L`OSSERVATORE ROMANO
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L`OSSERVATORE ROMANO
Spedizione in abbonamento postale Roma, conto corrente postale n. 649004 Copia € 1,00 Copia arretrata € 2,00 L’OSSERVATORE ROMANO POLITICO RELIGIOSO GIORNALE QUOTIDIANO Non praevalebunt Unicuique suum Anno CLVI n. 240 (47.375) Città del Vaticano mercoledì 19 ottobre 2016 . L’offensiva per riconquistare la roccaforte irachena dell’Is Tra due assemblee sinodali Preoccupazione per i civili intrappolati a Mosul I giovani ci stanno a cuore di GUALTIERO BASSETTI BAGHDAD, 18. L’avanguardia delle forze curdo-irachene sostenute dagli Stati Uniti si trova ad appena 15 chilometri a est di Mosul, ma si preannuncia lunga e piena di insidie l’offensiva contro la roccaforte del cosiddetto stato islamico (Is) nel nord dell’Iraq. La campagna militare è cominciata ieri e vi partecipano circa 30.000 uomini di diversi eserciti e milizie anche rivali fra loro. Dal Pentagono ribadiscono, come già detto nei giorni scorsi, che in Il timore maggiore è per la sorte dei civili che rimangono nella città conquistata dall’Is nel giugno del 2014. L’Onu teme che «migliaia di persone potrebbero ritrovarsi sotto l’assedio» delle truppe governative o diventare «scudi umani» nelle mani dei jihadisti. Il rappresentante per gli affari umanitari delle Nazioni Unite, Stephen O’Brien, ha fatto appello «a tutte le parti perché rispettino i loro obblighi di proteggere i civili in base alla legge umanitaria Iraq ci sono circa 5000 militari statunitensi, una parte dei quali alla periferia della città irachena. Ma gli Stati Uniti non stanno guidando l’offensiva a Mosul: lo ha sottolineato Josh Earnest, portavoce della Casa Bianca, sostenendo che i militari americani presenti nella zona non hanno responsabilità nella guida delle operazioni ma forniscono «consigli e assistenza», anche se sono equipaggiati per combattere. Annunciata da Mosca una pausa delle operazioni militari ad Aleppo Otto ore senza bombe y(7HA3J1*QSSKKM( +]!#!"!#!}! Volontari tra le rovine nella zona nord di Aleppo (Afp) DAMASCO, 18. Si apre uno spiraglio di speranza nella tragica situazione di Aleppo. Il ministro della difesa russo, Serghiei Shoigu, ha infatti annunciato, nel corso di una riunione dello stato maggiore, l’interruzione dei raid aerei siriani e russi a partire dalle 10 di oggi e per le successive otto ore. Il ministro ha aggiunto che, con l’inizio della pausa umanitaria nei bombardamenti, le truppe siriane sul terreno si ritireranno a buona distanza per permettere ai miliziani di lasciare la parte orientale della martoriata città attraverso due corridoi e che l’iniziativa deve anche consentire ai negoziatori di Losanna di distinguere tra ribelli e terroristi. Tuttavia la tregua annunciata dal governo russo non è sufficiente, secondo le Nazioni Unite, per garantire la consegna degli aiuti umanitari. Lo ha dichiarato Stéphane Dujarric, portavoce del segretario generale dell’Onu. «Diamo il benvenuto — ha detto — a qualunque pausa nei combattimenti, ma è necessaria una pausa maggiore per poter portare gli aiuti». Dello stesso avviso l’alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune dell’Ue, Federica Mogherini, secondo la quale la tregua è un primo «passo positivo, un inizio» per consentire l’evacuazione dei civili e dei feriti, ma «non è sufficiente per risolvere la crisi umanitaria ad Aleppo». Mogherini è intervenuta dopo che i 28 ministri degli esteri avevano denunciato come l’azione di Damasco e Mosca su Aleppo potesse configurarsi come «un possibile crimine di guerra». «Secondo le ultime valutazioni delle agenzie umanitarie — ha aggiunto — serve almeno una tregua di 12 ore, per cui dobbiamo lavorare con i russi per trovare un punto d’intesa comune». Comunque dalla riunione ministeriale svoltasi a Lussemburgo — cui ha partecipato anche l’inviato speciale dell’Onu per la Siria, Staffan de Mistura — è stata esclusa la possibilità di nuove sanzioni a Mosca per i raid su Aleppo. Una possibilità che, secondo il ministro degli esteri italiano, Paolo Gentiloni, è stata evocata «solo per definirla come non realistica e non attuabile», anche da parte dei paesi che sarebbero teoricamente favorevoli. «Non pensiamo che le sanzioni siano strumenti che possano aiutare la gente di Aleppo» perché hanno la loro efficacia «in anni, non in settimane», ha tenuto a precisare il capo della Farnesina. internazionale». Per ospitare gli sfollati in fuga dalla città sono stati già allestiti dei campi a sud e a sud-est, che possono però accogliere non più di 100.000 persone. Altri agglomerati, che potrebbero ospitare fino a 400.000 sfollati, sono in costruzione a nord e a est della città. La notizia dell’offensiva lanciata prima in Siria e ora in Iraq contro le roccaforti dell’Is «porta a tutti un respiro di speranza: una speranza che sarà probabilmente dolorosa, perché porterà altre vittime. Soprattutto, quello che temiamo è che ci possano essere innocenti usati in queste circostanze come se fossero degli scudi contro i nemici», è quanto ha affermato ieri a Radio Vaticana il cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese orientali. «Speriamo — ha aggiunto il porporato — che questa offensiva risulti veramente portata avanti con il minor danno possibile per le persone, per i bambini soprattutto e per tutti quelli che soffrono ancora moltissimo». Anche l’Unicef ha lanciato un gravissimo allarme per la situazione dei bambini a Mosul, e ha esortato tutte le parti coinvolte nel conflitto a proteggerli e a rispettare il diritto umanitario internazionale, in modo che i piccoli e le loro famiglie possano superare sani e salvi questo intenso periodo di violenza. Il generale statunitense, Stephen Townsend, comandante della coalizione internazionale anti-Is, ha affermato che la campagna per riconquistare Mosul «potrebbe durare settimane, e forse di più». Anche se l’avanguardia curdo-irachena, sostenuta dalla coalizione, è giunta ad appena 15 chilometri dalla città, una volta in periferia gli uomini dovranno incunearsi strada per strada, in un agglomerato urbano che da più di due anni si prepara a una logorante battaglia. I governativi sono avanzati ieri dalla base di Qayyara (60 chilometri a sud di Mosul) verso i villaggi a sud-est della città. Per il segretario alla difesa statunitense, Ash Carter, è «un momento decisivo» nella campagna per sconfiggere l’Is. Dal canto suo, il presidente della regione del Kurdistan iracheno, Massud Barzani, ha annunciato la «conquista di 200 chilometri di territorio». u una parete della nostra scuola c’è scritto grande I care. È il motto intraducibile dei giovani americani migliori. “Me ne importa, mi sta a cuore”». Queste celebri parole, scritte nel 1965 da un ormai malato Don Lorenzo Milani — e contenute in una memoria difensiva ricordata come Lettera ai giudici — sono ancora oggi attualissime. Queste due semplici parole, I care, non rappresentano, infatti, solo il punto d’incontro tra le esigenze dell’allievo e quelle del maestro in una scuola dell’Italia degli anni Sessanta, ma si configurano anche, in una visione più vasta, come il momento di raccordo tra il mondo dei giovani e quello degli adulti e, in definitiva, tra le necessità delle famiglie di oggi e le istanze individualistiche di una società sempre più secolarizzata. In altre parole, quelle parole esprimono quello stesso amore e quella identica cura pastorale verso le giovani generazioni che scaturisce dall’annuncio del prossimo Sinodo dei vescovi che avrà come tema «I giovani, la fede e il discernimento vocazionale». Si tratta, indubbiamente, di un appuntamento di eccezionale importanza per almeno due motivi. In primo luogo, perché questo nuovo sinodo, è bene ribadirlo con chiarezza, non è certo il frutto di una estemporanea moda ecclesiale ma è il prodotto autentico di un modo di essere Chiesa che proviene direttamente dal concilio Vaticano II. In secondo luogo, perché ci troviamo di fronte ad un drammatico paradosso del nostro tempo: la sconcertante superficialità con cui si parla dei giovani. Viviamo, infatti, in un mondo totalmente pervaso da immagini stereotipate di giovani bellissimi e fortissimi che con i loro corpi e i loro sguardi occupano le copertine patinate di molti giornali e le fotografie di molte pubblicità. Tutto il discorso pubblico, inoltre, è caratterizzato da una retorica giovanilistica, soprattutto in politica, in cui molti dicono di spendersi per le giovani generazioni e ripetono a memoria dei ritornelli, più o meno credibili, in cui si è soliti assicurare che «il futuro è dei giovani» o che «dobbiamo pensare al futuro dei nostri figli». «S Eppure, molto spesso si ha la sensazione di ascoltare un copione recitato a soggetto, senza anima e cuore. Ed è qui, a mio avviso, che si colloca la centralità del prossimo sinodo. Di fronte all’effimera leggerezza con cui ci si riferisce alle giovani generazioni, si staglia la preoccupazione sapiente di una Chiesa che è un’autentica madre dei suoi figli. E allo stesso tempo ritornano le parole di don Milani: questi giovani ci stanno a cuore. La gioventù, infatti, è lo snodo più importante della vita di ogni persona. È il momento in cui gli uomini e le donne si trovano a compiere le scelte più importanti della loro esistenza ma è anche il momento in cui la vita, come ammoniva sant’Agostino, «è scossa da frequenti e forti tempeste di tentazioni» ed è spesso «sopraffatta dai flutti del mondo che l’assalgono impetuosamente». La gioventù è dunque il periodo della passione, della forza fisica e della speranza, ed è anche il periodo della fragilità emotiva e caratteriale, dove è facilissimo perdersi nella babele di offerte di senso che provengono da ogni angolo del mondo. «Tutto gira intorno a te» diceva una famosa pubblicità di qualche anno fa. Questa è la sirena seducente dei tempi odierni. Oggi, infine, i giovani sono sempre più spesso i nuovi poveri. Una povertà esistenziale — caratterizzata da «bambini orfani di genitori vivi» e da «giovani disorientati e senza regole» come ha scritto Francesco nell’Amoris laetitia — e una povertà sociale che significa convivere con una precarietà economica umiliante che, nel caso delle donne, si accompagna da un odioso ricatto: scegliere tra una maternità desiderata e un lavoro necessario. L’unica risposta a questa duplice povertà è la risposta della fede in Cristo. Di una fede che, come scriveva nel 1957 don Milani, non «sia qualcosa di artificiale aggiunto alla vita» ma sia invece un «modo di vivere e di pensare». Giovanni Paolo II e l’Europa Libertà religiosa e libertà civili GIORGIO NAPOLITANO A PAGINA 5 Sei milioni di bambini perdono la vita ogni anno Muoiono per malattie curabili LONDRA, 18. Ogni anno sei milioni di bambini muoiono per malattie che sarebbero curabili. E 60 milioni non vanno a scuola. Sono alcuni dei dati denunciati da Save the Children, che sottolinea però che anche se la situazione resta drammatica, bisogna riconoscere come nell’arco di una generazione siano stati raggiunti traguardi importanti nella lotta alla mortalità infantile e nell’accesso all’istruzione. Dal 1990 il numero di bambini sotto i cinque anni che muoiono per cause prevenibili e curabili è dimezzato e dal 2000 la percentuale di bambini che non vanno a scuola è sceso del 42 per cento. Ma sono ancora troppi i bambini nel mondo che rimangono esclusi da questi progressi. «Sono bambini senza un domani», afferma l’organizzazione che ha lanciato ieri la campagna globale per salvare e dare un futuro a tutti i minori. L’organizzazione ha ricordato che quasi sei milioni di bambini sotto i cinque anni muoiono per malattie facilmente prevenibili o curabili. Inoltre, ci sono 60 milioni di minori tra i 6 e gli 11 anni che non vanno a scuola. E di questi 58 milioni sono nei paesi più poveri. Ci sono poi altre situazioni inaccettabili, come i 400 milioni di bambini sotto i 13 anni che vivono discriminati a causa della loro religione, etnia, genere. Due terzi delle famiglie in povertà che hanno difficol- tà ad accedere ai servizi di salute, al cibo e all’educazione fanno parte di una minoranza etnica. Povertà e divario sociale, con i fenomeni ad essi collegati, sono problematiche che non riguardano sol- Bambini in un campo profughi nella capitale nigeriana Abuja (Reuters) tanto paesi poveri. Molti dei paesi che hanno vissuto una forte crescita economica negli ultimi anni non hanno saputo tradurre questo progresso in condizioni di vita migliori per i bambini e in molti casi le disparità si sono addirittura acuite. Come in Nigeria, dove nonostante il reddito pro-capite sia quintuplicato negli ultimi anni, i bambini affrontano crescenti disuguaglianze per quanto riguarda l’accesso alla salute e all’educazione. Nei paesi ad alto reddito la crescita economica ha permesso un generale miglioramento dei livelli di benessere, tuttavia nei paesi dell’Unione europea circa il 27 per cento dei minori è a rischio di povertà e di esclusione sociale. All’origine delle accresciute disuguaglianze ci sono anche i numerosi conflitti in corso, che hanno generato un numero di rifugiati senza precedenti e la conseguente crisi migratoria. Oggi sono più di 145 milioni i bambini rifugiati nel mondo; solo uno su due di loro frequenta la scuola primaria e il tasso scende a uno su quattro per la scuola secondaria. Il rappresentante dell’Unicef ha parlato di «bambini più vulnerabili perché invisibili e di- menticati: quelli che nascono e vivono in paesi in guerra». «La loro vita è una vera e propria corsa a ostacoli, scandita da sfide terribilmente gravose». NOSTRE INFORMAZIONI Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale della Diocesi di Gwalior (India), presentata da Sua Eccellenza Monsignor Joseph Kaithathara. Provvista di Chiesa Il Santo Padre ha nominato Vescovo della Diocesi di Gwalior (India) il Reverendo Padre Thomas Thennatt, S.A.C., Parroco e Presidente della Commissione Pastorale della Provincia. