(da Ornella a tutti, 29 dicembre ore 14.06) [..] ieri

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(da Ornella a tutti, 29 dicembre ore 14.06) [..] ieri
(da Ornella a tutti, 29 dicembre ore 14.06) [..] ieri quando ho visto la foto di copertina sul
Manifesto ho subìto una forte impressione, veramente un forte malessere...[..] Non ci sono parole
nuove per descrivere l'insensatezza, o meglio il lucido, calcolato, insensibile, terrificante bisogno di
distruggere l'altro per il proprio, personale beneficio...o del Proprio Paese, con cui un "io" si identifica.
Il bisogno di guerra...forse l'essere umano se lo porterà fino alla tomba...dell'umanità. Detto questo,
perchè non augurarsi un buon anno? [..] Magari augurandosi più coscienza, più disponibilità di energia
contagiosa, più capacità inventive per il bene comune, capacità di influire, a misura d'uomo comune,
alla buona sorte di chi ci vive accanto o lontano... [..] Anche con la terrificante consapevolezza che
ogni attimo della nostra vita sulla terra, coincide con attimi di altri esseri(non solo umani) che
subiscono violenza... [..] tornando al popolo palestinese, dobbiamo pensare: arabi buoni- ebrei cattivi?
Certo che no, c'è un regime militare e politico che viene assecondato da Enormi Interessi
Mondializzati. Inoltre,io da anni vedo, oltre che di tutti gli Stati, forti responsabilità anche da parte
palestinese, educare giovani, donne e bambini al suicidio terroristico non mi sembra pratica giusta per
ottenere quello che desiderano, e non mi sembra che da decenni sia una pratica che dia buoni risultati.
E poi, esattamente cosa desiderano? ( Una parte almeno), la scomparsa del popolo antagonista?
Comunque, ci sarebbe bisogno di una buona informazione, che non c'è in generale, su qualunque
guerra o fatto culturale, né la nostra rivista con la sua piccolissima tiratura, ammesso che ne fossimo
in grado, non avendo corrispondenti sul campo, potrebbe colmare tale buco di disinformazione.
Questo non vuol dire che non possiamo parlarne, magari sul sito. [..]
(Ennio a Ornella, 29 dicembre ore 21.03) [..] Tu dici “non ci sono parole nuove per descrivere…”.
Io dico: non si usano più le parole vecchie: assassini, briganti, bugiardi, perché si resta nel torpore e
nell’incertezza e combattere sul serio gli assassini, i briganti e i bugiardi oggi ci costerebbe troppo e
in più abbiamo le mani legate. Ma le idee chiare, queste almeno possiamo averle. Invece anche tu
pensi che “Il bisogno di guerra...forse l'essere umano se lo porterà fino alla tomba...dell'umanità”.
Preferisci cioè ricorrere al pessimismo antropologico invece che scavare nelle porcherie della
politica mondiale per capire almeno che la “debolezza dell’anima” a Gaza e dintorni (ma in tanti
altri posti, in verità) non c’entra per nulla e che in gioco ci sono interessi economici, politici dei
grandi apparati statali in lotta per spartirsi le risorse mondiali del lavoro umano. E se, lasciando da
parte l’anima, ti metti di fronte al “popolo palestinese” e ti accorgi tu pure che “c'è un regime
militare e politico che viene assecondato da Enormi Interessi Mondializzati”, ti fai, secondo me,
fregare da una visione moralistica (“dobbiamo pensare: arabi buoni- ebrei cattivi?”) e dalla
manipolazione dei mass media. Sono questi, appunto, che c’imbottiscono la testa con la carta dei
“doppi estremismi” buona per tutte le stagioni [..] Ahimè, spartire le colpe quasi equamente tra
Israele e palestinesi! Ahimè, rimproverare, proprio come fa Condoleza Rice, Hamas che ha “forti
responsabilità”! Ma come si fa a pesare sulla bilancia anche 100 attentatori suicidi e uno degli
eserciti più potenti del mondo e concludere che i primi hanno “forti responsabilità”? [..] E mi fa
disperare risentire il ritornello che “ci sarebbe bisogno di una buona informazione”. Eppure almeno
noi quattro gatti una “qualche” informazione sulla reale situazione in Israele l’abbiamo avuta. [..]
L’informazione almeno sul conflitto tra Israele e i palestinesi è sterminata, visto che quel conflitto
è irrisolto dal dopoguerra. Chi vuol capire ha materiale abbondante per chiarirsi le idee. Il fatto è
che l’informazione non basta. Anche quando è buona informazione. Certi semi – lo diceva pure il
vangelo - se cadono in un terreno non pronto ad accoglierli, non attecchiscono e non germogliano.
E in Italia questo terreno accogliente non esiste quasi più. Oppure è ridotto a fazzoletti per
responsabilità politiche della Sinistra. Per cui solo pochi gruppi e qualche intellettuale isolato dice
ancora: assassini, briganti, bugiardi! [..]
Aggiungo questa poesia [di Aharon Shabtai*] che mi è giunta da un amico stamattina [..]:
A un pilota
Pilota, la prossima volta
che voli sopra Jenin
con il tuo elicottero,
ricordati dei bambini,
ricordati delle vecchiette
nelle case che bombarderai.
Spalma sui tuoi missili
uno strato di cioccolata,
e sforzati di fare centro.
Così che abbiano almeno
un ricordo dolce,
quando i muri crolleranno.
* Aharon Shabtai, nato nel 1939, è uno dei maggiori poeti israeliani contemporanei. È autore di più di quindici libri di
poesia e sue traduzioni sono apparse in numerose riviste. La responsabilità principale di un poeta, secondo Shabtai, è almeno a livello letterario - freschezza, attenzione e sorpresa. E quando le cose precipitano, lo scrittore responsabile non
può non applicare questi valori al meno piacevole e forse il più scivoloso dei soggetti letterari - la politica e gli affari
pubblici. Il suo libro J'Accuse, ha vinto il premio del PEN American Center. La sua raccolta Politica (la prima in Italia)
è stata pubblicata dalla Multimedia Edizioni / Casa della poesia, nel maggio 2008.
(Ornella a Ennio, 30 dicembre ore 14.30) [..] lasciamo che il malessere sovrasti, così non ci prende il
senso di colpa per la nostra insensibilità....verso il popolo palestinese, perché siamo di sinistra e la
sinistra italiana è sempre stata e sempre sarà filo-palestinese. [..] [il malessere] non è da mettere da
parte, ma è da guardare e lavorarci sopra, il mio era per la visione di tutti quei giovani uomini, soldati,
morti...a me fa anche più male vedere carneficine di civili, sopratutto se bambini...perché i bambini
potrebbero avere idee nuove in testa, magari contro la guerra...ma mi fanno molta pena, il cuore mi si
stringe pure alla visione di soldati morti...soldati di tutte le bandiere. E sul tuo malessere cosa mi
dici.....Se invece i soldati morti, nella foto, erano israeliani, saresti stato insensibile o magari anche
contento? Secondo te, rifletti un attimo.....con sincerità e non abitudine intellettuale, se i palestinesi
che hanno votato Hamas, non l'Olp, ma Hamas che non riconosce lo stato di Israele e ne vorrebbe la
sparizione, avessero, cambiando per magia l'assetto socio-politico-economico mondiale, ( perchè no,
potrebbe anche succedere) l'appoggio di chi oggi accetta Israele, ed invece dei rudimentali razzi
Kassam, avessero ad esempio una bella bombetta atomica, non la userebbero contro i loro mortali
nemici? Il trafiletto sotto la foto finiva con : Hamas promette vendetta. (parole nuove?) Quindi, come
scrive Saramago, sono solo gli israeliani, con il loro dio biblico, feroce e vendicativo, ad essere
anch'essi feroci e vendicativi? Non è questa la peggior trappola per gli uomini, inconsapevoli di essere
così solo pedine di un ingranaggio distruttivo ma economicamente utile a qualcuno? [..] Il mio non è
un "pessimismo antropologico" [..] sono una ottimista, ma che cerca di tenere gli occhi ben aperti sulla
realtà, attenta al mondo delle idee e anche sulle balle che ci raccontiamo ogni giorno, per mantenere in
piedi le idee che ci siamo costruiti o che "ci hanno costruito". Io non spartisco le colpe "equamente", la
responsabilità maggiore ce l'ha l'America con la sua economia legata a quella d'Israele, e il suo peso
nell'ONU, poi ce l'ha Israele che ha più forza e quindi più responsabilità, con la sua forza avrebbe
dovuto lavorare di più ad una soluzione pacifica...ma quì sono intervenuti gli interessi di cui
parlavamo prima. Infine, un popolo che vota al governo un partito di terroristi, forse, rispetto
al cammino di risoluzione pacifica, qualche responsabilità ne ha... [..] E dobbiamo pesare i morti e
decidere che le vittime di 100 attentati...quante saranno mille, duemila, tremila persone valgono di
meno? Poi per Informazione parlavo di quella vera, non ideologica, che amplia lo sguardo, o
perlomeno a quella grande, che può portare valore nella difesa del popolo palestinese, muovendo
l'opinione pubblica, come un po era successo in passato, con Arafat. Non mi sembra che i nostri
lettori di Poliscritture [..] possano muovere alcunchè. [..] io invece ho voglia appunto di creare ponti,
di creare conoscenza nel dialogo...dove non ho preventivamente già un'idea chiara di chi sta al di là...
se no a che serve, sarebbe dialogo fra sordi.... [..] l'informazione forzata sul problema Israele-Palestina
la subisco da quando ero piccola [..] ma [..] a tuttora non mi sento informatissima, ci vuole molto
tempo per comprendere il diverso da noi... a volte anche chi ci sta vicino.... [..]
(Marcella a Ornella e Ennio, 30 dicembre ore 20.10) Vi voglio bene, a tutti e due, ognuno con la sua
vis polemica. E sono sempre più convinta che non esista un solo modo onesto di stare nelle cose... di
soffrirle. [..]
(Fabio a Marcella, 31 dicembre ore 15.16) [..] voler bene a tutti e due, perché no, se si percepisce,
come tu dici, "il modo onesto di stare nelle cose"; però, poi, verificata l'onestà, le differenze vanno
affrontate [..] rischiando il disaccordo con quelle dell'altro, rendendo anzi fertile proprio quel
disaccordo. Certo, tutto questo riesce meglio se non si è convinti di avere ragione, se esiste, in ogni
interlocutore, il ragionevole dubbio che il proprio riflettere e arguire possano comunque aver bisogno
della prospettiva altrui, anche di quella che più sembra lontana e che magari, se si smettesse di
osteggiarla al punto da non prenderla neanche in considerazione, potrebbe aprire inediti squarci di
comprensione, e quindi di revisione, del proprio pensiero. Credo veramente che il peggior difetto,
soprattutto quando le situazioni si radicalizzano (come è il caso dei morti di Gaza), sia la
semplificazione, il due più due fa quattro dell'emotività. Tutto è molto più complesso di quanto appare,
siamo sostanzialmente disinformati e misinformati [..]
(Luca a tutti, 31 dicembre ore 21.35) Credo che a nessuno di noi possa venire in mente di spartire in
parti uguali o "quasi eque" le responsabilità israeliane e quelle palestinesi. [..] Quello che però
dovremmo fare, secondo me, oltre ad aiutare per come possiamo le vittime della violenza israeliana, è
cercare, almeno concettualmente, delle possibili soluzioni alternative alla spirale del massacro e
dell'attentato, questo a prescindere dal giudizio storico sulle colpe e le responsabilità, che sono a mio
parere da ascrivere principalmente alla politica di apartheid, di espropriazione e di negazione dei diritti
umani praticata da Israele. Prendere posizione contro la spirale del colpo su colpo non vuol dire
accettare la tesi degli opposti estremismi, vuol dire provare piuttosto a immaginare una lotta
nonviolenta di massa come era stata, almeno in origine, la prima intifada. Se siamo d'accordo con la
scelta dei due popoli due stati (una scelta minimale, ma l'unica che può garantire la convivenza un po'
più pacifica nell'area) occorre ricercare la via del negoziato dal basso. E i negoziati si fanno con il
nemico, non con chi ci piace di più come interlocutore. Alla parte più lesa e offesa si chiede lo sforzo e
la generosità più grande, quelli di guardare oltre i torti subiti e il sangue versato, pur di porre fine al
suo versamento. Non ho fatto riferimento all'apartheid a caso.[..] può suggerire anche una strategia di
fuoriuscita che è risultata vincente in Sudafrica. Certo, ci sono enormi differenze storiche, ma [..]
Dalla scelta delle forme di resistenza armata contro il segregazionismo, alle attuali politiche di
riconciliazione corre un filo coerente, ed è quello di operare per la sistematica diminuzione del livello
di violenza, per la de-escalation, cercando interlocutori anche nel campo avverso, ecc. [..] La
prospettiva della riconciliazione è considerata sempre come qualcosa di successivo alla vittoria (e
anche in questo caso c'è chi la considera una forma di impunità). Invece, a mio parere, dovrebbe essere
già presente nel momento più alto e più incerto dello scontro. E non solo in base ad una
argomentazione "realistica" (anche quando si è militarmente più forti , e non è il caso dei palestinesi,
non si vince annientando l'avversario, bensì offrendogli una via di fuga), ma in base a una convinzione
etica: per essere diversi dal "nemico", occorre prima di tutto rifiutare i suoi metodi.
(Fabio a tutti, 1 gennaio ore 13.38) Bene, partiamo allora da un accordo che immagino comune: due
popoli due stati. Partiamo dall'idea, giusta, che i negoziati si fanno col nemico. Cosa vuol dire
negoziare quando una parte, Hamas, è esplicitamente per l'eliminazione dell'altra, lo stato d'Israele
(che a sua volta, implicitamente, porta avanti, in modo strisciante, una analoga strategia eliminatoria)?
Può sembrare paradossale, ma credo che oggi il peggior nemico del popolo palestinese non sia Israele
ma Hamas. Ai suoi dirigenti vanno imputate le prime responsabilità delle ultime carneficine. Qualcuno
può pensare che i lanci di razzi Kassam facessero parte di una strategia bellica di scontro militare?
Ridicolo. Servivano (e in questo sono riusciti) a scatenare la selvaggia risposta d'Israele; risposta di cui
Hamas ha bisogno per il ruolo che vuole giocare all'interno di una complessa ridefinizione del potere
nell'ambito (per me difficilmente decifrabile) dei paesi islamici.[..] Credo che lo scacchiere
mediorientale (e il suo peso nell'equilibrio planetario) sia molto più complesso di quanto la nostra
ideologia non ci permetta di cogliere. Per questo ritengo che la prima cosa da fare, per attivarsi
politicamente a favore di una soluzione pacifica del problema israelo-palestinese, sia dotarsi di
strumenti di analisi il più possibile precisi (non solo per quanto riguarda il medioriente ma per l'intero
ordine mondiale) e soprattutto di condividerli con i compagni, di partecipare collettivamente alla loro
elaborazione (già questo sarebbe un bel terreno di verifica delle rispettive visioni del mondo). Se
invece ci piace stare comunque, visceralmente e ciecamente, da una parte contro un'altra, a costo di
continuare a sbagliare (come sovente, ahimé, è accaduto), siamo liberissimi di farlo. Non è difficile,
stabilito chi sono i buoni e chi sono i cattivi, mettersi dalla parte giusta. Non so quanto questo aiuti la
soluzione del problema, però... Quanto a me, quest'ultimo conforto non mi basta più. Io adesso voglio
capire, voglio conquistarmi un rapporto vero con la morte e con la violenza, senza ricorrere alla solita
bilancia coi pesi truccati che ho usato finora. Mi faccio tante domande del tipo: sono favorevole o
contrario alla pena di morte (non certo dal punto di vista giudiziario, dove non ho dubbi a rispondere
contrario)? Fino a che punto sono pacifico? Cosa deve accadere (cosa mi deve essere fatto)
perché cominci a diventare violento? Pongo dei limiti alla mia violenza? E se sì, quali? [..]
