le ripetute dichiarazioni dell'amministrazione
Bush a favore dell'indipendenza della regione a maggioranza albanese del Kosovo. La
leadership serba, appoggiata da Putin, invita Washington a non imporre soluzioni unilaterali
che vìolano i «principi di sovranità territoriale, garantiti dal diritto internazionale».
Neanche una settimana fa Ahtisaari ha affermato che il Kosovo potrà essere indipendente
nel 2007, un’indipendenza tutelata dalla “comunità internazionale”. L’ex presidente
finlandese e mediatore internazionale per il Kosovo, Martti Ahtisaari, lo ha dichiarato in
un’intervista alla televisione finlandese YLE, nel corso di una sua visita in Austria. Ha
aggiunto che questa “indipendenza” sarà riconosciuta da USA e alcuni Stati dell’Unione
Europea. Pronta era stata la replica del ministro serbo per il Kosovo, Slobodan Samardzic:
Belgrado è pronto per un nuovo piano sullo statuto del Kosovo, ma senza che questo
implichi una rinuncia della sua appartenenza alla Serbia.
•
Israele / Palestina. 26 giugno. Grande apertura –si fa per dire– di Olmert: liberi 250 di
Fatah. Per sostenere il moderato Abu Mazen saranno liberati 250 prigionieri di Al Fatah.
Nelle carceri israeliane ne sono detenuti circa 10mila e tra loro c'è Marwan Barghuti, leader
della seconda intifada la cui liberazione –secondo gli analisti israeliani– rafforzerebbe il
Fatah di Abu Mazen. Ma Olmert ha proposto la scarcerazione solo di prigionieri che non
hanno «le mani sporche di sangue», in pratica qualche decina dei palestinesi che
quotidianamente vengono arrestati per episodi minori di resistenza e che vengono tenuti per
mesi o anni in regime di detenzione amministrativa (senza capi d'accusa formali). Nemmeno
sui posti di blocco che strangolano l'economia e la vita della Cisgiordania Olmert è riuscito
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ad andare incontro al suo amico moderato. L'esercito israeliano –si è giustificato il premier–
considera troppo pericolosa la rimozione dei checkpoint. Davanti all’egiziano Mubarak e al
re giordano Abdallah II –entrambi preoccupati di isolare Hamas per il pericolo di contagio
che una «vittoria» di quest'ultima rappresenta nei confronti degli islamisti di casa propria–
Olmert ha chiesto d'intensificare gli sforzi per contrastare il traffico di armi che dall'Egitto
vengono introdotte a Gaza.
•
Libano. 26 giugno. «Sostegno illimitato» al governo libanese. Lo ha espresso la
responsabile degli esteri USA, Condoleezza Rice, incontrando ieri il primo ministro libanese
Siniora a Parigi, a margine della conferenza internazionale sul Darfur. Intanto, secondo il
quotidiano di Beirut, As Safir, Hezbollah ha avviato proprie indagini sull'attacco che
domenica ha ucciso sei caschi blu (tre spagnoli e tre colombiani) dell'Unifil. Hezbollah,
aggiunge il giornale, comunicherà poi all'Unifil e alle autorità locali i risultati. C'è chi
ipotizza lo zampino degli Hariri. Hezbollah non ha alcuna intenzione di turbare il quadro
sudlibanese emerso dopo la devastante offensiva militare israeliana dello scorso anno.
Non ha bisogno di escalation –al contrario vuole evitarle– perché vuole confermare il ruolo
che si sta costruendo di forza politica genuinamente libanese che guarda soltanto agli
interessi del Paese, come il segretario generale Hassan Nasrallah ha fatto capire nelle scorse
settimane, nel caso dello scontro tra esercito e Fatah al Islam, a Nahr al Bared. Inoltre ha
nelle mani una carta decisiva per la partita con Israele –i due soldati israeliani catturati il 12
luglio 2006 scorso– e ritiene che presto o tardi il governo Olmert sarà costretto ad intavolare
una nuova trattativa segreta per ottenere il ritorno a casa dei due militari. Per questo non
pochi invitano ad indagare sugli appoggi che esponenti del salafismo sunnita di Tripoli e del
nord del paese hanno ricevuto dal partito di maggioranza “Mustaqbal” di Saad Hariri, come
riferito all'inizio dell'anno dal giornalista statunitense Seymour Hersh.
