Famiglia e disabilità La famiglia, come descritto nel modulo
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Famiglia e disabilità La famiglia, come descritto nel modulo
Famiglia e disabilità La famiglia, come descritto nel modulo afferente, consente di comprendere ed intervenire successivamente con efficacia nelle diverse criticità (tipologie di multiproblamaticità) presenti nel contesto familare e sociale. Nello specifico, in relazione all’inserimento ed integrazione1 di una persona che presenta una disabilità solo "conoscendo il contesto, le dinamiche relazionali che lo governano e le simbolizzazioni affettive agite nell’interno dello stesso, si potrà intervenire al meglio ottimizzando le risorse "(Cancrini, Gulimanoska,2003). Sembra chiaro che diviene essenziale comprendere il contesto famiglia e le dinamiche relazionali che lo contraddistinguono per cogliere le modalità RELAZIONALI con cui i membri riescono ad affrontare i problemi che si presentano. È possibile ritenere che una famiglia sia: "una forma specifica di riduzione sub culturale, che considera le sub culture familiari come modi tipici di interpretazione fra bisogni primari individuali e modalità storico-culturali di soddisfazione definendola come quel modo di vita quotidiana, tipico di un certo raggruppamento sociale che risulta dalle modalità interscambiabili tra il gruppo primario di riproduzione e le altre istituzioni sociali, secondo un complesso simbolico interiorizzato in un determinato ambiente territoriale." (Vergati, 2000). La famiglia è regolata al suo interno da un’omeostasi che fa si che il sistema famiglia (la famiglia è un gruppo ed in quanto tale tende a persistere nella sua esistenza come gruppo) continui ad esistere anche in periodi di crisi che colpiscono qualche suo membro . Naturalmente, le modalità e le strategie attivate da una famiglia per far fronte ad un problema differiscono da famiglia a famiglia. Cambiamenti o eventi critici che innescano modalità di risposta e strategie di reazione emotiva e congitiva da parte della famiglia sono dei più vari e comuni: ad esempio l’entrata di un figlio nell’età dell’adolescenza o la presenza di un portatore di disabilità. Handicap e famiglia La nascita di un figlio solitamente è un evento lieto: "Spesso succede però che la gioia e la gratificazione legate alla cura e alla crescita del bimbo compensino la fatica e sostengano naturalmente i genitori nei loro sforzi" ( Zanobini,Usai, 1997). Ma se le gratificazioni sono ridotte? La nascita di un bambino disabile sia mentale che fisico, porta ad un riassetto familiare: - queste nascite causano disequilibri all’interno degli assetti familiari, portando i genitori a doversi molto spesso rivedere come genitori. 1 Vedi modulo sulla Disabilità (Tessaro) Nello specifico, le relazioni tra i diversi membri della famiglia vengono drasticamente alterate: ogni membro infatti sperimenterà varie emozioni in tempi diversi, così i genitori non dovranno affrontare soltanto le loro emozioni ma anche le difficoltà e i pensieri confusi di tutti i membri della famiglia. La descrizione delle diverse fasi di reazioni emotive può non calzare a tutte le famiglie; allo stesso modo però vi sono delle linee guida per comprendere e analizzare quali fasi più o meno vengono attraversate da una famiglia con un figlio con handicap: Shock: rappresenta una fase di stordimento e di estraneità ed è costituito dalla sensazione che le cose vissute in realtà non siano vere o stiano accadendo a qualcun altro; Paura: una emozione di primaria importanza per tutti i membri della famiglia è la paura: paura dell’ignoto, paura che i sintomi si manifestino negli altri figli, paura di non riuscire a gestire la situazione, soprattutto paura del futuro; Rabbia: può manifestarsi o verso uno specifico bersaglio oppure può essere libera e fluttuante. Può essere rivolta verso il figlio, i medici o il partner; Colpa : spesso si verificano sensi di colpa (senso di colpa, aggressività ed ansia sono intrinsecamente legati dal punto di vista psicologico) dovuti alla responsabilità che si pensa di avere nei confronti