(Ennio a Fabio, 1 gennaio ore 18.29) Sul conflitto politico tra Israele e palestinesi [..] Sono a caccia di
elementi capaci di approssimarmi alla realtà di quel conflitto. E li cerco confrontandomi con tutti
quelli che su di esso dicono delle cose meditate e informate, valutandole come posso siano esse
filopalestinesi, filoisraeliane o classificabili in una sorta di “zona grigia”. Come punti fermi che mi
guidano in questa ricerca ho per ora i seguenti: 1) diffidare del moralismo (non stabilire chi sono i
buoni e chi sono i cattivi); 2) considerare la situazione in Medio Oriente (e in generale) più complessa
di quanto appare (come Fabio), ma non fare della complessità un feticcio o un alibi: lo sforzo
irrinunciabile di «dotarsi di strumenti di analisi il più possibile precisi» va accompagnato
immediatamente da una presa di posizione contingente, rivedibile, meglio se esplicita e dichiarata che
implicita e incontrollata. E qui non si scappa. Ed in effetti nessuno vi sfugge: pur appellandoti alla
complessità, tu Fabio, prendi una posizione filoisraeliana, quando sostieni che Hamas «è
esplicitamente per l’eliminazione» di Israele o che Israele è solo «implicitamente» per l’eliminazione
dell’altra parte. [..] sei filoisraeliano anche quando dichiari senza mezzi termini [..] : «credo che oggi il
peggior nemico del popolo palestinese non sia Israele ma Hamas». E d’altra parte Luca (e mi aggiungo
a lui) è tendenzialmente filopalestinese, quando sostiene che «a nessuno di noi possa venire in mente
di spartire in parti uguali o "quasi eque" le responsabilità israeliane e quelle palestinesi». [..] Mi pare
che questi pre-giudizi o questa maggiore sensibilità agli argomenti dei palestinesi o degli israeliani
facciano parte della nostra ricerca per capire di più quello che avviene in Medio Oriente e della ricerca
di “soluzioni”. Non siamo neutrali, non siamo al di sopra dei contendenti. I nostri pre-giudizi
riecheggiano in un certo modo il conflitto vero e spesso atroce tra Israele e palestinesi. E potranno
essere abbandonati o “superati” solo quando si arriverà ad una qualche soluzione possibile. [..] Per il
momento, finché dura lo scontro e noi lo sentiamo - anche se fossimo per il compromesso (due popoli,
due stati) - prospettiva sempre più fragile, forse davvero impraticabile da Hamas, vista la scelta di
Israele di distruggerla, e ridotta a ben misera cosa nelle scelte di Abu Mazen, ci troveremo a “litigare”.
Non resta che farlo bene, confrontare cioè fino in fondo le nostre rispettive posizioni divergenti senza
truccarle o abbellirle o considerarle verità assolute. Non si sa quale soluzione vincerà e chi avrà
ragione. Importante è battersi onestamente per la soluzione che ci pare per ora la più giusta e non
rifiutare di rivederla se ci saranno cambiamenti significativi che ci inducano a farlo. Dividiamoci,
dunque, sul che fare (noi) e su quel che dovrebbero fare israeliani e palestinesi per uscire da un tunnel
da decenni quasi buio e per ora ancora senza vie d’uscita…. A me ad esempio pare che prendere
posizione contro la spirale del colpo su colpo, provando ad «immaginare una lotta nonviolenta di
massa come era stata, almeno in origine, la prima intifada» (Luca), conti ben poco. Perché ad
immaginare dovrebbero essere i contendenti e non noi che siamo testimoni secondari. Allo stesso
modo possiamo volere i negoziati dal basso, ma li dovrebbero volere innanzitutto israeliani e
palestinesi. Se questo non accade, dobbiamo pur chiederci cosa o chi l’impedisce. [..] Obiezioni simili
faccio a Fabio: «due popoli e due stati»? Sì, ma ci mettiamo d’accordo noi al posto di israeliani e
palestinesi? Hamas ti potrà sembrare il peggior nemico del popolo palestinese, ma ha vinto
regolarmente le elezioni, come qui in Italia Berlusconi. [..] E poi, se i lanci di razzi Kassam
«servivano… a scatenare la selvaggia risposta d’Israele; risposta di cui Hamas ha bisogno per il ruolo
che vuole giocare all'interno di una complessa ridefinizione del potere nell'ambito … dei paesi
islamici», non si può dire qualcosa di simile per la difficile transizione da Olmert al suo successore?
[..]
(Fabio a Ennio, 1 gennaio ore 20.49) [..] Mi trovo veramente scomodo nella posizione di
filoisraeliano, ma tant'è, se posso beccarmi anche questa etichetta qualcosa per meritarla l'avrò pur
fatta. Che la dirigenza di Hamas sia il primo nemico del popolo palestinese, lo credo (senza sentirmi
incauto, perché mi pare logicamente evidente), e nel crederlo mi sento fortemente filopalestinese (sono
convinto che dall'attuale situazione rischimo molto più i palestinesi che non gli israeliani), anche se è
vero che Hamas è stato democraticamente eletto, come Berlusconi in Italia. Ma come non ritengo
Berlusconi capace di fare il bene dell'Italia, così escludo che Hamas porterà mai pace e prosperità tra i
palestinesi. A Berlusconi il potere serve per far fiorire al meglio i propri interessi e per sottrarsi agli
inciampi giudiziari conseguenti ai suoi malaffari; ad Hamas serve per esasperare un conflitto che non
ha nessuna speranza di vincere militarmente e il cui unico scopo sembra la creazione di una
carneficina che accenda le peggiori istanze del fondamentalismo islamico per ragioni di cui perdo le
radici profonde ma nelle quali Hamas ha sicuramente un ruolo. Cosa possiamo fare noi da qui? Oltre a
perfezionare sempre più l'analisi della situazione, potremmo fare una continua pressione presso i
governanti in carica affinché spingano la politica estera italiana verso una direzione di pace durevole.
E se né i palestinesi né gli israeliani volessero una soluzione del genere? Non importa, l'importante è
che arrivi, a quegli elementi pure consistenti che esistono da una parte e dall'altra l'appoggio di quanti,
altrove, lavorano per un ordine mondiale non fondato sulla violenza ma sul confronto e sulle soluzioni
giustamente negoziate. Non vedo, al momento, altre possibilità ma sono disponibilissimo a farla mia
qualora si presentasse, seriamente. [..]
(Luca a tutti,1 gennaio ore 22.22) Sono d'accordo sulle tre premesse di Ennio: 1) diffidare del
moralismo (non stabilire chi sono i buoni e chi sono i cattivi); 2) considerare la situazione in Medio
Oriente (e in generale) più complessa di quanto appare (come Fabio), 3) ma non fare della complessità
un feticcio o un alibi: lo sforzo irrinunciabile di «dotarsi di strumenti di analisi il più possibile precisi»
va accompagnato immediatamente da una presa di posizione contingente, rivedibile, meglio se
esplicita e dichiarata che implicita e incontrollata. In questo senso è ovvio che la collocazione di
ciascuno non è neutrale, perché partiamo (almeno io parto) dalla convinzione che la Palestina e i
palestinesi hanno diritto a vivere in pace nei territori che attualmente occupano (e che sono solo il 20%
di quelli che rivendicano), così come lo hanno gli israeliani, con la differenza [..] che la capacità
offensiva e i danni inferti all'uno e dall'altro non sono paragonabili, e che gli israeliani controllano
valichi, viveri, risorse idriche, libertà di espressione e di movimento, ecc. ecc., tutto ciò su cui un
paese libero dovrebbe avere piena potestà. Anche se comunque non bisogna neanche sottovalutare
l'effetto reale e psicologico di razzi e attentati contro Israele. [..] se gli ebrei sono stati massacrati
nell'olocausto, fatto su cui ogni giorno bisogna tenere desta la debole memoria del mondo, non per
questo si deve esser indulgenti verso i massacri perpetrati dallo stato che da quella esperienza è uscito.
(Attenzione però ai passaggi tra ebraismo - popolo ebraico - stato di Israele - governo di Israele, che
non sono affatto scontati). Non è ammissibile che chi dissente o critica il governo israeliano venga
immediatamente zittito in quanto portatore di idee antisemite o che favorirebbero ("oggettivamente"...)
l'antisemitismo. Uno dei maggiori ostacoli alla soluzione del problema secondo me consiste anche nel
fatto che quello che è un conflitto di carattere eminentemente nazionale e territoriale viene da tutte e
due le parti ricoperto di contenuti ideologici o religiosi. [..] dobbiamo sforzarci di indicare una via di
uscita, possibilmente pacifica, al conflitto. [..] se ci sono posizioni palestinesi che nuocciono a questo
disegno [non] dobbiamo tacerle [..]. La posizione di Hamas contraria al riconoscimento di Israele [..] è
una di queste. Così come il fatto che Hamas abbia vinto le elezioni e che sia autorizzata a governare
non ci può far dimenticare che si tratta di un movimento che nella sua piattaforma elettorale (2005)
come primo punto poneva il fatto che la legge islamica deve essere la principale fonte legislativa, e
questo a me non sembra un principio democratico, sia che lo ponga la chiesa cattolica o quella
islamica. [..] Fabio si domanda come è possibile negoziare tra interlocutori che non si riconoscono un
minimo di legittimità. Eppure lo si è fatto in tante altre occasioni, perché il reciproco riconoscimento
può nascere anche dal negoziato, perfino dall'essere obbligati al negoziato. Ma, dice Ennio, è [..] tutto
ininfluente, perché sono i contendenti sul campo che devono decidere di negoziare. Può darsi, ma noi
dobbiamo buttare in una certa direzione tutto il nostro peso, che è quello dell'opinione pubblica
internazionale, che è quello dei movimenti per la pace [..], che è quello dell'Europa che ha una
responsabilità enorme nella situazione che si è creata. E se pure fossimo soli, perdenti e isolati se una
cosa ci sembra giusta dobbiamo dirla lo stesso, anche se è ininfluente. [..] la sinistra è filopalestinese
(questo per le ragioni dette, e se non è atteggiamento pregiudiziale e dogmatico, a me sembra giusto)
ma [..] nell'esserlo ha sempre privilegiato una visione manichea, sommaria, delle responsabilità e delle
soluzioni, pensando che in Palestina tutto potesse e dovesse andare a finire come in Vietnam, con le
bandiere, prima rosse e poi verdi, che sventolano su Gerusalemme. Così facendo non ha aiutato molto
i palestinesi e ha dimenticato che sia nel campo israeliano che in quello palestinese sono presenti
organizzazioni e individui che si battono coerentemente per una soluzione pacifica (come il
movimento dei refusnik, Peace Now, Gruppo Martin Buber ecc.) e che esistono numerose esperienze
di convivenza e collaborazione tra i due popoli (come ad esempio Hand in Hand [..]) e che quindi la
strada del negoziato dal basso è possibile, se per esempio i governi e l'opinione pubblica
dell'Occidente la appoggiassero invece di tifare per la soluzione militare più o meno mascherata. [..]
(Ennio a tutti, 2 gennaio ore 11,52) [..] “Sforzarci di indicare una via d’uscita, possibilmente pacifica,
al conflitto”? Non tacere sulle “posizioni palestinesi che nuocciono a questo disegno” [di pace?] come
sarebbero quelle di Hamas contrarie al riconoscimento di Israele? Né sul fatto che la legge islamica a
cui quest’organizzazione s’appella non è un principio democratico? Ecco, qui sento la “presunzione
del pacifismo”, l’inutile lavoro della classica mosca cocchiera. La storia ha altri ben più pesanti e a
volte incontrollabili andamenti. Fossimo “noi” una potenza mondiale più forte di Israele e di Hamas, il
discorso mi parrebbe sensato: potremmo obbligare al negoziato i due contendenti (cosa che non
avviene e dovrebbe far riflettere…). Ma “noi” non siamo la”quarta potenza mondiale”, come
ridicolmente ha creduto qualche settore del pacifismo. E tralascio le prove, tanto anche le scarse
notizie ci dicono che la guerra in Irak, Afghanistan e gli attentati come quello recente a Mumbai vanno
avanti. Possiamo manifestare, mandare qualche simbolica nave di medicinali (aspirine contro cancro!),
dire la cosa che ci sembra “giusta”, ma restiamo ininfluenti. È la nostra ininfluenza o impotenza
politica il dato ineludibile da cui iniziare la nostra riflessione per chiederci: come possiamo diventare
influenti o meno ininfluenti? Invece si preferisce partire da cosa sarebbe giusto fare e poi non
troviamo nessuna forza capace di quel fare indispensabile. E questo vale anche per i pacifisti operanti
in Israele. Il “negoziato dal basso” è come la poesia: “promessa di felicità”, diceva Fortini, ma solo
promessa. I governi o l’opinione pubblica dell’Occidente (controllata dai governi) potranno mai
“sponsorizzare” il negoziato dal basso, fare una “politica della felicità”? [..] la cosa giusta si può
tentare di realizzarla solo con la forza. I profeti disarmati sono ammirevoli, ma nulla mai hanno potuto
e potranno contro gli assassini armati [..]
(Alessandra a tutti, 2 gennaio ore 17.31) Sono daccordo [..] sulla nostra ininfluenza in questo conflitto.
E' il motivo per cui leggo tutto con attenzione, ma non commento. Ho anch'io [..] un'idea di chi ha più
ragione ... ma trovo quasi futile, persino ridicolo esprimerla. Nella storia, non vince chi ha ragione, ma
ha ragione chi vince (non solo nella storia dei popoli, a dire il vero); inoltre, io ragiono da qui, con i
miei concetti di bene e male, con un'idea culturale di diritto dei popoli (vi stupirà, magari, ma proprio
perchè lo frequento non idolatro il diritto ... è più che altro un'utile finzione, un presupposto
convenzionale). Se fossi nata in una colonia israeliana o a Gaza tutti questi ragionamenti non
scalfirebbero di un millimetro l'idea che io (colono israeliano/palestinese) devo sopravvivere al meglio
e garantire la sopravvivenza/continuità della mia società e verrebbero quindi non prima, ma ben dopo
la soluzione del conflitto (soluzione dal mio punto di vista, ovvio) ...
Alllora? Non ne parliamo? No, certo, bisogna parlarne, leggere, capire, cogliere i segnali, usare gli
strumenti che abbiamo, soprattutto smontare le false notizie che la stampa ci propina ... ma con la
consapevolezza che non siamo noi a risolvere, ma, al limite, ad agevolare una soluzione che altri
devono prendere o prenderanno. Non è detto che sarà quella che ci piace o quella giusta secondo i
nostri parametri morali.
Nel far questo magari dovremmo almeno evitare i paragoni storici balzani (il trito "israele come il
nazismo", anche se penso che questo paragone, pur assurdo, sia molto terapeutico per gli stessi
israeliani che tendono a presentarsi come vittime sacrificali anche quando imbracciano il bazooka,
il che, francamente, risulta un po' irritante) e soprattutto lasciar perdere Berlusconi, Veltroni, D’Alema
e questo modo di ragionare italiano-centrico che è la malattia che condurrà al disastro non i palestinesi,
ma la "nostra" società ... Ci stiamo suicidando con una politica da pollaio, metterla da parte, ogni
tanto, se non risolve i problemi del mondo, almeno ci pulisce il cervello.
Anche per quello che ho scritto mi dispiace che litighiamo fra noi: non ha proprio senso la
partigianeria in un contesto che, per quanto si possa conoscerlo bene e sia nostro dovere farlo, non è e
non sarà mai totalmente nostro (a meno che uno non decida di andare a vivere là e di condividere la
sorte dei suoi "amici", che non mi sembra la decisione di nessuno di noi, da quel che ho capito). [..]
(Luca a Ennio e Alessandra, 2 gennaio ore 22.22) [..] le vostre obiezioni (che si riducono poi
fondamentalmente a una: quella di ininfluenza, e quindi, per Ennio, di presunzione) [..] sono sensate,
però, a parer mio, più perché fondate sul realismo e sul senso comune che su una intrinseca sensatezza.
