L`OSSERVATORE ROMANO

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L`OSSERVATORE ROMANO
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L’OSSERVATORE ROMANO
POLITICO RELIGIOSO
GIORNALE QUOTIDIANO
Non praevalebunt
Unicuique suum
Anno CLVI n. 240 (47.375)
Città del Vaticano
mercoledì 19 ottobre 2016
.
L’offensiva per riconquistare la roccaforte irachena dell’Is
Tra due assemblee sinodali
Preoccupazione per i civili
intrappolati a Mosul
I giovani
ci stanno a cuore
di GUALTIERO BASSETTI
BAGHDAD, 18. L’avanguardia delle
forze curdo-irachene sostenute dagli
Stati Uniti si trova ad appena 15 chilometri a est di Mosul, ma si preannuncia lunga e piena di insidie l’offensiva contro la roccaforte del cosiddetto stato islamico (Is) nel nord
dell’Iraq. La campagna militare è cominciata ieri e vi partecipano circa
30.000 uomini di diversi eserciti e
milizie anche rivali fra loro.
Dal Pentagono ribadiscono, come
già detto nei giorni scorsi, che in
Il timore maggiore è per la sorte
dei civili che rimangono nella città
conquistata dall’Is nel giugno del
2014. L’Onu teme che «migliaia di
persone potrebbero ritrovarsi sotto
l’assedio» delle truppe governative o
diventare «scudi umani» nelle mani
dei jihadisti. Il rappresentante per
gli affari umanitari delle Nazioni
Unite, Stephen O’Brien, ha fatto appello «a tutte le parti perché rispettino i loro obblighi di proteggere i
civili in base alla legge umanitaria
Iraq ci sono circa 5000 militari
statunitensi, una parte dei quali alla
periferia della città irachena. Ma gli
Stati Uniti non stanno guidando
l’offensiva a Mosul: lo ha sottolineato Josh Earnest, portavoce della
Casa Bianca, sostenendo che i militari americani presenti nella zona
non hanno responsabilità nella
guida delle operazioni ma forniscono «consigli e assistenza», anche se sono equipaggiati per combattere.
Annunciata da Mosca una pausa delle operazioni militari ad Aleppo
Otto ore senza bombe
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Volontari tra le rovine nella zona nord di Aleppo (Afp)
DAMASCO, 18. Si apre uno spiraglio
di speranza nella tragica situazione
di Aleppo. Il ministro della difesa
russo, Serghiei Shoigu, ha infatti
annunciato, nel corso di una riunione dello stato maggiore, l’interruzione dei raid aerei siriani e russi a
partire dalle 10 di oggi e per le successive otto ore.
Il ministro ha aggiunto che, con
l’inizio della pausa umanitaria nei
bombardamenti, le truppe siriane
sul terreno si ritireranno a buona
distanza per permettere ai miliziani
di lasciare la parte orientale della
martoriata città attraverso due corridoi e che l’iniziativa deve anche
consentire ai negoziatori di Losanna di distinguere tra ribelli e terroristi.
Tuttavia la tregua annunciata dal
governo russo non è sufficiente, secondo le Nazioni Unite, per garantire la consegna degli aiuti umanitari. Lo ha dichiarato Stéphane Dujarric, portavoce del segretario generale dell’Onu. «Diamo il benvenuto — ha detto — a qualunque
pausa nei combattimenti, ma è necessaria una pausa maggiore per
poter portare gli aiuti».
Dello stesso avviso l’alto rappresentante per la politica estera e di
sicurezza comune dell’Ue, Federica
Mogherini, secondo la quale la tregua è un primo «passo positivo, un
inizio» per consentire l’evacuazione
dei civili e dei feriti, ma «non è sufficiente per risolvere la crisi umanitaria ad Aleppo». Mogherini è intervenuta dopo che i 28 ministri degli esteri avevano denunciato come
l’azione di Damasco e Mosca su
Aleppo potesse configurarsi come
«un possibile crimine di guerra».
«Secondo le ultime valutazioni delle agenzie umanitarie — ha aggiunto — serve almeno una tregua di 12
ore, per cui dobbiamo lavorare con
i russi per trovare un punto d’intesa
comune».
Comunque dalla riunione ministeriale svoltasi a Lussemburgo —
cui ha partecipato anche l’inviato
speciale dell’Onu per la Siria,
Staffan de Mistura — è stata esclusa
la possibilità di nuove sanzioni a
Mosca per i raid su Aleppo. Una
possibilità che, secondo il ministro
degli esteri italiano, Paolo Gentiloni, è stata evocata «solo per
definirla come non realistica e non
attuabile», anche da parte dei paesi
che sarebbero teoricamente favorevoli. «Non pensiamo che le
sanzioni
siano
strumenti
che
possano aiutare la gente di Aleppo» perché hanno la loro efficacia
«in anni, non in settimane», ha tenuto a precisare il capo della Farnesina.
internazionale». Per ospitare gli sfollati in fuga dalla città sono stati già
allestiti dei campi a sud e a sud-est,
che possono però accogliere non più
di 100.000 persone. Altri agglomerati, che potrebbero ospitare fino a
400.000 sfollati, sono in costruzione
a nord e a est della città.
La notizia dell’offensiva lanciata
prima in Siria e ora in Iraq contro le
roccaforti dell’Is «porta a tutti un
respiro di speranza: una speranza
che sarà probabilmente dolorosa,
perché porterà altre vittime. Soprattutto, quello che temiamo è che ci
possano essere innocenti usati in
queste circostanze come se fossero
degli scudi contro i nemici», è quanto ha affermato ieri a Radio Vaticana il cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le
Chiese orientali. «Speriamo — ha aggiunto il porporato — che questa offensiva risulti veramente portata
avanti con il minor danno possibile
per le persone, per i bambini soprattutto e per tutti quelli che soffrono
ancora moltissimo».
Anche l’Unicef ha lanciato un
gravissimo allarme per la situazione
dei bambini a Mosul, e ha esortato
tutte le parti coinvolte nel conflitto a
proteggerli e a rispettare il diritto
umanitario internazionale, in modo
che i piccoli e le loro famiglie possano superare sani e salvi questo intenso periodo di violenza.
Il generale statunitense, Stephen
Townsend, comandante della coalizione internazionale anti-Is, ha affermato che la campagna per riconquistare Mosul «potrebbe durare settimane, e forse di più». Anche se
l’avanguardia curdo-irachena, sostenuta dalla coalizione, è giunta ad
appena 15 chilometri dalla città, una
volta in periferia gli uomini dovranno incunearsi strada per strada, in
un agglomerato urbano che da più
di due anni si prepara a una logorante battaglia.
I governativi sono avanzati ieri
dalla base di Qayyara (60 chilometri
a sud di Mosul) verso i villaggi a
sud-est della città. Per il segretario
alla difesa statunitense, Ash Carter, è
«un momento decisivo» nella campagna per sconfiggere l’Is. Dal canto
suo, il presidente della regione del
Kurdistan iracheno, Massud Barzani, ha annunciato la «conquista di
200 chilometri di territorio».
u una parete della nostra
scuola c’è scritto grande
I care. È il motto intraducibile dei giovani americani migliori. “Me ne importa, mi sta a
cuore”». Queste celebri parole,
scritte nel 1965 da un ormai malato
Don Lorenzo Milani — e contenute
in una memoria difensiva ricordata
come Lettera ai giudici — sono ancora oggi attualissime.
Queste due semplici parole, I care, non rappresentano, infatti, solo
il punto d’incontro tra le esigenze
dell’allievo e quelle del maestro in
una scuola dell’Italia degli anni
Sessanta, ma si configurano anche,
in una visione più vasta, come il
momento di raccordo tra il mondo
dei giovani e quello degli adulti e,
in definitiva, tra le necessità delle
famiglie di oggi e le istanze individualistiche di una società
sempre più secolarizzata. In altre
parole, quelle parole esprimono
quello stesso amore e quella identica cura pastorale verso le giovani
generazioni che scaturisce dall’annuncio del prossimo Sinodo dei
vescovi che avrà come tema «I giovani, la fede e il discernimento vocazionale».
Si tratta, indubbiamente, di un
appuntamento di eccezionale importanza per almeno due motivi.
In primo luogo, perché questo
nuovo sinodo, è bene ribadirlo con
chiarezza, non è certo il frutto di
una estemporanea moda ecclesiale
ma è il prodotto autentico di un
modo di essere Chiesa che proviene
direttamente dal concilio Vaticano
II. In secondo luogo, perché ci troviamo di fronte ad un drammatico
paradosso del nostro tempo: la
sconcertante superficialità con cui
si parla dei giovani.
Viviamo, infatti, in un mondo
totalmente pervaso da immagini
stereotipate di giovani bellissimi e
fortissimi che con i loro corpi e i
loro sguardi occupano le copertine
patinate di molti giornali e le fotografie di molte pubblicità. Tutto il
discorso pubblico, inoltre, è caratterizzato da una retorica giovanilistica, soprattutto in politica, in cui
molti dicono di spendersi per le
giovani generazioni e ripetono a
memoria dei ritornelli, più o meno
credibili, in cui si è soliti assicurare
che «il futuro è dei giovani» o che
«dobbiamo pensare al futuro dei
nostri figli».
«S
Eppure, molto spesso si ha la
sensazione di ascoltare un copione
recitato a soggetto, senza anima e
cuore. Ed è qui, a mio avviso, che
si colloca la centralità del prossimo
sinodo. Di fronte all’effimera leggerezza con cui ci si riferisce alle
giovani generazioni, si staglia la
preoccupazione sapiente di una
Chiesa che è un’autentica madre
dei suoi figli. E allo stesso tempo
ritornano le parole di don Milani:
questi giovani ci stanno a cuore.
La gioventù, infatti, è lo snodo
più importante della vita di ogni
persona. È il momento in cui gli
uomini e le donne si trovano a
compiere le scelte più importanti
della loro esistenza ma è anche il
momento in cui la vita, come ammoniva sant’Agostino, «è scossa da
frequenti e forti tempeste di tentazioni» ed è spesso «sopraffatta dai
flutti del mondo che l’assalgono
impetuosamente». La gioventù è
dunque il periodo della passione,
della forza fisica e della speranza,
ed è anche il periodo della fragilità
emotiva e caratteriale, dove è facilissimo perdersi nella babele di offerte di senso che provengono da
ogni angolo del mondo. «Tutto gira intorno a te» diceva una famosa
pubblicità di qualche anno fa.
Questa è la sirena seducente dei
tempi odierni.
Oggi, infine, i giovani sono sempre più spesso i nuovi poveri. Una
povertà esistenziale — caratterizzata
da «bambini orfani di genitori vivi» e da «giovani disorientati e
senza regole» come ha scritto Francesco nell’Amoris laetitia — e una
povertà sociale che significa convivere con una precarietà economica
umiliante che, nel caso delle donne, si accompagna da un odioso ricatto: scegliere tra una maternità
desiderata e un lavoro necessario.
L’unica risposta a questa duplice
povertà è la risposta della fede in
Cristo. Di una fede che, come scriveva nel 1957 don Milani, non «sia
qualcosa di artificiale aggiunto alla
vita» ma sia invece un «modo di vivere e di pensare».
Giovanni Paolo
II
e l’Europa
Libertà religiosa
e libertà civili
GIORGIO NAPOLITANO
A PAGINA
5
Sei milioni di bambini perdono la vita ogni anno
Muoiono per malattie curabili
LONDRA, 18. Ogni anno sei milioni
di bambini muoiono per malattie
che sarebbero curabili. E 60 milioni
non vanno a scuola. Sono alcuni dei
dati denunciati da Save the Children, che sottolinea però che anche
se la situazione resta drammatica,
bisogna riconoscere come nell’arco
di una generazione siano stati raggiunti traguardi importanti nella lotta alla mortalità infantile e nell’accesso all’istruzione.
Dal 1990 il numero di bambini
sotto i cinque anni che muoiono per
cause prevenibili e curabili è dimezzato e dal 2000 la percentuale di
bambini che non vanno a scuola è
sceso del 42 per cento. Ma sono ancora troppi i bambini nel mondo
che rimangono esclusi da questi
progressi. «Sono bambini senza un
domani», afferma l’organizzazione
che ha lanciato ieri la campagna
globale per salvare e dare un futuro
a tutti i minori.
L’organizzazione ha ricordato che
quasi sei milioni di bambini sotto i
cinque anni muoiono per malattie
facilmente prevenibili o curabili.
Inoltre, ci sono 60 milioni di minori
tra i 6 e gli 11 anni che non vanno a
scuola. E di questi 58 milioni sono
nei paesi più poveri.
Ci sono poi altre situazioni inaccettabili, come i 400 milioni di bambini sotto i 13 anni che vivono discriminati a causa della loro religione, etnia, genere. Due terzi delle famiglie in povertà che hanno difficol-
tà ad accedere ai servizi di salute, al
cibo e all’educazione fanno parte di
una minoranza etnica.
Povertà e divario sociale, con i fenomeni ad essi collegati, sono problematiche che non riguardano sol-
Bambini in un campo profughi nella capitale nigeriana Abuja (Reuters)
tanto paesi poveri. Molti dei paesi
che hanno vissuto una forte crescita
economica negli ultimi anni non
hanno saputo tradurre questo progresso in condizioni di vita migliori
per i bambini e in molti casi le disparità si sono addirittura acuite.
Come in Nigeria, dove nonostante il
reddito pro-capite sia quintuplicato
negli ultimi anni, i bambini affrontano crescenti disuguaglianze per
quanto riguarda l’accesso alla salute
e all’educazione.
