SPECIALE: Vincitori e finalisti del premio nazionale di poesia nei
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SPECIALE: Vincitori e finalisti del premio nazionale di poesia nei
eriferie Poste Italiane SpA - Sped. Abb. Postale 70% -DCB Roma direttori Manuel Cohen e Vincenzo Luciani Direzione - Redazione: via Lepetit 213/1 00155 Roma Tel-Fax 06.2286204 Trimestrale REGISTRAZIONE Tribunale di Roma n. 623/96 del 13/12/96 euro 5,00 APRILE/GIUGNO 2016 ANNO XX N. 78 SPECIALE: Vincitori e finalisti del premio nazionale di poesia nei dialetti d’Italia “Città di Ischitella-Pietro Giannone” 2016 PP. 3-16 LA MUSA RITROVATA La poesia di Renato Filippelli P. 21 2 Periferie Aprile/Giugno 2016 Sommario eriferie ANNO XX N. 78 APRILE-GIUGNO 2016 TRIMESTRALE DIRETTORE RESPONSABILE Bruno Cimino DIRETTORI Manuel Cohen e Vincenzo Luciani REDAZIONE M. Gabriella Canfarelli, Anna Maria Curci, Anna De Simone, Nelvia Di Monte, Claudio Porena, Maurizio Rossi, Cosma Siani, Rosangela Zoppi DIREZIONE E REDAZIONE via Roberto Lepetit 213 int. 1 00155 Roma - Tel. 06.2286204 E-mail [email protected] www.poetidelparco.it PREMIO ISCHITELLA-P. GIANNONE 2016 3-16 Nadia Mogini (3), Nino Fraccavento (5) Paolo Steffan (8), Francesco Indrigo (10) Mario D’Arcangelo (11), Patrizia Sardisco (11) Davide Cortese (13), Salvatore Pagliuca (14) Marino Monti (15) NEWS Premio Di Liegro alla carriera a V. Luciani 16 IL LIBRO: U vizzije a morte di A. Finiguerra 17 Una nuova traduzione di Assassinio nella cattedrale di T. S. Eliot 19 Unità e varietà linguistica nella moderna poesia dialettale della provincia di Roma 20 LA MUSA RITROVATA La poesia di Renato Filippelli 21 ANTOLOGIA 24-26 Luciano Nota (24), Leopoldo Attolico (25) Salvatore Di Marco (26) RECENSIONI 27-29 V. Scarinci: Il significato secondo del bianco (27) Un comune progetto poetico (27) H. Paraskeva: L’odor del gelsomino egeo (29) REGISTRAZIONE Tribunale di Roma n. 623/96 del 13/12/96 REALIZZAZIONE Cofine srl via Lepetit 213/1 - 00155 Roma IN COPERTINA: Premiazione 2014 (Foto di Valerio Agricola) STAMPA Grafiche Mercurio SpA ANGRI (SA) FINITO DI STAMPARE Giugno 2016 QUOTA ANNUA SOSTENITORI 20,00 € (con 4 numeri della rivista) sul c/c/p 59612879 intestato a Associazione Periferie via Nino Ilari 11 - 00169 Roma IBAN: IT29 I076 0103 2000 0005 9612 879 – ARRETRATI: 10,00 €. AVVENIMENTI: Assegnato lo Scarpellino 2016 30 IL CONCORSO: Salva la tua lingua locale 31 COME RICEVERE PERIFERIE - INVIARE 20,00 euro sul c/c/p/ 59612879 intestato a Associazione Periferie, via Nino Ilari 11 - 00169 Roma indicando nella causale “sostenitore Periferie” o richiederlo al tel. 06.2253179. Il CENTRO POESIA DIALETTALE “VINCENZO SCARPELLINO” (presso la Biblioteca G. Rodari, in via Francesco Tovaglieri 237a - 00155 Roma - tel. 06-2286204) invita a spedire gratis testi dialettali (poesie, antologie, riviste, monografie, dizionari e grammatiche, materiali video e audio). Il bollettino dei libri del Centro è sul sito www.poetidelparco.it (sezione Poeti in dialetto: “Centro di documentazione” del menù). Periferie Aprile/Giugno 2016 3 SPECIALE Nadia Mogini è la vincitrice del Premio IschitellaPietro Giannone 2016 Per una raccolta poetica inedita nei dialetti d’Italia Secondo classificato Nino Fraccavento, terzo Paolo Steffan L’umbra Nadia Mogini ha vinto la tredicesima edizione del Premio Ischitella Pietro Giannone 2016 con la raccolta poetica inedita in dialetto perugino Íssne (Andarsene). Secondo classificato Nino Fraccavento, con Frevi di marzu (Febbre di marzo), nel dialetto siciliano di Ramacca (CT), terzo Paolo Steffan di Castello Roganzuolo (San Fior - TV) con Frazhun (Frantumi), in un dialetto di area trevigiana di Sinistra Piave. Questa la determinazione della Giuria del Premio, composta da: Franzo Grande Stevens e Dante Della Terza (presidenti onorari), Rino Caputo (presidente), Ombretta Ciurnelli, Manuel Cohen, Vincenzo Luciani, Giuseppe Massara, Cosma Siani, Marcello Teodonio. La scelta dei vincitori è stata operata dopo una selezione delle raccolte poetiche di nove finalisti, di cui facevano parte, oltre ai tre vincitori, i poeti: Davide Cortese, Lipari (ME), con la raccolta in siciliano Scaravaiu (Scarafaggio), Mario D’Arcangelo, Casalincontrada (CH), con Maravìje (Meraviglie), in dialetto abruzzese, Francesco Indrigo, San Vito al Tagliamento (PN), con Sclisignis (Schegge) in friulano, Marino Monti, Forlì, con Int l’óra dl’artoran (Nell’ora del ritorno), in dialetto romagnolo, Salvatore Pagliuca, Muro Lucano (PZ), con Nummunàt’ (Nomea), in dialetto lucano, Patrizia Sardisco Monreale (PA) con Nuara (Orto), in dialetto siciliano. Pubblichiamo nelle pp. 3/16 alcune poesie tratte dalle raccolte dei vincitori e dei finalisti NADIA MOGINI I pregi di Íssne (Andarsene), breve e notevole raccolta (un vero e proprio canzoniere in absentia) sono molti, ma tutti richiamano a una idea della poesia che ha a che fare con la pulizia formale e con la semplicità che attinge al dialetto perugino. I versi sono essenziali, calibrati e misurati, spesso in rima, mai ovvia. Ricorda molto per nitore e per profondità certe soluzioni di Giorgio Caproni e, per chiarità, il magistero di Sandro Penna. La rastremazione formale, tesa a una lingua basica, porta alla formulazione di composizioni brevissime, ordinate in sequenza, quasi a scandire la vicenda luttuosa, il diario privato della pena del vivere, in una tensione monologante dal rintocco sommesso, che va Foto Rosella Centanni a stanare, in un ossessivo e disincantato domandarsi sulla pagina, quel che la poesia salva o recupera nel mare della perdita. SPECIALE NADIA MOGINI è nata nel 1947 a Perugia, città in cui ha compiuto i suoi studi, laureandosi in Lettere Moderne. Ha insegnato materie letterarie nella scuola media in Lombardia, Umbria e Marche. Vive ad Ancona da molti anni. Interessata alla poesia, al canto corale e al teatro, da tempo si impegna in questi settori. Nel 2005 le è stato assegnato il Premio come migliore caratterista femminile al Festival Nazionale del Dialetto “La Guglia d’oro” di Agugliano (AN). La sua produzione poetica è prevalentemente nel dialetto di Perugia (borgo di Porta S. Angelo) con qualche escursione nella lingua italiana. In dialetto compone anche haiku. È vincitrice del 21° Premio Letterario Varano 2009 (Sezione riservata ai dialetti italiani), del XXIII Concorso di Poesia “Sabatino Circi” 2011, Borbona (Sezione ottava rima), della XVI edizione del Premio “Città di Foligno” 2012 (Sezione vernacolo). Suoi testi sono presenti in antologie e riviste letterarie (“Periferie”, “Versante Ripido”). 4 Periferie Aprile/Giugno 2016 Pròpio per noialtri due quile du tazzine bianche del caffè per tutti i giorni tu, contento, évi arportàto. Quand’una è ita n cocci me so sentita nnzzoché. N’altra uguale n l’ò rtrovàta. Proprio per noi due / quelle due tazzine bianche / da caffè per tutti i giorni / tu, contento, avevi riportato. / Quando una è andata in pezzi / mi sono sentita un nonsoché. / Un’altra uguale non l’ho trovata. Spanciàta la bocca pe n urlo armagnàto, m’arfílo na giarda co l’aqqua ch’arcòlgo a mano gemmnàte. L dolore sverzzàto, benànco l più grosso, dev’èsse educato. Allargata la bocca / per un urlo rimangiato, / mi rifilo un ceffone / con l’acqua presa a manciate. / Il dolore senza contegno, / seppure il più grande,/ deve essere educato. La casa, zzitta, penzza con quil’educazione de chi à riguardo e sente la mancanzza. La casa, zitta, pensa / con quella educazione / di chi usa riguardo / e sente la mancanza. Periferie Aprile/Giugno 2016 5 SPECIALE NINO FRACCAVENTO (2° classificato) Frevi di marzu (Febbre di marzo) è una raccolta caratterizzata da un respiro lirico spontaneo, che va dall’invettiva al compianto in una chiave diretta, a voce spiegata e come convintamente rivolta a una comunità presente e riunita in ascolto. La versificazione irregolare segue le pieghe del discorso a volte estenuato nel suo stesso dirsi e che sembra mimare il parlato, il forte radicamento nel mondo dell’oralità. Sarà per questo che la silloge di Fraccavento è contraddistinta da tipiche movenze e luoghi della poesia dialettale siciliana. Eppure potrebbero bastare un paio di poesie per giustificare l’intera suite tutta giocata sul senso della distanza e della perdita luttuosa di amori, affetti e amicizie: E non cancia nenti, dove il filtro del tempo e la saggezza dell’anagrafe consente all’autore una lettura partecipe e tuttavia razionale delle cose e della Storia, e Nsunnarisi Sicilia, un inno d’amore intriso del sentimento ambivalente di struggimento e malinconia. Testi elementari, eppure di grande forza. …e non cancia nenti Lu tempu squagghia lentu comu cira di cannila e non cancia nenti. Sempri li stissi cosi, la stissa vita nuda e cruda ca ti trasi ni l’ossa comu malatia tisica e priputenti. C’è cu’ si scorda lu passatu, fumu di li jorna persi e pirduti, c’è cu’ campa di spiranzi ranni e non sapi nenti pirchì non ni voli sapiri… e non cancia nenti. C’è cu’ vidi la so storia, la vita di suli russu e ardenti e cui di luna giarna e d’argentu, acqua fitta ca scinni forti ni li firiti e vini sicchi di tutta la genti… e non cancia nenti. C’è cu’ porta sacchi e çiuri, piaciri e amuri, pisi e bastimenti; SPECIALE 6 Periferie Aprile/Giugno 2016 c’è cu’ è patri di tutti e non è patruni poi di nenti e ridi e chianci sutta li linzola… e non cancia nenti. Mentri fora la vita çiuscia comu lu tempu e non si sàzia di siminari prumissi tra fogghi e radici, çiumi e mari nenti cancia né po’ canciari. Pirchì ognunu è sulu e non è forti di lu so distinu – petri duri tanti – sempri li stissi e mai canciati, comu li jorna e notti di li tempi… ma non cancia nenti non cancia nenti! …E NON CAMBIA NIENTE - Il tempo scorre lento / come cera di candela / e non cambia niente. / Sempre