Iletitno. 062rzo di usatati-ta di Pitvemo.

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Iletitno. 062rzo di usatati-ta di Pitvemo.
Iletitno. 062rzo di usatati-ta di Pitvemo.
All'ingresso della sua stanza di lavoro c'era un insegna: « Polizze
e rischi » diceva e dentro: « trrr, trrr, pronto » trillava il telefono. « Il
Signor Piperno prego ». « Si pronto, il Signor Piperno è in vacanza »
rispondeva una voce.
Prima di decidersi a lasciare la città Piperno aveva lottato contro
un opprimente senso di sgomento causatogli dal pensiero di quel distacco, gli era sembrato di sentire in quell'atto nuovo per lui, un significato diverso da quello di una semplice separazione provvisoria
dal consueto mondo delle sue abitudini. Lo aveva turbato un senso
come di colpa verso la vita che si trascinava dietro pazientemente da
sempre.
Quella mattina intanto nella camera d'albergo della riviera dove
aveva vissunto quasi l'intero periodo delle sue ferie, levatosi presto
s'era messo nudo alla finestra a godersi il brivido che l'aria fresca gli
metteva sulla pelle, lasciando correre lo sguardo sul chiaro azzurro
del mare.
Ventinove giorni dopo la sua prima assenza dall'Ufficio « Polizze
e rischi » lì c'era un Piperno diverso da quello di prima, nuovo in
confronto al precedente.
Un Piperno Piperno, forse per la prima volta, curioso ed impensierito davanti a un mondo che non aveva mai guardato attentamente
prima ed ora osservava ricavandone sentimenti diversi e contrastanti.
Era avvenuto in lui giorno per giorno in quel mese, un profondo,
rapido mutamento, ed i suoi pensieri prima seppelliti nel pesante ingombro dell'in.spiegato, liberandosi ,da una certa specie di gravidanza,
costantemente immatura, che a volte le creature portano in se per
una intera esistenza, avevano acquistato autonomia e coscienza.
Stava ora scadendo il termine della sua fuga ed egli si apprestò
a vivere quell'ultimo giorno di vacanza. Staccatosi dalla finestra il
suo primo atto fu quello di togliere l'orologio dal cassetto dove lo
aveva riposto; per strapparsi del tutto all'astrazione nella quale era
immerso, guardò le ore mettendo il quadrante controluce concentrandosi sui piccoli segni del tempo scorrente. La piccola macchina pulsante dalle lancette dorate gli parve indicasse più cose di quanto sembrava in un primo momento e tutte dentro un itinerario preciso., aderente nei minimi particolari, con manifesta avversità ad arbitri ed
evasioni.
« Tic, tac » batteva come di consueto eppure lui ascoltando sentiva
dell'altro. « Tic, tac, il sole si è levato » diceva « corre verso lo zenit,
verso il tramonto e la notte ». « Tic, tac, minuti, ore, giorni, mesi, anni,
il viaggio non ha pause, prosegue; scenda chi è arrivato ».
Scottava tenendolo troppo in mano sospeso fra i pensieri, l'orologio; per un attimo lo sfiorò perfino. il desiderio di lanciarlo dalla finestra in mare dicendogli: « Tò va a mostrare l'ora ai pesci » con la
fuggevole sensazione di liberarsi con quel gesto di tutto ciò che quella
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presenza gli arrecava; ma subito tornò a considerare l'oggetto per
quello che realmente era: una piccola macchina innocua inventata
da uomini seri, gravi; un prodigio fra i tanti per aggrapparsi alla vita,
un nesso per coesistere. Poi solo l'orologio? e tutto il resto?
Girò nella camera per qualche tempo nudo e senza peccato come
Adamo prima della divina indignazione e pur sentendo dentro e fuori
di sé, come centro e limite dell'amara rivolta maturatagli nei trenta
trentesimi di ferie, incombere il vuoto, non ebbe alcuno dei rigurgiti
di pietà che altre volte si era elargito. Lo attrassero invece con potere
quasi esilarante le umili sue asimmetrie vive, nel loro carico di mortificazione di una evidenza mai colta prima.
Si sentiva dentro quel suo corpo sgraziato un curioso e mobile
monumento mosso da forze ignote; trovava un fenomeno curioso e
ridicolo, quel poter reggere su due piedi nocchieruti un busto traboccante maculato di pelame.
