PARMA - LAVORI DI RESTAURO DEL PALAZZO DUCALE

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PARMA - LAVORI DI RESTAURO DEL PALAZZO DUCALE
PARMA - LAVORI DI RESTAURO DEL PALAZZO DUCALE. Finanziamento
ex Legge n.662/1996 - interventi da realizzare con i proventi del Gioco
del Lotto triennio 2004/2006
Responsabile del procedimento:
Arch. Corrado Azzollini - Direzione Regionale
Progetto esecutivo:
Arch. Luciano Serchia
Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici di Parma e Piacenza
Coordinamento Sicurezza-progettazione:
Arch. Corrado Azzollini
Direzione Lavori:
Arch. Luciano Serchia
Direttore operativo:
Laura Bedini
Soprintendenza per i beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici di Modena e Reggio Emilia
Coordinamento Sicurezza-esecuzione:
Arch. Corrado Azzollini
Collaudatore in corso d'opera:
Arch. Gabriella Goretti - Direzione Regionale
Impresa appaltatrice:
CIPEA Soc. Coop. - Bologna
Impresa esecutrice:
IDROTER srl - S. Lazzaro (BO)
Subappaltatori tinteggiature:
Felsina Restauri srl - Castenaso (BO)
Subappaltatori restauri:
Katia di Ronzani Alba - Castenaso (BO)
Restauri d'Arte Ethica snc - Bologna
I restauri diretti dall’architetto Luciano Serchia della Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici
per le province di Parma e Piacenza, tuttora in corso nella cinquecentesca residenza Ducale del Giardino di
Parma, hanno portato alla luce interessanti affreschi con paesaggi in due sale al piano terreno.
Le decorazioni qualificano questi due ambienti come vere e proprie stanze-paese ante-litteram, poiché la
narrazione dipinta oltre a proporre un’ariosa ambientazione naturalistica nella dilatazione del campo visivo,
con luminosi paesaggi dagli orizzonti lontani, coinvolge lo spazio, distendendosi dalla volta alle pareti con
una rappresentazione continua, rivestendo completamente la superficie muraria e negandone gli elementi
architettonici.
Il tema della “stanza paese”, ossia il giardino in una stanza, cui si dedicheranno, con esiti di indiscussa
qualità, numerosi pittori sul volgere del Settecento, ha però una antica tradizione e origini remote nella
cultura romana, non senza riferimenti espliciti nel trattato di Vitruvio. Il teorico dell’età augustea suggeriva
di dipingere “porti, promontori, spiagge, fiumi, fonti, rocce, villaggi, monti...”. Paesaggi fluviali con una
sapiente esecuzione delle architetture e della verità botanica della vegetazione, sono quelli dipinti sulle pareti
della sala sud est del Palazzo Ducale del Giardino. Particolarmente interessante è l’impaginazione dello
spazio condotta sulla parete verso l’ingresso principale: qui la trama disegnativa e lo stesso programma
iconografico denunciano un’invenzione colta e ricercata in cui il paesaggio non è citazione erudita o
divagazione fantastica. Tema ancora raro, condotto su modelli di cultura figurativa che coniugano
suggestioni fiamminghe a elementi di cultura decorativa di ambito romano. Dagli affreschi recuperati si
evince che il paesaggio si sviluppava maestosamente sulla volta, su tutte quattro le pareti e, su quella fra le
due finestre, con invenzioni di seducente bellezza. Il pittore ha infatti impaginato la scena con un unico,
arioso paesaggio, attraversato da un fiume e popolato da alberi in un lussureggiante giardino, nell’esibita,
implicita celebrazione della natura e dell’acqua, arricchendola con inserti architettonici, con cavalli e
popolandone il cielo con uccelli dai colori accesi. A due successivi interventi, cronologicamente scalati nel
XVII e nel XVIII secolo, si devono le decorazioni emerse lungo gli sguinci delle finestre, più piccole di
quelle attuali, sia nella sala sud est, sia in quella sud ovest, ove in origine si estendeva la decorazione di
paesaggio. Si tratta di un fregio di verdi racemi che si intrecciano scivolando lungo la parete e di un più
articolato fregio a volute, interrotte da grandi medaglie che, sulla volta, simulano uno sfondato
architettonico.
La qualità e la sapienza descrittiva con le quali l’artista ha reso sia le fronde degli alberi mosse dal vento,
ottenute con un gioco di tocchi leggeri, la luminosità del cielo nel quale volano uccelli variopinti, gli inserti
architettonici ben visibili sulla parete sulla quale si riconosce anche il disegno di una recinzione con inserti
floreali, ed altre tracce di decorativismo architettonico illusionistico connotano questo ambiente, nonostante
le ampie lacune, nella complessità della narrazione, con il prestigio e l’appeal di una decorazione preziosa ed
esclusiva. I restauri in corso confermano la sfolgorante bellezza di questi paesaggi. Dipinti alla metà del
Cinquecento, devono avere ammagliato i viaggiatori stranieri in visita a Parma ben prima delle ampie
ristrutturazioni che nella seconda metà del Settecento avrebbero coinvolto il Palazzo.