[..] Contro l'obiezione dell'ininfluenza vale sempre il vecchio argomento (interno, o ritorsivo) contro lo
scetticismo; se nulla è vero ciò vale anche per l'affermazione che nulla è vero. Ossia, occorrerebbe
dimostrare che un'altra opzione è più influente (in meglio) sui destini israelo palestinesi, per poter dire
che c'è un'alternativa migliore (dal punto di vista, sempre, delle conseguenze pratiche). Se invece tutte
sono ugualmente ininfluenti, il discorso dello scettico si riduce alla fine all'accettazione dello status
quo: l'unica cosa influente, ohimé, sono i bombardamenti israeliani e i razzi di Hamas. [..] voglio
suggerire almeno due possibili controdeduzioni: a) che il pacifismo sia inconcludente o ininfluente è
una vecchia accusa che proviene sia dalla classe dominante che foraggia le guerre sia da un certo
marxismo "ortodosso" (il pacifismo per decenni è stato etichettato come "borghese"). Se per
ininfluente si intende che non è in grado di fermare le guerre, è storicamente vero, per ora, che nessun
movimento pacifista ha fermato una guerra sul nascere, come del resto non l'hanno fermata né le
guerre umanitarie di D'Alema, né le assemblee delle Nazioni Unite, né le parole dei papi [..] Se per
ininfluente si intende, invece, che non ha avuto conseguenze pratiche degne di nota sui conflitti in
corso e su quelli futuri questa affermazione mi sembra contraddetta da una lunga lista di fatti, di cui
riporto solo alcuni, a titolo di esempio: la propaganda pacifista ha indebolito le ragioni delle guerre in
corso [..]; ha favorito i numerosi episodi di fraternizzazione che sono avvenuti durante tutte le guerre
[..]; ha reso più difficile il processo di costruzione e disumanizzazione del nemico [..]; in generale la
cultura della pace ha reso culturalmente sempre più insostenibili gli argomenti a favore della guerra [..]
(ad esempio ha messo in crisi una teoria millenaria come quella della guerra giusta). La cultura della
pace si sta muovendo, ma è un processo che richiederà molte generazioni e molti cambiamenti, verso
l'obbiettivo di rendere la guerra un tabù per l'umanità; ha contribuito a smontare sistematicamente le
falsificazioni della propaganda di guerra e gli incidenti creati ad arte per far scoppiare i conflitti bellici
[..]; infine [..] il movimento per la pace, con i suoi aiuti, con le azioni di interposizione, ecc. ecc., ha
aiutato a sopravvivere le popolazioni colpite dalle guerre [..].
b) se l'ininfluenza (immediata) è una ragione decisiva per l'abbandono di uno schieramento ideale (e
non solo politico), ne escono a pezzi non solo il pacifismo ma una quantità di ismi molto più lunga,
praticamente tutti quelli che non hanno conosciuto una realizzazione storica o addirittura hanno
incontrato una realizzazione al contrario, come il comunismo. Insomma è la vecchia storia dell'utopia,
del rapporto idealismo/materialismo, del rapporto etica/politica. Certo che è stato più influente
Creonte, ma noi stiamo, almeno io sto, duemila e passa anni dopo ancora dalla parte di Antigone. Se è
vero quello che dice Alessandra, e cioè che non vince chi ha ragione, ma ha ragione chi vince, Allende
è morto invano e forse noi possiamo chiudere Poliscritture. E la decrescita possiamo archiviarla ancora
prima di prenderla in considerazione. Insomma le ragioni della realpolitik non mi sembrano delle
buone ragioni, né dal punto di vista etico, nè da quello politico, che per me sono collegati. Non era
Simone Weil che diceva piuttosto che "la ragione fugge dai vincitori"?
(Attilio Mangano a Ennio e tutti, 3 gennaio) [..] il ricorso al bombardamento aereo risponde a una
logica del tutto militare che sottovaluta la cosa più importante, il rancore e l'odio di lunga durata che il
popolo palestinese accumulerà e che non verrà mai fernato da una vittoria militare. Ripercorrendo la
storia degli ultimi quarant'anni occorrerà ricostruire come e perchè i palestinesi, che erano la
popolazione più " laica" del mondo arabo son diventati islamisti, è possibile che la borghesia di Al
Fatah, compromissoria con tutte le fazioni e "corrotta" nel suo insieme dalle relazioni commerciali
con l'Europa, non abbia avuto una politica " sociale" riformatrice. Il successo degli Hezbollah in
Libano e di Hamas in Palestina deriva proprio dal fatto che essi sono movimenti pro welfare e stato
sociale, come da noi Comunione e Liberazione. Nessuno in Italia penserebbe mai di far fuori i ciellini.
In questo senso la vittoria politica ed elettorale di Hamas viene da lontano, dall'incapacità di misurarsi
con una politica assistenzialialistica da parte delle deboli borghesie arabe, non a caso in molti di
questi paesi è sempre stato l'esercito a contare, col suo centralismo modernizzante e il suo "
capitalismo di stato", cose che già si dicevano e si studiavano nei primi anni settanta. Al panarabismo
non gliene è mai fregato niente dei palestinesi, bastava dar loro un po di soldi per comperarsi armi e
missili e per il resto tenerli in condizioni miserevoli spiegando che la colpa era di Israele. [..] se si
contano i miliardi di dollari spesi dai paesi arabi in armamenti per i palestinesi si potrebbe sostenere
conti alla mano che se li avessero spesi per la costruzione di case a quest'ora tutti i palestinesi
avrebbero una villa con piscina. Naturalmente anche gli israeliani hanno la stessa colpa, aver speso
miliardi in armamenti senza capire che la soluzione della questione palestinese era un'altra. La guerra
di religione è stata per entrambi la scusa, ma adesso tutto è precipitato. I tempi stringono, la futura
atomica iraniana riuscirà a risolvere la questione in poche ore. Che dire? Si finge di non vedere che
esiste una situazione come quella pakistana che può precipitare da un momento all'altro nel
fondamentalismo. Quando ci sarà un paese che ha più di 300 milioni di abitanti in mano al
fondamentalismo sarà impossibile anche bombardarlo. Sono possibili soluzioni più pacifiche di
coesistenza? Solo una Unione Europea in grado di avere un esercito unico e una politica estera
comune potrebbe riuscire a imporsi, disarmando i palestinesi coi loro missili e integrando Israele in
Europa, difesa in toto dall' Europa stessa. Una utopia? Certo. Fingere di non vedere che l'altra faccia
di un popolo oppresso come quello palestinese è la sua autoppressione religiosa, il patriarcato dei
maschi con le loro tante mogli serve, l'intervento sulla clitoride per proibire alle donne di avere una
sessualità, la condanna ( alla maniera della Chiesa cattolica) dell'omosessualità esterna praticando di
nascosto quella interna. Come faccio a commuovermi per la morte del leader di Hamas sotto le bombe
quando dichiarava solennemente a 4 mogli e 12 figli di voler distruggere coi razzi tutta Israele
facendola sparire? Dovrà un giorno la " sinistra" considerare costui come un proprio martire? [..]
(Marcella a tutti, 4 gennaio ore 20.30) [..] con l'intervento di Luca (e lo 'sfogo' di Attilio Mangano)
siamo arrivati ad un buon punto della nostra critica dialogante. Stiamo "litigando bene", come direbbe
Ennio [..] E sembra che questo sia il segreto del capire e del durare: confrontarsi, con quanto di
'aggressività' serve ad arricchire e far avanzare la comprensione e con quanto di 'simpatia' serve a
considerare l'opinione altrui comunque non estranea o indegna d' essere espressa. Il criterio della
critica dialogante è forse l'elemento di maggior forza della nostra rivista e così mi sembra conseguente
che io senta l'esigenza di proporvi di inserire in rivista le parti essenziali di questa critica dialogante
sulla guerra Israele-Palestina. [..] Per non sottrarmi al confronto [..] dirò [..] che è bene parlarne
(anche a me come ad Alessandra sembra assai utile dibattere di quel che accade nel mondo, forse più
che dei piccoli affari di casa nostra), non tanto per renderci più accettabile la realtà (la realtà di questa
guerra rimane inaccettabile ed è bene che tale rimanga, non è come una morte naturale, un lutto da
elaborare) ma per capire cosa sarebbe giusto fare e tentare di orientare nella direzione voluta chi ha il
potere di fare. Non credo che, nel cercare soluzioni alternative al massacro, sia possibile prescindere
dal giudicare di volta in volta le responsabilità presenti e pregresse (perché è dalla conoscenzainterpretazione dei fatti e dal giudizio derivante che si parte per proporre soluzioni ai problemi) ma
certo quando parlano le armi l'accento va posto sul cercare soluzioni ragionevoli piuttosto che sul
mettere alla gogna colpevoli. Al ristabilimento di una 'verità storica' accettabile dalle diverse parti in
causa, importante per mantenere condizioni di convivenza pacifica, bisognerà dedicarsi dopo. Capisco
la posizione di Attilio Mangano e il suo scoramento, nonostante ciò penso che all'utopia, al sogno (alla
poesia se vuoi, Ennio) non si debba mai rinunciare, anche quando ci si sente impotenti e lontani da un
fare capace di ottenere. Le argomentazioni di Luca in questo senso mi sembrano assolutamente
condivisibili, dal pacifismo a Poliscritture. E non sono nemmeno così convinta, Alessandra, che
sempre storicamente non vinca chi ha ragione (la resistenza italiana nell'ultima guerra per es. era dalla
parte della ragione). Certo quasi sempre "ha ragione chi vince", perché le vittorie si preparano e si
gestiscono non solo con le armi; e dopo si sottolineano, si interpretano, si propongono a futura
memoria. Rimane il problema di come non essere (e anche di non sentirsi?) assolutamente ininfluenti
quando si fosse individuato, pur solo nel proprio piccolo, il da fare... Tutto da affrontare. Non so se
possa essere utile riflettere al fatto che ogni avvenimento pur importante è propiziato da un contesto,
del quale fanno parte opinione pubblica e comune sentire... un contesto nel quale è possibile esserci
anche 'dal basso'? [..]
(Ennio a tutti, 5 gennaio ore 13.53) [..] Sulla discussione in corso (“Gaza etc.” la intitolerei) penso che
vada proseguita coraggiosamente evitando autocensure. Essa mi sembra più ardua ma più coinvolgente
di quella su “Sinistra 2008” da cui siamo appena usciti. Lo scenario tragico del Medio Oriente fa venir
fuori molti nodi irrisolti. Luca e Marcella sostengono che tutto rientra nella critica dialogante o che
«non stiamo litigando». Anch’io, dicendo che dobbiamo “litigare bene”, sento che sto forse
esorcizzando possibili rotture. Le posizioni sono però davvero divaricate. Posso sbagliare, ma per me,
se passa il discorso che le responsabilità sono soprattutto di Hamas (come sostiene pure Fabio), si
finisce per giustificare, senza dirlo apertamente, Israele. E, a dirla tutta, ho molte riserve anche
sull’elogio del pacifismo che ha fatto Luca nelle sue “brevi osservazioni” [..]. La guerra non possiamo
fermarla, ma è importante che in questo piccolo spazio di libertà di pensiero fatto dalla redazione, dai
suoi collaboratori e dai pochi lettori si arrivi a delle posizioni il più possibili chiare. Poi si vedrà se
riusciremo ancora a dialogare e a cooperare per la rivista. Altrimenti a che serve discutere? La critica
dialogante si ridurrebbe ad una sorta di galateo paralizzante. Se a tratti è “meno dialogante” o persino
“litigante” ci sono delle ragioni. Non inchiniamoci a nessun feticcio: né dell’unità a tutti i costi, né
della divisione a tutti i costi. [..]
Noi siamo una rivista e non dobbiamo arrivare per forza ad una posizione condivisa (e neppure votare
a maggioranza). È un bene mostrare anche le nostre divisioni. Ed è un bene sforzarsi di continuare a
lavorare insieme finché ce la faremo a gestire non ipocritamente e in modi non paralizzanti le nostre
“diversità”. [..] La mia posizione non è di “accettazione della realtà” o di realpolitik. E neppure di
“rinuncia al sogno, all’utopia, alla poesia”. [..] Ma quest’”accoppiata” (non me la sento più di parlare
di sintesi) non sempre è possibile. Allora, invece di un’utopia (sogno, poesia) all’ombra dei potenti
(“capire cosa sarebbe giusto fare e tentare di orientare nella direzione voluta chi ha il potere di fare”),
preferisco una visione tragica: meglio muoia Sansone con tutti i filistei, che … Abu Mazen; meglio
l’esodo, che una sinistra “papalina”.
(Fabio a Ennio, 5 gennaio ore 23.20) [..] ho detto: i lanci di razzi Kassam, con la loro palese
limitatezza distruttiva e col loro terribile potere simbolico, non servono né a vincere una battaglia né a
vincere la guerra, ma a determinare la risposta abnorme di Israele. A chi e a cosa serve, allora, il
massacro che ne deriva (assolutamente prevedibile, peraltro)? Secondo me a radicalizzare lo scontro
verso fini di cui ho riconosciuto la relativa conoscenza ma che è probabile attengano alla
composizione di un fronte fondamentalista a leadership iraniana (per dirla tagliando con l'accetta). Ora
questa lettura non mi sembra una scelta di campo ma un semplice esercizio di logica. Sono
filoisraeliano se colgo questi evidenti nessi causa-effetto? Se le forze di Hamas fossero pari a quelle
israeliane potrei dire che i lanci di razzi verso il sud d'Israele (quantunque motivati da precedenti
responsabilità israeliane) servono ad aprire un conflitto dal quale Hamas spera di uscire vincitore. Ma
la disparità è abissale, e allora per tutti quei morti di Gaza dico che il principale responsabile è Hamas.
Magari sono miope e non vedo la loro utilità futura per la causa palestinese, ma sono pronto a
prenderla in considerazione se qualcuno più lungimirante me la fa vedere. [..]
(Marcella a Ennio e tutti, 6 gennaio ore 9.52) [..] due precisazioni circa il nostro confronto sulla
guerra a Gaza. Sono convinta che sia fondamentale imparare a confrontarsi potenziando il gusto di
capire per fare. Non è facile nè viene sempre spontaneo anche a chi tenga a farlo. Credo anche nella
possibilità di fare insieme pur da posizioni in parte diverse, proprio nella misura in cui queste posizioni
sono provvisorie e rivedibili e capaci di 'simpatia' e di reale interesse per quelle altrui (parlo
naturalmente della nostra redazione, ma il discorso potrebbe essere estendibile a diverse altre
situazioni). Nessuno ha la verità in tasca e sarebbe bello riuscire sempre ad evitare difetti di relazione
(come ipocrisie, magari inconsapevoli, ma non sento ipocrisie nel nostro dibattito). Tuttavia
un'affermazioni come “Poi si vedrà se riusciremo ancora a dialogare e a cooperare per la rivista” mi fa
l'effetto di una (verbale) spada di Damocle sospesa sul confronto che rende già un pò più difficili il
dibattito e il lavoro comune. In linea di massima non sono mai per il "muoia Sansone con tutti i
Filistei" ma non penso assolutamente che tu sia disposto a rinunciare al sogno, all'utopia, alla poesia.
al contrario... (c'è anche, da tener presente la soggettività sia in invio che in ricezione) ... Credo che,
proprio perché in te è fortissima, hai la necessità di concretizzare qualche "promessa di felicità".
Anch'io ci auguro di riuscire a gestire in modo non paralizzante le nostre diversità.
(Ennio a Fabio, 6 gennaio ore 17.44) [..] partigiano sono io e partigiano tu. Io partigiano di una
posizione critica verso lo Stato di Israele e che vede le massime responsabilità della tragedia in corso
nella sua politica e non nei palestinesi o in Hamas. Tu partigiano di una posizione che vede (e lo stai
ripetendo dal primo intervento) le massime responsabilità in Hamas. Non ti sentirai filoisraeliano. Ma
in tutto quello che scrivi l’accento, il dito puntato è contro Hamas e non contro lo Stato d’Israele. Del
resto perché meravigliarsi o scandalizzarsi per questa contrapposizione?
