SPECIALE: Vincitori e finalisti del premio nazionale di poesia nei

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SPECIALE: Vincitori e finalisti del premio nazionale di poesia nei
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Poste Italiane SpA - Sped. Abb. Postale 70% -DCB Roma
direttori Manuel Cohen e Vincenzo Luciani
Direzione - Redazione:
via Lepetit 213/1
00155 Roma
Tel-Fax 06.2286204
Trimestrale
REGISTRAZIONE
Tribunale di
Roma
n. 623/96 del 13/12/96
euro 5,00
APRILE/GIUGNO 2016
ANNO XX N.
78
SPECIALE: Vincitori e finalisti del premio nazionale di poesia nei
dialetti d’Italia “Città di Ischitella-Pietro Giannone” 2016
PP. 3-16
LA MUSA RITROVATA La poesia di Renato Filippelli
P. 21
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Periferie
Aprile/Giugno 2016
Sommario
eriferie
ANNO XX N. 78
APRILE-GIUGNO 2016
TRIMESTRALE
DIRETTORE RESPONSABILE Bruno Cimino
DIRETTORI Manuel Cohen e Vincenzo
Luciani
REDAZIONE M. Gabriella Canfarelli,
Anna Maria Curci, Anna De Simone,
Nelvia Di Monte, Claudio Porena,
Maurizio Rossi, Cosma Siani,
Rosangela Zoppi
DIREZIONE E REDAZIONE
via Roberto Lepetit 213 int. 1
00155 Roma - Tel. 06.2286204
E-mail [email protected]
www.poetidelparco.it
PREMIO ISCHITELLA-P. GIANNONE 2016 3-16
Nadia Mogini (3), Nino Fraccavento (5)
Paolo Steffan (8), Francesco Indrigo (10)
Mario D’Arcangelo (11), Patrizia Sardisco (11)
Davide Cortese (13), Salvatore Pagliuca (14)
Marino Monti (15)
NEWS
Premio Di Liegro alla carriera a V. Luciani 16
IL LIBRO: U vizzije a morte di A. Finiguerra 17
Una nuova traduzione di Assassinio
nella cattedrale di T. S. Eliot
19
Unità e varietà linguistica nella moderna
poesia dialettale della provincia di Roma
20
LA MUSA RITROVATA
La poesia di Renato Filippelli
21
ANTOLOGIA
24-26
Luciano Nota (24), Leopoldo Attolico (25)
Salvatore Di Marco (26)
RECENSIONI
27-29
V. Scarinci: Il significato secondo del bianco (27)
Un comune progetto poetico (27)
H. Paraskeva: L’odor del gelsomino egeo (29)
REGISTRAZIONE Tribunale di
Roma n. 623/96 del 13/12/96
REALIZZAZIONE Cofine srl
via Lepetit 213/1 - 00155 Roma
IN COPERTINA: Premiazione 2014
(Foto di Valerio Agricola)
STAMPA Grafiche Mercurio SpA
ANGRI (SA)
FINITO DI STAMPARE Giugno 2016
QUOTA ANNUA SOSTENITORI 20,00 €
(con 4 numeri della rivista) sul c/c/p
59612879 intestato a Associazione
Periferie via Nino Ilari 11 - 00169 Roma
IBAN: IT29 I076 0103 2000 0005 9612 879
– ARRETRATI: 10,00 €.
AVVENIMENTI: Assegnato lo Scarpellino 2016 30
IL CONCORSO: Salva la tua lingua locale
31
COME RICEVERE PERIFERIE - INVIARE 20,00 euro sul
c/c/p/ 59612879 intestato a Associazione Periferie, via
Nino Ilari 11 - 00169 Roma indicando nella causale “sostenitore Periferie” o richiederlo al tel. 06.2253179.
Il CENTRO POESIA DIALETTALE “VINCENZO SCARPELLINO” (presso la Biblioteca G. Rodari, in via Francesco Tovaglieri 237a - 00155 Roma - tel. 06-2286204) invita a spedire gratis testi dialettali (poesie, antologie, riviste, monografie, dizionari e grammatiche, materiali video e audio).
Il bollettino dei libri del Centro è sul sito www.poetidelparco.it (sezione Poeti in dialetto: “Centro di documentazione” del menù).
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Aprile/Giugno 2016
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SPECIALE
Nadia Mogini è la vincitrice del Premio IschitellaPietro Giannone 2016
Per una raccolta poetica inedita nei dialetti d’Italia
Secondo classificato Nino Fraccavento, terzo Paolo Steffan
L’umbra Nadia Mogini ha vinto la tredicesima edizione del Premio Ischitella
Pietro Giannone 2016 con la raccolta
poetica inedita in dialetto perugino Íssne
(Andarsene).
Secondo classificato Nino Fraccavento, con Frevi di marzu (Febbre di
marzo), nel dialetto siciliano di Ramacca
(CT), terzo Paolo Steffan di Castello
Roganzuolo (San Fior - TV) con Frazhun
(Frantumi), in un dialetto di area trevigiana di Sinistra Piave.
Questa la determinazione della Giuria
del Premio, composta da: Franzo Grande
Stevens e Dante Della Terza (presidenti
onorari), Rino Caputo (presidente),
Ombretta Ciurnelli, Manuel Cohen, Vincenzo Luciani, Giuseppe Massara,
Cosma Siani, Marcello Teodonio.
La scelta dei vincitori è stata operata
dopo una selezione delle raccolte poetiche di nove finalisti, di cui facevano
parte, oltre ai tre vincitori, i poeti: Davide
Cortese, Lipari (ME), con la raccolta in
siciliano Scaravaiu (Scarafaggio), Mario
D’Arcangelo, Casalincontrada (CH), con
Maravìje (Meraviglie), in dialetto abruzzese, Francesco Indrigo, San Vito al
Tagliamento (PN), con Sclisignis (Schegge)
in friulano, Marino Monti, Forlì, con Int
l’óra dl’artoran (Nell’ora del ritorno), in
dialetto romagnolo, Salvatore Pagliuca,
Muro Lucano (PZ), con Nummunàt’
(Nomea), in dialetto lucano, Patrizia Sardisco Monreale (PA) con Nuara (Orto), in
dialetto siciliano.
Pubblichiamo nelle pp. 3/16 alcune
poesie tratte dalle raccolte dei vincitori
e dei finalisti
NADIA MOGINI
I pregi di Íssne (Andarsene), breve e notevole raccolta (un
vero e proprio canzoniere in absentia) sono molti, ma tutti
richiamano a una idea della poesia che ha a che fare con
la pulizia formale e con la semplicità che attinge al dialetto
perugino. I versi sono essenziali, calibrati e misurati, spesso
in rima, mai ovvia. Ricorda molto per nitore e per profondità certe soluzioni di Giorgio Caproni e, per chiarità, il
magistero di Sandro Penna. La rastremazione formale, tesa
a una lingua basica, porta alla formulazione di composizioni brevissime, ordinate in sequenza, quasi a scandire la
vicenda luttuosa, il diario privato della pena del vivere, in
una tensione monologante dal rintocco sommesso, che va
Foto Rosella Centanni
a stanare, in un ossessivo e disincantato domandarsi sulla
pagina, quel che la poesia salva o recupera nel mare della perdita.
SPECIALE
NADIA MOGINI è nata nel
1947 a Perugia, città in cui ha
compiuto i suoi studi, laureandosi in Lettere Moderne.
Ha insegnato materie letterarie
nella scuola media in Lombardia, Umbria e Marche. Vive
ad Ancona da molti anni.
Interessata alla poesia, al
canto corale e al teatro, da
tempo si impegna in questi
settori.
Nel 2005 le è stato assegnato
il Premio come migliore caratterista femminile al Festival
Nazionale del Dialetto “La
Guglia d’oro” di Agugliano
(AN).
La sua produzione poetica è
prevalentemente nel dialetto
di Perugia (borgo di Porta S.
Angelo) con qualche escursione nella lingua italiana. In
dialetto compone anche haiku.
È vincitrice del 21° Premio Letterario Varano 2009 (Sezione
riservata ai dialetti italiani), del
XXIII Concorso di Poesia
“Sabatino Circi” 2011, Borbona (Sezione ottava rima),
della XVI edizione del Premio
“Città di Foligno” 2012 (Sezione vernacolo).
Suoi testi sono presenti in
antologie e riviste letterarie
(“Periferie”, “Versante Ripido”).
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Periferie
Aprile/Giugno 2016
Pròpio per noialtri due
quile du tazzine bianche
del caffè per tutti i giorni
tu, contento, évi arportàto.
Quand’una è ita n cocci
me so sentita nnzzoché.
N’altra uguale n l’ò rtrovàta.
Proprio per noi due / quelle due tazzine bianche / da
caffè per tutti i giorni / tu, contento, avevi riportato. /
Quando una è andata in pezzi / mi sono sentita un
nonsoché. / Un’altra uguale non l’ho trovata.
Spanciàta la bocca
pe n urlo armagnàto,
m’arfílo na giarda
co l’aqqua ch’arcòlgo
a mano gemmnàte.
L dolore sverzzàto,
benànco l più grosso,
dev’èsse educato.
Allargata la bocca / per un urlo rimangiato, / mi rifilo
un ceffone / con l’acqua presa a manciate. / Il dolore
senza contegno, / seppure il più grande,/ deve essere
educato.
La casa, zzitta, penzza
con quil’educazione
de chi à riguardo
e sente la mancanzza.
La casa, zitta, pensa / con quella educazione / di chi
usa riguardo / e sente la mancanza.
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Aprile/Giugno 2016
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SPECIALE
NINO FRACCAVENTO (2° classificato)
Frevi di marzu (Febbre di marzo) è una raccolta caratterizzata da un
respiro lirico spontaneo, che va dall’invettiva al compianto in una chiave
diretta, a voce spiegata e come convintamente rivolta a una comunità
presente e riunita in ascolto. La versificazione irregolare segue le pieghe
del discorso a volte estenuato nel suo stesso dirsi e che sembra mimare
il parlato, il forte radicamento nel mondo dell’oralità. Sarà per questo
che la silloge di Fraccavento è contraddistinta da tipiche movenze e luoghi
della poesia dialettale siciliana. Eppure potrebbero bastare un paio di
poesie per giustificare l’intera suite tutta giocata sul senso della distanza
e della perdita luttuosa di amori, affetti e amicizie: E non cancia nenti,
dove il filtro del tempo e la saggezza dell’anagrafe consente all’autore una
lettura partecipe e tuttavia razionale delle cose e della Storia, e Nsunnarisi Sicilia, un inno d’amore intriso del sentimento ambivalente di struggimento e malinconia. Testi elementari, eppure di grande forza.
…e non cancia nenti
Lu tempu squagghia lentu
comu cira di cannila
e non cancia nenti.
Sempri li stissi cosi,
la stissa vita nuda e cruda
ca ti trasi ni l’ossa
comu malatia tisica e priputenti.
C’è cu’ si scorda lu passatu,
fumu di li jorna persi e pirduti,
c’è cu’ campa di spiranzi ranni
e non sapi nenti
pirchì non ni voli sapiri…
e non cancia nenti.
C’è cu’ vidi la so storia,
la vita di suli russu e ardenti
e cui di luna giarna e d’argentu,
acqua fitta ca scinni forti
ni li firiti e vini sicchi
di tutta la genti…
e non cancia nenti.
