Relazione prof. Giuliani
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Relazione prof. Giuliani
IL PLURALISMO CULTURALE E RELIGIOSO NELL’IRC PER UNA PEDAGOGIA INTERRELIGIOSA (p. Matteo Giuliani) Il primo sentimento, quando ci avviciniamo ad un altro popolo ad un'altra cultura ad un'altra religione si deve manifestare nel fatto che ci leviamo le scarpe; perché il luogo a cui ci avviciniamo è santo. Altrimenti potrebbe accadere che noi disturbiamo i sogni delicati di altri uomini, o - peggio ancora che noi dimentichiamo, che Dio lì ci ha preceduti (J. V. Taylor) I fenomeni espressi con la parola “multiculturalità” hanno stimolato nella società e nella scuola la proposta dell'interculturalità come progetto per la convivenza e l'arricchimento reciproco a partire dalla eliminazione di ostacoli all'incontro tra persone di cultura e religione diversa. La interculturalità nel futuro dovrà diventare sempre più la forma normale dell’azione sociale, dell'educazione e della scuola e avrà come soggetto la comunità educante nel suo complesso. L’interculturalità, per altro, come impegno di civiltà è scelta parziale se non diventa anche interreligiosità. Di qui le due parti della proposta: il compito dell’educazione interculturale della scuola e orientamenti di didattica religiosa per l’IdR. 1. LINEE DI EDUCAZIONE INTERCULTURALE 1) L’attenzione all’interculturalità nella scuola italiana Dagli anni 90 nella scuola italiana sono entrati bambini e ragazzi immigrati identità che si vanno formando “tra il qui e l’altrove”. Attualmente il flusso di “nuovi” alunni è di 40.000 circa all’anno. Le prime risposte a questa nuova situazione si sono realizzate all’insegna della curiosità e dell’intervento specifico ispirato a protezione di chi è debole e carente di qualcosa, ad una pedagogia di tipo compensativo o difettologico. Si pensava che “l’educazione interculturale era volta ad indicare, con una nozione suggestiva, quali obiettivi perseguire e strumenti adottare per aiutare i bambini stranieri: per il loro inevitabile svantaggio linguistico e psicologico connesso al trauma “culturale” ineluttabile in ogni transizione migratoria; e però anche alle nuove dinamiche nell’organizzazione psichica dell’individuo rispetto alla normalità e “sedentarietà”: degli alunni autoctoni, in questo caso, e della loro cultura. Come se il fatto stesso di essere nati in un altro luogo – soprattutto non nelle 1 1 latitudini europee e dell’Occidente – costituisse un automatico ed inesorabile deficit” . Così l’educazione interculturale si riduce a pedagogia per gli stranieri e ad iniziative di tipo integrativo in modo che l’immigrato possa accedere alla cultura e alla lingua del Paese di accoglienza, coltivando pure la propria lingua e cultura. La normativa italiana, ha valorizzato lo sviluppo delle idee in Europa e dentro il Consiglio d’Europa, e nella CM 205/1990 si presenta segnata da principi innovativi, da indicazioni per l’accoglienza e l’integrazione degli stranieri ma anche dalla proposta dell’educazione interculturale per tutti. Si aggiungono via via altri testi come la CM 73/1994 dal titolo “Dialogo interculturale e convivenza democratica: l’impegno progettuale della scuola”. Vi si parla di educazione interculturale, di prevenzione del razzismo e dell’antisemitismo, di valorizzazione di tutte le discipline per obiettivi interculturali, di educazione all’Europa e per le società globalizzate (Cfr anche DPR 394/1999; Regolamento 275/1999; si veda anche “La pronuncia del Consiglio nazionale della pubblica istruzione su Problematiche interculturali, 2005, e MIUR, Linee guida per l’accoglienza e l’integrazione degli alunni stranieri, 2006). Da considerare anche MIUR, Osservatorio nazionale per l’integrazione degli alunni stranieri e l’educazione interculturale, La via italiana alla scuola interculturale, 2007. Nel testo del 1994 tra l’altro si afferma: “L’educazione interculturale si basa sulla consapevolezza che i valori che danno senso alla vita non sono tutti nella nostra cultura, ma neppure tutti nelle culture degli altri; non tutti nel passato, ma neppure tutti nel presente o nel futuro. Educare all’interculturalità significa costruire la disponibilità a conoscere e a farsi conoscere nel rispetto dell’identità di ciascuno in un clima di dialogo e di solidarietà”. 2) Il compito delle agenzie educative e della scuola nella società multiculturale La società e la scuola nella società complessa devono considerare come situazione ordinaria ed effettiva risorsa formativa il fatto che le differenze sia lontane che vicine sono componenti della vita quotidiana, e che gestire relazioni con le differenze è un compito primario. Educazione interculturale è il nome che assume questa dimensione irrinunciabile dell’educazione. Un primo passo verso l'educazione interculturale consisterà nella elaborazione di un quadro di obiettivi, connotabili come mentalità aperta che si distanzia dal pensiero autocentrato ed etnocentrico, e che possono assumere la caratteristica di una serie di idee forti da considerare come l’orizzonte dell’azione educativa: - riconoscere e valorizzare le diversità come fattore di arricchimento; favorire la conoscenza dell'altro per eliminare la paura e il pregiudizio; esprimere la propria identità attraverso la comunicazione senza timore di essere diverso; favorire la formazione di un'identità personale e culturale chiara e consapevole in una prospettiva di comprensione e di interazione con quella degli altri, fino ad arricchirsi dei dati degli altri… Altri passi della educazione interculturale riguarderanno il superamento di pregiudizi e stereotipi e una corretta concezione dell’identità e della cultura. 