dell’handicap del figlio. Questi sensi di colpa possono essere vissuti come dei ripensamenti sul proprio modo di aver portato avanti la gravidanza; Vergogna: i genitori, così come altri membri della famiglia, possono provare un senso di imbarazzo per i familiari disabili. I genitori possono sentirsi a disagio o imbarazzati per l’aspetto dei loro figli di fronte al mondo esterno ; Dolore anticipatorio: è il dolore che una persona sente quando si proietta nel futuro, questo tipo di dolore è normale ma se l’individuo persiste in questa fase può essere devastante; Accettazione: i genitori cominciano “far propria” la situazione, ciò non vuol dire che il dolore sia scomparso ma c’è uno sforzo notevole per vivere meglio con il coraggio che richiede ogni singola situazione per affrontarla nel modo più giusto. ( J. Bicknell,1983) In conseguenza di quanto esposto, vari sono gli atteggiamenti e comportamenti che un genitore può arrivare ad assumere, come ad esempio: 1. rifiuto, che porta ad una corsa all’impazzata verso sempre nuove consulenze mediche e specialistiche che idealmente appaiono come una fonte di risoluzione all’handicap del figlio; naturalmente si viene a creare una situazione piuttosto stressante sia per sé stessi che per il figlio. La razionalizzazione è una conseguenza del rifiuto della malattia o dei sentimenti che sono collegati ad essa: affermare che “ potrebbe essere peggio” consiste nel negare la propria realtà e quella del proprio figlio; 2. Iperprotettività nei confronti del figlio disabile: in questo modo il genitore involontariamente limita lo sviluppo dell’indipendenza del proprio figlio, impedendogli di crescere e fare nuove esperienze. 3. Il diniego della realtà che consiste in una sorta di minimizzazione del disagio, di qui è possibile il manifestarsi di forme di negazione, strategie con le quali le persone affrontano le situazioni potenzialmente stressanti (Zani,Cicognani,2000), come nel caso delle misure terapeutiche e del trattamento sintomatico. La routine familiare Uno dei fattori particolarmente stressanti all’interno di una famiglia con handicap è lo stravolgimento dei ritmi e della routine quotidiana; i ritmi vengono stravolti a causa ad esempio delle richieste di assistenza del soggetto disabile. Non di rado accade che uno dei genitori è costretto a lasciare il proprio lavoro per dedicarsi esclusivamente alle cure del proprio figlio, portando non pochi problemi economici alla famiglia. In altri casi è possibile trovare soluzioni che consistono nel rivolgersi a strutture quali: Comunità che si occupano della presenza temporanea o continua di soggetti con disabilità; Case famiglia che ospitano soggetti con disabilità; Associazioni che offrono sostegno di diveso tipo alla famigla in difficoltà; Servizi sociali ed assistenziali del Comune o della Provincia e Regione che nelle persone dell'Assistente sociale, Infermieri di zona, Medici specialisti, >Psicologi, Psichiatri, offrono aiuto a diverso titolo. per poter affidare il proprio figlio e ricevere quindi un solido e concreto aiuto (economico, assitenziale, cure mediche, consulenze, interventi di assitenza e cure infermieristiche, interventi legati al trasporto dei soggetti disabili). Entrano pertanto in gioco alcune variabili che vanno ad incidere sulla situazione familiare e sui suoi ritmi. Una prima variabile: - caratteristiche personali che gli individui mettono in gioco per affrontare l’evento stressante. Derivano dalla buona padronanza che il genitore ha riguardo al disturbo del figlio, per esempio riconoscere la gravità del disagio e accettarlo sapendo allo stesso tempo però che vi sono delle risorse per affrontarlo; - supporto intrafamiliare ed extrafamiliare che fungono da ancora e da stimolo per la coppia in difficoltà. Importante per il buon andamento della famiglia di un disabile è non essere isolata dal resto della comunità in cui è inserita, pertanto si sottolinea l’importanza del sostegno sociale, supporto emotivo informativo interpersonale e materiale che è possibile ricevere e scambiare nelle reti sociali (Francescato, Tomai, 2005) e della rete sociale, che descrive l’insieme dei rapporti tra le persone (Francescato,Tomai,2005).. Si possono trovare diverse reti sociali. 