Biografia del Prof. Carlo Lorenzo Cazzullo
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Biografia del Prof. Carlo Lorenzo Cazzullo
Carlo Lorenzo Cazzullo, padre della psichiatria italiana, nasce a Gallarate il 30 gennaio 1915 e, dopo la morte avvenuta a Milano il 3 marzo 2010, qui riposa nella tomba di famiglia. L’infanzia la trascorre a Gallarate, in Via Mazzini 7, nell’appartamento sopra la farmacia Senna del padre, chimico farmacista, frequentando le scuole elementari di Via Marsala classificandosi, negli ultimi tre anni, primo per profitto. Studiare con forza e tenacia è sempre stata, sin dalla giovinezza, la costante della sua vita. I prestigiosi successi conseguiti in Italia e all’estero sono infatti frutto dell’impegno, della serietà e della passione per la ricerca scientifica, accompagnate da un’incrollabile fiducia nel Signore, trasmesse ai suoi molti giovani allievi ai quali, sino alla fine, ha fornito stimoli per ampliare l’orizzonte della conoscenza. A seguito della prematura scomparsa del padre, viste le ristrettezze economiche in cui la famiglia si viene a trovare, è costretto ad andare in collegio a Milano, al Calchi Taeggi, con una borsa di studio a retta ridotta, a condizione di conseguire e mantenere la media del nove. D’ora in poi la sua vita si svolge a Milano: l’istituto tecnico inferiore, il diploma di ragioneria, impostogli dal secondo padre, e finalmente, dopo la maturità scientifica, conseguita contemporaneamente a un anno di Economia e Commercio, conquista la possibilità di iscriversi alla tanto sognata Facoltà di Medicina laureandosi in soli cinque anni di corso nel 1940. La curiosità, l’eclettismo dei suoi interessi, accompagnati da una rara vitalità, lo portano a fare più cose, spesso contemporaneamente, tira di scherma, pratica l’atletica, legge avidamente: la letteratura russa, francese, americana, va a teatro, ma soprattutto ascolta e ama la musica classica. Tutte le volte che le sue finanze glielo permettono va alla Scala ad ascoltare qualche concerto. Da bambino la sua mamma ha cercato di insegnargli a suonare il pianoforte, ma anche se questo tentativo si è rivelato vano, ha però indelebilmente impresso in lui il germe della musica. La musica sinfonica rimane una costante di tutta la vita, sino ai suoi ultimi giorni si chiude infatti nel suo studio e ascolta l’amato Beethoven. Ma anche Mozart, Schumann, Schubert, Chopin, Debussy sono tra i suoi autori preferiti. E’ sempre alla ricerca di dischi e di cd, spesso con lo stesso brano eseguito da quel particolare interprete o direttore d’orchestra che, a suo parere, meglio mette in risalto l’originalità del compositore. Quando studia o scrive una delle sue molte pubblicazioni ascolta la musica perché, come diceva, “la musica aiuta a pensare. Mettendoti in armonia con l’universo fa scaturire i pensieri più profondi e al tempo stesso ti dà pace”. Fidente nel grande potere che la musica ha sull’animo umano tra le varie terapie innovative sperimentate si avvale anche della musico-terapia e in particolare con i pazienti affetti da schizofrenia. Seppur indirettamente, è grazie al suo amore per la musica che l’Italia ebbe il primo apparecchio elettroencefalografico. Vinta nel 1946 la Borsa di studio Roberto Lepetit per ricerche di neurologia sperimentale presso il Rockefeller Institute di New York, rimane negli USA dal 1947 al 1949. Durante questo periodo, oltre a studiare e fare esperimenti, è rappresentante per il Nord America dell’ American Relief for Italy che promuove una raccolta di fondi per il ripristino dell’attrezzatura scientifica, della clinica neurologica e dell’Università di Milano, andata distrutta durante i bombardamenti della seconda guerra mondiale. La raccolta inizia proprio con una donazione del grande Maestro Arturo Toscanini da lui curato per una sciatica prima di un concerto, a New York. Dopo il Rockefeller Institute è Research Assistant al New York State Psychiatric Institute della Columbia University; qui studia, assimila, impara: la neurofisiologia, l’elettroencefalografia, la psicosomatica, le malattie neurologiche di origine virale, ma soprattutto svolge ricerche sulla encefalomielite sperimentale allergica (sclerosi multipla) per la quale, nel 1950, gli verrà assegnato il Premio nazionale di neurologia Ernesto Lugaro. L’apertura mentale degli scienziati americani, la poliedricità degli indirizzi di ricerca, l’ intuizione dell’indispensabile autonomia della psichiatria dalla neurologia, la psicosomatica, assorbite in USA, segnano il suo cammino futuro di ricercatore, di studioso, di maestro e di medico. Rientrato in Italia riprende il lavoro col maestro Riquier dedicandosi di più alla clinica: studia il malato, impara, come poi insegnerà ai suoi allievi, “a mangiare il malato”. Il clinico e il ricercatore cominciano a convivere in quell’unione che lo porterà a