Sentenza Cartella Equitalia nord

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Sentenza Cartella Equitalia nord
N. 13807/2015 REG.PROV.COLL.
N. 02821/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2821 del 2015, proposto da:
Telecom Italia Spa, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa
dagli avv.ti prof. Francesco Cardarelli, Mario Siragusa, Marco D'Ostuni e Filippo
Lattanzi, con domicilio eletto presso lo Studio Legale Lattanzi - Cardarelli in Roma,
Via G. Pierluigi Da Palestrina, 47;
contro
- Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato - Antitrust, rappresentata e
difesa per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso cui domicilia in Roma,
Via
dei
Portoghesi,
12;
- Equitalia Nord Spa;
e con l'intervento di
ad
opponendum:
Codacons, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli
avv.ti prof. Carlo Rienzi e Gino Giuliano, con domicilio eletto presso l’Ufficio
Legale Nazionale del Codacons in Roma, v.le Mazzini, 73;
per l'annullamento
della cartella di pagamento n. 06820150000350627000 emessa da Equitalia Noprd
S.p.A., notificata alla ricorrente il 20/1/15, nella parte afferente alle somme iscritte
a ruolo dall’AGCM (ruolo n. 2014/016649) per l’importo complessivo di €
9.988.936,96, relative alla maggiorazione ex art. 27 della legge n. 689/81 applicata
con riferimento alla “sanzione AGCM proc. A428, ing. 244339 del 9/5/13,
notificata il 10/5/13”;
di ogni altro atto, comunicazione, avviso e/o provvedimento ad essa presupposto,
consequenziale e comunque connesso, tra cui, ove occorra, la nota AGCM prot. n.
25838 del 9/5/2014 recante “sollecito di pagamento sanzioni amministrative
irrogate dall’Autorità con provvedimento n. 24339 del 9 maggio 2013” e degli atti
inerenti all’iscrizione a ruolo delle somme contestate,
nonché per l’accertamento negativo
del credito vantato dall’AGCM a titolo di maggiorazione ex art. 27 co. 6 della legge
n. 689/81 per asserito ritardo ultrasemestrale nel pagamento della sanzione ex proc.
A428 ing. 24339 del 2013.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Autorità Garante della Concorrenza e del
Mercato – Antitrust, con la relativa documentazione;
Vista l’ordinanza cautelare di questa Sezione n.1111/2015 del 12.3.2015;
Visto l’atto di intervento “ad opponendum” del Codacons, con la relativa
documentazione;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del 18 novembre 2015 il dott. Ivo Correale e uditi per
le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
In seguito all’adozione di un provvedimento sanzionatorio in data 9 maggio 2013,
conseguente alla conclusione di un procedimento accertante due distinti
comportamenti abusivi di posizione dominante da parte della Telecom Italia spa
(Telecom), l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) – che già
aveva adottato un provvedimento di rigetto degli impegni proposti dalla Telecom ai
sensi dell’art. 14 ter l. n. 287/90 - irrogava a tale società una sanzione pecuniaria.
L’interessata proponeva due distinti ricorsi a questo Tribunale avverso i relativi
provvedimenti, chiedendo la tutela cautelare. Con ordinanza di questa Sezione n.
154 dell’8 gennaio 2014, previa riunione dei due ricorsi, oltre a imporre incombenti
istruttori, era disposta, nelle more, la sospensione dell’esecuzione del provvedimento
dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato del 9 maggio 2013,
“limitatamente all’esigibilità della sanzione pecuniaria”. Tale ordinanza non risultava
impugnata dalle altre parti costituite e la causa era poi trattenuta per la decisione nel
merito alla pubblica udienza del 12 marzo 2014, cui era stata rinviata su istanza di
parte dalla data del 12 febbraio 2014.
Con sentenza n. 4801/2014 dell’8 maggio 2014 (successivamente soggetta a
correzione di errore materiale, con decreto collegiale n. 11582 del 19.11.2014 in
relazione alla posizione di un’associazione interveniente) i ricorsi erano rigettati.
Telecom proponeva ricorso in appello, poi rigettato, anche con riferimento
all’importo delle sanzioni.
