SCARICA LA PRESSTLETTER n. 21 – 2013

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[01]EDITORIALI [02]FLASH [03]BLOG
Finalmente Bray ha trovato lo slogan per il padiglione italiano a Venezia ” The slow must
go on" ( Marcello del Campo)
[01] EDITORIALI
LPP
Storia dell’architettura italiana: 1985-2015 – una
recensione di LPP
Ho appena comprato il libro di Biraghi e Micheli sull’architettura italiana dal 1985 al
2015(sic). Ho letto sgomento qualche pagina a caso, dove si lodano opere inguardabili. Ma
la sorpresa maggiore è che Zevi in oltre 350 pagine è citato due volte e di sfuggita mentre,
solo per fare un nome, il gruppo Baukuh oltre dieci, e Gregotti quasi 50. Purtroppo chi,
come me, ha scelto di fare il critico deve leggersi anche i libri più stupidi e demenziali.
Questo appare al limite: se non si capisce il ruolo che Zevi ha avuto negli anni novanta,
vuol dire proprio che chi lo ha scritto di architettura italiana ne mastica proprio poca.
Seconda osservazione: perché 1985-2015? perché piaceva il numero tondo. 1985-2013
faceva poco geometrico. E poi andare avanti di due anni alludeva a una melodica
proiezione verso il futuro. Siamo moderni e nello stesso tempo siamo armonici: ecco il
messaggio mostruoso. Come i Cugini di Campagna. Forse già nella scelta del titolo si
vede l’anima che pervade il testo.
Terza osservazione: il libro parla poco di architettura per buttarsi in sociologia. E allora ci
saremmo aspettate buone analisi del rapporto tra architetti e politica. Un bel tema, se non
altro da affrontare. Si parla, per esempio della Milano da bere e della Milano 2 di
Berlusconi, ma poi non si accenna ai rapporti tra Craxi e Portoghesi, al sistema delle
cooperative, al modo in cui sono stati assegnati negli anni ottanta e novanta gli incarichi
pubblici, a scandali come quelli del G8. Passando alla sociologia della cultura, il caso
Casamonti non è neppure accennato. Da un lato si parla di alcune opere di Archea e
dall’altro , tra le riviste, si accenna ad Area. Come se si trattasse di uno studio di
architettura qualsiasi e di una rivista qualsiasi e non di uno dei più interessanti e
controversi casi per scalare l’architettura italiana. Idem quando si parla di Boeri, anche se
con una punta di approfondimento, Ma con una analisi omertosa e reticente. Da tutti i punti
di vista questo libro di Biraghi e Micheli è una vergogna.
Quarta osservazione: invece di denunciare i convegni sull’identità dell’architettura italiana
come bullshit, li si cita come importanti. E si cerca anche di individuare ciò che costituisce
il nodo dell’identità. Che sarebbe, per gli autori, la problematicità. Cioè praticamente
niente. Si, potrebbe trovare, infatti, una caratteristica più generica? Come dire che tutti noi
siamo timidi. Oppure che in fondo a ogni uomo si nasconde una bestia. Oppure che gli
italiani sono brava gente. Invece si parla poco e niente di fenomeni che stanno esplodendo
come quello dell’emigrazione degli architetti italiani all’estero, con le conseguenze dal
punto di vista dell’ibridazione dei linguaggi (con una nuova koinè). L’Europa sembra non
esistere, mentre i punti di riferimento rimangono le sempre più devastate strutture
universitarie.
Quinta osservazione sul libro di Biraghi e Micheli : delle nuove forme di comunicazione non
c’è traccia. Non si dice una parola di arch’it e dell’esperienza delle riviste elettroniche da
channelbeta ad Archphoto. Non si dice una parola della serie della rivoluzione informatica
di Antonino Saggio. Non una parola su presS/Tletter. Non una analisi su Niba, Archphoto,
Archiwatch, Europaconcorsi. Non una osservazione intelligente sul complesso e oramai
importante mondo dei blog e del web. Un libro scritto in sacrestia, da chi il mondo lo
conosce solo attraverso le lenti deformanti dell’accademia.
Sesta osservazione: un capolavoro di ambiguità la descrizione di Gibellina. Prima si
lodano le opere senza senso e fuori scala degli architetti coinvolti. Poi, in conclusione e di
sfuggita, si afferma che sono tardive e sostanzialmente estranee ai luoghi. Non si dice una
parola della follia di aver fatto un piano così megalomane e fuori scala per un piccolo
paese della Sicilia. Al di là della notazione specifica, si osservi che questa tecnica di far
precedere prima una serie di elogi e poi un dubbio è proprio di quasi tutte le analisi del
libro. In questo modo si solletica prima l’autore e poi se ne prendono le distanze.
