3. innovazione organizzaTiva e TeCnoLogiCa neLLa meCCaniCa

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3. innovazione organizzaTiva e TeCnoLogiCa neLLa meCCaniCa
3.
INNOVAZIONE ORGANIZZATIVA E TECNOLOGICA NELLA MECCANICA
Competenze complementari e reti per l’innovazione tra le piccole e medie
imprese: Sintek
Marco Mariani
3.1
Il contesto
Il tema dell’innovazione, della ricerca e del trasferimento tecnologico rientra
pienamente nell’agenda dei policy maker regionali italiani da quando, in primo
luogo con la Legislazione per il decentramento amministrativo del 1997-98 (cosiddetti decreti Bassanini), poi con la riforma del Titolo V della Costituzione del
2001, le Regioni hanno acquisito competenze in materia di politiche industriali e
per l’innovazione.
In numerose regioni italiane ed europee, la logica ispiratrice alla base dell’intervento per l’innovazione è quella del Sistema Regionale di Innovazione (SRI)
(Cooke et al. 2004), un approccio che si è diffuso anche su stimolo dell’Unione
Europea. Sul piano concettuale, ormai da tempo si è passati da un modello lineare a un modello sistemico di innovazione (Lundvall 1993; Cooke et al. 2004;
Malerba 2004), che enfatizza la natura non lineare dei processi innovativi, l’importanza dei legami tra gli attori del cambiamento, dei meccanismi di feedback.
Questa visione, per molti versi, può essere ricondotta nell’alveo della scuola evolutiva, per l’enfasi che quest’ultima pone sui processi e sui fallimenti dinamici
(nei processi di apprendimento; nello sviluppo di complementarietà dinamiche).
D’altro canto, l’approccio del SRI affonda in parte le proprie radici nelle scienze
regionali, in particolare nella letteratura italiana sui distretti industriali e in quella
franco-elvetica sul milieu innovateur (Aydalot 1986). Infine, un terzo filone di
riferimento è quello, di tipo manageriale, rappresentato da Porter (1990; 1998),
che enfatizza il ruolo dei cluster di imprese all’interno di sistemi di innovazione
regionali o locali.
Le questioni finora accennate assumono caratteri peculiari in una regione
come la Toscana, caratterizzata da una tra le più elevate concentrazioni nazionali di infrastruttura pubblica per la ricerca scientifica, ma anche da una realtà
produttiva composta da piccole e medie imprese che, essendo in maggioranza
specializzate in settori ove l’innovazione formale non si situa al centro dei processi industriali, sono meno di altre abituate a confrontarsi con tale infrastruttura.
Questa circostanza ha plasmato per le piccole imprese locali circuiti dell’apprendimento relativamente sganciati dal mondo della ricerca, dando luogo al controverso fenomeno dell’innovazione senza ricerca (Bonaccorsi, Granelli 2005)
e traducendosi, nella maggior parte dei casi, in una limitata absorptive capacity
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da parte delle imprese (Cohen, Levinthal 1990) relativamente ai risultati delle
attività della ricerca formale.
Nella meccanica, settore che in linea teorica dovrebbe presentare una certa
propensione all’innovazione tecnologica, il modello prevalente di organizzazione
della produzione vede la compresenza di una committenza costituita da poche
imprese medio-grandi e di una subfornitura costituita da un numero molto elevato di piccole imprese, spesso artigiane. Questa circostanza, tipica della Toscana
ancor più di altre regioni italiane, spiega in parte il perché le statistiche ritraggano
una regione ancora poco vivace sul piano dei tradizionali indicatori di innovatività. In uno studio di qualche anno fa, Varaldo et al. (1997, p. 144) sottolineano, con
riferimento alla meccanica toscana, “la debolezza qualitativa dei legami verticali
tra medio-grande e piccolissima impresa di subfornitura”. All’origine di tale debolezza gli autori individuano (idem, pp. 141-142):
-- il contenuto tecnologico povero delle lavorazioni acquisite, riguardante soprattutto parti meccaniche, carpenteria, montaggi, ecc.;
-- la netta separazione tra subfornitura di lavorazione e subfornitura di progettazione: il primo gruppo, molto esteso, è costituito da piccole imprese non
attrezzate con strutture di progettazione autonome; il secondo gruppo, numericamente meno rilevante, è invece costituito da studi di progettazione che non
svolgono attività produttiva in senso materiale;
-- l’eccessiva dipendenza della subfornitura da un singolo committente, che riduce le opportunità di apprendimento, soprattutto in presenza di rapporti tecnologicamente poveri;
-- l’assenza di fornitori di medie dimensioni, che agiscano da interfaccia di primo livello tra la grande impresa committente e il secondo e più ampio livello
della subfornitura, esercitando responsabilità progettuali e di coordinamento
rispetto a un determinato sottosistema di attività.