le stesse cose, / la stessa vita pura e cruda / che penetra nelle ossa / come una tisi prepotente. // C’è chi dimentica il passato / apparenza dei giorni passati e finiti, / c’è chi vive di speranze grandi / e non sa niente / perché non vuole saperne… / e non cambia niente. // C’è chi vede la sua storia, / la sua vita di sole rosso e ardente / e chi di luna pallida e d’argento, / acqua fitta che cade impetuosa / nelle ferite e nelle vene aride / di tutta la gente… / e non cambia niente. // C’è chi porta sacchi e fiori / piaceri e amori, / pesi e bastimenti; / c’è chi è padre di tutti / e non è padrone poi di niente / e ride e piange sotto le lenzuola… / e non cambia niente. // Mentre fuori la vita scorre / come il tempo / e non si sazia di seminare promesse / tra le foglie e le radici, / fiumi e mari / niente cambia né può cambiare. // Perché ognuno è solo / e non è padrone del proprio destino / – pietre dure tante – / sempre le stesse e mai cambiate / come i giorni e le notti dei tempi… / ma non cambia niente, / non cambia niente! Nsunnarisi Sicilia Un sulu jornu, forsi na sula notti e ancora cutturiavi lu ventu dicennuci cu lingua lappusa: Portici lu me çiatu a la chiantimi ca stamatina smammai ni la me terra. Periferie Aprile/Giugno 2016 7 SPECIALE Non è la terra ca mi chiama sugnu iu ca trasu ni idda. E lu ventu ci turnau l’occhi a la negghia sutta l’urtima luna calanti c’annacava lu mari facennusi giarna e murennu. E ci ni voli tempu prima c’agghiorna e sbampa la prima frevi di marzu ci ni voli… prima ca la Chiana e la Conca linziati tornanu a parturiri Sicilia ancora. Tinìti, chistu è lu cocciu nicu d’omu ca siminava frummentu sudannu e parrava a li ciavuli: nfasciati li so carni e facìtini luminaria. Vivìti, è lu so sangu di prèula pinnenti a fogghi d’oru, non è vampa di linazza. – E a Trizza li pisci fannu scumazza e a Capaci la genti si strazza la peddi pi dòrmiri un sonnu ‘n silenziu. Non canta chiù la terra, non ridi a lu ros’anticu di li nuvuli; la parma virdi àvuta e spinusa si va curcannu ‘n vrazza a lu miciaciu. Ah, nsunnarisi Sicilia, vistuta di sciroccu e tramuntana, ncipriarisi e spampanarisi tutta, grapìrisi li çianchi e accucciarisi lu primu veru ventu d’aprili. E manu e occhi a centu fari la uardia a lu suli e a lu mari pi sunnari, sunnari! Vulissi essiri zannu e mavaru, ANTONINO FRACCAVENTO (detto Nino), nato a Ramacca (CT) nel 1958, è assistente amministrativo presso una scuola statale. Ha pubblicato: Ramacca, 1992, raccolta di foto e poesie; Chiana e Biveri, collettivo di poeti (Prova d’Autore 2002). Ha vinto per due volte i concorsi di poesia: Premio Internazionale di poesia “Città di Marineo”, (Marineo, PA); Premio “Angelo Musco” (Milo, CT), Premio “La Gorgone d’oro”, Gela (CL), Premio “Turi Zappalà”, Nicolosi CT. Ha vinto anche il Premio “Mario Gori”, Niscemi CL; il Premio Città di Venezia; e il Premio Cava de’ Tirreni. Scrive racconti in dialetto ramacchese ed ha in cantiere la pubblicazione di un romanzo in lingua. Suona il pianoforte ed ha composto brani con testi dialettali. SPECIALE 8 Periferie Aprile/Giugno 2016 diu senza scantu di la storia, chi canta lu jornu, canta e la notti si va nsunnannu. SOGNARSI SICILIA - Un solo giorno, / forse una sola notte / e ancora tormentavi il vento / dicendogli con lingua asprigna: / porta il mio fiato alle piantine / che stamattina trapiantai nella mia terra / non è la terra che mi chiama / sono io che entro in essa. // E il vento restituì gli occhi alla nebbia / sotto l’ultima luna calante / che cullava il mare facendosi pallida e morendo. // E ce ne vuole tempo prima che albeggi e imperversi / la prima febbre di marzo / ce ne vuole… / prima che la Chiana e la Conca lacerate / tornino a partorire Sicilia ancora. // Prendete, / questo è il chicco piccolo d’uomo / che seminava frumento faticando / e parlava alle taccole: / fasciate le sue carni / e fatene luminarie. / Bevete, / è il suo sangue / di pergolati pendenti a foglie d’oro, / non è vampata di stoppie. // E a Trezza i pesci fanno schiuma / e a Capaci la gente si strappa la pelle / per dormire un sonno in silenzio. // Non canta più la terra, / non ride al rosa antico delle nuvole; / la palma verde alta e spinosa / va coricandosi in braccia alla consunzione. // Ah, sognarsi Sicilia / vestita di scirocco e tramontana, / incipriarsi e sbocciare tutta, / aprirsi i fianchi per abbracciarsi / il primo vero vento d’aprile! / E mani e occhi a centinaia / fare la guardia al sole e al mare / per sognare, sognare! // Vorrei essere zingaro e incantatore, / dio senza aver timore della storia / che canta il giorno, canta / e la notte si va sognando. PAOLO STEFFAN (3° classificato) Il giovanissimo autore e filologo della provincia trevigiana, con Frazhun (Frantumi), in un dialetto di area trevigiana di Sinistra Piave, ci consegna una tra le sillogi più inquiete e tuttavia più interessanti: al poeta resta la possibilità ultima di ‘rimasticare scarti di una lingua / inceppata che si sta frantumando’, dove il verso si spezza proprio a un nodo cruciale: lengua / incantada: un enjambement che certifica l’abilità retorica di questa voce colta e civile, attenta al paesaggio ferito e dilaniato e tesa a certificare, a stigmatizzare, tutto il malessere per un mondo in disfacimento. L’ultimo testo ha una valenza destinale: ‘mi preparo una culla’, è il luogo di natura, ma è anche la couche linguistica in cui rifugiarsi e con cui proteggersi dal sentimento di minaccia e di fine. Periferie Aprile/Giugno 2016 9 SPECIALE Ndarghe drio ai ùltimi bòt de campane rento paeśi che no se cognose pi, l’é rumegar scoazhe de na lengua incantada che la é drio far frazhun. Dare retta agli ultimi rintocchi di campane / dentro paesi irri- // conoscibili, è rimasticare scarti di una lingua / inceppata che si sta frantumando. Anca sote le fonde dei palazh vèci drio ’l Mesc l’à da èserghe radis che le ciùcia rento ’l médol de l’ànema poc mèstega de ’n ben rùspego che ’l taśe. Anche sotto le fondamenta / dei vecchi palazzi lungo il Meschio* // devono esserci radici / che succhiano dentro il midollo // dell’anima indomita / di un amore ruvido che tace. * Il Meschio è un fiume che nasce a nord di Vittorio Veneto e sfocia nel Livenza. La parte più caratteristica attraversa il centro storico di Serravalle. Me parece na cuna in fra i frazhun de ’n tenp che l’à studià pèrder tòc farme córer rento ’n vodo patòc pa’ bòt e grop torcoladi de scur. Mi preparo una culla fra i frantumi / di un tempo che si è affrettato / a perdere pezzi // a mettermi in fuga / dentro un assoluto vuoto / per rintocchi e nodi attorti di buio. PAOLO STEFFAN (Conegliano, 1988) da sempre vive a Castello Roganzuolo. Dopo la maturità classica, si è laureato in Filologia e letteratura italiana all’Università di Venezia, con una tesi triennale sui«conglomerati» di Andrea Zanzotto e una tesi magistrale sulla poesia di Luciano Cecchinel. Di queste esperienze di ricerca sono esito due monografie: Un «giardino di crode disperse». Uno studio di Addio a Ligonàs di Andrea Zanzotto (con prefazione di Ricciarda Ricorda, Aracne 2012) e Luciano Cecchinel. Poesia. Ecologia. Resistenza (con prefazione di Alessandro Scarsella, premio editoriale “Arcipelago itaca” 2015, in pubblicazione). Ha ricevuto riconoscimenti come poeta in dialetto per la silloge Bacàr / Ansimi (2014) e per la raccolta inedita Slama del tenp / Melma del tempo (2015). Suoi versi sono stati accompagnati da note critiche di Manuel Cohen, Fabio Franzin e Flavio Ermini. Col prof. Giuliano Galletti, sta curando la prima edizione del monumentale poema La redenzione d’Italia del poeta e patriota Sebastiano Barozzi (Edizioni Comune di San Fior, 2016); è collaboratore del lit-blog «Poetarum Silva» e gestisce un blog sulla poesia di Cecchinel. SPECIALE 10 Periferie Aprile/Giugno 2016 FRANCESCO INDRIGO (Finalista) Le schegge o frammenti che compongono la silloge Sclisignis (Schegge), riaffiorano dal passato, dal paesaggio e dalla più stringente attualità o cronaca. Sono armi aguzze, boomerang acuminati, che pervadono di prosa del mondo i versi della lingua friulana, qui resa con fresco ritmo, maestria ed eleganza. Il tocco, deciso, è capace di flessibilità, e di convincente congruità nell’aderenza a temi svariati, che non esitano a sfiorare la tragedia: si affronta la sofferenza della natura (si pensi al testo in cui si descrive la fine di un ciliegio), le vite marginali, affette da mali e difetti fisici, fino alle riverberazioni dell’epoca (i migranti, gli emarginati, la vittima di bullismo). Le piccole narrazioni presentano tuttavia sfumature ben temperate, mai stridenti o enfatiche, mostrando una spiccata e pudica sobrietà tonale. A son ploia nuda, intasats, sparnisats e sbarlumits da chista Viarta di no podê. nomenâ, in fila in sorta a spetin il pasapuart dal scûr. E po platâ il cuarp e il sun da la vôs e il propi non, cundurâ un bûs tal siarai dal mont par scjassasi enciamò pì in nà, dulà che sopis, pieris, barats e pantan a movin i pas ta li’ talpadis dal mis-mas. I compais in banda tal font dal Mediterani a pratindin la memoria dai fioi da la ploia. Enciamò un cunfin, un pas, un clap di demarcazion, un vint nouf dulà bati l’entrada, e a la fin l’impalpabil ma sblanciat svual dal cocal. A li’ voltis i rudinas a scjavassin il criviel da la storia. Sono nuda pioggia, accatastati, smistati / e smarriti da questa primavera innominabile, / in ordine sparso irreggimentati / attendono il salvacondotto del buio. / E poi nascondere il corpo / e il suono della voce e il proprio nome, / pazientare un varco nella recinzione del mondo / per scaraventarsi ancora più oltre, / dove zolle, pietre, rovi e fango / muovono i passi sulle orme del tumulto. / I compagni appartati nel fondo del Mediterraneo / reclamano