Se leggi i giornali o frequenti qualche sito, queste sono le due posizioni contrapposte espresse dai vari
commentatori e opinionisti. Io ho detto che è meglio “litigare bene” e lo ripeto. È meglio cioè che
ciascuno difenda la sua “credenza” come meglio crede. Ma la divaricazione delle posizioni non è
imputabile alla soggettività mia o tua. È una divaricazione che esiste nella realtà di quel conflitto e che
noi “rispecchiamo” in modi che dipendono dalla nostra storia, dalle scelte ideali, dall’inconscio e non
so che altro. [..] Anch’io, come te, cerco di usare anche la logica, ma so che la logica non basta a
capire la storia che è spesso del tutto illogica. I tuoi ragionamenti su Hamas e Israele sono troppo
logici [..] e rimuovono aspetti storici, economici, politici e persino antropologici, che io insisto a
sottolineare. Parti, ad es., dai lanci di razzi Kassam. Fai notare che hanno una «palese limitatezza
distruttiva» [..] ma un «terribile potere simbolico» [..] per cui – è qui vedo un salto logico e uno
slittamento sul piano psicologico ma applicato a un’entità statale che non reagisce mai in base alla
semplice psicologia – inevitabile sarebbe la «risposta abnorme di Israele» e, quindi «il massacro…
assolutamente prevedibile». E da queste premesse, che rimuovono tutta la lunga storia di questo
tragico conflitto, le responsabilità dell’Europa, degli Usa, della Sinistra - che puoi vedere i resistenti
di Hamas (sì, quella è resistenza, che, anche se fatta non in nome della nostra democrazia ma in nome
di un credo religioso patriarcale e fondamentalista , è prevista persino dal diritto internazionale e
dall’ONU, visto che lo Stato d’Israele non ha mai rispettato le numerose risoluzioni internazionali che
gli chiedevano di rientrare nei confini precedenti la guerra del 1967) come puri folli oppure come
gregari senza autonomia della «leadership iraniana». [..] La tua logica non prevede quello che oggi sta
sotto i nostri occhi e che gli esperti chiamano “conflitto asimmetrico”. [..] Ma come non vedere che
mai, né con l’OLP prima, né con Hamas adesso, lo scontro è stato alla pari? E forse, nei nostri anni
“felici” il Vietnam era alla pari con gli Usa? [..] La disparità è sempre abissale, ma malgrado questo
minoranze combattenti più o meno appoggiate da civili hanno sfidato eserciti agguerriti. Mazzini ai
suoi tempi era un “terrorista” come – fatte le dovute distinzioni – quelli dell’OLP prima e di Hamas
adesso. Non avremmo avuto neppure quello straccio di Risorgimento se non ci fossero stati questi
“terroristi”. L’”utilità” di una lotta non può essere mai misurata in partenza, a tavolino e con una
logica astratta. Non so che dirti. Continuiamo a “litigare”. [..] Penso che partiamo da “pre-giudizi”
diversi. Penso pure che abbiamo anche fonti diverse d’informazione (il manifesto, alcuni siti “eretici”
per me) o memorie storiche diverse ( per quanto mi riguarda io ho nella memoria Fortini e il suo I
cani del Sinai , la Resistenza vista alla Claudio Pavone, gli anni Settanta visti almeno attraverso
Insistenze di Fortini e non attraverso la lettura del PCI di allora e dei suoi epigoni attuali). Te le
dichiaro per confrontarci (“litigare”) al meglio. [..]
(Ennio a Luca, 6 gennaio ore 21.44) [..] Siamo ininfluenti o no? Secondo me, sì. E lo siamo perché
non possiamo praticare delle opzioni influenti in meglio sulla realtà, che in astratto sono pensabili e da
molti desiderabili: - quella del compromesso fra israeliani e palestinesi, che mi pare obiettivo del
movimento pacifista; - quella, ancora più ardua oggi, di una lotta di liberazione al contempo dalla
classe dirigente dello Stato di Israele e da quelle palestinesi (Abu Mazen e Hamas) che, come
esodante europeo, auspicherei. La mia opzione prevede e giustifica l’utilizzo di tutti i mezzi, compresa
la lotta armata. La tua, pacifista, esclude la lotta armata e giustifica solo le azioni non violente.
Secondo me, ma anche secondo il diritto internazionale, la resistenza anche armata a un’occupazione,
innegabile da chi conosce almeno un po’ la lunga storia di questo conflitto, è giustificata. E quindi
anche quella di Hamas, pur con un’ideologia patriarcale e teocratica, ci piaccia o non ci piaccia,
prosegue quella dell’OLP di Arafat, ed è giustificata quanto quella. Questo sul piano del diritto e di
un’etica civile. Altro discorso è quello dell’efficacia politica, dei risultati conseguiti sia dall’Olp che
da Hamas. Ma qui deve intervenire un giudizio storico: bisognerebbe valutare davvero quanto le
possibilità di pace siano fallite per volontà dei palestinesi, per volontà degli israeliani, per i calcoli
strategici di Europa, Stati Uniti o grandi potenze in genere. Per quel che ne so, non mi sento di
affermare, anche solo come bilancio provvisorio, che la colpa sia dei palestinesi per la semplice
ragione che sono la parte più offesa e militarmente ed economicamente più oppressa.
Tu accusi: «la sinistra ha sempre privilegiato una visione manichea, sommaria, delle responsabilità e
delle soluzioni [..] Così facendo non ha aiutato molto i palestinesi e ha dimenticato che [..] la strada
del negoziato dal basso è possibile [..]». Io so che la sinistra si è sempre divisa tra filoisraeliani e
filopalestinesi, tra difesa dello Stato “democratico” di Israele e tentativo di riconoscere (ma anche di
condizionare) le spinte di liberazione dell’OLP fino a quando c’era Arafat . Più che manichea, è stata
oscillante. E forse solo i vecchi gruppi extraparlamentari prima e la cosiddetta “sinistra radicale” poi (
quest’ultima sotto sotto con innata doppiezza togliattiana) hanno tifato per la “soluzione militare”. [..]
chiediamoci perché l’opzione pacifista è restata e resta secondo me irrimedialmente debole e
marginale. [..] ai tuoi argomenti si potrebbe malignamente controbattere che oggi le classi dominanti,
quando decidono le guerre, cercano di dare in anticipo anche una carota ai pacifisti: ingannandoli
scientemente, usando per i propri fini propagandistici gli stessi ideali dei pacifisti. (Non hanno
chiamato umanitarie le guerre recenti? Non hanno permesso, ma tenendo tutto sotto controllo, che le
ONG umanitarie affiancassero i loro “eserciti di pace”, piegandole al loro disegno che è al di là delle
dichiarazioni di guerra pace?) E quando si fermano poi le guerre? Quando forse la voce dei pacifisti
viene ascoltata e le classi dirigenti guerrafondaie si “pentono” dei loro errori [..]? No, quando i
combattenti sono stanchi e danni economici e di consenso si fanno sentire anche tra le loro fila. Su
questa dura verità mi fece riflettere uno scritto di Sergio Bologna ai tempi della guerra in Kossovo.
Eravamo nel 1991, se non erro. Le guerre si fermano, quando una delle parti in lotta è costretta alla
resa. [..] Dal Novecento sono usciti a pezzi sia il pacifismo che i socialismi e il comunismo. [..] Io non
critico il pacifismo in nome della tradizione comunista. Non sono un nostalgico. Sto ripetendo
ossessivamente [..] che non c’è più religione e non c’è più comunismo. Perciò la situazione è tragica.
Perciò «ha ragione chi vince» è un’amara verità. Alcuni la declinano cinicamente, perché hanno vinto.
Ma può essere anche un memento per chi, sconfitto, non accetta surrogati e compensazioni facili. [..]
Il pacifismo è allora del tutto irrilevante? Non dico questo. Il pacifismo resta in nota nel testo della
storia. Le note spesso sono importanti, ma il testo è occupato da altro. Il pacifismo ricorda che la
felicità ( o «un altro mondo») è possibile, ma ne affida la realizzazione alla conversione o alla
persuasione dei potenti. Questo per me è il suo più grave limite (è, potrei dire, la sua”realpolitik”).
[..] non raggiunge nella storia umana mai da solo quel livello di forza che intimorisce i
guerrafondai. Troppo spesso finisce per adattarsi a un ruolo di critico dialogante dei guerrafondai. Ti
ricordi il «né aderire né sabotare» dei socialisti quando scoppiò la Prima guerra mondiale? Mi dirai
che un'altra opzione più influente (in meglio) del pacifismo oggi non esiste e che «una quantità di ismi
molto più lunga, praticamente tutti [..], non hanno conosciuto una realizzazione storica o addirittura
hanno incontrato una realizzazione al contrario, come il comunismo».
Ti ho già dato in parte ragione su questo: le esperienze comuniste sono fallite, ma assieme a quelle
pacifiste. [..] l’accoppiata vincente (per i subordinati, per chi è oppresso) sarebbe Machiavelli+ Cristo.
Se quest’accoppiata non riesce a venir fuori, il pacifismo – ammirevole quanto si vuole, più a portata
di mano quanto si vuole - è come la poesia: un surrogato laico della religione. Ed è quello che in fondo
ammetti tu pure, quando affermi che «la cultura della pace si sta muovendo, ma è un processo che
richiederà molte generazioni e molti cambiamenti, verso l'obbiettivo di rendere la guerra un tabù per
l'umanità», iscrivendolo in una linearità in cui l’ottimo fine (quasi un assaggio del Regno di Dio)
copre la sua ben misera pratica. A una ben misera pratica sono costretti però anche quanti, come me,
vorrebbero ma non possono fermare la guerra con una guerra di popolo e non possono appoggiare
Hamas con quella convinzione poltica non esteriore, come appoggiavano il Vietnam alla fine degli
anni Sessanta. Questo m’impedisce di mettermi in cattedra di fronte al pacifismo e di considerarlo
«oppio dei popoli» dei paesi occidentali, ma non mi impedisce di marcare le forti distanze da esso e di
ricordati che ci sono almeno due tipi di Antigone oggi: i pacifisti e gli esodanti non pacifisti. Questa
mi pare in sostanza la divisione tra noi. [..]
(Fabio a Ennio, 6 gennaio ore 23.46) [..] Il mio esercizio di logica alla ricerca dei nessi causa-effetto
non è "neutro" e "al di sopra del conflitto" bensì di parte (dalla parte di un popolo, i palestinesi,
straziato da decenni di morte e privazioni), e profondamente interno al conflitto. E' questa particolare
situazione politica, sociale, militare, questa natura sproporzionata delle forze in campo, sono queste
strategie inutilmente mortifere a farmi attribuire particolari responsabilità ad Hamas. Eletti
democraticamente, certo, e però cinicamente propensi a suscitare il massacro per spenderlo non in
nome della libertà del popolo palestinese (francamente inottenibile con l'opzione militare) ma per quei
fini che, con tutta l'incertezza del caso, vedo coagularsi attorno a un piano di saldature tra
fondamentalismi sotto l'egida iraniana, laddove non sia addirittura possibile un rovesciamento del
potere in Pakistan. Chissà mai se avverrà, tale saldatura, ma quand'anche avvenisse, se queste sono le
procedure per arrivarci, ebbene, temo che del popolo palestinese rimarrà ben poco. [..] non vedo in
Hamas nessuna forma di resistenza (non nel senso che sono solito attribuirle). [..] non mi sento di
appellarmi alla storia e spulciare tra tutte le responsabilità passate possibili e immaginabili nei
confronti della Palestina da parte dell'Europa, degli Usa, dell'Urss (quando c'era) e stabilire se a Camp
David era meglio firmare o meno, quanta colpa è di Sharon e della sua passeggiata sulla spianata delle
moschee, per decidere se la colpa dei massacri, oggi, è più di Israele o più di Hamas, perché intanto,
mentre ci sbattiamo sulle nostre tastiere che solo in parte e confusamente veicolano i nostri pensieri, lì
si muore, e benché mi senta del tutto impotente a fermare quanto accade sento il dovere di muovermi
comunque verso una soluzione del problema che abbia un futuro, senza passare quindi per
l'eliminazione totale di una parte o dell'altra, e non riesco a non arrabbiarmi con Hamas se non
protegge a sufficienza il suo popolo, e lascia che la morte, per mano sì israeliana, se ne prenda quanti
più può. [..]
(Ennio a Fabio, 7 gennaio ore 16.48) [..] Il nemico reale (lascio a te di definirlo…) non si batte
“teoricamente, dialetticamente”. Resta il contrasto sul ruolo che attribuiamo ad Hamas: per me e per
altri la loro azione rientra nel concetto di resistenza previsto dal diritto internazionale; per te e per altri
no [..] Se per me i militanti di Hamas rientrano nel concetto di resistenza, il paragone con i nostri
partigiani (compresi quelli di Via Rasella), fatte le dovute distinzioni di contesto e di epoca, non è
campato in aria: serve a riportare sul piano storico la loro azione, a ragionarci sopra, a vederli come
militanti di un’ideologia, estranea o da combattere se vuoi, e non come demoni da esorcizzare e
lasciare agli omicidi mirati e alle bombe d’Israele. Fai male a non ripercorrere le vicende storiche del
conflitto tra Stato d’Israele, palestinesi e mondo arabo. [..] Il rifiuto di considerare quella storia
(tremenda, non lineare, piena di contraddizioni, a lungo negata dallo Stato d’Israele, da poco
disseppellita da storici come Ilan Pappe e presente nelle riflessioni di coraggiosi intellettuali israeliani
come l’antropologo Jeff Halper o il giornalista Uri Avnery) ti ingabbia nel moralismo (“mentre ci
sbattiamo sulle nostre tastiere … lì si muore”… ma se si moriva anche un anno fa, due anni fa, dieci
anni fa e anche allora noi ci sbattevamo sulle nostre tastiere!), in un astratto doverismo (“sento il
dovere di muovermi comunque verso una soluzione del problema che abbia un futuro”…
Provocatoriamente: per “salvarsi l’anima”? E se questa soluzione non ci fosse?) [..]: in una parola a
confermarti, ma senza solidi argomenti, nella tua posizione.[..]
(Luca a tutti, 7 gennaio ore 17,08) Di fronte alle terribili notizie che arrivano dalla Palestina
l'urgenza di schieramento che Ennio avverte è comprensibile; ma credo si debba evitare l'errore di
incollare ogni posizione, magari ancora dubitante e barcollante, in un quadratino dello scacchiere,
così come occorre evitare il sillogismo del nemico (se non sei con me sei contro di me; se non sei
filopalestinese allora sei filoisraeliano). Quando si scatena una guerra la terzietà delle scelte è
spesso impossibile; ma la riflessione, soprattutto di chi per sua fortuna e senza meriti non è in prima
linea, dovrebbe, fin che può, sforzarsi di indagare in tutte le direzioni. La verità che unisce le
posizioni sin qui espresse, ossia che nessuna delle ragioni in campo giustifica quello che sta
accadendo, è ancora la più importante.
Ma voglio almeno per un momento cambiare tiro e proporvi alcuni vecchi versi [..] di Nelly Sachs,
poetessa tedesca di origine ebraica, premio Nobel, vissuta in esilio in Svezia a causa della
persecuzione nazista. Nella speranza (poetica) che l'orecchio sordo di chi marcia alla testa dei
soldati si pieghi all'ascolto e a ciò che ne consegue.
[...]
Se i profeti irrompessero
per le porte della notte
e cercassero un orecchio come patria.
Orecchio degli uomini
ostruito d'ortica
sapresti ascoltare?
Se la voce dei profeti soffiasse
nei flauti-ossa dei bambini uccisi,
espirasse l'aria bruciata da grida di martirio,
se costruisse un ponte
con gli spenti sospiri dei vecchi.
Orecchio degli uomini
attento alle piccolezze,
sapresti ascoltare?
Se i profeti entrassero sulle ali turbinose dell'eternità
se ti lacerassero l'udito con le parole:
chi di voi vuole far guerra a un mistero,
chi vuole inventare la morte stellare?
Se i profeti si levassero
nella notte degli uomini
come amanti in cerca del cuore dell'amato,
notte degli uomini
avresti un cuore da donare?