Ritornato alla finestra per dissipare tanta fastidiosa invadenza *clí
se medesimo e reagire contro gli innumerevoli incanti diffusi dovunque, provò ad immaginare la sua nudità inceleste trasferita su nel
cielo, verso l'orizzonte, da dove veniva la brezza carezzevole increspando il mare: Lui, Piperno così com'era, a galla nell'incorporeo,
sullo sfondo dell'infinito. E sorrise all'idea della comparsa di simile
stella nel quadro ,di tanta bellezza; sorrise delle sue natiche rotonde,
della pancetta bassa e gonfia, del cranio di un pallore giallognolo cui
facevano corona radi ispidi capelli.
Rinsavito dalla verecondia delle sue forme proiettate su simile
schermo, capaci di incenerire entro un vastissimo raggio qualunque
tentativo di languore, restò a indugiare sul pittoresco di una morte e
tramutazione che si compisse con l'ascensione dei corpi. A tale punto
concepì il vagare nella volta profonda del cielo ad altitudini diverse
di grossi grappoli di palloni colorati da cui pendevano appesi per la
vita in perfetta ed inalterabile posizione orizzontale, cadaveri. Uomini
e donne ex vivi, corti, lunghi, magri e tondi, in cullati abbandoni muovevano in ogni senso decorando di notevoli effetti lo spazio, lentamente avviati verso invisibili mete di graduale idisintegrazione; mentre altri, sempre e definitivamente iperturbabili, sollevati dagli involucri variopinti con riti gioiosi abbandonavano la terra. Fra costoro
Piperno prese a scegliersi posto e itinerario fissando idealmente il suo
funerale, il tono delle esequie, il luogo di partenza.
Quando riuscì di nuovo a staccarsi dalla finestra cominciò finalmente a vestirsi, di umore quasi lieto sembrandogli, la sua di quel momento, una buona disposizione per compiere senza eccessive esitazioni il taglio netto che progettava con il passato e l'avvenire impossibili.
« Tutto cessa con la morte » gli andava ' dicendo confortevole una intima voce « basta recidere perchè ogni dilemma, ogni fatto sgradevole,
ogni dolore, non si compia o cessi ». « Quale importanza può avere
del resto il sopravvivere qualche anno di più o di meno di entità che
il tempo moltiplica ed estingue a miliardi...? » E quale altra libertà
all'infuori della scelta del luogo, del momento e del modo di finirla...? » « Scomparire a proprio piacimento, ecco l'unica vera libertà! e
bisogna decidersi anche se è tanto difficile ».
Andò allo specchio a radersi constatando che faceva sempre più
fatica a vederci: l'iride castana dei suoi occhi riflessa dal cristallo, gli
fece l'impressione di un lago immobile, dentro uno spento cratere fra
tanta solitudine di rive e senti ira davanti a quel suo sguardo smorto,
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senza fondo. Perchè doveva essere così? che gli era successo' sin quei
soli trenta giorni di, vita veramente sua? quanto gli si era rivelato?
Possibile tanto? Eppure...
— Palpandosi le guance durante la rasatura, sentiva sotto le mascelle come era fatto in sostanza il suo volto e cosa sarebbe durato più
a lungo quando la morte avesse cominciato lo spogliarello della carne
fragile riducendolo all'essenziale, come solo Lei sa fare delle cose
diventate sue.
«Si incomincia con un piccolo grazioso corpo che irradia dolcezza e calore...» commentò il suo spirito esulcerato.
Scomparsa la barba si .prodigò schiaffetti sulla pelle per ravvivarne l'estremo pallore, inutilmente; completò quindi l'abbigliamento con
assorta lentezza che pettinandosi divenne cautela a causa del pettine
pronto ad impuntarsi dolorosamente sulla pelle del cranio alla più
piccola disattenzione; alla fine uscì.
Fuori, viali, strade, ogni luogo appariva animato da un ritmo vivo
e carnale di vita, negli esseri gesti e movenze sembravano nascere da
un istinto sicuro, infallibile, felice, proprio come se ciascuno arbitro
assoluto dei suoi atti, perfezionasse il proprio stato di grazia nel compierli.