indagare, oltre alla sclerosi multipla, la depressione, la schizofrenia, l’Alzheimer, l’Aids. Nel 1958 vince la cattedra di Malattie Nervose e Mentali e nel 1959 ricopre la prima cattedra italiana di Psichiatria fondando ad Affori il padiglione Romeo Vuoli e, nel 1963, la Guardia II al Policlinico, primo reparto di psichiatria d’urgenza realizzato in un ospedale generale. In questi due poli crea la sua “Scuola” impegnandosi nella ricerca, nell’insegnamento e nell’assistenza, integrando gli aspetti biologici, psicodinamici e psicosociali della malattia mentale. Promuove la Legge n. 238/1976 (la cosiddetta “Legge Cazzullo”) che sancisce la definitiva separazione della psichiatria dalla neurologia e il suo riconoscimento come disciplina autonoma. Successi accademici e impegni professionali in Italia e all’estero si susseguono: collabora con l’Associazione dei Medici Cattolici Italiani, in rappresentanza dei quali è nominato, dal Cardinal Martini, Membro del Consiglio Pastorale Diocesano della Città di Milano, il Consiglio Nazionale delle Ricerche, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, è Presidente dal 1968 al 1991 della Società Italiana di Psichiatria, primo italiano, è Membro del Comitato Esecutivo della World Psychiatric Association; è insignito di numerosissimi premi e riconoscimenti nazionali e internazionali ( tra i quali: 1962 Manfred Sakel Foundation di New York, 1968 e 1972 Ambrogino d’oro, 1970 Medaglia d’oro della Sanità Pubblica e 1976 della Pubblica Istruzione, 1990 Medaglia d’oro dell’Università, del Comune e del Policlinico di Milano, della Società Italiana di Psichiatria). Strenuo assertore dell’importanza del rapporto medico-paziente crea, negli anni ottanta, l’Associazione Ricerche sulla Schizofrenia (ARS) e la Fondazione Legrenzi-Cazzullo per l’aiuto alla famiglia. La sua opera gli vale nel 1996 l’Albert Schweitzer Gold Medal per l’umanizzazione della medicina e nel 2001 la laurea honoris causa in psicologia dall’Università di Cagliari. Oltre al Trattato di psichiatria, è autore di un migliaio di pubblicazioni e di numerosi libri. Anche se la sua vita si svolge a Milano e in giro per il mondo, a Gallarate resta profondamente legato non solo perché qui vive la sua famiglia, ma perché ci sono l’Ospedale e l’Aloisianum. E’ infatti all’Ospedale di Gallarate che, nel 1941, appena laureato, ricopre il suo primo incarico ufficiale: dirige l’ambulatorio per le malattie nervose e psichiche ed è consulente nei vari reparti, Ospedale di cui, in tarda età, sarà Presidente del Comitato Etico. Proprio al S. Antonio Abate, in convenzione con l’Università di Milano, decide di fondare, nel 1963, il primo Centro italiano di ricovero e cura della sclerosi multipla, ora a lui intitolato, e nel 1975 la collegata Associazione Amici del Centro Studi Sclerosi Multipla. Per i suoi meriti scientifici, quale riconoscimento per la fondazione del Centro, riceve dal Comune di Gallarate, per ben due volte, la targa-scultura “I due galli” nel 1984 e nel 2001, il distintivo d’oro di benemerenza dall’Associazione Italiana Sclerosi Multipla nel 1988 e, nel 1995, la Medaglia d’oro dalla USL. Analogo centro per la cura della Sclerosi verrà poi da lui creato anche a Milano presso l’IRCCS Don Gnocchi, anche questo ora intitolato alla sua memoria. E poi a Gallarate c'è l’Aloisianum al quale è legato in modo particolare non solo perché da sempre con la famiglia la domenica viene qui a parecipare alla Messa, ma soprattutto per la grande amicizia, nata negli anni giovanili e continuata per tutta la vita, con l’insigne filosofo Padre Carlo Giacon che oltre a essere il suo Padre Spirituale, è il confidente delle traversie della vita e dell’università, essendo professore universitario egli stesso. Centinaia sono le lettere che si scrivono. Con Giacon collabora all’Enciclopedia Filosofica edita a cura del Centro di Studi Filosofici di Gallarate scrivendo le voci psichiatriche e partecipando attivamente, con conferenze, ai Congressi del Centro Studi Filosofici tra Professori universitari. Un evento in particolare, connesso addirittura alla sua sopravvivenza, lo unisce indelebilmente all’Aloisianum: il 4 ottobre del 1944 ricercato dalle Brigate Nere al Policlinico, riesce a fuggire ed entra in clandestinità trovando rifugio e scampo nascosto proprio nell’Istituto dei gesuiti. Dall’ottobre 1943 ha infatti aderito attivamente alla Resistenza, organizzando e dirigendo l'assistenza sanitaria di Milano e presso le formazioni partigiane su incarico del Corpo Volontari della Libertà, dando vita con altri colleghi antifascisti al Cln medici. Come ufficiale medico dell’Ospedale militare di Baggio, è nominato, grazie alla sua conoscenza della lingua tedesca, ufficiale di collegamento tra la Direzione dell’Ospedale e il Comando germanico di Milano, ruolo che gli consentirà di contrastare alcuni progetti