Nei paesi ad alto reddito la crescita economica ha permesso un generale miglioramento dei livelli di
benessere,
tuttavia
nei
paesi
dell’Unione europea circa il 27 per
cento dei minori è a rischio di povertà e di esclusione sociale.
All’origine delle accresciute disuguaglianze ci sono anche i numerosi
conflitti in corso, che hanno
generato un numero di rifugiati senza precedenti e la conseguente crisi
migratoria. Oggi sono più di 145
milioni i bambini rifugiati nel mondo; solo uno su due di loro frequenta la scuola primaria e il tasso
scende a uno su quattro per la scuola secondaria. Il rappresentante
dell’Unicef ha parlato di «bambini
più vulnerabili perché invisibili e di-
menticati: quelli che nascono e vivono in paesi in guerra». «La loro vita
è una vera e propria corsa a ostacoli,
scandita da sfide terribilmente gravose».
NOSTRE
INFORMAZIONI
Il Santo Padre ha accettato
la rinuncia al governo pastorale della Diocesi di Gwalior
(India), presentata da Sua
Eccellenza Monsignor Joseph Kaithathara.
Provvista di Chiesa
Il Santo Padre ha nominato Vescovo della Diocesi di
Gwalior (India) il Reverendo
Padre Thomas Thennatt,
S.A.C., Parroco e Presidente
della Commissione Pastorale
della Provincia.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 2
mercoledì 19 ottobre 2016
Soldati cinesi della missione dell’Onu
nel Sud Sudan (Afp)
Approvata la carta del mare
Vertice straordinario
dell’Unione africana
LOMÉ, 18. È stata approvata e firmata dai capi di stato e di governo
africani riuniti a Lomé, in Togo,
per
un
vertice
straordinario
dell’Unione africana (Ua), la carta
africana per la sicurezza, la salvaguardia e lo sviluppo del mare.
Lo si apprende da una nota diffusa dalla stessa Unione africana,
nella quale si precisa che il nuovo
documento, vincolante per la sicurezza marittima, «intende rendere
concreto l’impegno dell’Africa a
una gestione efficiente ed effettiva
dei propri oceani, mari e corsi d’acqua per assicurare così uno sfruttamento sostenibile, equo e benefico
di risorse così critiche e delicate».
L’assemblea ha poi chiesto agli
stati membri di ratificare con urgenza e secondo le rispettive procedure la carta, così da potere dare
inizio alla sua applicazione, «al fine
— si legge nel documento — di garantire l'attuazione di politiche appropriate per promuovere la sicurezza in mare».
Nel discorso inaugurale del summit, il capo dello stato del Ciad e
presidente di turno dell’Unione
africana, Idriss Deby Itno, ha dichiarato che la carta del mare rappresenta uno «straordinario strumento cooperativo che integrerà e
completerà le cornici legali esistenti
in ogni stato e che consentirà di facilitare ai paesi di operare in maniera congiunta nella gestione di tutte
le strategie (dalla sicurezza al commercio) relative all’acqua».
Anche il presidente del Togo,
Faure Gnassingbé, ha sottolineato
che la carta rappresenta uno strumento «in grado di facilitare il rafforzamento degli sforzi per combattere l’insicurezza marittima e promuovere il commercio, oltre a favo-
rire lo sfruttamento sostenibile delle
risorse marine».
Il presidente del Kenya, Uhuru
Kenyatta, ha rimarcato la possibilità, grazie al nuovo testo, di una
azione coordinata tra i paesi del
continente per combattere la pirateria e il traffico di droga e armi. E,
soprattutto, fronteggiare con più risorse a disposizione il dilagante e
ripugnante fenomeno del traffico di
esseri umani sulla costa africana.
«Questo è un importante atto
politico da parte dell’Unione africana, perché la questione della sicurezza del continente è una priorità», ha invece detto il ministro della difesa francese, Jean-Yves le
Drian, venuto a portare a Lomé il
supporto del governo di Parigi ai
suoi partner africani.
Di sviluppo di un più ampio
concetto di cosiddetta blue economy
ha invece parlato il presidente della
commissione dell’Ua, la sudafricana
Nkosazana Dlamini Zuma, la quale
ha poi ha assicurato che l’organismo panafricano avvierà consultazioni con tutti i soggetti interessati
per completare gli aspetti di sviluppi legati alla blue economy.
Ripresi i combattimenti tra governativi e forze d’opposizione
Sud Sudan allo stremo
JUBA, 18. Dopo un breve periodo di
tregua, sono ripresi i violenti combattimenti in Sud Sudan tra governativi e forze d’opposizione. Il Sud
Sudan è il paese più giovane al
mondo, nato nel 2011 con un referendum che ne ha sancito la separazione dal Sudan.
Le autorità militari di Juba hanno
affermato che almeno 56 ribelli sono
Intensificati
i raid
statunitensi
su Sirte
ADDIS ABEBA, 18. In Etiopia il governo ha ampliato le restrizioni inserite nello stato d’emergenza di sei
mesi imposto dopo la strage di fedeli e oppositori di etnia oromi, avvenuta alcuni giorni fa durante una
cerimonia religiosa. Tutte le comunicazioni attraverso i social media
sono state messe al bando e anche i
messaggi con cellulari sono stati
vietati. Lo riferisce il sito di informazione AfricaNews. Il provvedimento — emesso dal ministro della
difesa, Siraj Fergessa — segue il divieto di diffusione delle notizie fornite da due media indipendenti,
l’Ethiopian satellite radio e television e l’Oromo media network, che
hanno sede negli Stati Uniti. Inoltre, da oggi è vietato pubblicare e
distribuire documenti e indire manifestazioni antigovernative.
BRUXELLES, 18. Conto alla rovescia
per lo sgombero della tendopoli a
Calais. Secondo la stampa francese,
l’evacuazione della cosiddetta «giungla» dei migranti, nel nord della
Francia, dovrebbe cominciare all’alba del 24 ottobre.
Con 150 pullman, nei primi due
giorni dovrebbero essere evacuati da
Calais già in 4000, cioè quasi due
terzi dei 6500 rifugiati attualmente
nel campo. Alcuni trafficanti di esseri umani propongono gli ultimi passaggi verso le coste inglesi: c’è chi
ha tentato di attraversare la Manica
in canotto. Restano alcune incognite
sui centri di accoglienza e orientamento (Cao) allestiti ai quattro angoli del paese per accoglierli. E, in
particolare, è delicata la situazione
dei 1290 minori non accompagnati.
Circa 500 di loro hanno parte della
famiglia in Gran Bretagna. Si tratta
di capire se anche altri, come i 14
trasferiti in questi giorni nel Regno
Unito, saranno presi in carico da
Londra.
A proposito di minori non accompagnati, si aggiornano i dati relativi
agli arrivi in Italia: da gennaio sono
ormai oltre 20.000 i bambini non
accompagnati o separati dai genitori
giunti via mare sulle coste italiane.
Sulle questioni delle migrazioni è
intervenuta oggi l’alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di
sicurezza comune dell’Ue, Federica
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GIOVANNI MARIA VIAN
direttore responsabile
Giuseppe Fiorentino
vicedirettore
Piero Di Domenicantonio
POD GORICA, 18. Il Partito democratico dei socialisti (Dps, filo-occidentale), del primo ministro uscente
Milo Đukanović, ha vinto le elezioni
legislative di domenica scorsa in
Montenegro. Lo ha confermato ieri
sera la commissione elettorale del
paese balcanico, precisando che Dps
ha ottenuto il 40 per cento dei voti
e 36 degli 81 seggi, lontano, però,
dalla maggioranza assoluta.
Al secondo posto si è piazzata la
formazione filo-russa conservatrice
Fronte democratico, con il 21 per
cento (18 seggi), seguita dalla coali-
Servizio vaticano: [email protected]
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Servizio religioso: [email protected]
caporedattore
Gaetano Vallini
segretario di redazione
Mogherini. A proposito dei mancati
ricollocamenti di richiedenti asilo in
paesi europei, Mogherini ha ribadito
che «le regole sono regole in tutti i
differenti campi». E ha ricordato
che nel caso dei ricollocamenti non
si tratta solo di regole della commissione europea ma di «decisioni che
gli stati membri hanno adottato nel
consiglio dei capi di stato e di governo». Per questo, ha aggiunto che
«serve coerenza».
Migranti nella “giungla” di Calais (Afp)
Ai socialisti filo-occidentali
le legislative montenegrine
Grujičić —sostenuto da una coalizione formata da una decina di partiti — ha ottenuto 4678 voti, mentre
al sindaco uscente, il musulmano
Ćamil Duraković, sono andate 3910
preferenze.
Srebrenica si trova nella Republika Srpska, l’entità a maggioranza
serba della Bosnia ed Erzegovina, e
la sua popolazione è formata sia da
serbi che da bosniaci musulmani, il
cui numero, tuttavia, è fortemente
calato rispetto al periodo precedente la sanguinosa guerra.
L’OSSERVATORE ROMANO
Giornata europea
contro
la tratta
di esseri umani
A Calais
si prepara lo sgombero
Un sindaco serbo
a Srebrenica
SARAJEVO, 18. Sarà il serbo Mladen
Grujičić il nuovo sindaco di
Srebrenica, la cittadina della Bosnia
ed Erzegovina teatro l’11 luglio del
1995 della strage di oltre ottomila
musulmani a opera delle forze serbo-bosniache, il peggiore eccidio in
Europa dalla fine della seconda
guerra mondiale.
Il successo di Grujičić è stato
confermato ieri sera dalla commissione elettorale di Sarajevo, che ha
pubblicato i risultati definitivi delle
elezioni amministrative dello scorso
2 ottobre.
che per un breve periodo è stato anche vice del presidente, Salva Kiir,
di avere dato l’ordine di attaccare
una postazione militare. Attualmente Machar si troverebbe in Sud Africa per sottoporsi a cure mediche.
D all’inizio della sanguinosa guerra
civile tra Kiir e Machar, il Sud Sudan sta scivolando verso la catastrofe umanitaria. Secondo varie orga-
Senza certezze sui minori non accompagnati
TRIPOLI, 18. Gli Stati Uniti hanno aumentato i raid aerei di precisione contro postazioni del cosiddetto stato islamico (Is) nella
città libica di Sirte negli ultimi
giorni. Lo rendono noto le forze
statunitensi precisando che in tre
giorni «tra il 14 e il 16 ottobre
sono state effettuate 36 operazioni che hanno colpito una novantina di obiettivi». La missione
statunitense precisa che «dal primo agosto scorso, quando cioè
sono iniziati i bombardamenti, a
oggi, sono stati effettuati complessivamente 324 raid».
E intanto Fayez Al Sarraj, premier designato del governo di
accordo nazionale, è intervenuto
ieri a Tripoli — dopo l’occupazione della sede del consiglio di
stato da parte di Khalifa Ghweil,
ex premier del governo di salvezza, e dei suoi miliziani islamisti
— affermando: «non potrò mai
tollerare chi mina la sicurezza e
semina il caos». Al Sarraj ha poi
lanciato un nuovo appello
all’unità dei libici. Ma la situazione nella capitale libica rimane
ancora confusa. Il ministro
dell’interno Aref El Ghawaga ha
aggiunto che i «poliziotti sono
determinati a respingere con fermezza ogni tentativo che mini la
sicurezza della patria e che terrorizzi i cittadini».
Rafforzato
lo stato d’emergenza
in Etiopia
stati uccisi negli ultimi due giorni in
scontri vicino a Malakal, località nel
nordest del paese africano. Lo riferiscono media locali, aggiungendo
che «l’esercito avrebbe subito perdite minori». Secondo un portavoce
militare, «molti combattenti ribelli
uccisi sono ragazzi tra i 13 e i 18 anni». Le autorità sudsudanesi accusano l’ex leader ribelle, Riek Machar,
nizzazioni internazionali, almeno
quattro milioni di persone rischiano
di morire di fame e malattie per
mancanza di cibo.
L’Unhcr stima che quasi un abitante su quattro del Sud Sudan risulta sfollato all’interno dei confini
del giovane stato o nei paesi limitrofi, per un totale di oltre due milioni
e mezzo di persone (su un totale di
11,3 milioni di abitanti). La grande
maggioranza sono bambini.
Inoltre, il numero di persone in
situazione di insicurezza alimentare
dovrebbe passare da 4,3 a 4,8 milioni. Nei nove mesi trascorsi dal cessate il fuoco, il numero di sfollati interni è aumentato di 100.000 unità e
l’Unhcr ha registrato quasi 140.000
nuovi rifugiati. Il totale dei rifugiati
sudanesi nei paesi limitrofi è di
860.000 persone. E la risposta umanitaria alla crisi è carente, a causa di
finanziamenti insufficienti. L’Unhcr
e i suoi 42 partner non governativi
hanno infatti ricevuto appena il 17
per cento dei 573 milioni di dollari
richiesti per i programmi di protezione dei rifugiati e l’assistenza ai civili in fuga.
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zione moderata Kljuc (con il 10 per
cento e 9 seggi). Nove deputati sono andati invece al partito centrista
Demokrata e quattro ai socialdemocratici. Le minoranze croata, bosniaca e albanese sono approdate nel
parlamento con un seggio a testa.
Il primo ministro montenegrino —
che da un quarto di secolo guida la
piccola repubblica ex jugoslava — si
è detto certo di riuscire a formare
un governo di coalizione. Le elezioni legislative sono state contraddistinte dall’alta affluenza alle urne (il
73 per cento degli aventi diritto).