La presenza di forti asimmetrie tra imprese committenti e piccola subfornitura
meccanica è confermata in indagini più recenti, sulla Toscana (Cavaliere 2007;
Bacci et al. 2008) e su altre regioni (Russo, Pirani 2002).
Nell’ambito degli approcci di tipo evolutivo, ai quali qui ci si richiama (Malerba 2000a), è posta grande enfasi sull’impresa quale soggetto a razionalità limitata
che si muove entro un contesto dinamico, è depositaria di conoscenza incorporata
in routine ed è protagonista di processi di apprendimento organizzativo che ne
riqualificano -in senso incrementale- le competenze.
Il riferimento alle competenze appare qui particolarmente rilevante: esse rappresentano quella parte della conoscenza che agisce nel senso di ricomporre e
integrare altri pezzi di conoscenza, sia essa tacita o codificata, e di connetterli
attraverso codici, linguaggi e pratiche (Malerba, Orsenigo 2000). La letteratura
ha approfondito in senso critico diversi aspetti delle competenze; con Malerba
(2000b) se ne richiamano i tre principali:
a) le competenze hanno una dimensione inerziale: le imprese tendono a
concentrare il proprio apprendimento su ciò che già conoscono almeno in parte.
Ciò implica che lo sviluppo delle competenze può irrigidirsi sull’esistente. È
anche utile richiamare il concetto di dynamic capability, definito da Teece,
Pisano e Schuen (1997) come “the firm’s ability to integrate, build, and
reconfigure internal and external competences to address rapidly changing
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environments”. Come appare evidente dalla definizione, la dynamic capability
rappresenta una meta-competenza che permette all’impresa di superare
l’inerzia e di riconfigurare il proprio patrimonio competenziale;
b) le competenze hanno una dimensione contestuale: il comportamento delle
imprese, risultato di una serie di conoscenze, competenze nonché di routine
organizzative e strategie elaborate sulla base di queste, si sviluppa entro un
ambiente tecnologico, settoriale e istituzionale ben preciso che influenza
fortemente i modelli di apprendimento; un ambiente, dunque, che in una certa
misura è rappresentato dal contesto geografico (regionale o locale) in cui
l’impresa è inserita;
c) le competenze hanno una dimensione organizzativa: l’attività produttiva e
innovativa necessitano che attraverso le competenze vengano integrate diverse
complementarità. Queste ultime sono in parte presenti all’interno dell’impresa,
in parte esse sono offerte dall’ambiente esterno.
Ebbene, il modello di impresa proposto dagli evolutivi appare particolarmente
appropriato da applicare all’analisi dei processi innovativi della piccola impresa.
Questa letteratura aiuta a comprendere l’impatto di alcune delle caratteristiche
peculiari della PMI sul modo in cui essa innova: la presenza di un imprenditore-proprietario, la tendenziale chiusura degli assetti direzionali rispetto a risorse
esterne alla famiglia, competenze limitate e specifiche inserite in uno scarno impianto organizzativo e manageriale comportano spesso un forte rischio di irrigidimento inerziale e di lock-in. Ecco dunque emergere la necessità che la piccola
impresa riesca a riconfigurare le proprie competenze aprendosi alla conoscenza
esterna. A tal fine, il modello della rete di imprese appare idoneo ad avviare il
processo innovativo facendo leva sulla complementarietà esistente tra le competenze specifiche di più piccoli produttori, oltre che a creare le condizioni per
l’apprendimento organizzativo, sia interno che collettivo.