la memoria dei figli della pioggia. / Ancora un confine, un valico, un cippo di demarcazione, / un nuovo vento a cui bussare l’accesso, / e infine l’effimero ma cangiante volo del gabbiano. / A volte i detriti attraversano il setaccio della storia. Periferie Aprile/Giugno 2016 11 SPECIALE FRANCESCO INDRIGO, è nato nel 1956 a San Michele al Tagliamento, VE, nel Friuli storico. Risiede in Località Santa Sabina, a San Vito al Tagliamento (PN). Ha pubblicato in riviste, antologie, albi e fogli sparsi. Nel 2001 la raccolta Matetâs (Nuova Dimensione ed.), nel 2005 Foraman (Campanotto ed.), nel 2008 Foucs (New Print ed.), nel 2009 Revòcs di tiara (Kappa Vu ed. ), nel 2013 La bancia da li’ peraulis piardudis (Kappa Vu ed.). È vincitore di premi di poesia nazionali ed internazionali. Cofondatore e coordinatore del gruppo di poesia/laboratorio “Mistral”, fa parte del gruppo “Majakovskij. MARIO D’ARCANGELO (Finalista) Poesia a forte impatto emozionale quella della raccolta Maravìje (Meraviglie), in dialetto abruzzese, venata di memorie etnografiche, rurali e familiari, che vive il sentimento di un costante stupore, di meraviglia del mondo attraverso una phoné popolare ed etnografica commista a un registro alto, di chiara ascendenza letteraria. Autore di notevole perizia (si legga il testo che vale quale enunciato di poetica, Ràdeche, con l’allitterazione di verbi con prefissi intensivi: ch’arepasse, arescorre s’arepresente), si segnala per la capacità di tratteggiare occasioni e situazioni di natura e di paesaggio. Ràdeche Ràdeche sole e mbríje pe sentire d’addò arebbíje le timpe e le recurde come se fusse penzìre che s’affolle s’arradune, àneme de nu monnne ch’arepasse arescorre s’arepresente e tu l’arechenusce da lu descorre da sta parlature de storie e maravìje ch’areffiore, s’arebbive. Avaste nu suspíre d’arie, nu ventejole de rase na carezze che se spanne a deritte e a manche pe ogne verse e a la ddummerse. L’avvirte da nu cante da nu ccenne da nu jì nu camenà a passe lente na forze senza danne ma secure, crijature de nu bene e de nu sonne che mo s’arecumpugne, trove vije e voje de campà... de ’nne mmurì. SPECIALE 12 Periferie Aprile/Giugno 2016 RADICI - Radici sole ed ombra lungo i sentieri / da dove ricomincia il tempo dei ricordi / come se fossero pensieri che si affollano / si radunano, anime di un mondo / che ripassano riscorrono si ripresentano / e tu le riconosci dal discorso / da questa parlata di storie e meraviglie / che riaffiorano, rivivono. Basta un sospiro / d’aria, un venticello di raso una carezza / che si espande a dritta e a manca / per ogni verso e all’incontrario. // L’avverti da un canto da un accenno / da un andare un camminare a passo lento / una forza senza danno ma sicura, / creature di un bene e di un sogno / che ora si ricompongono, trovano via / e voglia di vivere...di non morire. MARIO D’ARCANGELO è nato nel 1944 a Chieti e risiede a Casalincontrada (CH). Pluripremiato in gare regionali, ha vinto concorsi nazionali per la poesia in dialetto: “Vie della Memoria” - Pescara 2009; “Premio Tagliacozzo” 2010; Salva la tua lingua locale, Sezione Inediti 2015. Ha pubblicato: Senza Tempe, Edigrafital, Sant’Atto (TE) 2004; Albe e ne albe, Edizioni Cofine, Roma 2011, con prefazioni di Achille Serrao e Nicola Fiorentino. È stato recensito in varie riviste nazionali e nel mensile “Poesia” (n. 266, dicembre 2011) a cura di Anna De Simone. PATRIZIA SARDISCO (Finalista) Nella silloge Nuara (Orto), composizioni eleganti e puntiformi, in un siciliano trasfigurato da esercizi di surrealtà e da virtuosismi verbali, dalla spiccata tendenza a uno sperimentalismo che trae dal dialetto sonorità inusitate e immagini a tratti sfavillanti, dove i testi si succedono nel flusso invariato e asintattico del cumulo aggettivale e appositivo. I virtuosismi lessicali, tra sonorità ritornanti e allitterative, accompagnati dalla punteggiatura che cadenza ritmo e pause della partitura, esaltano i versi, le parole chiave e i significati più reconditi dei testi. N. 20 parrari ncrita parissi funnurigghia ma quannu s’arrisetta acchiana e allura è u levitu è aria maliritta Periferie Aprile/Giugno 2016 13 SPECIALE e addiventa ciuri mi mmriachi ’i signali e mi nn’assuppi a negghia nura e funnuta e nica nuàra assulacchiata cota tra lingua e cielu vucca tra cielu e vrazza tra mia e mia nùtrica tra mia e a matri crita parlare di creta / sembrerebbe fondiglio // ma quando trova nuovo assetto sale / e allora è il lievito / è aria maledetta che diventa fiore // mi ubriachi di segni / e me ne assorbi la nebbia / nuda e profonda e piccola / orto assolato // raccolta tra lingua e cielo / bocca tra cielo e braccia / tra me e me bambina / tra me e la madre creta PATRIZIA SARDISCO è nata nel 1967 a Monreale (PA), dove vive tuttora. Laureata in Psicologia, specializzata in Didattica Speciale. Lavora in un Liceo di Palermo. Scrive in lingua italiana e in dialetto siciliano. Sue liriche e alcuni racconti brevi compaiono in antologie, riviste e blog letterari. A tutt’oggi la sua produzione poetica risulta interamente inedita. È stata finalista al Premio Ischitella-Pietro Giannone del 2014. DAVIDE CORTESE (Finalista) L’autore, alla sua prima prova con la raccolta Scaravaiu (Scarafaggio), nel dialetto di Lipari, nonostante qualche inesattezza di lessico e di accentazione, controlla un impasto linguistico materico e figurale di grande sonorità; le composizioni, brevi, sono dense d’immagini efficaci dal taglio netto sapidamente disposto, che si segnalano per l’indubbia profondità dei contenuti. U ritornu tua schicciulìa mari. I sali è u cantu supr’e labbra tua. Trema a luci supr’a pedda tua scura. Acqua, iò. SPECIALE 14 Periferie Aprile/Giugno 2016 Acqua. C’avi dintra a luci e sali duci. Il tuo ritorno gocciola mare. / Di sale è il canto sulle tue labbra. / Trema la luce sulla tua pelle scura. / Acqua, io. /Acqua. / Che ha dentro la luce /e dolce sale. DAVIDE CORTESE è nato nell’isola di Lipari nel 1974 e vive a Roma. Si è laureato in Lettere moderne all’Università degli Studi di Messina con una tesi sulle “Figure meravigliose nelle credenze popolari eoliane”. Nel 1998 ha pubblicato la sua prima silloge poetica, titolata ES (Edas, Messina), alla quale sono seguite le sillogi: Babylon Guest House (Libroitaliano, Ragusa, 2004), Storie del bimbo ciliegia (un’autoproduzione del 2008), Anuda (Aletti Editore, Roma, 2011) e Ossario (Arduino Sacco Editore, Roma, 2012). SALVATORE PAGLIUCA (Finalista) A comporre Nummunàt’ (Nomea), un piccolo Spoon River lucano, sono venti ritratti di esistenze comuni e straordinarie, tratteggiati con fine artigianato e con capacità intuitive nel cogliere l’essenziale di un carattere in poche battute, riportando sulla pagina una comunità di nomi che, come in un mosaico, ricostruisce ora con umorismo ora con sagacia inesorabile, la faticosa e spesso insensata sorte di ognuno. 13 Pot’ ess’ quigghiu rir’ rahìntr’ a rient’ carut’ – ra šcantàt’ – ca caresc’ Palmin’ ra for’ ca m’ appacj a la sort’. S’ trascìn’ nu burson’ a rutegghj anghiut’ r’ zepp’, r’ cusaregghj’ scettat’ ch’accoglj p’ vij. Sop’ cas’ ten’ n’uort’ appes’ a rr’ cost’ abbrazzat’ ra murescin’ r’ fravich’ antich’ ca Palmin’ rupezz’. Ndò lev’ nu vricc’ p’ na mezza mullett’ p’ spann’ li pann’, ndò ’ngugn’ nu bamboccj ch’av’ pers’ la cap’. Periferie Aprile/Giugno 2016 15 SPECIALE Forse è quel sorriso / a denti caduti - da scimunita - / che si porta Palmina dalla campagna / che mi pacifica con il destino. / Trascina un carrellino / riempito di fascine, di piccole cose / buttate che raccoglie per strada. / Sopra casa ha un orto appeso al costone / abbracciato da antichi muri a secco / che Palmina restaura. / Dove toglie una breccia/ per una mezza molletta da biancheria, / dove incunea un bambolotto che ha perso la testa. SALVATORE PAGLIUCA, nato nel 1957 a Muro Lucano (PZ) ove risiede. È archeologo ed è tra i fondatori del Museo Archeologico Nazionale di Muro Lucano e del Centro Culturale Franco-Italiano, curatore di mostre d’arte contemporanea e manifestazioni letterarie. Scrive in lingua e in dialetto. In poesia ha pubblicato: Cocktél, Librìa, Melfi (PZ)1993; Orto botanico, Librìa, Melfi (PZ) 1997, Premio Albino Pierro; So quanti passi - Memoire de murs, con traduzione in francese e fotografie del reporter italo-francese Antonio Pagnotta, Grafiche Finiguerra, Lavello (PZ) 1998; Cor’ šcantàt’, Stupido cuore spaventato, poesie in amore Grafiche Finiguerra, Lavello (PZ) 2008; Pret’ ianch’, Pietre bianche, traduzione in inglese di Nicoletta De Cillis, contenente CD con versi recitati dall’autore e musiche di Vincenzo Izzi, Grafiche Finiguerra, Lavello (PZ) 2010; Lengh’ r’ terr’, Lingua di terra, prefazione di M. Cohen, Dot.com Press-Le Voci della Luna, Milano 2012. Vincitore ad Ancona del premio ‘Poesia onesta’ (2011), del premio brianzolo ‘Mezzagoarte 2010’ e del premio ‘Albino Pierro’ (1997). MARINO MONTI (Finalista) Lirico autentico dalla voce monocorde, la cui scrittura vive di richiami di natura e di memoria domestica. dalla parola basica e rarefatta, tesa alla sintesi efficace di suoni e immagini evocate nell’economia del verso. La silloge Int l’óra dl’artoran (Nell’ora del ritorno), in dialetto romagnolo, conferma la sua cifra più esistenziale e crepuscolare: un ritratto delicato e una istantanea suggestiva della Romagna rurale e di una civiltà in via di sparizione. Parôl sminghêdi Parôl sminghêdi, ch’ al fiurés coma rósi a maz, int un zét SPECIALE 16 Periferie Aprile/Giugno 2016 che pianì pianì e’ va a murì. Parole dimenticate – Parole dimenticate,/ che fioriscono / come rose / a maggio,/ in un silenzio / che piano piano / va / a morire. MARINO MONTI, nato a San Zeno di Galeata in provincia di Forlì nel 1946, vive a Forlì dove si è diplomato