Marchetta+ distanza critica. Insomma come risolvere il problema di avere la moglie ubriaca
senza però perdere la faccia di critico severo.
Settima osservazione: come si faccia a trovare interessanti le opere di Derossi, Purini e
Gregotti lo sa solo dio. Che dio li perdoni.
Per la video recensione: http://www.youtube.com/watch?v=37I1CkuqM1g
Alessandra Muntoni
Guardare Roma con gli occhi di Émile Zola
Per preparare il romanzo Rome, pubblicato nel 1896, Zola ha tenuto un diario durante il
suo soggiorno nella nostra città. Si chiama Il mio viaggio a Roma, 31 ottobre-15 dicembre
1894 ed è disponibile nelle librerie. Il volumetto offre uno spaccato impressionante della
Roma umbertina durante la crisi susseguente la corsa speculativa che travolse
imprenditori, banche e lo stesso Papa Leone XIII, lasciando i cantieri in sospeso.
Zola percorre strade e quartieri dalla via Appia a Trastevere, visita i Musei e la campagna
romana. Va a parlare con Principi, borghesi, giornalisti, con Crispi, il Re e la Regina. Solo
il papa non gli concede udienza. Annota tutto senza veli: l’aristocrazia romana (in rovina), il
popolo (orgoglioso ma tornato ‘bambino’), la borghesia (inesistente), il clero (burocrati dal
cervello stretto), la magnificenza delle chiese (splendide ma vuote), il Tevere (un fiume
morto).
Insomma, Roma falsa capitale.
Cosa è cambiato, cosa no? Proporrei questo confronto: i muraglioni del Tevere, i nuovi
quartieri di Prati e i Ministeri stanno alle nuove costruzioni (Auditorium, MAXXI, Università
Roma 3, i nuovi ponti N), come la speculazione edilizia dell’Ottocento sta a quella di oggi,
ben descritta da Francesco Erbani in Roma, il tramonto della città pubblica.
Nella prima andarono falliti Principi, imprese di costruzione e istituti di credito; ma Roma
divenne a suo modo una città moderna. Nella seconda è fallito il modello di una città
pienamente vivibile e i costruttori, dopo aver ottenuto con le ‘compensazioni’ ingenti aree
edificabili, hanno realizzato in periferia tantissime case che restano in gran parte vendute;
ma Roma è diventata una città contemporanea.
Massimo Locci
I musei e gli allestimenti di Costantino Dardi
Lunedì 11 novembre, nell’ex Cotonificio di Dorsoduro a Venezia, si è inaugurata la
mostra “La linea analitica. I musei e gli allestimenti di Costantino Dardi”, curata da Luka
Skansi, che in cinque sezioni tematiche (i progetti museali, le scenografie urbane, gli
allestimenti in ambito archeologico, gli allestimenti temporanei e per la Biennale di
Venezia) affronta un tema nodale nella ricerca dell’architetto friulano. L’esposizione è stata
introdotta da Serena Maffioletti, Archivio Progetti IUAV, dal soprintendente Erilde
Terenzoni, dal curatore e da Donata Tchou.
Figura centrale nel dibattito architettonico italiano (dagli anni ’60 fino alla sua prematura
scomparsa nel 1991) Costantino Dardi è stato un riferimento per molti architetti –
compreso chi scrive- che l’hanno stimato come teorico e docente, come progettista e come
animatore culturale. Sostenitore del confronto attraverso i concorsi, che da sempre
rappresentano la principale opportunità operativa per chi crede nella dimensione
sperimentale del proprio operare, Nino Dardi era un architetto sensibile, leggero e ironico,
aperto all’innovazione (un antesignano della rivoluzione informatica), impegnato a tutto
campo nella politica culturale: il suo ruolo nella “stagione nicoliniana” è stato rilevante.
Significative anche le sue intersezioni con il mondo dell’arte, lavorando con critici e artisti,
organizzando mostre e partecipando a numerosi convegni e dibattiti sul tema della
comunicazione visiva; credeva in un nuovo dialogo interdisciplinare ma senza
un’assimilazione reciproca dei linguaggi.
Per Dardi l’allestimento, declinato in tutti i suoi aspetti, rappresentava la sintesi tra valenza
espressiva e rigore teorico, un tema teorico-progettuale e una opportunità di
sperimentazione metodologica. “Non dunque l’arroganza di una tecnica tutta tesa alla
presa di possesso del mondo, o la costruzione di macchine irrazionali, retoricamente
impegnate nella propria autocelebrazione, ma il ridisegno di quella fortezza della ragione
che traccia i propri limiti e, con questo gesto inconsapevole, riscopre il mondo e le cose nel
loro continuo divenire.” (Francesco Moschini, Tra retorica del simbolo ed eloquenza del
segno) .