Nelle more del giudizio d’appello e subito dopo la pubblicazione della sentenza di
primo grado, l’AGCM sollecitava il pagamento della sanzione, unitamente a quello
relativo alla “maggiorazione” ex art. 27, comma 6, l. n. 689/81 per ritardo
“ultrasemestrale”. Telecom, contestando l’applicabilità al caso di specie di tale
norma, provvedeva al pagamento solo di una somma comprendente la sorte capitale
a titolo di sanzione e i relativi interessi “di mora”, nella misura del tasso legale
calcolati dal giorno successivo alla scadenza del termine di pagamento sino
all’effettivo soddisfo.
L’AGCM, però, provvedeva all’iscrizione “a ruolo” delle ulteriori somme a titolo di
“maggiorazione”, notificando tramite Equitalia Nord spa la relativa cartella di
pagamento, che comprendeva anche altre posizioni di credito di terzi.
Con ricorso a questo Tribunale, ritualmente notificato e depositato, Telecom
chiedeva l’annullamento, previa sospensione, di detta cartella, nella parte in cui
concerneva l’importo complessivo di euro 9.988.936,96 relativo alle somme iscritte
a ruolo dall’AGCM, e degli atti che ne costituivano presupposto, chiedendo anche
l’accertamento “negativo” della sua posizione debitoria specifica nei confronti
dell’Autorità.
La ricorrente lamentava, in sintesi, quanto segue.
“I. Violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 27 della legge 689/81 in combinato disposto
con l’art. 31 della legge 287/90. Eccesso di potere per carenza dei presupposti, travisamento,
illogicità ed ingiustizia manifesta. Violazione degli artt. 23 e 25 Cost.; violazione del principio del
legittimo affidamento”.
La notifica del provvedimento sanzionatorio era avvenuta il 10 maggio 2013 e il
pagamento doveva avvenire nei successivi novanta giorni, pena l’applicazione della
ricordata “maggiorazione” ex art. 27 cit. nell’ipotesi di superamento. La ricorrente
ricordava però che tale termine di novanta giorni era sospeso nel periodo di vigenza
della su richiamata ordinanza cautelare di questa Sezione, dall’8 gennaio 2014 all’8
maggio successivo, data di pubblicazione della sentenza di merito “di rigetto”. La
sanzione, così, esigibile in origine nei novanta giorni successivi al 10 maggio 2013
(quindi fino all’8 agosto 2013), vedeva decorrere il termine semestrale, per la
sospensione della sua esigibilità per centoventi giorni esatti (8 gennaio – 8 maggio
2014), solo il 9 giugno 2014.
Tant’è che in data 27 maggio 2014 era avviata la relativa operazione bancaria, resa
esecutiva il 3 giugno 2014, mediante la quale Telecom provvedeva a pagare la sorte
capitale e gli ulteriori interessi “di mora”, come detto.
L’ulteriore credito vantato dall’AGCM, quindi, per la ricorrente era inesistente.
Ciò anche perché, secondo conclusione unanimemente riconosciuta dalla
giurisprudenza, la maggiorazione di cui all’art. 27, comma 6, l. cit. riveste un carattere
“sanzionatorio”, che presuppone, quindi, la presenza di elementi oggettivi e
soggettivi, ulteriori rispetto al mero ritardo, elementi che nel caso di specie non
ricorrevano, in virtù della sospensione dell’esigibilità accordata in via cautelare,
secondo quanto condiviso già da questo Tribunale e confermato dal Consiglio di
Stato in pronunce del 2007 e 2008.
Si costituiva in giudizio l’Autorità intimata, illustrando in specifica memoria per la
camera di consiglio le tesi tendenti invece a rilevare l’infondatezza del ricorso, sulla
base essenzialmente del richiamo ad altri arresti del Consiglio di Stato riguardanti
fattispecie di accoglimento di ricorso in primo grado poi riformato in appello,
sostenendo – in sostanza – il principio per il quale “…l’eventuale sospensione del
provvedimento nel corso del giudizio non può andare a carico della parte che ha
ragione…nella specie nessun pregiudizio economico deve subire l’Autorità, per il
fatto che nel corso del giudizio sia stata emessa un’ordinanza di sospensione del
provvedimento, la cui piena legittimità anche nella sua parte sanzionatoria veniva
successivamente confermata dal giudice di primo grado”.