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Tipografia Vaticana
Editrice L’Osservatore Romano
don Sergio Pellini S.D.B.
direttore generale
A detta degli analisti, i numeri dei
voti conquistati dal Dps sarebbero
sufficienti per indire il referendum
per l’eventuale ingresso di Podgorica nella Nato. «Presto — ha infatti
dichiarato Đukanović — il Montenegro entrerà a far parte della Nato e
verrà intensificato il negoziato di
adesione alla Ue, mentre in economia vi sarà una sicura crescita». Mosca si è detta contraria al referendum, mentre l’opposizione filo-russa
montenegrina ha fatto sapere di non
riconoscere l’esito delle elezioni, a
causa di presunti brogli.
Tariffe di abbonamento
Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198
Europa: € 410; $ 605
Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665
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BRUXELLES, 18. Sono circa 2,5
milioni in Europa gli uomini, le
donne e i bambini vittime della
tratta. L’80 per cento dei casi è
per sfruttamento sessuale e il recente flusso migratorio ha creato
i presupposti per un aumento
delle vittime. È quanto emerge
dai dati resi noti oggi in occasione della giornata europea contro
la tratta di esseri umani, giunta
alla decima edizione.
La tratta è una delle forme di
schiavitù moderna più diffusa del
ventunesimo secolo: umilia donne
e uomini riducendoli alla stregua
di vere e proprie merci, da cui
trarre profitto. E nonostante i tre
quarti dei casi di sfruttamento
sessuale riguardi individui di genere femminile, alcuni stati hanno segnalato un aumento degli
uomini tra le vittime, composte
per il 15 per cento da minori. Lo
sfruttamento per lavoro copre il
21 per cento dei casi ed emerge
che le organizzazioni criminali
sfruttano sempre meglio le lacune
delle normative su visti e permessi. I primi cinque paesi dell’Ue in
termini di cittadinanza delle vittime sono Romania, Bulgaria, Paesi Bassi, Ungheria e Polonia. Al
di fuori dell’Europa, la maggior
parte delle vittime proviene da
Nigeria, Cina, Albania, Vietnam e
Marocco.
Putin a Berlino
per discutere
della crisi ucraina
BERLINO, 18. Il presidente russo
Vladimir Putin parteciperà al vertice sull’Ucraina dei leader dei
paesi del formato Normandia
(Ucraina, Russia, Francia e Germania) convocato per domani a
Berlino dal cancelliere Angela
Merkel. Sarà la prima volta
dall’inizio della crisi ucraina che
il leader russo visiterà ufficialmente Berlino. A Putin si uniranno il presidente francese Hollande e quello ucraino Poroshenko.
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L’OSSERVATORE ROMANO
mercoledì 19 ottobre 2016
pagina 3
Il luogo della strage
dell’8 ottobre scorso a Sana’a (Reuters)
Bilaterale tra Putin e Modi a margine del Brics
India e Russia
rilanciano l’alleanza
NEW YORK, 18. L’Onu ha annunciato l’entrata in vigore di un cessate il
fuoco di 72 ore, prorogabili, in Yemen a partire da oggi, con la speranza di mettere fine a un conflitto
che ha causato quasi 7000 morti e
una pesantissima crisi umanitaria. La
tregua comincerà questa notte alle
23.59 locali, ha indicato il mediatore
dell’Onu per lo Yemen, Ismail Ould
Cheikh Ahmed, che ha assicurato di
aver ricevuto l’impegno di «tutte le
parti» coinvolte nella guerra.
Il presidente yemenita, Abd Rabbo Mansour Hadi, aveva in precedenza annunciato un cessate il fuoco
di 72 ore prorogabile ma non aveva
annunciato la data di inizio. L’annuncio del presidente Hadi giunge
dopo che Stati Uniti, Gran Bretagna
e l’inviato Onu per lo Yemen, Ismail
Ould Cheikh Ahmed, domenica, in
un incontro a Londra con i ministri
degli esteri dell’Arabia Saudita e degli Emirati Arabi Uniti, avevano
esortato le parti in guerra a porre fine alla guerra civile.
Anche i ribelli huthi, attraverso il
loro portavoce Muhammad Abdulsalam, si sono detti favorevoli, sottolineando che il cessate il fuoco è
quello che «gli yemeniti chiedono».
Abdulsalam ha comunque escluso
una ripresa per il momento dei negoziati di pace con il governo.
L’inviato speciale dell’Onu per lo
Yemen ha presentato la tregua come
«una ripresa della cessazione globale
delle ostilità» che era stata instaurata
il 10 aprile scorso, ma che non era
stata rispettata; e ha fatto notare che
questa nuova tregua «eviterà al popolo yemenita nuovi spargimenti di
sangue e consentirà di ampliare la
consegna degli aiuti umanitari».
Da una parte c’è il presidente Hadi, riconosciuto dalla comunità internazionale e sostenuto da una coalizione guidata dall’Arabia Saudita
che dal 26 marzo 2015 ha iniziato
una campagna militare contro i ribelli huthi che nel settembre del
2014 hanno occupato la capitale Sana’a. D all’altra gli huthi che si appoggiano anche all’ex uomo forte
dello Yemen, l’ex presidente fino al
2012 Ali Abdullah Saleh che è restato in carica per oltre 38 anni.
Negli ultimi giorni la tensione
aveva raggiunto livelli preoccupanti:
batterie missilistiche huthi avevano
aperto il fuoco contro il cacciatorpediniere americano Uss Mason, senza
colpirlo; a distanza di poche ore gli
Stati Uniti avevano per la prima volta risposto militarmente distruggen-
Massima allerta
attentati
ad Ankara
ANKARA, 18. Le autorità turche hanno imposto da oggi il divieto di
svolgere incontri pubblici e manifestazioni nella capitale Ankara fino al
30 novembre a seguito di rapporti di
intelligence che segnalano il rischio
di nuovi attentati nella città.
Il provvedimento, annunciato in
una nota dall’ufficio del governatore
di Ankara, arriva a quasi due mesi
dall’inizio dell’operazione militare
turca nel nord della Siria e dopo il
recente
annuncio
di
Baghdad
dell’avvio dell’operazione per strappare il controllo di Mosul, nel nord
dell’Iraq, ai jihadisti del cosiddetto
stato islamico (Is). «Sulla base di informazioni di intelligence ricevute
dal nostro governatorato è stato stabilito che i gruppi terroristici illegali
puntano a eseguire attentati nella
nostra provincia», si legge nella nota. Il timore delle autorità è che i
militanti prendano di mira gli assembramenti di persone.
Nell’ultimo periodo Ankara è
stata colpita sia dall’Is che dai militanti curdi del Pkk. Questo mese
due sospetti terroristi del Pkk, che
preparavano un attentato, si sono
fatti saltare in aria durante uno
scontro a fuoco con la polizia. Un
anno fa, invece, un attentatore
dell’Is ha compiuto una strage alla
stazione ferroviaria, uccidendo oltre
100 persone.
NEW DELHI, 18. Il riavvicinamento
tra Mosca e New Delhi è il risultato più vistoso dell’ottavo vertice
dei giorni scorsi dei Brics (Brasile,
Russia, India, Cina e Sudafrica), a
Goa, in India.
Difesa, energia e terrorismo sono
stati i temi al centro del bilaterale
russo-indiano tenutosi a margine
del summit dei Brics, durante il
quale il presidente russo, Vladimir
Putin, e il primo ministro indiano,
Narendra Modi, hanno rilanciato
un’alleanza strategica che affonda
le sue radici ai tempi della guerra
fredda, quando New Delhi era il
principale alleato militare dell’allora Unione sovietica.
Numerosi gli accordi firmati nel
settore della cooperazione economica, industriale e militare. Al riguardo, l’India acquisterà dalla
Russia un avanzato sistema di difesa aerea a lungo raggio S-400
Triumf (per cinque miliardi di dollari). Batterie di S-400 — informano le agenzie di stampa internazionali — sono state installate dai russi
in Siria e sono state acquistate dalla Cina lo scorso anno.
Annunciato dall’Onu e accettato dai belligeranti
Cessate il fuoco nello Yemen
do con il lancio di cinque missili tre
radar della postazione huthi.
E, intanto, si fa sempre più critica
la situazione umanitaria nel paese a
causa di un conflitto che resta lontano dai riflettori dei media internazionali. I civili sono da mesi bloccati
dietro le linee del fronte. Intensi
bombardamenti e sanguinosi combattimenti rendono quasi impossibile
l’invio di aiuti internazionali e la popolazione — tra le più povere al
mondo — resta senza cure mediche,
beni alimentari, carburante e acqua.
Nelle ultime settimane, l’organizzazione mondiale della sanità (Oms)
ha reso noto di alcuni casi di colera
nella capitale Sana’a.
La popolazione civile paga dunque il prezzo più alto a causa della
violenza che quotidianamente sconvolge lo Yemen e sono non meno di
tre milioni le persone sfollate. Inoltre, il conflitto ha causato enormi
devastazioni e ha danneggiato aeroporti, strade e altre infrastrutture di
vitale importanza. Ecco perché la
nuova tregua annunciata rappresenta
una speranza per il futuro del paese.
Per rafforzare la cooperazione
In fuga dalle violenze migliaia di civili afghani
Il presidente filippino
a Pechino
Decine di morti
in attacchi talebani
PECHINO, 18. Prima visita di stato
oggi a Pechino del presidente delle Filippine, Rodrigo Duterte.
Previsto un incontro con il presidente, Xi Jinping, e il primo ministro, Li Keqiang. Un portavoce
del ministero degli Esteri cinese ha
auspicato che la visita — di cruciale importanza per gli equilibri
geopolitici dell’area — «contribuisca ad aumentare la fiducia reciproca, rafforzi la cooperazione tra
i due paesi e approfondisca la tradizionale amicizia».
Dal canto suo, Duterte ha descritto il suo viaggio in Cina (secondo partner commerciale delle
Filippine) come «un punto di
svolta nelle nostre storie».
Secondo gli analisti, Pechino
cercherà di approfittare della tre
giorni di Duterte per attrarre nella
sua sfera di influenza le Filippine,
uno degli alleati chiave di Washington nel sud-est asiatico. L’asse tra
Washington e Manila si è infatti
incrinato nelle ultime settimane,
dopo che Duterte ha rivolto pesanti insulti contro il presidente
Barack Obama. Insulti che avevano portato alla cancellazione di un
incontro tra i due a margine del
vertice dell’Asean e indotto gli osservatori internazionali a supporre
che il presidente filippino stesse
meditando una rottura diplomatica con l’alleato storico.
Altri esperti ritengono che Duterte non voglia comunque rompere le relazioni diplomatiche con
Washington, ma che a Pechino sia
più semplicemente alla ricerca di
investimenti cinesi per finanziare
dei progetti, tra cui un’ambiziosa
rete di collegamenti ferroviari. Il
presidente filippino cercherà anche
di convincere la Cina ad autorizzare la pesca in un’area contesa
nel Mar cinese meridionale.
Di certo il riavvicinamento tra
Filippine e Cina ha una portata
non trascurabile, se si considerano
le dispute territoriali nel Mar cinese meridionale che hanno contrapposto i due paesi negli ultimi anni. Una controversia sfociata, lo
scorso 12 luglio, nella sentenza
della Corte permanente di arbitrato dell’Aja, che ha giudicato infondate molte delle attività di Pechino per rivendicare sovranità
territoriale sul 90 per cento del
Mar cinese meridionale.
A conferma del riavvicinamento,
la settimana scorsa il presidente
Duterte ha ordinato alla marina
militare filippina di fermare i pattugliamenti congiunti con gli Stati
Uniti nel Mar cinese meridionale
per evitare — disse — «ogni azione
da parte di Manila che possa essere considerata come un atto di
ostilità contro Pechino».
Forze di sicurezza afghane nella provincia di Herat (Afp)
KABUL, 18. Le recenti offensive degli insorti talebani in Afghanistan,
tra cui quella di Kunduz (nord), di
Helmand (sud) e nella provincia di
Farah hanno provocato decine di
morti e di dispersi tra le forze regolari di Kabul e hanno costretto
alla fuga migliaia di civili.
Solo nell’attacco a Kunduz, la
strategica città del nord al confine
con il Tadjikistan, i talebani hanno
costretto circa 59.000 civili ad ab-
bandonare la città. D’altra parte le
forze di Kabul faticano a fronteggiare le offensive dei talebani soprattutto dopo la decisione di ridurre gli effettivi della forza internazionale di assistenza all’Afghanistan a guida Nato. E oltre alla difficoltà di fronteggiare i talebani le
forze afghane devono opporsi anche alle milizie del cosiddetto stato
islamico (Is) che hanno aumentato
la loro presenza nel paese.
La Fao raccomanda una rapida trasformazione del settore agroalimentare
Lotta alla fame e cambiamenti climatici
Il direttore generale della Fao José Graziano da Silva (Ansa)
Gli accordi prevedono anche la
creazione di una joint venture per
la costruzione di duecento elicotteri Ka-226T. A tal proposito, Modi
ha dichiarato che tali accordi «gettano le fondamenta per legami ancora più profondi nella difesa e
l’economia per gli anni a venire».
Sul fronte energetico, i due leader hanno annunciato la firma di
un accordo per la realizzazione di
otto reattori atomici a Kudankulam, nel sud dell’India, con cui
Modi intende limitare la dipendenza del paese dal carbone.
Ampio rilievo è stato dato, poi,
all’acquisizione del 98 per cento
dell’indiana Essar Oil da parte del
gigante petrolifero russo Rosneft,
insieme
all’olandese
Trafigura
group e al fondo d’investimento
russo United capital Partners.