1. • La rete primaria caratterizzata dai rapporti che legano i vicini i familiari e gli amici; 2. • La rete tematica: che si costruiscono intorno ad un preciso bisogno dell’individuo esempio handicap. Le reti sociali sono caratterizzate da quattro dimensioni: 1. struttura: questa dimensione comprende la frequenza di interazione e la posizione dell’individuo nella rete; 2. interazione: questa dimensione descrive le relazioni che intercorrono tra i vari attori di una della rete (la simmetria, la direzione, la reciprocità); 3. qualità: in questa dimensione entrano a far parte variabili che descrivono la qualità affettiva dei legami , infatti le reti possono essere caratterizzate da legami affettivi di tipo amicale, intimità, vicinanza ecc.; 4. funzione: è la dimensione che comprende le funzioni della rete ovvero sostegno emotivo, consigli per risolvere un problema, aiuto materiale ecc. (Marsella, Snayder,1981). Vediamo ora l tipologia di sostegno che è possibile offrire: - sostegno emozionale che consiste nella messa in atto di comportamenti che prevedono ascolto ed interesse per quanto espresso dall’interlocutore. Si crea un clima confidenziale in cui la persona che ha un problema si sente accolta e compresa e accettata, la sua autostima viene rafforzata in quanto avverte attenzione e sostegno per i propi vissuti e per le proprie difficoltà; - sostegno informativo detto anche guida cognitiva proprio perché consiste in un aiuto nel comprendere ed affrontare eventi problematici; - sostegno affiliativo deriva dall’appartenenza a gruppi informali; si passa pertanto del tempo libero insieme ad altre persone distraendosi dai problemi; - sostegno strumentale: l’aiuto finanziario, lo svolgimento di compiti, tale modalità di aiuto riduce lo stress sia risolvendo direttamente il problema grazie alle risorse materiali che vengono offerte alla persona in difficoltà sia diminuendo l’onere fisico e psicologico di chi sta gestendo la situazione. Da quanto esposto fin qui è possibile capire che lo star bene di ogni individuo non è immaginabile slegato dalle relazioni sociali , infatti è bene ricordare ciò che è opinione comune: l’uomo deprivato dei contatti interpersonali va a perdere parte della propria forza interiore, in quanto è solo relazionandosi con "l’altro" che l’individuo riceve sostegno, aiuto e riesce di conseguenza a superare momenti difficili di disagio. Le reti pertanto possono assicurare "un conforto su cui le residue forze personali possono aggrapparsi nonché dei veri e propri interventi despecializzati di aiuto"( Folgheraiter, 2001). Gli interventi che le reti sociali svolgono sono spesso non voluti e né programmati . A volte non ci si accorge neanche di aver ottenuto aiuto dalla rete che ci circonda. In effetti a volte l’operatore o il tecnico dei servizi sociali può rispondere in maniera pronta ad un bisogno espresso o inespresso dell’utente, bisogni che molto spesso nessun servizio potrebbe mai pensare di voler gestire. In effetti le reti ed i singoli operatori operano spesso senza tener conto " di regole formali. Propriamente parlando, non possono o potrebbero prendere nessuna decisione formale. Cio non toglie però che possano esercitare talvolta una forte influenza e raggiungere dimensioni ragguardevoli." ( Rosengren, 2000). Lo sviluppo del bambino e della famiglia . Bisogna evitare di incorrere in un errore che spesso si compie quando si tratta il tema dell’handicap e della disabilità ovvero quello di considerare la famiglia del disabile come inserita in un processo di "non evoluzione", cioè si potrebbe pensare erroneamente che tale famiglia non affronti gli stadi di sviluppo e di evoluzione che invece riguardano tutte le altre famiglie. Abbiamo già accennato in precedenza al periodo neonatale in cui la famiglia ed in particolare i genitori vivono il lutto o la perdita di un figlio ideale fino a quel momento immaginato e l’accettazione del figlio reale con handicap. È stata anche esposta la dinamica che si