•
Iran / Palestina. 26 giugno. Ahmadinejad si scaglia contro «il governo mercenario»
insediato da Abu Mazen. «I popoli non permetteranno ai traditori di rimanere sui loro
seggi» ha detto il presidente iraniano. Meno di una settimana fa il parlamento iraniano ha
approvato una mozione di sostegno ad Hamas che definisce i combattimenti a Gaza
«complotto pre-organizzato» dagli USA. La dichiarazione aggiunge che gli scontri mirano a
mettere da parte il movimento islamico palestinese.
•
USA. 26 giugno. Circa 700 i documenti desecretati della CIA e resi pubblici oggi sul suo
sito internet. «Gioielli di famiglia» li hanno soprannominati gli addetti ai lavori. Si tratta di
operazioni riservate e imbarazzanti compiute dall'agenzia d'intelligence tra il 1953 e il 1975.
La documentazione racconta dettagliatamente 25 anni di abusi dell'agenzia di Langley.
Attività illegali di vario genere. Tra le sue «operazioni» nel mondo, c’è il tentativo della
CIA di assoldare mafiosi statunitensi per assassinare, tra l'agosto del 1960 e l'aprile del
1961, il leader cubano Fidel Castro. I documenti raccontano come la CIA tentò di
convincere il mafioso Johnny Roselli a partecipare al complotto per assassinare Castro,
dietro compenso di 150mila dollari, dopo averlo informato che «il governo degli Stati Uniti
non era e non sarebbe stato al corrente di questa operazione». L’Archivio della Sicurezza
Nazionale rivela che l’ex procuratore generale Robert Kennedy diresse personalmente un
piano contro Castro, fatto che trova ulteriore riscontro in una conversazione del 4 gennaio
1975 tra l’ex presidente Gerald Ford ed il suo segretario di Stato, Henry Kissinger. Dai
documenti emerge anche il progetto “Mockinbird”, basato sullo spionaggio a giornalisti di
Washington scomodi e la descrizione delle condizioni di detenzione di una spia del KGB
passata alla CIA, Yuriy Ivanovich Nosenko, che gli statunitensi trattarono duramente. I
«gioielli» documentano inoltre una serie di attività illecite all'interno degli Stati Uniti contro
dissidenti durante la guerra in Vietnam e gruppi di sinistra.
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Venezuela. 26 giugno. Lo Stato recupera il petrolio. Sottoscritti oggi gli accordi che
consentono al Venezuela di assicurarsi il controllo del pacchetto azionario della
maggioranza delle compagnie operanti nella Faja dell’Orinoco. Hanno accettato la
formazione di imprese miste con la petrolifera statale Pdvsa (che ha una maggioranza
azionaria riservata allo Stato salita dal 39 al 78%) la francese Total, la norvegese Statoil, la
statunitense Chevron-Texaco e la britannica Bp. Anche l'italiana Eni, la cinese Sinpec e la
venezuelana Inelectra sono giunte a un accordo con Caracas, mentre Exxon Mobil, Conoco
Phillips, PetroCanada e la cino-venezuelana Sinovensa hanno respinto ogni ipotesi di
sistema misto e dovranno lasciare la regione. Il recupero delle risorse petrolifere era stato
uno degli obiettivi che il presidente Hugo Chávez si era posto all'inizio del suo secondo
mandato.
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Gran Bretagna / Iraq. 27 giugno. Il procuratore generale britannico chiede un’inchiesta
sulla tortura in Iraq. Lo ha fatto ieri alla vigilia del giorno, oggi, in cui lascia l’incarico.