Con l’ordinanza in epigrafe, questa Sezione accoglieva la domanda cautelare,
sospendendo l’esecuzione della cartella di pagamento impugnata, nella parte che
riguardava il credito AGCM.
Interveniva in giudizio “ad opponendum” il Codacons, richiamando la sua
legittimazione ai sensi dell’art. 2 del suo Statuto, dell’art. 140 d.lgs. n. 206/05 e
dell’art. 27 l. n. 383/2000 e la legittimità della sanzione a suo tempo irrogata
dall’Autorità al fine di punire politiche di condotta “anticoncorrenziale”.
In prossimità della pubblica udienza del 18 novembre 2015 tutte le parti costituite
depositavano memorie (Telecom, che eccepiva l’inammissibilità dell’intervento del
Codacons, anche di replica) a sostegno delle rispettive tesi difensive e in tale data la
causa era trattenuta in decisione.
DIRITTO
Il Collegio, anche al non più sommario esame proprio della presente fase, ritiene di
confermare l’orientamento di cui alla pronuncia cautelare, rilevando la fondatezza
del ricorso nei termini che si vanno a precisare.
In primo luogo, su fattispecie in termini il Consiglio di Stato si è già espresso con la
sentenza della Sezione Sesta, 21.2.08, n. 636, confermando una pronuncia resa da
questa Sezione l’anno precedente.
In particolare, i giudici di Palazzo Spada - riportando l’art. 27, comma 6, l. cit.
secondo cui “in caso di ritardo nel pagamento la somma dovuta è maggiorata di un
decimo per ogni semestre a decorrere da quello in cui la sanzione è divenuta esigibile
e fino a quello in cui il ruolo è trasmesso all'esattore. La maggiorazione assorbe gli
interessi eventualmente previsti dalle disposizioni vigenti” - hanno evidenziato che
tale maggiorazione riveste natura sanzionatoria, per cui la sussistenza del ritardo nel
pagamento deve essere “imputabile” al debitore.
Tale natura sanzionatoria della maggiorazione è stata confermata anche dalla stessa
Corte Costituzionale (n. 308/1999) in relazione alla dichiarazione di manifesta
infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli artt. 206 d.l. 30 aprile
1992 n. 285 e 27, comma 6, l. n. 689 del 1981, nella parte in cui prevedono misure
aggiuntive assai più gravose rispetto agli interessi moratori. Ciò perché la
“maggiorazione” per il ritardo nel pagamento, di cui all’art. 27, comma 6, l. cit. a
carico dell'autore di un illecito amministrativo, al quale è stata inflitta una sanzione
pecuniaria, non ha una funzione risarcitoria ovvero oltremodo “compensativa” o
“corrispettiva”, come nel caso degli interessi c.d. “moratori” – peraltro nel caso di
specie pagati da Telecom - ma riveste carattere esso stesso “sanzionatorio” e
aggiuntivo, nascente al momento in cui diviene “esigibile” la sanzione principale.
E’ evidente, per il Collegio, che la natura sanzionatoria in questione deve quindi
presupporre che il ritardo sia imputabile a condotta del debitore.
In sostanza, l'obbligo, ai sensi dell'art. 27 comma 6, l. cit., di corrispondere una
somma aggiuntiva alla sanzione pecuniaria originaria, al netto degli interessi “di
mora”, risponde all’esigenza, di “ordine pubblico” evidenziata dal legislatore, di
scoraggiare, dopo un termine “di tolleranza” fissato in sei mesi, l’inadempienza
prolungata ma tale applicazione della norma presuppone che il ritardo sia tutta
riconducibile al debitore, per cui la maggiorazione in questione - appunto per tale
ragione -non è qualificabile come meramente “accessoria” ma ha un valore
pienamente sanzionatorio (TAR Lazio, Sez. I, 10.6.13, n. 5796). Come tale, però, in
virtù dei principi generali di cui alla l. 689/81, deve essere contraddistinta dalla
presenza dell’elemento soggettivo (dolo o colpa) in capo al debitore. Tale elemento
può individuarsi solo se la sanzione è esigibile sin dal momento della sua irrogazione,
per tutta la durata del suddetto termine semestrale, e se il debitore lo abbia lasciato
trascorrere senza la sussistenza di altre cause ostative al pagamento (forza maggiore).