instaura nel rapporto tra madre-figlio: un rapporto frustrato spesso dall’incapacità del bambino, come nel caso dell’autismo, di poter manifestare l’attaccamento alla propria madre. I ragazzi con handicap si accostano all’adolescenza con problematiche sicuramente più gravi di quelle dei loro coetanei , spesso approdano alla fase adolescenziale con un bagaglio conflittuale nei confronti dei genitori. La dinamica tipica che si viene a creare è caratterizzata da rapporti contrastanti con la figura materna la quale nella maggior parte dei casi mostra nei confronti del proprio figlio atteggiamenti iperprotettivi, un comportamento morboso verso l’handicap del figlio che le ha causato non pochi sensi di colpa. Al ragazzo disabile è più difficile risolvere il complesso edipico rispetto a coetanei normodotati, proprio in virtù delle dinamiche sopra descritte. "La rappresentazione collettiva dell’handicappato come eterno bambino, è coerente con un’organizzazione sociale che, non prevedendo ruoli sociali attivi nel mondo degli adulti per le persone disabili, non può prevederne neppure la crescita e lo sviluppo " (Veglia,2000). Il ragazzo con handicap può a sua volta assumere un atteggiamento morboso nei confronti della madre che sembra proteggerlo dai pericoli esterni . Al contrario la figura paterna sembra quasi non invischiarsi nella diade madre-figlio, ne rimane fuori e spesso con lui anche gli altri figli che possono sentirsi trascurati oppure essere molto coinvolti nella cura del fratello e pertanto avvertire il peso dell’handicap. Per un soggetto disabile è difficile ottenere l’appropriazione dei propri spazi , l’emancipazione è qualcosa a cui aspirano ma per raggiungerlo il cammino è molto difficoltoso, sia per l’attaccamento del ragazzo stesso, che pur volendo il proprio spazio ha serie difficoltà ad autogestirlo, sia a causa dei genitori che possono seppur involontariamente ostacolarlo nel suo sviluppo individuale. Naturalmente il soggetto può scegliere di assumere un atteggiamento oppositivo-aggressivo e regressivo per cui decide di rimanere al sicuro in casa piuttosto che tentare un inserimento sociale e professionale. L’ideale sarebbe coinvolgere la famiglia nel cercare di aiutare il proprio figlio nell’inserimento sociale per una sua maggiore indipendenza, in questo caso il giovane stesso riuscirebbe ad ottenere più autonomia ma anche più fiducia in sé stesso. Modelli e strumenti per orientarsi all’handicap L’orientamento offerto e promosso dalla rete sociale può essere definito come un "processo in continua evoluzione che mira al raggiungimento del pieno sviluppo di un individuo o di un insieme di individui" (Petruccelli F., 2005). L’orientamento diviene uno strumento per aiutare individui in difficoltà a individuare la propria strada, a ponderare le proprie scelte anche in funzione di un futuro migliore. L’obiettivo dell’orientamento è: promuovere nel soggetto la ricerca e la comprensione della propria identità ; cercare adeguatamente la soddisfazione delle proprie motivazioni. Non si può pertanto prescindere dai bisogni individuali, né dal contesto sociale ed economico nel quale vive ed agisce il soggetto. In buona sostanza si tratta di offrire un processo di aiuto alla persona affinchè confrontandosi con altri impari a prendere decisioni da sola e ad assumersene la responsabilità. Di fatto quindi è possibile affermare che " l’orientarsi implica il possesso di capacità, possibilità, parametri di riferimento e informazioni che richiedono anche complesse operazioni di processazione ed è legittimo ritenere che, per fare ciò, le persone a volte necessitano di allenamento. Tali capacità potrebbero non essere sufficientemente formate, soprattutto in particolari epoche dell’esistenza oppure a causa di particolari situazioni (handicap) o condizioni ambientali". ( Rovetto F., Moderato P., 2006). Lo scopo finale di qualsiasi operazione orientativa è quello di facilitare l’attivazione di scelte autonome e di incrementare il convincimento di essere in grado di determinare il proprio futuro, mettendo in atto scelte idonee per sé e per gli altri.