Un corpo estraneo
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Un corpo estraneo
Scienza Un corpo estraneo che molto tempo dopo il parto, il corpo della madre è in qualche modo collegato a quello del iglio. Il punto è: a cosa servono queste cellule? Sono solo ospiti o sono attivamente coinvolte nella vita dei loro padroni di casa? Individuare queste cellule (chiamate “microchimere”) tra miliardi di altre è un po’ come cercare un ago in un pagliaio. E, tanto per complicare le cose, nei vari organi il loro numero aumenta e diminuisce continuamente, quindi sembra che si spostino in giro per il corpo. A seconda di dove si guarda, una cellula può apparire microchimerica un giorno ma non quello successivo. A lunga durata Andy Ridgway, New Scientist, Regno Unito Foto di Liz Hingley Ognuno di noi ospita cellule di altre persone: della madre, del fratello, perino dello zio. Si chiamano microchimere. Sono associate ad alcune malattie, ma possono anche proteggerci enza essere nella stessa stanza, nella stessa casa e neanche nella stessa città in cui si trovano le nostre madri, possiamo letteralmente riparare i loro cuori. O i nostri igli possono riparare i nostri. Ci vuole un po’ di tempo per abituarsi all’idea, ma è probabile che ciascuno di noi abbia lasciato qualche pezzettino di sé dentro sua madre. E che le nostre madri abbiano fatto lo stesso con noi: le loro cellule sono nella maggior parte dei nostri organi, forse anche nel cervello. Restano lì per decenni, e interferiscono con la nostra biologia e la nostra salute. Sangue, pelle, cervello e polmoni sono ovviamente fatti delle nostre cellule, ma non solo. Siamo quasi tutti mosaici ambulanti di cellule. Iniltrati in ogni parte del nostro corpo ci sono emissari di nostra madre, dei nostri igli e perino dei nostri fratelli. Questa scoperta risale agli anni settanta, quando furono individuate nel sangue di donne incinte cellule con il cromosoma maschile Y. Fino a quel momento si pensava che durante la gravidanza il corpo della madre e quello del iglio fossero separati: i loro lussi sanguigni si avvicinavano nella placenta – quel confuso ammasso di vasi sanguigni che collegano la madre al bambino attraverso il cordone ombelicale – ma non si mescolavano mai. Le sostanze nutritive, l’ossigeno e le scorie passavano dall’una all’altro attraverso dei iltri. S 54 Internazionale 1140 | 12 febbraio 2016 Oggi sappiamo che non è esattamente così. “Si è sempre pensato che la placenta avesse una politica dell’immigrazione selettiva”, dice J. Lee Nelson dell’università di Washington a Seattle. Ma, insieme alle sostanze nutritive e alle scorie, anche le cellule si spostano da un lusso sanguigno all’altro. Da qualche anno sappiamo che queste cellule continuano a vivere per anni all’interno di entrambi i corpi, come stranieri residenti. Si insediano negli organi così, an- Tuttavia, i ricercatori che studiano il fenomeno sono convinti che queste cellule facciano inestricabilmente parte di noi. “Se fossimo in grado di esaminare molti campioni presi da parti diverse del corpo in momenti diversi, riscontreremmo il microchimerismo nella maggior parte degli individui, se non in tutti”, sostiene Nelson. “Mi azzarderei a dire che è onnipresente”. La cosa certa è che le cellule vanno dovunque, hanno capacità di resistenza e sembrano essere associate sia alla buona sia alla cattiva salute. All’inizio del 2015 uno studio condotto su 26 donne morte durante la gravidanza o entro un mese dal parto ha riscontrato la presenza di cellule dei igli in tutti gli organi, compreso il cervello. Altre ricerche hanno dimostrato che le cellule microchimeriche possono sopravvivere anche per quarant’anni. Le persone che ne hanno in grande quantità tendono a essere più soggette a certi tipi di malattie autoimmuni, Da sapere Stranieri residenti u Molti organi del nostro corpo contengono cellule provenienti da altre persone. Sono chiamate cellule microchimeriche. Ma a cosa servono? Cervello Le cellule del feto possono penetrare nel cervello della madre. Sono state trovate in diverse regioni e potrebbero fornire una protezione dall’alzheimer. Nei topi si trasformano in neuroni, ma ancora non sappiamo se avviene anche negli esseri umani. Polmoni Questi organi contengono più cellule estranee di tutti gli altri, forse perché sono la sede dei primi capillari attraverso