Nell’ultimo ventennio, il tema delle reti per l’innovazione è stato oggetto di
crescente attenzione da parte della comunità degli studiosi; attualmente esso rientra
tra quelli di primo piano nella scuola evolutiva (Fagerberg et al. 2006). Affermano
Powell e Grodal (2006, p. 79), in un saggio in cui rappresentano lo stato dell’arte
della ricerca sul tema: “Networks contribute significantly to the innovative capabilities of firms by exposing them to novel sources of ideas, enabling fast access to
resources, and enhancing the transfer of knowledge. Formal collaborations may
also allow a division of innovative labor that makes it possible for firms to accomplish goals they could not pursue alone”. Si distinguono, in genere, due tipi di
reti: a) quelle basate su legami di tipo contrattuale (alleanze strategiche, rapporti
di subfornitura, partecipazione a consorzi, ecc.); b) quelle basate su legami di tipo
informale (affiliazione a un’associazione professionale, a una comunità tecnologica, ecc.). La letteratura teorica pone altresì enfasi sulla stabilità e sulla governance
delle reti (Grabher, Powell 2004), mentre i contributi di taglio empirico trovano una
relazione fortemente positiva tra il formarsi di alleanze e l’innovazione, in particolare nei settori ad alta tecnologia (Powell, Grodal 2006).
Va anche ricordata la stretta connessione tra il tema delle reti e quello del trasferimento tecnologico (Mowery et al. 1996). Quest’ultimo assume un’importanza cruciale quando più imprese mettono in combinazione capacità complementari
per creare un prodotto che altrimenti non sarebbero state in grado di produrre,
71
come è spesso il caso per le piccole e medie imprese. Lipparini et al. (2001), ad
esempio, hanno mostrato come nell’industria italiana del motociclo, l’alleanza
tra produttori a specializzazione complementare risulti essenziale nell’attivare
processi innovativi, a condizione che vi sia un’impresa-guida in grado di mettere
insieme le specializzazioni complementari e coadiuvare la circolazione dell’informazione e delle risorse entro la rete.
Dall’analisi della letteratura su cluster e reti di imprese, nonché di numerosi
documenti di politica industriale (Andersson et al. 2004), è possibile individuare
buone pratiche essenzialmente rivolte a: a) innescare processi di apprendimento che riqualifichino le basi tecniche e manageriali delle PMI, in modo da b)
accrescerne la competitività rispetto alla clientela finale o a quella industriale
(in quest’ultimo caso la buona pratica consente di acquisire potere contrattuale).
Tipicamente, gli elementi della buona pratica sono i seguenti:
-- creazione di reti stabili tra PMI: la stabilità della rete è elemento essenziale
perché le complementarietà si sviluppino, si generi apprendimento, si creino le
condizioni necessarie alla produzione di economie esterne;
-- rinforzo delle competenze manageriali: in particolare le competenze che consentono da un lato l’effettivo coordinamento della rete; dall’altro il governo dei
processi innovativi e dei rapporti con il mercato;
-- crescita delle competenze tecnologiche: il processo di apprendimento modifica e arricchisce le routine che governano la produzione, innestandovi elementi
innovativi riguardanti le tecnologie utilizzate e gestite;
-- diversificazione di prodotto: in certi casi, la crescita delle competenze manageriali insieme a quelle tecnologiche può produrre una diversificazione di prodotto;
-- diversificazione della clientela/potere contrattuale: per effetto delle maggiori
competenze accumulate, si moltiplicano gli sbocchi di mercato per i prodotti; nel
caso in cui si faccia riferimento a una clientela industriale, si passa da un regime
di monocommittenza a un regime di pluricommittenza (potere contrattuale).
3.2
Sintek, caratteristiche di buona pratica e determinanti di successo
•• La realizzazione della buona pratica
Sintek è una società cooperativa costituita nel 2002 da 9 piccoli produttori meccanici in prevalenza localizzati in un’area, quella pistoiese, che presenta una forte
specializzazione legata alla produzione di materiali rotabili sviluppatasi intorno
ad Ansaldo Breda.
La scelta di creare una rete di imprese, in parte maturata e incubata nell’ambito di una delle associazioni di categoria artigianali locali (il progetto risale al
2001), risponde a una triplice esigenza: a) diversificare il target di clientela industriale, fino ad allora sostanzialmente improntato alla monocommittenza di Ansaldo Breda; b) offrire alla grande committenza industriale prodotti complessi
chiavi in mano, come è sempre più tipico nel settore della meccanica e, connesso
a questo; c) creare un’unica unità-interfaccia con il mercato che sia responsabile
della riuscita e della funzionalità del prodotto complesso dinanzi alla committenza, sollevando quest’ultima dai costi di transazione legati alla stipula di contratti
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distinti e da quelli di coordinamento di un processo produttivo decentrato e frammentato (Cavaliere 2007).