Un’operazione del valore di circa
12,9 miliardi di dollari, che rappresenta la più grande acquisizione
straniera in India e, al tempo stesso, la più costosa mai realizzata
dalla Russia all’estero.
India e Russia hanno, inoltre,
reiterato il loro impegno nella comune lotta al terrorismo. «La richiesta della Russia di combattere
il terrorismo internazionale rispecchia la nostra posizione. Entrambi
abbiamo affermato la necessità di
una tolleranza zero contro i terroristi e i loro sostenitori», ha affermato Modi durante l’incontro con Putin. Con questa serie di accordi di
cooperazione, rilevano gli analisti,
il Cremlino tenta da un lato di
uscire dalla recessione economica e
dall’altro di riposizionarsi in Asia,
rafforzando i legami con New Delhi e Pechino.
Dal canto suo, l’India, primo
paese al mondo per importazione
di armi, è intenzionata a modernizzare il suo apparato militare, di
fronte alla crescente minaccia terroristica. I nuovi accordi siglati da
Russia e India indicano, poi, che
entrambe le nazioni lavorano a
stretto contatto, nonostante le
aperture occasionali del Cremlino
al Pakistan. Poche settimane fa, infatti, la Russia ha condotto la prima esercitazione militare congiunta
con il Pakistan, in un momento in
cui le relazioni diplomatiche tra il
Governo di Islamabad e l’amministrazione statunitense del presidente Obama non sono più solide come in passato.
ROMA, 18. L’impegno di sradicare la
fame e la povertà deve andare di pari
passo con una rapida trasformazione
del settore agroalimentare, per contrastare il cambiamento climatico. È
il messaggio che l’agenzia dell’O nu
per l’agricoltura e l’alimentazione
(Fao) ha lanciato nel suo ultimo rapporto, pubblicato in occasione della
giornata mondiale dell’alimentazione
e presentato ieri a Roma.
«Il cambiamento climatico minaccia tutte le dimensioni della sicurezza alimentare», ha affermato il direttore generale della Fao José Graziano da Silva, spiegando che «il cambiamento climatico esporrà i poveri
delle città e delle campagne a prezzi
del cibo più alti e volatili; colpirà anche la disponibilità del cibo, riducendo la produttività di raccolti, allevamenti di bestiame e di pesci, e
danneggerà l’accesso al cibo, distrug-
gendo i mezzi di sostentamento di
milioni di agricoltori».
Coltivazioni e allevamento generano un quinto dei gas serra globali e,
dunque, si deve fare di più per ridurre il riscaldamento climatico e al
tempo stesso per combattere gli effetti di questo riscaldamento. La Fao
sostiene sistemi alternativi ed economicamente sostenibili: ad esempio,
sementi resistenti al caldo e in grado
di assorbire maggiormente i fertilizzanti azotati. E promuove anche
strade per minori emissioni dalle attività agricole. Sistemi alternativi che
riducono l’allagamento delle coltivazioni di riso, ad esempio, possono
tagliare le emissioni di metano del 45
per cento, mentre le emissioni dal
settore zootecnico possono essere ridotte del 41 per cento con l’adozione
di pratiche più efficienti.
Posticipata
l’incoronazione
in Thailandia
BANGKOK, 18. L’incoronazione in
Thailandia del principe ereditario,
Maha Vajiralongkorn, potrebbe essere rimandata di un anno. Lo ha
annunciato il primo ministro, Prayut Chan-o-cha, spiegando che il
rinvio è stato chiesto dallo stesso
principe Vajiralongkorn, che ha
chiesto più tempo per rispettare il
lutto seguito alla morte del padre,
il re Bhumibol Adulyadej.
In attesa, in linea con ciò che
prevede la costituzione in caso di
trono vacante, le redini del paese
asiatico sono passate nelle mani di
Prem Tinsulanonda, generale di 96
anni, tra i più stretti consiglieri del
defunto monarca. Nonostante l’età
molto avanzata, Tinsulanonda — ex
primo ministro e capo di stato
maggiore dell’esercito — gode di
un grande ascendente e di poteri
senza uguali in Thailandia, e per
diversi anni è stato alla guida del
consiglio della corona del re. La
sua designazione, indicano gli analisti, è considerata dai thailandesi
un fattore rassicurante.
In una nota ufficiale, il vice primo ministro, Visanu Krua-ngam,
ha ricordato che la legge fondamentale del 1991 prevede che il capo del consiglio della corona assuma il ruolo di reggente pro tempore in caso di assenza di un monarca che eserciti la sua funzione.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 4
mercoledì 19 ottobre 2016
I trecentocinquant’anni di Nostra Signora del Lussemburgo
La fede
al tempo della secolarizzazione
di ALBERTO FABIO AMBROSIO
urante la solenne messa presieduta
dall’arcivescovo
Jean-Claude Hollerich e
concelebrata da altri vescovi
e numerosi sacerdoti, domenica 9 ottobre la diocesi del Lussemburgo
si è consacrata a Nostra Signora Consolatrice degli afflitti. È questo un anniversario: si celebrano, infatti, i trecentocinquant’anni della prima consacrazione a
Maria, patrona della città e della diocesi
(1666-2016).
Certo è dalla metà del XIX secolo che
il titolo di Consolatrice degli afflitti è diventato usuale in questa diocesi come in
altre a causa della situazione politica europea dell’epoca. Ed è proprio questo
aspetto che mi ha fatto riflettere durante
l’intensa liturgia officiata alla presenza
della granduchessa Maria Teresa di Lussemburgo e del sindaco Lydie Polfer.
Può avere ancora un senso consacrare
una diocesi alla protezione della Vergine
Maria nel mezzo di un’Europa che sembra spesso dimenticarsi dell’azione di
D io?
L’Europa confrontata a numerose sfide
è fin troppo dimentica che l’ultima fonte
D
a cui attingere forza, ricchezza e creatività
è proprio Dio creatore e redentore. Se si
vive in quell’atteggiamento che fu stigmatizzato più volte da Giovanni Paolo II, etsi Deus non daretur, come se Dio non esistesse, allora questo atto liturgico, cultuale e profondamente religioso sembra non
aver alcun senso. Eppure centinaia di fedeli cristiani si sono riuniti, dopo una
gioiosa processione per le vie della città,
in questa cattedrale la cui costruzione risale a diversi secoli orsono, per consacrarsi a Maria Consolatrice.
È un atto che non deve lasciarci indifferenti perché questi cristiani sono quelli
che possono e devono far lievitare la pasta in un contesto che non sempre risponde alla vocazione più profonda
dell’uomo. Non si valuta più facilmente
l’impatto che può avere un tale atto spirituale, certo invisibile dal punto vista della vita materiale, ma ripetere questo gesto
nel centro dell’Europa, nel terzo polo
delle istituzioni europee e in una delle sedi più importanti della finanza mondiale,
è tutt’altro che banale.
Questa consacrazione richiede di essere
compresa sotto due aspetti fondamentali.
Il primo è l’impegno di ogni singolo cristiano nella propria zona di influenza,
professionale o sociale che sia; se questa
responsabilità cristiana si muove, fa lievitare certamente tutta la pasta. Come ricordava Benedetto XVI, i cristiani oggi sono chiamati a essere una minoranza creativa. E nel mezzo dell’Europa, quest’affermazione acquista un significato estremamente pregnante.
Ritornano in mente le parole di Papa
Francesco il giorno del conferimento nel
maggio scorso del premio Carlo Magno,
il riconoscimento a personalità di spicco
che operano in questo continente: «Alla
rinascita di un’Europa affaticata, ma ancora ricca di energie e di potenzialità,
può e deve contribuire la Chiesa. Il suo
compito coincide con
la sua missione: l’annuncio del Vangelo,
che oggi più che mai
Benedetto XVI ha ricordato che i cristiani di oggi
si traduce soprattutto
sono chiamati a essere
nell’andare incontro alle ferite dell’uomo,
una minoranza creativa
portando la presenza
Affermazione che acquista valore pregnante
forte e semplice di Gesù, la sua misericordia
consolante e incoraggiante. Dio desidera
Il secondo aspetto che non va sottova- abitare tra gli uomini, ma può farlo solo
lutato è proprio insito nel gesto stesso: attraverso uomini e donne che, come i
quanto crediamo ancora noi oggi che gli grandi evangelizzatori del continente, siaeffetti di una tale consacrazione possano no toccati da lui e vivano il Vangelo, senandare ben al di là della nostra modesta za cercare altro. Solo una Chiesa ricca di
fede e anche delle nostre aspettative? Per testimoni potrà ridare l’acqua pura del
questo motivo reiterare l’offerta spirituale, Vangelo alle radici dell’Europa». E come
nel centro dell’Europa, è un segno effica- si può portare la presenza forte e semplice e un richiamo alla responsabilità uma- ce di Gesù se non attraverso la Madre
na e cristiana.
Maria, consolatrice degli afflitti?
In mostra a Roma
Volti della misericordia
Pittore senese, «Madonna col Bambino
e una famiglia di devoti» (inizio XV secolo)
di ISABELLA FARINELLI
gente e ammalata (raffigurata, con lineamenti non di rado identificabili, sotto il
manto di Maria insieme allo skyline cittadino, costituendo tra l’altro una preziosa
fonte documentaria).
Si parte dalla Madonna col Bambino di
scuola senese dei primi decenni del Quattrocento, forse stendardo devozionale, dove è una famiglia (il padre committente, la
madre e il bambino) a volgere in alto lo
sguardo supplice e grato. Segue un tipico
gonfalone processionale a due facce, della
confraternita assisiate di Santa Maria del
Vescovado, opera di Niccolò di Liberatore
detto l’Alunno (documentato a Foligno
dal 1454 al 1502); qui i supplici sono i confratelli biancovestiti, presentati dai santi
intercessori Francesco e Chiara. Con la
Madonna dei Raccomandati di Cola da Orte e suo figlio Egidio (1500-1503) si è ormai nel pieno dell’iconografia tradizionale.
Nella seconda sezione della mostra, le
opere di misericordia vengono tradotte in
immagini sia nel loro insieme sia singolarmente, anche con visioni inattese come
Luisa Sanfelice in carcere (Gioacchino Toma, 1874). Tra Quattro e Cinquecento, fra
gli episodi più raffigurati troviamo san
Martino che divide il proprio mantello
(come nel dipinto di Vincenzo Tamagni di
San Gimignano e nell’altorilievo marmoreo di Pietro Bernini oggi a
Napoli) e l’elemosina di san
Lorenzo.
Nel Seicento pestilenze e cataclismi offrono più di un’occasione per esercitare e ritrarre
la carità, con scene di epos tragico e quotidiano come nel dipinto di Giovanni Battista Denari San Giovanni di Dio guarisce gli appestati (1690, oggi ad
Ariccia) e in quello di Pierre
Roma ai musei capitolini, fino al
27 novembre 2016, è possibile visitare la mostra «La misericordia
nell’arte, itinerario giubilare tra i capolavori dei grandi artisti italiani», che racchiude un percorso giubilare e ne apre
molti altri. Il comitato scientifico è presieduto da monsignor Jean-Louis Bruguès,
arcivescovo, archivista e bibliotecario di
santa romana Chiesa, il quale sottolinea il
carattere peculiare — tra le tante iniziative
che hanno segnato questo anno santo — di
un percorso paragonabile, sul piano visivo
e iconografico, alla parabola detta del figliol prodigo, rappresentata peraltro da
tanti pittori.
Curata da Maria Grazia Bernardini e
Mario Lolli Ghetti (il catalogo è edito a
Roma da Gangemi), la mostra si articola
in due assi portanti: la traduzione figurativa della misericordia, spesso personificata
nella Vergine Maria che accoglie e protegge sotto il suo manto il popolo di Dio; e
la rappresentazione delle opere di misericordia, descritte per la prima volta da Gesù stesso nel Vangelo di Matteo e più tardi codificate in elenchi. Riferimento principale per l’iconografia mariana è il Polittico della Misericordia di Piero della Francesca (metà Quattrocento, Sansepolcro);
per la seconda sezioNell’itinerario giubilare
ne, l’opera più celebre è il dipinto di
è significativo il viaggio che la carità
Caravaggio,
Sette
ha compiuto tra epoche e culture
opere di misericordia,
eseguito per il Pio
Divenuta icona e idea ispiratrice
Monte della Miserianche nelle fusioni
cordia
a
Napoli
unendo l’iconografia
con altri tipi di rappresentazione
mariana con quella
delle opere codificate
nel Medioevo, «in
un simbolico dialogo» scrive il cardinale Subleyras San Camillo de Lellis
«tra la Vergine e il popolo di Dio».
mette in salvo gli ammalati
Anche la mostra si propone di immer- dell’ospedale di Santo Spirito in
gere il visitatore in un circuito dove causa Sassia durante l’inondazione del
ed effetto, carità in atto e carità come fon- Tevere del 1598 (Roma, Museo
te si specchiano e si compendiano. La pri- di Roma).
ma sezione condensa e contestualizza in
L’iconografia si sposa alla
un selezionato gruppo di opere l’immagi- tranche de vie. La mostra ritane mariana che, venuta da lontano, si glia in bellezza una storia di
evolve soprattutto nell’Italia centrale sino misericordia e carità di cui si
a divenire emblematica nei gonfaloni delle potrebbero citare innumerevoli
confraternite assistenziali, le quali soccor- altri esempi, come quello, atrevano tanta parte della popolazione indi- tualizzato dal recente sisma,
A
della pala d’altare nella cattedrale di Rieti,
affidata dal vescovo domenicano Antonino
Serafino Camarda (1724-1754) al pittore e
architetto Giuseppe Viscardi, in cui san
Vincenzo Ferrer e beata Colomba intercedono per le popolazioni colpite da sismi e
pestilenze (è imminente una mostra dedicata all’artista e alla beata presso il museo
capitolare di Perugia).