All’interno dell’antica dimora farnesiana che fin dall’origine era al centro di una estesa area di orti, poi
trasformati in sontuoso giardino, e che le testimonianze documentarie ricordano con i termini di “castello”
e di “fontana”, la decorazione di queste e altre stanze mirava all’integrazione con la circostante natura, in
una illusoria e gradevole fusione di esterno e interno, giardino e residenza, con riferimenti anche
all’elemento idrico. La “meraviglia” della residenza che fu dei Farnese, indicata anche come “fontana” con
esibita allusione alla fontana costruita a partire dal 1564 su progetto di Giovanni Boscoli da Montepulciano
(1524-1589), forse su un’idea originaria di Vignola, è costantemente ricordata dalle fonti. La costruzione di
questo marchingegno elaboratissimo, e in grado di rivaleggiare con la più celebre fontana di Caprarola,
doveva risultare infatti perfettamente integrata nella struttura dell’edificio; concordano nell’identificare
edificio e fontana i testimoni e i viaggiatori dell’epoca.
Nel 1601, il cronista e poeta Francesco Maria Violardo, ricorda alcune stanze “meravigliosamente depinte
dal Mirola e principalmente d’una rovina che è opera stupenda in pittura”. Si tratta del bolognese Girolamo
Mirola (1535/40-1570), pittore nonché già collaboratore, a Bologna (1552-1553), di Pellegrino Tibaldi
(1527-1596) nella cappella Gozzadini della chiesa dei Servi. A contatto con i Farnese dal 1557, Mirola è
pittore regolarmente stipendiato dal duca Ottavio Farnese dal 3 aprile 1561 fino alla morte (1570). Una
precedente, autorevole testimonianza relativa alla sua presenza nel cantiere del Palazzo del Giardino è quella
di Giorgio Vasari. Lo storiografo aretino, in visita a Parma nel 1566, ricorda anche che Girolamo Mirola
“aveva dipinto a fresco molte storie in un palazzotto che ha fatto fare il …signor duca nel castello di
Parma”. Dalla recente ricostruzione cronologica e documentaria Mirola si configura come il vero
responsabile del cantiere della decorazione, con un ruolo di indiscusso prestigio, ideatore dell’impaginazione
pittorica di un numero maggiore di stanze, oltre la sala dell’Ariosto e quella del Bacio o del Boiardo al primo
piano.
Verosimilmente affiancato da Jacopo Zanguidi, detto il Bertoja (1544-1573?), cui sono state ricondotte
l’affrescatura della sala di Perseo e quella della sala del Paesaggio (1571), al piano nobile sul lato sud
occidentale del Palazzo, a Mirola è stata attribuita la stanza della Rovina, dipinta nel 1563.
E’ questa una delle numerose sale del piano nobile ricordate dall’architetto svedese Nicodemus Tessin, che
nel 1687-1688 descriveva compiaciuto le stanze ornate dagli affreschi ispirati ai poemi di Ariosto e di
Boiardo, ricordando anche “un’ampia loggia, alta, interamente coperta a volte” ove Giovnani Fiammingo
aveva dipinto grandi paesaggi con “taluni palazzi…e alberi che svettano attraverso l’intera volta”. Oltre alla
loggia ricorda una sala “chiamata Stanza della Ruina perché gli stucchi si presentano come fossero rotti e
rovinati…”.
La “villa suburbana” di Ottavio arnese, circondata da un ampio giardino, ospitò un articolato e raffinato
cantiere pittorico all’interno del quale operarono protagonisti e comprimari della scuola bolognese e artisti
attenti alla tradizione parmense di eleganza e vaghezza di forme di memoria parmigianinesca.
Nel Palazzo del Giardino aveva dipinto infatti anche un altro artista, l’infaticabile frescante attivo nei castelli
di Torrechiara, Soragna e S. Secondo: Cesare Baglione, stipendiato fisso del duca a partire dal 1574 di cui
Cesare Malvasia, suo biografo, ricorda l’abilità nell’imitare i paesaggi dipinti dai fiamminghi. Di Baglione,
attivo al piano terreno del Palazzo Ducale del Giardino ove gli spazi di servizio, quali cucine e lavanderie,
erano ambienti consoni ad ospitare soggetti meno aulici, si conservano i soffitti affrescati in tre sale, con
prospettive, sfondati, fregi e animali. Sono elementi propri del repertorio di questo fecondo frescante che
aveva meritato l’elogio di Malvasia.
Ed è ancora un viaggiatore, l’inglese Richard Symonds, in visita al Palazzo del Giardino nel settembre 1651
che ricorda, ammirato, il “Camerino del Vento del Baglione”. Puttini che soffiano, emergono oggi dal
restauro sulla volta della sala terrena sud ovest, le cui pareti conservano tracce di paesaggi e precise
testimonianze di lussureggianti alberature. La decorazione di entrambe le sale, in fase di restauro, afferisce al
medesimo clima di cultura che ha prodotto i più noti e celebrati affreschi con paesaggi visibili al piano nobile
del Palazzo. La luminosità degli affreschi appena riscoperti nelle due sale terrene, privi delle grottesche
tipiche del repertorio decorativo di Cesare Baglione, l’esecuzione brillante e la vivace cromia della
vegetazione e dei volatili, la seducente bellezza di un paesaggio dilagante e i dettagli studiati con cura,
confermano la sapiente e colta regia esecutiva di un artista la cui identità va ricercata nell’ambito dei pittori
che operarono nel Palazzo intorno alla metà del Cinquecento.
Luciano Serchia