Nell’operazione ha avuto un ruolo trainante la Tekno, impresa della rete specializzata nel settore dell’energia, già in rapporti d’affari con la fiorentina Nuovo
Pignone, impresa italiana del gruppo General Electric. La commessa che Sintek riceve da Nuovo Pignone rappresenta una prima opportunità di diversificazione produttiva e della clientela, in quanto attiene la progettazione di un prototipo di unità
di compressione destinata al rifornimento di metano per veicoli privati o pubblici.
Nei rapporti con Nuovo Pignone, Sintek rappresenta da subito l’unico interlocutore. Grande importanza, in questo progetto, è assunta dalle competenze progettuali
disponibili presso alcune delle imprese della rete, in particolare Tekno.
Le attività produttive intermediate dalla cooperativa Sintek iniziano solo nel
2003, nell’ambito del rapporto instaurato con Nuovo Pignone. I rapporti d’affari
instaurati dalla Sintek devono intendersi come addizionali rispetto a quelli delle
singole imprese: queste ultime, infatti, hanno mantenuto rapporti di subfornitura
autonoma con Ansaldo Breda. Negli anni immediatamente successivi, la produzione per Nuovo Pignone cresce significativamente e la cooperativa instaura rapporti
diretti, anche qui addizionali rispetto a quelli dei singoli soci, con Ansaldo Breda.
Il nuovo rapporto non riguarda la fornitura di mezzi rotabili, bensì il cosiddetto
service, ossia l’installazione di upgrade per la sicurezza sui veicoli ferroviari in una
serie di cantieri/officine di Trenitalia. Si apre così una nuova opportunità di diversificazione, che innesca nella rete un secondo processo di apprendimento e di arricchimento delle competenze tecnologiche. Questo processo è stato principalmente
governato dalla cooperativa, nella quale risiedono forti abilità manageriali. Infatti,
nel settore della metalmeccanica, le attività strettamente produttive, specie quelle di
fase, non si caratterizzano per contenuti tecnici molto specifici, in quanto i moduli
di un prodotto possono essere destinati, con alcuni adattamenti, a diversi settori di
sbocco. Il problema, dunque, è di tipo più manageriale che tecnologico, e in questo
la capacità della Sintek di declinare le richieste della committenza in specifiche
produttive compatibili con le routine in essere presso i singoli soci ha rappresentato
il punto di avvio dei nuovi processi di apprendimento.
Dal 2005, sono entrati a far parte della cooperativa ulteriori soggetti, di provenienza anche extraregionale. La rete Sintek, dunque, oltre ad essere stabile, si
è dimostrata essere anche attrattiva nei confronti di soggetti esterni che ne percepiscono le potenzialità. Oggi aderiscono alla cooperativa 12 imprese: 6 imprese
sono localizzate nell’area pistoiese; 3 in altre aree della Toscana; 3 in altre regioni
italiane. La rete nel suo complesso ha 350 dipendenti e realizza un fatturato di 38
milioni di euro.
Il successo e la stabilità della rete sono dovuti a una serie di abilità manageriali
sviluppate dalla Sintek: verso l’esterno quella di interloquire in maniera evoluta
con la committenza; verso l’interno della rete quella di coordinare efficacemente
i processi produttivi a partire dalla fase progettuale e di saper intervenire adeguatamente sul sistema degli incentivi -economici e non- dei singoli soci.
•• Le ragioni del successo
Gli elementi interni all’esperienza della rete Sintek che più positivamente hanno
favorito il venire in essere della buona pratica riguardano le competenze manage73
riali che risiedono nella cooperativa. In particolare, la qualificazione culturale dei
managers, parte dei quali è in grado di svolgere attività progettuale, ha reso più
agevoli il rapporto con la grande committenza, il coordinamento della produzione interno alla rete, ma anche i rapporti con attori istituzionali del territorio, non
ultima l’università. Evidentemente, il trasferimento tecnologico dall’università
alla rete di piccole imprese viene principalmente a dipendere dall’absorptive capacity dell’unità di interfaccia, nel nostro caso la cooperativa, la quale provvede
alla ricodifica e alla diffusione all’interno della rete del nuovo sapere. La Sintek
ha instaurato contatti con alcuni elementi più aperti alla ricerca applicata della
Facoltà di Ingegneria dell’Università di Firenze; inoltre è solita ospitare stage di
laureandi e, più di recente, di dottorandi.