È dunque significativo, tra le righe
dell’itinerario giubilare, il viaggio che ha
compiuto tra epoche e culture la carità come icona e come idea ispiratrice, pure nelle trasformazioni e fusioni con altri tipi di
rappresentazione. Un viaggio ben illustrato nel catalogo, corredato dalle monografie di Claudia Cieri Via, Maria Rita Silvestrelli, Marco Bussagli, Maria Grazia Bernardini.
Nel primo, Tradizione e iconografia della
Madonna della Misericordia nell’arte italiana, Cieri Via ne traccia le origini nel mondo orientale-bizantino, fin dalle prime testimonianze letterarie: il Sermone di Giacomo, monaco siriano tra V e VI secolo, e la
Vita di sant’Andrea Salio Costantinopolitano,
che alla fine del X secolo descrive «la Vergine del mantello». Tramite gli ordini monastici presenti a Costantinopoli, il tema
affluisce a occidente e con particolare frequenza nelle pale d’altare e nei gonfaloni
votivi fatti eseguire dalle comunità cittadi-
Pierre Subleyras, «San Camillo de Lellis mette in salvo gli ammalati» (1746)
ne. Anche per il Polittico della Misericordia
di Piero della Francesca (Bussagli), la ricerca d’archivio (che pone in relazione
l’opera a noi nota con una preesistenza)
mette in luce una committenza di questo
tipo. È accentuata nella committenza confraternale l’immagine della coesione di
quanti si raccolgono sotto il manto della
Mater Misericordiae.
Raffaello Botticini, «Madonna della Misericordia» (1510-1515)
Collegata a questa iconografia è la Vergine orante, con le mani aperte, che, sempre di origine bizantina, trova una certa
diffusione soprattutto in ambiente veneto.
Di solito si associa all’immagine di Cristo
nella mandorla, che accentua il carattere
della Vergine quale portatrice del Salvatore. In Italia centrale si diffonde il tipo con
il Bambino in braccio alla Vergine, con
l’intervento degli angeli per scostare o sorreggere il mantello di Maria. Fortemente
simbolico è pure il velo, associato al drappo di porpora del tabernacolo e al velo
biblico dell’arca dell’Alleanza.
Nell’arte umbra, nei cinque gonfaloni
che sono fra le opere più note attribuite a
Benedetto Bonfigli, a Bartolomeo Caporali e alla loro stretta cerchia, realizzati tra
1464 e 1482, alla Madonna della Misericordia si associa la figura di Cristo giudice; ma la pioggia di dardi si arresta sul
manto della Vergine delle Grazie, che soccorre i devoti raccolti in preghiera assieme
ai santi patroni (Silvestrelli).
Nell’immagine chiave di Piero della
Francesca, l’accorgimento prospettico accentua l’effetto tridimensionale e architettonico dell’immagine sacra, che assume
così il significato di tabernacolo-tempio,
emblema di Maria-Ecclesia. Punto di snodo è quindi la misericordia, non solo come tema devozionale ma sul piano iconografico.
Anche nelle opere di carità, corporali e
spirituali (Bernardini), l’itinerario iconografico ricalca quello devozionale. L’accostamento delle opere di misericordia al
giudizio universale come nel Vangelo di
san Matteo, diffuso nell’arte tra i secoli XI
e XIII, viene presto abbandonato; nella
maggior parte dei casi, la raffigurazione
delle opere orna facciate o interni di oratori o ambienti dove si riuniscono confraternite o associazioni caritative, e diventa
emblema delle loro attività. Poiché alcune
confraternite avevano nel gonfalone la
Vergine con il mantello allargato a custodire i confratelli, le due iconografie spesso
si fondono.
L’OSSERVATORE ROMANO
mercoledì 19 ottobre 2016
Giovanni Paolo
II
pagina 5
e l’Europa
Libertà religiosa
e libertà civili
di GIORGIO NAPOLITANO
a storia di Solidarność rimane uno dei fenomeni più luminosi e significativi della
seconda metà del Novecento in Europa. In quel movimento si elaborarono idee e valori di
grande rilievo per lo sviluppo complessivo del processo di costruzione
europea; da esso venne un contributo
essenziale al superamento dello schema che contrapponeva, a un’Europa
occidentale, una Europa centro-orientale. Lo si fece da parte di un grande
intellettuale militante come Bronisław
Geremek recuperando e rielaborando
il concetto di «Mitteleuropa». E nel
contempo dalle file di Solidarność si
L
Quel muro apparso incrollabile
non si disgregò a Berlino
nel novembre del 1989
Ma sei mesi prima a Varsavia
selezionò una nuova classe dirigente
democratica e di forte ispirazione europeistica per la Polonia.
Dopo lo scioglimento del Patto di
Varsavia e del blocco dei regimi comunisti e quindi in preparazione e a coronamento dell’ingresso della Polonia
nell’Unione europea, Geremek fu tra
gli artefici dell’importante documento
conclusivo del Gruppo di riflessione su
«La dimensione spirituale e culturale
dell’Europa». Sul piano politico e di
governo emerse la sapiente figura di
Tadeusz
Mazowiecki.
Karol
Wojtyła, attentissimo al ruolo che la
sua ascesa
nella Chiesa
polacca gli
aveva conferito come punto di riferimento spirituale
e morale per la
nazione intera, si era mosso con estrema intelligenza e ampiezza di orizzonti. Egli colse tutte le opportunità che
nell’ambito dei rapporti col potere via
via si presentavano per alleviare le
condizioni del suo popolo. Anche se
ciò aveva provocato incomprensioni da
parte del vertice della Chiesa di Roma
anche nei rapporti con il cardinal
Wyszyński. Giovanni Paolo II continuò
comunque, da Pontefice la sua azione
in quel senso.
Ma la forza del magistero di Giovanni Paolo II, Papa polacco, nell’ulteriore confronto, per oltre dieci anni,
nell’orizzonte in cui egli collocò il sostegno a Solidarność e alle sue battaglie, e l’auspicata unità, nella democrazia, di tutta l’Europa: l’orizzonte cioè
della distensione tra Est e Ovest,
dell’avvio al superamento della guerra
fredda.
Per la distensione Giovanni Paolo II
operò per portare avanti, nel solco di
Paolo VI, la Ostpolitik divenuta componente importante della dialettica e
dell’evoluzione affermatesi in seno
all’Europa comunitaria. E quindi si
impegnò a fondo per la valorizzazione
dei lavori e dell’Atto Finale di Helsinki a metà degli anni Settanta e oltre.
Di quel processo, culminato nella nascita dell’Organizzazione per la Cooperazione e la Sicurezza Europea, la
Santa Sede in prima persona era stata
protagonista essenziale grazie al contributo, di alta scuola diplomatica vaticana, di Agostino Casaroli e Achille Silvestrini.
Il settembre 1980 era iniziato,
sull’onda delle travolgenti lotte operaie
guidate da Solidarność, con l’importante accordo di Danzica e Stettino tra
rappresentanti di lavoratori e governo;
accordo che riconosceva il diritto di
sciopero e il ruolo dei sindacati destinati ad autogestirsi attraverso libere
elezioni e accedendo ad adeguati diritti di informazione.
Ma dopo poco più di un anno, la
situazione determinatasi in Polonia e
sfociata in aperture del regime verso
un combattivo movimento operaio e
verso Solidarność, apparve a Mosca
gravemente destabilizzante e pericolosa. E il generale Jaruzelski ricorse alla decisione stroncatoria
dello stato di emergenza. Sappiamo
che successivamente tra la complessa e
anche intimamente drammatica personalità del generale-presidente e Giovanni Paolo II, si sarebbe determinato
un dialogo. Lo si racconta, in un contesto ormai mutato, in una intervista di
verità, che ancor oggi colpisce, concessa da Jaruzelski a Jas Gawronski e da
lui pubblicata quasi a integrazione della sua ampia intervista, piuttosto confidenziale, al Papa.
Il generale ed ex presidente motivò
la sua decisione pur gravissima in rapporto a concrete
minacciose avvisaglie di una
invasione e occupazione sovietica della Polonia. Essa
sarebbe stata cioè una dolorosa reazione, costata moltissimo allo stesso autore di
quella decisione adottata
tuttavia da «patriota polacco».
L’Europa nel messaggio di Giovanni Paolo II è il
L’imposizione della legge
titolo della lectio magistralis, di cui pubblichiamo
marziale in Polonia provocò
alcuni stralci, tenuta martedì 18 ottobre alla
peraltro anche una forte
Pontificia università lateranense dal presidente
scossa politica nella sinistra
emerito della Repubblica italiana. La lectio,
europea, e segnatamente nel
pronunciata in occasione dell’inaugurazione della
Partito comunista italiano.
cattedra di filosofia e storia delle istituzioni
Tutto ciò certamente non
europee intitolata a Papa Wojtyła, è stata
era sfuggito alla massima
introdotta dal rettore, il vescovo Enrico dal Covolo
autorità della Chiesa cattolie dal titolare dell’insegnamento, del cui intervento
ca e alla sua visione europea
riportiamo un’ampia sintesi.
e universale. Tanto meno le
poté sfuggire l’importantissimo, ampio documento,
approvato il 29 dicembre
1981 dalla direzione del Pci
con il comunismo al potere, va indivi- come «riflessione sui fatti di Polonia».
duata nella forte caratterizzazione del Una riflessione che partì dalla drastica
suo netto impegno non solo per il ri- condanna del ricorso alla legge marziaspetto della libertà religiosa bensì per le — e dal cordoglio per le vittime dei
il rispetto di tutte le libertà civili. Ed tragici fatti di sangue verificatisi — ma
essa va al tempo stesso individuata andò ben al di là di ciò. Per l’analisi
Lectio magistralis
alla Lateranense
che compì, per i principi che affermò,
per l’iniziativa politica che espresse. Di
quella analisi era parte la denuncia
dell’ostacolo frapposto — alle posizioni
più aperte emerse nel «Partito operaio
unificato polacco» al potere — da persistenti dogmatismi, da posizioni conservatrici, dalle proiezioni di un lungo
periodo di pratica burocratica e repressiva.
E di quella analisi era anche parte
l’omaggio alla Chiesa cattolica per la
sua costante presenza e crescente influenza «nella vita polacca come forza
nazionale».
La conclusione stava, ben oltre i
confini della Polonia, in un mai così
esplicito rifiuto, da parte del Pci, della
«logica dei blocchi» e in un sostanziale passo verso la fuoriuscita del maggior partito comunista dell’occidente
dai limiti del movimento comunista internazionale. Il Pci proclamava in effetti il suo intendimento di intrattenere
rapporti non solo con gli altri partiti
comunisti ma «allo stesso modo con
ogni altra forza socialista e progressista, senza legami particolari o privilegiati con nessuno, su basi di assoluta
autonomia di pensiero e di azione politica, senza vincoli ideologici, politici
od organizzativi».
Confido che questa non vi sia apparsa una digressione superflua, ma
abbia potuto interessarvi in quanto
passò anche attraverso le revisioni e i
nuovi apporti di forze politiche come
il Pci il cammino dell’Europa verso la
sua riunificazione. E vale la pena di
far cenno a ulteriori manifestazioni di
rispetto e sensibilità per il mondo cattolico e per la Chiesa che il Pci diede
nel corso di quegli stessi anni Ottanta,
contribuendo in modo costruttivo e lineare al negoziato per la revisione del
Concordato tra Stato e Chiesa in Italia: contributo a quel negoziato che da
parte di uno dei suoi più qualificati
protagonisti si ritiene essere stato colto
positivamente dal Pontefice.
Se posso inserire qui una testimonianza personale, ricorderò che nella
mia qualità di dirigente responsabile
per la politica estera e per le relazioni
internazionali del Pci, ebbi occasione
di partecipare a Cracovia a una conferenza sull’Europa indetta dal «Consiglio Polacco di Ricerche sulla Pace»
che si aprì il 19 aprile 1989. Da Cracovia raggiunsi subito dopo Varsavia —
all’indomani cioè della conclusione positiva della Tavola Rotonda — per avere incontri, nella sede dell’Ambasciata
italiana, con i protagonisti del confronto nelle elezioni parlamentari che si sarebbero tenute il 4 giugno. Il risultato
elettorale segnò una vittoria trionfale
di Solidarność e il crollo del partito al
potere.
Ho già avuto occasione in altre sedi
di sottolineare come il blocco dei
regimi comunisti, la divisione dell’Europa tra due blocchi ideologici militari e politici, quel muro che era apparso incrollabile si ruppe non nel novembre del 1989 a Berlino, ma sei mesi prima a Varsavia. E questo va detto
in omaggio al popolo polacco, al movimento dei lavoratori guidato da Solidarność, alla Chiesa polacca e a Karol Wojtyła nella suprema autorità da
lui assunta come Pontefice dall’ottobre 1978.
Narcisismo
ed egoismo
di RO CCO BUTTIGLIONE
olti legano il nome di
Giovanni Paolo II alla caduta del comunismo e alla riunificazione dell’Europa. Questo è certamente giusto ma rischia di essere inteso in un
modo sbagliato. Certo, il comunismo è
caduto davanti a una grande testimonianza intellettuale, morale e religiosa il cui
oggettivo punto di riferimento, di ispirazione e di guida era Giovanni Paolo II.