Lo stesso Consiglio di Stato, a sua volta, pur quando ha ritenuto di escludere la
rilevanza dell’imputabilità del ritardo, ha precisato che la maggiorazione in questione
ha carattere “aggiuntivo” – e quindi non “accessorio” o “compensativo” – ed è
dovuta per la sussistenza di due presupposti: il ritardo ultrasemestrale e l’esigibilità
della sanzione (Cons. Stato, Sez. VI, 25.5.12, n. 3058).
Nel caso di specie la sanzione principale non è stata appunto esigibile per il periodo
sopra indicato (8 gennaio-8 maggio 2014), in quanto sospesa con ordinanza cautelare
di questa Sezione.
In merito, il Collegio non ignora la giurisprudenza più recente dello stesso Consiglio
di Stato (Sez. VI, 4.9.15, n. 4114 e 14.8.15, n. 3944), cui questa Sezione ha ritenuto
di adeguarsi (TAR Lazio, Sez. I, 26.10.15, n. 12178), secondo cui, anche in revisione
di un precedente diverso orientamento, la maggiorazione di cui all’art. 27, comma 6,
l. cit., sanzionando il ritardo nel pagamento di una sanzione precedentemente
irrogata, è legata al momento di irrogazione della sanzione originaria e anche una
rideterminazione della stessa in seguito ad annullamento parziale in sede
giurisdizionale decorre sempre dalla data dell’originario provvedimento (salva la
diversa base di computo della maggiorazione se la sanzione viene ridotta nel
quantum). Ciò in quanto la sentenza che riduce il “quantum” conferma che
comunque la sanzione è stata legittimamente irrogata e quindi, sebbene per un
importo minore di quello precedentemente determinato, il suo pagamento era
dovuto sin dalla data indicata nell’originario provvedimento, per cui il “dies a quo”
per il calcolo della maggiorazione non può che essere quello fissato dall’originario
provvedimento.
Tale principio segue quanto ricordato nella su richiamata sentenza dello stesso
Consiglio di Stato (n. 3058/12) e fatto proprio anche nelle difese in questa sede
dell’AGCM, secondo cui tale conclusione risponde alla “…regola processuale
secondo la quale gli effetti della sentenza di appello, con la quale è stata caducata la
sentenza di prime cure, retroagiscono al momento della proposizione del ricorso
originario”, nonché col principio per cui la sentenza di accoglimento del ricorso di
primo grado, ove riformata in appello, va considerata “…tamquam non esset” (così
come gli atti che “medio tempore” abbiano dato ad essa esecuzione). Poiché la
durata del giudizio non può andare a carico della parte che ha ragione (anche della
Amministrazione intimata che sia titolare di una pretesa di natura pecuniaria), nessun
pregiudizio economico può subire l'Autorità, per il fatto che a suo tempo sia stata
emessa una sentenza di annullamento, riformata in appello. Del resto, anche nel
giudizio civile, quando il giudice di primo grado abbia erroneamente accolto una
eccezione di prescrizione e poi la sentenza d'appello abbia condannato il debitore,
per il periodo intercorrente tra le due sentenze il ritardo dell'adempimento va
considerato imputabile al debitore. In altri termini, e con riferimento alla sanzione
amministrativa irrogabile in materia dalla Autorità, la sanzione a suo tempo irrogata
all'appellata ha superato il vaglio giurisdizionale e la durata del processo conclusosi
con la sentenza di questo Consiglio…, quali che ne siano stati gli sviluppi intermedi,
resta un evento neutro, conformemente al principio che esclude che essa possa
andare a detrimento della parte che ha ragione.”.
Il Collegio ritiene che tale orientamento, pur autorevolmente sostenuto, possa
condividersi laddove il riferimento alla pendenza processuale è all’intero giudizio di
merito e all’interno del medesimo non vi sia stata nessuna pronuncia cautelare
favorevole al soggetto sanzionato, come nella pressoché totalità dei richiami
giurisprudenziali operati nelle ultime difese dell’Autorità.
Laddove, invece, vi sia stata “medio tempore” una pronuncia cautelare che ha
sospeso, per un periodo determinato, l’esigibilità della sanzione, tale orientamento,
ad avviso del Collegio, andrebbe rimeditato.