Peter Goldsmith, intervenendo ad una riunione di una commissione parlamentare, ha chiesto
che si chiarisca l’uso da parte di militari britannici di «tecniche illegali di tortura»
(evidentemente ve ne sono di «legali», ndr) in Iraq, «chi le ha autorizzate e su che basi». Le
polemiche per il comportamento delle truppe britanniche nel corso dell’invasione ed
occupazione dell’Iraq, sotto la guida USA, ha accompagnato Tony Blair fino all’ultimo
giorno del suo mandato, che si conclude oggi.
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Sahara occidentale. 27 giugno. Arresti e maltrattamenti sui minori saharawi. L’ennesima
denuncia contro le autorità marocchine è arrivata dall’Associazione Saharawi sulle Gravi
Violazioni dei Diritti Umani. Cinque giovani, quattro dei quali minorenni (tra i 14 e i 15
anni), sono stati arrestati e torturati. La loro colpa: aver partecipato a manifestazioni
indipendentiste. Uno dei ragazzi, 15 anni, da domenica è tenuto in isolamento.
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Palestina. 27 giugno. «Questa settimana», scrive Uri Avnery su il Manifesto di oggi, «sono
state pubblicate sulla stampa israeliana alcune rivelazioni choccanti che confermano i
sospetti iniziali: cioè che la “scissione” (Gaza a Hamas, Cisgiordania –per ora– a alFatah, ndr) non fosse nient'altro che la prima mossa all'interno di una più ampia e segreta
strategia. Sharon aveva in mente un piano in tre mosse: segregare fisicamente e
politicamente la Striscia di Gaza, lasciandola sotto il controllo di Hamas, trasformare la
Cisgiordania in un bantustan frammentato sotto la guida di Fatah e mantenere il controllo
dell'esercito israeliano su entrambi i territori. Questo spiegherebbe l'insistenza di Sharon
per il ritiro unilaterale (da Gaza). Senza questa ipotesi, il ritiro appare una mossa
completamente illogica. Ora il rifornimento di cibo, medicine, acqua ed elettricità per Gaza
dipende unicamente dal benestare di Israele, così come le operazioni di passaggio della
frontiera egiziana (con l'aiuto di un'unità monitorante europea, controllata dall'esercito
israeliano), le importazioni ed esportazioni e persino il censimento».
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Palestina. 27 giugno. «Che sia chiaro:», prosegue Avnery, «questa non è una linea politica
inedita. La separazione di Gaza dalla Cisgiordania è stata per molti anni un obiettivo
militare e politico prioritario per il governo israeliano. In seguito Shimon Peres inventò lo
slogan «Gaza per prima». I palestinesi si sono chiaramente opposti. Alla fine, il governo
israeliano si è arreso e nel 1994 ha firmato l'Accordo riguardante la Striscia di Gaza e
l'area di Gerico. Lo spazio concesso all'autorità palestinese in Cisgiordania doveva
assicurare la continuità tra i due territori. Purtroppo, durante i tredici anni che sono
passati da allora, il passaggio non è stato aperto neanche una volta. Quando Barak si è
accomodato sulla poltrona di Primo ministro, ha vaneggiato su possibili ponti di lunghezza
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record tra la Striscia e la Cisgiordania (Circa 40 km). Come molte altre brillanti intuizioni
di Barak, questa si spense prima di nascere ed il passaggio rimase sigillato».
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Palestina. 27 giugno. «La scissione della Striscia di Gaza dalla Cisgiordania è il principale
obiettivo strategico del governo e dell'esercito, un passo esiziale nello strenuo tentativo di
spezzare la resistenza palestinese all'occupazione e all'annessione. L'obiettivo è stato
raggiunto e la manovra ufficiale di “rafforzamento” di Abbas fa parte del disegno. A
Gerusalemme per qualcuno i sogni sono diventati realtà: la Cisgiordania separata da Gaza,
suddivisa in miriadi di enclaves, separate tra loro e dal mondo, sul passato modello dei
bantustan sudafricani. Come capitale della Palestina, Ramallah, per far dimenticare
Gerusalemme ai palestinesi. Fornitura di armi e rinforzi ad Abbas perché sconfigga Hamas
in Cisgiordania. L'esercito israeliano attivo nei dintorni delle città ed eventualmente anche
all'interno. Crescita smisurata degli insediamenti, isolamento della valle del Giordano dal
resto della Cisgiordania, proseguimento indisturbato del Muro di separazione e
conseguente annessione di altra terra palestinese».