Sarebbe però sbagliato porre l’accento
sulla caduta del comunismo piuttosto che
sulla testimonianza davanti alla quale il
comunismo è caduto. Il comunismo forse
sarebbe caduto lo stesso, anche senza
Giovanni Paolo II. Il vero miracolo laico
e storico del Papa fu il modo in cui il comunismo cadde: senza sangue. Vi erano
tutte le condizioni perché il crollo del comunismo scatenasse odi e rancori, in parte recenti e in parte secolari, tali da provocare in tutto l’arco che va dal mare
Baltico al mare Adriatico una guerra civile di dimensioni e proporzioni simili a
quella che ha travolto la ex Jugoslavia.
Giovanni Paolo II con la sua predicazione
e il suo esempio ha incanalato le energie
dei popoli verso il perdono, la riconciliazione, la pace, la ricostruzione materiale e
morale.
Ricordiamo in questa occasione anche
un altro grande europeo, Helmut Kohl.
Fu lui a sviluppare o a tentare di sviluppare un progetto politico che corrispondesse, almeno parzialmente, alla ispirazione spirituale di Giovanni Paolo II. Abbiamo così avuto la riunificazione della Germania. Abbiamo avuto l’euro, che non è
una moneta ma la garanzia che la Germania mai più cercherà un suo cammino
particolare contro l’Europa. Abbiamo
avuto l’allargamento della Unione europea che ha consentito ai paesi dell’Europa centrale di imboccare il cammino dello sviluppo economico nella pace.
Dopo molte vittorie però quel progetto
culturale e politico è stato sconfitto e ha
dovuto subire una penosa battuta d’arresto. Volevamo i valori cristiani nella Costituzione europea e non abbiamo avuto
né i valori cristiani né la Costituzione.
Volevamo la riunificazione dell’Europa e
abbiamo avuto solo l’allargamento. Non
è la stessa cosa. Riunificazione dell’Europa significava che i paesi dell’Europa centrale e orientale avrebbero dovuto rientrare nella comunità dei popoli europei portando con se l’eredità dei grandi valori
della nostra cultura europea riscoperti
nella lotta contro il totalitarismo: valori
cristiani ma anche e inseparabilmente valori della tradizione classica greca e romana e quelli dell’illuminismo, del liberalismo e del socialismo che ne sono derivati. Valori certo in parte in conflitto e anche in lotta alla ricerca del giusto equilibrio fra loro.
Proprio dalla loro concordia discors nasce la vitalità e lo slancio della nostra comune cultura europea. Il grande movimento, la grande rivoluzione pacifica
dalla quale è nata la nuova Europa è stata sbrigativamente messa da parte. Non
abbiamo avuto la riunificazione dell’Europa ma solo l’allargamento. Allargamento significa che la cultura consumistica e il materialismo volgare dell’occidente hanno inglobato i paesi ex comunisti. Non abbiamo bisogno di valori o
di radici comuni per vivere insieme. Ci
basta un vago umanitarismo e l’utile
M
economico, l’interesse bene inteso e la
regola di mercato.
Per vivere l’Unione non ha bisogno di
altro. Non solo i valori cristiani ma i valori in generale sono rimasti fuori dalla
Costituzione. Invitata a dire cosa è e in
che cosa crede l’Unione europea non è
stata capace di definire la propria identità. Il Trattato di Lisbona ha messo una
toppa e ha dettato alcune regole di funzionamento, l’Europa però è rimasta
senz’anima. Abbiamo una moneta comune ma non abbiamo una statualità comune e nemmeno regole per un esercizio comune della sovranità che la sostenga.
Un’Europa fondata sul narcisismo e
sull’egoismo presentati come diritti ha
scoperto di essere fragile e in balia degli
eventi. Avevamo bisogno di solidarietà
ma non ne avevamo perché avevamo disabituato e diseducato i popoli alla solidarietà. Un’ondata di populismo si rivolge adesso contro questa Europa.
Sono stato questa estate a Cirencester,
all’undicesimo Vanenburg Meeting. Ho
capito una cosa: i britannici sanno benissimo che la Gran Bretagna da sola non è
Il vero miracolo
laico e storico del Pontefice
fu il modo
in cui il comunismo cadde
in grado di navigare nelle acque tempestose del secolo XXI ma non sentono questa Europa come una patria. Preferiscono
allora tornare alla vecchia Inghilterra che
non può offrire né protezione né difesa
ma in cui almeno si ha l’impressione di
vivere in qualcosa che somiglia a una casa. Ma dobbiamo proprio scegliere fra un
freddo impero burocratico e la calda illusione del ritorno a un passato che è ormai trascorso per sempre?
La cattedra che abbiamo istituito vuole
lanciare un grido di allarme, risuscitare
una speranza, indicare un cammino. È
possibile, è necessario tornare al grande
progetto che abbiamo lasciato incompiuto. Bisogna ritrovare un linguaggio che
parli all’anima delle nazioni convincendole che l’Europa non nasce dalla loro dissoluzione ma dal riconoscimento della
origine comune. Vogliamo costruire un
ponte fra cultura e politica, ritrovare la
forma e l’anima che dà coerenza e vita alle istituzioni europee. Giovanni Paolo II
non è stato solo il Papa dell’Europa. È
stato il Papa della Chiesa universale. Lasciate che io oggi ricordi in modo particolare che è stato il Papa della America
latina. In America latina non c’era il comunismo ma le dittature di sicurezza nazionale. Anche esse sono crollate senza
sangue davanti a un grande movimento
per la difesa dei diritti dell’uomo in cui
decisiva è stata la presenza dei cattolici e
la guida spirituale di Giovanni Paolo II.
Nel suo pellegrinaggio a Puebla, nei primi mesi del suo pontificato, Giovanni
Paolo II disse che l’America latina non
aveva bisogno della rivoluzione comunista ma aveva bisogno di una rivoluzione
della dignità dell’uomo e dei suoi diritti
naturali, ispirata alla immagine cristiana
della persona umana. Fra coloro che allora hanno iniziato questo cammino si è
progressivamente affermata la guida di
Jorge Mario Bergoglio, oggi Papa Francesco.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 6
mercoledì 19 ottobre 2016
Conferenza stampa del generale dei gesuiti Arturo Sosa
SANTIAGO DEL CILE, 18. «Ogni
voto è importante per consentire
alle persone capaci, oneste, laboriose, di arrivare al posto di sindaco e consigliere comunale con
buoni programmi, che promuovono in modo integrale la vita e la
dignità delle persone». È quanto
ha ricordato il comitato permanente della Conferenza episcopale del Cile in un messaggio che è
stato letto durante tutte le messe
di sabato e domenica scorsa, e
che sarà ribadito anche nelle celebrazioni eucaristiche di sabato 22
e domenica 23 ottobre, in occasione delle elezioni alle quali i cileni saranno chiamati ad eleggere
i sindaci e i consiglieri comunali.
I vescovi invitano i cattolici «a
partecipare con entusiasmo a
questo atto civico», poiché «per i
cristiani, andare alle urne non è
solo un diritto. Secondo la legge
il voto è volontario, ma moral-
Fede e cultura
per cercare l’impossibile
La conferenza episcopale cilena sulle imminenti consultazioni locali
Votare è anche
un dovere cristiano
mente è un dovere», evidenziano
i presuli, che al riguardo citano il
Compendio di dottrina sociale
della Chiesa.
«Non rassegnamoci allo sguardo fatalista di diffidenza e di so-
Plauso del vescovo di San Cristóbal de Las Casas
Dal Chiapas una proposta
di riconciliazione
SAN CRISTÓBAL DE LAS CASAS, 18. Il
vescovo di San Cristóbal de Las Casas, monsignor Felipe Arizmendi
Esquivel, ha espresso soddisfazione
per la proposta di candidare un’indigena indipendente alla presidenza
della Repubblica messicana. Si tratta,
secondo il presule, di una «svolta storica, perché segna un modo legale e
istituzionale di lotta per un cambiamento nel nostro paese. La mera critica al sistema e ai partiti — ha detto il
presule — non è sufficiente per ottenere tale cambiamento; è necessario
offrire alternative che hanno capacità
di cambiare molte cose sbagliate con
il sostegno elettorale di coloro che
non sono d’accordo e che vogliono
dare impulso all’economia e alla politica».
Attraverso una dichiarazione diffusa nei giorni scorsi, monsignor Arizmendi Esquivel ha dichiarato che la
proposta dell’Esercito zapatista di liberazione nazionale (Ezln) e del Congresso nazionale degli indigeni (Cni)
di «è una piacevole sorpresa perché
non è più lotta armata, o solo effusioni verbali e viscerali, ma una proposta
degna di essere presa in considerazione». Il presule ha portato ad esempio
quanto accaduto in Colombia, dove
per oltre 50 anni si sono sofferte
guerriglie di vario genere: «Ora, con
gli accordi di pace firmati all’Avana,
le Farc e il governo dimostrano che la
strada delle armi non porta altro che
morte e distruzione della società. Accolgo, quindi, con favore che l’Ezln e
il Cni abbiano scelto di presentare
una proposta pacifica e legale per
cambiare il Messico».
Il vescovo ha precisato comunque
che a disposizione degli elettori ci sono alternative e opzioni diverse, con
candidati che sono diretta espressione
dei partiti e della società civile: «In
questo modo ognuno può esprimere
liberamente la propria preferenza».
Intanto, in merito alla proposta
lanciata nei giorni scorsi dal vescovo
di Saltillo, José Raúl Vera López, di
Lutto nell’episcopato
Monsignor Rufin Anthony, vescovo di Islamabad-Rawalpindi, in
Pakistan, è morto improvvisamente lunedì 17 ottobre.
Il compianto presule era nato il
12 febbraio 1940 nel villaggio di
Khushpur, diocesi di Faisalabad, e
aveva ricevuto l’ordinazione sacerdotale il 29 giugno 1969. Nominato coadiutore di Islamabad-Rawalpindi il 4 agosto 2009, aveva ricevuto l’ordinazione episcopale il
successivo 21 settembre. Il 18 febbraio 2010 era succeduto per coadiuzione nel governo pastorale
della diocesi.
promuove una nuova assemblea costituente, monsignor Arizmendi Esquivel ha ricordato che tale proposta è
stata fatta a titolo personale e non a
nome della Chiesa e dell’episcopato
messicano. Sul tema non c’è stata alcuna consultazione durante le assemblee episcopali: «Ognuno — ha aggiunto il vescovo di San Cristóbal de
Las Casas — è libero di aderire a questa o ad altre proposte altrettanto legittime, ma non può utilizzare la
Chiesa per una proposta elettorale.
Come vescovo — ha aggiunto a titolo
di esempio — faccio le mie scelte personali ma non mi permetterei di usare
il mio servizio pastorale per una campagna elettorale. Ora che i preparativi
per le elezioni sono già in pieno svolgimento, auspico invece tanta partecipazione cosciente e libera per il bene
di tutti».
spetto, non si indebolisca la nostra speranza» esortano ancora i
presuli, ricordando che «il governo locale non può essere estraneo
alle nostre preoccupazioni» e invitano tutti a dare un segnale forte al Paese: «Esercitiamo la nostra responsabilità civica andando
alle urne». Le elezioni si terranno
domenica prossima.
Intanto, a seguito di una mozione presentata alla camera dei
deputati che mira a eliminare il
saluto religioso all’inizio di ogni
sessione parlamentare, il vescovo
di Melipilla e segretario generale
della Conferenza episcopale cilena, monsignor Cristián Contreras
Villarroel, ha dichiarato che «invocare Dio non è un anacronismo, perché è l’eterno contemporaneo dell’umanità». La mozione
è stata depositata nei giorni scorsi
dalla deputata del partito comunista Camila Vallejo. Il progetto
di legge mira a modificare la tradizionale frase con la quale vengono aperte le sessioni parlamentari: «Nel nome di Dio e della
Patria si apre la sessione» e sostituirla con «In rappresentanza del
popolo del Cile si apre la sessione». La proposta — riferisce
l’agenzia Aciprensa — si basa sulla separazione tra Chiesa e Stato
in Cile, secondo la Costituzione
del 1925 e, quindi, cerca di «riaffermare che lo Stato cileno è laico e che, di conseguenza, il potere legislativo non rimanda la sua
rappresentazione a una divinità».
Ferma la replica del presule:
«Coloro che hanno voluto elimi-
nare Dio dalla storia — ha osservato — sono stati smentiti dalla
storia stessa». E al riguardo, ha
ricordato che da poco più di 25
anni è crollato il regime comunista nell’Europa orientale. «Pensare che un’invocazione a Dio
possa significare un intervento
della Chiesa in un potere dello
stato — ha concluso — significa
sottovalutare le istituzioni cilene».
Pellegrinaggio
al santuario
della prima santa
SANTIAGO DEL CILE, 18. Oltre
settantamila giovani, hanno
partecipato al pellegrinaggio
giubilare verso il santuario di
Santa Teresa de Jesús de los
Andes, dove sono venerate le
spoglie della prima santa cilena. Tema della giornata: «Vivere in Cristo il cammino della
misericordia». «È molto emozionante vedere come il Signore risveglia nei cuori di tanti
giovani la fede verso di Lui»,
ha detto il cardinale Ricardo
Ezzati Andrello, arcivescovo di
Santiago del Cile e presidente
dell’episcopato nazionale, che
ha presieduto la messa.