C’è cu’ porta sacchi e çiuri,
piaciri e amuri,
pisi e bastimenti;
SPECIALE
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Periferie
Aprile/Giugno 2016
c’è cu’ è patri di tutti
e non è patruni poi di nenti
e ridi e chianci sutta li linzola…
e non cancia nenti.
Mentri fora la vita çiuscia
comu lu tempu
e non si sàzia di siminari prumissi
tra fogghi e radici,
çiumi e mari
nenti cancia né po’ canciari.
Pirchì ognunu è sulu
e non è forti di lu so distinu
– petri duri tanti –
sempri li stissi e mai canciati,
comu li jorna e notti di li tempi…
ma non cancia nenti
non cancia nenti!
…E NON CAMBIA NIENTE - Il tempo scorre lento / come cera di candela /
e non cambia niente. / Sempre le stesse cose, / la stessa vita pura e cruda
/ che penetra nelle ossa / come una tisi prepotente. // C’è chi dimentica il
passato / apparenza dei giorni passati e finiti, / c’è chi vive di speranze
grandi / e non sa niente / perché non vuole saperne… / e non cambia niente.
// C’è chi vede la sua storia, / la sua vita di sole rosso e ardente / e chi di
luna pallida e d’argento, / acqua fitta che cade impetuosa / nelle ferite e
nelle vene aride / di tutta la gente… / e non cambia niente. // C’è chi porta
sacchi e fiori / piaceri e amori, / pesi e bastimenti; / c’è chi è padre di tutti
/ e non è padrone poi di niente / e ride e piange sotto le lenzuola… / e non
cambia niente. // Mentre fuori la vita scorre / come il tempo / e non si sazia
di seminare promesse / tra le foglie e le radici, / fiumi e mari / niente cambia
né può cambiare. // Perché ognuno è solo / e non è padrone del proprio
destino / – pietre dure tante – / sempre le stesse e mai cambiate / come i
giorni e le notti dei tempi… / ma non cambia niente, / non cambia niente!
Nsunnarisi Sicilia
Un sulu jornu,
forsi na sula notti
e ancora cutturiavi lu ventu
dicennuci cu lingua lappusa:
Portici lu me çiatu a la chiantimi
ca stamatina smammai ni la me terra.
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SPECIALE
Non è la terra ca mi chiama
sugnu iu ca trasu ni idda.
E lu ventu ci turnau l’occhi a la negghia
sutta l’urtima luna calanti
c’annacava lu mari facennusi giarna e murennu.
E ci ni voli tempu
prima c’agghiorna e sbampa
la prima frevi di marzu
ci ni voli…
prima ca la Chiana e la Conca linziati
tornanu a parturiri Sicilia ancora.
Tinìti,
chistu è lu cocciu nicu d’omu
ca siminava frummentu sudannu
e parrava a li ciavuli:
nfasciati li so carni
e facìtini luminaria.
Vivìti,
è lu so sangu
di prèula pinnenti a fogghi d’oru,
non è vampa di linazza.
– E a Trizza li pisci fannu scumazza
e a Capaci la genti si strazza la peddi
pi dòrmiri un sonnu ‘n silenziu. Non canta chiù la terra,
non ridi a lu ros’anticu di li nuvuli;
la parma virdi àvuta e spinusa
si va curcannu ‘n vrazza a lu miciaciu.
Ah, nsunnarisi Sicilia,
vistuta di sciroccu e tramuntana,
ncipriarisi e spampanarisi tutta,
grapìrisi li çianchi e accucciarisi
lu primu veru ventu d’aprili.
E manu e occhi a centu
fari la uardia a lu suli e a lu mari
pi sunnari, sunnari!
Vulissi essiri zannu e mavaru,
ANTONINO FRACCAVENTO
(detto Nino), nato a Ramacca
(CT) nel 1958, è assistente
amministrativo presso una
scuola statale.
Ha pubblicato: Ramacca,
1992, raccolta di foto e
poesie; Chiana e Biveri, collettivo di poeti (Prova d’Autore 2002).
Ha vinto per due volte i concorsi di poesia: Premio Internazionale di poesia “Città di
Marineo”, (Marineo, PA);
Premio “Angelo Musco” (Milo,
CT), Premio “La Gorgone
d’oro”, Gela (CL), Premio
“Turi Zappalà”, Nicolosi CT.
Ha vinto anche il Premio
“Mario Gori”, Niscemi CL; il
Premio Città di Venezia; e il
Premio Cava de’ Tirreni.
Scrive racconti in dialetto
ramacchese ed ha in cantiere
la pubblicazione di un
romanzo in lingua.
Suona il pianoforte ed ha
composto brani con testi dialettali.
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Periferie
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diu senza scantu di la storia,
chi canta lu jornu, canta
e la notti si va nsunnannu.
SOGNARSI SICILIA - Un solo giorno, / forse una sola notte / e ancora tormentavi il vento / dicendogli con lingua asprigna: / porta il mio fiato alle
piantine / che stamattina trapiantai nella mia terra / non è la terra che mi
chiama / sono io che entro in essa. // E il vento restituì gli occhi alla nebbia
/ sotto l’ultima luna calante / che cullava il mare facendosi pallida e morendo.
// E ce ne vuole tempo prima che albeggi e imperversi / la prima febbre di
marzo / ce ne vuole… / prima che la Chiana e la Conca lacerate / tornino
a partorire Sicilia ancora. // Prendete, / questo è il chicco piccolo d’uomo /
che seminava frumento faticando / e parlava alle taccole: / fasciate le sue
carni / e fatene luminarie. / Bevete, / è il suo sangue / di pergolati pendenti
a foglie d’oro, / non è vampata di stoppie. // E a Trezza i pesci fanno schiuma
/ e a Capaci la gente si strappa la pelle / per dormire un sonno in silenzio.
// Non canta più la terra, / non ride al rosa antico delle nuvole; / la palma
verde alta e spinosa / va coricandosi in braccia alla consunzione. // Ah,
sognarsi Sicilia / vestita di scirocco e tramontana, / incipriarsi e sbocciare
tutta, / aprirsi i fianchi per abbracciarsi / il primo vero vento d’aprile! / E
mani e occhi a centinaia / fare la guardia al sole e al mare / per sognare,
sognare! // Vorrei essere zingaro e incantatore, / dio senza aver timore della
storia / che canta il giorno, canta / e la notte si va sognando.
PAOLO STEFFAN (3° classificato)
Il giovanissimo autore e filologo della provincia trevigiana, con Frazhun
(Frantumi), in un dialetto di area trevigiana di Sinistra Piave, ci consegna
una tra le sillogi più inquiete e tuttavia più interessanti: al poeta resta
la possibilità ultima di ‘rimasticare scarti di una lingua / inceppata che
si sta frantumando’, dove il verso si spezza proprio a un nodo cruciale:
lengua / incantada: un enjambement che certifica l’abilità retorica di
questa voce colta e civile, attenta al paesaggio ferito e dilaniato e tesa a
certificare, a stigmatizzare, tutto il malessere per un mondo in disfacimento. L’ultimo testo ha una valenza destinale: ‘mi preparo una culla’,
è il luogo di natura, ma è anche la couche linguistica in cui rifugiarsi e
con cui proteggersi dal sentimento di minaccia e di fine.
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SPECIALE
Ndarghe drio ai ùltimi bòt de campane
rento paeśi che no se cognose
pi, l’é rumegar scoazhe de na lengua
incantada che la é drio far frazhun.
Dare retta agli ultimi rintocchi di campane / dentro paesi
irri- // conoscibili, è rimasticare scarti di una lingua /
inceppata che si sta frantumando.
Anca sote le fonde
dei palazh vèci drio ’l Mesc
l’à da èserghe radis
che le ciùcia rento ’l médol
de l’ànema poc mèstega
de ’n ben rùspego che ’l taśe.
Anche sotto le fondamenta / dei vecchi palazzi lungo il
Meschio* // devono esserci radici / che succhiano dentro
il midollo // dell’anima indomita / di un amore ruvido
che tace.
* Il Meschio è un fiume che nasce a nord di Vittorio Veneto
e sfocia nel Livenza. La parte più caratteristica attraversa il
centro storico di Serravalle.
Me parece na cuna in fra i frazhun
de ’n tenp che l’à studià
pèrder tòc
farme córer
rento ’n vodo patòc
pa’ bòt e grop torcoladi de scur.
Mi preparo una culla fra i frantumi / di un tempo che si
è affrettato / a perdere pezzi // a mettermi in fuga /
dentro un assoluto vuoto / per rintocchi e nodi attorti di
buio.
PAOLO STEFFAN (Conegliano,
1988) da sempre vive a Castello
Roganzuolo. Dopo la maturità
classica, si è laureato in Filologia e letteratura italiana all’Università di Venezia, con una tesi
triennale sui«conglomerati» di
Andrea Zanzotto e una tesi magistrale sulla poesia di Luciano
Cecchinel. Di queste esperienze
di ricerca sono esito due monografie: Un «giardino di crode disperse». Uno studio di Addio a
Ligonàs di Andrea Zanzotto (con
prefazione di Ricciarda Ricorda,
Aracne 2012) e Luciano Cecchinel. Poesia. Ecologia. Resistenza (con prefazione di Alessandro Scarsella, premio editoriale “Arcipelago itaca” 2015, in
pubblicazione). Ha ricevuto riconoscimenti come poeta in dialetto per la silloge Bacàr /
Ansimi (2014) e per la raccolta
inedita Slama del tenp / Melma
del tempo (2015). Suoi versi sono
stati accompagnati da note critiche di Manuel Cohen, Fabio
Franzin e Flavio Ermini. Col
prof. Giuliano Galletti, sta
curando la prima edizione del
monumentale poema La redenzione d’Italia del poeta e patriota
Sebastiano Barozzi (Edizioni
Comune di San Fior, 2016); è
collaboratore del lit-blog «Poetarum Silva» e gestisce un blog
sulla poesia di Cecchinel.
SPECIALE 10
Periferie
Aprile/Giugno 2016
FRANCESCO INDRIGO (Finalista)
Le schegge o frammenti che compongono la silloge Sclisignis (Schegge),
riaffiorano dal passato, dal paesaggio e dalla più stringente attualità o
cronaca. Sono armi aguzze, boomerang acuminati, che pervadono di
prosa del mondo i versi della lingua friulana, qui resa con fresco ritmo,
maestria ed eleganza. Il tocco, deciso, è capace di flessibilità, e di convincente congruità nell’aderenza a temi svariati, che non esitano a sfiorare la tragedia: si affronta la sofferenza della natura (si pensi al testo
in cui si descrive la fine di un ciliegio), le vite marginali, affette da mali
e difetti fisici, fino alle riverberazioni dell’epoca (i migranti, gli emarginati, la vittima di bullismo). Le piccole narrazioni presentano tuttavia
sfumature ben temperate, mai stridenti o enfatiche, mostrando una spiccata e pudica sobrietà tonale.
A son ploia nuda, intasats, sparnisats
e sbarlumits da chista Viarta di no podê. nomenâ,
in fila in sorta
a spetin il pasapuart dal scûr.