Come tutto era diverso da quanto accadeva nella sua grande Città
dove strade, simili a nastri rotanti fermi solo poche ore della notte,
riprendevano il moto alle prime luci del giorno ricongiungendo creature e macchine, secondo un ordine sempre più celere dell'esistenza
ed un legame infrangibile. Uomini e cose li, sembravano procedere
saldati fra loro come gli anelli di una catena motoria: e che catena!,!
Quanto alle pause, solo quel tanto che bastasse a rifarsi un minimo
di energie e cibo, e svago, pane e morale, sempre sullo stesso filo conduttore, inesorabile.
« Tutto un sopruso » concludeva Piperno pensoso ed inappagato
dalla storiella del peccato criginale, rimuginando malevolmente su Adamo ed Eva progenitori incontinenti, trovandosi in fine allo stato di
uguale disperazione.
Proseguendo la passeggiata notava tutto intorno l'esuberanza dei
suoi simili, e nella stessa natura clemente, appagata, trabocchevolmente dolciastra, un invito a godimenti sicuri anche se per lui ancora nella maggior parte ignoti. Coglieva quel ritmo di vita disteso, sensuale,
che trapelava dalle creature; c'era nell'aria stessa su quelle rive incantate un assunto impegno di vivere.
« Assunto con chi? » provava a chiedersi Piperno sentendosi
del tutto libero e disimpegnato di una libertà che aveva teso le
sue propaggini nell'al di là. Non trovando risposta finiva col sentirsi del tutto estraneo alla corrente che percorreva palpitante quel
regno, come uno dal sangue di colore diverso da quello degli altri, non
rosso e bruciante, ma freddo e pallido. Uno un po' sfasato e uno po'
inetto, un falso uomo fra uomini veri e temeva che la gente se ne
accorgesse fermandosi ed incominciando ad additarselo gridandogli
senza pietà sulla faccia: Si vergogni larva, cadavere, spettro; se ne
vada. Vattene!
« Si si, vado » interveniva la voce della sua coscienza sdegnata e
solidale come se si trattasse di accuse vere « però senza sopraffazioni,
a modo mio, almeno questo! ».
Il viale splendido, tutto rivestito di verde che percorreva era particolarmente adatto, a passeggiare meditando; rade chiazze di sole atS9
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tenuavano l'ombra fitta sotto gli alberi e sulla ghiaia i disegni nitidi
del fogliame si mnovevano leggermente. Piperno ci prOyava gusto ad
andarsene indisturbato senza alcun bisogno particolare, gli bastava il
guardare ogni tanto le grandi acacie dallo spesso fogliame che filtrava
l'aria, lasciando qua e la trasparire qualche raggio di sole diritto come
una spada.
Quando raggiunse uno spiazzo occupato dai tavolini di un bar
sedette e ordinò il caffè ad un cameriere di mezza età, che aveva il
volto prematuramente avvizzito come il suo. Buono gli sembrò il sapore del caffè amaro attenuato dallo zucchero, superlativamente buono gustato in quell'attimo quasi fuori del tempo mortale, davanti alla
lavagna pulita del cielo su cui volavano rondini, intrecciando giochi
di ingenua soavità. Bevve lentamente poi si immerse nel nulla.
Ma non si può stare a lungo fermi davanti ad una tazza vuota con
gli occhi fissi avanti in un immobilità di morte; egli sapeva che facendolo avrebbe destato sospetti e allarme e, insistendo, sarebbe
accorsa gente che prima cauta, poi ardita si sarebbe messa a fare domande col pericolo, non ridestandosi in tempo, che arrivassero poliziotti e infermieri. La gente al mondo si interessa molto dei morenti o di quelli creduti tali; non bisogna dunque restare
da vivi, immobili. Immobili devono restare solo i morti e lui, ancora
non lo era, perciò levatosi, si inoltrò verso l'interno della città, voltandosi di tanto in tanto a guardare dietro di sé i luoghi percorsi, come
per fissarli bene nella sua memoria prima di un definitivo distacco.
