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Voci dal Sud
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Anno VI° nr. 1 Gennaio 2010
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I miti scomparsi
Silvana Mangano, la diva enigmatica
Il ricordo della figlia Veronica che racconta: “Solo Alberto Sordi riusciva a farla
sorridere e a rasserenarla”
Marco Presti - Gazzetta del Sud
ROMA - La Rai/TV con “La Storia siamo noi” celebra
con una puntata speciale rievoca Silvana Mangano a 20
anni dalla morte.
Il programma dal titolo “Sorriso amaro” (n.d.r. : parafrasando il titolo del suo celebre film che la impose al
pubblico: Riso Amaro”), ricostruisce attraverso le testimonianze dei famigliari e degli amici, la complessa ed enigmatica personalità di una grande diva internazionale.
«Una apparizione straordinaria, completamente diversa da come appariva sullo schermo, era una scultura egizia, compatta, misteriosa»: così la definisce Piero Tosi,
costumista.
E lo sceneggiatore Scarpelli aggiunge: «Una diva felice
ma il destino l’ha colpita amaramente. Un personaggio
ineffabile. Di lei si conosceva una certa parte, l’altra, con
grande, aristocrazia psicologica, la teneva per sé».
La scelta della Mangano per “Riso amaro” è avvolta
dalla leggenda e se c’è chi ricorda un provino andato male
e poi un fortuito incontro col regista sotto la pioggia a via
Veneto, nel programma Alessandra Levantesi, critica cinematografica, offre un’altra versione: «Dino De Laurentiis
racconta che l’aveva vista prima in un’immagine pubblicitaria della Democrazia Cristiana, passeggiando con
De Sanctis e vedendo questo manifesto dove c’è effettivamente una Silvana molto procace disse: “Ecco l’immagine della popolana, quella che ci serve”, e cosi sarebbe
partita l’avventura».
Per Carlo Lizzani «Silvana Mangano diventò il simbolo
di un’Italia diversa: la donna aveva una presenza nel
mondo del lavoro, non solo nei salotti come nel vecchio
cinema».
Mario Monicelli ricorda soprattutto lo «strepitoso manifesto che apparve con lei con gli “shorts”: in tutto il
mondo, non si vedevano cose del genere allora».
La figlia Veronica De Laurentiis ricorda in casa la madre
così: «Le immagini che io vedevo di mia madre era che lei
comandava, e lui era in adorazione di lei. Questo è quello
che vedevo da bambina, però poi mi sono resa conto che
in fondo era mio padre che le diceva quello che lei doveva fare e lei lo faceva».
Tosi poi rivela, a proposito del rapporto tra De Laurentiis
e Mangano e della gelosia del produttore: «È stato di grande aiuto ma anche a volte ha impedito certe cose, per
esempio nella “Dolce Vita”, lei doveva fare il ruolo di
Anita Ekberg e credo che Dino abbia accantonato la proposta, non so la ragione, ma me l’ha detto Federico
(Fellini)». Quanto alla seconda parte della sua carriera,
quella di diva internazionale e impegnata, Monicelli ricorda: «Lei era diventata una diva internazionale, quindi si
poteva fare ben presto a combinare dei film, anche importanti. Però era molto difficile convincerla, lei spesso si
rifiutava, era una battaglia che doveva fare lui».
La figlia Veronica ricorda anche l’aspetto più oscuro ed
enigmatico della Mangano: «si chiudeva in camera da letto per giornate intere, senza mangiare, senza parlare con
nessuno, noi dovevamo bussare alla porta, mi ricordo
mio fratello scavalcava, saliva su per la finestra per cercare di entrare, di vedere come stava e poi ci apriva la
porta per andare a parlarle.
Solo Alberto Sordi, suo grande amico, riusciva a farla
sorridere e a renderla più “sciolta”.
Sì, Sordi la amava tanto - dice Veronica -, ed era bello
perché la faceva ridere e a me piaceva quando lui veniva
perché era allegro, sempre pieno di vita».
Negli ultimi anni della sua vita Silvana si ammala di depressione, che peggiora con trasferimento di tutta la famiglia a Hollywood.
«Lei ha sempre un po’ sofferto di depressione - dice la
figlia Francesca De Laurentiis -, da quando sono nata, l’ho
sempre vista che ha fluttuato in momenti di tristezza, di
depressione, però credo che essere venuta a Los Angeles
l’ha riportata nella depressione».
La depressione viene aggravata dalla morte del figlio
venticinquenne, che veniva visto da molti come il suo alterego per la grande somiglianza fisica e caratteriale con la
madre.
«Mia madre - aggiunge Veronica – quando ha perso
mio fratello, ha scelto la morte, lei ha proprio detto: “Voglio morire” ed è morta». Aveva 59 anni !