all’Istituto Tecnico Industriale Guglielmo Marconi. Ha svolto la sua attività lavorativa come perito industriale capotecnico nei settori produzione e progettazione industriale. Si è incontrato con la poesia in età relativamente matura. I primi testi risalgono al 1990. Ha pubblicato quattro raccolte in dialetto romagnolo: E’ bat l’ ora de’ temp (1998), A l’ombra di dé (2001), L’ânma dla tëra (2004) e Int e’ rispir dla sera (2007), per l’editrice La Mandragora di Imola. Per la casa editrice Pazzini di Villa Verrucchio (RN) ha pubblicato nel 2010 Stasón (Premio Salvo Basso, Catania) e nel 2012 Posie di Romagna, in dialetto romagnolo, tradotto in portoghese da Anabela Cristina Ferreira, docente dell’Università di Bologna. Collabora con articoli sulle tradizioni romagnole e con poesie su giornali e riviste. Vincitore e finalista in diversi concorsi poetici, è Minéstar dell’antico centro culturale “E’ Raòoz” di Forlì. NEWS Premio alla carriera a Vincenzo Luciani Sabato 30 aprile, presso i Musei di San Salvatore in Lauro, si è svolta la cerimonia di premiazione dell’VIII Premio Internazionale di poesia don Luigi Di Liegro. A Vincenzo Luciani è stato assegnato un premio speciale alla carriera per la sua dedizione al servizio della comunità e del territorio, in quanto “promotore di iniziative per la salvaguardia delle lingue minori e dei dialetti locali, tra cui la fondazione della rivista ‘Periferie’, del Centro di documentazione dialettale ‘Vincenzo Scarpellino’ e dell’omonimo premio letterario. È stato altresì l’ideatore di due tra i principali premi dedicati alla poesia dialettale: il Premio Ischitella-Pietro Giannone e il Premio ‘Salva la tua lingua locale’. Poeta in lingua e in dialetto garganico tra i più raffinati della sua generazione, è stato accolto nelle principali riviste e antologie del settore”. Nella foto: Luciani premiato dall’on. Luigina Di Liegro Periferie Aprile/Giugno 2016 17 IL LIBRO Assunta Finiguerra San Fele e U vizzije a morte di Maria Gabriella Canfarelli Energica e vibrante la voce di Assunta Finiguerra nata, vissuta e morta a San Fele, tra le più originali e autentiche dell’inizio di questo secolo; un versificare denso e aspro, duro come la verità, scomodo perché oppositivo alle convenzioni sociali, al perbenismo ipocrita. Di questa grande autrice lucana apprezzata dai critici letterari per originalità e forza dirompente dei suoi versi, sovrabbondanti di immagini e metafore che rinnovano metafore, ritroviamo il pensiero lucido, analitico, la volitività che smuove e rovescia gli schemi, infrange divieti. Dai primi esiti sino al libro postumo U vizzje a morte (Il vizio della morte). Poesie 1997-2009, pubblicato con introduzioni di Roberto Pagan e Rosangela Zoppi da Edizioni Cofine, Roma, 2016, ritroviamo, l’anima di Assunta, in quel percorso di scrittura in dialetto sanfelese, pregna del grido di verità. Lo stesso grido che in forma di sapida invettiva reclama il diritto alla libertà di essere. In uno stile autonomo, originale, inconfondibile, tra dettagli dall’effetto straniante e notturno realismo magico, la poetessa inchioda la realtà più cruda alla più nuda rappresentazione di ciò che agita l’essere nel tempo, il dolore prima di tutto (fisico e metafisico) nu dolore de matricie, stigma esistenziale da lenire con l’amore, bisogno ineludi- bile e allo stesso tempo sofferenza, avida mala serpe che mange notte e journe/re lluatte me sorchje da re mménne / ognune ca passe sape d’a cunduanna (mangia notte e giorno / il latte mi succhia dalle mammelle / ognuno che passa sa della condanna). L’amore che tutto prende e niente dà, che lascia svuotati, privi di forza, è una serpe dai molteplici significati (temposerpe che si mangia la coda, apre e chiude il cerchio vitale; è principio della tentazione d’amore e del desiderio di conoscenza; e infine, tratta da un diffuso modo di dire – allevare la serpe in seno, il nemico nascosto, il traditore- e certo fuor di metafora, è A serpa vescelosa ca n’accediette – la viscida serpe che non uccisi – preciso riferimento alla tragica realtà della malattia). Finiguerra è dotata di una forza espressiva di tale intensità da fare pensare al moto centrifugo; ogni verso è un colpo di frusta, uno schizzar via delle parole dal centro che le racchiude (il pensiero, la ragione, il nucleo incandescente) all’esterno; la concretezza quasi terrosa del dialetto, lingua di dolcezza e furore in egual misura, non esprime un’arcadia sospirosa e ingenua, piuttosto è terra di battaglia dialettica tra sé e l’altra sé – la figura più intima e prossima – e tra sé e l’altro, il micro- IL LIBRO 18 cosmo cui mostrare la faccia nascosta della luna. Sostenuta dalla propria autonoma formazione culturale, Assunta rivisita i miti e le credenze del mondo rurale in cui è nata, e li riscrive e li riconduce alla propria condizione esistenziale, quel male di vivere da cui guarire, oltre che con l’amore, con la natura che rinasce e di cui celebra la vita, nonostante il vizio della morte, il baco che è in noi. Alle creature animali con cui si identifica, alla natura sua gemella e sodale, rivolge la propria voce appassionata in un crescendo di rimandi, paragoni, immagini; orgogliosamente rivendica l’appartenenza alla terra natale: Sò na cafone e figlie de cafune / me nerguglissce u suanghe ca me cambe / fiume de ire, vespre e terre sande / e vònghele ceniére de penziere (Sono cafona e figlia di cafoni / m’inorgoglisce il sangue che mi campa / fiume d’ira, vespro e terra santa / e tenero baccello di pensiero) quanto più sente, avverte d’essere considerata straniera. E ancora: Ije sò na poetessa zappatore / a terre è mamma mije, (…) / me piace arà cu penziere tèmbe toste / (…) // poi scave surche pe l’acqua chiuvane / e nneste re vvite cu sapuore a lune / e nde rafaniedde vuozze de sete / u buasìleche nzéppe a bbandiere // e re carciòffele ndò cuande a sere / re apre o viende cume scustumuate / e re cepodde cunduann’o chiuande / sop’a quere mmane ca prèghene u ciele (Sono una poetessa zappatora / la terra è mia madre, (…) / mi piace arare col pensiero zolle dure / (…) // poi scavo solchi per l’acqua piovana / e innesto le viti col sapore di luna / e nei ravanelli bozzoli di seta / il basilico infilo a bandiera // e i carciofi nel canto della sera / li apro al vento come scostumati / e le cipolle condanno al pianto / su quelle mani che pregano il cielo). L’osservazione di un piccolo mondo Periferie Aprile/Giugno 2016 in sé concluso, in cui lo sguardo acuto di Assunta trae autentica poesia, si traduce in una tensione esistenziale sfibrante alla quale opporre resistenza scrivendo, dando vita alle cose inanimate; gli oggetti d’uso quotidiano entrano di diritto a far parte dell’esperienza umana, che si tratti di padella (paragonata alla luna), bicchiere, piatto, sottovaso, lenzuolo, letto, gabbia o di indumenti (vestaglia, camicie, gonnelle), tutto diventa magico grazie a una penna felice, all’immaginazione con cui Finiguerra re-inventa lo spazio e il tempo della vita. Dopo Rescidde (Scricciolo, 2001) librosimbolo della fragilità umana, l’autrice pubblica Solije (Solitudine, 2003) con Zone Editrice, e Scurije (Lietocolle, 2005), tre raccolte in cui profonda è la percezione di pena esistenziale, ma la voce poetica che al malessere di vivere si oppone è coraggioso e orgoglioso rifiuto d’ogni condanna; una sfida verbale rivolta agli umani, e al creatore che non s’accorge di un io ostinato e innocente, che a piè fermo aspetta di vvedé a reazione de Dije / quanne s’accorge ca cchiù nun sò ije / ma nu zémmere cu còre d’agnelle (vedere la reazione di Dio / quando s’accorge / che non sono più io / ma un capro con il cuore di agnello). L’avvicinarsi della morte, infine, lo scalpiccìo dietro la porta facenne passe e lasse, il va e vieni dell’impaziente attesa di chi reclama il sacrificio, mentre la carne sacrificale è spossata ma vigile è la mente, anche o soprattutto quando Nge so juorne ca sende na strazze / nu zùfere grandinje arse o sole / nu muandarine fràcete sott’a mole / de nu silenzje ca parle cchiù de Dije (ci sono giorni che mi sento uno straccio / un torsolo di granturco arso al sole / un mandarino fradicio / sotto la mole / di un silenzio che parla più di Dio). Così Assunta Fini- Periferie Aprile/Giugno 2016 guerra, poetessa nutrita di cultura umanistica allargava gli angusti orizzonti, la cerchia, l’isolamento: dando spazio all’urgenza delle parole, alla tensione creativa che era (e ancora è) il diritto a una libertà che nessun muro di pregiudizio può a nessuno precludere. Assunta Finiguerra (San Fele, 19462009) ha pubblicato in lingua la raccolta di versi Se avrò il coraggio del sole (Basiliskos, 1995) e, in dialetto, le raccolte Puozze arrabbià (La Vallisa, 1999); Rescidde (Zone, 2001); Solije (Zone, 2003); Scurije (Lietocolle, 2005); Muparije (Pulcinoelefante, 2008); 19 IL LIBRO Fanfarije (Lietocolle, 2010 – postuma) e Tatemije (Mursia, 2010 – postuma). In prosa ha pubblicato Tunnicchje, a poddele d’a Malonghe (Lietocolle, 2007), trasposizione in dialetto sanfelese del Pinocchio di Collodi. Suoi testi poetici figurano in numerose riviste (pagine, Periferie, Poesia, Lo Specchio, Kamen) e antologie, tra cui Nuovi Poeti Italiani 5 (a cura di Franco Loi, Einaudi, 2004). Una nuova traduzione di Assassinio nella cattedrale La celebre opera di Thomas Stearns Eliot è stata recentemente rivisitata, con traduzione e cura dalla poetessa Rosangela Zoppi per Edizioni Cofine, con una prima edizione apparsa a novembre 2015 e una seconda edizione riveduta e modificata nell’aprile 2016. La scelta di sacrificare la propria esistenza di fronte a una situazione estrema in nome di un ideale e l’introspezione, l’eterno colloquio che l’anima instaura con se stessa, fondamento di ogni umana conoscenza, sono