1 D. Demetrio, Facciamo il punto. L’educazione interculturale al bivio, in D. Demetrio - G. Favaro, Didattica interculturale. Nuovi sguardi, competenze, percorsi, Franco Angeli, Milano 2004, 13. 2 In primo piano c’è la disposizione negativa nei confronti dell'altro, del diverso assume varie manifestazioni e aspetti. Si parla di pregiudizi, stereotipi, razzismo, antisemitismo, fobie, ecc. Abbiamo bisogno di chiarire, anzitutto, il significato dei termini, di identificare le spiegazioni dei fenomeni indicati e di recuperare qualche orientamento operativo in vista del superamento di quanto rende difficile la strada del dialogo. Di pregiudizio si possono dare diverse definizioni. A livello etimologico si tratta di un "giudizio precedente all'esperienza o in assenza di dati empirici, che può intendersi come più o meno errato, orientato in senso favorevole o sfavorevole, riferito tanto a fatti quanto a persone o a gruppi" (definizione di massima generalità). Per pregiudizio, avvicinandosi al nostro tema, si può anche intendere "la tendenza a considerare in modo ingiustificatamente sfavorevole le persone che appartengono ad un determinato gruppo 2 sociale" (definizione di massima specificità) . A questa definizione è sempre unita l'idea che il pregiudizio non è un fatto solo valutativo ma funziona come capacità di orientare concretamente l'azione nei confronti dell'oggetto considerato: il pregiudizio si pensa, si esprime nel linguaggio verbale e non, e si traduce in gesti di rifiuto, ostilità e violenza. Quando si parla di stereotipo (dal greco: impronta rigida), se lo si considera in modo specifico, ci si riferisce a un "insieme coerente e abbastanza rigido di credenze negative che un certo gruppo condivide rispetto ad un altro gruppo o categoria sociale". I pensieri sfavorevole sono ritenuti tratti posseduti in modo abbastanza omogeneo dal gruppo considerato e, nelle persone, si organizzano come pensieri rigidi e resistenti. Come si creano i pregiudizi e gli stereotipi? Che ruolo svolgono questi fenomeni? I fattori in gioco nel manifestarsi di un pregiudizio possono essere processi storici, culturali e psicologici. In gioco, per esempio, possono essere considerati secoli di oppressione di un popolo su un altro, il senso di superiorità di una cultura sulle altre, le diversità che creano ostilità nella vita quotidiana. Alcuni tratti si sedimentano nella storia e nella cultura. Quando questo avviene gli stereotipi possono contenere un nocciolo di verità e quindi funzionano come strumenti di previsione della realtà (cfr. gli stereotipi nazionali). Anche le manifestazioni del pregiudizio possono essere diverse: esplicite (ostilità aperta, razzismo esplicito) o implicite (sopravvalutazione di un fenomeno come l'immigrazione, distorsione della percezione che attribuisce il negativo a scelte personali, gonfiatura di ruoli criminali degli altri, ecc.). Tra le concezioni che rendono difficile il dialogo tra culture vanno considerate anche il modo statico e rigido di concepire l’identità e la cultura. L’identità personale non è un fatto monolitico, rigido e immutabile ma si costruisce e si trasforma durante tutta la vita nelle relazioni con gli altri e con il mondo, è un processo aperto. Sono molti gli influssi e le confluenze, gli elementi che vanno plasmando l’identità personale. Questo vale anche per la cultura di appartenenza. Non va concepita come qualcosa di rigido e fisso, ma capace di integrare apporti e di cambiare attraverso l’incontro. 2 I pregiudizi più diffusi sull'Islam sono: "la confusione tra arabo e musulmano (mentre soltanto il 20% dei musulmani sono arabi); la confusione tra musulmano e fondamentalista; la confusione tra musulmano e poligamo; il pregiudizio che la Jihad (guerra santa) abbia sempre e comunque un significato violento; il pregiudizio che esista un unico Islam omogeneo e compatto; il pregiudizio che i musulmani abbiano tanti figli perché vogliono conquistare il mondo; il pregiudizio che abbiano una scarsa cura dell'igiene; il pregiudizio che non siano disposti in nessun modo a rivedere alcune concezioni per noi inaccettabili, come quelle relative alla sottomissione della donna, alla punizione fisica del reato e alla pratica di certe usanze discutibili riguardanti cibo e bevande o altre materie di vita quotidiana" (AA. VV., Didattica interculturale della religione, EMI, Bologna 1997, 19-21). 