Molto rilevante, ai fini della stabilità e coesione della rete, si è mostrata la
capacità del management della Sintek di condurre i processi di governance volti
a creare una visione strategica comune, ottenere una convergenza degli obiettivi
dei singoli soci e contenere la forza centrifuga che potrebbe scaturire da problemi
di opportunismo.
Tra le determinanti interne alla rete, infine, va ricordato il modello di organizzazione adottato, che prevede l’esistenza di funzioni integrate svolte da Sintek
quali il controllo di qualità, le vendite, il coordinamento, ma anche la progettazione e la programmazione della produzione (svolti in cooperazione con le due
imprese della rete specializzate nella progettazione, l’una in campo energetico,
l’altra in campo ferrotranviario).
All’esterno la rete ha potuto godere della vicinanza di alcuni grandi committenti, quali Ansaldo Breda e Nuovo Pignone; nonché, più in generale, di un capitale umano e imprenditoriale formato e specializzato. Infine vanno sottolineati: a)
il ruolo di accompagnamento svolto da una delle locali Associazioni di categoria,
che nella fase di start up ha fornito un supporto sia strategico (consulenze esterne)
che amministrativo; b) il ruolo di formazione manageriale specifica svolto dalle
Amministrazioni locali attraverso corsi rivolti alla comunità industriale e riguardanti l’analisi strategica, il marketing, il controllo della qualità, ecc..
3.3
La comparazione internazionale, il cluster produttivo di Skaraborg (S)
Skaraborg è un’area compresa nella regione svedese del Västra Götaland, sede
di numerose industrie meccaniche. Tra gli attori di rango internazionale presenti
nell’area si ricordano Volvo ed Electrolux, accanto ai quali si hanno diverse altre
medie e grandi imprese operanti in vari comparti della meccanica e dei mezzi di
trasporto. Nel 1999-2000 uno studio condotto secondo la metodologia RITTS
(Regional Innovation and Technology Transfer Strategies) ha evidenziato una serie di debolezze della regione, con particolare riferimento al tessuto di piccole e
medie imprese subfornitrici: scarsa propensione alla collaborazione tra imprese; scarsa capacità innovativa e rapporti tra PMI e ricerca applicata universitaria
poco frequenti. A partire da qui la comunità industriale ha sviluppato i progetti
IDS e IFS. L’obiettivo di IDS (Industrial District Skaraborg) è quello di istituire
una piattaforma entro la quale sviluppare i contatti e le partnership tra imprendi74
tori, rinforzando l’azione dei membri con alcune competenze esterne. Il progetto
si rivolge ai piccoli produttori nei settori automotive e degli elettrodomestici,
subfornitori di uno o due grandi committenti. La finalità di IDS è quella di promuovere la riqualificazione della subfornitura industriale, incentivare la creazione di reti tra produttori complementari, aiutare le imprese a individuare minacce e
opportunità che si presentano anche sul piano tecnologico, facilitare la relazione
tra piccole imprese e servizi qualificati.
L’aspetto più interessante è però costituito dalla connessione che lega il progetto IDS con il progetto IFS (Industrial Research Skaraborg). Quest’ultimo consiste in una rete per lo sviluppo di tecnologie, tra i cui membri si hanno istituzioni
di supporto locali quali università, istituti di ricerca e altre organizzazioni pubbliche e private. Sono membri della rete IFS: l’Università di Goteborg, la Chalmers
University of Technology (anch’essa a Goteborg), l’Università di Skövde (collocata nella regione, include un parco scientifico), lo Swedish Institute of Production and Engeneering Research (coordinatore), lo Swedish Institute for Fibre and
Polymer Research, lo Swedish Environmental Institute, lo Swedish Institute for
Quality, lo Swedish National Testing and Research Institute, lo Swedish Institute
for Food and Biotechnology e lo Swedish Ceramic Institute. Il ruolo di IFS è
quello di agire da supporto allo sviluppo di IDS, individuando potenziali nuovi
membri, promuovendo workshops per coordinare l’attività dei cluster che nascono in IDS, aiutare le imprese a individuare i problemi e le relative soluzioni. Nel
complesso, la rete IFS mette a disposizione della comunità industriale un pool di
circa 800 esperti. Per facilitare il contatto tra le imprese e la rete di esperti, IFS ha
predisposto un numero di telefono unico che smista le richieste di supporto agli
specialisti di volta in volta più competenti.