E po platâ il cuarp
e il sun da la vôs e il propi non,
cundurâ un bûs tal siarai dal mont
par scjassasi enciamò pì in nà,
dulà che sopis, pieris, barats e pantan
a movin i pas ta li’ talpadis dal mis-mas.
I compais in banda tal font dal Mediterani
a pratindin la memoria dai fioi da la ploia.
Enciamò un cunfin, un pas, un clap di demarcazion,
un vint nouf dulà bati l’entrada,
e a la fin l’impalpabil ma sblanciat svual dal cocal.
A li’ voltis i rudinas a scjavassin il criviel da la storia.
Sono nuda pioggia, accatastati, smistati / e smarriti da questa primavera
innominabile, / in ordine sparso irreggimentati / attendono il salvacondotto
del buio. / E poi nascondere il corpo / e il suono della voce e il proprio nome,
/ pazientare un varco nella recinzione del mondo / per scaraventarsi ancora
più oltre, / dove zolle, pietre, rovi e fango / muovono i passi sulle orme del
tumulto. / I compagni appartati nel fondo del Mediterraneo / reclamano la
memoria dei figli della pioggia. / Ancora un confine, un valico, un cippo di
demarcazione, / un nuovo vento a cui bussare l’accesso, / e infine l’effimero
ma cangiante volo del gabbiano. / A volte i detriti attraversano il setaccio
della storia.
Periferie
Aprile/Giugno 2016
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SPECIALE
FRANCESCO INDRIGO, è nato nel 1956 a San Michele al
Tagliamento, VE, nel Friuli storico. Risiede in Località Santa
Sabina, a San Vito al Tagliamento (PN). Ha pubblicato in
riviste, antologie, albi e fogli sparsi. Nel 2001 la raccolta
Matetâs (Nuova Dimensione ed.), nel 2005 Foraman (Campanotto ed.), nel 2008 Foucs (New Print ed.), nel 2009 Revòcs
di tiara (Kappa Vu ed. ), nel 2013 La bancia da li’ peraulis
piardudis (Kappa Vu ed.). È vincitore di premi di poesia
nazionali ed internazionali. Cofondatore e coordinatore del
gruppo di poesia/laboratorio “Mistral”, fa parte del gruppo
“Majakovskij.
MARIO D’ARCANGELO (Finalista)
Poesia a forte impatto emozionale quella della raccolta Maravìje (Meraviglie), in dialetto abruzzese, venata di memorie etnografiche, rurali e
familiari, che vive il sentimento di un costante stupore, di meraviglia del
mondo attraverso una phoné popolare ed etnografica commista a un registro alto, di chiara ascendenza letteraria. Autore di notevole perizia (si
legga il testo che vale quale enunciato di poetica, Ràdeche, con l’allitterazione di verbi con prefissi intensivi: ch’arepasse, arescorre s’arepresente), si segnala per la capacità di tratteggiare occasioni e situazioni di
natura e di paesaggio.
Ràdeche
Ràdeche sole e mbríje pe sentire
d’addò arebbíje le timpe e le recurde
come se fusse penzìre che s’affolle
s’arradune, àneme de nu monnne
ch’arepasse arescorre s’arepresente
e tu l’arechenusce da lu descorre
da sta parlature de storie e maravìje
ch’areffiore, s’arebbive. Avaste nu suspíre
d’arie, nu ventejole de rase na carezze
che se spanne a deritte e a manche
pe ogne verse e a la ddummerse.
L’avvirte da nu cante da nu ccenne
da nu jì nu camenà a passe lente
na forze senza danne ma secure,
crijature de nu bene e de nu sonne
che mo s’arecumpugne, trove vije
e voje de campà... de ’nne mmurì.
SPECIALE 12
Periferie
Aprile/Giugno 2016
RADICI - Radici sole ed ombra lungo i sentieri / da dove ricomincia il tempo
dei ricordi / come se fossero pensieri che si affollano / si radunano, anime
di un mondo / che ripassano riscorrono si ripresentano / e tu le riconosci dal
discorso / da questa parlata di storie e meraviglie / che riaffiorano, rivivono.
Basta un sospiro / d’aria, un venticello di raso una carezza / che si espande
a dritta e a manca / per ogni verso e all’incontrario. // L’avverti da un canto
da un accenno / da un andare un camminare a passo lento / una forza senza
danno ma sicura, / creature di un bene e di un sogno / che ora si ricompongono, trovano via / e voglia di vivere...di non morire.
MARIO D’ARCANGELO è nato nel 1944 a Chieti e risiede a
Casalincontrada (CH). Pluripremiato in gare regionali, ha vinto
concorsi nazionali per la poesia in dialetto: “Vie della Memoria”
- Pescara 2009; “Premio Tagliacozzo” 2010; Salva la tua lingua
locale, Sezione Inediti 2015.
Ha pubblicato: Senza Tempe, Edigrafital, Sant’Atto (TE) 2004;
Albe e ne albe, Edizioni Cofine, Roma 2011, con prefazioni di
Achille Serrao e Nicola Fiorentino. È stato recensito in varie
riviste nazionali e nel mensile “Poesia” (n. 266, dicembre 2011)
a cura di Anna De Simone.
PATRIZIA SARDISCO (Finalista)
Nella silloge Nuara (Orto), composizioni eleganti e puntiformi, in un siciliano trasfigurato da esercizi di surrealtà e da virtuosismi verbali, dalla
spiccata tendenza a uno sperimentalismo che trae dal dialetto sonorità
inusitate e immagini a tratti sfavillanti, dove i testi si succedono nel
flusso invariato e asintattico del cumulo aggettivale e appositivo. I virtuosismi lessicali, tra sonorità ritornanti e allitterative, accompagnati
dalla punteggiatura che cadenza ritmo e pause della partitura, esaltano
i versi, le parole chiave e i significati più reconditi dei testi.
N. 20
parrari ncrita
parissi funnurigghia
ma quannu s’arrisetta acchiana
e allura è u levitu
è aria maliritta
Periferie
Aprile/Giugno 2016
13
SPECIALE
e addiventa ciuri
mi mmriachi ’i signali
e mi nn’assuppi a negghia
nura e funnuta e nica
nuàra assulacchiata
cota tra lingua e cielu
vucca tra cielu e vrazza
tra mia e mia nùtrica
tra mia e a matri crita
parlare di creta / sembrerebbe fondiglio // ma quando trova nuovo assetto
sale / e allora è il lievito / è aria maledetta che diventa fiore // mi ubriachi
di segni / e me ne assorbi la nebbia / nuda e profonda e piccola / orto assolato // raccolta tra lingua e cielo / bocca tra cielo e braccia / tra me e me bambina / tra me e la madre creta
PATRIZIA SARDISCO è nata nel 1967 a Monreale (PA), dove
vive tuttora. Laureata in Psicologia, specializzata in Didattica Speciale. Lavora in un Liceo di Palermo. Scrive in lingua
italiana e in dialetto siciliano. Sue liriche e alcuni racconti
brevi compaiono in antologie, riviste e blog letterari. A tutt’oggi la sua produzione poetica risulta interamente inedita.
È stata finalista al Premio Ischitella-Pietro Giannone del
2014.
DAVIDE CORTESE (Finalista)
L’autore, alla sua prima prova con la raccolta Scaravaiu (Scarafaggio),
nel dialetto di Lipari, nonostante qualche inesattezza di lessico e di accentazione, controlla un impasto linguistico materico e figurale di grande
sonorità; le composizioni, brevi, sono dense d’immagini efficaci dal taglio
netto sapidamente disposto, che si segnalano per l’indubbia profondità
dei contenuti.
U ritornu tua schicciulìa mari.
I sali è u cantu supr’e labbra tua.
Trema a luci supr’a pedda tua scura.
Acqua, iò.
SPECIALE 14
Periferie
Aprile/Giugno 2016
Acqua.
C’avi dintra a luci
e sali duci.
Il tuo ritorno gocciola mare. / Di sale è il canto sulle tue labbra. / Trema la
luce sulla tua pelle scura. / Acqua, io. /Acqua. / Che ha dentro la luce /e
dolce sale.
DAVIDE CORTESE è nato nell’isola di Lipari nel 1974 e vive
a Roma. Si è laureato in Lettere moderne all’Università degli
Studi di Messina con una tesi sulle “Figure meravigliose nelle
credenze popolari eoliane”. Nel 1998 ha pubblicato la sua
prima silloge poetica, titolata ES (Edas, Messina), alla quale
sono seguite le sillogi: Babylon Guest House (Libroitaliano,
Ragusa, 2004), Storie del bimbo ciliegia (un’autoproduzione
del 2008), Anuda (Aletti Editore, Roma, 2011) e Ossario
(Arduino Sacco Editore, Roma, 2012).
SALVATORE PAGLIUCA (Finalista)
A comporre Nummunàt’ (Nomea), un piccolo Spoon River lucano, sono
venti ritratti di esistenze comuni e straordinarie, tratteggiati con fine
artigianato e con capacità intuitive nel cogliere l’essenziale di un carattere in poche battute, riportando sulla pagina una comunità di nomi
che, come in un mosaico, ricostruisce ora con umorismo ora con sagacia
inesorabile, la faticosa e spesso insensata sorte di ognuno.
13
Pot’ ess’ quigghiu rir’ rahìntr’
a rient’ carut’ – ra šcantàt’ –
ca caresc’ Palmin’ ra for’
ca m’ appacj a la sort’.
S’ trascìn’ nu burson’ a rutegghj
anghiut’ r’ zepp’, r’ cusaregghj’
scettat’ ch’accoglj p’ vij.
Sop’ cas’ ten’ n’uort’ appes’ a rr’ cost’
abbrazzat’ ra murescin’ r’ fravich’ antich’
ca Palmin’ rupezz’. Ndò lev’ nu vricc’
p’ na mezza mullett’ p’ spann’ li pann’,
ndò ’ngugn’ nu bamboccj ch’av’ pers’ la cap’.
Periferie
Aprile/Giugno 2016
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SPECIALE
Forse è quel sorriso / a denti caduti - da scimunita - / che si porta Palmina
dalla campagna / che mi pacifica con il destino. / Trascina un carrellino /
riempito di fascine, di piccole cose / buttate che raccoglie per strada. / Sopra
casa ha un orto appeso al costone / abbracciato da antichi muri a secco / che
Palmina restaura. / Dove toglie una breccia/ per una mezza molletta da biancheria, / dove incunea un bambolotto che ha perso la testa.
SALVATORE PAGLIUCA, nato nel 1957 a Muro Lucano (PZ)
ove risiede. È archeologo ed è tra i fondatori del Museo
Archeologico Nazionale di Muro Lucano e del Centro Culturale Franco-Italiano, curatore di mostre d’arte contemporanea e manifestazioni letterarie. Scrive in lingua e in dialetto. In poesia ha pubblicato: Cocktél, Librìa, Melfi (PZ)1993;
Orto botanico, Librìa, Melfi (PZ) 1997, Premio Albino Pierro;
So quanti passi - Memoire de murs, con traduzione in francese e fotografie del reporter italo-francese Antonio Pagnotta,
Grafiche Finiguerra, Lavello (PZ) 1998; Cor’ šcantàt’, Stupido
cuore spaventato, poesie in amore Grafiche Finiguerra, Lavello
(PZ) 2008; Pret’ ianch’, Pietre bianche, traduzione in inglese di Nicoletta De Cillis,
contenente CD con versi recitati dall’autore e musiche di Vincenzo Izzi, Grafiche
Finiguerra, Lavello (PZ) 2010; Lengh’ r’ terr’, Lingua di terra, prefazione di M.