Anche attraverso il suo contributo, la progettazione museografica oggi non è più un settore
disciplinare autonomo dell’architettura: una ricerca specialistica e differente per
metodologie, linguaggi e tecniche. Da semplice luogo di conservazione della memoria il
museo ha assunto nuove finalità e significati simbolici: è luogo emittente messaggi, spazio
interattivo per la comunicazione, soprattutto è centrale nella disciplina del progetto; quindi
occupa una postazione privilegiata nella struttura urbana. Strategia che era già evidente
nel suo celebre saggio “Semplice Lineare Complesso” del 1971, in cui cercava di mettere
a fuoco la nozione cardine di configurazione, analizzando il rapporto tra i fondamenti teorici
del progetto e la sua pratica; tesi ben analizzata da Federico Bilò nel suo recente
panphlet: Figura, Sfondo, Schemi Configurazionali.
Nella poetica di Costantino Dardi il linguaggio è essenziale, purista e minimalista; lo spazio
operativo è corbusierianamente concepito come volumi (semplici box bianchi, permeabili e
leggeri) resi icastici da un uso sapiente e simbolico della luce.
Tra i suoi interessi l’archeologia industriale, studiata come spazialità e come elementi
formali: i tralicci, le grandi navate in mattoni, le superfici saldate di ferro sono diventati, nei
suoi allestimenti e nei disegni, strumenti e ideogrammi espressivi. Sosteneva che se il
Beaubourg, che deve molto ai manufatti industriali, si è dimostrato una macchina museale
efficientissima, è evidente che, per analogia, gli edifici di archeologia industriale si prestino
bene alla funzione espositiva, per la specificità tipologica e per la configurazione degli
spazi che meglio consentono le modalità performative proprie dell’arte contemporanea.
Marco Maria Sambo
La vendita delle spiagge, la svendita del cielo, la
fine del MACRO, Psycho e la distruzione dell’Italia
Qualcuno suggerisce di mettere in vendita il nostro cielo. Prima o poi capiterà. Per fortuna
non ci facciamo mancare nulla e rimaniamo affascinati per gli emendamenti alla legge di
Stabilità che in questi giorni propongono di vendere le “aree su cui sorgono gli stabilimenti
balneari, sinora in concessione, con la contestuale offerta agli attuali concessionari del
diritto di prelazione all’acquisto” (repubblica.it – 12 novembre 2013). In sostanza: vendere
le spiagge italiane ai privati. Un’idea geniale se il fine è quello di procedere con la
distruzione a basso costo del nostro Paese, mettendo in atto una squallida deregulation
delle coste italiane, un delitto fatto di cemento e denaro. Gli speculatori saranno tutti alle
porte, davanti alla TV con popcorn e cocacola, con gli occhi che brillano, al grido di:
compro! Mentre lo Stato risponde: vendonsi spiagge! Insomma, un affascinante teatrino
del tragicomico, mentre i critici non ci fanno caso e continuano a parlare di Zaha Hadid. Ma
niente paura. Il vento è totalmente a favore dei compratori, come dimostra il fatto che poco
tempo fa un’intera isola dell’arcipelago di La Maddalena, la splendida isola di Budelli, è
stata venduta all’asta per meno di 3 milioni di euro al banchiere neozelandese Michael
Harte. Invece, a proposito di arte (senza h davanti e chiaramente senza denaro alle
spalle), pare che sia imminente la chiusura del MACRO. Il bellissimo Museo di Arte
Contemporanea di Roma diventerà (speriamo di no) una semplice location per eventi: “la
Giunta ha approvato una delibera che sfila il museo dalle competenze della
Sovrintendenza e lo assegna al Dipartimento Cultura. Perché? Non è dato sapersi. Sta di
fatto che, come è ovvio, i compiti della Sovrintendenza Comunale e quelli del Dipartimento
Cultura sono molto differenti (altrimenti non si giustificherebbe l’esistenza di due enti). Un
ente tutela e sviluppa la cultura con dei parametri di merito e di qualità. L’altro organizza
eventi, eroga servizi, gestisce spazi” (artribune.com – 29 ottobre 2013). Che amarezza.
Dunque, ricapitolando: vogliono vendere le spiagge italiane, vendono un’isola intera a un
banchiere neozelandese e permettono al Museo d’Arte Contemporanea di Roma
(strategico, utilissimo) di chiudere i battenti. La domanda è (ormai da parecchi anni): ma in
che cavolo di Paese viviamo?