[1949]
(Fabio a Ennio, 7 gennaio ore 22.17) [..] torniamo all'interesse collettivo del discorso (quanto a me
devo superare il non senso che mi prende sempre dopo aver espresso il mio punto di vista, un po' per
l'eccessiva quantità di non-detto e di mal-detto, un po' per come stride comunque di fronte alle notizie
e alle immagini che arrivano da Gaza) [..] Ruolo di Hamas. Diritto internazionale a parte, i suoi
rappresentanti sono stati democraticamente eletti, ed è giusto che governino come meglio credono, ma
col risultato, secondo me, di portare la popolazione al massacro senza nessuna possibilità di vittoria
(non vedo, dinamicamente, come si applichi qui l'asimmetria, il cui principio pure condivido) . Il
massacro al quale le azioni di Hamas espongono tutti i civili palestinesi (o pensi che ci sia spazio, per
minoranze dissenzienti, di scegliere altro?), lo ripeto ancora una volta (ma su questo non ho sentito
una sola parola da te, neanche per dire che mi sbaglio, che non è vero) serve a radicalizzare uno
scontro tutto interno al mondo islamico, serve a favore la linea fondamentalista, il rovesciamento di
Mubarak, la fine di un governo filoccidentale in Pakistan, e poi rafforzare il nuovo ruolo dell'Iran, i
dettagli mi sfuggono, ma in sostanza è questo il quadro, i bambini massacrati in Palestina rendono
molto alla borsa fondamentalista. Israele lo sa, ma è ottuso dal suo senso di potenza e se ne frega, e
comunque ha gli Usa, dietro di sé, e una storia che lo protegge dagli attacchi più rozzi e che rende
difficili l'esercizio della critica e del dissenso (cosa che non m'impedisce di denunciarne tutta la
smisurata ferocia, e che mi fa accogliere con un moto di simpatia la posizione di D'Alema che solo per
essere stato yehoshuiano, si è visto negare il contraddittorio a un incontro con la comunità ebraica
romana per discutere di quanto sta avvenendo a Gaza). [..] Non ripercorro le vicende storiche perché
non siamo in disaccordo sulla storia ma sull'attualità, qualunque storia l'abbia prodotta. [..]
(Luca a Ennio, 9 gennaio) [..] prima di rispondere alle tue argomentazioni - nello spirito assolutamente
salutare e fraterno di confronto su "quello che ci divide", come tu dici - voglio solo premettere che
anch'io, come Fabio, come forse altri nella redazione, sento un certo eccesso, da parte tua, nel
sottolineare le possibili divergenze interne. Non è in questione qui il contrasto tra una presunta visione
tragica e una irenica: sono anch'io convinto del ruolo del tragico nella storia del mondo e tra l'altro la
storia della pace e dei movimenti per la pace è costellata di tragedie. No, io penso che ci sia, nella tua
lettura della realtà, una sorta di precipitazione degli eventi per cui la rivista, anche la rivista, debba
prendere delle posizioni più nette, più uniformi. Io continuo a pensare che per la vita di una rivista
come Poliscritture sono sufficienti i punti di unità stabiliti coll'editoriale del numero zero; si potrebbe
magari rivisitarli e vedere se ci sono correzioni di tiro o aggiornamenti, ma non sento la necessità di
una più stretta chiarificazione politica. Piuttosto varrebbe la pena secondo me di confrontarci di più e
di fare scelte più precise sul "piano editoriale" della rivista, per definire meglio il "prodotto" e il suo
spazio nell'affollato panorama di fogli e a-periodici italiani.
Ciò detto eccomi alle tue interessanti osservazioni. [Dici] : “La mia opzione prevede e giustifica
l’utilizzo di tutti i mezzi, compresa la lotta armata. La tua, pacifista, esclude la lotta armata e giustifica
solo le azioni non violente”. Per la verità non sono sicuro che sia così. [..] Credo che nessun pacifista,
nemmeno un pacifista assoluto, possa escludere del tutto e per sempre l'eventualità del ricorso alla
lotta armata. Non l'ha fatto nemmeno Gandhi, che in più occasioni ha riconosciuto la legittimità della
resistenza armata e vi ha anche partecipato. Da parte mia penso che il senso del pacifismo sia quello di
perseguire sempre come prima opzione,e fino a che è possibile, la strada nonviolenta. I movimenti di
resistenza, che si sono quasi sempre formati su opzioni ideologiche diverse da quelle pacifiste,
raramente hanno tenuto in adeguata considerazione le possibilità strategiche di queste forme di lotta.
Ciò ha determinato delle forme di inquinamento di molti movimenti di resistenza [..] io penso che l'uso
della violenza - lungi dall'essere la levatrice della storia come incautamente e in tutt'altro senso disse
Marx e come ripetettero pappagallescamente molti suoi epigoni - agisca come rullo compressore che
annacqua le differenze e rende molto simili quelli che si combattono. Perché per me deve esistere una
continua e percepibile coerenza tra mezzi e fini; in questo senso forse sono lontano dal tuo
Machiavelli, di cui peraltro riconosco la grandezza. [..] [Dici:] “Per quel che ne so, non mi sento di
affermare, anche solo come bilancio provvisorio, che la colpa sia dei palestinesi per la semplice
ragione che sono la parte più offesa e militarmente ed economicamente più oppressa”. Nessuno infatti
si sente di affermare questo. Non mi pare giusto però etichettare come una sorta di equidistanza tra le
parti o addirittura di filo-israelismo (in questo momento: perché si può ben essere o essere stati
filoisraeliani e perfino sionisti in altri momenti storici e ora riconoscere che Israele ha passato il
confine che uno stato democratico e civile non dovrebbe mai superare) ogni nostra ricerca volta a
individuare delle forme di lotta e di resistenza diverse da quelle attualmente intraprese da Hamas.
Questa discussione è, nell'immediato, [..] probabilmente ininfluente sulle scelte dei capi di Hamas.
Israele tra l'altro vigila affinché nessun'altra strada di resistenza sia possibile se non quella di farsi
massacrare dai suoi carri armati. Ma ininfluente non vuol dire irrilevante, soprattutto su uno scenario
che è sempre più planetario. Una posizione che ci sembra inutile adesso può diventare molto "utile"
domani. Dobbiamo fare sempre lo sforzo di chiederci: ma siamo sicuri che quella scelta sia l'unica
possibilità? non sarà più efficace un pubblico rogo degli ultimi razzi kassam e poi presentarsi in un
milione di palestinesi a braccia alzate davanti al checkpoint? gli israeliani spareranno, ma non sparano
lo stesso? non sarà il caso di fare un'azione internazionale di protesta anche contro l'Egitto, oltre che
contro Israele, visto che l'Egitto tiene chiuse le frontiere con Gaza impedendo ogni via di fuga a
migliaia di profughi? Dobbiamo consentire a queste domande di abitare la nostra coscienza, avendo
sempre il senso del nostro totale e casuale privilegio [..] [Dici:] “Che il pacifismo sia nobilmente
inconcludente lo dimostra per me la storia dell’umanità [..] ”. Come ho già detto, con altri esempi e
argomenti, non credo che la storia dell'umanità dimostri l'inconcludenza del pacifismo. Piuttosto
dimostra l'inutilità delle guerre, almeno dal punto di vista degli obbiettivi dichiarati (poi sappiamo che
le guerre servono ad altro). Il record di controproduttività spetta proprio alle guerre cosiddette
umanitarie. Le guerre son sempre da fare e da rifare. La politica moderna, capovolgendo Clausewitz, è
divenuta la prosecuzione della guerra con altri mezzi. Al punto che non possiamo certo dire di vivere
in pace, anche se non siamo bombardati. Di contro la cultura della pace come pratica di opposizione ha
fatto qualche progresso, rispetto al passato: per esempio [..], non c'è quasi nessuno che pensi ancora
che Paul Tibbets abbia fatto bene a schiacciare il bottone del suo Enola Gay e sganciare la bomba
(eppure allora sembrava un atto di liberazione). La consapevolezza dell'esponenziale aumento di
possibilità distruttive che la tecnologia mette a disposizione dei "costruttori di macerie" si è
maggiormente diffusa [..]. Non sto dicendo che siamo di fronte al sol dell'avvenir pacifista, ma che mi
sembra infondato il giudizio di una totale inconcludenza dei movimenti per la pace. Naturalmente tutti
sentiamo, nelle fasi di crisi come questa, un tremendo (e tragico) senso di impotenza: ciò deriva però
dalla sproporzione tra la coscienza e le azioni, dalla difficoltà di pesare politicamente, dai meccanismi
drogati della rappresentanza e della delega, più che da una congenita e definitiva impossibilità di
fermare (pacificamente) la guerra. Inoltre un'azione pacifica per essere immediatamente efficace ha
bisogno di un'adesione di massa molto più estesa di un'azione militare. [..] Io credo che nella
percezione della "antieconomicità" delle guerre e nella perdita del consenso un ruolo importante lo
abbiano giocato e lo possano giocare proprio le vituperate posizioni pacifiste. [..] Alla fine anche i
settori più militaristi si rendono conto che non possono più prevalere contro la diffusa percezione
dell'orrore della guerra, e decidono di proseguirla con altri mezzi. [Dici:] “Io non critico il pacifismo
in nome della tradizione comunista”. [..] dico che su tutte le questioni del presente non ce la possiamo
cavare ripetendo come litanie le formule peraltro più discutibili del marxismo. Mi sembra anche un
insulto a Marx. [..] non sono d'accordo che "il comunismo" sia morto come dicono tutti, io penso che
sia caduto un grande equivoco, e che per fortuna siano morti coloro che hanno per anni e anni
sequestrato e diffamato il comunismo e il marxismo in nome degli interessi di uno stato, di un partito o
di un gruppo di potere. Per questo credo che la caduta del muro sia una festa per tutti. [Dici:] “fermare
la guerra con una guerra di popolo”. Questo forse è il punto: io non so se sia possibile fermare la
guerra con una guerra di popolo, ammesso che esista (forse è una contraddizione in termini). Se
qualcuno ci sia veramente riuscito. Si sono viste rivoluzioni, che sono cose diverse dalle guerre, anche
quando sono violente. Si sono viste guerre di resistenza, necessarie, sacrosante, eppure quando sono
finite, nella maggior parte dei casi, il popolo è tornato a fare quello che faceva prima. Si sono viste
rivoluzioni che hanno posto fine a delle guerre [..] Si sono viste guerre che avevano delle valide
ragioni e che però si sono trasformate in altre guerre (invece di porvi fine: la guerra genera guerra) e
alla fine anche delle più valide ragioni non è rimasto che un mucchio di morti. Forse "la guerra alla
guerra" (intesa non in senso pacifista ma nel senso terzinternazionalista in cui mi sembra che la intendi
tu) è un'utopia ancora più utopistica di quella pacifista, solo che secondo me ha fatto molti più danni.
[Dici:] “ci sono almeno due tipi di Antigone oggi: i pacifisti e gli esodanti non pacifisti”. Sono felice
che ci siano almeno due tipi di Antigoni che combattono contro Creonte. Questo dunque è quello che
ci unisce.
(Ennio a Fabio, 12 gennaio ore 17.35) [..] mi fermo sulla questione di Hamas, che mi pare concentri
in sé quasi tutti gli altri discorsi che andiamo facendo [..] Su Hamas il nostro dissenso sembra
massimo. [..] Ti chiedo: che sappiamo di Hamas? Pochissimo. Quel poco che ne sappiamo
(indirettamente) non suscita simpatia? E come potrebbe? Io ho un’ipotesi e te la sottopongo.
Viviamo in un’Europa che dalla fine della Seconda guerra mondiale è “tranquilla” dal punto di vista
militare. Siamo cresciuti in Stati che, dopo l’esperienza della Resistenza, hanno subito avocato a sé il
monopolio della violenza armata demonizzando “ogni forma di violenza”, arrivando a considerare tale
persino gli scioperi. Siamo impregnati, come tu dici, di «principi etici di libertà, di laicismo, di
mobilità di pensiero, di considerazione della persona», ma poco ci chiediamo quanto siano praticati
nella realtà e quanto siano praticabili da altri popoli che hanno avuto percorsi diversi dai nostri.
Siamo discendenti di colonizzatori, che si sono sempre considerati più civili degli arabi e di ogni altro
popolo del pianeta e un po’ di questa spocchia ce l’hanno passata. Come si fa, in queste condizioni, a
provare simpatia o solo un minimo di curiosità per dei combattenti coinvolti in una lotta mortale
estrema (che danno morte e ricevono morte) contro un esercito mille volte più potente, se abbiamo
rimosso la memoria dei nostri partigiani che hanno combattuto in condizioni simili o, più
recentemente, abbiamo addirittura scaricato sulle loro tombe la melma del revisionismo storico più
scandalistico (pensa al Pansa!)? È facile fare di Hamas proprio la «figura di ripiego» spostata dal
campo del reale e appunto demonizzarla. Hamas per noi è l’altro politico ignoto e minaccioso. Ma
perché più ignoto e minaccioso dell’esercito Usa al quale ci siamo assuefatti o dell’esercito israeliano?
Io a questa demonizzazione tento di non starci ( E mi apre che persino D’Alema non ci sta). Se ad essi
riconosco il diritto alla resistenza, non vuol dire che [..] accetto la loro ideologia teocratica.
Semplicemente li considero come uomini che combattono e commettono errori o porcherie come tutti
gli uomini che combattono. [..] Non voglio perciò leggere Hamas sovrapponendovi il fantasma che il
nostro immaginario si è fatto del «fondamentalismo islamico». Tanto più che la propaganda
occidentale e israeliana coltiva e consolida questo mio/nostro immaginario con una potenza di fuoco
massmediatica imponente e ben rodata da più di mezzo secolo. Noi siamo stati lobotomizzati nella
nostra memoria storica da anni di «revisionismo» (di destra e di sinistra»). Di politica non ne vogliamo
sentir parlare, perché è cosa dura, sporca e in certe situazioni rischiosa o addirittura mortale. Noi al
massimo siamo disposti a provare pietà per le vittime civili del conflitto (donne, vecchi, bambini). E,
per adeguare la realtà ai sentimenti (meglio: al sentimentalismo) che siamo in grado di provare,
dobbiamo separare il più possibile l’aspetto umanitario da quello politico, dobbiamo dire che donne,
vecchi e bambini sono una cosa e i combattenti di Hamas un’altra, anche se quelle donne, quei
bambini, quei vecchi sono figli o parenti di combattenti di Hamas. Ho letto tempo fa un scritto dello
storico Enzo Traverso [..] che sottolineava proprio questo capovolgimento di ottica, di sensibilità
rispetto agli anni successivi alla Resistenza. I combattenti non sono più “di moda”. Di moda sono le
vittime. [..] sospendessi almeno il giudizio, partissi dal dato reale della nostra ignoranza della realtà
del Nemico (ma Hamas è davvero il nostro nemico?), si potrebbe ragionare. Ma ribadire la tua
«convinzione» su Hamas [..] «che Hamas non protegge il suo popolo» blocca il discorso. [..]
(Fabio a Ennio, 12 gennaio ore 23.51) [..] mi domandi:"C'è o non c'è questa oppressione? (di
Israele verso i palestinesi)" e io ti rispondo [..] che c'è, espressa in mille modi, alimentata da mille
ragioni, molte delle quali fornite dall'inettitudine delle leadership palestinesi (ancora mi chiedo, ad
esempio, perché Arafat non abbia accettato il protocollo del 2000 in cui, con la mediazione di
Clinton, Peres offriva ai palestinesi più di quanto sarebbe mai stato offerto loro in futuro, e anche se
quasto non avrebbe permesso, per il momento, il ritorno di tutti i profughi e non avrebbe garantito
la gestione delle risorse idriche, accettarlo poteva essere la base di partenza di un risorgimento
palestinese). [..] Mi domandi "in nome di cosa possiamo giudicare il comportamento di uno Stato o
di una organizzazione politica...". Ti rispondo: in nome della sua prassi, dei maggiori o minori
benefici che il suo agire apporta alle popolazioni che quello Stato o quella organizzazione
rappresentano. Mi contesti di non tener conto della storia, e concludi "nelle vicende storiche è
possibile rintracciare spesso le ragioni profonde di quello che sta succedendo adesso". In linea
teorica hai ragione, ma la situazione di Gaza è terribilmente e urgentemente pratica. Faccio un
esempio: se alla violazione della tregua da parte di Israele il 4 novembre 2008 fosse seguita, prove
della violazione alla mano (e ne esistono), una ferma denuncia ai più alti livelli internazionali, una
mobilitazione dell'opinione pubblica sull'ennesimo torto subito, senza lanciare un solo Quassam,
senza un solo gesto di ritorsione, la causa palestinese ne sarebbe uscita rinforzata, quella risposta
assolutamente nuova avrebbe tolto ossigeno a tutte le opzioni di inutile violenza che invece da
allora si sono succedute, più di 900 palestinesi (gran parte bambini) sarebbero ancora vivi, l'opzione
dei negoziati (l'unica alternativa allo sterminio di una parte o dell'altra) godrebbe di maggiori
possibilità di riuscita. Ecco, io credo che dei governanti chiaramente dalla parte del proprio
popolo avrebbero dovuto volere proprio questo. [..] l'essenziale [..] è, lo ripeto: che posizione
abbiamo verso quanto sta accadendo e che cosa possiamo fare perché non accada più. Io marcio con
quelli che dicono: stop alle armi, inizino i negoziati, e che le rispettive leadership si spendano
strenuamente per far accettare alle popolazioni la delusione per tutte quelle cose che, in una
trattativa, inevitabilmente non si riescono ad ottenere. [..] Mi chiedi: "che sappiamo di Hamas?".