3 Altro passo, positivo. Si dovrà poi agire su due livelli nel lavoro educativo: quello cognitivo e quello affettivo, delle rappresentazioni reciproche e delle emozioni. “Lo sviluppo del piano cognitivo consente di avere più informazioni sul mondo, sugli altri e su noi stessi. Ci descrive le pratiche culturali, ne spiega il significato e il senso e può rendere gli altri (e noi stessi agli altri) più intelleggibili. Ma l'apertura cognitiva è il primo passo, la condizione necessaria, ma non sufficiente, affinché possano stabilirsi relazioni e incontri basati sul reciproco scambio. È importante che, accanto alla dimensione cognitiva, si sviluppino le capacità di approssimarsi agli altri, di apertura e mantenimento dei contatti, la capacità di gestire negoziazioni e conflitti, di tollerare l'incertezza, mettendosi per un po' 3 nei panni degli altri, per cercare di vedere le cose da punti di vista differenti” . Sul piano ancora dell’intervento educativo e didattico si possono valorizzare le cinque tipologie di intervento di D. Demetrio da mettere in atto in modo frammischiato: "Sapere l'altro e dell'altro In questo tipo di attività prevale un'attenzione per le origini personali e culturali, per ciò che non è immediatamente visibile. La didattica si concentra di conseguenza sui vari saperi. Ci sono già dei materiali didattici in circolazione, dei manuali per la scuola elementare e media. Testi che si prestano ad una riflessione interessante sia dove esistono alunni stranieri sia dove non esistono. E' la conoscenza dell'altro, e la curiosità a caratterizzare questo primo tipo di attività. Fare con l'altro Il secondo tipo di attività è di natura laboratoriale. Entra in gioco la formula «fare con l'altro». Si tratta di rispettare i principi relativi alla necessità che bambini di diversa origine abbiano la possibilità di cooperare, di stare insieme, di rimescolarsi, di toccarsi, di non avere paura delle reciproche corporeità. Fare con l'altro significa anche fare cose insieme che attengono alla cultura dell'altro (ad esempio, maschere o giochi, che appartengono ad altri mondi, ad altre tradizioni). Fare e sapere per l'altro L'attenzione in questo caso è rivolta, all'interno di prospettive di solidarietà, alla conoscenza di ciò che significa immigrazione: perché si emigra quali sono i principali paesi di emigrazione, quali sono le condizioni di vita del migrante. Significa condurre delle piccole indagini-ricerche sulle condizioni dei migranti (questo avviene soprattutto in alcune scuole medie). Imparare a conoscersi di più grazie all'altro L'altro è testimone di quello che potremmo chiamare uno «spiazzamento» cognitivo. Gli altri mettono in discussione il nostro modo abituale di conoscere. Nel momento in cui la nostra mente viene spiazzata dall'altro, abbiamo la possibilità di specchiarci in lui e di capire i nostri processi mentali di fronte a cose e fatti che possono provocare la nostra suscettibilità e farci tornare indietro, all'etnocentrismo. Imparare a conoscersi di più grazie all'altro significa imparare a riflettere sulle nostre origini, sulle nostre differenze, non solo su quelle dell'altro. Siamo di fronte ad una didattica basata sui processi mentali e cognitivi in cui entrano in gioco concetti chiave come differenza, amicizia, solidarietà, integrazione, scambio, interazione. La didattica interculturale lavora su questi concetti. 3 G. Favaro, L’educazione interculturale in Italia. Una scelta possibile e necessaria, in G. Favaro - L. Luatti (a cura di), L’interculturalità dall’A alla Z, Franco Angeli, Milano 2004, 21-22. 4 Imparare a riconoscere emozioni e rappresentazioni comuni E' una didattica non basata sulle differenze, ma sulle comunanze, che possiamo svolgere usando gli strumenti che appartengono al lavoro didattico più tradizionale. Basta solo qualche fotocopia in più da introdurre in classe per trovare delle risposte che ci provengono dalle altre culture, che non sono così distanti dal nostro modo di conoscere, di pensare, di fare arte, di fare musica, di fare cultura, di amare. La ricerca delle comunanze e delle corrispondenze mi sembra cruciale per fare in modo che i nostri etnocentrismi, che sono sempre presenti e corrono il rischio di diventare aggressivi, siano in qualche modo contenuti nel momento in cui ci accorgiamo che le differenze non sono così abissali, soprattutto rispetto al mondo delle emozioni. Sono elementi che si trovano in ogni cultura umana. I messaggi simbolici Un sesto tipo di azione (ma non è un vero e proprio tipo) riguarda i messaggi simbolici che trasmettiamo, facendo didattica interculturale, come complesso scolastico, ai bambini italiani e non, con messaggi augurali di accoglienza, con la creazione di climi e disponibilità all'incontro. Vengono coinvolti, in alcuni casi, anche i genitori, ma soprattutto viene coinvolto l'istituto, come luogo di progettualità interculturale. L'ideale sarebbe potersi inventare una scuola con un progetto organico impegnando i ragazzi in diversi tipi di azione e di didattica interculturale, in lavori non solo di classe, ma 4 di scuola" . 