Cohen, Dot.com Press-Le Voci della Luna, Milano 2012.
Vincitore ad Ancona del premio ‘Poesia onesta’ (2011), del premio brianzolo ‘Mezzagoarte 2010’ e del premio ‘Albino Pierro’ (1997).
MARINO MONTI (Finalista)
Lirico autentico dalla voce monocorde, la cui scrittura vive di richiami
di natura e di memoria domestica. dalla parola basica e rarefatta, tesa
alla sintesi efficace di suoni e immagini evocate nell’economia del verso.
La silloge Int l’óra dl’artoran (Nell’ora del ritorno), in dialetto romagnolo,
conferma la sua cifra più esistenziale e crepuscolare: un ritratto delicato
e una istantanea suggestiva della Romagna rurale e di una civiltà in via
di sparizione.
Parôl sminghêdi
Parôl sminghêdi,
ch’ al fiurés
coma rósi
a maz,
int un zét
SPECIALE 16
Periferie
Aprile/Giugno 2016
che pianì pianì
e’ va
a murì.
Parole dimenticate – Parole dimenticate,/ che fioriscono / come rose / a
maggio,/ in un silenzio / che piano piano / va / a morire.
MARINO MONTI, nato a San Zeno di Galeata in provincia
di Forlì nel 1946, vive a Forlì dove si è diplomato all’Istituto
Tecnico Industriale Guglielmo Marconi. Ha svolto la sua
attività lavorativa come perito industriale capotecnico nei
settori produzione e progettazione industriale. Si è incontrato con la poesia in età relativamente matura. I primi
testi risalgono al 1990.
Ha pubblicato quattro raccolte in dialetto romagnolo: E’
bat l’ ora de’ temp (1998), A l’ombra di dé (2001), L’ânma
dla tëra (2004) e Int e’ rispir dla sera (2007), per l’editrice
La Mandragora di Imola. Per la casa editrice Pazzini di Villa
Verrucchio (RN) ha pubblicato nel 2010 Stasón (Premio
Salvo Basso, Catania) e nel 2012 Posie di Romagna, in dialetto romagnolo, tradotto in portoghese da Anabela Cristina Ferreira, docente
dell’Università di Bologna.
Collabora con articoli sulle tradizioni romagnole e con poesie su giornali e riviste. Vincitore e finalista in diversi concorsi poetici, è Minéstar dell’antico centro
culturale “E’ Raòoz” di Forlì.
NEWS
Premio alla carriera a Vincenzo Luciani
Sabato 30 aprile, presso i Musei di San Salvatore
in Lauro, si è svolta la cerimonia di premiazione dell’VIII Premio Internazionale di poesia don Luigi Di
Liegro.
A Vincenzo Luciani è stato assegnato un premio speciale alla carriera per la sua dedizione al servizio della
comunità e del territorio, in quanto “promotore di iniziative per la salvaguardia delle lingue minori e dei
dialetti locali, tra cui la fondazione della rivista ‘Periferie’, del Centro di
documentazione dialettale ‘Vincenzo Scarpellino’ e dell’omonimo premio
letterario. È stato altresì l’ideatore di due tra i principali premi dedicati
alla poesia dialettale: il Premio Ischitella-Pietro Giannone e il Premio
‘Salva la tua lingua locale’. Poeta in lingua e in dialetto garganico tra i
più raffinati della sua generazione, è stato accolto nelle principali riviste
e antologie del settore”.
Nella foto: Luciani premiato dall’on. Luigina Di Liegro
Periferie
Aprile/Giugno 2016
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IL LIBRO
Assunta Finiguerra
San Fele e U vizzije a morte
di Maria Gabriella Canfarelli
Energica e vibrante la
voce di Assunta Finiguerra
nata, vissuta e morta a
San Fele, tra le più originali e autentiche dell’inizio
di questo secolo; un versificare denso e aspro, duro
come la verità, scomodo
perché oppositivo alle convenzioni sociali, al perbenismo ipocrita. Di questa
grande autrice lucana
apprezzata dai critici letterari per originalità e forza
dirompente dei suoi versi,
sovrabbondanti di immagini e metafore che rinnovano metafore, ritroviamo
il pensiero lucido, analitico, la volitività
che smuove e rovescia gli schemi,
infrange divieti.
Dai primi esiti sino al libro postumo
U vizzje a morte (Il vizio della morte).
Poesie 1997-2009, pubblicato con introduzioni di Roberto Pagan e Rosangela
Zoppi da Edizioni Cofine, Roma, 2016,
ritroviamo, l’anima di Assunta, in quel
percorso di scrittura in dialetto sanfelese, pregna del grido di verità. Lo stesso
grido che in forma di sapida invettiva
reclama il diritto alla libertà di essere.
In uno stile autonomo, originale, inconfondibile, tra dettagli dall’effetto straniante e notturno realismo magico, la
poetessa inchioda la realtà più cruda
alla più nuda rappresentazione di ciò
che agita l’essere nel tempo, il dolore
prima di tutto (fisico e metafisico) nu
dolore de matricie, stigma esistenziale
da lenire con l’amore, bisogno ineludi-
bile e allo stesso tempo
sofferenza, avida mala
serpe che mange notte e
journe/re lluatte me
sorchje da re mménne /
ognune ca passe sape d’a
cunduanna (mangia notte
e giorno / il latte mi succhia dalle mammelle /
ognuno che passa sa della
condanna).
L’amore
che
tutto
prende e niente dà, che
lascia svuotati, privi di
forza, è una serpe dai molteplici significati (temposerpe che si mangia la
coda, apre e chiude il cerchio vitale; è principio della tentazione
d’amore e del desiderio di conoscenza;
e infine, tratta da un diffuso modo di
dire – allevare la serpe in seno, il nemico
nascosto, il traditore- e certo fuor di
metafora, è A serpa vescelosa ca n’accediette – la viscida serpe che non uccisi
– preciso riferimento alla tragica realtà
della malattia).
Finiguerra è dotata di una forza
espressiva di tale intensità da fare pensare al moto centrifugo; ogni verso è un
colpo di frusta, uno schizzar via delle
parole dal centro che le racchiude (il
pensiero, la ragione, il nucleo incandescente) all’esterno; la concretezza quasi
terrosa del dialetto, lingua di dolcezza
e furore in egual misura, non esprime
un’arcadia sospirosa e ingenua, piuttosto è terra di battaglia dialettica tra
sé e l’altra sé – la figura più intima e
prossima – e tra sé e l’altro, il micro-
IL LIBRO 18
cosmo cui mostrare la faccia nascosta
della luna. Sostenuta dalla propria autonoma formazione culturale, Assunta rivisita i miti e le credenze del mondo rurale
in cui è nata, e li riscrive e li riconduce
alla propria condizione esistenziale, quel
male di vivere da cui guarire, oltre che
con l’amore, con la natura che rinasce e
di cui celebra la vita, nonostante il vizio
della morte, il baco che è in noi.
Alle creature animali con cui si identifica, alla natura sua gemella e sodale,
rivolge la propria voce appassionata in
un crescendo di rimandi, paragoni,
immagini; orgogliosamente rivendica
l’appartenenza alla terra natale: Sò na
cafone e figlie de cafune / me nerguglissce u suanghe ca me cambe / fiume
de ire, vespre e terre sande / e vònghele
ceniére de penziere (Sono cafona e figlia
di cafoni / m’inorgoglisce il sangue che
mi campa / fiume d’ira, vespro e terra
santa / e tenero baccello di pensiero)
quanto più sente, avverte d’essere considerata straniera. E ancora: Ije sò na
poetessa zappatore / a terre è mamma
mije, (…) / me piace arà cu penziere
tèmbe toste / (…) // poi scave surche pe
l’acqua chiuvane / e nneste re vvite cu
sapuore a lune / e nde rafaniedde
vuozze de sete / u buasìleche nzéppe a
bbandiere // e re carciòffele ndò cuande
a sere / re apre o viende cume scustumuate / e re cepodde cunduann’o
chiuande / sop’a quere mmane ca prèghene u ciele (Sono una poetessa zappatora / la terra è mia madre, (…) / mi
piace arare col pensiero zolle dure / (…)
// poi scavo solchi per l’acqua piovana
/ e innesto le viti col sapore di luna / e
nei ravanelli bozzoli di seta / il basilico
infilo a bandiera // e i carciofi nel canto
della sera / li apro al vento come scostumati / e le cipolle condanno al pianto
/ su quelle mani che pregano il cielo).
L’osservazione di un piccolo mondo
Periferie
Aprile/Giugno 2016
in sé concluso, in cui lo sguardo acuto
di Assunta trae autentica poesia, si traduce in una tensione esistenziale sfibrante alla quale opporre resistenza
scrivendo, dando vita alle cose inanimate; gli oggetti d’uso quotidiano
entrano di diritto a far parte dell’esperienza umana, che si tratti di padella
(paragonata alla luna), bicchiere, piatto,
sottovaso, lenzuolo, letto, gabbia o di
indumenti (vestaglia, camicie, gonnelle),
tutto diventa magico grazie a una penna
felice, all’immaginazione con cui Finiguerra re-inventa lo spazio e il tempo
della vita.
Dopo Rescidde (Scricciolo, 2001) librosimbolo della fragilità umana, l’autrice
pubblica Solije (Solitudine, 2003) con
Zone Editrice, e Scurije (Lietocolle,
2005), tre raccolte in cui profonda è la
percezione di pena esistenziale, ma la
voce poetica che al malessere di vivere
si oppone è coraggioso e orgoglioso
rifiuto d’ogni condanna; una sfida verbale rivolta agli umani, e al creatore che
non s’accorge di un io ostinato e innocente, che a piè fermo aspetta di vvedé
a reazione de Dije / quanne s’accorge
ca cchiù nun sò ije / ma nu zémmere cu
còre d’agnelle (vedere la reazione di Dio
/ quando s’accorge / che non sono più
io / ma un capro con il cuore di agnello).
L’avvicinarsi della morte, infine, lo
scalpiccìo dietro la porta facenne passe
e lasse, il va e vieni dell’impaziente
attesa di chi reclama il sacrificio, mentre
la carne sacrificale è spossata ma vigile
è la mente, anche o soprattutto quando
Nge so juorne ca sende na strazze / nu
zùfere grandinje arse o sole / nu muandarine fràcete sott’a mole / de nu silenzje
ca parle cchiù de Dije (ci sono giorni che
mi sento uno straccio / un torsolo di
granturco arso al sole / un mandarino
fradicio / sotto la mole / di un silenzio
che parla più di Dio). Così Assunta Fini-
Periferie
Aprile/Giugno 2016
guerra, poetessa nutrita di cultura umanistica allargava gli angusti orizzonti,
la cerchia, l’isolamento: dando spazio
all’urgenza delle parole, alla tensione
creativa che era (e ancora è) il diritto a
una libertà che nessun muro di pregiudizio può a nessuno precludere.