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 2 mercoledì 19 ottobre 2016 Soldati cinesi della missione dell’Onu nel Sud Sudan (Afp) Approvata la carta del mare Vertice straordinario dell’Unione africana LOMÉ, 18. È stata approvata e firmata dai capi di stato e di governo africani riuniti a Lomé, in Togo, per un vertice straordinario dell’Unione africana (Ua), la carta africana per la sicurezza, la salvaguardia e lo sviluppo del mare. Lo si apprende da una nota diffusa dalla stessa Unione africana, nella quale si precisa che il nuovo documento, vincolante per la sicurezza marittima, «intende rendere concreto l’impegno dell’Africa a una gestione efficiente ed effettiva dei propri oceani, mari e corsi d’acqua per assicurare così uno sfruttamento sostenibile, equo e benefico di risorse così critiche e delicate». L’assemblea ha poi chiesto agli stati membri di ratificare con urgenza e secondo le rispettive procedure la carta, così da potere dare inizio alla sua applicazione, «al fine — si legge nel documento — di garantire l'attuazione di politiche appropriate per promuovere la sicurezza in mare». Nel discorso inaugurale del summit, il capo dello stato del Ciad e presidente di turno dell’Unione africana, Idriss Deby Itno, ha dichiarato che la carta del mare rappresenta uno «straordinario strumento cooperativo che integrerà e completerà le cornici legali esistenti in ogni stato e che consentirà di facilitare ai paesi di operare in maniera congiunta nella gestione di tutte le strategie (dalla sicurezza al commercio) relative all’acqua». Anche il presidente del Togo, Faure Gnassingbé, ha sottolineato che la carta rappresenta uno strumento «in grado di facilitare il rafforzamento degli sforzi per combattere l’insicurezza marittima e promuovere il commercio, oltre a favo- rire lo sfruttamento sostenibile delle risorse marine». Il presidente del Kenya, Uhuru Kenyatta, ha rimarcato la possibilità, grazie al nuovo testo, di una azione coordinata tra i paesi del continente per combattere la pirateria e il traffico di droga e armi. E, soprattutto, fronteggiare con più risorse a disposizione il dilagante e ripugnante fenomeno del traffico di esseri umani sulla costa africana. «Questo è un importante atto politico da parte dell’Unione africana, perché la questione della sicurezza del continente è una priorità», ha invece detto il ministro della difesa francese, Jean-Yves le Drian, venuto a portare a Lomé il supporto del governo di Parigi ai suoi partner africani. Di sviluppo di un più ampio concetto di cosiddetta blue economy ha invece parlato il presidente della commissione dell’Ua, la sudafricana Nkosazana Dlamini Zuma, la quale ha poi ha assicurato che l’organismo panafricano avvierà consultazioni con tutti i soggetti interessati per completare gli aspetti di sviluppi legati alla blue economy. Ripresi i combattimenti tra governativi e forze d’opposizione Sud Sudan allo stremo JUBA, 18. Dopo un breve periodo di tregua, sono ripresi i violenti combattimenti in Sud Sudan tra governativi e forze d’opposizione. Il Sud Sudan è il paese più giovane al mondo, nato nel 2011 con un referendum che ne ha sancito la separazione dal Sudan. Le autorità militari di Juba hanno affermato che almeno 56 ribelli sono Intensificati i raid statunitensi su Sirte ADDIS ABEBA, 18. In Etiopia il governo ha ampliato le restrizioni inserite nello stato d’emergenza di sei mesi imposto dopo la strage di fedeli e oppositori di etnia oromi, avvenuta alcuni giorni fa durante una cerimonia religiosa. Tutte le comunicazioni attraverso i social media sono state messe al bando e anche i messaggi con cellulari sono stati vietati. Lo riferisce il sito di informazione AfricaNews. Il provvedimento — emesso dal ministro della difesa, Siraj Fergessa — segue il divieto di diffusione delle notizie fornite da due media indipendenti, l’Ethiopian satellite radio e television e l’Oromo media network, che hanno sede negli Stati Uniti. Inoltre, da oggi è vietato pubblicare e distribuire documenti e indire manifestazioni antigovernative. BRUXELLES, 18. Conto alla rovescia per lo sgombero della tendopoli a Calais. Secondo la stampa francese, l’evacuazione della cosiddetta «giungla» dei migranti, nel nord della Francia, dovrebbe cominciare all’alba del 24 ottobre. Con 150 pullman, nei primi due giorni dovrebbero essere evacuati da Calais già in 4000, cioè quasi due terzi dei 6500 rifugiati attualmente nel campo. Alcuni trafficanti di esseri umani propongono gli ultimi passaggi verso le coste inglesi: c’è chi ha tentato di attraversare la Manica in canotto. Restano alcune incognite sui centri di accoglienza e orientamento (Cao) allestiti ai quattro angoli del paese per accoglierli. E, in particolare, è delicata la situazione dei 1290 minori non accompagnati. Circa 500 di loro hanno parte della famiglia in Gran Bretagna. Si tratta di capire se anche altri, come i 14 trasferiti in questi giorni nel Regno Unito, saranno presi in carico da Londra. A proposito di minori non accompagnati, si aggiornano i dati relativi agli arrivi in Italia: da gennaio sono ormai oltre 20.000 i bambini non accompagnati o separati dai genitori giunti via mare sulle coste italiane. Sulle questioni delle migrazioni è intervenuta oggi l’alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza comune dell’Ue, Federica GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt Città del Vaticano [email protected] www.osservatoreromano.va GIOVANNI MARIA VIAN direttore responsabile Giuseppe Fiorentino vicedirettore Piero Di Domenicantonio POD GORICA, 18. Il Partito democratico dei socialisti (Dps, filo-occidentale), del primo ministro uscente Milo Đukanović, ha vinto le elezioni legislative di domenica scorsa in Montenegro. Lo ha confermato ieri sera la commissione elettorale del paese balcanico, precisando che Dps ha ottenuto il 40 per cento dei voti e 36 degli 81 seggi, lontano, però, dalla maggioranza assoluta. Al secondo posto si è piazzata la formazione filo-russa conservatrice Fronte democratico, con il 21 per cento (18 seggi), seguita dalla coali- Servizio vaticano: [email protected] Servizio internazionale: [email protected] Servizio culturale: [email protected] Servizio religioso: [email protected] caporedattore Gaetano Vallini segretario di redazione Mogherini. A proposito dei mancati ricollocamenti di richiedenti asilo in paesi europei, Mogherini ha ribadito che «le regole sono regole in tutti i differenti campi». E ha ricordato che nel caso dei ricollocamenti non si tratta solo di regole della commissione europea ma di «decisioni che gli stati membri hanno adottato nel consiglio dei capi di stato e di governo». Per questo, ha aggiunto che «serve coerenza». Migranti nella “giungla” di Calais (Afp) Ai socialisti filo-occidentali le legislative montenegrine Grujičić —sostenuto da una coalizione formata da una decina di partiti — ha ottenuto 4678 voti, mentre al sindaco uscente, il musulmano Ćamil Duraković, sono andate 3910 preferenze. Srebrenica si trova nella Republika Srpska, l’entità a maggioranza serba della Bosnia ed Erzegovina, e la sua popolazione è formata sia da serbi che da bosniaci musulmani, il cui numero, tuttavia, è fortemente calato rispetto al periodo precedente la sanguinosa guerra. L’OSSERVATORE ROMANO Giornata europea contro la tratta di esseri umani A Calais si prepara lo sgombero Un sindaco serbo a Srebrenica SARAJEVO, 18. Sarà il serbo Mladen Grujičić il nuovo sindaco di Srebrenica, la cittadina della Bosnia ed Erzegovina teatro l’11 luglio del 1995 della strage di oltre ottomila musulmani a opera delle forze serbo-bosniache, il peggiore eccidio in Europa dalla fine della seconda guerra mondiale. Il successo di Grujičić è stato confermato ieri sera dalla commissione elettorale di Sarajevo, che ha pubblicato i risultati definitivi delle elezioni amministrative dello scorso 2 ottobre. che per un breve periodo è stato anche vice del presidente, Salva Kiir, di avere dato l’ordine di attaccare una postazione militare. Attualmente Machar si troverebbe in Sud Africa per sottoporsi a cure mediche. D all’inizio della sanguinosa guerra civile tra Kiir e Machar, il Sud Sudan sta scivolando verso la catastrofe umanitaria. Secondo varie orga- Senza certezze sui minori non accompagnati TRIPOLI, 18. Gli Stati Uniti hanno aumentato i raid aerei di precisione contro postazioni del cosiddetto stato islamico (Is) nella città libica di Sirte negli ultimi giorni. Lo rendono noto le forze statunitensi precisando che in tre giorni «tra il 14 e il 16 ottobre sono state effettuate 36 operazioni che hanno colpito una novantina di obiettivi». La missione statunitense precisa che «dal primo agosto scorso, quando cioè sono iniziati i bombardamenti, a oggi, sono stati effettuati complessivamente 324 raid». E intanto Fayez Al Sarraj, premier designato del governo di accordo nazionale, è intervenuto ieri a Tripoli — dopo l’occupazione della sede del consiglio di stato da parte di Khalifa Ghweil, ex premier del governo di salvezza, e dei suoi miliziani islamisti — affermando: «non potrò mai tollerare chi mina la sicurezza e semina il caos». Al Sarraj ha poi lanciato un nuovo appello all’unità dei libici. Ma la situazione nella capitale libica rimane ancora confusa. Il ministro dell’interno Aref El Ghawaga ha aggiunto che i «poliziotti sono determinati a respingere con fermezza ogni tentativo che mini la sicurezza della patria e che terrorizzi i cittadini». Rafforzato lo stato d’emergenza in Etiopia stati uccisi negli ultimi due giorni in scontri vicino a Malakal, località nel nordest del paese africano. Lo riferiscono media locali, aggiungendo che «l’esercito avrebbe subito perdite minori». Secondo un portavoce militare, «molti combattenti ribelli uccisi sono ragazzi tra i 13 e i 18 anni». Le autorità sudsudanesi accusano l’ex leader ribelle, Riek Machar, nizzazioni internazionali, almeno quattro milioni di persone rischiano di morire di fame e malattie per mancanza di cibo. L’Unhcr stima che quasi un abitante su quattro del Sud Sudan risulta sfollato all’interno dei confini del giovane stato o nei paesi limitrofi, per un totale di oltre due milioni e mezzo di persone (su un totale di 11,3 milioni di abitanti). La grande maggioranza sono bambini. Inoltre, il numero di persone in situazione di insicurezza alimentare dovrebbe passare da 4,3 a 4,8 milioni. Nei nove mesi trascorsi dal cessate il fuoco, il numero di sfollati interni è aumentato di 100.000 unità e l’Unhcr ha registrato quasi 140.000 nuovi rifugiati. Il totale dei rifugiati sudanesi nei paesi limitrofi è di 860.000 persone. E la risposta umanitaria alla crisi è carente, a causa di finanziamenti insufficienti. L’Unhcr e i suoi 42 partner non governativi hanno infatti ricevuto appena il 17 per cento dei 573 milioni di dollari richiesti per i programmi di protezione dei rifugiati e l’assistenza ai civili in fuga. Servizio fotografico: telefono 06 698 84797, fax 06 698 84998 [email protected] www.photo.va zione moderata Kljuc (con il 10 per cento e 9 seggi). Nove deputati sono andati invece al partito centrista Demokrata e quattro ai socialdemocratici. Le minoranze croata, bosniaca e albanese sono approdate nel parlamento con un seggio a testa. Il primo ministro montenegrino — che da un quarto di secolo guida la piccola repubblica ex jugoslava — si è detto certo di riuscire a formare un governo di coalizione. Le elezioni legislative sono state contraddistinte dall’alta affluenza alle urne (il 73 per cento degli aventi diritto). Segreteria di redazione telefono 06 698 83461, 06 698 84442 fax 06 698 83675 [email protected] Tipografia Vaticana Editrice L’Osservatore Romano don Sergio Pellini S.D.B. direttore generale A detta degli analisti, i numeri dei voti