nazisti di deportazione di soldati e di prigionieri. A seguito dell’irruzione al Policlinico, scappa da Milano e va a Gallarate decidendo immediatamente di chiedere aiuto a Padre Giacon. “ Il Padre mi diede appuntamento, a notte fonda, all’Istituto di Studi Filosofici dei padri gesuiti. All’Aloisianum ero ben conosciuto per la mia assidua frequentazione di Padre Giacon, illustre filosofo per il quale avevo una speciale predilezione, e per gli amichevoli contatti con altri confratelli di raffinata cultura. Fui accolto col consenso del Padre Superiore e collocato nell’infermeria. Durante la mia permanenza all’Aloisianum avvenne un episodio preoccupante. Un giorno, a metà pomeriggio, si presentarono alcuni militi delle Brigate Nere che interrogarono pressantemente i frati sulla possibilità che il convento ospitasse partigiani. Al primo apparire dei fascisti fui immediatamente condotto nella chiesetta che si trova all’interno del convento, infilato sotto l’altare e invitato a non fiatare sino a nuovo ordine. I fascisti fecero un’attenta ispezione, ma la chiesa fu risparmiata per cui, dopo tre ore, ormai quasi cianotico per la mancanza d’aria, fui liberato da quell’angusto nascondiglio e potei tornare in infermeria (…) Dopo l’episodio dell’ispezione delle Brigate Nere, la mia collocazione all’Aloisianum poteva causare disagio e rischio per i frati, per cui di notte, come ero venuto, lasciai l’Istituto”, Un medico per la libertà (Sperling 2005, pp.93-6). La partecipazione alla Resistenza gli frutterà il riconoscimento di partigiano combattente dal Generale Enrico Mattei, Comandante generale del Corpo Volontari della Libertà, e due croci di guerra. Dopo la liberazione, per anni, è Sovrintendente sanitario della Pontificia Commissione d’Assistenza ai profughi e ai reduci dai campi di concentramento, attività per la quale verrà nominato, nel 1947, da Papa Pio XII, Cavaliere dell’Ordine Pontificio di S. Silvestro Papa. Oltre alla ricerca, alla particolare attenzione per il malato, un’altra caratteristica lo contraddistingue: l’amore per i giovani che “sono il nostro futuro, la nostra speranza di nuove scoperte”. All’educazione dei giovani si dedica con grande passione, curando scrupolosamente e con metodo la formazione degli allievi. La didattica ha un ruolo preponderante durante tutta la sua carriera universitaria; grazie alla capacità di comunicazione, all’importanza e novità degli argomenti proposti, le sue lezioni suscitano l’interesse non solo degli studenti, degli specializzandi, degli allievi già strutturati, ma anche di cultori di altre discipline. Con le parole del suo commento, Educazione come relazione, alla Lettera Pastorale del Cardinale Carlo Maria Martini Dio educa il suo popolo: “Educare è sostanzialmente un rapporto, una relazione tra un Io e un altro o degli altri. La natura di questo rapporto è attiva, sia da parte dell’educatore, sia da parte dell’educando: si educa donando e ricevendo. Il rapporto educativo deve essere simmetrico e non direttivo, non deve essere asettico, anedonico, senza colore, non deve essere enfatico, arrogante, pretenzioso, impositivo. Si deve apparire attendibili, di conseguenza avere rispetto del proprio compito e del compito altrui cioè presentarsi con contenuti, concetti, programmi precisi e ben delineati. Bisogna esprimersi in modo chiaro, evitare parole oscure che, non di rado, nascondono la nostra insicurezza. Bisogna costituirsi come figura valida perché i giovani hanno bisogno e richiedono, con dichiarazioni più o meno esplicite, figure valide, occorre cioè porsi come interlocutore esperto, punto di riferimento attendibile che infonda sicurezza e non tradisca la fiducia. Si devono mantenere le porte aperte alla richiesta di verità, senza che la verità sia proiettata precipitosamente, incautamente nello spazio relazionale; i giovani non vogliono sentire troppo presto la verità: occorre prepararli e non precipitarli verso la verità. Si deve inoltre suscitare affettività: è questa che stringe il rapporto e che sostanzialmente muove tutte le nostre attività. La poca affettività allontana gli interlocutori e rende anche meno efficace la trasmissione e il contenuto del messaggio. L’attività educativa deve dare fuoco. Il discente avverte immediatamente se non c’è fuoco in colui che si muove verso l’edu-cando, nei termini del Cardinale Martini si deve “educare con il cuore”. Solo se si crede che “educare è bello”, cioè che è un’arte gioiosa, l’educare ha senso. E’ bello anche perché è sempre differente, dà nuove emozioni, sollecita nuovi stimoli. Infine è necessario essere consapevoli, specie nell’Università, dell’inesorabilità educativa. E’ un messaggio che ci richiama costantemente a questo compito che è un nostro privilegio, ma che non consente assolutamente nessuna defezione” (in AA.VV., Frammenti di Psichiatria, 2012). Anna Cazzullo