Assunta Finiguerra (San Fele, 19462009) ha pubblicato in lingua la raccolta di
versi Se avrò il coraggio del sole (Basiliskos,
1995) e, in dialetto, le raccolte Puozze
arrabbià (La Vallisa, 1999); Rescidde (Zone,
2001); Solije (Zone, 2003); Scurije (Lietocolle,
2005); Muparije (Pulcinoelefante, 2008);
19
IL LIBRO
Fanfarije (Lietocolle,
2010 – postuma) e
Tatemije (Mursia,
2010 – postuma). In
prosa ha pubblicato
Tunnicchje, a poddele
d’a Malonghe (Lietocolle, 2007), trasposizione in dialetto sanfelese del Pinocchio di
Collodi. Suoi testi poetici figurano in numerose riviste (pagine,
Periferie, Poesia, Lo Specchio, Kamen) e
antologie, tra cui Nuovi Poeti Italiani 5 (a
cura di Franco Loi, Einaudi, 2004).
Una nuova traduzione di
Assassinio nella cattedrale
La celebre opera di
Thomas Stearns Eliot è stata
recentemente rivisitata, con
traduzione e cura dalla poetessa Rosangela Zoppi per
Edizioni Cofine, con una
prima edizione apparsa a
novembre 2015 e una
seconda edizione riveduta e
modificata nell’aprile 2016.
La scelta di sacrificare la
propria esistenza di fronte a
una situazione estrema in
nome di un ideale e l’introspezione, l’eterno colloquio che l’anima
instaura con se stessa, fondamento di
ogni umana conoscenza, sono gli elementi essenziali del dramma di Thomas
Stearns Eliot Assassinio nella cattedrale.
La presenza di questi due elementi,
sempre così rari, e rarissimi in un’epoca
come l’attuale, dominata dall’egoismo e
dall’indifferenza, dalla superficialità e
dal materialismo, è stata determinante
nella decisione di pubblicare una nuova
traduzione dell’opera.
La novità in questa traduzione consiste nel rispettare il più possibile l’in-
tenzione dell’autore di creare
un’opera drammatica e lirica
insieme, con un uso del
verso teso a far comprendere
che il dramma vuole essere
una sorta di azione rituale,
attraverso cui il pubblico
possa subire una trasformazione simile a quella
subita dal Coro delle donne
di Canterbury. In questa
ottica, è stato compiuto uno
sforzo per rispettare anche
nella traduzione l’uso della
rima che bene assolve al compito di
creare tensione e drammaticità laddove
richiesto.
Rosangela Zoppi è
nata a Roma, dove vive.
Laureata in Scienze
Politiche, è stata insegnante di inglese. Poetessa in lingua e in dialetto romanesco, ha
pubblicato diverse raccolte di poesia e due libri su Roma. Si è occupata di traduzioni per due case editrici e di
teatro (testi e regia).
IL LIBRO 20
Periferie
Aprile/Giugno 2016
Unità e varietà linguistica nella moderna
poesia dialettale della provincia di Roma
Unità e varietà linguistica nella moderna
poesia dialettale della
provincia di Roma, di
Claudio Porena, prefazione di Gianluca Biasci,
è un ponderoso volume
di 512 pagine, pubblicato agli inizi del 2016
da Edizioni Cofine.
Nel libro, sulla base di
un esteso corpus di testi
poetici scritti dichiaratamente in dialetto, la
provincia di Roma viene
indagata sotto il profilo
dialettologico, attraverso
l’analisi di 12 località
rappresentative dei 121 comuni.
Aprono il volume considerazioni generali sul dialetto, sulla poesia dialettale
e sullo stato dell’arte relativo al
romano/romanesco, che è tenuto
costantemente sullo sfondo come termine di riferimento rispetto alle convergenze e divergenze degli altri dialetti
esaminati, in una continua dinamica
tra unità e varietà.
Nella parte strettamente sperimentale, l’autore espone i criteri operativi
di selezione del materiale e di presentazione dei dati (profili linguistici per
località e per area, tabelle delle frequenze e delle concordanze), la descrizione dei corpora e gli spogli linguistici
completi e sistematici.
Grazie alla metodologia seguita, lo
studioso determina i profili dialettologici in modo puntuale e particolareggiato, descrivendo una situazione di riferimento da cui muovere alla ricerca di
ulteriori verifiche sulla realtà linguistico-
dialettologica “viva”.
Lo studio mette quindi
in luce la sopravvivenza
di una ricca glottodiversità che denuncia il
carattere piuttosto stentato della presenza di
una koinè a base romana, soprattutto nell’entroterra.
A compendio del volume cartaceo sul sito
www.poetidelparco.it si
può esaminare l’intero
corpus, in formato PDF,
dei testi poetici presi in
esame, suddivisi per
località.
Claudio Porena, nato a Roma nel 1974,
laureato in Glottologia, è dottore di ricerca
in Storia della lingua italiana e diplomato in
chitarra classica. In passato si è occupato
di questioni neurolinguistiche confluite nella
tesi di laurea “La Risonanza Fonica Inconscia. Aspetti teorici e rilievi testuali di un
fenomeno neuro-psico-linguistico”. Si occupa
assiduamente di dialettologia e di poesia,
italiana e dialettale, sia come studioso sia
come poeta, con diverse pubblicazioni all’attivo, tra le quali Dar trapezzio vocalico ar
sonetto. Manuale di linguistica romanesca,
retorica e metrica con sonetti scelti (Terre Sommerse, Roma, 2010).
Periferie
Aprile/Giugno 2016
21
LA MUSA RITROVATA
La poesia di Renato Filippelli
di Vincenzo Luciani
La “Musa ritrovata” era il titolo
di una rubrica che il poeta
Achille Serrao ha condotto per
diversi anni su “Periferie” rinnovando la memoria di poeti
che avevano avuto una meritata notorietà in vita e una
colpevole dimenticanza dopo
la loro scomparsa.
Renato Filippelli (nato a Cascano di Sessa Aurunca, Caserta, il
19 febbraio 1936 e morto il 20 maggio
2010 a Formia) ha tutte le caratteristiche
e i titoli per poter essere inserito nella
rubrica. La sua riscoperta è ora agevolata
dal volume che ne raccoglie Tutte le
poesie, a cura di Fiammetta Filippelli. Prefazione di Emerico Giachery. Postfazione
di Francesco D’Episcopo, Roma. Gangemi
editore, maggio 2015, pp. 528, con CD.
La curatela delle singole raccolte ivi confluite, le riflessioni in itinere, a chiusura
delle singole sillogi, le note, la bibliografia
delle e sulle opere del poeta sono di Fiammetta, la maggiore delle due figlie di Renato, mentre il capitoletto “Il percorso di
vita e di poesia”, a suggello dell’opera
omnia, è del figlio Pierpaolo.
Le raccolte, che spaziano nell’arco di
50 anni di attività poetica, sono: Vent’anni
(1956), Il cinto della Veronica (1964, con
prefazione di E. Gennarini), Ombre dal
Sud (1971, con prefazione di E. Giachery),
Ritratto da nascondere (1975, con prefazione di F. Figurelli), Requiem per il padre
(1981 con prefazione di R. Assunto), Plenilunio nella palude (1997), Dai fatti alle
parole (2006). A queste si aggiunge Spiritualità (2012, postuma, con prefazione di
mons. R. Nogaro).
Ho vinto il mio timore nell’affrontare
una così rilevante opera cogliendo dapprima, grazie al CD allegato al volume,
l’opportunità di ascoltare un’antologia di liriche scelte e recitate nel
2001 dalla viva voce del poeta,
calda, nostalgica, a volte dura,
e improntata a mestizia (accompagnata da musiche composte
dal M° Mauro Niro). La mia
scelta è stata premiata perché,
sull’onda della declamazione del
poeta, ho potuto cogliere meglio i
gangli e i grumi della composizione poetica e il senso e i suoni che Filippelli
intende trasmettere ai suoi lettori. Ho poi
verificato sulla carta, in seconda lettura,
quelle emotivamente giudicate tra le più
significative, scovandole poi nelle singole
raccolte. Le poesie che mi hanno colpito
più di tutte al primo ascolto: “Le femmine
dicevano”, “Serpi”, “Lumi”, “Cantavano
sull’aie l’antica resa”, “Siccità”, “A un critico ostile”, “A un politico del sud”, “Addio
alla terra”, “Eppure l’alba che partii che
un vento”, “Parole alla figlia Fiammetta”,
“Cadde tutta la vigna”, “Oltre il confine”,
“La morte del padre”, “Così il vento”.
Mi scuseranno i lettori se mi limiterò
d’ora in avanti ad offrire citazioni di poesie
che mi hanno colpito, con miei brevi commenti. Preferisco anteporre sempre i versi
del poeta ai commenti critici e attuare
una lettura “da poeta”. In questo sono
stato agevolato dagli apparati critici presenti nel volume – in particolare quelli già
citati e meritevoli di lettura.
In Vent’anni: “Siccità” (a mio padre
Carlo), p. 42, il ricordo di un antico pellegrinaggio per invocare la pioggia della
sua gente (volti di vecchi scarni, allucinati
/ nella vampa, e le palme delle donne /
levate, e gli occhi teneri dei bimbi) per propiziare la pioggia. Il padre che pone triste
la mano sul suo capo: “Prega, mi dicevi,
prega / tu, che sei innocente...” – / Spe-
LA MUSA RITROVATA 22
culavamo, intenti, / se il cielo s’annerasse
alla marina, / ma rosseggiava in cumuli
beffardi / ventoso, sulla fragile preghiera.
/ A notte, / avviticchiati, sognavamo il
grano / rivivere alle stille, / accestire, granire, con lo stocco / alto, sicuro, e i canti,
ed i mannelli / biondi, la battitura, il viso
/ raggiante della madre.
In Ombre dal sud: “Lumi”, p. 123: Noi
siamo, vivi e morti, come i lumi / sulla
strada Cascàno-San Felice: / esili lumi
umiliati / dalla lontananza del cielo, eppure
trepidi / di tutte le speranze di cui il giusto
/ Dio seminò, al principio del suo spazio,
/ la sera delle terre addolorate / da Lui
nel dolce sud. Una poesia perfetta.
“Serpi” p. 131, «Hanno ucciso tutte le
serpi di questa terra. E queste serpi par
di vederle: Erano dolci, silenziose, appena
/ sfioravano la luce / sapendo di dividerla
con gli uomini». / E ripensava la grazia leggera / delle teste recline ai sorsi quieti, /
o innamorate alzarsi come fiori.
“Parole alla figlia Fiammetta” (per il
giorno della nascita), p. 136. Inimitabili
le espressioni nell’assistere alla nascita:
io presi a tremare di te, / a sentirti nell’universo, / così fragile, così fatta di sogni /
senza conoscerti. E indimenticabile e
solenne l’ostensione della neonata: E poi
t’ebbi in un riso ebbro trionfale, / ti portai
nella luce aspra e radiosa / della finestra
sopra il mar Tirreno. / Tu eri tutta raccolta
in un sopore, / ma sentivo il tuo cuore palpitare. / Eri mia figlia. Ed ebbi / la certezza di Dio sopra quel mare.