gli elementi essenziali del dramma di Thomas Stearns Eliot Assassinio nella cattedrale. La presenza di questi due elementi, sempre così rari, e rarissimi in un’epoca come l’attuale, dominata dall’egoismo e dall’indifferenza, dalla superficialità e dal materialismo, è stata determinante nella decisione di pubblicare una nuova traduzione dell’opera. La novità in questa traduzione consiste nel rispettare il più possibile l’in- tenzione dell’autore di creare un’opera drammatica e lirica insieme, con un uso del verso teso a far comprendere che il dramma vuole essere una sorta di azione rituale, attraverso cui il pubblico possa subire una trasformazione simile a quella subita dal Coro delle donne di Canterbury. In questa ottica, è stato compiuto uno sforzo per rispettare anche nella traduzione l’uso della rima che bene assolve al compito di creare tensione e drammaticità laddove richiesto. Rosangela Zoppi è nata a Roma, dove vive. Laureata in Scienze Politiche, è stata insegnante di inglese. Poetessa in lingua e in dialetto romanesco, ha pubblicato diverse raccolte di poesia e due libri su Roma. Si è occupata di traduzioni per due case editrici e di teatro (testi e regia). IL LIBRO 20 Periferie Aprile/Giugno 2016 Unità e varietà linguistica nella moderna poesia dialettale della provincia di Roma Unità e varietà linguistica nella moderna poesia dialettale della provincia di Roma, di Claudio Porena, prefazione di Gianluca Biasci, è un ponderoso volume di 512 pagine, pubblicato agli inizi del 2016 da Edizioni Cofine. Nel libro, sulla base di un esteso corpus di testi poetici scritti dichiaratamente in dialetto, la provincia di Roma viene indagata sotto il profilo dialettologico, attraverso l’analisi di 12 località rappresentative dei 121 comuni. Aprono il volume considerazioni generali sul dialetto, sulla poesia dialettale e sullo stato dell’arte relativo al romano/romanesco, che è tenuto costantemente sullo sfondo come termine di riferimento rispetto alle convergenze e divergenze degli altri dialetti esaminati, in una continua dinamica tra unità e varietà. Nella parte strettamente sperimentale, l’autore espone i criteri operativi di selezione del materiale e di presentazione dei dati (profili linguistici per località e per area, tabelle delle frequenze e delle concordanze), la descrizione dei corpora e gli spogli linguistici completi e sistematici. Grazie alla metodologia seguita, lo studioso determina i profili dialettologici in modo puntuale e particolareggiato, descrivendo una situazione di riferimento da cui muovere alla ricerca di ulteriori verifiche sulla realtà linguistico- dialettologica “viva”. Lo studio mette quindi in luce la sopravvivenza di una ricca glottodiversità che denuncia il carattere piuttosto stentato della presenza di una koinè a base romana, soprattutto nell’entroterra. A compendio del volume cartaceo sul sito www.poetidelparco.it si può esaminare l’intero corpus, in formato PDF, dei testi poetici presi in esame, suddivisi per località. Claudio Porena, nato a Roma nel 1974, laureato in Glottologia, è dottore di ricerca in Storia della lingua italiana e diplomato in chitarra classica. In passato si è occupato di questioni neurolinguistiche confluite nella tesi di laurea “La Risonanza Fonica Inconscia. Aspetti teorici e rilievi testuali di un fenomeno neuro-psico-linguistico”. Si occupa assiduamente di dialettologia e di poesia, italiana e dialettale, sia come studioso sia come poeta, con diverse pubblicazioni all’attivo, tra le quali Dar trapezzio vocalico ar sonetto. Manuale di linguistica romanesca, retorica e metrica con sonetti scelti (Terre Sommerse, Roma, 2010). Periferie Aprile/Giugno 2016 21 LA MUSA RITROVATA La poesia di Renato Filippelli di Vincenzo Luciani La “Musa ritrovata” era il titolo di una rubrica che il poeta Achille Serrao ha condotto per diversi anni su “Periferie” rinnovando la memoria di poeti che avevano avuto una meritata notorietà in vita e una colpevole dimenticanza dopo la loro scomparsa. Renato Filippelli (nato a Cascano di Sessa Aurunca, Caserta, il 19 febbraio 1936 e morto il 20 maggio 2010 a Formia) ha tutte le caratteristiche e i titoli per poter essere inserito nella rubrica. La sua riscoperta è ora agevolata dal volume che ne raccoglie Tutte le poesie, a cura di Fiammetta Filippelli. Prefazione di Emerico Giachery. Postfazione di Francesco D’Episcopo, Roma. Gangemi editore, maggio 2015, pp. 528, con CD. La curatela delle singole raccolte ivi confluite, le riflessioni in itinere, a chiusura delle singole sillogi, le note, la bibliografia delle e sulle opere del poeta sono di Fiammetta, la maggiore delle due figlie di Renato, mentre il capitoletto “Il percorso di vita e di poesia”, a suggello dell’opera omnia, è del figlio Pierpaolo. Le raccolte, che spaziano nell’arco di 50 anni di attività poetica, sono: Vent’anni (1956), Il cinto della Veronica (1964, con prefazione di E. Gennarini), Ombre dal Sud (1971, con prefazione di E. Giachery), Ritratto da nascondere (1975, con prefazione di F. Figurelli), Requiem per il padre (1981 con prefazione di R. Assunto), Plenilunio nella palude (1997), Dai fatti alle parole (2006). A queste si aggiunge Spiritualità (2012, postuma, con prefazione di mons. R. Nogaro). Ho vinto il mio timore nell’affrontare una così rilevante opera cogliendo dapprima, grazie al CD allegato al volume, l’opportunità di ascoltare un’antologia di liriche scelte e recitate nel 2001 dalla viva voce del poeta, calda, nostalgica, a volte dura, e improntata a mestizia (accompagnata da musiche composte dal M° Mauro Niro). La mia scelta è stata premiata perché, sull’onda della declamazione del poeta, ho potuto cogliere meglio i gangli e i grumi della composizione poetica e il senso e i suoni che Filippelli intende trasmettere ai suoi lettori. Ho poi verificato sulla carta, in seconda lettura, quelle emotivamente giudicate tra le più significative, scovandole poi nelle singole raccolte. Le poesie che mi hanno colpito più di tutte al primo ascolto: “Le femmine dicevano”, “Serpi”, “Lumi”, “Cantavano sull’aie l’antica resa”, “Siccità”, “A un critico ostile”, “A un politico del sud”, “Addio alla terra”, “Eppure l’alba che partii che un vento”, “Parole alla figlia Fiammetta”, “Cadde tutta la vigna”, “Oltre il confine”, “La morte del padre”, “Così il vento”. Mi scuseranno i lettori se mi limiterò d’ora in avanti ad offrire citazioni di poesie che mi hanno colpito, con miei brevi commenti. Preferisco anteporre sempre i versi del poeta ai commenti critici e attuare una lettura “da poeta”. In questo sono stato agevolato dagli apparati critici presenti nel volume – in particolare quelli già citati e meritevoli di lettura. In Vent’anni: “Siccità” (a mio padre Carlo), p. 42, il ricordo di un antico pellegrinaggio per invocare la pioggia della sua gente (volti di vecchi scarni, allucinati / nella vampa, e le palme delle donne / levate, e gli occhi teneri dei bimbi) per propiziare la pioggia. Il padre che pone triste la mano sul suo capo: “Prega, mi dicevi, prega / tu, che sei innocente...” – / Spe- LA MUSA RITROVATA 22 culavamo, intenti, / se il cielo s’annerasse alla marina, / ma rosseggiava in cumuli beffardi / ventoso, sulla fragile preghiera. / A notte, / avviticchiati, sognavamo il grano / rivivere alle stille, / accestire, granire, con lo stocco / alto, sicuro, e i canti, ed i mannelli / biondi, la battitura, il viso / raggiante della madre. In Ombre dal sud: “Lumi”, p. 123: Noi siamo, vivi e morti, come i lumi / sulla strada Cascàno-San Felice: / esili lumi umiliati / dalla lontananza del cielo, eppure trepidi / di tutte le speranze di cui il giusto / Dio seminò, al principio del suo spazio, / la sera delle terre addolorate / da Lui nel dolce sud. Una poesia perfetta. “Serpi” p. 131, «Hanno ucciso tutte le serpi di questa terra. E queste serpi par di vederle: Erano dolci, silenziose, appena / sfioravano la luce / sapendo di dividerla con gli uomini». / E ripensava la grazia leggera / delle teste recline ai sorsi quieti, / o innamorate alzarsi come fiori. “Parole alla figlia Fiammetta” (per il giorno della nascita), p. 136. Inimitabili le espressioni nell’assistere alla nascita: io presi a tremare di te, / a sentirti nell’universo, / così fragile, così fatta di sogni / senza conoscerti. E indimenticabile e solenne l’ostensione della neonata: E poi t’ebbi in un riso ebbro trionfale, / ti portai nella luce aspra e radiosa / della finestra sopra il mar Tirreno. / Tu eri tutta raccolta in un sopore, / ma sentivo il tuo cuore palpitare. / Eri mia figlia. Ed ebbi / la certezza di Dio sopra quel mare. “Cadde tutta la vigna”, p. 139, dedicata al padre, rievoca la distruzione della sua vigna. È un monumento alla sua fierezza guerriera che si oppone con il silenzio all’oppressore tedesco, costringendolo al rispetto (E tu fosti una statua di silenzio / coi figli stretti intorno ai tuoi ginocchi, / e mamma ti guardava dalla soglia. / Cadde tutta la vigna giovinetta. / Tu rimanevi come un capitano / fiero davanti alla sua schiera morta. / E il tedesco lurco non ti rise / più, rispettava quel muto dolore). Periferie Aprile/Giugno 2016 “Le femmine dicevano”, p. 140. Di fronte ai comportamenti inconsueti del futuro poeta si appuntano i presagi infausti delle donne (Quando mi prese amore delle mie / parole, aspre e soavi di pudore, / le femmine dicevano a mia madre: / «Quello si porta l’anima a svanire / sul monte») e il tentativo di lapidazione da parte di un vecchio e di due ragazzi (ché m’ero assorto ai greggi / delle ginestre che le muove il vento / e dicevo parole verso il mare. / O mare, mare! io n’ebbi / tutta l’infanzia illuminata / e sgomenta). In Ritratto da nascondere: “Cantavano sull’aie l’antica resa”, p. 189, come non ricordare la comunanza con