E’ vero che all’interno di qualche arresto giurisprudenziale richiamato a sostegno
della tesi dell’AGCM si fa cenno alla presenza di pronunce cautelari ma tale accenno
riguardava la singola fattispecie in cui la sanzione risultava rideterminata, dal Giudice
o dall’Autorità.
In quel caso può apparire logico che la durata del processo non può andare a
discapito della parte che “ha ragione”. Ma quando non è la pendenza stessa del
processo che ha fatto ritenere alla parte sanzionata di non dover pervenire al
pagamento entro il termine semestrale dalla comunicazione del provvedimento
contenente la sanzione “originaria” ma vi sia stata la presenza di una pronuncia, sia
pure interinale, del giudice a incidere sulla esigibilità della stessa, il Collegio ritiene
che la circostanza non possa essere ignorata e ciò per due motivi.
Sotto un primo profilo, se – come è – unanimemente la giurisprudenza, anche della
Corte Costituzionale, riconosce il carattere “sanzionatorio” e non “compensativo”
- o “riparatorio” che dir si voglia – della maggiorazione ex art. 27, comma 6, l. cit.,
non appare influente il richiamo al principio secondo il quale la durata del processo
non deve andare a discapito di “chi ha ragione”, in quanto l’applicazione della
maggiorazione in questione non è un beneficio cui ha diritto l’Autorità “che ha
ragione” sulla sanzione “principale”, come invece nel caso degli interessi “di mora”
o “compensativi”, ma consiste in un’ulteriore sanzione a carico della parte
inadempiente, posta non a favore del creditore e per un “diritto” a lui riconducibile
ma per la tutela dell’interesse pubblico ad un corretto e puntuale adempimento di
sanzioni amministrative.
Sotto un secondo profilo, meramente processuale, la sospensione cautelare della
esigibilità della sanzione concessa nel corso del processo (come esplicitamente così
definita, nel caso di specie, nella su ricordata ordinanza di questa Sezione n. 154/14)
non può essere considerata come un provvedimento “inutiliter datum” dal Giudice,
se comunque la decorrenza ai fini della maggiorazione in questione non ne dovesse
tenere alcun conto.
Anche sotto i profili riconducibili alla “codificazione” processuale amministrativa di
cui al d.lgs. n. 104/10, si osserva che l’art. 55, comma 1, c.p.a. consente l’adozione
di misure idonee ad assicurare interinalmente gli effetti della decisione del ricorso;
ciò sta a significare che – di certo - la “sospensiva” non può concedere alla parte
ricorrente più di quello che possa ottenere con la decisione “di merito”, per cui –
condivisibilmente – la giurisprudenza più recente ha stabilito, come sopra
richiamato, che la rideterminazione della sanzione, sia ad opera del giudice che della
stessa Autorità, deve vedere il “dies a quo” per la maggiorazione a partire dalla
sanzione originaria, andando altrimenti a favore della parte sanzionata la pendenza
stessa del processo, dato che, comunque, la condotta era da qualificarsi come illecita.
Ma quando nel corso del processo è concessa una misura cautelare sulla sanzione
che ne sospende l’esigibilità, la stessa non potrebbe essere considerata questa volta
a favore della parte “sanzionante”, che all’esito del giudizio di merito vedrebbe
aumentare gli introiti a suo favore per un’ulteriore condotta (il mancato pagamento)
che aveva avuto origine non da una scelta strategica del soggetto sanzionato, nelle
more del processo o della rideterminazione della sanzione, ma da una indicazione
dello stesso Giudice. Che, poi, gli effetti interinali – proprio perché tali – vengano
meno con la decisone di merito “negativa” per il ricorrente è circostanza
indiscutibile e ben nota ma che non può rimettere in discussione una condotta che,
per il periodo di accordata sospensione, non può essere ascritta alla volontà dilatoria
del debitore.
In sostanza, se l’”alea” dell’esito del processo non può beneficiare la parte poi
soccombente portando a lei vantaggi per la sua stessa pendenza, così l’esistenza di
una pronuncia interinale non può essere considerata “tamquam non esset” nei
confronti della parte che ne beneficia.
Nel caso di specie, poi, risulta che l’Autorità non abbia impugnato l’ordinanza n.