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Palestina. 27 giugno. «Il presidente Bush si dice soddisfatto della diffusione della
democrazia nell'area palestinese, mentre i contributi al rafforzamento militare d'Israele
crescono di anno in anno. Dal punto di vista di Olmert si può definire questa una situazione
ideale? Reggerà? La risposta è No! Come tutte le misure di Bush e Olmert, e dei loro
predecessori, è basata sul disprezzo degli arabi, disprezzo che molto spesso si è rivelato
foriero di disastri. I media israeliani, convertiti in organi di propaganda al servizio di
Mahmoud Abbas e Mohammad Dahlan, stanno già immaginando con gioia lo faccia verde
di invidia degli affamati abitanti di Gaza al cospetto dei cittadini della Cisgiordania,
pasciuti e prosperi. Si rivolteranno contro la leadership di Hamas di modo che Israele
possa piazzare un bel governo fantoccio anche lì. Ma queste sono solo ridicole fantasie. È
molto più probabile che la rabbia della gente di Gaza venga indirizzata contro gli aguzzini
israeliani che li stanno affamando. E il popolo della Cisgiordania non vorrà abbandonare i
propri connazionali, che languono a Gaza. Nessun palestinese accetterà mai la totale
separazione di Gaza dalla Cisgiordania. La condotta politica israeliana è dilaniata da due
aspirazioni contrapposte: da un lato, evitare che gli eventi di Gaza si ripetano in
Cisgiordania, dove i rischi sarebbero ben peggiori se Hamas dovesse prevalere, e dall'altro,
impedire che il consenso intorno ad Abbas cresca a tal punto da obbligare gli americani a
costringere Olmert intorno ad un tavolo con Abbas per dei negoziati veri. Come al solito, il
governo vorrebbe la botte piena e la moglie ubriaca. Al momento tutti i provvedimenti di
Olmert mettono a repentaglio la posizione di Abbas. Il suo abbraccio è l'abbraccio di Giuda
e il suo bacio, letale».
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Palestina. 27 giugno. «Brigate Badr e Barghuti libero». Cioè la liberazione di Marwan
Barghouti e il rientro in Cisgiordania delle Brigate Badr, le milizie di Fatah di stanza in
Giordania. Queste le richieste avanzate, durante il summit nel Sinai, dal presidente
palestinese, Abu Mazen, al premier israeliano, Ehud Olmert: la prima è un'indiscrezione
rivelata da Al Hyat; la seconda è stata una richiesta ufficiale.
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Bolivia. 27 giugno. Ripreso il controllo di due raffinerie. Il presidente della Bolivia, Evo
Morales, ora chiede di proibire le privatizzazioni. Per 112 milioni di dollari alla compagnia
brasiliana Petrobras, le raffinerie di Guillermo Elder Bell (a Santa Cruz) e di Gualberto
Villarroel (Cochabamba) sono tornate sotto sovranità boliviana. Morales ora ha chiesto
all’Assemblea Constituente che nella nuova Carta Magna siano proibite per sempre le
privatizzazioni. «Che mai ritornino i vendipatria. Che mai le nostre raffinerie, le nostre
risorse naturali siano consegnate alle transnazionali», ha detto, confidando che la
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Costituente, nella nuova Costituzione, «dia una sicurezza, una specie di blindatura perché
le nostre imprese, le nostre risorse naturali, non siano privatizzate, come è stato fino
adesso».
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Corsica. 28 giugno. Il FLNC-UC reclama dialogo politico. Il gruppo armato indipendentista
còrso FLNC-Unione dei Combattenti ha chiesto ieri al nuovo governo francese che
«stabilisca un dialogo politico». Lo ha fatto con un comunicato, indirizzato all’emittente
France 3 in Corsica, nel quale ha anche rivendicato 21 azioni. Secondo il Fronte, il governo
di François Fillon «dispone di nuove condizioni politiche per sostituire l’immobilismo ed il
blocco con un dialogo aperto a tutte le componenti della società còrsa». Reclama inoltre da
Sarkozy che metta in atto quell’idea di «rottura» con i governi precedenti che ha avvitato le
relazioni con la Corsica e ha ricordato Dominique Pascualaggi, precipitato per cause ancora
da accertare da una finestra degli uffici dell’antiterrorismo.