“Cadde tutta la vigna”, p. 139, dedicata
al padre, rievoca la distruzione della sua
vigna. È un monumento alla sua fierezza
guerriera che si oppone con il silenzio
all’oppressore tedesco, costringendolo al
rispetto (E tu fosti una statua di silenzio
/ coi figli stretti intorno ai tuoi ginocchi, /
e mamma ti guardava dalla soglia. /
Cadde tutta la vigna giovinetta. / Tu rimanevi come un capitano / fiero davanti alla
sua schiera morta. / E il tedesco lurco non
ti rise / più, rispettava quel muto dolore).
Periferie
Aprile/Giugno 2016
“Le femmine dicevano”, p. 140. Di fronte
ai comportamenti inconsueti del futuro
poeta si appuntano i presagi infausti delle
donne (Quando mi prese amore delle mie
/ parole, aspre e soavi di pudore, / le femmine dicevano a mia madre: / «Quello si
porta l’anima a svanire / sul monte») e il
tentativo di lapidazione da parte di un
vecchio e di due ragazzi (ché m’ero assorto
ai greggi / delle ginestre che le muove il
vento / e dicevo parole verso il mare. / O
mare, mare! io n’ebbi / tutta l’infanzia illuminata / e sgomenta).
In Ritratto da nascondere: “Cantavano
sull’aie l’antica resa”, p. 189, come non
ricordare la comunanza con gli spirituals,
al cospetto di queste donne straordinarie
del sud che arrivarono perfino a partorire
talvolta in rapida doglia, lungo la strada
carrozziera e che curve nella loro bestiale
fatica cantavano sull’aie l’antica / resa al
destino, le canzoni / pacate di lontane
schiavitù: / «Salute allu padrone dellu
granu».
“Eppure l’alba che partii che un vento”,
p. 193. In questa poesia il suo essere parte
a se stesso fin da piccolo: Io ebbi da bambino / parole già segnate / dal ritmo, e la
mia gente / tingeva di stupore / l’occhio
che vigilava la mia vita. Poi il distacco dal
paese e la condanna del legame indissolubile con la sua terra: Nella luce / dei
giorni mi portavo sulle spalle, / come un
agnello, il mio pezzo di terra.
“A un critico ostile”, p. 198. Davvero
non vorrei essere stato nei panni di costui,
e raramente ho letto una poesia così
potentemente risentita e giustamente
orgogliosa della sua poetica e della sua
terra oppressa. Eccola per intero: O tu
che mi misuri l’universo, / neghi cielo e
respiro / al mio rito dell’ombre, o tu che in
fatui / balenii d’acutezze jungheggi e
chiami / «istanza regressiva» l’insistito /
tormento di tentare ogni confine / alla mia
terra e ridire il destino / della bestia scacciata dalla tana, / possa sentire sul tuo
cuore i nudi / piedi dei morti del mio Sud,
Periferie
Aprile/Giugno 2016
i morti / di fame e solitudine nei secoli, /
e tremare a quel fiato di rancore / che sale
dalle viscere terrene, / la notte di novembre
ch’essi passano / sotto poveri lumi di finestre. / Possa, alla svolta della Palombara,
/ imbatterti negli occhi di mia madre.
“A un politico del sud”, p. 210, la poesia
vibra di passione politica e di indignazione, una corda tesa e presente anche
in altre poesie ma qui senza ombra di
retorica, affidata alle immagini contrapposte del falco e del rondone: A te / gloria
sui palchi; a me, povero scuro / poeta, le
ragioni dei miei morti. / Comune a noi la
terra; tu l’aggiri / come un falco di spire
inesorabili, / ed io come il rondone / disperso e poi rimasto / a nidi d’invernale
solitudine.
“Addio alla terra”, p. 211. Raramente
nelle tante poesie sul tema (pure in questo
volume ricorrente) dell’abbandono della
terra natia, destino comune a tanti italiani, si avverte così radicale la lacerazione dalla terra e dai suoi uomini, con
immagini e sensazioni indimenticabili
come in questo notevole incipit: Quando
il tradimento fu compiuto, / e il mercante
si giocò il poeta, / io volli coricarmi / sulla
mia terra per l’ultima volta. / Mi comunicai
della carne, del sangue, / del sudore odoroso di mio padre, / mi rivoltai nel solco /
come un ciuco in amore; / poi piansi bocconi e pensai / che il nonno di mia madre
stette morto così.
In Plenilunio nella palude nella lirica
“Oltre il confine”, p. 279, il fulcro è nell’invocazione originalissima a Dio: non
domandarmi il prezzo del perdono e nell’altra straordinaria a conclusione della
lirica: Accompàgnati a me come il fanciullo
/ che porta a casa il vecchio padre ubriaco.
Ne “La morte del padre”, p. 284, una
preghiera conclude questa poesia pervasa
da una profonda pietas: “Nel giorno /
della misericordia, / guardami con gli occhi
di mio padre”. Quel padre così dominante
nella poesia di Filippelli, da lui vegliato
negli ultimi istanti, teneramente, a parti
23
LA MUSA RITROVATA
invertite: Gli parlai come a un figlio bambino / che s’avventuri nel buio. / Gli dissi
piano, come preghiere, / tutte le mie poesie
/ scritte per lui, che un selvaggio / pudore
gli nascose / per tanti anni.
In “Così il vento”, p. 336, il poeta si
mette a nudo, con dignità e senso della
misura, in una lirica che mi piace riproporre: “Dopo l’infarto sei ringiovanito”,/
mi dicono; ed è vero / che il corpo m’è tornato adolescente. / Ma la sorpresa è l’anima. / Solcandola, Tu l’hai purificata. /
Così il vento passa / sul tizzo e lo disveste
della cenere.
In Spiritualità: “Senza Confini” (a
Renato junior), p. 474, un tenero, avvincente dialogo: Renato, nipotino di cinque
anni, / a te che mi rinnovi / nel nome e
nell’amore del fantastico, / un giorno dissi:
“Si avvicina al nonno / l’ora di un volo
spinto oltre le stelle, / e non potrai / più
ascoltare da lui favole e storie”. / Tu ribattesti: “Le potrò ascoltare / in sogno, nonno,
se mi cercherai”.
E. Giachery sottolinea autorevolmente
che: “Il colloquio con Dio e con Cristo s’intensifica e fa di Filippelli uno dei poeti
religiosi italiani senz’altro significativi dell’ultimo Novecento. Una voce poetica, la
sua, anche nei temi religiosi, personale e
autonoma, virile e tormentata. (…) Credo
che i testi d’ispirazione religiosa rappresentino i vertici della poesia di Filippelli”.
I testi racchiusi soprattutto in Spiritualità, ma non solo, suffragano ampiamente
queste affermazioni.
Concludo questo incontro con la poesia
di Filippelli con un suo distico intenso:
Ed ora so perché tardi a venire. / Vuoi che
ti venga incontro “Alla grande ospite ritardataria”. E con queste immagini di “Feste
tra cielo e mare” una lirica davvero sorprendente e pacificata: In cielo nuvole /
cumuliformi. E il mare / si diede a sbandierare / come un paese in festa / le sue
coperte di raso, / quando il sole al tramonto / attraversò ed accese / quella gelateria biancoturchese.
ANTOLOGIA 24
LUCIANO NOTA
Al mio paese
Non crollerò
né crollerà il puledro
lungo il viale dei carrubi.
Ho nel fianco il basilico
col quale insceno pasti
di orologi migliori.
Il mio nido è ancora lì.
Con me ho portato l’orto
che acconcio ogni giorno.
Di sera aggiungo il fimo
il mosto nel bicchiere.
Il fungo gioca a carte
con le giacche di mio padre.
La mia mente
La mia mente
interroga la luce
quando l’occhio
è del tutto incarnito
Lasciatemi solo
Lasciatemi, lasciatemi solo.
Cerco nel mio regno
un cunicolo di cielo.
Nel bosco
Dimmi che ti prende
questo madido bosco
ornato di trame.
Dimmi che ti piace saziare
un faro al tramonto.
Periferie
Aprile/Giugno 2016
Periferie
Aprile/Giugno 2016
25
ANTOLOGIA
In fondo fa bene bagnarsi.
È pur bello incontrarsi
tra funghi ed altee.
da Tra cielo e volto, Ed. del Leone, 2012
Luciano Nota è nato ad Accettura (Matera). Laureato in
Pedagogia e Lettere Moderne, vive e lavora come educatore
a Pordenone. Ha pubblicato Intestatario di assenze (Campanotto, 2008); Sopra la terra nera (Campanotto, 2010). Ha
visto pubblicate sue poesie su svariate riviste ed antologie;
molte ne sono state lette nella Trasmissione Rai Radiouno
Zapping. È presente sul blog di Poesia Rainews24 a cura di
Luigia Sorrentino.
LEOPOLDO ATTOLICO
Ad Achille Serrao
Un vecchio, un treno
Dalle rotaie nere saliva un freddo cane.
Il treno assaporava ad ogni stazioncina
la brina fumida perlacea dell’aspro mattinale.
Tossiva cupo cianotico il vecchio del corridoio
a me vicino; tossiva e scaricava il suo umore di schiuma rossa,
senza stile. Ogni volta mi sorrideva
e illuminava gli occhi azzurri di un sorriso d’innocente.
Voleva l’assoluzione, che il pudore non diceva.
Moriva a poco a poco, e non lo sapeva?
(inedita)
Leopoldo Attolico è nato nel 1946 a Roma dove vive ed
opera. Dalla seconda metà degli anni ’80 si occupa principalmente di poesia performativa e delle sue modalità
espressive foniche, ironiche / autoironiche e antistress.
I suoi titoli di poesia: Piccolo spacciatore (1987), Il parolaio
(1994), Scapricciatielle (1995), Calli amari (2000), Mix
(2001), Siamo alle solite (2001), I colori dell’oro (2004) , La
cicoria (2004), Mi (s)consenta (2009) La realtà sofferta del
comico (2009).
ANTOLOGIA 26
Salvatore Di Marco è nato nel 1932
a Monreale e vive a Palermo. Poeta in
lingua e dialetto, ha pubblicato Sulle
labbra il nome del pane (1958),
Cantu d’amuri (1987), Quaranta
(1988), L’acchianata di l’aciddara
(1988), Epigrafie siciliane (1989), Li
paroli dintra (1991), Risuscitanze
(1993), La ballata di la morti (1995),
La strada delle campane (1999),
Canti di settembre (2001), Cu rimita
menti (2010). Ha pubblicato inoltre
opere di narrativa e di saggistica, tra
cui La questione della “koiné” e la
poesia dialettale siciliana (1995). In
occasione dei suoi ottant’anni gli è
stata dedicata una giornata di studio i cui atti sono stati pubblicati nel
2014 nel volume Salvatore Di Marco
letterato e poeta di frontiera (I
Quaderni di “Lo frutto”).
Periferie
Aprile/Giugno 2016
SALVATORE DI MARCO
Si ci levi la scorcia
Si ci levi la scorcia
ti restanu sulu li mani chini
di lu ventu ca passa e si nni va,
e li gammi chiantati fermi
comnu du’ ràdichi d’alivu
ni ’sta terra ’mpitrata
e mutu lu pinzeri ni la testa:
ora
appinnicatu a la muntagna
è lu suli ca pi ’sta jurnata
mi spirisci davanti all’occhi.
