storia del dipinto - Accademia di San Luca
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storia del dipinto - Accademia di San Luca
Giulio Aristide Sartorio, Monte Circello, 1909 Il dipinto ad olio su tela Monte Circello del 1909, di dimensioni notevoli (m 2,48 x 5,50) fu acquisito dall’Accademia Nazionale di San Luca, di cui Sartorio era divenuto accademico da pochi anni, in occasione del Premio Müller. Quando la sede dell’Accademia dovette essere mutata per la distruzione dell’edificio originario, l’opera fu trasportata arrotolandola come si usava per i grandi dipinti ad olio e fu montata sulla parete dello scalone della nuova sede a Palazzo Carpegna, da cui non è uscita più per la difficoltà di movimentare un dipinto così grande. La pittura di paesaggio dell’Agro romano si situa in un momento della vita dell’artista in cui, appena ritornato in Italia da una lunga esperienza all’estero, nel nord Europa, riprende la passione per il paesaggismo, celebrando quello che egli stesso definiva “la nudità del globo terracqueo” nelle sue vedute. Si era subito aggregato al Gruppo dei XXV Artisti della Campagna romana, in particolare Carlandi, Raggio, Coleman, da cui però altrettanto presto si staccherà per l’insofferenza a limitare la sua attività polimorfa. Nel 1908 aveva avuto la commissione per il grande fregio dell’Aula del nuovo Parlamento italiano, un’opera di m 105 x 3,60, finita nel 1912 e realizzata con una tecnica innovativa miscelando cera alla pittura ad olio tradizionale in una inedita rivisitazione dell’encausto. Nel 1909 espone il dipinto “Monte Circello” alla Società degli Amatori e Cultori, dove aveva ricevuto l’onore di una sala personale da diversi anni. Il tema rappresentato è tipico della campagna dell’Agro Pontino, dove si incontravano allevamenti di cavalli, buoi e bufali a branchi con i butteri a cavallo con i loro lunghi bastoni, immagini fuori dal tempo di un paesaggio immobile da secoli, alle soglie della trasformazione che con la bonifica ne modificherà irrimediabilmente l’aspetto. La pittura di paesaggi per Sartorio non è pedissequa copia dal vero, ma intelligente ricerca nel vero, nella civiltà agraria dell’Ottocento, con la grandezza rude degli elementi, il mare, il cielo e gli animali, che esprime il sentimento eroico della vita popolare immutata da sempre. È un sentimento che Sartorio mutua da Francesco Paolo Michetti, suo grande amico che visitò a Francavilla a Mare nel 1904, e dove venne introdotto dall’artista all’esecuzione en plein air con la tecnica a pastello. Racconta l’artista di una gita mattutina al mare, di fronte al paesaggio esaltante, e di avere affermato “peccato non avere i colori”. Michetti rispose “prendi la mia scatola di pastelli” – conclude Sartorio – “Fu così che diventai paesista”. Nei suoi scritti l’artista racconta notazioni tecniche essenziali, che “la pittura di paesaggio esclude per necessità la tradizionale condotta del quadro”, ed è impossibile usare solo pittura ad olio senza contaminazioni di altre tecniche. È così che nasce quella che lui definisce “pittura moderna, sentita ed eseguita solo da mano maestra”1. È una pittura di evidenza tattile, applicata su un fondo chiaro con velature trasparenti che lasciano emergere le linee e un chiaroscuro potente. In particolare il cielo luminoso, lucente, è realizzato con materiali diversi: un olio grumoso e materico, una velatura lieve 1 Sartorio, Conversazioni d’Arte, Città di Castello, 1922 (pp. 241-78). e magra fino all’aridità e poi tocchi di tempera che evocano la tecnica del pastello suggerita all’artista dall’incontro con Francesco Paolo Michetti. Sartorio usava la fotografia come studio, per ottenere un colpo d’occhio impossibile alla veduta umana, e riportava il disegno preparatorio sulla tela direttamente dalla fotografia con mezzi meccanici, mostrando così di essere pienamente uomo del suo tempo. Usava bianchi a base di piombo e colori al minio che prediligeva e con cui purtroppo si intossicò progressivamente fino alla malattia di fegato che lo portò alla morte. La sua rappresentazione del sentimento della natura lo ha portato a vertici assoluti di cui questo dipinto è un esempio insigne. D’altronde non poteva essere presente all’Accademia di San Luca a Roma un dipinto che non fosse un capolavoro dell’artista che aveva redatto il catalogo della Galleria nel 1910, affermando di rivendicare il ruolo e l’importanza di quella che affermava essere “la cenerentola delle gallerie romane”, studiandone in dettaglio i quadri di paesaggio pubblicati e catalogati ancora da lui nel 1911. Antonio Rava