conquistati dal Dps sarebbero sufficienti per indire il referendum per l’eventuale ingresso di Podgorica nella Nato. «Presto — ha infatti dichiarato Đukanović — il Montenegro entrerà a far parte della Nato e verrà intensificato il negoziato di adesione alla Ue, mentre in economia vi sarà una sicura crescita». Mosca si è detta contraria al referendum, mentre l’opposizione filo-russa montenegrina ha fatto sapere di non riconoscere l’esito delle elezioni, a causa di presunti brogli. Tariffe di abbonamento Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198 Europa: € 410; $ 605 Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665 America Nord, Oceania: € 500; $ 740 Abbonamenti e diffusione (dalle 8 alle 15.30): telefono 06 698 99480, 06 698 99483 fax 06 69885164, 06 698 82818, [email protected] [email protected] Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675 BRUXELLES, 18. Sono circa 2,5 milioni in Europa gli uomini, le donne e i bambini vittime della tratta. L’80 per cento dei casi è per sfruttamento sessuale e il recente flusso migratorio ha creato i presupposti per un aumento delle vittime. È quanto emerge dai dati resi noti oggi in occasione della giornata europea contro la tratta di esseri umani, giunta alla decima edizione. La tratta è una delle forme di schiavitù moderna più diffusa del ventunesimo secolo: umilia donne e uomini riducendoli alla stregua di vere e proprie merci, da cui trarre profitto. E nonostante i tre quarti dei casi di sfruttamento sessuale riguardi individui di genere femminile, alcuni stati hanno segnalato un aumento degli uomini tra le vittime, composte per il 15 per cento da minori. Lo sfruttamento per lavoro copre il 21 per cento dei casi ed emerge che le organizzazioni criminali sfruttano sempre meglio le lacune delle normative su visti e permessi. I primi cinque paesi dell’Ue in termini di cittadinanza delle vittime sono Romania, Bulgaria, Paesi Bassi, Ungheria e Polonia. Al di fuori dell’Europa, la maggior parte delle vittime proviene da Nigeria, Cina, Albania, Vietnam e Marocco. Putin a Berlino per discutere della crisi ucraina BERLINO, 18. Il presidente russo Vladimir Putin parteciperà al vertice sull’Ucraina dei leader dei paesi del formato Normandia (Ucraina, Russia, Francia e Germania) convocato per domani a Berlino dal cancelliere Angela Merkel. Sarà la prima volta dall’inizio della crisi ucraina che il leader russo visiterà ufficialmente Berlino. A Putin si uniranno il presidente francese Hollande e quello ucraino Poroshenko. Concessionaria di pubblicità Aziende promotrici della diffusione Il Sole 24 Ore S.p.A. System Comunicazione Pubblicitaria Ivan Ranza, direttore generale Sede legale Via Monte Rosa 91, 20149 Milano telefono 02 30221/3003, fax 02 30223214 [email protected] Intesa San Paolo Ospedale Pediatrico Bambino Gesù Società Cattolica di Assicurazione Credito Valtellinese L’OSSERVATORE ROMANO mercoledì 19 ottobre 2016 pagina 3 Il luogo della strage dell’8 ottobre scorso a Sana’a (Reuters) Bilaterale tra Putin e Modi a margine del Brics India e Russia rilanciano l’alleanza NEW YORK, 18. L’Onu ha annunciato l’entrata in vigore di un cessate il fuoco di 72 ore, prorogabili, in Yemen a partire da oggi, con la speranza di mettere fine a un conflitto che ha causato quasi 7000 morti e una pesantissima crisi umanitaria. La tregua comincerà questa notte alle 23.59 locali, ha indicato il mediatore dell’Onu per lo Yemen, Ismail Ould Cheikh Ahmed, che ha assicurato di aver ricevuto l’impegno di «tutte le parti» coinvolte nella guerra. Il presidente yemenita, Abd Rabbo Mansour Hadi, aveva in precedenza annunciato un cessate il fuoco di 72 ore prorogabile ma non aveva annunciato la data di inizio. L’annuncio del presidente Hadi giunge dopo che Stati Uniti, Gran Bretagna e l’inviato Onu per lo Yemen, Ismail Ould Cheikh Ahmed, domenica, in un incontro a Londra con i ministri degli esteri dell’Arabia Saudita e degli Emirati Arabi Uniti, avevano esortato le parti in guerra a porre fine alla guerra civile. Anche i ribelli huthi, attraverso il loro portavoce Muhammad Abdulsalam, si sono detti favorevoli, sottolineando che il cessate il fuoco è quello che «gli yemeniti chiedono». Abdulsalam ha comunque escluso una ripresa per il momento dei negoziati di pace con il governo. L’inviato speciale dell’Onu per lo Yemen ha presentato la tregua come «una ripresa della cessazione globale delle ostilità» che era stata instaurata il 10 aprile scorso, ma che non era stata rispettata; e ha fatto notare che questa nuova tregua «eviterà al popolo yemenita nuovi spargimenti di sangue e consentirà di ampliare la consegna degli aiuti umanitari». Da una parte c’è il presidente Hadi, riconosciuto dalla comunità internazionale e sostenuto da una coalizione guidata dall’Arabia Saudita che dal 26 marzo 2015 ha iniziato una campagna militare contro i ribelli huthi che nel settembre del 2014 hanno occupato la capitale Sana’a. D all’altra gli huthi che si appoggiano anche all’ex uomo forte dello Yemen, l’ex presidente fino al 2012 Ali Abdullah Saleh che è restato in carica per oltre 38 anni. Negli ultimi giorni la tensione aveva raggiunto livelli preoccupanti: batterie missilistiche huthi avevano aperto il fuoco contro il cacciatorpediniere americano Uss Mason, senza colpirlo; a distanza di poche ore gli Stati Uniti avevano per la prima volta risposto militarmente distruggen- Massima allerta attentati ad Ankara ANKARA, 18. Le autorità turche hanno imposto da oggi il divieto di svolgere incontri pubblici e manifestazioni nella capitale Ankara fino al 30 novembre a seguito di rapporti di intelligence che segnalano il rischio di nuovi attentati nella città. Il provvedimento, annunciato in una nota dall’ufficio del governatore di Ankara, arriva a quasi due mesi dall’inizio dell’operazione militare turca nel nord della Siria e dopo il recente annuncio di Baghdad dell’avvio dell’operazione per strappare il controllo di Mosul, nel nord dell’Iraq, ai jihadisti del cosiddetto stato islamico (Is). «Sulla base di informazioni di intelligence ricevute dal nostro governatorato è stato stabilito che i gruppi terroristici illegali puntano a eseguire attentati nella nostra provincia», si legge nella nota. Il timore delle autorità è che i militanti prendano di mira gli assembramenti di persone. Nell’ultimo periodo Ankara è stata colpita sia dall’Is che dai militanti curdi del Pkk. Questo mese due sospetti terroristi del Pkk, che preparavano un attentato, si sono fatti saltare in aria durante uno scontro a fuoco con la polizia. Un anno fa, invece, un attentatore dell’Is ha compiuto una strage alla stazione ferroviaria, uccidendo oltre 100 persone. NEW DELHI, 18. Il riavvicinamento tra Mosca e New Delhi è il risultato più vistoso dell’ottavo vertice dei giorni scorsi dei Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica), a Goa, in India. Difesa, energia e terrorismo sono stati i temi al centro del bilaterale russo-indiano tenutosi a margine del summit dei Brics, durante il quale il presidente russo, Vladimir Putin, e il primo ministro indiano, Narendra Modi, hanno rilanciato un’alleanza strategica che affonda le sue radici ai tempi della guerra fredda, quando New Delhi era il principale alleato militare dell’allora Unione sovietica. Numerosi gli accordi firmati nel settore della cooperazione economica, industriale e militare. Al riguardo, l’India acquisterà dalla Russia un avanzato sistema di difesa aerea a lungo raggio S-400 Triumf (per cinque miliardi di dollari). Batterie di S-400 — informano le agenzie di stampa internazionali — sono state installate dai russi in Siria e sono state acquistate dalla Cina lo scorso anno. Annunciato dall’Onu e accettato dai belligeranti Cessate il fuoco nello Yemen do con il lancio di cinque missili tre radar della postazione huthi. E, intanto, si fa sempre più critica la situazione umanitaria nel paese a causa di un conflitto che resta lontano dai riflettori dei media internazionali. I civili sono da mesi bloccati dietro le linee del fronte. Intensi bombardamenti e sanguinosi combattimenti rendono quasi impossibile l’invio di aiuti internazionali e la popolazione — tra le più povere al mondo — resta senza cure mediche, beni alimentari, carburante e acqua. Nelle ultime settimane, l’organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha reso noto di alcuni casi di colera nella capitale Sana’a. La popolazione civile paga dunque il prezzo più alto a causa della violenza che quotidianamente sconvolge lo Yemen e sono non meno di tre milioni le persone sfollate. Inoltre, il conflitto ha causato enormi devastazioni e ha danneggiato aeroporti, strade e altre infrastrutture di vitale importanza. Ecco perché la nuova tregua annunciata rappresenta una speranza per il futuro del paese. Per rafforzare la cooperazione In fuga dalle violenze migliaia di civili afghani Il presidente filippino a Pechino Decine di morti in attacchi talebani PECHINO, 18. Prima visita di stato oggi a Pechino del presidente delle Filippine, Rodrigo Duterte. Previsto un incontro con il presidente, Xi Jinping, e il primo ministro, Li Keqiang. Un portavoce del ministero degli Esteri cinese ha auspicato che la visita — di cruciale importanza per gli equilibri geopolitici dell’area — «contribuisca ad aumentare la fiducia reciproca, rafforzi la cooperazione tra i due paesi e approfondisca la tradizionale amicizia». Dal canto suo, Duterte ha descritto il suo viaggio in Cina (secondo partner commerciale delle Filippine) come «un punto di svolta nelle nostre storie». Secondo gli analisti, Pechino cercherà di approfittare della tre giorni di Duterte per attrarre nella sua sfera di influenza le Filippine, uno degli alleati chiave di Washington nel sud-est asiatico. L’asse tra Washington e Manila si è infatti incrinato nelle ultime settimane, dopo che Duterte ha rivolto pesanti insulti contro il presidente Barack Obama. Insulti che avevano portato alla cancellazione di un incontro tra i due a margine del vertice dell’Asean e indotto gli osservatori internazionali a supporre che il presidente filippino stesse meditando una rottura diplomatica con l’alleato storico. Altri esperti ritengono che Duterte non voglia comunque rompere le relazioni diplomatiche con Washington, ma che a Pechino sia più semplicemente alla ricerca di investimenti cinesi per finanziare dei progetti, tra cui un’ambiziosa rete di collegamenti ferroviari. Il presidente filippino cercherà anche di convincere la Cina ad autorizzare la pesca in un’area contesa nel Mar cinese meridionale. Di certo il riavvicinamento tra Filippine e Cina ha una portata non trascurabile, se si considerano le dispute territoriali nel Mar cinese meridionale che hanno contrapposto i due paesi negli ultimi anni. Una controversia sfociata, lo scorso 12 luglio, nella sentenza della Corte permanente di arbitrato dell’Aja, che ha giudicato infondate molte delle attività di Pechino per rivendicare sovranità territoriale sul 90 per cento del Mar cinese meridionale. A conferma del riavvicinamento, la settimana scorsa il presidente Duterte ha ordinato alla marina militare filippina di fermare i pattugliamenti congiunti con gli Stati Uniti nel Mar cinese meridionale per evitare — disse — «ogni azione da parte di Manila che possa essere considerata come un atto di ostilità contro Pechino». Forze di sicurezza afghane nella provincia di Herat (Afp) KABUL, 18. Le recenti offensive degli insorti talebani in Afghanistan, tra cui quella di Kunduz (nord), di Helmand (sud) e nella provincia di Farah hanno provocato decine di morti e di dispersi tra le forze regolari di Kabul e hanno costretto alla fuga migliaia di civili. Solo nell’attacco a Kunduz, la strategica città del nord al confine con il Tadjikistan, i talebani hanno costretto circa 59.000 civili ad ab- bandonare la città. D’altra parte le forze di Kabul faticano a fronteggiare le offensive dei talebani soprattutto dopo la decisione di ridurre gli effettivi della forza internazionale di assistenza all’Afghanistan a guida Nato. E oltre alla difficoltà di fronteggiare i talebani le forze afghane devono opporsi anche alle milizie del cosiddetto stato islamico (Is) che hanno aumentato la loro presenza nel paese. La Fao raccomanda una rapida trasformazione del settore agroalimentare Lotta alla fame e cambiamenti climatici Il direttore generale della Fao José Graziano da Silva (Ansa) Gli accordi prevedono anche la creazione di una joint venture per la costruzione di duecento elicotteri Ka-226T. A tal proposito, Modi ha dichiarato che tali accordi «gettano le fondamenta per legami ancora più profondi nella difesa e l’economia per gli anni a venire». Sul fronte energetico, i due leader hanno annunciato la firma di un accordo per la realizzazione di otto reattori atomici a Kudankulam, nel sud dell’India, con cui Modi intende