Davanti a una chiesa, che reggeva il confronto imperterrita fra
due moderne costruzioni verticali di grossolano decoro, si fermò ad
osservare oltre il cancello d'ingresso arrugginito, i fregi mirabili dell'architettura, ombrati dalla patina scura dei secoli. Il portale chiuso,
cosparso di grossi chiodi distribuiti in disegni simbolici, richiamò in
lui, come altri segni intravisti alcune volte nelle chiese, l'immagine di
Cristo.
Si trovò a chiedersi se quei chiodi tanto rozzi e pesanti, sformati
alla fucina e resi, a colpi di martello sull'incudine crudelmente taglienti, rassomigliassero per forma e per fattura a quelli che lo avevano crocifisso. Un brivido freddo gli invase il cuore a quel richiamo
di carne trafitta di tendini preziosi straziati. « Quale abisso è la vita
se gli uomini possono arrivare a crocifiggere chi viene in nome di
Dio, portandone segni tanto manifesti »? esalò la voce disperata dalla
sua anima vinta e per un attimo sentì incombere su di se un vortice
di smarrimento che minacciò di farlo crollare annientato ai piedi del
cancello. Passatogli lo stordimento proseguì con i tratti del volto irrigiditi e i segni della sofferenza scavati sulla fronte. Arrivato ad una
farmacia entrò e toltasi dal portafoglio una ricetta per una medicina
che lo aiutasse a dormire, ritirò le sue pillole per il sonno che, questa
voìta desiderava, più lungo e copioso del solito. Poi rientrò in albergo,
raggiunse la camera che occupava e si gettò sul letto, rimanendovi
ad occhi chiusi per qualche tempo senza riuscire a sedare l'orgasmo.
Idee confuse lo assalivano senza interruzione creando un groviglio
penoso per liberarsi del quale, cercò di proseguire mentalmente il
cammino interrotto dalla stanchezza.
mandò alla via che conduceva fuori dalla città, tante volte in
quel mese percorsa, rivide la scogliera a bastione del pianoro erboso,
il sentiero che gli era solito nel bosco di ulivi con i grossi ramarri che
quasi sempre al suo passaggio, attraversavano da margine a margine.
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Di sé intuì un andare di passi senza impronte: ombra inafferrabile per
chiunque avesse voluto trattenerlo, riprenderlo, imprigionarlo, ferirlo.
In quella sua divagazione per un momento percepì la gioia di poter
sfuggire da vivo le leggi inesorabili della materia, di sentirsi fuori dal
destino, invulnerabile.
Ad un ponte spesse volte varcato dove le rotaie nere correvano
verso il nord profondamente incassate nella roccia, gli tornò il pensiero della Città dov'era atteso. Il tavolo da lavoro, le carte, i visi indifferenti, le voci solite, le angustie gravi e minute. Tutte le cose che lo
tenevano inchiodato come un infisso al palazzo delle assicurazioni, a
quell'esistere e gli venne un impeto di odio verso la fedeltà canina
con la quale per anni in ufficio, a casa, dovunque, aveva aggravato per
sempre la sua schiavitù.
« Ora basta! » gridò a quel punto la voce che gli era andata crescendo dentro in tutti quei giorni, « finita la piccola vacanza incomincia la grande, vera vacanza di Piperno, consacrata dai libri dell'anagrafe, dagli schedari, dal cartellino solito e definitivo: Piperno finito;
estinto, archiviato... a piacimento!
Quando riaprì gli occhi lo esasperava un violento bisogno di sonno profondo, pesante, che gli scendesse sul cervello spegnendone la
luce turbolenta. Dalla finestra aperta si vedevano sul cielo estinguersi
le ultime tinte del tramonto in una scia di bellezza già estranea al
cuore di Piperno egli quindi si sporse a prendere la boccetta dei sonnifero ne rovesciò l'intero contenuto nel cavo della mano inghiottendolo, con l'aiuto di alcuni sorsi d'acqua poi chiuse la finestra, si levò
le scarpe e si accomodò umilmente sotto il lenzuolo, in attesa degli
angeli del lungo sonno.
« Trrr, trrr, trrr Pronto il sig. Piperno prego ».
« Si si pronto: Il sig. Piperno prosegue la vacanza ». Fu l'ultimo
suo pensiero, le ultime parole che gli vennero in mente mentre un
sorriso salito da luoghi reconditi si fissava sulle sue labbra già esangui.
D. ASCALONE
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