Festeggiamo queste inutili riflessioni ascoltando il preludio di Bernard Herrmann tratto
dalla fantastica colonna sonora del film Psycho, immergendoci in un clima cupo fatto di
tensione psico-drammatica, ideale per descrivere la situazione attuale del nostro Paese.
Ecco l’indirizzo, buon ascolto:
https://www.youtube.com/watch?v=cyLD9bydXEk
[02] FLASH
New Kyoto Town house, Japan
Per info e immagini del progetto vai su en.presstletter
http://en.presstletter.com/2013/06/new-kyoto-town-house-japan/
[03] BLOG
Aforismi ristrutturati 636 - 640 – di
Diego Lama
636) Sei vuoi progettare veloce, progetta da solo
637) Dentro gli edifici piccoli ci si sente grandi
638) Il muro è bianco anche di notte
639) Un edificio non si giudica dalla forma delle maniglie
640) Se vuoi progettare lontano, progetta insieme a qualcuno
Leggi online.
SPECIAZIONE - di Alessandro e
Leonardo Matassoni
IPOTESI EVOLUTIVA DEL GRATTACIELO
"... Nel migliore dei casi, oggi risultano esclusivamente le
dimensioni grandiose, eppure queste costruzioni avrebbero potuto essere qualcosa di più
di una semplice manifestazione delle nostre possibilità tecniche."
Ludwig Mies van der Rohe
"... New York ...... è una catastrofe con la quale un destino troppo avventato ha travolto un
popolo coraggioso e ...
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Litote: il segreto della grande
architettura - di Marco Ermentini
Lo spirito di litote frena la tentazione all'estremismo che
sonnecchia in ogni uomo, e in particolare nell'architetto,
imponendo una regola ad ogni eccesso. Non è una parolaccia
ma il termine con cui si cerca di attenuare una cosa.
L'enfasi (vizio tipico della nostra professione, può portare sino
alla ...
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L'IMPORTANZA DI ESSERE IN BOLLA di Davide Boselli
Esistono dei luoghi deputati al far arte?
Esistono i luoghi istituzionali, come gallerie, musei e fondazioni, dove si espone l'arte,
ostendandola.
E ci sono altri luoghi, quelli non istituzionali, ove l'arte si fa tout court.
Nelle piazze, nelle strade, e ovunque la gente si trovi ad interagire quasi per caso con
l'arte, creando l'identità dell’ hic et nunc.Nasce da quest'ultima suggestione l'idea di ...
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DIGITAL LIFE 2013. Paesaggi in
video - di Marta Atzeni
Deserti del Medio Oriente in guerra, scheletri di cemento
dell’isola abbandonata di Hashima nel Mare Cinese Orientale, edifici in rovina della città
fantasma di Pripyat, macerie delle demolizioni forzate di Shangai.Tra installazioni sonore,
fotografie e sculture cinetiche, sono proprio i video che conducono in questi luoghi le opere
più efficaci di Digital Life 2013 - Liquid Landscapes, rassegna ...
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DEMENZA DIGITALE - di Giulia Mura
di Manfred Spitzer
Edizioni Corbaccio, 2013
€ 19,90
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Maison de Verre: una storia poco
trasparente - di Roberto Sommatino
l' illustrazione è tratta dal
sito http://www.loustal.nl/museum1164.htm , credits
Jacques de Loustal.
A Parigi, negli anni della cosiddetta “nuova oggettività”, Pierre Chareau e Bernard Bijvoet*
portano a termine “Casa Dalsace”, l'ampliamento della residenza (con studio annesso)
dell'omonimo ginecologo, amico e mecenate dell'architetto francese. L'esteso uso di
tamponature in vetromattone, ...
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> Le Vignette di Roberto Malfatti
In redazione: LPP, Anna Baldini, Edoardo Alamaro, Marta Atzeni, Furio Barzon, Diego
Barbarelli, Valentina Buzzone, Diego Caramma, Francesca Capobianco, Christian De
Iuliis, Luigi Catenacci, Marcello del Campo, Arcangelo Di Cesare, Marco Ermentini,
Claudia Ferrauto, Claudia Ferrini, Elisabetta Fragalà, Francesca Gattello, Diego Lama,
Massimo Locci, Rosella Longavita, Zaira Magliozzi, Antonella Marino, Alessandro e
Leonardo Matassoni, Roberta Melasecca, Alessandra Muntoni, Giulia Mura, Ilenia Pizzico,
Filippo Puleo, Marco Maria Sambo, Roberto Sommatino, Graziella Trovato, Antonio Tursi.
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