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Voci dal Sud 31 Anno VI° nr. 1 Gennaio 2010 w w w . s o s e d . eu I miti scomparsi Silvana Mangano, la diva enigmatica Il ricordo della figlia Veronica che racconta: “Solo Alberto Sordi riusciva a farla sorridere e a rasserenarla” Marco Presti - Gazzetta del Sud ROMA - La Rai/TV con “La Storia siamo noi” celebra con una puntata speciale rievoca Silvana Mangano a 20 anni dalla morte. Il programma dal titolo “Sorriso amaro” (n.d.r. : parafrasando il titolo del suo celebre film che la impose al pubblico: Riso Amaro”), ricostruisce attraverso le testimonianze dei famigliari e degli amici, la complessa ed enigmatica personalità di una grande diva internazionale. «Una apparizione straordinaria, completamente diversa da come appariva sullo schermo, era una scultura egizia, compatta, misteriosa»: così la definisce Piero Tosi, costumista. E lo sceneggiatore Scarpelli aggiunge: «Una diva felice ma il destino l’ha colpita amaramente. Un personaggio ineffabile. Di lei si conosceva una certa parte, l’altra, con grande, aristocrazia psicologica, la teneva per sé». La scelta della Mangano per “Riso amaro” è avvolta dalla leggenda e se c’è chi ricorda un provino andato male e poi un fortuito incontro col regista sotto la pioggia a via Veneto, nel programma Alessandra Levantesi, critica cinematografica, offre un’altra versione: «Dino De Laurentiis racconta che l’aveva vista prima in un’immagine pubblicitaria della Democrazia Cristiana, passeggiando con De Sanctis e vedendo questo manifesto dove c’è effettivamente una Silvana molto procace disse: “Ecco l’immagine della popolana, quella che ci serve”, e cosi sarebbe partita l’avventura». Per Carlo Lizzani «Silvana Mangano diventò il simbolo di un’Italia diversa: la donna aveva una presenza nel mondo del lavoro, non solo nei salotti come nel vecchio cinema». Mario Monicelli ricorda soprattutto lo «strepitoso manifesto che apparve con lei con gli “shorts”: in tutto il mondo, non si vedevano cose del genere allora». La figlia Veronica De Laurentiis ricorda in casa la madre così: «Le immagini che io vedevo di mia madre era che lei comandava, e lui era in adorazione di lei. Questo è quello che vedevo da bambina, però poi mi sono resa conto che in fondo era mio padre che le diceva quello che lei doveva fare e lei lo faceva». Tosi poi rivela, a proposito del rapporto tra De Laurentiis e Mangano e della gelosia del produttore: «È stato di grande aiuto ma anche a volte ha impedito certe cose, per esempio nella “Dolce Vita”, lei doveva fare il ruolo di Anita Ekberg e credo che Dino abbia accantonato la proposta, non so la ragione, ma me l’ha detto Federico (Fellini)». Quanto alla seconda parte della sua carriera, quella di diva internazionale e impegnata, Monicelli ricorda: «Lei era diventata una diva internazionale, quindi si poteva fare ben presto a combinare dei film, anche importanti. Però era molto difficile convincerla, lei spesso si rifiutava, era una battaglia che doveva fare lui». La figlia Veronica ricorda anche l’aspetto più oscuro ed enigmatico della Mangano: «si chiudeva in camera da letto per giornate intere, senza mangiare, senza parlare con nessuno, noi dovevamo bussare alla porta, mi ricordo mio fratello scavalcava, saliva su per la finestra per cercare di entrare, di vedere come stava e poi ci apriva la porta per andare a parlarle. Solo Alberto Sordi, suo grande amico, riusciva a farla sorridere e a renderla più “sciolta”. Sì, Sordi la amava tanto - dice Veronica -, ed era bello perché la faceva ridere e a me piaceva quando lui veniva perché era allegro, sempre pieno di vita». Negli ultimi anni della sua vita Silvana si ammala di depressione, che peggiora con trasferimento di tutta la famiglia a Hollywood. «Lei ha sempre un po’ sofferto di depressione - dice la figlia Francesca De Laurentiis -, da quando sono nata, l’ho sempre vista che ha fluttuato in momenti di tristezza, di depressione, però credo che essere venuta a Los Angeles l’ha riportata nella depressione». La depressione viene aggravata dalla morte del figlio venticinquenne, che veniva visto da molti come il suo alterego per la grande somiglianza fisica e caratteriale con la madre. «Mia madre - aggiunge Veronica – quando ha perso mio fratello, ha scelto la morte, lei ha proprio detto: “Voglio morire” ed è morta». Aveva 59 anni ! Voci dal Sud 32 AnnoVI° nr. 1 Gennaio 2010 w w w . s o s e d . eu I miti scomparsi La ragazza dagli occhi da cerbiatta Audrey Hepburn, o