Poco, ma per quel poco che loro stessi affermano (non quindi che viene loro attribuito) essi sono per
la distruzione dello Stato d'Israele. Io non so cosa dice in proposito il diritto internazionale, ma so
cosa dice la mia coscienza. E anche se questa [..] discende da colonizzatori eccetera eccetera, è
comunque consapevolmente la mia coscienza, nutrita della mia etica, è quanto di più criticamente
originale io posso avere elaborato partendo dalle mie poco edificanti origini, non sono attratto da
altre etiche; quelle del fondamentalismo islamico, poi, mi fanno orrore (un esempio soft? la vista,
alla televisione, di una sterminata folla di uomini barbuti senza neanche una donna a smentirne la
cupezza; ecco, possono avere tutte le ragioni storiche che vuoi, ma io così non ci vivo, come non
vivrei mai a fare freneticamente avanti e indietro col busto davanti a un muro sacro, non ce la
faccio, è più forte di me, i monoteismi, per me, sono le basi delle dittature, anche di quelle presenti
in filigrana nelle democrazie che pure uno di questi monoteismi ha inventato).
Si può ragionare sul nostro (di occidentali) aver preso le distanze dal confliggere militare, sul nostro
aver rinunciato alla "moda" dei combattenti per aderire a quella delle vittime, ma non credo che gli
esiti di questi ragionamenti possano farmi cambiare idea su quanto avviene. Ossia: la politica di
Hamas spinge allo scontro non in vista di una impossibile vittoria militare ma per nutrire, con la
carneficina che l'ignobile Israele compie dopo i dissennati lanci di razzi, le ragioni del
fondamentalismo che sta cercando di ridisegnare l'assetto politico nel mondo arabo e nelle culture
islamiche [..]
(Ennio a Fabio, 16 gennaio) [..] le notizie che arrivano dalla Palestina stringono da sole, ahimè, il
cerchio della disputa. Passato il primo impatto angosciante, preso atto delle divergenze presenti anche
fra noi della redazione e dintorni, chiarito che esse non sono dissimili da quelle di cui si sente parlare
in giro [..] confesso di ritrovarmi come “esaurito” e mi chiedo che senso abbia continuare a dibattere,
del resto in pochi [..]. Rispondo perciò brevemente a questa tua e all’ultima di Luca, ma poi penso di
proseguire la riflessione da solo, smettendo la posa del “provocatore” delle coscienze altrui. Più in
particolare. mi pare che il confronto fra me e te abbia imboccato un vicolo quasi cieco.Ho cercato nella
mia ultima di pronunciarmi “a carte scoperte” sulla questione di Hamas, quasi già ragionando tra me e
me. E le tue risposte, te lo dico lealmente, mi spingono a farlo ancora di più. Paiono quelle di un
imputato che risponda telegraficamente e con reticenza a un giudice per poi, a sua volta, mettersi lui
nella posizione del giudice e spingere l’altro nella posizione dell’imputato. Oppure spostano la
riflessione sul piano dei ‘se’ personalizzati (“se le armate di Hamas entrassero trionfanti in Israele”;
“se tu fossi libero e giovane sentiresti di fare una attiva scelta di campo pro Hamas?”). Io ritengo tale
piano del tutto irrilevante: non conto nulla di fronte ai potenti apparati statali o alle forze oscure che si
stanno muovendo in Medio Oriente o nel mondo e tento di capire, di evitare quelle che mi paiono
trappole ideologiche e non finire inavvertitamente a pensare come pensano i vincitori del momento.
Per pura ripicca o per amore della polemica in sé, potremmo andare avanti ancora un po’. Ma
restano intatte le convinzioni di fondo (“filopalestinesi”? “filoisraeliane”? “né filopalestinesi, né
filoisraeliani”?). A me, ma credo anche a te, un confronto tra sordi non interessa. E perciò, per il
momento, io mi arrendo. Ritengo che sia meglio che ciascuno di noi due rifletta per conto suo sulla
tragedia in corso e faccia riferimento alle fonti che gli paiono più affidabili e serie. Spero che se ne
possa riparlare, se e quando sarà possibile, in altro modo.
(Ennio a Luca, 16 gennaio) [..] ho già detto in redazione mercoledì scorso che la mia lettura tragica
della realtà del conflitto Israele-palestinesi non pretende di rappresentare quella della redazione di
POLISCRITTURE. La pensiamo in merito in modi diversi e anche contrapposti. Ma dopo che si fa?
Le mettiamo sotto il tappeto le nostre divergenze? “Una più stretta chiarificazione politica” non
aiuterebbe a “fare scelte più precise anche sul “piano editoriale” della rivista”? Cosa dicono i
malumori, i silenzi, le reticenze? Non sono io a portare “la guerra dentro la redazione”. Al massimo
tendo con una certa decisione a far emergere le contrapposizioni presenti sotterraneamente, credo
fin dagli inizi. È la realtà di guerra che bussa alle sue porte e c’impone delle scelte (politiche ed
editoriali al contempo). Faccio un esempio concreto. Se, come ha fatto rilevare Angela, nel n. 5 il
taglio politico prevarrebbe “troppo” su quello letterario, c’è da chiedersi secondo me: è un bene o
un male? Per me è un bene specie in un momento in cui tutto spinge a lasciar perdere la politica. Ma
è bene dirselo e vedere se siamo d’accordo. A me non andrebbe che un’altra “scelta” (o la scelta di
non scegliere) s’imponesse quasi per inerzia. Faccio ancora un esempio sul piano “tecnico”.
L’esigenza “obbiettiva” dei tagli. Uso ancora l’e-mail di Angela come esempio, perché esprime
secondo me l’ambivalenza da cui uscire. Angela scrive: “Tagli numerosi e drastici?” Se dobbiamo
fare tagli , va bene quello che propone Donato, ma allora anche sinistra in discussione , può essere
eliminata , si potrebbe lasciare solo un accenno al questionario proposto, alle citazioni e per il resto
rimandare al sito”. A me va bene un certo equilibrio (compromesso) tra la parte politica e quella
letteraria (tra ‘polis’ e ‘scritture’). Ma non è possibile un salomonico 50% di “politico” e un 50% di
“letterario”. Anche perché a volte il “politico” si nasconde nel “letterario” e viceversa. E poi se su
certe questioni (prendiamo il disagio psichico e sociale al centro del n.4) le contrapposizioni sono
più sfumate o neppure affiorano, su altre (Sinistra 2008, Gaza) esse sono rilevanti. Ripeto: le
mettiamo da parte? (Stavo per dire: le mettiamo sul sito, che è più trascurato, e non sul cartaceo che
poi mettiamo in mano alle persone che conosciamo e di cui forse temiamo i pregiudizi antipolitici?).
Sugli altri punti della tua lettera: 1) In partenza (o in teoria) sia i singoli che i popoli tendono alla
pace. Quindi concordo in pieno con quanto dici (“Credo che nessun pacifista, nemmeno un pacifista
assoluto, possa escludere del tutto e per sempre l'eventualità del ricorso alla lotta armata. [..]”). Il
problema diventa drammatico quando l’uso delle armi diventa, invece che ipotesi teorica, dura
realtà. Nel caso della Resistenza al fascismo oggi , almeno da parte nostra, quasi non ci piove (Ma il
revisionismo storico ha invaso buona parte della sinistra e l’omaggio è spesso solo simbolico).
Appena dobbiamo prendere posizione su conflitti armati reali [..] le posizioni di principio sono
sottoposte a dure prove. Io non me la sento di imputare ai movimenti di resistenza di non aver
tenuto in adeguata considerazione le possibilità strategiche del pacifismo. La storia in certi
momenti si rompe, impedisce l’uso di principi morali o quella “continua e percepibile coerenza tra
mezzi e fini”(accusa secolare al realismo di Machiavelli), butta individui e popoli nella condizione
di “far torto o subirlo” come diceva il cattolico ma sagace Manzoni. Ed è per questo che, come tu
pure ammetti, “in alcune circostanze storiche anche molti pacifisti scelg[o]no la lotta armata in
mancanza di alternative o come male minore”. È la prova per me che i confini violenza/non
violenza non sono mai così netti come gli ingenui credono e gli ipocriti vogliono far credere. Che
poi i pacifisti partecipino al conflitto armato “con modalità proprie [.. e alle guerre di resistenza di
cui condividevano gli obbiettivi”cambia poco la sostanza: il fatto è che pure loro devono tener
conto della realtà atroce dei conflitti. 2) Etichette. Non mi va di essere politicamente corretto di
fronte al massacro di Gaza. Proprio perché ancora più che altrove, qui le armi hanno sostituito le
parole e l’equidistanza è assurda. Non mi pare che restano altre scelte: o con Israele o con i
Palestinesi (con Hamas o malgrado Hamas). Troppo europeo mi pare immaginare ora “un pubblico
rogo degli ultimi razzi kassam e poi presentarsi in un milione di palestinesi a braccia alzate davanti
al checkpoint”! I milioni di palestinesi a braccia alzate non ci saranno. (Non ci sono nemmeno i
milioni di europei che manifestano a braccia alzate!). E come non sospettare che proprio il nostro
“privilegio”(a mi parere non totale né casuale) di non vivere sulla pelle la tragedia palestinese ci
rende più pigri e ciechi e non più audaci e lungimiranti? Mentre lì, nella situazione reale, si pone la
scelta o di resistere come si può (chi sa usare le armi con le armi, chi no con la fuga, se fosse
possibile uscire da quella trappola per topi) o di farsi cancellare e rassegnarsi a finire come i
pellirosse? 3) Inconcludenza del pacifismo/inutilità delle guerre. Siamo all’immagine classica del
relativismo: il bicchiere è mezzo vuoto o mezzo pieno? Temo che siano giochetti filosofici. Ognuno
ha, quando parla, già scelto in partenza (ha il suo pre-giudizio). Non ci convinceremo mai a
vicenda: tu troverai che la cultura della pace sta comunque facendo progressi (e attenuerai con un:”
Non sto dicendo che siamo di fronte al sol dell'avvenir pacifista”); io preciserò che non ho parlato
di “una totale inconcludenza dei movimenti per la pace”, ma di un limite, di una soglia oltre la
quale non può andare, per cui la sua azione è subordinata e condizionata in partenza dalle potenze
che usano la guerra per altri fini. Più sinceramente e parlando solo per me: a me viene sempre più la
tentazione di mollare la “critica dialogante”, quando sento questa sterilità delle nostre discussioni. È
come accorgermi di coprire con parole la mia impotenza e che quella d’altro segno del mio
interlocutore è quasi simile alla mia. E mi dico: perché accanirmi a discutere ancora? Vuoi esodare?
Bene fallo, vedi se ti riesce... 4) Epigoni del comunismo. Anche qui concordo con te nella polemica
contro il formulario più o meno marxisteggiante.Ma abbandonato ( ahimè con quanto sangue anche
qui …)l’equivoco pseudocomunista, a me non pare che la festa per la caduta del muro sia”una festa
per tutti”. Altri muri hanno da subito sostituto quello di Berlino e i conflitti si sono solo spostati. 5)
“Guerra di popolo”. Ammetto di aver sbagliato termine e di essere ricorso io pure a una vecchia
formula. [..]
(Fabio a Ennio, 17 gennaio) [..] ancor prima di ricevere questa tua, leggendo la sintesi fatta da
Marcella del confronto fin qui svolto, mi sono accorto della mia responsabilità in quello che tu
chiami dialogo tra sordi, e la cui impasse ti fa perdere fiducia sul senso del nostro dialogo. Lascio
perdere lo scambio di ruoli che farei tra imputato e giudice, e mi concentro sulle mie responsabilità
di scrivente. Ho capito che, poggiandomi troppo su un sottinteso per nulla scontato, non sono
riuscito a rendere l'evidenza che tutti i miei pensieri, tutte le mie analisi, tutti i fragili "che fare"
avanzati all'inizio (solo all'inizio, perché dopo, purtroppo, è scattata la puntigliosa sordità
reciproca), erano relativi esclusivamente a questo ultimo periodo della vicenda di Gaza, una
vicenda, peraltro, che mail dopo mail ci costringeva, con dolorosa cadenza quotidiana, ad
aggiornare il numero dei morti [..]. Certo che non siamo onnipotenti, certo che neanche la più ferrea
condivisione di una linea comune sulle vicende di Gaza avrebbe avuto la forza di fermare il
massacro, ma io credo che governanti illuminati, cui stesse a cuore una soluzione negoziata dei
problemi, anziché la radicalizzazione militare in funzione di uno sterminio risolutore (e mi riferisco
quindi a Hamas, per i palestinesi, e al governo Olmert per gl'israeliani), avrebbero dovuto entrambi
non fare quello che hanno fatto. In un'analisi onesta della situazione esplosa tra dicembre e gennaio,
onesta intellettualmente ancor prima che politicamente, io non posso sottrarmi alla prima doverosa
domanda: perché gl'israeliani hanno scelto di rompere la tregua (episodio del 4 novembre 2008, per
non andare troppo lontano), perché Hamas ha deciso di rispondere alla rottura della tregua col
lancio di razzi accettando il piano dello scontro militare pur consapevole della grave disparità di
forze in campo? (e qui ho visto decine e decine di blog in cui echeggiava meccanicamente la stolta
puntualizzazione che la colpa fosse di Israele in quanto aveva cominciato per primo; da asilo
infantile, se non fosse tragica). Sono abbastanza convinto che entrambi i governi l'abbiano fatto per
utilizzare, ciascuno con le sue ciniche ragioni, la situazione a fini che hanno poco a che vedere con
l'ipotesi due popoli due stati, e che sintetizzo, forse semplicisticamente, con: Hamas per
radicalizzare in direzione fondamentalista le contraddizioni all'interno del mondo islamico, e Israele
per mostrare i muscoli, suoi e degli Usa, in funzioni elettorali (nell'immediato in Israele) e più in
grande per recuperare (gli Usa, attraverso Israele) un'egemonia mondiale vistosamente
compromessa dalle sciagurate scelte post-11 settembre. Entrambe le posizioni, insomma, mi
costringerebbero a una scelta di campo per me orrenda, inaccettabile, ovvero se stare col progetto di
distruzione d'Israele o con quello di Hamas. Come quando, mi sia concessa la digressione, io sarei
dovuto stare o con lo Stato o con le BR. Io stavo con chi diceva né con lo Stato né con le BR, anche
se poi non ce l'abbiamo fatta a evitare la grave corruzione della democrazia italiana che la politica
delle stragi di Stato e le risposte armate delle BR hanno causato (per tagliare con l'accetta dico che
il deficit democratico italiano, ben espresso dal craxismo, prima, e dal berlusconismo, poi, nasce da
quell'occasione mancata di crescita civile sepolta dalle bombe e dalle p38). Del resto cosa vuoi; ho
visto un piccolo brano di "Anno zero", e quando ho sentito la giovane palestinese (dicott'anni, venti)
rispondere che il programma di distruzione d'Israele da parte di Hamas ci può stare visti i continui
atti di aggressione che Israele impone ai palestinesi, ho spento la televisione, come l'avrei spenta di
fronte all'orrore, molto simile, dei bambini palestinesi massacrati (o di qualunque corpo
massacrato). Non era forse quella ragazza una massacrata vivente? O vogliamo dire che aveva delle
buone ragioni per militare nelle fila della distruzione reciproca? Anch'io ignoro cosa farei qualora la
storia mi portasse morte e distruzione in casa: lo ignoro e però so che avrei bisogno, un terribile,
fondamentale bisogno, di ricevere aiuto da chi vede le cose da una distanza che non costringa
solo all'odio e alla vendetta. Se non mi sforzo di salire con tutte le mie energie il difficilissimo, poco
spettacolare, ma necessario gradino della pace come progetto, io sto solo a terra, come una gomma
bucata. [..]
(Ennio a tutti, 18 gennaio)
Ballata dei massacrati di Gaza
di Ennio Abate
Fratelli umani
Israeliani
nostri ben educati carnefici
per l’amara e breve vita
che lasciammo
nell’unico modo da voi consentito
non incolpatevi.