limitare la dipendenza del paese dal carbone. Ampio rilievo è stato dato, poi, all’acquisizione del 98 per cento dell’indiana Essar Oil da parte del gigante petrolifero russo Rosneft, insieme all’olandese Trafigura group e al fondo d’investimento russo United capital Partners. Un’operazione del valore di circa 12,9 miliardi di dollari, che rappresenta la più grande acquisizione straniera in India e, al tempo stesso, la più costosa mai realizzata dalla Russia all’estero. India e Russia hanno, inoltre, reiterato il loro impegno nella comune lotta al terrorismo. «La richiesta della Russia di combattere il terrorismo internazionale rispecchia la nostra posizione. Entrambi abbiamo affermato la necessità di una tolleranza zero contro i terroristi e i loro sostenitori», ha affermato Modi durante l’incontro con Putin. Con questa serie di accordi di cooperazione, rilevano gli analisti, il Cremlino tenta da un lato di uscire dalla recessione economica e dall’altro di riposizionarsi in Asia, rafforzando i legami con New Delhi e Pechino. Dal canto suo, l’India, primo paese al mondo per importazione di armi, è intenzionata a modernizzare il suo apparato militare, di fronte alla crescente minaccia terroristica. I nuovi accordi siglati da Russia e India indicano, poi, che entrambe le nazioni lavorano a stretto contatto, nonostante le aperture occasionali del Cremlino al Pakistan. Poche settimane fa, infatti, la Russia ha condotto la prima esercitazione militare congiunta con il Pakistan, in un momento in cui le relazioni diplomatiche tra il Governo di Islamabad e l’amministrazione statunitense del presidente Obama non sono più solide come in passato. ROMA, 18. L’impegno di sradicare la fame e la povertà deve andare di pari passo con una rapida trasformazione del settore agroalimentare, per contrastare il cambiamento climatico. È il messaggio che l’agenzia dell’O nu per l’agricoltura e l’alimentazione (Fao) ha lanciato nel suo ultimo rapporto, pubblicato in occasione della giornata mondiale dell’alimentazione e presentato ieri a Roma. «Il cambiamento climatico minaccia tutte le dimensioni della sicurezza alimentare», ha affermato il direttore generale della Fao José Graziano da Silva, spiegando che «il cambiamento climatico esporrà i poveri delle città e delle campagne a prezzi del cibo più alti e volatili; colpirà anche la disponibilità del cibo, riducendo la produttività di raccolti, allevamenti di bestiame e di pesci, e danneggerà l’accesso al cibo, distrug- gendo i mezzi di sostentamento di milioni di agricoltori». Coltivazioni e allevamento generano un quinto dei gas serra globali e, dunque, si deve fare di più per ridurre il riscaldamento climatico e al tempo stesso per combattere gli effetti di questo riscaldamento. La Fao sostiene sistemi alternativi ed economicamente sostenibili: ad esempio, sementi resistenti al caldo e in grado di assorbire maggiormente i fertilizzanti azotati. E promuove anche strade per minori emissioni dalle attività agricole. Sistemi alternativi che riducono l’allagamento delle coltivazioni di riso, ad esempio, possono tagliare le emissioni di metano del 45 per cento, mentre le emissioni dal settore zootecnico possono essere ridotte del 41 per cento con l’adozione di pratiche più efficienti. Posticipata l’incoronazione in Thailandia BANGKOK, 18. L’incoronazione in Thailandia del principe ereditario, Maha Vajiralongkorn, potrebbe essere rimandata di un anno. Lo ha annunciato il primo ministro, Prayut Chan-o-cha, spiegando che il rinvio è stato chiesto dallo stesso principe Vajiralongkorn, che ha chiesto più tempo per rispettare il lutto seguito alla morte del padre, il re Bhumibol Adulyadej. In attesa, in linea con ciò che prevede la costituzione in caso di trono vacante, le redini del paese asiatico sono passate nelle mani di Prem Tinsulanonda, generale di 96 anni, tra i più stretti consiglieri del defunto monarca. Nonostante l’età molto avanzata, Tinsulanonda — ex primo ministro e capo di stato maggiore dell’esercito — gode di un grande ascendente e di poteri senza uguali in Thailandia, e per diversi anni è stato alla guida del consiglio della corona del re. La sua designazione, indicano gli analisti, è considerata dai thailandesi un fattore rassicurante. In una nota ufficiale, il vice primo ministro, Visanu Krua-ngam, ha ricordato che la legge fondamentale del 1991 prevede che il capo del consiglio della corona assuma il ruolo di reggente pro tempore in caso di assenza di un monarca che eserciti la sua funzione. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 4 mercoledì 19 ottobre 2016 I trecentocinquant’anni di Nostra Signora del Lussemburgo La fede al tempo della secolarizzazione di ALBERTO FABIO AMBROSIO urante la solenne messa presieduta dall’arcivescovo Jean-Claude Hollerich e concelebrata da altri vescovi e numerosi sacerdoti, domenica 9 ottobre la diocesi del Lussemburgo si è consacrata a Nostra Signora Consolatrice degli afflitti. È questo un anniversario: si celebrano, infatti, i trecentocinquant’anni della prima consacrazione a Maria, patrona della città e della diocesi (1666-2016). Certo è dalla metà del XIX secolo che il titolo di Consolatrice degli afflitti è diventato usuale in questa diocesi come in altre a causa della situazione politica europea dell’epoca. Ed è proprio questo aspetto che mi ha fatto riflettere durante l’intensa liturgia officiata alla presenza della granduchessa Maria Teresa di Lussemburgo e del sindaco Lydie Polfer. Può avere ancora un senso consacrare una diocesi alla protezione della Vergine Maria nel mezzo di un’Europa che sembra spesso dimenticarsi dell’azione di D io? L’Europa confrontata a numerose sfide è fin troppo dimentica che l’ultima fonte D a cui attingere forza, ricchezza e creatività è proprio Dio creatore e redentore. Se si vive in quell’atteggiamento che fu stigmatizzato più volte da Giovanni Paolo II, etsi Deus non daretur, come se Dio non esistesse, allora questo atto liturgico, cultuale e profondamente religioso sembra non aver alcun senso. Eppure centinaia di fedeli cristiani si sono riuniti, dopo una gioiosa processione per le vie della città, in questa cattedrale la cui costruzione risale a diversi secoli orsono, per consacrarsi a Maria Consolatrice. È un atto che non deve lasciarci indifferenti perché questi cristiani sono quelli che possono e devono far lievitare la pasta in un contesto che non sempre risponde alla vocazione più profonda dell’uomo. Non si valuta più facilmente l’impatto che può avere un tale atto spirituale, certo invisibile dal punto vista della vita materiale, ma ripetere questo gesto nel centro dell’Europa, nel terzo polo delle istituzioni europee e in una delle sedi più importanti della finanza mondiale, è tutt’altro che banale. Questa consacrazione richiede di essere compresa sotto due aspetti fondamentali. Il primo è l’impegno di ogni singolo cristiano nella propria zona di influenza, professionale o sociale che sia; se questa responsabilità cristiana si muove, fa lievitare certamente tutta la pasta. Come ricordava Benedetto XVI, i cristiani oggi sono chiamati a essere una minoranza creativa. E nel mezzo dell’Europa, quest’affermazione acquista un significato estremamente pregnante. Ritornano in mente le parole di Papa Francesco il giorno del conferimento nel maggio scorso del premio Carlo Magno, il riconoscimento a personalità di spicco che operano in questo continente: «Alla rinascita di un’Europa affaticata, ma ancora ricca di energie e di potenzialità, può e deve contribuire la Chiesa. Il suo compito coincide con la sua missione: l’annuncio del Vangelo, che oggi più che mai Benedetto XVI ha ricordato che i cristiani di oggi si traduce soprattutto sono chiamati a essere nell’andare incontro alle ferite dell’uomo, una minoranza creativa portando la presenza Affermazione che acquista valore pregnante forte e semplice di Gesù, la sua misericordia consolante e incoraggiante. Dio desidera Il secondo aspetto che non va sottova- abitare tra gli uomini, ma può farlo solo lutato è proprio insito nel gesto stesso: attraverso uomini e donne che, come i quanto crediamo ancora noi oggi che gli grandi evangelizzatori del continente, siaeffetti di una tale consacrazione possano no toccati da lui e vivano il Vangelo, senandare ben al di là della nostra modesta za cercare altro. Solo una Chiesa ricca di fede e anche delle nostre aspettative? Per testimoni potrà ridare l’acqua pura del questo motivo reiterare l’offerta spirituale, Vangelo alle radici dell’Europa». E come nel centro dell’Europa, è un segno effica- si può portare la presenza forte e semplice e un richiamo alla responsabilità uma- ce di Gesù se non attraverso la Madre na e cristiana. Maria, consolatrice degli afflitti? In mostra a Roma Volti della misericordia Pittore senese, «Madonna col Bambino e una famiglia di devoti» (inizio XV secolo) di ISABELLA FARINELLI gente e ammalata (raffigurata, con lineamenti non di rado identificabili, sotto il manto di Maria insieme allo skyline cittadino, costituendo tra l’altro una preziosa fonte documentaria). Si parte dalla Madonna col Bambino di scuola senese dei primi decenni del Quattrocento, forse stendardo devozionale, dove è una famiglia (il padre committente, la madre e il bambino) a volgere in alto lo sguardo supplice e grato. Segue un tipico gonfalone processionale a due facce, della confraternita assisiate di Santa Maria del Vescovado, opera di Niccolò di Liberatore detto l’Alunno (documentato a Foligno dal 1454 al 1502); qui i supplici sono i confratelli biancovestiti, presentati dai santi intercessori Francesco e Chiara. Con la Madonna dei Raccomandati di Cola da Orte e suo figlio Egidio (1500-1503) si è ormai nel pieno dell’iconografia tradizionale. Nella seconda sezione della mostra, le opere di misericordia vengono tradotte in immagini sia nel loro insieme sia singolarmente, anche con visioni inattese come Luisa Sanfelice in carcere (Gioacchino Toma, 1874). Tra Quattro e Cinquecento, fra gli episodi più raffigurati troviamo san Martino che divide il proprio mantello (come nel dipinto di Vincenzo Tamagni di San Gimignano e nell’altorilievo marmoreo di Pietro Bernini oggi a Napoli) e l’elemosina di san Lorenzo. Nel Seicento pestilenze e cataclismi offrono più di un’occasione per esercitare e ritrarre la carità, con scene di epos tragico e quotidiano come nel dipinto di Giovanni Battista Denari San Giovanni di Dio guarisce gli appestati (1690, oggi ad Ariccia) e in quello di Pierre Roma ai musei capitolini, fino al 27 novembre 2016, è possibile visitare la mostra «La misericordia nell’arte, itinerario giubilare tra i capolavori dei grandi artisti italiani», che racchiude un percorso giubilare e ne apre molti altri. Il comitato scientifico è presieduto da monsignor Jean-Louis Bruguès, arcivescovo, archivista e bibliotecario di santa romana Chiesa, il quale sottolinea il carattere peculiare — tra le tante iniziative che hanno segnato questo anno santo — di un percorso paragonabile, sul piano visivo e iconografico, alla parabola detta del figliol prodigo, rappresentata peraltro da tanti pittori. Curata da Maria Grazia Bernardini e Mario Lolli Ghetti (il catalogo è edito a Roma da Gangemi), la mostra si articola in due assi portanti: la traduzione figurativa della misericordia, spesso personificata nella Vergine Maria che accoglie e protegge sotto il suo manto il popolo di Dio; e la rappresentazione delle opere di misericordia, descritte per la prima volta da Gesù stesso nel Vangelo di Matteo e più tardi codificate in elenchi. Riferimento principale per l’iconografia mariana è il Polittico della Misericordia di Piero della Francesca (metà Quattrocento, Sansepolcro); per la seconda sezioNell’itinerario giubilare ne, l’opera più celebre è il dipinto di è significativo il viaggio che la carità Caravaggio, Sette ha compiuto tra epoche e culture opere di misericordia, eseguito per il Pio Divenuta icona e idea ispiratrice Monte della Miserianche nelle fusioni cordia a Napoli unendo l’iconografia con altri tipi di rappresentazione mariana con quella delle opere codificate nel Medioevo, «in un simbolico dialogo» scrive il cardinale Subleyras San Camillo de Lellis «tra la Vergine e il popolo di Dio». mette in salvo gli ammalati Anche la mostra si propone di immer- dell’ospedale di Santo Spirito in gere il visitatore in un circuito dove causa Sassia durante l’inondazione del ed effetto, carità in atto e carità come fon- Tevere del 1598 (Roma, Museo te si specchiano e si compendiano. La pri- di Roma). ma sezione condensa e contestualizza in L’iconografia si sposa alla un selezionato gruppo di opere l’immagi- tranche de vie. La mostra ritane mariana che, venuta da lontano, si glia in bellezza una storia di evolve soprattutto nell’Italia centrale sino misericordia e carità di cui si a divenire emblematica nei