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Israele / Palestina. 28 giugno. Abbas emana un decreto per l’obbligatorietà di un permesso
per il porto d’armi e di esplosivi. Mahmud Abbas, presidente dell’Autorità Nazionale
Palestinese (ANP) lo fa in coincidenza dell’ennesima «operazione di routine» (come da
vocabolario dell’esercito israeliano). A Gaza i reparti corazzati israeliani si sono lanciati ieri
nell'assalto più sanguinoso e profondo nella Striscia dai raid della scorsa estate, scattati dopo
la cattura del caporale Gilad Shalit da parte di tre gruppi armati palestinesi. I morti sono stati
almeno 13, tra cui alcuni civili, più di 50 i feriti, alcuni dei quali bambini in gravi
condizioni. Le Brigate Ezzedin Al Qassam, braccio armato di Hamas, che insieme ad altri
gruppi della resistenza hanno contrastato duramente con le armi l’incursione israeliana,
hanno replicato ad Abbas assicurando che «i gruppi della resistenza (palestinese, ndr) non
aspetteranno nessun decreto per andare a combattere l’invasione». In aperta sfida al
presidente palestinese spalleggiato da USA e Israele, hanno definito il decreto «puro
inchiostro su carta che non vale nemmeno l’inchiostro impiegato per redigerlo».
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Irlanda del Nord. 29 giugno. Shaun Woodward, passato dai Conservatori ai Laburisti, con
esperienze di lavoro in Irlanda del Nord, sarà il nuovo segretario di Stato per questa parte
dell’isola. Woodward ha dichiarato che il suo obiettivo è assicurare il trasferimento del
controllo sulla polizia e giustizia all’Assemblea di Belfast.
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Etiopia. 29 giugno. «Pronti alla guerra con l'Eritrea». Così, senza mezzi termini, il primo
ministro ed uomo forte etiopico, Meles Zenawi, ha parlato in Parlamento sulle relazioni con
l'Eritrea. Meles ha detto che l'esercito etiopico è preparatissimo. Ha quindi ribadito che
Addis Abeba accetta in linea di principio il responso dell'arbitrato internazionale, che ha
fissato i confini tra i due Paesi, anche se non lo condivide e ne chiede marginali revisioni.
Sulla Somalia, dove l'esercito etiopico è impegnato militarmente a sostegno del debole
governo di transizione d’intesa con la Casa Bianca, Meles ha ventilato la possibilità di un
ritiro «per motivi di sicurezza nazionale».
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Turchia / Iraq / Kurdistan. 29 giugno. Ankara ha un «piano particolareggiato» per
un'operazione militare contro il PKK in nord Iraq e potrebbe convocare il parlamento
(attualmente in vacanza per le elezioni del 22 luglio) per autorizzare una tale operazione, se
USA e governo iracheno, contrari a un intervento turco, non risolveranno il problema. Lo ha
affermato il ministro degli esteri turco Abdullah Gul. L'autorizzazione del parlamento è
necessaria –secondo la Costituzione– per ogni impiego di forze militari turche all'estero.