3) Gli insegnanti e l’educazione interculturale Se ci spostiamo verso il mondo degli insegnanti risulta particolarmente illuminante la sintesi di concezioni di educazione interculturale rilevata da una ricerca sui docenti, sui progetti e sui materiali in uso nelle scuole. Si tratta di quattro diverse interpretazioni: “- L'educazione interculturale come conoscenza e valorizzazione delle altre culture e, soprattutto, delle culture e dei paesi di appartenenza degli alunni stranieri. E’ certamente ancora questa l'interpretazione più diffusa (raggruppa metà delle risposte), soprattutto fra gli insegnanti delle due scuole che hanno una forte presenza di bambini venuti da lontano. Le risposte sottolineano la necessità di conoscere gli altri, di "proporre momenti di comparazione e confronto tra usi, costumi e vissuti diversi", di stabilire un "ponte" e una certa continuità tra le esperienze e i vissuti del bambino straniero nella famiglia e a scuola. "Di questi bambini non si sa nulla, ignoriamo la loro storia e biografia...- scrive un'intervistata. Si insiste soprattutto sulla valorizzazione dei riferimenti e degli apporti culturali “altri” e sulla necessità di contestualizzare pratiche del quotidiano dando valore e significato a riti, gesti, comportamenti. - Un altro consistente gruppo di risposte si può ricondurre alla definizione seguente: l'educazione interculturale è un progetto di scambio e di rielaborazione interculturale. In questo caso, le risposte mettono l'accento - più che sulla descrizione euristica delle varie culture e dei diversi gruppi - sul processo di incontro e di scambio e sulla rielaborazione dei riferimenti culturali, dall'una e dall'altra parte. L'educazione interculturale allora "tiene conto delle diverse culture e trasversalmente le rielabora", "opera per creare qualcosa che sia il risultato della mescolanza". 4 D. Demetrio, Educare al confronto interetnico, in AA. VV., L'educazione interculturale. Premesse e sperimentazioni, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1995, 46-47. 5 - Le definizioni che possiamo collocare per numero di risposte in terza posizione, insistono sugli atteggiamenti e sulla relazione con gli "altri". L'interculturale viene allora inteso come un valore-attitudine, che deve promuovere e facilitare l'interazione, costruire uomini e donne che perseguano l'ideale della convivenza democratica e dell'antirazzismo. In base a queste risposte, l'educazione interculturale si definisce come l'approccio più efficace per promuovere atteggiamenti di apertura, rispetto e attenzione nei confronti degli altri. E infatti, gli insegnanti scrivono che "in questo modo si promuove la persona nella sua interezza al di là delle sue origini"; si insegnano "il rispetto e la tolleranza nei confronti di tutte le diversità": si passano messaggi "di apertura e dialogo, desiderio di relazione e di conoscenza”. - In ultima posizione si collocano le risposte che danno dell'educazione interculturale una definizione legata ai saperi, alle discipline, al cambiamento nell'impostazione didattica. L'educazione interculturale è soprattutto un approccio metodologico per trattare temi e argomenti da diversi punti di vista. Gli insegnanti la definiscono allora come un'occasione per “presentare i contenuti della programmazione da angolazioni differenti”, "per trovare risposte diverse ad un problema comune", "per modificare l'impostazione delle diverse discipline e i curricoli"5. Si tratta di visioni e di dimensioni dell’interculturalità che spesso si intrecciano e si traducono nell’insieme di queste strategie operative: - attenzione alla relazione attivando un clima di apertura e di dialogo; - attenzione ai saperi attraverso l’accostamento alle culture e ai loro documenti; - attenzione all’interazione e allo scambio per costruire sintesi originali; - attenzione all’integrazione per quanto riguarda lingua, conoscenza dell’ambiente, valori costituzionali e leggi. Così intesa naturalmente l’intercultura non è uno spazio specifico ma lo “sfondo integratore” per tutta l’offerta formativa (e diventa quindi progettazione di eventi interculturali, attività specifiche per immigranti e per tutti), ma anche qualcosa che si traduce in progettazione di percorsi interculturali legati alle discipline (revisione dei curricoli in chiave interculturale). E’ ovvio che l’area geo-storico-sociale risulta più utilizzabile per obiettivi interculturali perché vi anno parte temi come scambi e prestiti tra culture, avvenimenti storici considerati da altri punti di vista, lo squilibrio Nord-Sud del mondo, caratteristiche di popoli, nazioni e culture “altre”. L’insegnante sarà chiamato a rivedere obiettivi e contenuti della sua azione. Per sottolineare analogie, elementi di unità e condivisione tra gli uomini si occuperà di diritti umani, di bisogni fondamentali, di interdipendenza tra i popoli; dovrà pure sugli stessi temi far emergere specificità e differenze. Molto importanti sono, anche per noi Insegnanti di religione, le metodologie utilizzate e da utilizzare, e la ricerca di rapporti con le risorse presenti sul territorio6. A questo punto della riflessione si apre un ambito di ricerca relativo ai documenti della riforma attuale della Scuola: Come precisano, motivano e orientano la scelta dell’educazione interculturale e quali contenuti e metodi di calore interculturale indicano alle varie discipline coinvolte? 