cui viaggia il sangue dopo aver lasciato la pla- centa. Inoltre, per i polmoni passa più sangue che per molti altri tessuti. L’ipotesi è che le cellule microchimeriche aiutino a riparare il tessuto polmonare. Seno Le cellule estranee sembrano essere associate a un tasso minore di cancro alla mammella. Le cellule fetali potrebbero prolungare l’allattamento e ridurre le possibilità che la madre rimanga incinta di nuovo subito dopo il parto. Potremmo vederlo come un caso di rivalità tra fratelli: le cellule del bambino impediscono il concepimento di un nuovo iglio che assorbirebbe tutte le energie della madre. Utero Sono state trovate cellule fetali nell’endometrio, lo strato più interno dell’utero, dove potrebbero interferire con l’impianto di un nuovo embrione. Ancora un atto di rivalità tra fratelli. Cuore Le cellule che passano dal bambino alla madre possono riparare il tessuto cardiaco danneggiato. Pelle Da uno studio del 2014 è emerso che le cellule microchimeriche possono contribuire alla cicatrizzazione del taglio dopo un parto cesareo. Spesso si trovano anche nei tumori della pelle, ma servono ulteriori ricerche per capire se costituiscono una forma di protezione. New Scientist Vu/Karma Press Photo (4) Internazionale 1140 | 12 febbraio 2016 55 Scienza ma corrono di meno il rischio di tumori alla mammella e alla tiroide, e forse vivono di più. Il problema è che in molti dei primi studi sull’argomento i ricercatori hanno analizzato soprattutto le associazioni tra il numero di cellule microchimeriche presenti in una persona e l’incidenza delle malattie, ma non si sono mai focalizzati sulla reale funzione di queste cellule. Oggi le cose stanno cambiando. Al Mount Sinai hospital di New York, Hina Chaudhry studia una sindrome chiamata cardiomiopatia peripartum, che determina l’ingrossamento e l’indebolimento del cuore della donna incinta. “Il 50 per cento delle pazienti guarisce spontaneamente, ma nessuno sa perché”, dice Chaudhry. La sindrome ha il più alto tasso di guarigione tra tutte le disfunzioni cardiache. Per scoprire se le cellule microchimeriche del feto vengono in qualche modo in aiuto della madre, Chaudhry ha inserito nelle cellule fetali dei topi un tracciante verde luorescente per seguire quelle che entravano nel lusso sanguigno della madre. Come si aspettava la ricercatrice, le cellule fetali si dirigevano verso il tessuto danneggiato, e si trasformavano in cellule cardiache. “È affascinante, sanno esattamente dove andare”, spiega. Gli ultimi studi di Chaudhry hanno dimostrato che il feto costituisce una riserva di cellule staminali embrionali per la madre. I trofoblasti sono cellule che si trovano nello strato esterno dell’embrione, e durante la gravidanza si impiantano sulle pareti dell’utero e danno origine alla placenta. Nei suoi topi, Chaudhry ha scoperto che sono proprio queste cellule a entrare nel lusso sanguigno della madre e a precipitarsi verso il cuore per ricostruire il muscolo. La ricercatrice ipotizza che il tessuto cardiaco danneggiato rilasci delle proteine che agiscono come segnali luminosi per le cellule fetali. La sua speranza è che un giorno questi studi possano portare alla formulazione di terapie a base di cellule staminali in grado di curare vari tipi di malattie cardiache. Nelson, invece, è interessata a quello che fanno le cellule fetali nel cervello della madre. Nel 2012 ha condotto delle autopsie sul cervello di 59 donne e ha scoperto che nel 63 per cento dei casi c’erano tracce di dna estraneo. Da uno studio sui topi del 2005 era già emerso che nel cervello della madre le cellule fetali si diferenziavano in neuroni. Era possibile che si veriicasse un processo simile anche negli esseri umani, che contribuisse a formare le cellule portatrici di informazioni sui sensi, sul movimento e sui pensieri? Nelson e la sua équi- 56 Internazionale 1140 | 12 febbraio 2016 pe stanno cercando di capirlo e avranno i primi risultati tra qualche mese. Stanno anche guardando nella direzione opposta, per vedere se le cellule materne raggiungono il cervello del bambino. “Non mi stupirebbe se ci fossero”, dice Nelson, “e se svolgessero un ruolo importante nello sviluppo”. Sarebbe interessante anche capire come le cellule microchimeriche interagiscono con il nostro sistema immunitario. Quel sistema serve proprio per difendere il nostro corpo