Ad esploderci
correndo incontro al piombo fuso
che per il futuro suo Bene
regalaste dai cieli a Gaza l’ingrata
fummo noi, da soli.
E voi Europei, brava gente
non affrettatevi.
Aspettate che il lavoro ben fatto
sia ultimato:
mamme e sorelle nostre
debitamente sventrate, i bimbi
fantocci impalliditi,
abbruciati i vecchi come tronchi
secchi,
gli arti troppo svelti dei giovani
divelti.
Alle rovine di Gaza l’ingrata
veniteci dopo
religiosamente silenti
come ad Auschwitz
i turisti svagati e compunti.
Veniteci dopo e comprate
le reliquie di Gaza l’ingrata:
i bambolotti insanguinati,
le coperte
da sporcizia escrementi e freddo
solidificate,
eppure intatte, di allora.
E le pietre, le povere fionde, le terribili
armi di distruzione di massa
con cui fingemmo di offendervi
classificatele meticolosamente
in lindi musei della memoria.
Imperdonati, a perire ci avete condotto.
Perdonatevi da soli, se potete.
(Donato a Ennio, 19 gennaio ore 11,28) [..] ho letto soltanto ora la tua "ballata dei massacrati...".
Grazie. E' davvero bella. I versi mi sembrano anche veri e giusti. Aggiungo questi epiteti perché
aiutano a vincere le mie "resistenze interne". Come tu sai la mia poesia non ama la macelleria della
storia... Questa poesia, come tutte le poesie con contenuti simili, quando non sono "comizi" (e la tua
questa volta assolutamente non lo è) rischiano di estetizzare e sublimare la macelleria. Ovviamente
so che non è questa la tua intenzione. Ti consiglio di studiare Celan. [..]
(Pier Paride a Ennio, 19 gennaio 0re 19,29) [..] la poesia è emotivamente potente. Come tutto ciò
che narra del sangue e dell’offesa fatta al debole. L’ho riletta più volte e credo che uno dei sui pregi
sia anche quello di proporre un modo (a-estetico) di parlare di guerra e di massacri. Ricordo molto
bene il dibattito che c’era all’epoca della guerra in Vietnam se il fotografo (bravo) [..] documentava
il sangue delle famiglie vietnamite sacrificate analogamente all’altare dei poteri planetari. Allora
alcuni dicevano: alla fine una bella immagine, per quanto truculenta, fa diventare bella anche questa
sporca guerra! Sì. Ma peggio, dicevo io con altri, sarebbe che non ci fossero immagini, che invece
facevano – come si diceva allora – “prendere coscienza. [..]
(Donato a tutti, 19 gennaio ore 14,36) [..] Sui crimini perpetrati a Gaza anch'io ho provato a non
tacere. Ma non so, non so. Questi testi che nascono sui massacri, mi appaiono sempre così
terribilmente inadeguati. Forse servirebbe un esodo anche da queste forme linguistiche. [..]
PERCHE’ TACI SU GAZA?
Perché taci su Gaza? Perché non
provi a sparpagliare il coro di corvi
gracchianti dietro ai carri armati?
Perché non esprimi ad alta voce
il tuo dissenso?
Sei colomba
del disarmo, lontanissima
da chi è sempre pronto
a legittimare, a giustificare la guerra,
a giudicare argomenti convincenti
gli assassini, le stragi, i bombardamenti.
Perché l’esercito potente,
superpotente dei superpotenti,
l’esercito di un popolo ammassato
nei campi di concentramenti e
un tempo quasi sterminato,
dovrebbe avere sempre ragione?
E’ forse infallibile il Governo
che lo manda? E’ sempre nel giusto?
Perché schierarsi coi massacrati di oggi,
mostrare simpatia, compassione,
alleviare il dolore della loro
condizione dovrebbe suonare
razzismo antisemitico?
Tu
non sei il Presidente dell’Iran,
né il capo di Hamas. Tu sei
una spettatrice televisiva,
una colomba che non teme
di volare sulle sofferenze ingiuste,
sulle esistenze distrutte, sulle vite
uccise, non risparmiate.
Che uomo è chi ordina bombardamenti
per essere rieletto a febbraio?
Trasformare corpi di massacrati
in volantini di propaganda. Se
questo è un uomo. Nella terra dell’Utile
e dell’Interesse fare di ogni vita
merce di scambio. Se questa
fabbrica di morte è la missione.
Vuoi sapere, da quando
hai visto la foto sui giornali,
vuoi sapere il nome della bimba
la cui mano solo affiora dalle macerie
sotto cui un assassino l’ha sepolta. Vuoi
sapere quanti come lei sono morti,
come si chiamavano e che età
avevano e come vivevano
e quali erano le loro storie.
Un cardinale ha definito
Gaza “campo di concentramento”
e il coro dei corvi ha gracchiato
per zittirlo. Un politico ha detto
che sembrava una “spedizione punitiva”
piuttosto che una guerra
e ancora il coro di corvi ha gracchiato
per zittirlo.
Anche tu temi
d’essere zittita? Anche tu pensi
che il Governo d’Israele abbia
sempre ragione nei secoli
dei secoli e così sia?
No. Tu credi che il terribile
Novecento abbia insegnato
un semplice principio:
chi pratica la distruzione dell’altro
prepara la propria.
Vuoi sapere, da quando
hai visto la foto sui giornali,
vuoi sapere il nome della bimba…
DONATO SALZARULO
(Ornella a tutti, 19 gennaio ore 15,33)
Un esodo gigantesco
servirebbe all'essere umano,
un esodo dalla violenza.
Violenza perpetrata
con i pensieri che poi si fanno parole
e poi pietre e coltelli e bastoni e razzi kassam e bombe atomiche.
Orrore puro
per l'essere umano
è la guerra, il bisogno della guerra.
Orrore che inghiotte,
da cui si viene inghiottiti
e poi risputati senz'anima.
Quella rimane nascosta, dimenticata
e difficilmente, solo con estremo coraggio
e dolore viene ritrovata.
Come nel film
"Valzer con Bashir"
che ci parla ancora
di Sabra e Shatila
e di sogni con latranti cani neri
Non parla di ragione e torto,
quello che dice invece
è la carne e sangue
di cui si è fatto scempio,
e di quello che rimane
nel buio della mente.
ornella
(Fabio a tutti, 19 gennaio ore 16,10) E allora proviamo con la poesia dialogante. [..]
LAMENTO DI UN PALESTINESE DI GAZA
a Bertolt Brecht
La poesia che segue - brutta ma necessaria risposta alla Ballata dei massacrati di Gaza (i cui
ultimi due versi, se rivolti a Hamas, risultano altrettanto pertinenti) - nasce con lo scopo di allargare
la riflessione sul conflitto israelo-palestinese con domande che lo strazio per gli orrendi crimini
compiuti tenderebbero a inibire.
Cito da “Repubblica” di oggi, lunedì 19 gennaio, un passo dell'articolo di Alberto Stabile a pagina
2: “Abbiamo vinto, l'operazione israeliana nella striscia di Gaza è stata un fallimento” ha detto il
leader di Hamas, Haniyeh. Ciò non toglie che il tentativo dei dirigenti islamici di cantare vittoria
solo perché il potenziale missilistico del movimento non è stato totalmente distrutto, sembri
surreale, davanti al dramma inflitto alla popolazione civile di Gaza da un nemico che si sapeva
preponderante in ogni senso. Fino a ieri, in un colpo solo, dalle macerie di un caseggiato di Beit
Lahyah sono stati estratti 95 cadaveri che non era stato possibile raggiungere a causa dei
combattimenti e che vanno ad aggiungersi all'ecatombe di oltre 1300 morti solo un terzo dei quali,
secondo le organizzazioni umanitaria, miliziani. E Hamas parla di vittoria?
L'augurio è che questo tentativo di guardare i fatti di Gaza col realismo della ragione possa servire a
non alimentare il potere dell'odio, una riserva mortifera che aumenta ogni giorno sotto l'alta
protezione della giustizia, della pietà e dello sdegno, condivisi ed esibiti anche con le migliori
intenzioni.
Lamento di un palestinese di Gaza
Ascolta, Hamas, io mi ricordo
che mandavate mia figlia a scuola, curavate
i necessari ospedali se il destino
colpiva in malattia, mi davate
i soldi per aprire
la bottega, per scrivere il mio nome
nella vita, e io,
cosa potevo fare io per voi,
come potevo ringraziarvi e rendere
almeno in parte il tanto ricevuto?
Con un voto, sì con il mio voto
- ho pensato giunti ad elezioni ed era vero; mia moglie invece
stava con Fatah ma io il voto
l'ho dato solo a voi. “Hamas
ci vuole bene ci protegge”
le ripetevo anche con le mani,
ma sai, le donne,
lei diventava seria
a sentirmi pieno d'entusiasmo.
“Tutto costa” diceva “vedrai,
ho paura del nero
prezzo che pagheremo a Hamas”.
Infine abbiamo vinto le elezioni, sconfitto
Fatah, via corruzioni
Hamas è forte, ora
si fa Governo, rinasce
Gaza, si va verso la nuova
Palestina, Hamas
ci vuole bene, e poi ci fa
pregare, io non la conoscevo
la preghiera ma adesso che la recito
mi piace sapere che Dio
sta dalla nostra parte a vendicare
i morti che ci ha inflitto
Israele, la terra che ci ha tolto
in sessant'anni di duro dominio.
Ora che Dio lo vuole, dice Hamas,
distruggeremo insieme Israele
insieme tutto l'Islam sarà
forza di una potenza
eccezionale. L'Islam
che sta nel mondo a lavorare
in terre d'infedeli
avrà vendetta... Poi però
è successo qualcosa. Grave?
Forse, non so. So che la colpa
è stata d'Israele, ha rotto lei
la tregua, dice Hamas, e poi dice
guerra, guerra, e se guerra
si sente di avanzare
guerra sarà, Hamas forse
ha l'arma per sconfiggere
Israele, basta coi negoziati basta
la pace che soffoca, basta
tregua, allora si comincia, forza... I soliti
razzi sul sud d'Israele... Tutto qua?
Ma l'arma di Hamas quando arriva?
Loro ci bombardano
dal mare, morti su morti ma perché
Hamas non lo ferma il piombo fuso?
Quanti morti bisogna aspettare?
Cento, duecento,
ogni giorno è peggio,
Hamas perché
perché questo massacro?
E voi a lanciare razzi, ancora
razzi, e guerra, guerra
ai cani d'Israele, ma loro
ci bombardano loro
spianano case stracciano esistenze,
ma tu perché Hamas non usi
l'arma che pensavo avessi
quando hai scelto di muovere
la guerra? Hamas, io sono
un commerciante, e so
la forza del trattare
e so anche
correre rischi, provare
il perdo o vinco tutto
ma quel tutto
non sarà mai l'intera
mia sostanza, lavoro
per mantenere una famiglia
mia moglie e mia
figlia si fidano lo sanno
che vivo per proteggerle, lo sanno.
Trecento, quattrocento, cinquecento morti innocenti e tu
Hamas, quando la fermi
la mano assassina d'Israele?
Se l'arma non l'avevi
(come è chiaro)
allora perché
i razzi, il “guerra, guerra”
il tuo ribadire Dio è con noi?
Seicento, settecento, mille
morti, Hamas
ci stai facendo massacrare
se non avevi
armi non dovevi
permettere la guerra, io ti ho votato
perché ci proteggevi e credevo
che questo avresti fatto ancora, sempre.
Mille e duecento morti...Oh, no!
Mia moglie mia
figlia, perse, bruciate, ma le avete
portate entrambe a braccia
ai funerali, esposte
al mondo intero per gonfiare
una vendetta che incendi tutto l'Islam...
Come? Ora che non abbiamo
vinto e più di mille nostri sono
morti dite che la tregua
coi cani d'Israele si può fare? Sì, a Sharm
el Sheik stanno firmando
i grandi potenti della terra, a Sharm
c'è il mare, come a Gaza,
ma qualcosa non torna. No, non c'entrano
Mubarak, l'Egitto, né l'Europa oppure
gli Emirati, aspetta... fammi pensare...
Se la tregua va bene
non poteva restare quella che c'era
prima che altro
sangue di Palestina si versasse?
Non potevi lasciare vivi e veri
i morti per le strade, e sane e vive
le nostre case belle, i negozi?...
Però io adesso l'ho capito
da solo con le orecchie di ferite
che morte e distruzione
volevate, e morte
e distruzione avete avuto.
Ma perché, Hamas, perché ingannare
col sangue del martirio i nostri morti?
A che è servito, dicci, a che è servito?
Rivedendo con gli occhi com'è andato
l'ultimo inverno a Gaza a precipizio
io non vi credo più, io non credo
più a niente.
E se Dio è con noi
in questo modo, allora non ci ama, proprio come
non ci amate
e non ci proteggete voi.
Hamas, adesso che ho capito
penso questo: “I governanti
che trascinano il loro popolo
in una guerra evitabile e catastrofica
non meritano di esserne
i rappresentanti”.
p.s. - le ragioni per cui capi militari di indubbie doti strategiche, quali sono i vertici di Hamas,
abbiano bisogno di migliaia e migliaia di morti e feriti palestinesi per concordare una tregua con
Israele che non comporta, per il loro popolo, nessun vantaggio, se non la fine momentanea delle
ostilità, è un mistero su cui ciascuno può e deve indagare, libero di trovarvi qualsiasi risposta ma
non di fingere che il problema non esista o che sia di secondaria importanza.
Epilogo sul nemico (da Poesie di Svendborg, di Bertolt Brecht)
Al momento di marciare molti non sanno
che alla loro testa marcia il nemico.
La voce che li comanda
è la voce del loro nemico.
E chi parla del nemico
è lui stesso il nemico.
Fabio Ciriachi
(Pier Paride a Ornella, 19 gennaio ore 17,10) [..] il tuo lavoro mi pare rappresentare l'angoscia e
l'orrore, senza speranze. Vorrei non fosse così. [..]
(Ornella a Pier Paride, 19 gennaio ore 18,43) [..] No, non siamo senza speranza, l'orrore che spesso
stà fuori di noi, a volte ci possiede, perchè si specchia in noi, ma l'essere umano ha incredibili
energie pronte al riscatto. Con le nostre ricerche, con molto coraggio, a volte l'essere umano sa
affrontare la conoscenza del proprio sè, delle stanze più oscure del sè, e portarvi la luce. Come
succede nel film citato. L'esodo dalla violenza non è solo auspicabile, è praticabile. [..]
(Luca a Ennio, Marcella e Ornella, 20 gennaio ore 0,19) [..] Vi mando le prove di impaginazione
dell'editoriale e delle poesie di Sachs e Shabtai per sapere cosa ne pensate. Accostando le due poesie
inclinate in forma convergente si è creata una congiunzione di due versi, uno di Sachs e uno di Shabtai,
che mi sembra davvero profetica:
Se i profeti entrassero sulle ali turbinose dell'eternità
che stanno dentro le case che bombarderai.
Magari cerco di migliorare graficamente questa congiunzione togliendo ogni soluzione di continuità,
come se questo verso doppio diventasse il centro comune delle due poesie. [..]
(Luisa Colnaghi a tutti, 20 gennaio ore 20,54) [..] Voglio agiungere alcune mie righe alle vostre lunghe
poesie che esprimono i diversi pensieri. [..]
La canzone della guerra
Sono andati a cercare armi nucleari
armi di ... distruzione di massa
c'erano solo esseri infelici, miseri
indifesi, dominati da un tiranno,
li hanno uccisi in massa.
Sono andati a cercare armi
nascoste nei sotterranei, nelle cave,
hanno trovato folle misere,
indifese, disperate, affamate
le hanno sterminate.
Guerre di “prevenzione” pro bono pacis
macchine di sterminio di popoli, quelli
che offrono la vita dei figli ”martiri”
in sacrificio al dio della “guerra santa”
19 genn. 2009- Luisa Colnaghi
(Fabio a tutti, 20 gennaio ore 20,53) [..] credo di capire - forse più grazie alla "distanza" delle poesie,
che non all'immedesimazione della critica, quando sono entrambe dialoganti - le ragioni del parlare tra
sordi cui alludevi in una precedente mail. Credo di capire anche il filoisraeliano che mi hai affibbiato
(è molto simile all'antisemita che si becca chi osa criticare le scelte di Israele), e il mio presunto
saltare dal ruolo del giudice a quello d'imputato e viceversa. Insomma, tante cose, sempre nella
profondamente ottimistica convinzione che, quand'anche mi sbagliassi a credere di averle capite, non
è detto che prima o poi non possa accadere davvero.