l’eleganza Non adottò mai pose da diva fatale, ma bucò lo schermo col suo charme Sergio Di Giacomo Gazzetta del Sud La “passione” per Audrey Hepburn è come un fiume silenzioso che continua a scorrere, come dimostra anche l’iniziativa promossa per martedì a Londra in cui Sotheby’s metterà all’asta (con metà del ricavato destinato alla Fondazione intitolata all’attrice) trentasei abiti del guardaroba della splendida protagonista di “Colazione da Tiffany”, tra cui anche un abito da sposa realizzato nel 1952 dalle Sorelle Fontana durante il set di “Vacanze romane” e mai indossato. «Vorrei che lo indossasse una ragazza povera, una che non potrebbe mai permettersi un vestito così», disse l’attrice – che avrebbe ora compiuto gli 80 anni – con il suo spirito caritatevole quando decise di non celebrare il preventivato matrimonio con lo spasimante inglese lord James Hanson. L’abito da sposa, che venne utilizzato da una giovane di Latina, è un esempio di quell’eleganza semplice e leggiadra che ha reso unica Audrey e che trova un suo esempio ricco e vivace nel volume di Scott Brizel “Audrey Hepburn una vita da copertina” appena edito da Salani. Una carrellata storica che ripercorre le tappe della leggendaria carriera della Hepburn attraverso le copertine e gli articoli delle più importanti riviste del mondo, che testimoniano l’interesse davvero universale per questa attrice capace di entusiasmare pubblico e critica pur evitando atteggiamenti “da diva”. Il volto lieve illuminato dal suo sorriso unico scandisce così il passaggio di tendenze e epoche, in un intreccio intelligente e coinvolgente tra i film di Audrey e i cambiamenti del nostro costume. Nel marzo 1951 la rivista inglese “Abc Film Review” la mostrò dolcissima cover girl tutta vestita di blu col fiocco in testa, e l’anno dopo “Picturegoer” profetizzava «il futuro crede in Audrey», anticipando il successo di “Vacanze romane”. La rivista finlandese “Elokuva-Aitta” porge in copertina il volto radioso dell’attrice avvolto da un velo bianco, mentre “Cinè Reveu” la mostra nel look di “Dandy Marinaio” che veleggia verso il successo. L’americano “Mademoiselle” ne parla come di una fatina che conosce il sex appeal dell’innocenza mentre recita in “Gigi”, pubblicando una foto dove Audrey indossa una deliziosa camicetta di piquè con maniche di madras a righe. Nel 1954 “Oggi” l’immortala simpaticamente con un tacchino tra le mani, mettendo in rilievo come “l’esile” Audrey Hepburn avesse lanciato «un nuovo tipo di bellezza femminile», sottolineando come solo la Garbo e la Bergman erano state capaci di avere tanto successo agli esordi. La sua bellezza sfrontata e timida assieme arriva a furoreggiare nei giornali di Cuba, Danimarca, Brasile, Finlandia, Portogallo, Israele, Egitto,Australia, Germania, tanto che “Photo Roman” idea un fotoromanzo con le sequenze mitiche di “Vacanze romane”, e “Mondo Uruguayo” rende mitica anche in Sudamerica la foto in vespino diventata icona internazionale. Tanta popolarità porta una rivista thailandese a pubblicare ben 22 miniature del volto dell’attrice in altrettante espressioni, un esempio delle tante foto presenti nel libro che – tra aneddoti e gossip – mostrano la grande capacità di Audrey di creare fashion senza sottostare ai dettami della moda, riuscendo a giocare, come quando appare nel giornale turco “Hayat” con un tovagliolo da picnic in testa trasformato in... sofisticato cappellino. Si rimane inteneriti dalle foto di Audrey con in braccio un cerbiatto, dalla corona di rose bianche portate al matrimonio con Mel Ferrer e dalle calze bianche su un costume completamente nero indossate in “Cenerentola a Parigi” che ispirarono Michael Jackson per il suo look da ballerino. La sua bellezza naturale, a tratti antica, da fiabesca fair lady, si integrerà col glamour della “swinging London” di fine anni Sessanta, che la vede passare dai vestiti Givenchy al look spaziale di “Due per la strada” con i dischetti metallici di Paco Rabanne, gli short e la giacchetta di vinile “ultra mod”. Uno stile che rappresenta un modo di essere moderno rimanendo sempre una donna autentica, una principessa del cinema capace negli ultimi anni di lasciare il cinema per diventare “casalinga romana”, tenera mamma e ambasciatrice di speranza per i bambini dimenticati del Terzo Mondo. Voci dal Sud 33 Anno VI° nr. 1 Gennaio 2010 w w w . s o s e d . eu I miti scomparsi 2 gennaio 1960 ore 8,45: Fausto Coppi fa la sua ultima volata verso ... l’aldilà! 