gli spirituals, al cospetto di queste donne straordinarie del sud che arrivarono perfino a partorire talvolta in rapida doglia, lungo la strada carrozziera e che curve nella loro bestiale fatica cantavano sull’aie l’antica / resa al destino, le canzoni / pacate di lontane schiavitù: / «Salute allu padrone dellu granu». “Eppure l’alba che partii che un vento”, p. 193. In questa poesia il suo essere parte a se stesso fin da piccolo: Io ebbi da bambino / parole già segnate / dal ritmo, e la mia gente / tingeva di stupore / l’occhio che vigilava la mia vita. Poi il distacco dal paese e la condanna del legame indissolubile con la sua terra: Nella luce / dei giorni mi portavo sulle spalle, / come un agnello, il mio pezzo di terra. “A un critico ostile”, p. 198. Davvero non vorrei essere stato nei panni di costui, e raramente ho letto una poesia così potentemente risentita e giustamente orgogliosa della sua poetica e della sua terra oppressa. Eccola per intero: O tu che mi misuri l’universo, / neghi cielo e respiro / al mio rito dell’ombre, o tu che in fatui / balenii d’acutezze jungheggi e chiami / «istanza regressiva» l’insistito / tormento di tentare ogni confine / alla mia terra e ridire il destino / della bestia scacciata dalla tana, / possa sentire sul tuo cuore i nudi / piedi dei morti del mio Sud, Periferie Aprile/Giugno 2016 i morti / di fame e solitudine nei secoli, / e tremare a quel fiato di rancore / che sale dalle viscere terrene, / la notte di novembre ch’essi passano / sotto poveri lumi di finestre. / Possa, alla svolta della Palombara, / imbatterti negli occhi di mia madre. “A un politico del sud”, p. 210, la poesia vibra di passione politica e di indignazione, una corda tesa e presente anche in altre poesie ma qui senza ombra di retorica, affidata alle immagini contrapposte del falco e del rondone: A te / gloria sui palchi; a me, povero scuro / poeta, le ragioni dei miei morti. / Comune a noi la terra; tu l’aggiri / come un falco di spire inesorabili, / ed io come il rondone / disperso e poi rimasto / a nidi d’invernale solitudine. “Addio alla terra”, p. 211. Raramente nelle tante poesie sul tema (pure in questo volume ricorrente) dell’abbandono della terra natia, destino comune a tanti italiani, si avverte così radicale la lacerazione dalla terra e dai suoi uomini, con immagini e sensazioni indimenticabili come in questo notevole incipit: Quando il tradimento fu compiuto, / e il mercante si giocò il poeta, / io volli coricarmi / sulla mia terra per l’ultima volta. / Mi comunicai della carne, del sangue, / del sudore odoroso di mio padre, / mi rivoltai nel solco / come un ciuco in amore; / poi piansi bocconi e pensai / che il nonno di mia madre stette morto così. In Plenilunio nella palude nella lirica “Oltre il confine”, p. 279, il fulcro è nell’invocazione originalissima a Dio: non domandarmi il prezzo del perdono e nell’altra straordinaria a conclusione della lirica: Accompàgnati a me come il fanciullo / che porta a casa il vecchio padre ubriaco. Ne “La morte del padre”, p. 284, una preghiera conclude questa poesia pervasa da una profonda pietas: “Nel giorno / della misericordia, / guardami con gli occhi di mio padre”. Quel padre così dominante nella poesia di Filippelli, da lui vegliato negli ultimi istanti, teneramente, a parti 23 LA MUSA RITROVATA invertite: Gli parlai come a un figlio bambino / che s’avventuri nel buio. / Gli dissi piano, come preghiere, / tutte le mie poesie / scritte per lui, che un selvaggio / pudore gli nascose / per tanti anni. In “Così il vento”, p. 336, il poeta si mette a nudo, con dignità e senso della misura, in una lirica che mi piace riproporre: “Dopo l’infarto sei ringiovanito”,/ mi dicono; ed è vero / che il corpo m’è tornato adolescente. / Ma la sorpresa è l’anima. / Solcandola, Tu l’hai purificata. / Così il vento passa / sul tizzo e lo disveste della cenere. In Spiritualità: “Senza Confini” (a Renato junior), p. 474, un tenero, avvincente dialogo: Renato, nipotino di cinque anni, / a te che mi rinnovi / nel nome e nell’amore del fantastico, / un giorno dissi: “Si avvicina al nonno / l’ora di un volo spinto oltre le stelle, / e non potrai / più ascoltare da lui favole e storie”. / Tu ribattesti: “Le potrò ascoltare / in sogno, nonno, se mi cercherai”. E. Giachery sottolinea autorevolmente che: “Il colloquio con Dio e con Cristo s’intensifica e fa di Filippelli uno dei poeti religiosi italiani senz’altro significativi dell’ultimo Novecento. Una voce poetica, la sua, anche nei temi religiosi, personale e autonoma, virile e tormentata. (…) Credo che i testi d’ispirazione religiosa rappresentino i vertici della poesia di Filippelli”. I testi racchiusi soprattutto in Spiritualità, ma non solo, suffragano ampiamente queste affermazioni. Concludo questo incontro con la poesia di Filippelli con un suo distico intenso: Ed ora so perché tardi a venire. / Vuoi che ti venga incontro “Alla grande ospite ritardataria”. E con queste immagini di “Feste tra cielo e mare” una lirica davvero sorprendente e pacificata: In cielo nuvole / cumuliformi. E il mare / si diede a sbandierare / come un paese in festa / le sue coperte di raso, / quando il sole al tramonto / attraversò ed accese / quella gelateria biancoturchese. ANTOLOGIA 24 LUCIANO NOTA Al mio paese Non crollerò né crollerà il puledro lungo il viale dei carrubi. Ho nel fianco il basilico col quale insceno pasti di orologi migliori. Il mio nido è ancora lì. Con me ho portato l’orto che acconcio ogni giorno. Di sera aggiungo il fimo il mosto nel bicchiere. Il fungo gioca a carte con le giacche di mio padre. La mia mente La mia mente interroga la luce quando l’occhio è del tutto incarnito Lasciatemi solo Lasciatemi, lasciatemi solo. Cerco nel mio regno un cunicolo di cielo. Nel bosco Dimmi che ti prende questo madido bosco ornato di trame. Dimmi che ti piace saziare un faro al tramonto. Periferie Aprile/Giugno 2016 Periferie Aprile/Giugno 2016 25 ANTOLOGIA In fondo fa bene bagnarsi. È pur bello incontrarsi tra funghi ed altee. da Tra cielo e volto, Ed. del Leone, 2012 Luciano Nota è nato ad Accettura (Matera). Laureato in Pedagogia e Lettere Moderne, vive e lavora come educatore a Pordenone. Ha pubblicato Intestatario di assenze (Campanotto, 2008); Sopra la terra nera (Campanotto, 2010). Ha visto pubblicate sue poesie su svariate riviste ed antologie; molte ne sono state lette nella Trasmissione Rai Radiouno Zapping. È presente sul blog di Poesia Rainews24 a cura di Luigia Sorrentino. LEOPOLDO ATTOLICO Ad Achille Serrao Un vecchio, un treno Dalle rotaie nere saliva un freddo cane. Il treno assaporava ad ogni stazioncina la brina fumida perlacea dell’aspro mattinale. Tossiva cupo cianotico il vecchio del corridoio a me vicino; tossiva e scaricava il suo umore di schiuma rossa, senza stile. Ogni volta mi sorrideva e illuminava gli occhi azzurri di un sorriso d’innocente. Voleva l’assoluzione, che il pudore non diceva. Moriva a poco a poco, e non lo sapeva? (inedita) Leopoldo Attolico è nato nel 1946 a Roma dove vive ed opera. Dalla seconda metà degli anni ’80 si occupa principalmente di poesia performativa e delle sue modalità espressive foniche, ironiche / autoironiche e antistress. I suoi titoli di poesia: Piccolo spacciatore (1987), Il parolaio (1994), Scapricciatielle (1995), Calli amari (2000), Mix (2001), Siamo alle solite (2001), I colori dell’oro (2004) , La cicoria (2004), Mi (s)consenta (2009) La realtà sofferta del comico (2009). ANTOLOGIA 26 Salvatore Di Marco è nato nel 1932 a Monreale e vive a Palermo. Poeta in lingua e dialetto, ha pubblicato Sulle labbra il nome del pane (1958), Cantu d’amuri (1987), Quaranta (1988), L’acchianata di l’aciddara (1988), Epigrafie siciliane (1989), Li paroli dintra (1991), Risuscitanze (1993), La ballata di la morti (1995), La strada delle campane (1999), Canti di settembre (2001), Cu rimita menti (2010). Ha pubblicato inoltre opere di narrativa e di saggistica, tra cui La questione della “koiné” e la poesia dialettale siciliana (1995). In occasione dei suoi ottant’anni gli è stata dedicata una giornata di studio i cui atti sono stati pubblicati nel 2014 nel volume Salvatore Di Marco letterato e poeta di frontiera (I Quaderni di “Lo frutto”). Periferie Aprile/Giugno 2016 SALVATORE DI MARCO Si ci levi la scorcia Si ci levi la scorcia ti restanu sulu li mani chini di lu ventu ca passa e si nni va, e li gammi chiantati fermi comnu du’ ràdichi d’alivu ni ’sta terra ’mpitrata e mutu lu pinzeri ni la testa: ora appinnicatu a la muntagna è lu suli ca pi ’sta jurnata mi spirisci davanti all’occhi. Palermo, agosto 2015 SE TOGLI LA SCORZA – Se togli la scorza / ti rimangono solo le mani colme / del vento che passa e se ne va, // e le gambe piantate fermamente / come due radici d’olivo / in questa terra impietrita / e tacito il pensiero dentro la testa: // adesso / appisolato sulla montagna / è il sole che per questo giorno / mi scompare davanti agli occhi. Cuti cuti Pi sti cuti cuti na lu vasciu chiara spicchialia l’acqua a mari na lu silenziu sturdutu di st’ariu alluciati di suli e d’azzolu finu idda si va murmuriannu cueta e ntra stu vai e veni di l’unna russicchia lu lippu a la risacca e lu granciu addimura cuti cuti. 2014 CIOTTOLI CIOTTOLI – Tra questi ciottoli verso il basso / chiara rispecchia l’acqua a mare // nel silenzio stordito di quest’aria / abbacinata di sole e di azzurro fine / lei si va mormorando quieta // e tra questo va e vieni dell’onda / rosseggia il limo alla risacca // e il granchio va lento in mezzo ai ciottoli. Periferie Aprile/Giugno 2016 Viviana Scarinci: Il significato secondo del bianco Esistono, nei sistemi linguistici, categorie e termini che possiedono un “significato secondo”, già previsto e contemplato da quel codice della convenzione – mappa storica in continuo aggiornamento – dalla «opera naturale» degli idiomi umani. Penso in particolare ai verbi modali tedeschi, che possiedono, tutti e sei, un significato “oggettivo” e un significato “soggettivo”. Ebbene, nulla e nessuno può distogliermi, sia nella pratica corrente, sia nella riflessione metalinguistica su questi fenomeni, dal fare scorrere tra questi blocchi di significato canali e canaletti di raccordo, che, pur riconoscendo e accettando le differenziazioni nell’uso, pure ventilano ipotesi di vicinanza (affinità? analogia? salti senza passaggi?). Non ho potuto fare a meno di pensare a questi collegamenti nel leggere i 10 passi de Il significato secondo del bianco di Viviana Scarinci. Si pensa “bianco” e scatta – significato primo? – il testimone in direzione di “nitore”, di “assenza di colore”. E poi? Perché non basta a Viviana Scarinci (e a noi che la leggiamo) il “significato primo”? Perché il “significato secondo” si manifesta – il sottotitolo lo esplicita – come nostos, come ritorno? Ritorno a che cosa? Queste sono state le mie domande-timoniere nel percorrere i 10 passi, nel mondo della storia e del mistero, anzi dei misteri (iniziazione, furia, segreto fanno qui spesso capolino), della disambiguazione e della disgiunzione (la barra obliqua dell’incipit non è casuale), della salvezza e della dannazione, del sorriso sovrano delle cose, accanto e dopo il «vespaio» delle parole. Queste domande, insieme agli indizi 27 RECENSIONI E NOTE lasciati ad arte e con amore, dalla citazione iniziale di Marianne Moore alla postfazione, hanno reso possibile un incontro inusuale, non timoroso di attriti e veri propri scontri, tra luce e materia. Che i colori possano essere corposi, è licenza, per ritornare alla coppia di aggettivi iniziale, prevista e contemplata dalla lingua italiana. Quanto corposo possa essere il caglio, quanto vera possa essere la caligine del non colore è il punto di partenza, motore alacre, della ricerca di Viviana Scarinci ne Il significato secondo del bianco. Chi legge scoprirà quale è qui il punto di approdo e individuerà, molto probabilmente, quei sottili canali di raccordo tra significato primo e significato secondo. Anna Maria Curci Gruppo Majakovskij: un comune progetto poetico Fondato da Giacomo Vit nel 1993, il Gruppo Majakovskij ha saputo consolidare negli anni un progetto di poesia «agìta e portata in mezzo alla gente, poesia-azione, action poetry, poesia militante» vissuta col pubblico e in dialogo con musica, teatro, arti visive. Senza dimenticare le numerose pubblicazioni, a testimonianza di spettacoli e letture realizzate dai sette poeti del gruppo che, fedeli al nome del grande futurista russo, puntano sull’oralità della poesia in un rapporto diretto con le persone e sul valore etico ed educativo della parola. La vocazione pedagogica è testimoniata dall’attività confluita nel libretto I diritti dei bambini nella voce della poesia, dai testi sui diritti negati all’infanzia presenti in altre raccolte e, in questo volume col- RECENSIONI E NOTE 28 lettaneo, da alcune struggenti poesie di Silvio Ornella, sui bambini che giocano in un paese della ex Jugoslavia devastata dalla guerra (e Coma passarutis a bechin li frigúis/ che ’l mont ghi lassa - Come passerotti beccano le briciole/ che il mondo gli lascia), e di Renato Pauletto, con le parole rivolte alla madre da Aylan, annegato nella traversata del Mediterraneo: mi faccio cullare dalle onde come/ fossero le tue dolci braccia. La tensione comunicativa e l’attenzione etica verso l’altro – in particolare verso chi è emarginato o in difficoltà – si esplicitano attraverso i temi toccati, che posizionano l’individuo in seno alla società e alla storia, delineandone potenzialità e limiti, speranze e sofferenze, come mostrano i titoli delle sei sezioni: “Il dolore della vita”, “Omaggio a Majakovskij. Essere nel mondo”, “Banalità della guerra”, “I luoghi della poesia”, “Muri”, “L’utopia. Il futuro desiderato”. A ragione Giuseppe Zoppelli nell’introduzione non si sofferma sui singoli autori, ma approfondisce come il comune progetto si sia ampliato negli anni legandosi al territorio pordenonese, attraverso le attività svolte e l’uso di dialetti di località periferiche, tra Friuli e Veneto, che affiancano l’italiano, in una costante riflessione sulla funzione della lingua e della poesia. Si sottolinea la particolarità di questo Gruppo, i cui poeti non perseguono una linea uniformante, mantenendo la propria individualità e un’autonomia espressiva ben marcata e riconoscibile, di cui si può dare qui solo un breve cenno: il rapporto intimo e meditato con il paesaggio in Rita Gusso, che scrive in dialetto e in lingua (il destino aspetta il miserere, // un nuovo giro d’ali, / un’acqua liscia che compia / il sogno, le geometrie ideali.); il ricordo come riflessione sul presente in Francesco Indrigo, che nel dialetto di San Vito al Tagliamento ha scritto anche la bellissima poesia da cui è tratto il titolo dell’antologia (“Metti da parte queste parole Periferie Aprile/Giugno 2016 / per le giornate di vento, per le giornate / di tormento”); la quotidianità dove è sempre in agguato il vuoto e il venir meno del significato dei gesti, e allora, per Manuele Morassut, la parola esorta ad agire, Restare, annusare, riempire, vedere. / Angolo dove lanciare la palla per salvarsi; lo sguardo nitido di un’immedesimazione nell’altro che sconnette la realtà data, svelandone la dolorosa essenza, nei testi – in italiano e in dialetto – di Daniela Turchetto: Ho fatto la finestra luna / i muri mare, il tetto cielo / e gli occhi di chi mi guarda nuvole / più stanche delle mie / amare come il miele. Quello che risalta leggendo le poesie delle sezioni è proprio il comporsi di una variazione sul tema: il modularsi di tante voci in un coro capace di mescolare tonalità diverse, tutte utili a creare una più ampia prospettiva sulla realtà in cui ciascuno è immerso, mai da solo. L’ultima sezione (“L’utopia. Il futuro desiderato”) lascia ben intendere come il Gruppo Majakovskij non si chiuda in inutili nostalgie o recriminazioni sullo stato attuale della poesia e continui tenacemente nell’impegno di promuovere la parola poetica come antidoto alla superficialità della chiacchiera mediatica, al camuffamento del discorso politico, ad una lingua che si impoverisce di significati e di verità. Fare poesia per ricostruire lo spazio da cui osservare un diverso orizzonte: è questo l’invito che nel testo conclusivo ci rivolge Giacomo Vit, con la sua lingua un puc spissada – un po’ appuntita. Se un freddo giunto dalle fondamenta del cuore ha / mutato in polvere sottile ciò che eravamo stati… / Con cazzuole silenziose bisognerà tornare / a spalmare una malta di parole autentiche / (…) un formicolio di pensieri / per erigere cattedrali da dove guardare / brandelli d’immensità. Gruppo Majakovskij, Par li’ zornadis di vint e di malstâ, Samuele Editore, Fanna PN, 2016. Nelvia Di Monte Periferie Aprile/Giugno 2016 Helene Paraskeva: L’odor del gelsomino egeo E l’unica speranza / il rapace che attorno vira, vibra, libra / affamato, prepotente / e scarno. Sono versi tratti da L’odor del gelsomino selvatico di Helene Paraskeva e ne indicano alcune peculiarità: il respiro ampio a dispetto della brevità della misura scelta; il lavoro di montaggio e smontaggio con le parole, con coppie o triadi di termini attigui e differenziati per aggiunta o scarto di lettera, cambio di iniziale; il procedimento, che attraversa e supera il divertissement, rivelando l’intenzione pro-vocatoria (si chiama avanti, si sfida, si e-sorta vivamente alla riflessione). E ancora: il filo conduttore del viaggio (nel caso dei versi menzionati il tema è già rivelato dal titolo del componimento, “Viaggio in automobile”); lo scenario naturale preso, traslato e non di rado trasformato ad arte. L’odore del gelsomino egeo si mescola ad altri in un itinerario che attraversa mondi diversi eppure accomunati dalla curiosità e dalla creatività di Helene che fa incontrare miti della sua terra natia e personaggi a lei familiari dalla frequentazione di lunga data con la letteratura di lingua inglese. È bosco straniato, ancor più che incantato, è piazza metropolitana, è interno, luogo di riti sociali smascherati come asfittici e ipocriti, è giardino domestico, è macchia mediterranea, è giungla preromantica allestita per l’incontro con «la lungimirante belva», la tigre di Blake, è la selva bizzarra di incontri del paese delle meraviglie di L. Carroll. Annusiamo quegli odori, gelsomino, origano ed incenso, candele e parate, sacro e sociale; esploriamo quei luoghi che ci sorridono 29 RECENSIONI E NOTE ora miti ora scientemente stralunati ora palesemente beffardi: Brucia l’origano, brucia l’incenso, / bruciano le candele, le parate, / i panegirici e le finte feste. // Indosseremo del Centauro Nesso la camicia / che, insieme al resto, l’acuta fitta cauterizza. / Sì, cauterizza. Il nostos – molto di più di un tema, qui, è un personaggio di primo piano – è ripreso e talvolta persino strattonato, così che perfino la nostalgia ha odore, sapore, connotazione introvabili altrove: Non lo cercare / il mondo che tu conoscevi, non c’è più, / Ti sfugge, corre, scorre, / vola via, evapora. / Né quella vecchia / divisione regge più, / sembra un’idea romantica. Eppure, non si depone del tutto la speranza e il ritorno si palesa per ciò che appare più caro e familiare e prezioso a colei che scrive, il racconto, memoria e affabulazione, memoria e trasmissione di affabulazioni: Pensa alle storie incantate / che ascoltavi con piacere, / nereidi, fauni e mostri antropofagi. / Pensa alle principesse, alle festose lavandaie, / ai principi guerrieri / e ai titanici serpenti che / divenivano divini fiumi. // E torna a raccontare! E