Palermo, agosto 2015
SE TOGLI LA SCORZA – Se togli la scorza / ti rimangono solo le mani
colme / del vento che passa e se ne va, // e le gambe piantate fermamente / come due radici d’olivo / in questa terra impietrita / e
tacito il pensiero dentro la testa: // adesso / appisolato sulla montagna / è il sole che per questo giorno / mi scompare davanti agli occhi.
Cuti cuti
Pi sti cuti cuti na lu vasciu
chiara spicchialia l’acqua a mari
na lu silenziu sturdutu di st’ariu
alluciati di suli e d’azzolu finu
idda si va murmuriannu cueta
e ntra stu vai e veni di l’unna
russicchia lu lippu a la risacca
e lu granciu addimura cuti cuti.
2014
CIOTTOLI CIOTTOLI – Tra questi ciottoli verso il basso / chiara rispecchia
l’acqua a mare // nel silenzio stordito di quest’aria / abbacinata di sole e di
azzurro fine / lei si va mormorando quieta // e tra questo va e vieni dell’onda
/ rosseggia il limo alla risacca // e il granchio va lento in mezzo ai ciottoli.
Periferie
Aprile/Giugno 2016
Viviana Scarinci: Il significato
secondo del bianco
Esistono, nei sistemi linguistici, categorie e termini che
possiedono un “significato secondo”, già
previsto e contemplato da quel codice
della convenzione –
mappa storica in
continuo aggiornamento – dalla «opera
naturale» degli idiomi umani. Penso in particolare ai verbi modali tedeschi, che possiedono, tutti e sei, un significato “oggettivo” e un significato “soggettivo”. Ebbene,
nulla e nessuno può distogliermi, sia nella
pratica corrente, sia nella riflessione metalinguistica su questi fenomeni, dal fare
scorrere tra questi blocchi di significato
canali e canaletti di raccordo, che, pur
riconoscendo e accettando le differenziazioni nell’uso, pure ventilano ipotesi di
vicinanza (affinità? analogia? salti senza
passaggi?). Non ho potuto fare a meno di
pensare a questi collegamenti nel leggere
i 10 passi de Il significato secondo del
bianco di Viviana Scarinci.
Si pensa “bianco” e scatta – significato
primo? – il testimone in direzione di
“nitore”, di “assenza di colore”. E poi?
Perché non basta a Viviana Scarinci (e a
noi che la leggiamo) il “significato primo”?
Perché il “significato secondo” si manifesta
– il sottotitolo lo esplicita – come nostos,
come ritorno? Ritorno a che cosa? Queste
sono state le mie domande-timoniere nel
percorrere i 10 passi, nel mondo della
storia e del mistero, anzi dei misteri (iniziazione, furia, segreto fanno qui spesso
capolino), della disambiguazione e della
disgiunzione (la barra obliqua dell’incipit
non è casuale), della salvezza e della dannazione, del sorriso sovrano delle cose,
accanto e dopo il «vespaio» delle parole.
Queste domande, insieme agli indizi
27
RECENSIONI E NOTE
lasciati ad arte e con amore, dalla citazione iniziale di Marianne Moore alla postfazione, hanno reso possibile un incontro
inusuale, non timoroso di attriti e veri
propri scontri, tra luce e materia. Che i
colori possano essere corposi, è licenza,
per ritornare alla coppia di aggettivi iniziale, prevista e contemplata dalla lingua
italiana. Quanto corposo possa essere il
caglio, quanto vera possa essere la caligine del non colore è il punto di partenza,
motore alacre, della ricerca di Viviana Scarinci ne Il significato secondo del bianco.
Chi legge scoprirà quale è qui il punto di
approdo e individuerà, molto probabilmente, quei sottili canali di raccordo tra
significato primo e significato secondo.
Anna Maria Curci
Gruppo Majakovskij:
un comune progetto poetico
Fondato da Giacomo Vit nel 1993,
il Gruppo Majakovskij ha saputo consolidare negli anni
un progetto di poesia «agìta e portata
in mezzo alla gente,
poesia-azione,
action poetry, poesia
militante» vissuta
col pubblico e in
dialogo con musica, teatro, arti visive.
Senza dimenticare le numerose pubblicazioni, a testimonianza di spettacoli e
letture realizzate dai sette poeti del gruppo
che, fedeli al nome del grande futurista
russo, puntano sull’oralità della poesia
in un rapporto diretto con le persone e
sul valore etico ed educativo della parola.
La vocazione pedagogica è testimoniata
dall’attività confluita nel libretto I diritti
dei bambini nella voce della poesia, dai
testi sui diritti negati all’infanzia presenti
in altre raccolte e, in questo volume col-
RECENSIONI E NOTE 28
lettaneo, da alcune struggenti poesie di
Silvio Ornella, sui bambini che giocano
in un paese della ex Jugoslavia devastata
dalla guerra (e Coma passarutis a bechin
li frigúis/ che ’l mont ghi lassa - Come
passerotti beccano le briciole/ che il
mondo gli lascia), e di Renato Pauletto,
con le parole rivolte alla madre da Aylan,
annegato nella traversata del Mediterraneo: mi faccio cullare dalle onde come/
fossero le tue dolci braccia. La tensione
comunicativa e l’attenzione etica verso
l’altro – in particolare verso chi è emarginato o in difficoltà – si esplicitano attraverso i temi toccati, che posizionano l’individuo in seno alla società e alla storia,
delineandone potenzialità e limiti, speranze e sofferenze, come mostrano i titoli
delle sei sezioni: “Il dolore della vita”,
“Omaggio a Majakovskij. Essere nel
mondo”, “Banalità della guerra”, “I luoghi
della poesia”, “Muri”, “L’utopia. Il futuro
desiderato”.
A ragione Giuseppe Zoppelli nell’introduzione non si sofferma sui singoli autori,
ma approfondisce come il comune progetto si sia ampliato negli anni legandosi
al territorio pordenonese, attraverso le
attività svolte e l’uso di dialetti di località
periferiche, tra Friuli e Veneto, che affiancano l’italiano, in una costante riflessione
sulla funzione della lingua e della poesia.
Si sottolinea la particolarità di questo
Gruppo, i cui poeti non perseguono una
linea uniformante, mantenendo la propria individualità e un’autonomia espressiva ben marcata e riconoscibile, di cui si
può dare qui solo un breve cenno: il rapporto intimo e meditato con il paesaggio
in Rita Gusso, che scrive in dialetto e in
lingua (il destino aspetta il miserere, //
un nuovo giro d’ali, / un’acqua liscia che
compia / il sogno, le geometrie ideali.); il
ricordo come riflessione sul presente in
Francesco Indrigo, che nel dialetto di San
Vito al Tagliamento ha scritto anche la
bellissima poesia da cui è tratto il titolo
dell’antologia (“Metti da parte queste parole
Periferie
Aprile/Giugno 2016
/ per le giornate di vento, per le giornate
/ di tormento”); la quotidianità dove è
sempre in agguato il vuoto e il venir meno
del significato dei gesti, e allora, per
Manuele Morassut, la parola esorta ad
agire, Restare, annusare, riempire, vedere.
/ Angolo dove lanciare la palla per salvarsi; lo sguardo nitido di un’immedesimazione nell’altro che sconnette la realtà
data, svelandone la dolorosa essenza, nei
testi – in italiano e in dialetto – di Daniela
Turchetto: Ho fatto la finestra luna / i muri
mare, il tetto cielo / e gli occhi di chi mi
guarda nuvole / più stanche delle mie /
amare come il miele.
Quello che risalta leggendo le poesie
delle sezioni è proprio il comporsi di una
variazione sul tema: il modularsi di tante
voci in un coro capace di mescolare tonalità diverse, tutte utili a creare una più
ampia prospettiva sulla realtà in cui ciascuno è immerso, mai da solo. L’ultima
sezione (“L’utopia. Il futuro desiderato”)
lascia ben intendere come il Gruppo Majakovskij non si chiuda in inutili nostalgie
o recriminazioni sullo stato attuale della
poesia e continui tenacemente nell’impegno di promuovere la parola poetica
come antidoto alla superficialità della
chiacchiera mediatica, al camuffamento
del discorso politico, ad una lingua che
si impoverisce di significati e di verità.
Fare poesia per ricostruire lo spazio da
cui osservare un diverso orizzonte: è
questo l’invito che nel testo conclusivo ci
rivolge Giacomo Vit, con la sua lingua un
puc spissada – un po’ appuntita. Se un
freddo giunto dalle fondamenta del cuore
ha / mutato in polvere sottile ciò che eravamo stati… / Con cazzuole silenziose
bisognerà tornare / a spalmare una malta
di parole autentiche / (…) un formicolio di
pensieri / per erigere cattedrali da dove
guardare / brandelli d’immensità.
Gruppo Majakovskij, Par li’ zornadis
di vint e di malstâ, Samuele Editore,
Fanna PN, 2016.
Nelvia Di Monte
Periferie
Aprile/Giugno 2016
Helene Paraskeva: L’odor
del gelsomino egeo
E l’unica speranza
/ il rapace che attorno vira, vibra, libra
/ affamato, prepotente / e scarno. Sono versi tratti da
L’odor del gelsomino
selvatico di Helene
Paraskeva e ne indicano alcune peculiarità: il respiro ampio
a dispetto della brevità della misura scelta; il lavoro di montaggio e smontaggio con le parole, con
coppie o triadi di termini attigui e differenziati per aggiunta o scarto di lettera,
cambio di iniziale; il procedimento, che
attraversa e supera il divertissement, rivelando l’intenzione pro-vocatoria (si chiama
avanti, si sfida, si e-sorta vivamente alla
riflessione). E ancora: il filo conduttore
del viaggio (nel caso dei versi menzionati
il tema è già rivelato dal titolo del componimento, “Viaggio in automobile”); lo
scenario naturale preso, traslato e non di
rado trasformato ad arte.
L’odore del gelsomino egeo si mescola
ad altri in un itinerario che attraversa
mondi diversi eppure accomunati dalla
curiosità e dalla creatività di Helene che
fa incontrare miti della sua terra natia e
personaggi a lei familiari dalla frequentazione di lunga data con la letteratura
di lingua inglese. È bosco straniato, ancor
più che incantato, è piazza metropolitana,
è interno, luogo di riti sociali smascherati come asfittici e ipocriti, è giardino
domestico, è macchia mediterranea, è
giungla preromantica allestita per l’incontro con «la lungimirante belva», la tigre
di Blake, è la selva bizzarra di incontri del
paese delle meraviglie di L. Carroll. Annusiamo quegli odori, gelsomino, origano ed
incenso, candele e parate, sacro e sociale;
esploriamo quei luoghi che ci sorridono
29
RECENSIONI E NOTE
ora miti ora scientemente stralunati ora
palesemente beffardi: Brucia l’origano,
brucia l’incenso, / bruciano le candele, le
parate, / i panegirici e le finte feste. //
Indosseremo del Centauro Nesso la
camicia / che, insieme al resto, l’acuta fitta
cauterizza. / Sì, cauterizza.