gonfaloni delle potrebbero citare innumerevoli confraternite assistenziali, le quali soccor- altri esempi, come quello, atrevano tanta parte della popolazione indi- tualizzato dal recente sisma, A della pala d’altare nella cattedrale di Rieti, affidata dal vescovo domenicano Antonino Serafino Camarda (1724-1754) al pittore e architetto Giuseppe Viscardi, in cui san Vincenzo Ferrer e beata Colomba intercedono per le popolazioni colpite da sismi e pestilenze (è imminente una mostra dedicata all’artista e alla beata presso il museo capitolare di Perugia). È dunque significativo, tra le righe dell’itinerario giubilare, il viaggio che ha compiuto tra epoche e culture la carità come icona e come idea ispiratrice, pure nelle trasformazioni e fusioni con altri tipi di rappresentazione. Un viaggio ben illustrato nel catalogo, corredato dalle monografie di Claudia Cieri Via, Maria Rita Silvestrelli, Marco Bussagli, Maria Grazia Bernardini. Nel primo, Tradizione e iconografia della Madonna della Misericordia nell’arte italiana, Cieri Via ne traccia le origini nel mondo orientale-bizantino, fin dalle prime testimonianze letterarie: il Sermone di Giacomo, monaco siriano tra V e VI secolo, e la Vita di sant’Andrea Salio Costantinopolitano, che alla fine del X secolo descrive «la Vergine del mantello». Tramite gli ordini monastici presenti a Costantinopoli, il tema affluisce a occidente e con particolare frequenza nelle pale d’altare e nei gonfaloni votivi fatti eseguire dalle comunità cittadi- Pierre Subleyras, «San Camillo de Lellis mette in salvo gli ammalati» (1746) ne. Anche per il Polittico della Misericordia di Piero della Francesca (Bussagli), la ricerca d’archivio (che pone in relazione l’opera a noi nota con una preesistenza) mette in luce una committenza di questo tipo. È accentuata nella committenza confraternale l’immagine della coesione di quanti si raccolgono sotto il manto della Mater Misericordiae. Raffaello Botticini, «Madonna della Misericordia» (1510-1515) Collegata a questa iconografia è la Vergine orante, con le mani aperte, che, sempre di origine bizantina, trova una certa diffusione soprattutto in ambiente veneto. Di solito si associa all’immagine di Cristo nella mandorla, che accentua il carattere della Vergine quale portatrice del Salvatore. In Italia centrale si diffonde il tipo con il Bambino in braccio alla Vergine, con l’intervento degli angeli per scostare o sorreggere il mantello di Maria. Fortemente simbolico è pure il velo, associato al drappo di porpora del tabernacolo e al velo biblico dell’arca dell’Alleanza. Nell’arte umbra, nei cinque gonfaloni che sono fra le opere più note attribuite a Benedetto Bonfigli, a Bartolomeo Caporali e alla loro stretta cerchia, realizzati tra 1464 e 1482, alla Madonna della Misericordia si associa la figura di Cristo giudice; ma la pioggia di dardi si arresta sul manto della Vergine delle Grazie, che soccorre i devoti raccolti in preghiera assieme ai santi patroni (Silvestrelli). Nell’immagine chiave di Piero della Francesca, l’accorgimento prospettico accentua l’effetto tridimensionale e architettonico dell’immagine sacra, che assume così il significato di tabernacolo-tempio, emblema di Maria-Ecclesia. Punto di snodo è quindi la misericordia, non solo come tema devozionale ma sul piano iconografico. Anche nelle opere di carità, corporali e spirituali (Bernardini), l’itinerario iconografico ricalca quello devozionale. L’accostamento delle opere di misericordia al giudizio universale come nel Vangelo di san Matteo, diffuso nell’arte tra i secoli XI e XIII, viene presto abbandonato; nella maggior parte dei casi, la raffigurazione delle opere orna facciate o interni di oratori o ambienti dove si riuniscono confraternite o associazioni caritative, e diventa emblema delle loro attività. Poiché alcune confraternite avevano nel gonfalone la Vergine con il mantello allargato a custodire i confratelli, le due iconografie spesso si fondono. L’OSSERVATORE ROMANO mercoledì 19 ottobre 2016 Giovanni Paolo II pagina 5 e l’Europa Libertà religiosa e libertà civili di GIORGIO NAPOLITANO a storia di Solidarność rimane uno dei fenomeni più luminosi e significativi della seconda metà del Novecento in Europa. In quel movimento si elaborarono idee e valori di grande rilievo per lo sviluppo complessivo del processo di costruzione europea; da esso venne un contributo essenziale al superamento dello schema che contrapponeva, a un’Europa occidentale, una Europa centro-orientale. Lo si fece da parte di un grande intellettuale militante come Bronisław Geremek recuperando e rielaborando il concetto di «Mitteleuropa». E nel contempo dalle file di Solidarność si L Quel muro apparso incrollabile non si disgregò a Berlino nel novembre del 1989 Ma sei mesi prima a Varsavia selezionò una nuova classe dirigente democratica e di forte ispirazione europeistica per la Polonia. Dopo lo scioglimento del Patto di Varsavia e del blocco dei regimi comunisti e quindi in preparazione e a coronamento dell’ingresso della Polonia nell’Unione europea, Geremek fu tra gli artefici dell’importante documento conclusivo del Gruppo di riflessione su «La dimensione spirituale e culturale dell’Europa». Sul piano politico e di governo emerse la sapiente figura di Tadeusz Mazowiecki. Karol Wojtyła, attentissimo al ruolo che la sua ascesa nella Chiesa polacca gli aveva conferito come punto di riferimento spirituale e morale per la nazione intera, si era mosso con estrema intelligenza e ampiezza di orizzonti. Egli colse tutte le opportunità che nell’ambito dei rapporti col potere via via si presentavano per alleviare le condizioni del suo popolo. Anche se ciò aveva provocato incomprensioni da parte del vertice della Chiesa di Roma anche nei rapporti con il cardinal Wyszyński. Giovanni Paolo II continuò comunque, da Pontefice la sua azione in quel senso. Ma la forza del magistero di Giovanni Paolo II, Papa polacco, nell’ulteriore confronto, per oltre dieci anni, nell’orizzonte in cui egli collocò il sostegno a Solidarność e alle sue battaglie, e l’auspicata unità, nella democrazia, di tutta l’Europa: l’orizzonte cioè della distensione tra Est e Ovest, dell’avvio al superamento della guerra fredda. Per la distensione Giovanni Paolo II operò per portare avanti, nel solco di Paolo VI, la Ostpolitik divenuta componente importante della dialettica e dell’evoluzione affermatesi in seno all’Europa comunitaria. E quindi si impegnò a fondo per la valorizzazione dei lavori e dell’Atto Finale di Helsinki a metà degli anni Settanta e oltre. Di quel processo, culminato nella nascita dell’Organizzazione per la Cooperazione e la Sicurezza Europea, la Santa Sede in prima persona era stata protagonista essenziale grazie al contributo, di alta scuola diplomatica vaticana, di Agostino Casaroli e Achille Silvestrini. Il settembre 1980 era iniziato, sull’onda delle travolgenti lotte operaie guidate da Solidarność, con l’importante accordo di Danzica e Stettino tra rappresentanti di lavoratori e governo; accordo che riconosceva il diritto di sciopero e il ruolo dei sindacati destinati ad autogestirsi attraverso libere elezioni e accedendo ad adeguati diritti di informazione. Ma dopo poco più di un anno, la situazione determinatasi in Polonia e sfociata in aperture del regime verso un combattivo movimento operaio e verso Solidarność, apparve a Mosca gravemente destabilizzante e pericolosa. E il generale Jaruzelski ricorse alla decisione stroncatoria dello stato di emergenza. Sappiamo che successivamente tra la complessa e anche intimamente drammatica personalità del generale-presidente e Giovanni Paolo II, si sarebbe determinato un dialogo. Lo si racconta, in un contesto ormai mutato, in una intervista di verità, che ancor oggi colpisce, concessa da Jaruzelski a Jas Gawronski e da lui pubblicata quasi a integrazione della sua ampia intervista, piuttosto confidenziale, al Papa. Il generale ed ex presidente motivò la sua decisione pur gravissima in rapporto a concrete minacciose avvisaglie di una invasione e occupazione sovietica della Polonia. Essa sarebbe stata cioè una dolorosa reazione, costata moltissimo allo stesso autore di quella decisione adottata tuttavia da «patriota polacco». L’Europa nel messaggio di Giovanni Paolo II è il L’imposizione della legge titolo della lectio magistralis, di cui pubblichiamo marziale in Polonia provocò alcuni stralci, tenuta martedì 18 ottobre alla peraltro anche una forte Pontificia università lateranense dal presidente scossa politica nella sinistra emerito della Repubblica italiana. La lectio, europea, e segnatamente nel pronunciata in occasione dell’inaugurazione della Partito comunista italiano. cattedra di filosofia e storia delle istituzioni Tutto ciò certamente non europee intitolata a Papa Wojtyła, è stata era sfuggito alla massima introdotta dal rettore, il vescovo Enrico dal Covolo autorità della Chiesa cattolie dal titolare dell’insegnamento, del cui intervento ca e alla sua visione europea riportiamo un’ampia sintesi. e universale. Tanto meno le poté sfuggire l’importantissimo, ampio documento, approvato il 29 dicembre 1981 dalla direzione del Pci con il comunismo al potere, va indivi- come «riflessione sui fatti di Polonia». duata nella forte caratterizzazione del Una riflessione che partì dalla drastica suo netto impegno non solo per il ri- condanna del ricorso alla legge marziaspetto della libertà religiosa bensì per le — e dal cordoglio per le vittime dei il rispetto di tutte le libertà civili. Ed tragici fatti di sangue verificatisi — ma essa va al tempo stesso individuata andò ben al di là di ciò. Per l’analisi Lectio magistralis alla Lateranense che compì, per i principi che affermò, per l’iniziativa politica che espresse. Di quella analisi era parte la denuncia dell’ostacolo frapposto — alle posizioni più aperte emerse nel «Partito operaio unificato polacco» al potere — da persistenti dogmatismi, da posizioni conservatrici, dalle proiezioni di un lungo periodo di pratica burocratica e repressiva. E di quella analisi era anche parte l’omaggio alla Chiesa cattolica per la sua costante presenza e crescente influenza «nella vita polacca come forza nazionale». La conclusione stava, ben oltre i confini della Polonia, in un mai così esplicito rifiuto, da parte del Pci, della «logica dei blocchi» e in un sostanziale passo verso la fuoriuscita del maggior partito comunista dell’occidente dai limiti del movimento comunista internazionale. Il Pci proclamava in effetti il suo intendimento di intrattenere rapporti non solo con gli altri partiti comunisti ma «allo stesso modo con ogni altra forza socialista e progressista, senza legami particolari o privilegiati con nessuno, su basi di assoluta autonomia di pensiero e di azione politica, senza vincoli ideologici, politici od organizzativi». Confido che questa non vi sia apparsa una digressione superflua, ma abbia potuto interessarvi in quanto passò anche attraverso le revisioni e i nuovi apporti di forze politiche come il Pci il cammino dell’Europa verso la sua riunificazione. E vale la pena di far cenno a ulteriori manifestazioni di rispetto e sensibilità per il mondo cattolico e per la Chiesa che il Pci diede nel corso di quegli stessi anni Ottanta, contribuendo in modo costruttivo e lineare al negoziato per la revisione del Concordato tra Stato e Chiesa in Italia: contributo a quel negoziato che da parte di uno dei suoi più qualificati protagonisti si ritiene essere stato colto positivamente dal Pontefice. Se posso inserire qui una testimonianza personale, ricorderò che nella mia qualità di dirigente responsabile per la politica estera e per le relazioni internazionali del Pci, ebbi occasione di partecipare a Cracovia a una conferenza sull’Europa indetta dal «Consiglio Polacco di Ricerche sulla Pace» che si aprì il 19 aprile 1989. Da Cracovia raggiunsi subito dopo Varsavia — all’indomani cioè della conclusione positiva della Tavola Rotonda — per avere incontri, nella sede dell’Ambasciata italiana, con i protagonisti del confronto nelle elezioni parlamentari che si sarebbero tenute il 4 giugno. Il risultato elettorale segnò una vittoria trionfale di Solidarność e il crollo del partito al potere. Ho già avuto occasione in altre sedi di sottolineare come il blocco dei regimi comunisti, la divisione dell’Europa tra due blocchi ideologici militari e politici, quel muro che era apparso incrollabile si ruppe non nel novembre del 1989 a Berlino, ma sei mesi prima a Varsavia. E questo va detto in omaggio al popolo polacco, al movimento dei lavoratori guidato da Solidarność, alla Chiesa polacca e a Karol Wojtyła nella suprema autorità da lui assunta come Pontefice dall’ottobre 1978. Narcisismo ed egoismo di RO CCO BUTTIGLIONE olti legano il nome di Giovanni Paolo II alla caduta del comunismo e alla riunificazione dell’Europa. Questo è