50 anni fa, il 2 gennaio 1960 alle ore 8,45 si spegneva all’ospedale di Tortona Fausto Coppi. Aveva 40 anni, e aveva vinto praticamente tutto quel che c’era da vincere in sella a una bicicletta. Venne sconfitto dalla malaria che aveva contratto in africa, e che i medici non riuscirono a diagnosticare. Tantissime le iniziative, in tutta Italia, per ricordare il Campionissimo. Come tradizione, si inizia a Castellania, paese natale del grande Airone, con la consueta Messa in suffragio celebrata alle 10,30. Subito dopo verrà consegnato il riconoscimento Welcome Castellania al direttore del Giro d’Italia Angelo Zomegnan, al direttore BS-Bicisport Sergio Neri e a Davide Cassani di Rai Sport. La mattinata si conclude con il ringraziamento ai fedeli gregari del Campionissimo ed a grandi figure del ciclismo storico (Fiorenzo Magni, Alfredo Martini, Gino Bartali - sarà presente il figlio Andrea -, Giovanni Corrieri) e con la titolazione del piazzale antistante il Mausoleo a Candido Cannavò, storico direttore de “La Gazzetta dello Sport”. Nel pomeriggio le celebrazioni si spostano prima a Tortona, dove alle 14,30 presso la Sala Convegni della Fondazione Cassa di Risparmio di Tortona (via Puricelli - piazza Duomo) sarà presentato il volume a cura di Gianni Rossi “Fausto Coppi, gli anni, le strade”, e poi a Novi Ligure. All’interno del Museo dei Campionissimi (ore 16,30) Beppe Conti condurrà il talk show “50 anni fa... Fausto Coppi” al quale parteciperanno personaggi e giornalisti delle testate nazionali e straniere. Tra gli altri, saranno presenti i giornalisti Gian Paolo Ormezzano, Gianni Mura e Sergio Neri; l’evento vedrà anche la partecipazione dei figli di Coppi, Marina e Faustino, di Andrea Bartali, Livio Berruti, Alfredo Martini e Franco Ossola, figlio di un giocatore del grande Torino. Saranno proiettati filmati dalle Teche RAI, il tutto per ricordare il Cinquantenario della scomparsa di uno dei più grandi e conosciuti miti dello sport mondiale. Per l’occasione, inoltre, verrà ufficializzato il calendario delle manifestazioni in ricordo di Coppi in programma nel 2010. Domani, domenica 3 gennaio, infine, si svolgerà una gara di ciclocross in memoria di Fausto Coppi. Il circuito, di circa 2 km, interesserà l’area Eronovi di fronte al Museo dei Campionissimi, e proprio da quest’ultimo si succederanno gli arrivi e le partenze, a partire dalle ore 13,15. La competizione è aperta a tutte le categorie e rappresenta l’ultima gara del circuito Coppa Piemonte. Innumerevoli le iniziative in tutta la nazione per ricordare Coppi: anche a Napoli alle ore 18,00 presso la chiesa di San Giovanni Battista dei Fiorentini in piazza degli Artisti avrà luogo una Messa di suffragio officiata da don Lello Sogno. Chi era e cosa ha rappresentato per gli italiani? Era nato a Novi Ligure da una famiglia di contadini. A differenza però dei frtelli si dedicò subito allo sport del ciclismo e riuscì a divenire immediatamente “un eroe” dell’mmaginario collettivo. La natura lo aveva dotato di un cuore caratterizzato da poche pulsazioni per cui accusava pochissimo la fatiga e questo lo rese irresistibile nelle volate soprattutto in salita. Fu Chiamato “Il grnde Airone” perchè come questo uccello, favoI due nemici-amici Coppi e Bartali loso in fase di si passano la borraccia dell’ acqua volo, si muoveva moto a disagio sulla terra ferma. Fu grande amico/nemico di un altro grandissimo del ciclismo italiano, Gino Barali, e questo creò in Italia un suddividersi in due fazioni: i coppiani ed i bartaliani. Addirittura si giunse ad una somatizzazione politica infatti Coppi rappresentava le “sinistre” mentre Bartali era l’emblema delle “destre”. Vonse tutto ciò che c’era da vincere anche se la sua eterna sfida con l’amico/rivale Bartali non cessò mai. Molti addirittura giunsero ad ipotizzare che non era un vero anagonismo, ma accortesi quanto “rendedesse in popolarità” avessero concoredato di ostentare rivalità. Diede moltissimo allo sport italiano e, senza dubbio, all’immagine dell’Italia. Ad un certo momento della sua vita ebbe una sbandata sentimentale per la moglie di un medico, Ilaria Occhini, ed ambedue, abbandonate le rispettive famiglie, iniziarono un iter d’amore che li portò ad avere un figlio, Faustino. Gli italini, dimenticando quanto Coppi aveva dato, lo demonizzarono assieme alla sua compagna chiamata da tutti “La dama Bianca” . Amava profondamente la caccia e questa fu la causa della sua morte prematura. Dopo un safari in Africa tornò con una malaria che non gli diagnosticò nessuno!