Ho dato per scontato (per questo dicevo che non m'interessava parlarne) che la nostra posizione sulla
storia del conflitto israelo-palestinese (parlo di storia, e non del che fare legato all'oggi) fosse
sostanzialmente simile (concordo sulle bibliografie proposte, utilissime per conoscere di più e meglio
una situazione che, per le sue implicazioni, mi sembra il nodo più scottante ereditato dal ventesimo
secolo); immaginavo, quindi, che convenissimo, sintetizzando, con una vicenda quarantennale di
soprusi inflitti (e impuniti) da parte d'Israele (compresa la pulizia etnica), che s'intreccia con una
speculare sequela di soprusi subiti (sequela complicata da alleanze sbagliate e guerre perse) da parte
dei palestinesi, fino ad arrivare alla tregua appena concordata, cui dovrebbero seguire, oltre al cessate
il fuoco, nuovi tentativi di risolvere per via negoziale il conflitto. Consapevoli che una soluzione
giusta al problema forse non esiste (Ilan Pappe stesso ctitica le sinistre europee per il loro - ovvero
nostro, o almeno, mio - "due popoli due stati", prospettando come unica chance possibile l'opzione
"due popoli uno stato" per ragioni che spiega molto bene ma che, dovendo passare attraverso una
libera convivenza, devono fare i conti con le sempre più insormontabili difficoltà di un odio reciproco
difficilmente eliminabile anche perché continuamente nutrito), si tratta allora di cercare, fra le varie
"soluzioni ingiuste" possibili, quella che maggiormente entrambe le leadership, palestinese e
israeliana, potrebbero far digerire ai rispettivi popoli (e già qui, con le laceranti divisioni interne di
entrambi gli schieramenti, la vedo molto difficile). Non mi sembrava scontata, invece, né condivisa, la
posizione sul che fare oggi, anzi, ora; né quella su come leggere (definendo ruoli e responsabilità dei
contendenti, quindi) il lungo massacro di Gaza
Com'è iniziata la storia dell'incomprensione? Me lo ha fatto capire (o mi ha fatto credere di capirlo) la
tua Ballata dei massacrati di Gaza, un testo al tempo stesso opaco, trasparente e specchiante. Opaco,
per la densità con cui sublima, in una sorta di evidenza iperrealistica e oscena (nel senso di troppo
visibile), le immagini più crude dei massacri; trasparente perché lascia vedere tutto il meccanismo
rappresentativo messo in atto da parole che si accollano, con la fatica di un'ingrata mediazione, l'onere
di pagare lo scarto incolmabile tra furore di spinta e resa verbale; specchiante perché mostra a chi
legge l'immagine speculare, percepita quindi come propria, del faticoso mantenimento di un minimo
equilibrio. Un testo tutto sostenuto da un conflitto impari tra emozione e ragione, dove la seconda,
infine, tiene sì a freno la prima ma non le impedisce di segnalare non solo il calore lavico da cui è
percorsa ma l'evidenza che quel calore, per il momento trattenuto, potrà o potrebbe prima o poi
esplodere: per stanchezza, per sfiducia nell'idea stessa di contenimento, perché di colpo vediamo (o
crediamo in) una prospettiva totalmente inedita, una sorta di via d'uscita, chi può dirlo. La Ballata dei
massacrati di Gaza, col suo sdegno pieno di accuse non solo ai carnefici ma alle anime belle di mezzo
mondo che quei carnefici in qualche modo appoggiano (mi è spiaciuta l'assenza di ogni riferimento a
Hamas, le cui responsabilità ti ostini a ignorare), mi è sembrata, dopo averla letta e riletta,
l'espressione del tuo massimo sforzo quanto a civiltà; non solo rispetto a sopportare ciò che lì stava
accadendo di orribile, ma anche rispetto a sopportare quanti rispondevano a quegli accadimenti con un
solo grado centigrado inferiore (o così diverso da sembrare inferiore) al tuo. Qui entro in ballo io con
la mia infelicità espressiva già dichiarata in una precedente mail; infelicità ininfluente in una
comunicazione tra persone che si conoscono così bene da annullarne le ambiguità prima che diventino
senso, ma fatale tra semiconosciuti, perché capace di fare da esca a molte pseudocomunicazioni, di cui
il dialogo tra sordi è solo uno dei possibili esiti, e neanche il peggiore. Se metto accanto al tuo calore
lavico il mio sottolineare le responsabilità di Hamas, alla luce di quanto so ora devo dire che mi è
andata bene di essermela cavata con un garbato, e neanche ringhioso, filoisraeliano. Forse, nel pieno
di certi insopportabili avvenimenti, bisognerebbe non illudersi di poter fare analisi che abbiano la
freddezza necessaria alla loro utilità. E' come se ciascuno, per non perdere l'equilibrio, mettesse in atto
esorcismi buoni, però, solo per se stesso, e poco adatti ad essere scambiati. Qualunque siano le mie
intemperanti modalità in proposito, però, io una fede cieca ce l'ho, anzi, due fedi cieche. La prima non fidandomi eccessivamente della mia evoluzione - va verso la razionale freddezza che sappia
tenere sotto controllo la parte emotiva (di cui non ti sto a dire gli inquietanti risvolti) per cui preferisco
perdere acutezza di visione piuttosto che incendiare ciò che guardo; la seconda, va verso l'antica
abitudine - non so quando, perché e come contratta - per cui, nei conflitti in genere, tendo a
prendermela (in senso critico) istintivamente con chi mi è più vicino, come se sentissi di dover
spendere subito, e solo per la parte che lo merita, la mia riserva (laddove la possieda) di funzione
maieutica (va da sé che in questo caso la mia parte sono i palestinesi e non la loro dirigenza).
Dire che ora ho l'impressione di aver perso il filo è dire poco [..] Però qualche pensiero ho cominciato
a metterlo giù, e forse non sarà stato inutile. Ho solo visto [..] le altre poesie arrivate sul tema e [..] mi
sembra che il metodo abbia efficacia; è come se riuscisse a filtrare tutte le tossine delle più virulenti
comunicazioni dirette. [..]
(da Ennio a tutti, 20 gennaio ore 23,51) Le sottolineature in grassetto sono mie. [E]
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http://www.ilmanifesto.it/il-manifesto/ricerca-nelmanifesto/vedi/nocache/1/numero/20090118/pagina/20/pezzo/239878/?tx_manigiornale_pi1
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Su il manifesto 18.1.09
APERTURA | di Franco Lattes Fortini
l’articolo
LA DISSIPAZIONE di Israele - LETTERA APERTA PER GLI EBREI ITALIANI
Quello che segue è un testo scritto quasi 20 anni fa da Franco Fortini. «Il manifesto» lo pubblicò il
24 maggio del 1989. Rileggerlo fa una certa impressione. Perché i problemi e gli interrogativi che
pone rimangono ancora oggi aperti e sostanzialmente immutati. Semmai «solo» aggravati.
Ogni giorno siamo informati della repressione israeliana contro la popolazione palestinese. E ogni
giorno più distratti dal suo significato, come vuole chi la guida. Cresce ogni giorno un assedio che
insieme alle vite, alla cultura, le abitazioni, le piantagioni e la memoria di quel popolo e - nel
medesimo tempo - distrugge o deforma l’onore di Israele. In uno spazio che è quello di una nostra
regione, alle centinaia di uccisi, migliaia di feriti, decine di migliaia di imprigionati - e al
quotidiano sfruttamento della forza-lavoro palestinese, settanta o centomila uomini corrispondono decine di migliaia di giovani militari e coloni israeliani che per tutta la loro
vita, notte dopo giorno, con mogli, i figli e amici, dovranno rimuovere quanto hanno fatto o
lasciato fare. Anzi saranno indotti a giustificarlo. E potranno farlo solo in nome di qualche cinismo
real-politico e di qualche delirio nazionale o mistico, diverso da quelli che hanno coperto di ossari e
monumenti l’Europa solo perché è dispiegato nei luoghi della vita d’ogni giorno e con la manifesta
complicità dei più. Per ogni donna palestinese arrestata, ragazzo ucciso o padre percosso e umiliato,
ci sono una donna, un ragazzo, un padre israeliano che dovranno dire di non aver saputo oppure,
come già fanno, chiedere con abominevole augurio che quel sangue ricada sui propri discendenti.
Mangiano e bevono fin d’ora un cibo contaminato e fingono di non saperlo. Su questo, nei libri dei
loro e nostri profeti stanno scritte parole che non sta me ricordare.
Quell’assedio può vincere. Anche le legioni di Tito vinsero. Quando dalle mani dei palestinesi le
pietre cadessero e - come auspicano i "falchi" di Israele - fra provocazione e disperazione, i
palestinesi avversari della politica di distensione dell’Olp, prendessero le armi, allora la
strapotenza militare israeliana si dispiegherebbe fra gli applausi di una parte dell’opinione
internazionale e il silenzio impotente di odio di un’altra parte, tanto più grande. Il popolo della
memoria non dovrebbe disprezzare gli altri popoli fino a crederli incapaci di ricordare per sempre.
Gli ebrei della Diaspora sanno e sentono che un nuovo e bestiale antisemitismo è cresciuto e
va rafforzandosi di giorno in giorno fra coloro che dalla violenza della politica israeliana (unita
alla potente macchina ideologica della sua propaganda, che la Diaspora amplifica) si sentono
stoltamente autorizzati a deridere i sentimenti di eguaglianza e le persuasioni di fraternità. Per i
nuovi antisemiti gli ebrei della Diaspora non sono che agenti dello stato di Israele. E questo è anche
l’esito di un ventennio di politica israeliana.
L’uso che questa ha fatto della diaspora ha rovesciato, almeno in Italia, i rapporto fra sostenitori e
avversari di tale politica, in confronto al 1967. Credevano di essere più protetti e sono più esposti
alla diffidenza e alla ostilità.
Onoriamo dunque chi resiste nella ragione e continua a distinguere fra politica israeliana e
ebraismo. Va detto anzi che proprio la tradizione della sinistra italiana (da alcuni filoisraeliani
sconsideratamente accusata di fomentare sentimenti razzisti) è quella che nei nostri anni ha più
aiutato, quella distinzione, a mantenerla. Sono molti a saper distinguere e anch’io ero di quelli. Ma
ogni giorno di più mi chiedo: come sono possibili tanto silenzio o non poche parole equivoche
fra gli ebrei italiani e fra gli amici degli ebrei italiani? Coloro che ebrei o amici degli ebrei pochi o molti, noti o oscuri, non importa - credono che la coscienza e la verità siano più importanti
della fedeltà e della tradizione, anzi che queste senza di quelle imputridiscano, ebbene parlino
finché sono in tempo, parlino con chiarezza, scelgano una parte, portino un segno. Abbiano il
coraggio di bagnare lo stipite delle loro porte col sangue dei palestinesi, sperando che nella notte
l’Angelo non lo riconosca; o invece trovino la forza di rifiutare complicità a chi quotidianamente ne
bagna la terra, che contro di lui grida. Né mentiscano a se stessi, come fanno, parificando le
stragi del terrorismo a quelle di un esercito inquadrato e disciplinato. I loro figli sapranno e
giudicheranno.
E se ora mi si chiedesse con quale diritto e in nome di quale mandato mi permetto di rivolgere
queste domande, non risponderò che lo faccio per rendere testimonianza della mia esistenza o del
cognome di mi padre e della sua discendenza da ebrei. Perché credo che il significato e il valore
degli uomini stia in quello che essi fanno d sé medesimi a partire dal proprio codice genetico e
storico non in quel che con esso hanno ricevuto in destino. Mai come su questo punto - che
rifiuta ogni «voce del sangue» e ogni valore al passato ove non siano fatti, prima, spirito e presente;
sé che partire [?] da questi siano giudicati - credo di sentirmi lontano da un punto capitale
dell’ebraismo o da quel che pare esserne manifestazione corrente.
In modo affatto diverso da quello di tanti recenti, e magari improvvisati, amici degli ebrei e
dell’ebraismo, scrivo queste parole a una estremità di sconforto e speranza perché sono persuaso
che il conflitto di Israele e di Palestina sembra solo, ma non è, identificabile a quei tanti conflitti per
l’indipendenza e la libertà nazionali che il nostro secolo conosce fin troppo bene.
Sembra che Israele sia e agisca oggi come una nazione o come il braccio armato di una nazione,
come la Francia agì in Algeria, gli Stati uniti in Vietnam o l’Unione Sovietica in Ungheria o in
Afghanistan. Ma, come la Francia era pur stata, per il nostro teatro interiore, il popolo di Valmy e
gli Americani quelli del 1775 e i sovietici quelli del 1917, così gli ebrei, ben prima che soldati di
Sharon, erano i latori di una parte dei nostri vasi sacri, una parte angosciosa e ardente della nostra
intelligenza, delle nostre parole e volontà. Non rammento, quale sionista si era augurato che quella
eccezionalità scomparisse e lo stato di Israele avesse, come ogni altro, i suoi ladri e le sue prostitute.
Ora li ha e sono affari suoi. Ma il suo Libro è da sempre anche il nostro, e così gli innumerevoli vivi
e morti libri che ne sono discesi. E’ solo paradossale retorica dire che ogni bandiera israeliana da
nuovi occupanti innalzata a ingiuria e trionfo sui tetti di un edificio da cui abbiano, con moneta o
minaccia, sloggiato arabi o palestinesi della città vecchia di Gerusalemme, tocca alla interpretazione
e alla vita di un verso di Dante o al senso di una cadenza di Brahms?
La distinzione fra ebraismo e stato d’Israele, che fino a ieri ci era potuta parere una preziosa
acquisizione contro i fanatismi, è stata rimessa in forse proprio dall’assenso o dal silenzio
della Diaspora. E ci ha permesso di vedere meglio perché non sia possibile considerare quel che
avviene alle porte di Gerusalemme come qualcosa che rientra solo nella sfera dei conflitti politicomilitari e dello scontro di interessi e di poteri. Per una sua parte almeno, quel conflitto mette a
repentaglio qualcosa che è dentro di noi.
Ogni casa che gli israeliani distruggono, ogni vita che quotidianamente uccidono e persino
ogni giorno di scuola che fanno perdere ai ragazzi di Palestina, va perduta una parte
dell’immenso deposito di verità e di sapienza che, nella e per la cultura d’Occidente, è stato
accumulato dalle generazioni della Diaspora, dalla sventura gloriosa o nefanda dei ghetti e
attraverso la ferocia delle persecuzioni antiche e recenti. Una grande donna ebrea cristiana,
Simone Weil ha ricordato che la spada ferisce da due parti. Anche da più di due, oso aggiungere.
Ogni giorno di guerra contro i palestinesi, ossia di falsa coscienza per gli israeliani, a sparire o a
umiliarsi inavvertiti sono un edificio, una memoria, una pergamena, un sentimento, un verso, una
modanatura della nostra vita e patria. Un poeta ha parlato del proscritto e del suo sguardo «che
danna un popolo intero intorno ad un patibolo»: ecco, intorno ai ghetti di Gaza e Cisgiordania
ogni giorno Israele rischia una condanna ben più grave di quelle dell’Onu, un processo che si
aprirà ma al suo interno, fra sé e sé, se non vorrà ubriacarsi come già fece Babilonia.
La nostra vita non è solo diminuita dal sangue e dalla disperazione palestinese; lo è, ripeto, dalla
dissipazione che Israele viene facendo di un tesoro comune. Non c’è laggiù università o istituto
di ricerca , non biblioteca o museo, non auditorio o luogo di studio e di preghiera capaci di
compensare l’accumulo di mala coscienza e di colpe rimosse che la pratica della sopraffazione
induce nella vita e nella educazione degli israeliani.
E anche in quella degli ebrei della Diaspora e dei loro amici. Uno dei quali sono io. Se ogni loro
parola toglie una cartuccia dai mitra dei soldati dello Tsahal, un’altra ne toglie anche a quelli, ora
celati, dei palestinesi.
Parlino, dunque.
[Continua]