All’interno della rete dei consulenti vengono regolarmente organizzate attività
di tipo formativo-orientativo, volte a rinforzare la capacità di interpretare e rispondere ai bisogni delle imprese. Ad esempio, l’Università di Skövde ha orientato la formazione e la ricerca scientifica dei propri ingegneri su tematiche rilevanti
per l’industria locale; è altresì frequente che ricercatori universitari partecipino
a progetti di ricerca congiunti con le imprese. Tra le aree di ricerca rivelatesi più
rilevanti per le imprese locali si possono citare le tecniche di realizzazione di
prodotti virtuali, la manufacturing simulation e la logistica.
3.4
Indicazioni per le politiche
Il caso preso in esame in questo studio è rappresentativo, per dirla con Cavaliere
(2007, p. 19), di quelle “pratiche, che si svilupparono in Giappone negli anni
‘60-‘70 e che hanno trasformato la subfornitura giapponese da un rapporto [con il
committente] di tipo win-lose a un modello di manufacturing collaborativo a forte
contributo tecnologico da parte degli stessi subfornitori”. Secondo questo modello, la grande impresa committente sviluppa una rete gerarchizzata di subfornitura,
al primo livello della quale va a collocarsi un numero limitato di subfornitori strategici i quali da un lato collaborano con il committente allo sviluppo del prodotto,
dall’altro coordinano la cerchia più estesa dei subfornitori di secondo livello. In
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questo contesto generale, le reti tra imprese rappresentano il mezzo attraverso il
quale le piccole imprese della subfornitura possono sviluppare una progettualità
che consente loro di proporsi alla grande committenza nel ruolo di subfornitore
strategico ed, eventualmente, di diversificare la propria clientela.
Obiettivo delle politiche industriali deve essere dunque quello di incentivare
la formazione di reti di imprese, entro le quali si rinforzino le capacità e competenze manageriali, strategiche e organizzative delle imprese, ma anche, sulla base
di un’accresciuta capacità di assorbimento della conoscenza prodotta all’esterno,
le capacità e competenze tecnologiche.
Il perseguimento di questo obiettivo richiede che venga posta attenzione su tre
aree di intervento delle politiche pubbliche.
In primo luogo sono opportune politiche di sostegno istituzionale alla formazione di reti tra le piccole imprese. Tra le maggiori difficoltà che gli imprenditori
si trovano a fronteggiare vi è quella di individuare partner dotati di competenze
e tecnologie complementari da integrare alle proprie, nell’ottica di fornire alla
clientela un prodotto complesso. Eventuali azioni di supporto dovrebbero essere
pertanto finalizzate a orientare/accompagnare le imprese nella scelta dei partner e
a far emergere, tra questi, una visione comune circa un progetto strategico.
In secondo luogo sono opportune politiche di formazione in senso manageriale degli imprenditori. In controtendenza con l’atteggiamento tipicamente passivo
dei subfornitori dipendenti dalla commessa, eventuali interventi dovrebbero essere finalizzati allo sviluppo, entro le reti, di capacità e metodologie necessarie
all’elaborazione di progetti complessi: tra le altre si possono ricordare la capacità
di elaborare un business plan, quella di effettuare analisi strategica, marketing e
controllo della qualità.
Infine, sono opportune politiche che, incentivando le relazioni tra università
e reti di piccoli produttori, favoriscano il rinnovamento delle competenze e tecnologie disponibili nelle reti in modo funzionale al progetto strategico da queste
intrapreso. Il raccordo all’università, come ci insegna l’esempio svedese, è utile
non solo nella fase di operatività della rete, ma può svolgere un ruolo decisivo anche nella fase della sua gestazione, contribuendo a orientare il processo
di integrazione della competenze complementari rispetto a obiettivi progettuali
innovativi.
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