5 G. Favaro, L’educazione interculturale in Italia. Una scelta possibile e necessaria, in G. Favaro - L. Luatti (a cura di), L’interculturalità dall’A alla Z, Franco Angeli, Milano 2004, 28. 6 Cfr. al riguardo l’ampia indicazione di materiali e fonti in A. Nanni, Intercultura e pedagogia narrativa, e L. Luatti, Strumenti, materiali e siti web, in G. Favaro - L. Luatti (a cura di), L’interculturalità dall’A alla Z, Franco Angeli, Milano 2004, 222-230; 365-377. 6 2. LINEE DI UNA DIDATTICA INTERRELIGIOSA Si va sempre più prendendo coscienza che interculturalità vuol dire anche ripensare i singoli insegnamenti nella nuova prospettiva. In questa direzione c'è bisogno di ipotesi didattiche operative sia in assenza che in presenza di bambini stranieri in classe. E tanto rimane da fare. E l’IRC? Ha un compito importante perché è convinzione condivisibile che “L’educazione interculturale non può non fare i conti con le religioni” (A. Canevaro). Anche Giovanni Paolo II si era espresso in questa linea: "Una forte domanda e insieme un richiamo vengono al continente europeo dall'immigrazione di genti di altri continenti, bisognose di accoglienza e solidarietà, ma anche portatrici di valori culturali e spirituali che 7 l'insegnamento della religione non può trascurare" . Anche qui si può sviluppare una ricerca: Che spazio danno i vigenti documenti relativi all’IRC alle alte religioni, con quale sequenza in relazione ai cicli scolastici e alle loro articolazioni interne? Solo da pochi anni il tema religioni si è fatto marcatamente e in vario modo presente nelle aule. Il cammino è avviato. Oggi si ha a che fare con alcuni punti fermi ma anche con dei problemi e con il bisogno di ulteriore sperimentazione, insomma con un cammino di ricerca didattica, di progettazione, attuazione e verifica di iniziative concrete, attente a quanto si sviluppa e matura nell’ambito della didattica interculturale8. Le proposte per una didattica relativa alle religioni devono tener conto delle caratteristiche e dei limiti della disciplina IRC: disciplina scolastica in consonanza con le finalità e gli obiettivi della scuola; segnata da aporie e debolezza istituzionale; con limitato tempo a disposizione, … Nella realtà pare comunque che si riesca a dare un contributo al sapere l’altro e a dialogare con l’altro nel campo interreligioso. Lo spazio alle religioni nell'IRC può essere precisato dichiarando alcuni obiettivi e temi che ricorrono nelle esperienze realizzate da insegnanti di religione. L’obiettivo più generale della disciplina IRC “conoscere e comprendere aspetti delle altre religioni per una convivenza rispettosa e pacifica, e per la collaborazione civile”, si può coniugare come segue: • Imparare a riconoscere testimonianze e documenti di altre religioni; • Comprensione del significato dei fenomeni religiosi; • Capacità di decentramento, vedere una religione anche dal punto di vista dell’altra con cui si entra in contatto; • Capacità di interazione all’insegna della reciproca comprensione, rispetto e disponibilità ad imparare dall’altro; • Capacità di consapevolezza della diversità e di comparazione tra elementi delle religioni; • Rispettare l’estraneità rimanente nella considerazione delle altre religioni (strutture di pensiero e di espressione, segni e simboli). 7 Discorso di Giovanni Paolo II al Simposio delle Conferenze episcopali europee sull'insegnamento della religione cattolica nella scuola pubblica, in CEI, Insegnare religione cattolica oggi. Nota Pastorale dell'Episcopato italiano sull'insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche, LDC, Leumann 1991, 22-26; cfr. anche l’interesse del Consiglio d’Europa a questo tema: Consiglio d’Europa - Divisione della dimensione europea dell’educazione, La dimensione religiosa nell’educazione interculturale, Sapere 2000, Roma 2005. 8 Cfr. A. Nanni – S. Curci, Buone pratiche per fare intercultura, EMI, Bologna 2005, 59ss: vi si descrive una mappa di metodi per la didattica interculturale: metodo narrativo, comparativo, de costruttivo, del decentramento, della restituzione (o riconoscimento del debito culturale), del gioco (o della via ludica) e dell’azione (o pedagogia dei gesti). 