Il nostos – molto di più di un tema, qui,
è un personaggio di primo piano – è
ripreso e talvolta persino strattonato, così
che perfino la nostalgia ha odore, sapore,
connotazione introvabili altrove: Non lo
cercare / il mondo che tu conoscevi, non
c’è più, / Ti sfugge, corre, scorre, / vola
via, evapora. / Né quella vecchia / divisione regge più, / sembra un’idea romantica. Eppure, non si depone del tutto la
speranza e il ritorno si palesa per ciò che
appare più caro e familiare e prezioso a
colei che scrive, il racconto, memoria e
affabulazione, memoria e trasmissione di
affabulazioni: Pensa alle storie incantate
/ che ascoltavi con piacere, / nereidi, fauni
e mostri antropofagi. / Pensa alle principesse, alle festose lavandaie, / ai principi
guerrieri / e ai titanici serpenti che / divenivano divini fiumi. // E torna a raccontare!
E se lo sguardo, acuto e tagliente,
affronta con puntigliosa precisione il
pirandelliano passaggio dall’avvertimento
al sentimento del contrario (Quando la
vedi, ridi poco. / Si concia lei, si agghinda
/ e si presenta nel ridicolo. / Dice banalità e odora / di aloe brevifoglie / e fognature antiche), si fa strada, con arguto
metodo, la ferma volontà di tramandare
ricordo e storie, di non permettere al farmaco-veleno della dimenticanza di ottundere la coscienza. Si insinua, con la parvenza ferina e l’astuzia della ragione,
attraverso i sentieri familiari (i soli riservati, si legge il sarcasmo tra le righe, al
muliebre pensiero) e risuona con il timbro
della bellezza feroce, denuncia e denuda.
L’invito, rivolto a Milly-Molly (Bloom), a
cantare, l’esortazione rovesciata alla musa
terrena e femminile di odori e luoghi
«molli» è dunque ancora una volta
RECENSIONI E NOTE 30
espresso con il gioco-lavoro di montaggio
e smontaggio. Svela, mostra, palesa,
manifesta la ferita aperta, sanguinante e
dichiara, fiera, indomita, l’intento di combattere ogni violenza, ogni sopruso, di
scoperchiare ogni insabbiatura, chiamando per nome e collocando nel tempo,
di volta in volta, la prevaricazione perpetrata. La poesia “Cose da donne” si fa
invocazione dagli odori e dai colori penetranti e autorevole manifesto poetico: Cantaci, Milly-Molly, mollemente, / di private,
misteriose, / odorose cose femminili! //
Negavano alle detenute / i colonnelli acqua
e servizi. […] // Di ghigno vesti la retorica,
/ di autorità travesti la sopraffazione / e
Periferie
Aprile/Giugno 2016
cantaci, oh, Musa Milly-Molly, / cantaci di
quelle vergognose cose, femminili e molli!
Sarà allora necessario tornare più di
una volta su ciascuno dei testi, riattraversare boschi e giungle e macchie e corridoi, tuffarci insieme a Saffo da uno scoglio, passare l’imboscata di Procuste,
incontrare sguardi ferini e occhi strambi
come quelli del Cappellaio Matto per comprendere appieno la ricchezza e la profondità di senso dell’eclettismo che ha
preso dimora tra le pagine scritte da H.
Paraskeva.
Helene Paraskeva, L’odor del gelsomino
egeo, La Vita Felice, 2014
Anna Maria Curci
AVVENIMENTI
Maria Lanciotti e Pierino
Pennesi vincitori del Premio
“Vincenzo Scarpellino” 2016
Brillantemente condotta da Angelo Blasetti si è svolta l’11 giugno a Roma nel
Centro Culturale Lepetit l’assegnazione
ai vincitori e finalisti del Premio di poesia
e stornelli inediti nei dialetti del Lazio
“Vincenzo Scarpellino” 2016, organizzato
dall’Ass. L’INCONTRO con l’Ass.Periferie,
con il patrocinio dell’UNPLI Lazio.
Maria Lanciotti, poetessa in dialetto di
Subiaco, è la vincitrice della sezione
poesia della VI edizione. Seconda classificata Paola Volpi (dial. romanesco) e
terza Aurora Fratini (dial. di Sambuci).
La Giuria ha scelto i vincitori dopo una
prima selezione di 11 poeti finalisti, tra i
quali, oltre ai primi tre classificati: Bruno
Fiorentini (Bracciano, dial. romanesco),
Luciano Gentiletti (Rocca Priora, dial. romanesco), Agnese Monaldi, Pierino Pennesi, Angela Sgamma (questi ultimi nel
dial. di Allumiere), Gaudenzio Vannozzi
(Genzano, dial. romanesco),Valerio Volpi
(Anguillara Sabazia, dial. romanesco).
Nella sezione stornelli, il vincitore è
Pierino Pennesi (dial. di Allumiere).
Seconda Maria Pia Santangeli (Rocca di
Papa, dial. romanesco), terzo Cesare
Aloisi (Tarquinia, dial. romanesco).
I membri della Giuria del Premio Cosma
Siani (presidente), Paolo D’Achille, Francesca Dragotto, Giorgio Grillo, Vincenzo
Luciani, Franco Onorati, Pietro Paris, Rossano Tantari, si sono alternati nella consegna dei premi.
Molto applauditi i ragazzi della scuola
“Donna Clelia Caetani” di Sermoneta (LT)
e le esibizioni del Coro Accordi e Note
diretto dal M° Roberto Boarini.
Con molto pathos A. Blasetti, in apertura e a conclusione dell’incontro, ha letto
due poesie di Vincenzo Scarpellino.
Ai presenti è stata offerta l’antologia del
Premio, curata da Edizioni Cofine.
Periferie
Aprile/Giugno 2016
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CONCORSO
IV edizione Premio Salva la tua lingua locale
(Sintesi del bando)
L’Unione Nazionale Pro Loco d’Italia e Legautonomie Lazio, in collaborazione
con il Centro di documentazione per la poesia dialettale Vincenzo Scarpellino, il Centro Internazionale Eugenio Montale e l’EIP “Scuola Strumento di
Pace” indicono la terza edizione del Premio Salva la tua lingua locale.
Il Premio è aperto a tutti gli autori e si articola nelle seguenti sezioni tutte
a tema libero in una delle lingue locali d’Italia:
SEZIONE A – Poesia Edita – Libro di poesia edito a partire dal 1 gennaio
2014.
SEZIONE B – Prosa Edita (storie, favole, racconti inediti, dizionari, rappresentazioni teatrali) – Libro di prosa edito a partire dal 1° gennaio 2014.
SEZIONE C – Poesia Inedita.
SEZIONE D – Prosa Inedita.
PARTECIPAZIONE E SCADENZA - Per le sezioni A e B, ogni autore deve
inviare n. 5 copie di un solo libro. Il plico postale dovrà essere inviato a:
UNPLI via Ancona 40 00055 Ladispoli (RM), entro il 1° settembre 2016.
Per la sezione C ogni autore può inviare fino a tre poesie inedite, con relativa traduzione in italiano, massimo 90 versi in totale. Le poesie dovranno
essere inviate entro il 1° settembre 2016 a [email protected]
assieme alla specifica scheda di partecipazione allegata al Bando. È obbligatoria la registrazione dei lavori inviati in file audio oppure audio-video.
Per la sezione D, si accettano storie, favole, racconti inediti di massimo 3600
battute (spazi bianchi inclusi), corredate di traduzione. Dovranno essere
inviati entro il 1° settembre 2016 a [email protected] assieme
alla specifica scheda di partecipazione allegata al Bando. È obbligatoria la
registrazione dei lavori inviati in file audio oppure audio-video.
Gli elaborati di cui alle sezioni C e D dovranno essere inediti in volume e non
premiati in altri concorsi letterari.
La partecipazione è gratuita.
Per l’iscrizione non si ammettono pseudonimi, nomi di fantasia o diversi
dalla reale identità dell’autore pena l’invalidazione dell’iscrizione.
La scheda di adesione per tutte e 4 le sezioni e il bando completo sono disponibili sul sito www.poetidelparco.it o possono essere richiesti via email a
[email protected]
PREMI - La proclamazione dei vincitori è prevista nel mese di gennaio 2017
a Roma.
Sono previsti premi in denaro, riconoscimenti e menzioni d’onore. Le opere
saranno valutate a giudizio insindacabile e inappellabile della Giuria. I vincitori sono tenuti a ritirare personalmente il premio assegnato.
ORGANIZZAZIONE
Coordinamento Premio: Gabriele Desiderio ([email protected]).
Segreteria: Anna Corsi, Valentina Cardinale, Claudio Porena, Luigi Poeta.
EDIZIONI
COFINE
2015
L’Ombra del sogno. Viaggio nella poesia di Giuseppe Rosato, a cura di
Anna De Simone, pp. 136, € 15,00
Con questo libro, un nitido e accurato ritratto d’autore, Anna De Simone ci introduce a una
lettura approfondita dei molteplici e più significativi testi poetici in lingua e in dialetto di Giuseppe Rosato.
Paolo Gagliardi, Fent, caval e re (Fante, cavallo e re), pp. 32, € 10,00
La raccolta di poesie in dialetto romagnolo, vincitrice della dodicesima edizione del Premio
nazionale “Città di Ischitella-Pietro Giannone” 2015, è un diario di guerra composto da piccoli frammenti, in cui l’io narrante, i compagni, le giovani reclute e i nemici, vivono la loro
partita a carte in compagnia della morte, senza il conforto della speranza, riscaldati a volte
da qualche tenue ricordo. La vita di trincea è evocata con forza icastica, senza tentazioni
retoriche, in uno stile asciutto, il solo con cui si può raccontare una guerra senza senso,
come tutte le guerre.
Carlo De Paolis, Scoppio di sole. Vento di libeccio, pp. 64, € 10,00
L’antologia intende far emergere la fisionomia di poeta, in dialetto e in italiano, di Carlo De
Paolis. In dialetto civitavecchiese De Paolis si esprime, in versi e forme di fattura regolare,
dal registro colloquiale e nel contempo duttilmente adattato alla metrica; l’esuberanza dell’invenzione, ce lo mostra animato da un forte gusto del dialetto con una notevole varietà
e vitalità nel lessico e con immagini e pensieri originali. In Italiano affida spesso a versi
sciolti o liberi la propria originalità – anche in questo caso – nell’architettura del pensiero
e nell’uso di immagini che si imprimono.
Roberto Pagan, Un mare d’inchiostro. Pagine su ‘pagine’ e altri cabotaggi, pp. 496, € 25,00
Di Roberto Pagan il volume raccoglie la produzione critica degli ultimi quindici anni.
Nella prima sezione il tema del riso in poesia: nove piccoli saggi sotto il segno di Talìa, la
musa del “comico”. Nella seconda sezione scritti di tono più leggero assieme ad altri di
maggior respiro, fino ai saggi dedicati alla memoria di Armando Patti e Achille Serrao.
Nella terza sezione, Trieste e dintorni: le origini, la formazione umana e letteraria dell’autore. I suoi maestri ideali (Saba soprattutto) e i suoi conterranei in genere e qualche pagina di confessione e di analisi della propria opera. Infine la quarta sezione allinea cinquanta recensioni di opere in versi e in prosa di autori, spesso assai diversi tra loro.
Dialetto lingua della poesia. Antologia di Ombretta Ciurnelli, pp. 228, € 20,00
Antologia pensata come un convivio letterario di cento poeti di quasi tutte le regioni d’Italia
con poesie in cui il dialetto parla di sé e racconta il valore e il significato che ha nella vita e
nella scrittura, in una ricca e variegata mescolanza di sonorità, cadenze e armonie, temi e stili.
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