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Turchia / Iraq / Kurdistan. 29 giugno. «Un miliardo di dollari». Questo è quanto ha
ricevuto il governo turco dalla Casa Bianca per non autorizzare l'operazione contro i campi
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del PKK (Partito dei Lavoratori del Kurdistan, indipendentisti) in Nord Iraq. La denuncia è
venuta ieri dal leader del maggior partito di opposizione (CHP, socialdemocratico), Deniz
Baykal, nel corso di un comizio elettorale. Intanto, ieri, il capo di Stato maggiore
dell’esercito turco, il generale Yasar Buyukanit, ha sollecitato il governo a fissare un
calendario politico per un’incursione effettiva nel Kurdistan Sud (nord dell’Iraq). Non ha
escluso la possibilità che i militari turchi siano attaccati da «gruppi iracheni kurdi» e, per
questo, governo e parlamento dovrebbero fornire gli obiettivi politici di un'eventuale
operazione, tenendo conto delle possibili reazioni dovute alla ferma opposizione della Casa
Bianca, dei kurdi nord-iracheni e del governo di Baghdad. Il governo turco non ha finora
fissato queste direttive. L'esercito critica da tempo l'atteggiamento soft del governo, guidato
dal partito Ak, moderatamente islamico e favorito alle prossime elezioni.
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Palestina. 29 giugno. Clamorosa dichiarazione del consigliere-capo del presidente
dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP): Washington ha provocato l’ultima crisi
interpalestinese e stava per cacciare con la forza –e il concorso di una parte di al-Fatah–
Hamas, l’organizzazione palestinese più votata e ora al governo. Hani al-Hassan, che fu
anche consigliere dello scomparso presidente palestinese, Yasser Arafat, e fino a ieri lo era
di Abbas, lo ha dichiarato ad al-Jazeera. Al-Fatah ha reagito privandolo ieri della carica,
espellendolo dal comitato centrale di al-Fatah ed attaccando la sua abitazione in
Cisgiordania. All’emittente qatariota Al-Hassan ha puntato l’indice contro il coordinatore
della sicurezza statunitense in Medio Oriente, il generale Keith Dayton. Questi aveva
predisposto un piano insieme all’ambasciatore USA in Israele, Richard Jones, in base al
quale Israele avrebbe permesso il rifornimento di armi e munizioni alle milizie di Abbas ed
in cambio queste, contro Hamas, avrebbero dovuto far cessare i lanci di razzi dalla Striscia
di Gaza verso Israele ed interrompere il flusso di armi dall’Egitto a Gaza. Il piano aveva
ricevuto l’avallo da Condoleezza Rice in persona (dipartimento di Stato USA).
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Palestina. 29 giugno. Analoga denuncia è venuta da parte del primo ministro del governo
legittimo dell’ANP, Ismail Haniyeh, nella sua ultima apparizione pubblica. Il generale
Dayton, secondo Haniyeh, ha consegnato armi e milioni di dollari «ad una fazione traditrice
di al-Fatah». Questa fornitura, ha proseguito, è stato il quarto passaggio di un mabizioso
piano che è iniziato con il boicottaggio economico (dopo la vittoria elettorale di Hamas nel
gennaio 2006), poi con l’arresto di decine di parlamentari di Hamas –«nel tentativo di
paralizzare il recentemente eletto Consiglio Legislativo»– e quindi con intrighi di settori di
al-Fatah per impedire ad Hamas che assumesse funzioni chiave –come quella della
sicurezza– per l’esercizio del governo.
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Palestina. 29 giugno. Abu Mazen diede ordine di uccidere i miliziani palestinesi impegnati
nel lancio di razzi da Gaza contro Israele. Escono le prime indiscrezioni sui documenti
«molto gravi» trovati a metà giugno, dopo la conquista delle sedi a Gaza della Sicurezza
preventiva e dell'Intelligence generale. Il presidente palestinese Abu Mazen «ha tradito» la
causa palestinese e va processato, se prima non chiederà perdono, hanno dichiarato oggi le
Brigate Ezzedin al-Qassam, braccio armato di Hamas.
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Sri Lanka. 29 giugno. Circa 1.300 civili, più di mille tamil, sono stati giustiziati o sono
scomparsi in cinque mesi, tra settembre 2006 e febbraio 2007. Lo sostiene una commissione
d’inchiesta ufficiale. I cadaveri di 430 tamil presentavano un foro di proiettile alla testa.