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I miti scomparsi
La ragazza dagli occhi da cerbiatta
Audrey Hepburn, o l’eleganza
Non adottò mai pose da diva fatale, ma bucò lo schermo col suo charme
Sergio Di Giacomo
Gazzetta del Sud
La “passione” per Audrey Hepburn è come un fiume silenzioso che continua a scorrere, come dimostra
anche l’iniziativa promossa per martedì a Londra in
cui Sotheby’s metterà all’asta (con metà del ricavato
destinato alla Fondazione intitolata all’attrice) trentasei
abiti del guardaroba della splendida protagonista di
“Colazione da Tiffany”, tra cui anche un abito da sposa realizzato nel 1952 dalle Sorelle Fontana durante il
set di “Vacanze romane” e mai indossato.
«Vorrei che lo indossasse una ragazza povera, una
che non potrebbe mai permettersi un vestito così»,
disse l’attrice – che avrebbe ora compiuto gli 80 anni
– con il suo spirito caritatevole quando decise di non
celebrare il preventivato matrimonio con lo spasimante
inglese lord James Hanson. L’abito da sposa, che
venne utilizzato da una giovane di Latina, è un esempio di quell’eleganza semplice e leggiadra che ha reso
unica Audrey e che trova un suo esempio ricco e vivace nel volume di Scott Brizel “Audrey Hepburn una
vita da copertina” appena edito da Salani.
Una carrellata storica che ripercorre le tappe della
leggendaria carriera della Hepburn attraverso le copertine e gli articoli delle più importanti riviste del
mondo, che testimoniano l’interesse davvero universale per questa attrice capace di entusiasmare pubblico e critica pur evitando atteggiamenti “da diva”. Il
volto lieve illuminato dal suo sorriso unico scandisce
così il passaggio di tendenze e epoche, in un intreccio
intelligente e coinvolgente tra i film di Audrey e i cambiamenti del nostro costume.
Nel marzo 1951 la rivista inglese “Abc Film Review”
la mostrò dolcissima cover girl tutta vestita di blu col
fiocco in testa, e l’anno dopo “Picturegoer” profetizzava «il futuro crede in Audrey», anticipando il successo di “Vacanze romane”. La rivista finlandese
“Elokuva-Aitta” porge in copertina il volto radioso
dell’attrice avvolto da un velo bianco, mentre “Cinè
Reveu” la mostra nel look di “Dandy Marinaio” che
veleggia verso il successo. L’americano
“Mademoiselle” ne parla come di una fatina che conosce il sex appeal dell’innocenza mentre recita in
“Gigi”, pubblicando una foto dove Audrey indossa una
deliziosa camicetta di piquè con maniche di madras a
righe. Nel 1954 “Oggi” l’immortala simpaticamente
con un tacchino tra le mani, mettendo in rilievo come
“l’esile” Audrey Hepburn avesse lanciato «un nuovo
tipo di bellezza femminile», sottolineando come solo
la Garbo e la Bergman erano state capaci di avere
tanto successo agli esordi.
La sua bellezza sfrontata e timida assieme arriva a
furoreggiare nei giornali di Cuba, Danimarca, Brasile,
Finlandia, Portogallo, Israele, Egitto,Australia, Germania, tanto che “Photo Roman” idea un fotoromanzo
con le sequenze mitiche di “Vacanze romane”, e “Mondo Uruguayo” rende mitica anche in Sudamerica la
foto in vespino diventata icona internazionale.
Tanta popolarità porta una rivista thailandese a pubblicare ben 22 miniature del volto dell’attrice in altrettante espressioni, un esempio delle tante foto presenti
nel libro che – tra aneddoti e gossip – mostrano la
grande capacità di Audrey di creare fashion senza
sottostare ai dettami della moda, riuscendo a giocare,
come quando appare nel giornale turco “Hayat” con
un tovagliolo da picnic in testa trasformato in... sofisticato cappellino.
Si rimane inteneriti dalle foto di Audrey con in braccio un cerbiatto, dalla corona di rose bianche portate
al matrimonio con Mel Ferrer e dalle calze bianche su
un costume completamente nero indossate in “Cenerentola a Parigi” che ispirarono Michael Jackson per
il suo look da ballerino.
La sua bellezza naturale, a tratti antica, da fiabesca
fair lady, si integrerà col glamour della “swinging
London” di fine anni Sessanta, che la vede passare
dai vestiti Givenchy al look spaziale di “Due per la
strada” con i dischetti metallici di Paco Rabanne, gli
short e la giacchetta di vinile “ultra mod”. Uno stile
che rappresenta un modo di essere moderno rimanendo sempre una donna autentica, una principessa
del cinema capace negli ultimi anni di lasciare il cinema per diventare “casalinga romana”, tenera mamma e ambasciatrice di speranza per i bambini dimenticati del Terzo Mondo.
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I miti scomparsi
2 gennaio 1960 ore 8,45:
Fausto Coppi fa la sua ultima volata verso ...
l’aldilà!
50 anni fa, il 2 gennaio 1960 alle ore 8,45 si spegneva
all’ospedale di Tortona Fausto Coppi. Aveva 40 anni, e
aveva vinto praticamente tutto quel che c’era da vincere in
sella a una bicicletta. Venne sconfitto dalla malaria che aveva contratto in africa, e che i medici non riuscirono a diagnosticare.
