XXIV Lo scioglimento delle nevi. La primavera

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XXIV Lo scioglimento delle nevi. La primavera
XXIV
Lo scioglimento delle nevi. La primavera
E
ra una notte degli ultimi giorni di febbraio ed io
dormivo profondamente avvolto nel mio pigiama
di flanella, con ai piedi le babbucce di lana e con
il capo sprofondato nel cappuccio di lana pesante. Dormivo
come al solito, respirando solo attraverso una fessura lasciata
appositamente nella piega della coperta, per evitare l’aria fredda circostante.
Mi svegliai credendo di avere sentito un ronzio proveniente dalla strada, come se un motorino acceso si fosse fermato davanti alla caserma. Scartai subito l’ipotesi perché nel
dormiveglia mi sembrò inverosimile. Mi appisolai, ma poco
dopo mi svegliai di nuovo perché quel rumore, prima appena
percettibile, era diventato più inteso e non accennava a cessare
o a diminuire, anzi a mano a mano che passavano i minuti, diveniva sempre più incalzante.
Tirai la testa fuori dalla coperta per meglio ascoltare ed
infatti il rumore c’era ed era in continuo aumento. Non potevo
credere a quello che sentivo e poiché iniziava ad albeggiare,
scivolai giù dal letto, mi avvolsi bene nella coperta e aprii la
finestra per guardare sulla strada e rendermi conto di cosa stesse accadendo. Il brusio c’era, ma la strada era come al solito
deserta e senza presenza umana anche se il rumore sordo e
continuo non accennava a cessare. Guardai bene e con somma
sorpresa notai che proveniva dal vicino torrente Troncone, lasciato bianco di neve e quasi asciutto la sera, durante la notte
si era gonfiato con le acque provenienti dal disgelo dei ghiacciai. L’acqua dirompente che scendeva con violenza per la for189
za prodotta dalla pendenza, provocava vortici, rimbalzi, movimenti dei ciottoli del greto, e quindi l’insieme dei rumori era
la causa di quel cupo brontolio amplificato dagli echi lunghi e
ripetitivi della valle.
L’incantesimo era stato rotto e quella pace infinita, ovattata, profonda ormai era annullata dalle prime avvisaglie
del sopraggiungere della imminente primavera.
Era proprio così.
Nella valle la primavera si manifestava con una esplosione della natura, esattamente come era esploso il torrente
quella mattina. Nei primi giorni di marzo lentamente, ma inesorabilmente, la neve si scioglieva e lasciava affiorare dal nudo terreno ciuffi verdi di bucaneve. Dai costoni rocciosi delle
montagne lasciati ormai puliti dai fiocchi di neve aggrappati ai
cespugli, iniziavano a scivolare rumorosi rivoli di acqua che,
col passare dei giorni, divenivano sempre più grossi e numerosi e in molti casi si trasformavano in veri e propri scroscianti
torrentelli o cascatelle. Come il “crescendo” di un’orchestra
sinfonica, il concerto musicale del risveglio della natura diveniva sempre più incalzante e profondo. Per similitudine mi venivano in mente le ultime intense e fragorose note del Bolero
di Ravel, a cui mi ero appassionato sin dalla prima volta che
l’avevo ascoltato, insieme al mio amico Umberto Palladino,
eseguito in piazza dalla famosa banda musicale di Gioia del
Colle.
Anche la ricca fauna della Valle aveva fatto capolino,
divenendo rumorosa ed allegra. L’avvicinarsi della bella stagione aveva reso movimentato così il sottobosco come le cime
alpine. Mentre la coltre di neve bianca era ancora alta, solo
poche varietà di uccelli di piccola taglia si avventuravano alla
ricerca di qualche rara fonte di sopravvivenza, anzi preferivano rimanere ferme e raccolte nel proprio nido per conservare le
poche energie disponibili. Come la giornata si allungava e
qualche germoglio sbucava dalla neve, il cielo si affollava di
fagiani, pernici, e tra i rapaci appariva qualche veloce e saettante falco bianco. A volte sfrecciavano in picchiata le fameliche poiane con gli occhi spalancati ed il becco proteso nella
ricerca di cuccioli di volpi, lepri e scoiattoli, usciti all’aperto
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dal sottobosco alla ricerca del caldo sole e di qualche foglia da
brucare. Questo frenetico movimento veniva provocato dal risveglio della natura, mentre le marmotte e i tassi russavano
ancora indisturbati immersi nel loro lungo e profondo letargo,
Appostamento su muro
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ed i caprioli, i cervi e gli stambecchi per prudenza ancora non
si allontanavano dalla più sicura tana all’interno del bosco.
Anche i laghi e i torrenti sembravano avere assunto una accesa
vivacità non solo per l’irrompere delle acque disciolte ma anche per il risveglio delle sinuose trote sempre più affamate dopo il lungo inverno. Mentre a volte eravamo appostati dietro
un albero secolare o al riparo di una vecchia baita nell’esecuzione del nostro servizio, ci capitava di assistere a passaggi silenziosi di qualche capriolo, al volo di una poiana o al passaggio tra le foglie, indisturbati, di verdissimi ramarri o variopinte
farfalle.
A completare la sinfonia e a concludere l’opera infinita
e ripetitiva della natura, non mancavano di tanto in tanto le deflagrazioni provenienti dalla parte alta delle montagne, causate
dal rovinoso rotolamento a valle delle slavine determinate dal
disgelo dei ghiacci. Nella valle qualsiasi rumore si amplificava
per effetto dell’eco, e ciò accadeva particolarmente quando
scivolavano verso il basso le slavine, perché le rocce che rotolavano, che si spaccavano e che si frantumavano una contro
l’altra, producevano un fragore talmente forte e ravvicinato da
incutere un profondo senso di paura.
Tutto questo significava anche che il periodo di riposo
per la Brigata era terminato e che quindi bisognava riprendere
il lavoro di gran lena ed effettuare i lunghi servizi di appostamento, perlustrazione e verifiche, perché ormai i passi erano
liberi ed i sentieri sgombri.
Il Brigadiere, consapevole del mutato clima e della necessità di rafforzare il ritmo dei servizi, ci radunò nel salone e
con un discorso quasi solenne ci richiamò al senso di responsabilità, al rispetto delle regole ed ai principi di prudenza, così
come il luogo impervio e faticoso richiedeva.
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