ROMA, 18. «È possibile avere un
mondo diverso, che le persone vengano trattate per quello che sono,
con più giustizia sociale, anche se
tutto, intorno a te, ti spinge a pensare che è un compito difficile, quasi impossibile. Del resto cercare,
sperare l’impossibile è proprio del
cristiano. E la Chiesa, per riuscire
in tale missione, ha bisogno essenzialmente di due cose, di due gambe: una è il servizio, la fede, l’altra
è la conoscenza culturale, la profondità intellettuale, in modo che al
pensiero segua la giusta azione».
Padre Arturo Sosa Abascal, nuovo
preposito generale della Compagnia
di Gesù, ha spiegato così questa
mattina a Roma — in un’affollata
conferenza stampa tenuta nell’aula
della congregazione della curia generalizia — uno degli impegni che
caratterizza da sempre l’opera dei
gesuiti, ovvero il servizio intellettuale. Servizio quest’ultimo, ha sottolineato rispondendo a una domanda, svolto anche in Cina grazie
a una dozzina di gesuiti, provenienti da Europa e Stati Uniti, che insegnano nelle università statali del
Paese. «Lavoro, il loro, esclusivamente culturale, non pastorale né
spirituale», come è invece quello
svolto da altri confratelli a Macao,
Hong Kong e Taiwan.
Panorama internazionale quello
della Compagnia di Gesù. E contributo internazionale, in termini di
testimonianze e suggerimenti, arrivato anche durante la trentaseiesima Congregazione generale che ha
eletto Sosa Abascal. «Come governerò, vi chiederete» ha detto rivolgendosi ai giornalisti. «Non è ancora stato deciso nulla, non può esserlo. Il lavoro comincia oggi, le tappe
deliberative verranno stabilite nel
futuro prossimo, così come l’équipe
di governo, gli assistenti. Una cosa
è certa: non si mette in discussione
il senso della nostra missione, il servizio della fede e la promozione
della giustizia, tenendo conto della
diversità culturale e dell’importanza
del dialogo. Confermate anche —
ha aggiunto il preposito generale —
alcune priorità stabilite dalla precedente congregazione generale, ovvero il dialogo interreligioso, la questione dei rifugiati, i flussi migratori, le situazioni di crisi e di povertà
conseguenza delle mutate situazioni
sociali». Dialogo, ha proseguito rispondendo a un’altra domanda, che
«ha necessità di essere costruito in
Venezuela, dove si vive una situazione molto difficile, caratterizzata
da violenza». Venezuela, la terra
dove padre Sosa Abascal è nato e
ha svolto fino a due anni fa la sua
missione, dove la Chiesa deve continuare a dare il suo «importante
contributo al bene comune».
Il nuovo preposito generale ha
poi tenuto a ringraziare il suo predecessore, sottolineando la grande
amicizia che li lega e che il lavoro
di «padre Adolfo» non è finito, ma
prosegue «come quello di ogni
buon gesuita. Tornerà nelle Filippine, padre spirituale in un centro pastorale».
Papa Francesco l’ha invece conosciuto nel 1983, durante la trentatreesima Congregazione generale
che segnò il passaggio di consegne
da Pedro Arrupe a Peter Hans Kolvenbach: «Fu il primo incontro —
racconta — al quale ne seguirono altri, in Argentina, quando era arcivescovo di Buenos Aires, e infine qui,
a Roma, dopo la mia nomina nel
2014 a delegato per le case e le opere interprovinciali della Compagnia
di Gesù. Molto facile entrare subito
in comunicazione con lui». (giovanni zavatta)
Impegno rinnovato dei presuli colombiani
Pace
e bene comune
Aperte dal cardinale Stella le celebrazioni per il cinquantesimo del Pontificio collegio messicano
Tre guai per i preti
«Il Messico è una sorpresa!» disse
Papa Francesco congedandosi dal
Paese latinoamericano al termine
del viaggio compiuto all’inizio di
quest’anno. E quelle stesse parole
sono state ripetute dal cardinale
Beniamino Stella, prefetto della
Congregazione per il clero, che ha
aperto le celebrazioni del cinquantesimo anniversario del Pontificio
collegio messicano a Roma.
Si tratta, ha ricordato il porporato, di un cammino iniziato negli
anni Sessanta, dopo l’assemblea
plenaria dell’episcopato messicano,
e proseguito nel tempo da preti e
formatori, che «hanno offerto il loro generoso servizio per fare della
permanenza romana un’occasione
di fraternità e di formazione permanente». Con l’approvazione degli statuti, dei regolamenti e dei
programmi, ha aggiunto, si è consolidata «l’esperienza della preghiera comune, della comunione
reciproca, del confronto e del dialogo; tutti ingredienti che garantiscono una crescita umana e spirituale».
Il prefetto ha poi esortato i presenti a considerare il compito più
importante che «deve precedere
tutte le attività» sacerdotali, cioè
quello della formazione alla sequela del Maestro. «Senza questo fondamento — ha spiegato — non possiamo essere sacerdoti secondo il
cuore di Cristo». Essere preti, ha
continuato, «non dipende tanto
dalle abilità o dalle conoscenze pastorali e dottrinali», ma, più profondamente, da «una relazione con
il Signore». È lui, infatti, che ama
per primo, che unge con l’olio dello Spirito per inviare ad annunciare la Parola; e perciò solo rimanendo nel suo amore è possibile vivere
autenticamente la vocazione.
In pratica, occorre lasciarsi guidare dallo Spirito e vincere le opere della carne, attraverso un cammino che «dura tutta la vita, nel
quale imparare ogni giorno a “essere di Cristo Gesù” e crocifiggere
“la carne con i suoi desideri e le
sue passioni”». Infatti — ha ricordato il cardinale Stella rivolgendosi
ai presenti — rinunciando «ai sottili richiami del male, impariamo a
lasciarci illuminare dalla misericordia di Dio e diventiamo più liberi
di vivere nella sequela del Signore». E in questo modo si può goderne i frutti: «l’amore, la gioia, la
pace, la magnanimità, la fedeltà, la
mitezza e il dominio di sé».
Il cardinale Stella ha quindi invitato a riflettere sulla verità del sacerdozio, attraverso «le dure parole
che Gesù rivolge ai farisei», dalle
quali occorre lasciarsi provocare.
Per tre volte Cristo dice: «Guai a
voi!». E su questa frase si possono
individuare tre modi di essere preti
e di vivere il ministero. Il primo
“guai!” è per chi paga la decima
ma trascura la giustizia e l’amore.
«Possiamo pensare al prete legalista — ha detto Stella — che osserva
scrupolosamente i piccoli rituali o
le norme, senza vivere però la carità verso i fratelli e uno stile di vita
veramente evangelico». In effetti,
egli conosce la legge, ma «la usa
per salvaguardare la propria appa-
renza o per proteggersi dal mondo
e dalle complessità della vita».
Il secondo “guai!” è per chi ama
i primi posti e i saluti nelle piazze;
ovvero «al prete mondano, toccato
dalla “mondanità spirituale”, che
dietro un’apparenza religiosa perfetta cerca soltanto la propria gloria, i propri interessi e il successo
personale». È una tentazione
«molto sottile, perché dietro agli
slanci più generosi può nascondersi l’ansia per la realizzazione dei
propri progetti o l’aspettativa di ricevere onori e riconoscimenti».
Infine, c’è “il prete ispettore del
gregge”: perché, ha concluso il
porporato, da «compassionevoli
fratelli del popolo, possiamo trasformarci in funzionari rigidi e cinici» invece che essere «buon samaritani misericordiosi».
E dei compiti dei pastori della
Chiesa, primi responsabili della
promozione, del discernimento e
dell’accompagnamento delle vocazioni, si parlerà anche nel convegno internazionale di pastorale vocazionale che si svolge a Roma dal
19 al 21 ottobre. Organizzato dalla
Pontificia opera delle vocazioni sacerdotali della Congregazione per
il clero, l’incontro sarà chiuso proprio dal cardinale Stella, che venerdì 21 ottobre presiederà la concelebrazione eucaristica all’altare
della Cattedra nella basilica vaticana e terrà le conclusioni. Il tema
scelto è ispirato al motto di Papa
Francesco Miserando atque eligendo.
Al convegno sono invitati i vescovi
incaricati della pastorale vocazionale di ogni conferenza episcopale.
BO GOTÁ, 18. «Noi vescovi cattolici della Colombia, con le
nostre comunità ecclesiali, riaffermiamo l’impegno per la riconciliazione e la costruzione
di una pace autentica. La Chiesa cattolica, a prescindere da
qualsiasi vincolo di parte, resta
ferma nel suo invito rivolto a
tutti a lavorare disinteressatamente per il bene comune». È
quanto si legge in un messaggio, a firma del presidente della
Conferenza episcopale colombiana, monsignor Luis Augusto
Castro Quiroga, arcivescovo di
Tunja, pubblicato nei giorni
scorsi al termine della riunione
straordinaria dei presuli. Nel
messaggio si ribadisce il sostegno alla pace e l’impegno per il
raggiungimento di un clima sereno.
A nome del popolo colombiano, i vescovi hanno invitato
il governo e le Farc a mantenere indefinitamente il cessate il
fuoco raggiunto. Inoltre, hanno
lanciato un appello al presiden-
te della Repubblica e alle diverse istituzioni affinché accolgano le segnalazioni che arrivano da diversi settori della società, su aspetti che preoccupano
la popolazione: unità dei colombiani, difesa della vita e
della famiglia, educazione, partecipazione politica, solidità
della democrazia e delle istituzioni, vittime della violenza,
narcotraffico, corruzione, crisi
della sanità, crisi della giustizia,
uguaglianza sociale, ideologia
di genere.
L’OSSERVATORE ROMANO
mercoledì 19 ottobre 2016
pagina 7
Rembrandt
«San Paolo in prigione» (1627)
Messa a Santa Marta
Paolo, Giovanni Battista e Massimiliano Kolbe — e con loro tantissimi pastori di ogni tempo — hanno vissuto sulla loro pelle la solitudine, l’abbandono e la persecuzione, ma anche «la vicinanza del Signore» soprattutto nei momento
di prova. È un invito a riconoscere
sempre la presenza di Dio, pur
nell’esperienza del dolore e della
malattia, quello che il Papa ha
suggerito durante la messa celebrata martedì 18 ottobre nella cappella della Casa Santa Marta.
Per la sua meditazione Francesco ha preso le mosse dal passo
della seconda lettera di san Paolo
a Timoteo (4, 10-17), proposto dalla liturgia. «Paolo è a Roma, prigioniero in una casa, in una stanza, con una certa libertà, ma aspettando non sa cosa» ha spiegato. E
«in quel momento Paolo si sente
solo»: è «la solitudine del pastore
quando ci sono difficoltà, ma anche la solitudine del pastore quando si avvicina la sua fine: spogliato, solo e mendicante». E così ecco che l’apostolo scrive a Timoteo:
«Prendi con te Marco e portalo,
perché mi sarà utile per il ministero. Venendo, portami il mantello e
i libri». Dunque Paolo è «solo e
mendicante: mendica a Timoteo le
sue piccole cose perché possano
essere di utilità a lui».
L’apostolo è anche «vittima di
accanimento», al punto che di una
persona dice: “Si è accanito contro
la nostra predicazione!”. Paolo è
«solo, mendicante, vittima di acca-
La solitudine del pastore
nimento», e per di più «dice quella parola tanto triste: “tutti mi
hanno abbandonato”». Nel tribunale è rimasto senza assistenza e
riconosce: «soltanto il Signore Gesù mi è stato vicino».
È vero che l’apostolo è «solo,
mendicante, vittima di accanimento, abbandonato — ha affermato
Francesco — ma è il grande Paolo,
quello che ha sentito la voce del
Signore, la chiamata del Signore;
quello che è andato da una parte
all’altra, che ha sofferto tante cose
e tante prove per la predicazione
del Vangelo, che ha fatto capire
agli apostoli che il Signore voleva
che anche i gentili entrassero nella
Chiesa». È «il grande Paolo che
nella preghiera è salito fino al settimo cielo e ha sentito cose che
nessuno aveva sentito prima».
Ma ora «il grande Paolo» è «lì,
in quella stanzetta di una casa, a
Roma, aspettando come finirà
questa lotta nell’interno della
Chiesa fra le parti, fra la rigidità
dei giudaizzanti e quei discepoli
fedeli a lui». E «così finisce la vita
del grande Paolo, nella desolazione: non nel risentimento e
nell’amarezza, ma con la desolazione interiore».
Del resto, ha fatto notare il Papa, «Gesù lo aveva detto a Pietro
che sarebbe finito così anche lui».
E anche «tutti gli apostoli sono finiti così: “Quando sarai vecchio,
stenderai le tue mani e un altro di
annoderà la cintura e ti porterà
dove tu non vuoi”». Questa, ha
spiegato il Pontefice, «è la fine
dell’apostolo».
Proprio «da quella stanzetta di
Paolo — ha detto Francesco — possiamo pensare a due grandi: Giovanni Battista e Massimiliano Kolbe». Il primo, «in cella, solo, angosciato, manda i suoi discepoli a
domandare a Gesù: “Sei tu o dobbiamo aspettare un altro?”. E poi
il capriccio di una ballerina e la
vendetta di una adultera gli taglia
la testa: finisce così il grande Giovanni Battista, del quale Gesù dice
che era l’uomo più grande nato da
una donna».
E ancora «più vicino a noi — ha
detto il Papa — pensiamo alla cella
di Massimiliano Kolbe, che aveva
fatto un movimento apostolico in
tutto il mondo e tante cose grandi:
è in quella cella, affamato, aspettando la morte» nel lager di Auschwitz.