Tantissime le iniziative, in tutta Italia, per ricordare il
Campionissimo.
Come tradizione, si inizia a Castellania, paese natale del
grande Airone, con la consueta Messa in suffragio celebrata alle 10,30.
Subito dopo verrà consegnato il riconoscimento
Welcome Castellania al direttore del Giro d’Italia Angelo
Zomegnan, al direttore BS-Bicisport Sergio Neri e a Davide
Cassani di Rai Sport.
La mattinata si conclude con il ringraziamento ai fedeli
gregari del Campionissimo ed a grandi figure del ciclismo
storico (Fiorenzo Magni, Alfredo Martini, Gino Bartali - sarà
presente il figlio Andrea -, Giovanni Corrieri) e con la
titolazione del piazzale antistante il Mausoleo a Candido
Cannavò, storico direttore de “La Gazzetta dello Sport”.
Nel pomeriggio le celebrazioni si spostano prima a
Tortona, dove alle 14,30 presso la Sala Convegni della Fondazione Cassa di Risparmio di Tortona (via Puricelli - piazza
Duomo) sarà presentato il volume a cura di Gianni Rossi
“Fausto Coppi, gli anni, le strade”, e poi a Novi Ligure.
All’interno del Museo dei Campionissimi (ore 16,30)
Beppe Conti condurrà il talk show “50 anni fa... Fausto
Coppi” al quale parteciperanno personaggi e giornalisti
delle testate nazionali e straniere. Tra gli altri, saranno presenti i giornalisti Gian Paolo Ormezzano, Gianni Mura e
Sergio Neri; l’evento vedrà anche la partecipazione dei figli
di Coppi, Marina e Faustino, di Andrea Bartali, Livio Berruti,
Alfredo Martini e Franco Ossola, figlio di un giocatore del
grande Torino.
Saranno proiettati filmati dalle Teche RAI, il tutto per
ricordare il Cinquantenario della scomparsa di uno dei più
grandi e conosciuti miti dello sport mondiale.
Per l’occasione, inoltre, verrà ufficializzato il calendario
delle manifestazioni in ricordo di Coppi in programma nel
2010.
Domani, domenica 3 gennaio, infine, si svolgerà una gara
di ciclocross in memoria di Fausto Coppi. Il circuito, di circa
2 km, interesserà l’area Eronovi di fronte al Museo dei
Campionissimi, e proprio da quest’ultimo si succederanno
gli arrivi e le partenze, a partire dalle ore 13,15. La competizione è aperta a tutte le categorie e rappresenta l’ultima
gara
del
circuito
Coppa
Piemonte.
Innumerevoli le iniziative in tutta la nazione per ricordare
Coppi: anche a Napoli alle ore 18,00 presso la chiesa di San
Giovanni Battista dei Fiorentini in piazza degli Artisti avrà
luogo una Messa di suffragio officiata da don Lello Sogno.
Chi era e cosa ha
rappresentato per gli
italiani?
Era nato a Novi Ligure da una famiglia di contadini. A
differenza però dei frtelli si dedicò subito allo sport del
ciclismo e riuscì a divenire immediatamente “un eroe”
dell’mmaginario collettivo.
La natura lo
aveva dotato
di un cuore caratterizzato da
poche pulsazioni per cui
accusava pochissimo la
fatiga e questo
lo rese irresistibile nelle volate soprattutto
in salita.
Fu Chiamato
“Il grnde Airone” perchè
come questo
uccello, favoI due nemici-amici Coppi e Bartali
loso in fase di
si
passano la borraccia dell’ acqua
volo, si muoveva moto a disagio sulla terra ferma.
Fu grande amico/nemico di un altro grandissimo del ciclismo italiano, Gino Barali, e questo creò in Italia un suddividersi in due fazioni: i coppiani ed i bartaliani.
Addirittura si giunse ad una somatizzazione politica infatti Coppi rappresentava le “sinistre” mentre Bartali era
l’emblema delle “destre”.
Vonse tutto ciò che c’era da vincere anche se la sua
eterna sfida con l’amico/rivale Bartali non cessò mai.
Molti addirittura giunsero ad ipotizzare che non era un
vero anagonismo, ma accortesi quanto “rendedesse in popolarità” avessero concoredato di ostentare rivalità.
Diede moltissimo allo sport italiano e, senza dubbio, all’immagine dell’Italia.
Ad un certo momento della sua vita ebbe una sbandata
sentimentale per la moglie di un medico, Ilaria Occhini, ed
ambedue, abbandonate le rispettive famiglie, iniziarono un
iter d’amore che li portò ad avere un figlio, Faustino.
Gli italini, dimenticando quanto Coppi aveva dato, lo
demonizzarono assieme alla sua compagna chiamata da tutti
“La dama Bianca” .
Amava profondamente la caccia e questa fu la causa
della sua morte prematura.
Dopo un safari in Africa tornò con una malaria che non
gli diagnosticò nessuno!