da eventuali invasori, ma le cellule microchimeriche sembrano resistere ai suoi attacchi. Sapere come fanno a sfuggire al radar del sistema immunitario potrebbe rivelarsi utile per i trapianti di organi. Secondo Hillary Gammill, una collega di Nelson, le cellule microchimeriche sono in grado di trasformarsi in cellule immunitarie e iniltrarsi nelle difese del nostro corpo. La funzione protettiva L’attività di queste cellule forse non si limita alla madre e al bambino. Gammill sta cercando di capire se le cellule di una donna potrebbero aiutare la generazione successiva, cioè quella dei nipoti. La preeclampsia, o gestosi, è una complicanza che si veriica nel 6 per cento delle gravidanze. Con uno studio condotto su donne che avevano avuto questa sindrome, Gammill ha scoperto che nessuna di loro era portatrice di cellule della loro madre. Al contrario, le cellule erano presenti in circa un terzo delle donne che avevano partecipato allo studio e non avevano soferto di gestosi. Nel loro caso le cellule della madre presenti nel sangue erano aumentate durante l’ultimo trimestre della gravidanza, quando di solito si veriica la gestosi. I risultati suggeriscono l’afascinante ipotesi di una sorta di protezione che dalla nonna arriva al feto, dice Gammill. Jen Kotler, dell’università di Harvard, sta usando lo stesso tracciante verde di Chaudhry per seguire il passaggio delle cellule da una generazione all’altra e vedere se quelle dei nonni possono inire nel cervello dei nipoti. Perché esiste il microchimerismo? Secondo David Haig, collega di Kotler, potrebbe avere a che fare con l’evoluzione. “Forse le cellule fetali raforzano il legame tra la madre e il bambino”, dice Haig, aumentando le probabilità che quest’ultimo sopravviva. “Sappiamo che dopo la gravidanza nel cervello dei topi si verificano cambiamenti che hanno a che fare con le cure materne”, dice. “E forse anche le cellule dei igli svolgono un ruolo in questo senso”. Per Nelson il microchimerismo stravolge completamente la nostra idea del “sé biologico”. “Per me la migliore ipotesi di partenza è che siamo un ecosistema”, dice, che è costituito da un mosaico di esseri umani e che può avere efetti sia positivi sia negativi sulla nostra salute. “Il numero delle cellule microchimeriche di solito è piuttosto basso, per limitare la loro inluenza”, dice Haig. “Ma un piccolo numero di cellule può inluire moltissimo”. Forse in futuro saremo in grado di invitare altri esseri umani a unirsi al nostro ecosistema, e di costringere quelli meno utili ad andarsene. Essere umani diventerà ancora più complicato. u bt Biologia Afari di famiglia u Lo scambio di cellule non avviene solo tra madre e iglio: può coinvolgere tutto l’albero genealogico. Prendiamo, per esempio, una donna incinta del suo secondo iglio. Sappiamo che le cellule microchimeriche possono rimanere in circolazione per decenni, perciò è facile immaginare che quelle del primo iglio siano ancora nel corpo della donna e che possano passare al secondo iglio. Se il primo era un maschio, la bambina avrà alcune cellule di suo fratello, e quando diventerà madre potrebbe trasmetterle a sua iglia, che quindi avrebbe le cellule dello zio. Secondo David Haig dell’università di Harvard, questo costituisce un problema per gli studi che partono dal presupposto che i cromosomi Y trovati nel lusso sanguigno di una donna siano di suo iglio. Le probabilità di essere portatori delle cellule dei nostri fratelli non sono alte, dice J. Lee Nelson dell’università di Washington a Seattle, ma alcuni studi fanno pensare che a volte succede. Quindi potremmo avere dentro di noi le cellule di un intero album di famiglia, e tutte inluirebbero su di noi. “Un’altra cosa da considerare”, dice Nelson, “è che il microchimerismo può verii- carsi anche dopo un aborto”. La donna avrà le cellule del feto, che con le gravidanze successive potrebbero trasmettersi agli altri igli. Ma non inisce qui. I gemelli possono scambiarsi cellule nel grembo materno, e le porteranno con loro. Inine, bisogna considerare il fatto che non tutte le gravidanze gemellari si concludono con due gemelli. In alcuni rari casi, uno dei feti semplicemente scompare, assorbito dalla madre, dalla placenta o dall’altro feto. E anche questi “gemelli fantasma” potrebbero lasciare tracce nelle madri, nei fratelli e nelle sorelle. New Scientist