certamente giusto ma rischia di essere inteso in un modo sbagliato. Certo, il comunismo è caduto davanti a una grande testimonianza intellettuale, morale e religiosa il cui oggettivo punto di riferimento, di ispirazione e di guida era Giovanni Paolo II. Sarebbe però sbagliato porre l’accento sulla caduta del comunismo piuttosto che sulla testimonianza davanti alla quale il comunismo è caduto. Il comunismo forse sarebbe caduto lo stesso, anche senza Giovanni Paolo II. Il vero miracolo laico e storico del Papa fu il modo in cui il comunismo cadde: senza sangue. Vi erano tutte le condizioni perché il crollo del comunismo scatenasse odi e rancori, in parte recenti e in parte secolari, tali da provocare in tutto l’arco che va dal mare Baltico al mare Adriatico una guerra civile di dimensioni e proporzioni simili a quella che ha travolto la ex Jugoslavia. Giovanni Paolo II con la sua predicazione e il suo esempio ha incanalato le energie dei popoli verso il perdono, la riconciliazione, la pace, la ricostruzione materiale e morale. Ricordiamo in questa occasione anche un altro grande europeo, Helmut Kohl. Fu lui a sviluppare o a tentare di sviluppare un progetto politico che corrispondesse, almeno parzialmente, alla ispirazione spirituale di Giovanni Paolo II. Abbiamo così avuto la riunificazione della Germania. Abbiamo avuto l’euro, che non è una moneta ma la garanzia che la Germania mai più cercherà un suo cammino particolare contro l’Europa. Abbiamo avuto l’allargamento della Unione europea che ha consentito ai paesi dell’Europa centrale di imboccare il cammino dello sviluppo economico nella pace. Dopo molte vittorie però quel progetto culturale e politico è stato sconfitto e ha dovuto subire una penosa battuta d’arresto. Volevamo i valori cristiani nella Costituzione europea e non abbiamo avuto né i valori cristiani né la Costituzione. Volevamo la riunificazione dell’Europa e abbiamo avuto solo l’allargamento. Non è la stessa cosa. Riunificazione dell’Europa significava che i paesi dell’Europa centrale e orientale avrebbero dovuto rientrare nella comunità dei popoli europei portando con se l’eredità dei grandi valori della nostra cultura europea riscoperti nella lotta contro il totalitarismo: valori cristiani ma anche e inseparabilmente valori della tradizione classica greca e romana e quelli dell’illuminismo, del liberalismo e del socialismo che ne sono derivati. Valori certo in parte in conflitto e anche in lotta alla ricerca del giusto equilibrio fra loro. Proprio dalla loro concordia discors nasce la vitalità e lo slancio della nostra comune cultura europea. Il grande movimento, la grande rivoluzione pacifica dalla quale è nata la nuova Europa è stata sbrigativamente messa da parte. Non abbiamo avuto la riunificazione dell’Europa ma solo l’allargamento. Allargamento significa che la cultura consumistica e il materialismo volgare dell’occidente hanno inglobato i paesi ex comunisti. Non abbiamo bisogno di valori o di radici comuni per vivere insieme. Ci basta un vago umanitarismo e l’utile M economico, l’interesse bene inteso e la regola di mercato. Per vivere l’Unione non ha bisogno di altro. Non solo i valori cristiani ma i valori in generale sono rimasti fuori dalla Costituzione. Invitata a dire cosa è e in che cosa crede l’Unione europea non è stata capace di definire la propria identità. Il Trattato di Lisbona ha messo una toppa e ha dettato alcune regole di funzionamento, l’Europa però è rimasta senz’anima. Abbiamo una moneta comune ma non abbiamo una statualità comune e nemmeno regole per un esercizio comune della sovranità che la sostenga. Un’Europa fondata sul narcisismo e sull’egoismo presentati come diritti ha scoperto di essere fragile e in balia degli eventi. Avevamo bisogno di solidarietà ma non ne avevamo perché avevamo disabituato e diseducato i popoli alla solidarietà. Un’ondata di populismo si rivolge adesso contro questa Europa. Sono stato questa estate a Cirencester, all’undicesimo Vanenburg Meeting. Ho capito una cosa: i britannici sanno benissimo che la Gran Bretagna da sola non è Il vero miracolo laico e storico del Pontefice fu il modo in cui il comunismo cadde in grado di navigare nelle acque tempestose del secolo XXI ma non sentono questa Europa come una patria. Preferiscono allora tornare alla vecchia Inghilterra che non può offrire né protezione né difesa ma in cui almeno si ha l’impressione di vivere in qualcosa che somiglia a una casa. Ma dobbiamo proprio scegliere fra un freddo impero burocratico e la calda illusione del ritorno a un passato che è ormai trascorso per sempre? La cattedra che abbiamo istituito vuole lanciare un grido di allarme, risuscitare una speranza, indicare un cammino. È possibile, è necessario tornare al grande progetto che abbiamo lasciato incompiuto. Bisogna ritrovare un linguaggio che parli all’anima delle nazioni convincendole che l’Europa non nasce dalla loro dissoluzione ma dal riconoscimento della origine comune. Vogliamo costruire un ponte fra cultura e politica, ritrovare la forma e l’anima che dà coerenza e vita alle istituzioni europee. Giovanni Paolo II non è stato solo il Papa dell’Europa. È stato il Papa della Chiesa universale. Lasciate che io oggi ricordi in modo particolare che è stato il Papa della America latina. In America latina non c’era il comunismo ma le dittature di sicurezza nazionale. Anche esse sono crollate senza sangue davanti a un grande movimento per la difesa dei diritti dell’uomo in cui decisiva è stata la presenza dei cattolici e la guida spirituale di Giovanni Paolo II. Nel suo pellegrinaggio a Puebla, nei primi mesi del suo pontificato, Giovanni Paolo II disse che l’America latina non aveva bisogno della rivoluzione comunista ma aveva bisogno di una rivoluzione della dignità dell’uomo e dei suoi diritti naturali, ispirata alla immagine cristiana della persona umana. Fra coloro che allora hanno iniziato questo cammino si è progressivamente affermata la guida di Jorge Mario Bergoglio, oggi Papa Francesco. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 6 mercoledì 19 ottobre 2016 Conferenza stampa del generale dei gesuiti Arturo Sosa SANTIAGO DEL CILE, 18. «Ogni voto è importante per consentire alle persone capaci, oneste, laboriose, di arrivare al posto di sindaco e consigliere comunale con buoni programmi, che promuovono in modo integrale la vita e la dignità delle persone». È quanto ha ricordato il comitato permanente della Conferenza episcopale del Cile in un messaggio che è stato letto durante tutte le messe di sabato e domenica scorsa, e che sarà ribadito anche nelle celebrazioni eucaristiche di sabato 22 e domenica 23 ottobre, in occasione delle elezioni alle quali i cileni saranno chiamati ad eleggere i sindaci e i consiglieri comunali. I vescovi invitano i cattolici «a partecipare con entusiasmo a questo atto civico», poiché «per i cristiani, andare alle urne non è solo un diritto. Secondo la legge il voto è volontario, ma moral- Fede e cultura per cercare l’impossibile La conferenza episcopale cilena sulle imminenti consultazioni locali Votare è anche un dovere cristiano mente è un dovere», evidenziano i presuli, che al riguardo citano il Compendio di dottrina sociale della Chiesa. «Non rassegnamoci allo sguardo fatalista di diffidenza e di so- Plauso del vescovo di San Cristóbal de Las Casas Dal Chiapas una proposta di riconciliazione SAN CRISTÓBAL DE LAS CASAS, 18. Il vescovo di San Cristóbal de Las Casas, monsignor Felipe Arizmendi Esquivel, ha espresso soddisfazione per la proposta di candidare un’indigena indipendente alla presidenza della Repubblica messicana. Si tratta, secondo il presule, di una «svolta storica, perché segna un modo legale e istituzionale di lotta per un cambiamento nel nostro paese. La mera critica al sistema e ai partiti — ha detto il presule — non è sufficiente per ottenere tale cambiamento; è necessario offrire alternative che hanno capacità di cambiare molte cose sbagliate con il sostegno elettorale di coloro che non sono d’accordo e che vogliono dare impulso all’economia e alla politica». Attraverso una dichiarazione diffusa nei giorni scorsi, monsignor Arizmendi Esquivel ha dichiarato che la proposta dell’Esercito zapatista di liberazione nazionale (Ezln) e del Congresso nazionale degli indigeni (Cni) di «è una piacevole sorpresa perché non è più lotta armata, o solo effusioni verbali e viscerali, ma una proposta degna di essere presa in considerazione». Il presule ha portato ad esempio quanto accaduto in Colombia, dove per oltre 50 anni si sono sofferte guerriglie di vario genere: «Ora, con gli accordi di pace firmati all’Avana, le Farc e il governo dimostrano che la strada delle armi non porta altro che morte e distruzione della società. Accolgo, quindi, con favore che l’Ezln e il Cni abbiano scelto di presentare una proposta pacifica e legale per cambiare il Messico». Il vescovo ha precisato comunque che a disposizione degli elettori ci sono alternative e opzioni diverse, con candidati che sono diretta espressione dei partiti e della società civile: «In questo modo ognuno può esprimere liberamente la propria preferenza». Intanto, in merito alla proposta lanciata nei giorni scorsi dal vescovo di Saltillo, José Raúl Vera López, di Lutto nell’episcopato Monsignor Rufin Anthony, vescovo di Islamabad-Rawalpindi, in Pakistan, è morto improvvisamente lunedì 17 ottobre. Il compianto presule era nato il 12 febbraio 1940 nel villaggio di Khushpur, diocesi di Faisalabad, e aveva ricevuto l’ordinazione sacerdotale il 29 giugno 1969. Nominato coadiutore di Islamabad-Rawalpindi il 4 agosto 2009, aveva ricevuto l’ordinazione episcopale il successivo 21 settembre. Il 18 febbraio 2010 era succeduto per coadiuzione nel governo pastorale della diocesi. promuove una nuova assemblea costituente, monsignor Arizmendi Esquivel ha ricordato che tale proposta è stata fatta a titolo personale e non a nome della Chiesa e dell’episcopato messicano. Sul tema non c’è stata alcuna consultazione durante le assemblee episcopali: «Ognuno — ha aggiunto il vescovo di San Cristóbal de Las Casas — è libero di aderire a questa o ad altre proposte altrettanto legittime, ma non può utilizzare la Chiesa per una proposta elettorale. Come vescovo — ha aggiunto a titolo di esempio — faccio le mie scelte personali ma non mi permetterei di usare il mio servizio pastorale per una campagna elettorale. Ora che i preparativi per le elezioni sono già in pieno svolgimento, auspico invece tanta partecipazione cosciente e libera per il bene di tutti». spetto, non si indebolisca la nostra speranza» esortano ancora i presuli, ricordando che «il governo locale non può essere estraneo alle nostre preoccupazioni» e invitano tutti a dare un segnale forte al Paese: «Esercitiamo la nostra responsabilità civica andando alle urne». Le elezioni si terranno domenica prossima. Intanto, a seguito di una mozione presentata alla camera dei deputati che mira a eliminare il saluto religioso all’inizio di ogni sessione parlamentare, il vescovo di Melipilla e segretario generale della Conferenza episcopale cilena, monsignor Cristián Contreras Villarroel, ha dichiarato che «invocare Dio non è un anacronismo, perché è l’eterno contemporaneo dell’umanità». La mozione è stata depositata nei giorni scorsi dalla deputata del partito comunista Camila Vallejo. Il progetto di legge mira a modificare la tradizionale frase con la quale vengono aperte le sessioni parlamentari: «Nel nome di Dio e della Patria si apre la sessione» e sostituirla con «In rappresentanza del popolo del Cile si apre la sessione». La proposta — riferisce l’agenzia Aciprensa — si basa sulla separazione tra Chiesa e Stato in Cile, secondo la Costituzione del 1925 e, quindi, cerca di «riaffermare che lo Stato cileno è laico e che, di conseguenza, il potere legislativo non rimanda la sua rappresentazione a una divinità». Ferma la replica del presule: «Coloro che hanno voluto elimi- nare Dio dalla storia — ha osservato — sono stati smentiti dalla storia stessa». E al riguardo, ha ricordato che da poco più di 25 anni è crollato il regime comunista nell’Europa orientale. «Pensare che un’invocazione a Dio possa significare un intervento della Chiesa in un potere dello stato — ha concluso — significa sottovalutare le istituzioni cilene». Pellegrinaggio al santuario della prima santa SANTIAGO DEL CILE, 18. Oltre settantamila giovani, hanno partecipato al pellegrinaggio giubilare verso il santuario di Santa Teresa de Jesús de los Andes, dove sono venerate le spoglie della prima santa cilena. Tema della giornata: «Vivere in Cristo il cammino della misericordia». «È molto emozionante vedere come il Signore risveglia nei cuori di tanti giovani la fede verso di Lui», ha detto il cardinale Ricardo Ezzati Andrello, arcivescovo di Santiago del Cile e presidente dell’episcopato nazionale, che