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Unione Europea / USA. 30 giugno. Washington ottiene da Bruxelles di poter avere i dati
dei passeggeri europei che si recano negli Stati Uniti. Le varie agenzie di sicurezza USA
potranno aver accesso a dati privati conservabili per quindici anni (rispetto ai tre anni e
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mezzo attuali). Nonostante critiche in tema, Bruxelles ha già detto che intende installare un
sistema simile a quello USA per i viaggiatori che arrivano in Europa. «Sarebbe
irresponsabile non farlo», ha detto il ministro degli Interni tedesco, Wolfgang Schaüble.
Fino a fine luglio i negoziatori statunitensi ed europei metteranno a punto gli ultimi dettagli
tecnici, per una normativa che sostituirà il testo in precedenza annullato dalla Corte Europea
di Giustizia. Tra i 34 dati accessibili al momento dell’acquisto del biglietto aereo, ci sono
numero di telefono, carta di credito che si utilizza in viaggio, origine etnica, credenze
religiose, preferenze alimentari, eccetera. Questi dati potranno essere diffusi per qualunque
motivo dal Dipartimento della Sicurezza Interna (DHS) e da tutte le agenzie “antiterroriste”,
come l’FBI. Le compagnie dovranno consegnare i dati 72 ore prima dell’imbarco. Il
supervisore dell’Unione Europea per la protezione dei dati, Peter Hustinx, ha criticato
duramente l’accordo ed espresso seri dubbi che «sia realmente compatibile con i diritti
umani».
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Iraq. 30 giugno. Le forze USA e irachene controllano il 48/49% dei 474 quartieri della
capitale dell'Iraq. Poco meno della metà di Baghdad, insomma. Lo ha detto il generale
dell'esercito USA Joseph Fil, parlando da Baghdad in videoconferenza con i giornalisti a
Washington. Sembra poco, ma –ha detto– si tratta di un passo avanti rispetto ad aprile
quando sotto controllo era solo il 19% della capitale. Due settimane fa il generale Raymond
Odierno, numero due nel comando militare USA in Iraq, aveva parlato del 40%. Il generale
Fil definisce «controllo» un luogo dove «abbiamo le nostre forze di sicurezza e dove siamo
in grado di negare tale spazio al nemico». Il generale ha poi aggiunto che «il nemico è
determinato, abile e spietato, come mai visto prima nella mia vita».
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Afghanistan. 30 giugno. Almeno 65 civili afghani, compresi donne e bambini, sono rimasti
uccisi in attacchi aerei NATO-USA sul villaggio di Haidar Abad, nella provincia
meridionale di Helmand. Il fatto, confermato da Dor Alisah, capo del distretto di Gereskh,
dove il villaggio si trova, rilancia la questione dei cosiddetti «danni collaterali» causati dalle
forze d’occupazione.
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Canada. 30 giugno. Contro povertà e colera gli indigeni bloccano la principale rete
ferroviaria del paese. Indigeni mohawks hanno bloccato la via che collega Toronto e
Montreal. La compagnia ferroviaria VIA Rail ha sospeso anche la linea Ottawa-Toronto in
previsione dell’intensificarsi delle proteste e alla vigilia della festa «nazionale» che si
celebra questo fine settimana. «I canadesi ed il governo ci considerano solo quando
portiamo avanti iniziative di questo tipo», ha detto il portavoce del gruppo, Shawn Brant,
alla CBC. La polizia ha già emesso un ordine di arresto contro questo dirigente mohawk. Il
gran capo indigeno della provincia dell’Ontario, Angus Touluse, ha preso le distanze da
quest’azione, anche se si è chiesto «perché bisogna ricorrere ai blocchi per spingere il
governo ad agire». Dall’Ontario, da cui è previsto un corteo di protesta, il dirigente degli
indigeni del Canada, Phil Fontaine, ha assicurato che «intendiamo, con queste proteste,
generare una massa critica e senza precedenti di appoggio alla nostra giusta causa». In
Canada vivono 1,3 milioni di indigeni, su una popolazione di 32. La loro aspettativa di vita è
tra i 5-7 anni inferiore alla media ed il tasso di suicidi tra i giovani 8-10 volte superiore.
«Bisogna farla finita con il regime coloniale che continuiamo a subire», ha detto Ghislain
Picard, leader degli indigeni del Quebec e del Labrador.
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