154/14 cit., per cui doveva accettare le conseguenze che potevano ricadere in merito
alla vigenza della stessa, in ordine al periodo di esigibilità (sospeso) della sanzione.
Pervenendo a diversa conclusione, ad opinione del Collegio, si giungerebbe alla
paradossale conseguenza per la quale la parte “sanzionante” avrebbe un interesse
diretto alla concessione del provvedimento cautelare per lei negativo - e a cui si
opponeva - in quanto all’esito del giudizio di merito (se per lei favorevole) si
vedrebbe comunque riconoscere la decorrenza del termine semestrale di cui all’art.
27 cit. dall’originaria comunicazione, beneficiando però dell’ulteriore somma dovuta
anche per correlativi interessi legali sulla stessa. In sostanza, per la parte sanzionante
sarebbe quasi auspicabile la pendenza di un processo e la concessione di una tutela
cautelare interinale, se questa poi fosse “posta nel nulla” nella sostanza e
riattivandosi la decorrenza del termine “ab origine”, con maggiorati interessi legali.
Tale conclusione sarebbe altrettanto inaccettabile di quella che volesse la pendenza
del processo a discapito della parte vittoriosa, sopra richiamata dalla giurisprudenza.
Altrettanto paradossale sarebbe il corollario desumibile dalla tesi dell’AGCM
sostenuta in questa sede, per il quale parte ricorrente dovrebbe chiedere una
sospensione dell’esigibilità della sanzione, ottenerla, ma poi provvedere ugualmente
al pagamento entro gli originali sei mesi per evitare la maggiorazione in questione in
caso di esito negativo “nel merito”. Ci si troverebbe di fronte ad una situazione in
cui l’art. 55 c.p.a. non avrebbe alcuna validità sostanziale e ciò, al Collegio, non
appare logico e funzionale, quantomeno in relazione ai principi generali di cui agli
artt. 97 e 111 Cost. e di effettività della tutela giurisdizionale, condivisibilmente
richiamati nelle ultime difese di parte ricorrente e riconosciuti anche dalla Corte di
Giustizia UE (CGUE, 21.2.91, in C-143/88 e C-92/89, Zuckerfabrik; 13.3.2007 n.
432, Unibet London).
In definitiva, il Collegio ritiene che:
a) la “maggiorazione” ex art 27, comma 6, l. n. 689/81 ha carattere sanzionatorio e
non compensativo;
b) come tale, e in quanto norma di “ordine pubblico”, non è correlata alla sanzione
principale - e non “compensa” l’Autorità della mancata ricezione del pagamento, a
differenza di quella “moratoria” (peraltro corrisposta regolarmente nel caso di specie
da Telecom) - ma all’ulteriore condotta dilatoria della parte sanzionata;
c) a suo fondamento sussistono due presupposti oggettivi, quali il decorso del
termine semestrale e l’esigibilità della sanzione;
d) se uno dei due presupposti è assente, la maggiorazione non può applicarsi, per
cui se l’esigibilità della sanzione è sospesa per ordine del Giudice, di tale sospensione
deve tenersi conto nel calcolo del termine semestrale, risultando altrimenti la
decisione processuale “inutiliter data”.
Da ultimo, il Collegio rileva l’inammissibilità dell’intervento “ad opponendum” del
Codacons in quanto il presente contenzioso, pur se originato dall’irrogazione di una
sanzione per pratica anticoncorrenziale, in realtà riguarda unicamente l’applicazione
o meno della maggiorazione ex art. 27 cit. che non è collegata alla condotta in
questione ma ai presupposti sopra rappresentati, del tutto autonomi e non collegati
all’applicazione dei poteri dell’AGCM nelle materie in cui il Codacons è legittimato
ad intervenire.
Alla luce di quanto dedotto, quindi, il ricorso deve essere accolto.
La peculiarità della fattispecie e l’incertezza della giurisprudenza al momento della
proposizione del ricorso consentono di compensare eccezionalmente le spese di lite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima), definitivamente
pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto,
annulla la cartella di pagamento impugnata di cui in epigrafe, nella parte in cui
riguarda la maggiorazione su sanzione AGCM.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 18 novembre 2015 con l'intervento
dei magistrati:
Giulia Ferrari, Presidente FF
Rosa Perna, Consigliere
Ivo Correale, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 09/12/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)