7 1) FERITE STORICHE E PREGIUDIZI DA SUPERARE In ogni contributo al dialogo interreligioso è evidente la necessità di riprendere eventi, istituzioni, periodi storici, per farne una lettura il più possibile documentata e tale da fare emergere le ragioni degli uni e degli altri, le letture incrociate dei fenomeni e i valori in gioco. Spesso gli eventi diventano occasione di “mea culpa”; sempre sono stimolo alla riflessione su errori da evitare e atteggiamenti positivi verso l’altro da rinforzare; sono occasioni della riconciliazione della memoria e della mentalità. Anche negli interventi didattici può esserci spazio anche alla storia dei rapporti con un'altra religione. Danno ragione di pregiudizi reciproci e di difficoltà da superare per arrivare ad un dialogo sereno nel rispetto della verità; sono anche occasione di riconoscimento di ciò che assolutamente non ha futuro e di ciò che favorisce una convivenza pacifica e un arricchimento reciproco; danno anche testimonianza di personaggi che hanno contribuito alla conoscenza, al dialogo e alla comprensione degli altri credenti (cfr. l’esperienza di Francesco d’Assisi dell’incontro del Sultano, l’opera di R. Lullo, le proposte in De pace fidei del card. N. Cusano). Se consideriamo sia il passato che il presente, la disposizione negativa nei confronti dell'altro, assume varie manifestazioni e aspetti. Si parla di pregiudizi, stereotipi, razzismo, antisemitismo, fobie, ecc. L'IRC offre il proprio contributo analizzando i meccanismi di elaborazione degli stereotipi culturali e religiosi, offrendo quadri interpretativi realistici delle religioni, favorendo l'incontro effettivo e arricchente con gli appartenenti ad altre religioni che si trovano in classe o che vivono sul territorio. E' questa una strada per superare i luoghi comuni, i pregiudizi, gli stereotipi sociali "economia della mente che diventa avarizia del cuore". 2) APERTURA IN ISRAELE, IN GESÙ CRISTO E NELLA COMUNITÀ CRISTIANA Se ci poniamo in ricerca della valutazione teologica delle altre tradizioni religiose da parte dell'ebraismo e del cristianesimo, troviamo certamente dei dati biblici che fondano una valutazione negativa delle religioni (sono stati notevolmente enfatizzati fino al presente); se ci apriamo a ciò che nella Bibbia può fare da fondamento ad una valutazione positiva delle religioni troviamo alcuni dati, delle correnti di pensiero, delle pagine che offrono orizzonti aperti. Considerando Israele e il suo rapporto con le nazioni sono da evidenziare questi eventi e temi: • La creazione, l’alleanza cosmica con l'umanità (prima dell'alleanza con Abramo e Mosè): con Adamo (Gn 1-5) e con Noè (Gn 6-9); • Individui vissuti nella fede e "santamente" fuori dal popolo ebraico: Abele, Enoch, Noè (cfr. Ebr 11,4-7), Giobbe (Gb 29,14), Melchisedek (Gn 14,18-20; S. 110,4), Lot (Rm 2,12), la regina di Saba (1 Re 10,1-13; Mt 12,42), … • Testimonianze dell'universalità dell'amore e perdono di Dio: il libro di Giona, l'universalismo del profeta Isaia (cfr. Is 19,19-22), …; • I temi teologici della Parola, della Sapienza, dello Spirito espressioni del manifestarsi di Dio nella storia umana universale. Nel NT, oltre ad una serie di prese di posizione di Gesù, troviamo anche il muoversi della Chiesa apostolica nel contesto delle nazioni. I dati appaiono complessi e ambivalenti. Per una valutazione positiva delle religioni bisogna rifarsi alle aperture e scelte di: • Pietro che scopre che Dio non fa preferenze di persone (At 10,34-35); 8 • • • Paolo che passa da un pessimismo profondo riguardo alla salvezza dei pagani e degli ebrei alla concezione che la salvezza è proporzionale ai doni ricevuti (Rm 2,14-15); Paolo che ha un atteggiamento di apertura verso la religiosità dei greci (At 17,2231); Giovanni che vede nel Logos il realizzatore di una storia di salvezza che abbraccia tutta la storia dell'umanità (Prologo) e in Gesù Cristo il culmine della 9 manifestazione universale di Dio. 3) LA PRESENTAZIONE PARZIALE O GLOBALE DELLE RELIGIONI Nella organizzazione di un piano annuale di insegnamento è legittimo dare spazio alla presentazione parziale o globale di una religione. Si deve evitare l'enciclopedismo o la dispersione in presentazioni analitiche di un'altra religione e attenersi agli aspetti più importanti di una religione. Dimensioni portanti di una religione da considerare nella elaborazione di progetti didattici possono essere: - LA TRADIZIONE (e le rispettive FONTI) in cui si trova l'identità originaria; - IL FONDATORE, vita, esperienza religiosa, ecc. - l'insieme delle CREDENZE, la dottrina specifica (Dio, l’uomo e il loro rapporto); - le FORME COMUNITARIE vissute e le ISTITUZIONI fondate; - I RITI, le feste, i LUOGHI DI CULTO, il CALENDARIO religioso; - L'ETICA che esprime le credenze in termini di comportamento; - la soluzione del PROBLEMA DELLA SALVEZZA; - la storia dei RAPPORTI CON ALTRE RELIGIONI 4) LA VIA DELLA COMPARAZIONE Se consideriamo ebraismo, cristianesimo e islamismo riesce il lavoro di comparazione con l'esito di individuare ciò che è comune o simile e ciò che dice la differenza e l'originalità di una religione. Presenta certamente anche delle difficoltà perché non è facile capire se dietro le medesime parole ci siano le stesse realtà e se e quando parole diverse consegnano un'esperienza analoga10. Didatticamente è una via proficua ed essenziale se non vogliamo rimanere nella frantumazione e collezione di informazioni. 9 Cfr. J. Dupuis, Verso una teologia cristiana del pluralismo religioso, Queriniana, Brescia 1997, 45-75. 10 Cfr. J.-L. Ska, Abramo e i suoi ospiti. Il patriarca e i credenti del Dio unico, Dehoniane, Bologna 2003 e la sua presentazione dei diversi volti di Abramo nelle tradizioni ebraica, neotestamentaria e coranica. 