ha presieduto la messa. ROMA, 18. «È possibile avere un mondo diverso, che le persone vengano trattate per quello che sono, con più giustizia sociale, anche se tutto, intorno a te, ti spinge a pensare che è un compito difficile, quasi impossibile. Del resto cercare, sperare l’impossibile è proprio del cristiano. E la Chiesa, per riuscire in tale missione, ha bisogno essenzialmente di due cose, di due gambe: una è il servizio, la fede, l’altra è la conoscenza culturale, la profondità intellettuale, in modo che al pensiero segua la giusta azione». Padre Arturo Sosa Abascal, nuovo preposito generale della Compagnia di Gesù, ha spiegato così questa mattina a Roma — in un’affollata conferenza stampa tenuta nell’aula della congregazione della curia generalizia — uno degli impegni che caratterizza da sempre l’opera dei gesuiti, ovvero il servizio intellettuale. Servizio quest’ultimo, ha sottolineato rispondendo a una domanda, svolto anche in Cina grazie a una dozzina di gesuiti, provenienti da Europa e Stati Uniti, che insegnano nelle università statali del Paese. «Lavoro, il loro, esclusivamente culturale, non pastorale né spirituale», come è invece quello svolto da altri confratelli a Macao, Hong Kong e Taiwan. Panorama internazionale quello della Compagnia di Gesù. E contributo internazionale, in termini di testimonianze e suggerimenti, arrivato anche durante la trentaseiesima Congregazione generale che ha eletto Sosa Abascal. «Come governerò, vi chiederete» ha detto rivolgendosi ai giornalisti. «Non è ancora stato deciso nulla, non può esserlo. Il lavoro comincia oggi, le tappe deliberative verranno stabilite nel futuro prossimo, così come l’équipe di governo, gli assistenti. Una cosa è certa: non si mette in discussione il senso della nostra missione, il servizio della fede e la promozione della giustizia, tenendo conto della diversità culturale e dell’importanza del dialogo. Confermate anche — ha aggiunto il preposito generale — alcune priorità stabilite dalla precedente congregazione generale, ovvero il dialogo interreligioso, la questione dei rifugiati, i flussi migratori, le situazioni di crisi e di povertà conseguenza delle mutate situazioni sociali». Dialogo, ha proseguito rispondendo a un’altra domanda, che «ha necessità di essere costruito in Venezuela, dove si vive una situazione molto difficile, caratterizzata da violenza». Venezuela, la terra dove padre Sosa Abascal è nato e ha svolto fino a due anni fa la sua missione, dove la Chiesa deve continuare a dare il suo «importante contributo al bene comune». Il nuovo preposito generale ha poi tenuto a ringraziare il suo predecessore, sottolineando la grande amicizia che li lega e che il lavoro di «padre Adolfo» non è finito, ma prosegue «come quello di ogni buon gesuita. Tornerà nelle Filippine, padre spirituale in un centro pastorale». Papa Francesco l’ha invece conosciuto nel 1983, durante la trentatreesima Congregazione generale che segnò il passaggio di consegne da Pedro Arrupe a Peter Hans Kolvenbach: «Fu il primo incontro — racconta — al quale ne seguirono altri, in Argentina, quando era arcivescovo di Buenos Aires, e infine qui, a Roma, dopo la mia nomina nel 2014 a delegato per le case e le opere interprovinciali della Compagnia di Gesù. Molto facile entrare subito in comunicazione con lui». (giovanni zavatta) Impegno rinnovato dei presuli colombiani Pace e bene comune Aperte dal cardinale Stella le celebrazioni per il cinquantesimo del Pontificio collegio messicano Tre guai per i preti «Il Messico è una sorpresa!» disse Papa Francesco congedandosi dal Paese latinoamericano al termine del viaggio compiuto all’inizio di quest’anno. E quelle stesse parole sono state ripetute dal cardinale Beniamino Stella, prefetto della Congregazione per il clero, che ha aperto le celebrazioni del cinquantesimo anniversario del Pontificio collegio messicano a Roma. Si tratta, ha ricordato il porporato, di un cammino iniziato negli anni Sessanta, dopo l’assemblea plenaria dell’episcopato messicano, e proseguito nel tempo da preti e formatori, che «hanno offerto il loro generoso servizio per fare della permanenza romana un’occasione di fraternità e di formazione permanente». Con l’approvazione degli statuti, dei regolamenti e dei programmi, ha aggiunto, si è consolidata «l’esperienza della preghiera comune, della comunione reciproca, del confronto e del dialogo; tutti ingredienti che garantiscono una crescita umana e spirituale». Il prefetto ha poi esortato i presenti a considerare il compito più importante che «deve precedere tutte le attività» sacerdotali, cioè quello della formazione alla sequela del Maestro. «Senza questo fondamento — ha spiegato — non possiamo essere sacerdoti secondo il cuore di Cristo». Essere preti, ha continuato, «non dipende tanto dalle abilità o dalle conoscenze pastorali e dottrinali», ma, più profondamente, da «una relazione con il Signore». È lui, infatti, che ama per primo, che unge con l’olio dello Spirito per inviare ad annunciare la Parola; e perciò solo rimanendo nel suo amore è possibile vivere autenticamente la vocazione. In pratica, occorre lasciarsi guidare dallo Spirito e vincere le opere della carne, attraverso un cammino che «dura tutta la vita, nel quale imparare ogni giorno a “essere di Cristo Gesù” e crocifiggere “la carne con i suoi desideri e le sue passioni”». Infatti — ha ricordato il cardinale Stella rivolgendosi ai presenti — rinunciando «ai sottili richiami del male, impariamo a lasciarci illuminare dalla misericordia di Dio e diventiamo più liberi di vivere nella sequela del Signore». E in questo modo si può goderne i frutti: «l’amore, la gioia, la pace, la magnanimità, la fedeltà, la mitezza e il dominio di sé». Il cardinale Stella ha quindi invitato a riflettere sulla verità del sacerdozio, attraverso «le dure parole che Gesù rivolge ai farisei», dalle quali occorre lasciarsi provocare. Per tre volte Cristo dice: «Guai a voi!». E su questa frase si possono individuare tre modi di essere preti e di vivere il ministero. Il primo “guai!” è per chi paga la decima ma trascura la giustizia e l’amore. «Possiamo pensare al prete legalista — ha detto Stella — che osserva scrupolosamente i piccoli rituali o le norme, senza vivere però la carità verso i fratelli e uno stile di vita veramente evangelico». In effetti, egli conosce la legge, ma «la usa per salvaguardare la propria appa- renza o per proteggersi dal mondo e dalle complessità della vita». Il secondo “guai!” è per chi ama i primi posti e i saluti nelle piazze; ovvero «al prete mondano, toccato dalla “mondanità spirituale”, che dietro un’apparenza religiosa perfetta cerca soltanto la propria gloria, i propri interessi e il successo personale». È una tentazione «molto sottile, perché dietro agli slanci più generosi può nascondersi l’ansia per la realizzazione dei propri progetti o l’aspettativa di ricevere onori e riconoscimenti». Infine, c’è “il prete ispettore del gregge”: perché, ha concluso il porporato, da «compassionevoli fratelli del popolo, possiamo trasformarci in funzionari rigidi e cinici» invece che essere «buon samaritani misericordiosi». E dei compiti dei pastori della Chiesa, primi responsabili della promozione, del discernimento e dell’accompagnamento delle vocazioni, si parlerà anche nel convegno internazionale di pastorale vocazionale che si svolge a Roma dal 19 al 21 ottobre. Organizzato dalla Pontificia opera delle vocazioni sacerdotali della Congregazione per il clero, l’incontro sarà chiuso proprio dal cardinale Stella, che venerdì 21 ottobre presiederà la concelebrazione eucaristica all’altare della Cattedra nella basilica vaticana e terrà le conclusioni. Il tema scelto è ispirato al motto di Papa Francesco Miserando atque eligendo. Al convegno sono invitati i vescovi incaricati della pastorale vocazionale di ogni conferenza episcopale. BO GOTÁ, 18. «Noi vescovi cattolici della Colombia, con le nostre comunità ecclesiali, riaffermiamo l’impegno per la riconciliazione e la costruzione di una pace autentica. La Chiesa cattolica, a prescindere da qualsiasi vincolo di parte, resta ferma nel suo invito rivolto a tutti a lavorare disinteressatamente per il bene comune». È quanto si legge in un messaggio, a firma del presidente della Conferenza episcopale colombiana, monsignor Luis Augusto Castro Quiroga, arcivescovo di Tunja, pubblicato nei giorni scorsi al termine della riunione straordinaria dei presuli. Nel messaggio si ribadisce il sostegno alla pace e l’impegno per il raggiungimento di un clima sereno. A nome del popolo colombiano, i vescovi hanno invitato il governo e le Farc a mantenere indefinitamente il cessate il fuoco raggiunto. Inoltre, hanno lanciato un appello al presiden- te della Repubblica e alle diverse istituzioni affinché accolgano le segnalazioni che arrivano da diversi settori della società, su aspetti che preoccupano la popolazione: unità dei colombiani, difesa della vita e della famiglia, educazione, partecipazione politica, solidità della democrazia e delle istituzioni, vittime della violenza, narcotraffico, corruzione, crisi della sanità, crisi della giustizia, uguaglianza sociale, ideologia di genere. L’OSSERVATORE ROMANO mercoledì 19 ottobre 2016 pagina 7 Rembrandt «San Paolo in prigione» (1627) Messa a Santa Marta Paolo, Giovanni Battista e Massimiliano Kolbe — e con loro tantissimi pastori di ogni tempo — hanno vissuto sulla loro pelle la solitudine, l’abbandono e la persecuzione, ma anche «la vicinanza del Signore» soprattutto nei momento di prova. È un invito a riconoscere sempre la presenza di Dio, pur nell’esperienza del dolore e della malattia, quello che il Papa ha suggerito durante la messa celebrata martedì 18 ottobre nella cappella della Casa Santa Marta. Per la sua meditazione Francesco ha preso le mosse dal passo della seconda lettera di san Paolo a Timoteo (4, 10-17), proposto dalla liturgia. «Paolo è a Roma, prigioniero in una casa, in una stanza, con una certa libertà, ma aspettando non sa cosa» ha spiegato. E «in quel momento Paolo si sente solo»: è «la solitudine del pastore quando ci sono difficoltà, ma anche la solitudine del pastore quando si avvicina la sua fine: spogliato, solo e mendicante». E così ecco che l’apostolo scrive a Timoteo: «Prendi con te Marco e portalo, perché mi sarà utile per il ministero. Venendo, portami il mantello e i libri». Dunque Paolo è «solo e mendicante: mendica a Timoteo le sue piccole cose perché possano essere di utilità a lui». L’apostolo è anche «vittima di accanimento», al punto che di una persona dice: “Si è accanito contro la nostra predicazione!”. Paolo è «solo, mendicante, vittima di acca- La solitudine del pastore nimento», e per di più «dice quella parola tanto triste: “tutti mi hanno abbandonato”». Nel tribunale è rimasto senza assistenza e riconosce: «soltanto il Signore Gesù mi è stato vicino». È vero che l’apostolo è «solo, mendicante, vittima di accanimento, abbandonato — ha affermato Francesco — ma è il grande Paolo, quello che ha sentito la voce del Signore, la chiamata del Signore; quello che è andato da una parte all’altra, che ha sofferto tante cose e tante prove per la predicazione del Vangelo, che ha fatto capire agli apostoli che il Signore voleva che anche i gentili entrassero nella Chiesa». È «il grande Paolo che nella preghiera è salito fino al settimo cielo e ha sentito cose che nessuno aveva sentito prima». Ma ora «il grande Paolo» è «lì, in quella stanzetta di una casa, a Roma, aspettando come finirà questa lotta nell’interno della Chiesa fra le parti, fra la rigidità dei giudaizzanti e quei discepoli fedeli a lui». E «così finisce la vita del grande Paolo, nella desolazione: non nel risentimento e nell’amarezza, ma con la desolazione interiore». Del resto, ha fatto notare il Papa, «Gesù lo aveva detto a Pietro che sarebbe finito così anche lui». E anche «tutti gli apostoli sono finiti così: “Quando sarai vecchio, stenderai le tue mani e un altro di annoderà la cintura e ti porterà dove tu non vuoi”». Questa, ha spiegato il Pontefice, «è la fine dell’apostolo». Proprio «da quella stanzetta di Paolo — ha detto Francesco — possiamo pensare a due grandi: Giovanni Battista e Massimiliano Kolbe». Il primo, «in cella, solo, angosciato, manda i suoi discepoli a domandare a Gesù: “Sei tu o dobbiamo aspettare un altro?”