«L’apostolo quando è fedele
non si aspetta un’altra fine di
quella di Gesù» ha affermato
Francesco. C’è appunto «lo spogliamento dell’apostolo: viene spogliato, senza niente, perché è stato
fedele». E ha la stessa consapevolezza di Paolo: «Soltanto il Signore mi è stato vicino», perché «il
Signore non lo lascia e lì trova la
sua forza».
«La fine di Paolo» è nota: «Dopo quasi due anni, vivendo così,
nell’incertezza, in questo travaglio
interno della Chiesa, una mattina
vengono due soldati, lo prendono,
lo portano fuori, gli tagliano la testa».
Ma come può finire in questo
modo — viene naturale domandarsi — «un uomo così grande che ha
girato il mondo per la predicazione, che ha convinto gli apostoli
che Gesù è venuto anche per i
gentili, che ha fatto tanto bene,
che ha lottato, che ha sofferto, che
ha pregato, che ha avuto la più alta
contemplazione?».
Eppure
«questa è la legge del Vangelo: se
il seme del grano non muore, non
dà frutto, perché questa è la legge
che Gesù stesso ci ha indicato con
la sua persona». Con la certezza,
però, che «poi viene la risurrezione».
«Uno dei teologi dei primi secoli — ha ricordato il Pontefice — diceva che “il sangue dei martiri era
il seme dei cristiani”». Perché
«morire così come martiri, come
testimoni di Gesù», è proprio co-
Convegno all’Institut catholique di Parigi sull’«Amoris laetitia»
Risposte aggiornate per famiglie ferite
di CHARLES
DE
PECHPEYROU
«Discernimento e maturazione delle coscienze»: è stato questo il tema della
giornata di studi organizzata dall’Institut catholique di Parigi il 17 ottobre, a
cui ha preso parte un gran numero di
esperti, per approfondire le sfide proposte dall’esortazione apostolica Amoris laetitia di Papa Francesco, pubblicata lo
scorso marzo dopo le due assemblee sinodali sulla famiglia. La sessione si è
conclusa con l’intervento molto atteso
del padre gesuita argentino Juan Carlos
Scannone, da molti anni vicino a Papa
Francesco, incentrato sul necessario accompagnamento del «discernimento spirituale, personale e rigoroso, così come
lo propone l’esortazione Amoris laetitia»,
attraverso «un discernimento pastorale
ed ecclesiale che lo confermi».
«A mio parere — ha riconosciuto il sacerdote sudamericano — Francesco governa la Chiesa lasciandosi guidare in
gran parte dal discernimento; è così che
mi sono sentito “governato” da lui quando era il mio provinciale e il mio rettore
in Argentina».
Nella prima parte del suo intervento,
dedicata al discernimento personale, padre Scannone si è soffermato in particolare sul capitolo 8 di Amoris laetitia, intitolato «Accompagnare, discernere e integrare la fragilità», proprio quello, ha osservato il gesuita, «che disturba molte
persone e che disturba di più», perché
promuove «un cammino di discernimento che nasce dalla misericordia di fronte
alla fragilità umana e che continua a riconoscere, con il concilio Vaticano II, il
valore obiettivo della coscienza soggettiva».
In Amoris laetitia, ha precisato padre
Scannone, si tratta in primo luogo della
fragilità delle «famiglie ferite», che hanno bisogno di una «risposta aggiornata»
da parte della Chiesa in quanto «ospedale da campo». Inoltre, ha ricordato
l’antico professore di Jorge Mario Bergoglio, il capitolo 8 riconosce, in linea con
la costituzione Gaudium et spes e l’insegnamento tradizionale, «la dignità della
coscienza morale come criterio ultimo di
moralità de facto». E ha invitato a «saperla rispettare pastoralmente, e non
pretendere di sostituirsi a essa, formandola». In effetti, ha osservato, la coscienza «anche se è soggettiva, fa parte
della realtà fattuale e dell’obiettività storica». Da qui il bisogno, secondo padre
Scannone, di un discernimento sia personale sia ecclesiale.
Nel suo lungo intervento tenuto davanti a un’assemblea di teologi, canonisti, filosofi e biblisti, il gesuita argentino
ha invitato soprattutto ad «avere una
nuova comprensione» dell’importanza
della dottrina sulla castità prima del matrimonio e dell’indissolubilità del matrimonio cristiano, prima di tutto rispetto
allo «stato di peccato». Padre Scannone
ha di fatto esortato a «riconoscere che,
anche quando questo obiettivamente sopravviene, non implica in modo automatico che quanti lo vivono siano sempre
privati della grazia di Dio». A tale riguardo la Chiesa «può modificare la disciplina che consiste nel rifiutare in quei
casi l’assoluzione o la comunione, senza
tuttavia cambiare la dottrina, ma applicandola a ogni singola situazione attraverso un discernimento personale ed ecclesiale secondo la carità discreta».
Nella seconda parte del suo intervento, sul discernimento ecclesiale e pastorale, il gesuita argentino ha esordito ricordando che «la Chiesa non abbandona
le persone a se stesse» nelle situazioni di
fragilità e non le lascia «alla mercé della
loro sola coscienza», ma le accompagna
«come madre ed educatrice, senza pretendere di sostituirsi alla loro responsabilità cristiana e alla loro libertà dinanzi
a Dio». Ciò avviene innanzitutto attraverso l’accompagnamento pastorale dei
sacerdoti nella direzione spirituale e o
nella confessione.
Tra le direttive pratiche per l’accompagnamento pastorale, un posto fondamentale deve essere riservato all’«esame
attento» della situazione concreta, «sia
oggettiva sia soggettiva, con la sua sto-
ria, le sue circostanze e i suoi condizionamenti, siano essi attenuanti o aggravanti». Padre Scannone ha inoltre affermato che la molteplicità delle situazioni
rende impossibile «costruire una casistica del discernimento» e richiede piuttosto di coltivare uno stato d’animo capace
di discernere «con timore e tremore»,
ma anche con fiducia nell’aiuto e nella
misericordia di Dio, nella fedeltà agli
orientamenti della Chiesa e in particolare di Amoris laetitia. Il direttore spirituale
o confessore non deve esitare ad attingere anche dalla «tradizione di discernimento spirituale nella Chiesa fin dalle
origini» e «dagli eventuali orientamenti
del vescovo stesso».
Infine, parafrasando l’esortazione apostolica di Papa Francesco, l’antico professore del seminario di San Miguel in
Argentina ha ricordato che il pastore
non è isolato e autoreferenziale, ma rappresenta la Chiesa davanti alle persone
che accompagna spiritualmente o davanti al penitente. Perciò alcuni autori fanno attualmente ricorso alla nozione di
«sinodalità nella Chiesa, un pensiero caro a Papa Francesco». Su questa base,
ha concluso padre Scannone, le conferenze episcopali e i diversi presbyteria sono invitati a «unificare i criteri di discernimento senza però cadere in una casistica univoca». A suo parere, si deve
trattare di «criteri» e non di «deduzioni
sillogistiche», che «devono potersi applicare a ogni caso secondo un discerni-
mento individuale che implica un’ermeneutica aperta e analogica».
Tra gli altri interventi di spicco di
questa giornata di studi, volta a rispondere agli interrogativi e anche alle paure
dei diversi artefici della pastorale familiare, figura in particolare quello del cardinale André Vingt-Trois, che è stato
uno dei presidenti delegati dell’assemblea sinodale di ottobre 2014. Nel suo
discorso introduttivo dedicato in gran
parte ad Amoris laetitia, l’arcivescovo di
Parigi ha ricordato che «l’arte della pastorale non è semplicemente un’applicazione automatica di leggi generali a situazioni particolari», ma è «un’arte di
accompagnamento nell’amore che il
buon pastore sente per ognuno di coloro
che gli sono stati affidati». A suo parere
è quindi opportuno «partire dalle persone e dalle realtà così come si presentano,
cercare di capirle, di scrutare quali sono
gli elementi positivi su cui potrebbe
poggiare un desiderio di conversione e
di progresso, in breve, esercitare un discernimento spirituale».
Secondo il cardinale Vingt-Trois, la
giornata di lavoro organizzata dall’Institut catholique di Parigi fa dunque parte
dell’«immenso sforzo di formazione al
discernimento al quale siamo invitati
dall’esortazione apostolica». Questo lavoro non è solo «un investimento nella
formazione permanente, sempre necessaria — ha precisato ancora l’arcivescovo —
ma s’inscrive, come tutto il percorso sinodale, in una dinamica missionaria».
Messa presieduta dal cardinale segretario di Stato
In ricordo di Antonio Maria Becciu
La messa in suffragio di Antonio Maria Becciu,
padre del sostituto della Segreteria di Stato, è
stata celebrata martedì mattina, 18 ottobre, nella
basilica vaticana. A una settimana dalla morte,
avvenuta l’11 ottobre scorso all’età di cento anni,
il rito è stato presieduto dal cardinale segretario
di Stato Pietro Parolin, che ha tenuto l’omelia.
All’altare di San Giuseppe hanno concelebrato,
insieme con l’arcivescovo Becciu, gli arcivescovi
Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati, e Jan Romeo Pawłowski, delegato per le Rappresentanze pontificie, i monsignori
Paolo Borgia, assessore, e José Avelino Bettencourt, capo del Protocollo. A conclusione della
celebrazione, alla quale ha partecipato l’intera
Segreteria di Stato, l’arcivescovo Angelo Becciu
ha avuto parole di ringraziamento per tutti coloro che gli sono stati vicini e in particolare per
Papa Francesco.
me «il seme che muore e dà il
frutto e riempie la terra di nuovi
cristiani». E «quando il pastore vive così, non è amareggiato: forse
ha desolazione, ma ha quella certezza che il Signore è accanto a
lui». Quando invece «il pastore,
nella sua vita, si è occupato di altre cose che non siano i fedeli — è
per esempio attaccato al potere, è
attaccato ai soldi, è attaccato alle
cordate, è attaccato a tante cose —
alla fine non sarà solo, forse ci saranno i nipoti, che aspetteranno
che muoia per vedere cosa possono portare con loro».
Francesco ha voluto condividere, a questo proposito, ciò che prova nel suo cuore quando va «a fare visita alla casa di riposo dei sacerdoti anziani», dove — ha raccontato — «trovo tanti di questi
bravi sacerdoti che hanno dato la
vita per i fedeli e sono lì, ammalati, paralitici, sulla sedia a rotelle;
ma subito si vede quel sorriso, perché sentono il Signore vicinissimo
a loro». Non si possono certo dimenticare «quegli occhi brillanti
che hanno e domandano: “Come
va la Chiesa? Come va la diocesi?
Come vanno le vocazioni?”». Sono preoccupazioni che hanno dentro «fino alla fine, perché sono padri, perché hanno dato la vita per
gli altri».
In conclusione il Pontefice ha
rilanciato la testimonianza di
«Paolo solo, mendicante, vittima
di accanimento, abbandonato da
tutti, meno che dal Signore Gesù:
“Solo il Signore mi è stato vicino!”». Perché, ha insistito, «il pastore deve avere questa sicurezza:
se lui va sulla strada di Gesù, il Signore gli sarà vicino fino alla fine». E così ha invitato a pregare
«per i pastori che sono alla fine
della loro vita e che stanno aspettando che il Signore li porti con
lui». Preghiamo, ha detto, «perché
il Signore dia loro la forza, la consolazione e la sicurezza che, benché si sentano malati e anche soli,
il Signore è con loro, vicino a loro:
che il Signore dia loro la forza».
Nomina episcopale
in India
La nomina di oggi riguarda l’India.
Thomas Thennatt
vescovo di Gwalior
Nato il 26 novembre 1953, a Koodalloor,
nella diocesi di Kottayam, appartiene al gruppo dei fedeli siro-malabaresi denominati Canaanites. Nel 1969 ha iniziato gli studi nel seminario minore di Pallottigiri a Trivandrum
nel Kerala. Ha completato la formazione sacerdotale nel Saint Francis de Sales college
(1971-1974), svolgendo a Nilya (Bangalore) il
noviziato nella società dell’apostolato cattolico
fondata da san Vincenzo Pallotti ed emettendo la professione solenne il 31 maggio 1975.
Ordinato sacerdote pallottino il 21 ottobre
1978, è stato cappellano in parrocchia, fino al
1980 nella diocesi di Amravati, e per un anno
nella diocesi di Eluru. Dopo il biennio di studi per la licenza in teologia nel seminario di
Poona, è stato parroco di Saint Anthony a
Mudfort, arcidiocesi di Hyderabad (19841987), direttore della commissione per i giovani e di Young catholic student/Young students’ movement (Ycs/Ysm), famiglie e laicato
dell’arcidiocesi di Hyderabad (1987-1991), parroco di Pushpanagar, in diocesi di Indore
(1991-1993), direttore regionale per i laici e le
famiglie, e per le Small christian communities
(Scc) in Madhya Pradesh a Chattisgarh (19931998). Quindi è stato per dieci anni rettore
del Khrist Premalaya Theologate ad Ashta e
direttore della commissione regionale di formazione, ricoprendo nel contempo (dal 2002)
anche l’incarico di consultore della propria
congregazione per la provincia di Nagpur.
Dal 2008 al 2012 è stato parroco a Ishgar, in
diocesi di Jhabua, presidente della Conference
of religious in India, membro del collegio dei
consultori, direttore della commissione per i
laici, le famiglie e le Scc. Dal 2012 era parroco
a Mankapur, nell’arcidiocesi di Nagpur, membro della commissione di vita cristiana, del
gruppo delle risorse nazionali delle Scc e presidente della commissione pastorale della provincia.