9 Per questo lavoro di comparazione risulta utile il Dizionario comparato delle religioni 11 monoteistiche. Ebraismo, Cristianesimo, Islam , ma è in gran parte da preparare un materiale adatto alla scuola e all’ora di religione. Per evidenziare le possibilità della didattica comparativa, per quanto riguarda ebraismo, cristianesimo e islam, si possono prendere in considerazione l’immagine di Dio, l’immagine dell’uomo, il concetto di rivelazione, temi e personaggi, la figura di Gesù, le strade di salvezza, la preghiera, le feste e i tempi sacri, il digiuno, i degni della solidarietà, il pellegrinaggio, scelte e stili educativi, la concezione dei sessi e della famiglia, lo spazio sacro, ecc. Ecco uno schema che aiuta ad evidenziare analogie e differenze nella descrizione di temi e personaggi 12: PERSONAGGI, TEMI ED EVENTI NELLA BIBBIA E NEL CORANO Commento BIBBIA TEMA Gen 1,1-4,2a; 2,4b-25 S 8; 104; Mt 6,26 Creazione del mondo Lode al Creatore Gen 1, 26-27; 2,7; 2,21-23 Creazione dell’uomo Gen 2,25-3,24 Peccato originale CORANO (Sure) 7:54-56; 24:4145; 30:17-25; 32:4-7; 43:9-14; 78:6-16; 79:2733 7: 189; 23:1214; 32:7-9; 38:71-77 2: 34-38; 7:1127; 20:115-124 Gen 4,1-16 Caino ed Abele 5:27-32 Gen 6,1-9,29 Noè e l’arca Gen 11, 1-9 La costruzione della torre di Babele Abramo 11:25-48; 36:41-44 26:128-129; 28:38-39; 40:36-37 6:74-83; 19:4150; 21:54-71 Gen 11,27 – 15,19 Ebr 11, 8-10 Gen 18, 1-16 Gen 22, 1-19 Gen 16, 1-16; 17, 16-21; 21, 1-21; Gal 4,2131 Gen 37-50 Gli ospiti di Abramo Il sacrificio di Abramo Ismaele e Isacco 2:125-133; 19:54-55 Giuseppe 12:1-111 Commento 51:24-30 37:99-113 11 A. T. Khoury (a cura di), Dizionario comparato delle religioni monoteistiche. Ebraismo – Cristianesimo – Islam, Piemme, Casale Monferrato 1998. 12 S. Leimgruber, Interreligiöses Lernen, Kösel Verlag, München 2007, 196-224. 10 Es 2-40 Mosè Es 20,3-17; Dt 5, 7-21 Lc 1,5-21 Decalogo Lc 1,26-38 Lc 2,1-20 Mt 11,2-6 e parr.; 12,15-21 e parr.; 16,1320 e parr.; Gv 1,1-18; Col 1,14,20; Fil 2,611 Mt 25,1-13 Giovanni il Battista Maria (promessa di Gesù) Nascita di Gesù Significato della persona e dell’opera di Gesù Parabola delle vergini Mt 26-28 e parr. Ostilità e morte di Gesù Mt 6,9-13; Ebr Preghiera e 4,14-16 confessione della fede 5: 20-26; 7:103160; 10:75-93; 20:9-98; 26:1068; 28:3-44 6:151-152; 17:22-39 3:38-41; 19:211 3:42-48; 19:1622 19:23-34 3:49-51; 4:171; 5:46.110.112118; 19:30-36 57: 12-14 3:55; 4: 157158 1; 2:255; 4:136; 112 5) IL CONCETTO DI DIALOGO INTERRELIGIOSO La storia del rapporto tra il cristianesimo e le altre religioni monoteistiche è stata conflittuale. L'atteggiamento della simpatia e del dialogo data dalla seconda guerra mondiale o da poco prima. Da parte della Chiesa cattolica ha trovato via via sempre più chiara formulazione nell'enciclica Ecclesiam suam (1964), nei documenti conciliari Gaudium et Spes, Lumen Gentium, Ad gentes, Nostra aetate. Nel postconcilio si pose il problema del rapporto tra missione della Chiesa e dialogo interreligioso. L'approfondimento maggiore del problema si ebbe nei documenti del Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso: - L'atteggiamento della Chiesa di fronte ai seguaci di altre religioni. Riflessioni e orientamenti su dialogo e missione (1984) - Dialogo e annuncio. Riflessioni e orientamenti sul dialogo interreligioso e l'annuncio del Vangelo di Gesù Cristo (1991). In quest'ultimo documento il dialogo è definito con queste parole: "In primo luogo, a livello propriamente umano, significa comunicazione reciproca, per raggiungere un fine comune o, a un livello più profondo, una comunione interpersonale. In secondo luogo, il dialogo può essere considerato come un atteggiamento di rispetto e di amicizia, che penetra o dovrebbe penetrare in tutte le attività che costituiscono la missione evangelizzatrice della Chiesa. Ciò può essere chiamato - a ragione - «lo spirito del dialogo». In terzo luogo, in un contesto di pluralismo religioso, il dialogo significa l'insieme dei rapporti interreligiosi, positivi e costruttivi, con persone e comunità di altre fedi per una 11 mutua conoscenza e un reciproco arricchimento, nell'obbedienza alla verità e nel rispetto della libertà. Ciò include sia la testimonianza che la scoperta delle rispettive convinzioni religiose. E' in quest'ultima accezione che il presente documento utilizza il termine dialogo come uno degli elementi integranti della missione evangelizzatrice della Chiesa" (n. 9). Dal documento il dialogo è considerato come uno degli elementi dell'evangelizzazione con un proprio valore specifico; non dispensa dall'annuncio esplicito del vangelo che nella missione della Chiesa ha il primato, ma ha un valore in se stesso. Le funzioni del dialogo interreligioso sono espresse in questo modo: "Il dialogo interreligioso non tende semplicemente a una mutua comprensione e a rapporti amichevoli. Raggiunge un livello assai più profondo, che è quello dello spirito, dove lo scambio e la condivisione consistono in una testimonianza mutua del proprio credo e in una scoperta comune delle