se lo sguardo, acuto e tagliente, affronta con puntigliosa precisione il pirandelliano passaggio dall’avvertimento al sentimento del contrario (Quando la vedi, ridi poco. / Si concia lei, si agghinda / e si presenta nel ridicolo. / Dice banalità e odora / di aloe brevifoglie / e fognature antiche), si fa strada, con arguto metodo, la ferma volontà di tramandare ricordo e storie, di non permettere al farmaco-veleno della dimenticanza di ottundere la coscienza. Si insinua, con la parvenza ferina e l’astuzia della ragione, attraverso i sentieri familiari (i soli riservati, si legge il sarcasmo tra le righe, al muliebre pensiero) e risuona con il timbro della bellezza feroce, denuncia e denuda. L’invito, rivolto a Milly-Molly (Bloom), a cantare, l’esortazione rovesciata alla musa terrena e femminile di odori e luoghi «molli» è dunque ancora una volta RECENSIONI E NOTE 30 espresso con il gioco-lavoro di montaggio e smontaggio. Svela, mostra, palesa, manifesta la ferita aperta, sanguinante e dichiara, fiera, indomita, l’intento di combattere ogni violenza, ogni sopruso, di scoperchiare ogni insabbiatura, chiamando per nome e collocando nel tempo, di volta in volta, la prevaricazione perpetrata. La poesia “Cose da donne” si fa invocazione dagli odori e dai colori penetranti e autorevole manifesto poetico: Cantaci, Milly-Molly, mollemente, / di private, misteriose, / odorose cose femminili! // Negavano alle detenute / i colonnelli acqua e servizi. […] // Di ghigno vesti la retorica, / di autorità travesti la sopraffazione / e Periferie Aprile/Giugno 2016 cantaci, oh, Musa Milly-Molly, / cantaci di quelle vergognose cose, femminili e molli! Sarà allora necessario tornare più di una volta su ciascuno dei testi, riattraversare boschi e giungle e macchie e corridoi, tuffarci insieme a Saffo da uno scoglio, passare l’imboscata di Procuste, incontrare sguardi ferini e occhi strambi come quelli del Cappellaio Matto per comprendere appieno la ricchezza e la profondità di senso dell’eclettismo che ha preso dimora tra le pagine scritte da H. Paraskeva. Helene Paraskeva, L’odor del gelsomino egeo, La Vita Felice, 2014 Anna Maria Curci AVVENIMENTI Maria Lanciotti e Pierino Pennesi vincitori del Premio “Vincenzo Scarpellino” 2016 Brillantemente condotta da Angelo Blasetti si è svolta l’11 giugno a Roma nel Centro Culturale Lepetit l’assegnazione ai vincitori e finalisti del Premio di poesia e stornelli inediti nei dialetti del Lazio “Vincenzo Scarpellino” 2016, organizzato dall’Ass. L’INCONTRO con l’Ass.Periferie, con il patrocinio dell’UNPLI Lazio. Maria Lanciotti, poetessa in dialetto di Subiaco, è la vincitrice della sezione poesia della VI edizione. Seconda classificata Paola Volpi (dial. romanesco) e terza Aurora Fratini (dial. di Sambuci). La Giuria ha scelto i vincitori dopo una prima selezione di 11 poeti finalisti, tra i quali, oltre ai primi tre classificati: Bruno Fiorentini (Bracciano, dial. romanesco), Luciano Gentiletti (Rocca Priora, dial. romanesco), Agnese Monaldi, Pierino Pennesi, Angela Sgamma (questi ultimi nel dial. di Allumiere), Gaudenzio Vannozzi (Genzano, dial. romanesco),Valerio Volpi (Anguillara Sabazia, dial. romanesco). Nella sezione stornelli, il vincitore è Pierino Pennesi (dial. di Allumiere). Seconda Maria Pia Santangeli (Rocca di Papa, dial. romanesco), terzo Cesare Aloisi (Tarquinia, dial. romanesco). I membri della Giuria del Premio Cosma Siani (presidente), Paolo D’Achille, Francesca Dragotto, Giorgio Grillo, Vincenzo Luciani, Franco Onorati, Pietro Paris, Rossano Tantari, si sono alternati nella consegna dei premi. Molto applauditi i ragazzi della scuola “Donna Clelia Caetani” di Sermoneta (LT) e le esibizioni del Coro Accordi e Note diretto dal M° Roberto Boarini. Con molto pathos A. Blasetti, in apertura e a conclusione dell’incontro, ha letto due poesie di Vincenzo Scarpellino. Ai presenti è stata offerta l’antologia del Premio, curata da Edizioni Cofine. Periferie Aprile/Giugno 2016 31 CONCORSO IV edizione Premio Salva la tua lingua locale (Sintesi del bando) L’Unione Nazionale Pro Loco d’Italia e Legautonomie Lazio, in collaborazione con il Centro di documentazione per la poesia dialettale Vincenzo Scarpellino, il Centro Internazionale Eugenio Montale e l’EIP “Scuola Strumento di Pace” indicono la terza edizione del Premio Salva la tua lingua locale. Il Premio è aperto a tutti gli autori e si articola nelle seguenti sezioni tutte a tema libero in una delle lingue locali d’Italia: SEZIONE A – Poesia Edita – Libro di poesia edito a partire dal 1 gennaio 2014. SEZIONE B – Prosa Edita (storie, favole, racconti inediti, dizionari, rappresentazioni teatrali) – Libro di prosa edito a partire dal 1° gennaio 2014. SEZIONE C – Poesia Inedita. SEZIONE D – Prosa Inedita. PARTECIPAZIONE E SCADENZA - Per le sezioni A e B, ogni autore deve inviare n. 5 copie di un solo libro. Il plico postale dovrà essere inviato a: UNPLI via Ancona 40 00055 Ladispoli (RM), entro il 1° settembre 2016. Per la sezione C ogni autore può inviare fino a tre poesie inedite, con relativa traduzione in italiano, massimo 90 versi in totale. Le poesie dovranno essere inviate entro il 1° settembre 2016 a [email protected] assieme alla specifica scheda di partecipazione allegata al Bando. È obbligatoria la registrazione dei lavori inviati in file audio oppure audio-video. Per la sezione D, si accettano storie, favole, racconti inediti di massimo 3600 battute (spazi bianchi inclusi), corredate di traduzione. Dovranno essere inviati entro il 1° settembre 2016 a [email protected] assieme alla specifica scheda di partecipazione allegata al Bando. È obbligatoria la registrazione dei lavori inviati in file audio oppure audio-video. Gli elaborati di cui alle sezioni C e D dovranno essere inediti in volume e non premiati in altri concorsi letterari. La partecipazione è gratuita. Per l’iscrizione non si ammettono pseudonimi, nomi di fantasia o diversi dalla reale identità dell’autore pena l’invalidazione dell’iscrizione. La scheda di adesione per tutte e 4 le sezioni e il bando completo sono disponibili sul sito www.poetidelparco.it o possono essere richiesti via email a [email protected] PREMI - La proclamazione dei vincitori è prevista nel mese di gennaio 2017 a Roma. Sono previsti premi in denaro, riconoscimenti e menzioni d’onore. Le opere saranno valutate a giudizio insindacabile e inappellabile della Giuria. I vincitori sono tenuti a ritirare personalmente il premio assegnato. ORGANIZZAZIONE Coordinamento Premio: Gabriele Desiderio ([email protected]). Segreteria: Anna Corsi, Valentina Cardinale, Claudio Porena, Luigi Poeta. EDIZIONI COFINE 2015 L’Ombra del sogno. Viaggio nella poesia di Giuseppe Rosato, a cura di Anna De Simone, pp. 136, € 15,00 Con questo libro, un nitido e accurato ritratto d’autore, Anna De Simone ci introduce a una lettura approfondita dei molteplici e più significativi testi poetici in lingua e in dialetto di Giuseppe Rosato. Paolo Gagliardi, Fent, caval e re (Fante, cavallo e re), pp. 32, € 10,00 La raccolta di poesie in dialetto romagnolo, vincitrice della dodicesima edizione del Premio nazionale “Città di Ischitella-Pietro Giannone” 2015, è un diario di guerra composto da piccoli frammenti, in cui l’io narrante, i compagni, le giovani reclute e i nemici, vivono la loro partita a carte in compagnia della morte, senza il conforto della speranza, riscaldati a volte da qualche tenue ricordo. La vita di trincea è evocata con forza icastica, senza tentazioni retoriche, in uno stile asciutto, il solo con cui si può raccontare una guerra senza senso, come tutte le guerre. Carlo De Paolis, Scoppio di sole. Vento di libeccio, pp. 64, € 10,00 L’antologia intende far emergere la fisionomia di poeta, in dialetto e in italiano, di Carlo De Paolis. In dialetto civitavecchiese De Paolis si esprime, in versi e forme di fattura regolare, dal registro colloquiale e nel contempo duttilmente adattato alla metrica; l’esuberanza dell’invenzione, ce lo mostra animato da un forte gusto del dialetto con una notevole varietà e vitalità nel lessico e con immagini e pensieri originali. In Italiano affida spesso a versi sciolti o liberi la propria originalità – anche in questo caso – nell’architettura del pensiero e nell’uso di immagini che si imprimono. Roberto Pagan, Un mare d’inchiostro. Pagine su ‘pagine’ e altri cabotaggi, pp. 496, € 25,00 Di Roberto Pagan il volume raccoglie la produzione critica degli ultimi quindici anni. Nella prima sezione il tema del riso in poesia: nove piccoli saggi sotto il segno di Talìa, la musa del “comico”. Nella seconda sezione scritti di tono più leggero assieme ad altri di maggior respiro, fino ai saggi dedicati alla memoria di Armando Patti e Achille Serrao. Nella terza sezione, Trieste e dintorni: le origini, la formazione umana e letteraria dell’autore. I suoi maestri ideali (Saba soprattutto) e i suoi conterranei in genere e qualche pagina di confessione e di analisi della propria opera. Infine la quarta sezione allinea cinquanta recensioni di opere in versi e in prosa di autori, spesso assai diversi tra loro. Dialetto lingua della poesia. Antologia di Ombretta Ciurnelli, pp. 228, € 20,00 Antologia pensata come un convivio letterario di cento poeti di quasi tutte le regioni d’Italia con poesie in cui il dialetto parla di sé e racconta il valore e il significato che ha nella vita e nella scrittura, in una ricca e variegata mescolanza di sonorità, cadenze e armonie, temi e stili. PER ACQUISTARE versare l’importo sul c/c/p 34330001 (Cofine srl via Lepetit 213/1 00155 Roma - IBAN: IT37 H076 0103 2000 0003 4330 001) indicando il titolo del volume: Per accelerare l’invio del volume comunicare il versamento a: [email protected] tel. 06.2253179 catalogo completo su www.poetidelparco.it