. E poi il capriccio di una ballerina e la vendetta di una adultera gli taglia la testa: finisce così il grande Giovanni Battista, del quale Gesù dice che era l’uomo più grande nato da una donna». E ancora «più vicino a noi — ha detto il Papa — pensiamo alla cella di Massimiliano Kolbe, che aveva fatto un movimento apostolico in tutto il mondo e tante cose grandi: è in quella cella, affamato, aspettando la morte» nel lager di Auschwitz. «L’apostolo quando è fedele non si aspetta un’altra fine di quella di Gesù» ha affermato Francesco. C’è appunto «lo spogliamento dell’apostolo: viene spogliato, senza niente, perché è stato fedele». E ha la stessa consapevolezza di Paolo: «Soltanto il Signore mi è stato vicino», perché «il Signore non lo lascia e lì trova la sua forza». «La fine di Paolo» è nota: «Dopo quasi due anni, vivendo così, nell’incertezza, in questo travaglio interno della Chiesa, una mattina vengono due soldati, lo prendono, lo portano fuori, gli tagliano la testa». Ma come può finire in questo modo — viene naturale domandarsi — «un uomo così grande che ha girato il mondo per la predicazione, che ha convinto gli apostoli che Gesù è venuto anche per i gentili, che ha fatto tanto bene, che ha lottato, che ha sofferto, che ha pregato, che ha avuto la più alta contemplazione?». Eppure «questa è la legge del Vangelo: se il seme del grano non muore, non dà frutto, perché questa è la legge che Gesù stesso ci ha indicato con la sua persona». Con la certezza, però, che «poi viene la risurrezione». «Uno dei teologi dei primi secoli — ha ricordato il Pontefice — diceva che “il sangue dei martiri era il seme dei cristiani”». Perché «morire così come martiri, come testimoni di Gesù», è proprio co- Convegno all’Institut catholique di Parigi sull’«Amoris laetitia» Risposte aggiornate per famiglie ferite di CHARLES DE PECHPEYROU «Discernimento e maturazione delle coscienze»: è stato questo il tema della giornata di studi organizzata dall’Institut catholique di Parigi il 17 ottobre, a cui ha preso parte un gran numero di esperti, per approfondire le sfide proposte dall’esortazione apostolica Amoris laetitia di Papa Francesco, pubblicata lo scorso marzo dopo le due assemblee sinodali sulla famiglia. La sessione si è conclusa con l’intervento molto atteso del padre gesuita argentino Juan Carlos Scannone, da molti anni vicino a Papa Francesco, incentrato sul necessario accompagnamento del «discernimento spirituale, personale e rigoroso, così come lo propone l’esortazione Amoris laetitia», attraverso «un discernimento pastorale ed ecclesiale che lo confermi». «A mio parere — ha riconosciuto il sacerdote sudamericano — Francesco governa la Chiesa lasciandosi guidare in gran parte dal discernimento; è così che mi sono sentito “governato” da lui quando era il mio provinciale e il mio rettore in Argentina». Nella prima parte del suo intervento, dedicata al discernimento personale, padre Scannone si è soffermato in particolare sul capitolo 8 di Amoris laetitia, intitolato «Accompagnare, discernere e integrare la fragilità», proprio quello, ha osservato il gesuita, «che disturba molte persone e che disturba di più», perché promuove «un cammino di discernimento che nasce dalla misericordia di fronte alla fragilità umana e che continua a riconoscere, con il concilio Vaticano II, il valore obiettivo della coscienza soggettiva». In Amoris laetitia, ha precisato padre Scannone, si tratta in primo luogo della fragilità delle «famiglie ferite», che hanno bisogno di una «risposta aggiornata» da parte della Chiesa in quanto «ospedale da campo». Inoltre, ha ricordato l’antico professore di Jorge Mario Bergoglio, il capitolo 8 riconosce, in linea con la costituzione Gaudium et spes e l’insegnamento tradizionale, «la dignità della coscienza morale come criterio ultimo di moralità de facto». E ha invitato a «saperla rispettare pastoralmente, e non pretendere di sostituirsi a essa, formandola». In effetti, ha osservato, la coscienza «anche se è soggettiva, fa parte della realtà fattuale e dell’obiettività storica». Da qui il bisogno, secondo padre Scannone, di un discernimento sia personale sia ecclesiale. Nel suo lungo intervento tenuto davanti a un’assemblea di teologi, canonisti, filosofi e biblisti, il gesuita argentino ha invitato soprattutto ad «avere una nuova comprensione» dell’importanza della dottrina sulla castità prima del matrimonio e dell’indissolubilità del matrimonio cristiano, prima di tutto rispetto allo «stato di peccato». Padre Scannone ha di fatto esortato a «riconoscere che, anche quando questo obiettivamente sopravviene, non implica in modo automatico che quanti lo vivono siano sempre privati della grazia di Dio». A tale riguardo la Chiesa «può modificare la disciplina che consiste nel rifiutare in quei casi l’assoluzione o la comunione, senza tuttavia cambiare la dottrina, ma applicandola a ogni singola situazione attraverso un discernimento personale ed ecclesiale secondo la carità discreta». Nella seconda parte del suo intervento, sul discernimento ecclesiale e pastorale, il gesuita argentino ha esordito ricordando che «la Chiesa non abbandona le persone a se stesse» nelle situazioni di fragilità e non le lascia «alla mercé della loro sola coscienza», ma le accompagna «come madre ed educatrice, senza pretendere di sostituirsi alla loro responsabilità cristiana e alla loro libertà dinanzi a Dio». Ciò avviene innanzitutto attraverso l’accompagnamento pastorale dei sacerdoti nella direzione spirituale e o nella confessione. Tra le direttive pratiche per l’accompagnamento pastorale, un posto fondamentale deve essere riservato all’«esame attento» della situazione concreta, «sia oggettiva sia soggettiva, con la sua sto- ria, le sue circostanze e i suoi condizionamenti, siano essi attenuanti o aggravanti». Padre Scannone ha inoltre affermato che la molteplicità delle situazioni rende impossibile «costruire una casistica del discernimento» e richiede piuttosto di coltivare uno stato d’animo capace di discernere «con timore e tremore», ma anche con fiducia nell’aiuto e nella misericordia di Dio, nella fedeltà agli orientamenti della Chiesa e in particolare di Amoris laetitia. Il direttore spirituale o confessore non deve esitare ad attingere anche dalla «tradizione di discernimento spirituale nella Chiesa fin dalle origini» e «dagli eventuali orientamenti del vescovo stesso». Infine, parafrasando l’esortazione apostolica di Papa Francesco, l’antico professore del seminario di San Miguel in Argentina ha ricordato che il pastore non è isolato e autoreferenziale, ma rappresenta la Chiesa davanti alle persone che accompagna spiritualmente o davanti al penitente. Perciò alcuni autori fanno attualmente ricorso alla nozione di «sinodalità nella Chiesa, un pensiero caro a Papa Francesco». Su questa base, ha concluso padre Scannone, le conferenze episcopali e i diversi presbyteria sono invitati a «unificare i criteri di discernimento senza però cadere in una casistica univoca». A suo parere, si deve trattare di «criteri» e non di «deduzioni sillogistiche», che «devono potersi applicare a ogni caso secondo un discerni- mento individuale che implica un’ermeneutica aperta e analogica». Tra gli altri interventi di spicco di questa giornata di studi, volta a rispondere agli interrogativi e anche alle paure dei diversi artefici della pastorale familiare, figura in particolare quello del cardinale André Vingt-Trois, che è stato uno dei presidenti delegati dell’assemblea sinodale di ottobre 2014. Nel suo discorso introduttivo dedicato in gran parte ad Amoris laetitia, l’arcivescovo di Parigi ha ricordato che «l’arte della pastorale non è semplicemente un’applicazione automatica di leggi generali a situazioni particolari», ma è «un’arte di accompagnamento nell’amore che il buon pastore sente per ognuno di coloro che gli sono stati affidati». A suo parere è quindi opportuno «partire dalle persone e dalle realtà così come si presentano, cercare di capirle, di scrutare quali sono gli elementi positivi su cui potrebbe poggiare un desiderio di conversione e di progresso, in breve, esercitare un discernimento spirituale». Secondo il cardinale Vingt-Trois, la giornata di lavoro organizzata dall’Institut catholique di Parigi fa dunque parte dell’«immenso sforzo di formazione al discernimento al quale siamo invitati dall’esortazione apostolica». Questo lavoro non è solo «un investimento nella formazione permanente, sempre necessaria — ha precisato ancora l’arcivescovo — ma s’inscrive, come tutto il percorso sinodale, in una dinamica missionaria». Messa presieduta dal cardinale segretario di Stato In ricordo di Antonio Maria Becciu La messa in suffragio di Antonio Maria Becciu, padre del sostituto della Segreteria di Stato, è stata celebrata martedì mattina, 18 ottobre, nella basilica vaticana. A una settimana dalla morte, avvenuta l’11 ottobre scorso all’età di cento anni, il rito è stato presieduto dal cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, che ha tenuto l’omelia. All’altare di San Giuseppe hanno concelebrato, insieme con l’arcivescovo Becciu, gli arcivescovi Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati, e Jan Romeo Pawłowski, delegato per le Rappresentanze pontificie, i monsignori Paolo Borgia, assessore, e José Avelino Bettencourt, capo del Protocollo. A conclusione della celebrazione, alla quale ha partecipato l’intera Segreteria di Stato, l’arcivescovo Angelo Becciu ha avuto parole di ringraziamento per tutti coloro che gli sono stati vicini e in particolare per Papa Francesco. me «il seme che muore e dà il frutto e riempie la terra di nuovi cristiani». E «quando il pastore vive così, non è amareggiato: forse ha desolazione, ma ha quella certezza che il Signore è accanto a lui». Quando invece «il pastore, nella sua vita, si è occupato di altre cose che non siano i fedeli — è per esempio attaccato al potere, è attaccato ai soldi, è attaccato alle cordate, è attaccato a tante cose — alla fine non sarà solo, forse ci saranno i nipoti, che aspetteranno che muoia per vedere cosa possono portare con loro». Francesco ha voluto condividere, a questo proposito, ciò che prova nel suo cuore quando va «a fare visita alla casa di riposo dei sacerdoti anziani», dove — ha raccontato — «trovo tanti di questi bravi sacerdoti che hanno dato la vita per i fedeli e sono lì, ammalati, paralitici, sulla sedia a rotelle; ma subito si vede quel sorriso, perché sentono il Signore vicinissimo a loro». Non si possono certo dimenticare «quegli occhi brillanti che hanno e domandano: “Come va la Chiesa? Come va la diocesi? Come vanno le vocazioni?”». Sono preoccupazioni che hanno dentro «fino alla fine, perché sono padri, perché hanno dato la vita per gli altri». In conclusione il Pontefice ha rilanciato la testimonianza di «Paolo solo, mendicante, vittima di accanimento, abbandonato da tutti, meno che dal Signore Gesù: “Solo il Signore mi è stato vicino!”». Perché, ha insistito, «il pastore deve avere questa sicurezza: se lui va sulla strada di Gesù, il Signore gli sarà vicino fino alla fine». E così ha invitato a pregare «per i pastori che sono alla fine della loro vita e che stanno aspettando che il Signore li porti con lui». Preghiamo, ha detto, «perché il Signore dia loro la forza, la consolazione e la sicurezza che, benché si sentano malati e anche soli, il Signore è con loro, vicino a loro: che il Signore dia loro la forza». Nomina episcopale in India La nomina di oggi riguarda l’India. Thomas Thennatt vescovo di Gwalior Nato il 26 novembre 1953, a Koodalloor, nella diocesi di Kottayam, appartiene al gruppo dei fedeli siro-malabaresi denominati Canaanites. Nel 1969 ha iniziato gli studi nel seminario minore di Pallottigiri a Trivandrum nel Kerala. Ha completato la formazione sacerdotale nel Saint Francis de Sales college (1971-1974), svolgendo a Nilya (Bangalore) il noviziato nella società dell’apostolato cattolico fondata da san Vincenzo Pallotti ed emettendo la professione solenne il 31 maggio 1975. Ordinato sacerdote pallottino il 21 ottobre 1978, è stato cappellano in parrocchia, fino al 1980 nella diocesi di Amravati, e per un anno nella diocesi di Eluru. Dopo il biennio di studi per la licenza in teologia nel seminario di Poona, è stato parroco di Saint Anthony a Mudfort, arcidiocesi di Hyderabad (19841987), direttore della commissione per i giovani e di Young catholic student/Young students’ movement (Ycs/Ysm), famiglie e laicato dell’arcidiocesi di Hyderabad (1987-1991), parroco di Pushpanagar, in diocesi di Indore (1991-1993), direttore regionale per i laici e le famiglie, e per le Small christian communities (Scc) in Madhya Pradesh a Chattisgarh (19931998). Quindi è stato per dieci anni rettore del Khrist Premalaya Theologate ad Ashta e direttore della commissione regionale di formazione, ricoprendo nel contempo (dal 2002) anche l’incarico di consultore della propria congregazione per la provincia di Nagpur. Dal 2008 al 2012 è stato parroco a Ishgar, in diocesi di Jhabua, presidente della Conference of religious in India, membro del collegio dei consultori, direttore della commissione per i laici, le famiglie e le Scc. Dal 2012 era parroco a Mankapur, nell’arcidiocesi di Nagpur, membro della commissione di vita cristiana, del gruppo delle risorse nazionali delle Scc e presidente della commissione pastorale della provincia.