rispettive convinzioni religiose. Mediante il dialogo, i cristiani e gli altri sono invitati ad approfondire il loro impegno religioso e a rispondere, con crescente sincerità, all'appello personale di Dio e al dono gratuito che Egli fa di se stesso, dono che passa sempre, come proclama la nostra fede, attraverso la mediazione di Gesù Cristo e l'opera del suo Spirito». Perciò lo scopo del dialogo interreligioso è "una conversione più profonda di tutti verso Dio". Infatti "il dialogo sincero suppone da un lato di accettare reciprocamente l'esistenza delle differenze, o anche delle contraddizioni, e dall'altra di rispettare la libera decisione che le persone prendono in conformità con la propria coscienza" (DeA, n. 40-41). La ricchezza dei documenti ci permette di parlare a ragione di dialogo della vita, delle opere, delle esperienze religiose e degli scambi teologici. Le disposizioni fondamentali di chi partecipa al dialogo interreligioso sono l'accettazione e stima delle differenze, la sincerità, la simpatia per l'altro, l'accettazione di essere messi in questione, ecc. "Il dialogo fra le religioni mondiali è un processo in cui si potrà entrare soltanto se si è disposti a rendersi vulnerabili e ad uscirne trasformati. Non si perde affatto 13 la propria identità ma si acquista un nuovo profilo rispetto al proprio partner" . 6) I MODELLI INTERPRETATIVI DEL RAPPORTO CON LE ALTRE RELIGIONI I modelli che interpretano il rapporto tra la pretesa di verità della propria religione in rapporto alla pretesa di verità delle altre religioni mondiali sono trattabili a livello di Scuola secondaria di 2° grado. In pratica per avvicinarci alla rosa di pareri, presenti anche in ambito scolastico, è utile caratterizzare e distinguere questi modelli: l’esclusivismo (la Chiesa è l’unica legittima rappresentante della verità ed è l’unica via di salvezza; al di fuori di essa non c’è che errore e non c’è salvezza); lo scetticismo (non esiste una verità eterna né alcuna salvezza); il relativismo (ci sono varie pretesa di salvezza e di verità; tra di loro non sono in concorrenza; si possono scegliere e combinare variamente); l’inclusivismo (anche fuori dal cristianesimo si è toccati dalla grazia e dalla verità; ma se è così si è inclusi nel cristianesimo: cfr. NAE, 2); il pluralismo (teocentrico) (si è tutti a partire dalla propria 14 identità dentro un processo di ricerca di verità ultime). P. F. Knitter, nel suo lavoro del 2005 15 presenta, analizza e valuta quattro modelli così denominati: modello della sostituzione “una sola vera religione”; modello del compimento 13 J. Moltmann, La Chiesa nella forza dello Spirito, Queriniana, Brescia 1976, 208. 14 Cfr. G. Lagenhorst, „Interreligiöses Lernen“ auf den Prüfstand. Religionspädagogische Konsequenzen der Verhältnisbestimmung von Christentum und Weltreligionen, in RPB, 50 (2003), 89-106. 15 P. F. Knitter, Introduzione alle Teologie delle religioni, Queriniana, Brescia, 2005. 12 “l’Uno da compimento ai molti”; modello della reciprocità - “Molte religioni vere chiamate al dialogo”; modello dell’accettazione - “Molte religioni vere: e così sia”. In relazione ai modelli teorici di approccio al pluralismo e con attenzione anche ad attività di aula si è fatto riferimento ed utilizzo di immagini verbali, metafore, esempi o grafiche per presentare il pluralismo religioso e il dialogo tra le religioni16. 7) BIOGRAFIE DEL DIALOGO INTERRELIGIOSO In questo contesto educativo-didattico è utile e vicino al mondo degli alunni dar spazio ai personaggi del dialogo, alle biografie di persone che hanno dato un contributo con la vita e con gli scritti alla convivenza e alla comprensioni tra religioni. Si possono citare: Pionieri del dialogo ebraico-cristiano: - Marc Chagall (1887-1985) - Schalom Ben Chorin (1913-1999) - Elie Wiesel (1928) ecc. ecc. Pionieri del dialogo cristiano-islamico: - San Francesco d’Assisi (1191-1226) - Raimondo Lullo - Nicolò Cusano (1401-1464) - Charles de Foucauld (1858-1916) - Giovanni Paolo II - Don Andrea Santoro - Chiara Lubich ecc. ecc. Pionieri del dialogo con le religioni orientali: - Mahatma Gandhi (1869-1948) - Henry le Saux benedettino (1910-1973) - Dalai Lama XIV (1935) ecc. ecc. Se io potessi darei ad ogni bambino Una carta geografica del mondo… E se possibile un mappamondo che si possa illuminare, nella speranza, di allargare lo sguardo del bambino sulle parti più lontane e risvegliare in lui interesse e simpatia per tutti i popoli, per tutte le razze, per tutte le lingue e religioni (Helder Camara) 16 R. Panikkar, Il dialogo intrareligioso, Cittadella, Assisi 1988, 38-58; cfr. anche G. Lagenhorst, „Interreligiöses Lernen“ auf den Prüfstand. Religionspädagogische Konsequenzen der Verhältnisbestimmung von Christentum und Weltreligionen, in RPB, 50 (2003), 89-106. 13 BIBLIOGRAFIA CAMBI F., Intercultura: fondamenti pedagogici, Carocci, Roma 2001. CONSIGLIO D’EUROPA - DIVISIONE DELLA DIMENSIONE EUROPEA DELL’EDUCAZIONE, La dimensione religiosa nell’educazione interculturale, Sapere 2000, Roma 2005. 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