10261-14 - Lider Lab

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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO di MILANO
PRIMA CIVILE
Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Martina Flamini ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. xx/xx promossa da:
A1, A2,
ATTORI
contro
C1, C2, C3
CONVENUTI
I1
TERZO CHIAMATO
CONCLUSIONI: Le parti hanno concluso come da fogli allegati al verbale d'udienza di
precisazione delle conclusioni.
OGGETTO: Responsabilità professionale medica
Fatto e Diritto
Con atto di citazione ritualmente notificato A1 E A2 rispettivamente madre e fratello di X1, convenivano
dinanzi al Tribunale di Milano tre medici, Dott. C1, Dott. C2 e Dott. C3, esponendo la seguente vicenda
sanitaria: X1, affetto da panipopituitarismo (ipofunzione dell'ipofisi) ed obesità, il 10.8.2008, era stato
ricoverato prato l'Istituto Z con una frattura femorale destra a causa di una caduta accidentale; il paziente
era stato poi trasferito alla Clinica Y dove erano state somministrate tutte le cure (di tipo conservativo);
alla fine di agosto era stato trasferito presso lo Z, presso tale struttura non erano stati compiute le terapie
necessarie alla cura ed alla mobilizzazione del paziente; il 20.10.2008 la situazione clinica era peggiorata
e, dopo il trasferimento all'ospedale W, il 29.10.2008 X1 era deceduto.
Gli attori evidenziavano la condotta colposa dei medici che avevano avuto in cura il X1. Concludevano
chiedendo la condanna dei convenuti, in solido, al risarcimento dei danni — patrimoniali e non
patrimoniali - subiti, con vittoria di spese.
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Con comparsa di costituzione di nuovo difensore, depositata in data 8.11.2011, si costituivano gli attori
precisando che i sanitari che avevano avuto in cura il X1 presso lo Z non avevano approfondito il quadro
febbrile e gastro-enteritico manifestato dal paziente, non avevano quindi rilevato la presenza di
un'infezione da Clostridium Difficile ed avevano contribuito a causare la morte dello stesso.
Si costituiva C1 eccependo la genericità dell'atto di citazione e chiedendo il rigetto delle domande
formulate da parte attrice perché infondate.
Si costituivano, altresì, C2 e C3 chiedendo, preliminarmente, l’autorizzazione alla chiamata in causa della
Casa di Cura Priva (e, solo per il C3 anche della I1) Nel merito deducevano: che l'atto di citazione era
generico ed indeterminato; che le cure appropriate presso la casa di cura erano state adeguate; che non
sussisteva la prova del nesso di causa e che i danni richiesti erano quantificati
in
modo
eccessivo.
Con provvedimento del 19.4.2011 il giudice, diverso dall'odierno decidente, per ragioni di economica
processuale non autorizzava la chiamata in causa della casa di cura.
Si costituiva la terza chiamata I1 chiedendo il rigetto delle domande di parte attrice.
Chiesti e concessi i termini per il deposito di memorie ex art. 183 VI comma c.p.c., veniva ammesso ed
espletato un accertamento peritale sulla vicenda sanitaria oggetto di lite.
Precisate le conclusioni, il giudice concedeva i termini per il deposito di comparse conclusionali e di
replica, e tratteneva la causa in decisione.
Preliminarmente deve essere disattesa l'eccezione di inammissibilità delle domande nuove legate dai
convenuti in seguito alla costituzione dei nuovi difensori di parte attrice. Nella memoria dell'8.11.2011 e
nella prima memoria ex art. 183 sesto comma c.c., infatti, gli attori hanno precisato, nei limiti
dell’emendatio, la domanda risarcitoria formulata nell’atto di citazione, compiutamente descrivendo i
profili di colpa (colpa legata all'attività di cura, già dedotta nell'atto di citazione), ascrivibili ai sanitari
convenuti.
Nel merito si osserva quanto segue
Gli attori agiscono nei confronti dei tre medici che hanno avuto in cura X1 presso la casa di cura privata.
La qualificazione della responsabilità (invocata dalla difesa di parte attrice sia a titolo contrattuale che
extracontrattuale) dei medici convenuti – con i quali, stando alle allegazioni di parte attrice ed in difetto
di prova, non ha concluso alcun contratto – non può prescindere da alcune osservazioni preliminari alla
luce delle disposizioni contenute nell'art. 3 della 1.189/2012 (che ha convertito il d.l. 158/2~4. "decreto
Balduzzi") che impongono una rimeditazione del tradizionale orientamento giurisprudenziale che
qualificava comme contrattuale sia la responsabilità della struttura che quella dei sanitari che vi
operavano.
L'art. 3 comma 1 della citata legge dispone che: "l'esercente la professione sanitaria che nello
svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità
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scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi resta comunque fermo l'obbligo di cui all
'articolo 2043 del codice civile. Il giudice, anche nella determinazione del risarcimento del danno, tiene
debitamente conto della condotta di cui al primo periodo".
Ritiene questo giudice che la disposizione normativa appena richiamata - interpretata alla luce del chiaro
intento del legislatore di restringere e di limitare la responsabilità (anche) risarcitoria derivante
dall’esercizio delle professioni sanitarie per contenere la spesa sanitaria ed in conformità del criterio
previsto dall'art. 12 delle preleggi, che assegna all'interprete il compito di attribuire alla norma il senso
che può avere in base al suo tenore letterale e all'intenzione del legislatore - sia da interpretare nel senso
di ricondurre la responsabilità risarcitoria del medico (al pari di quella degli altri esercenti professioni
sanitarie) nell'alveo della responsabilità da fatto illecito ex art. 2043 c.c. (con tutto ciò che ne consegue,
principalmente in tema di riparto dell'onere della prova, di termine di prescrizione e del diritto al
risarcimento del danno).
Questo giudice pur consapevole del contrario avviso recentemente espresso dalla Corte di Cassazione in
merito al significato da attribuire alla disposizione contenuta nell'art. 3 sopra citato (cfr. ord. 8940/2014,
secondo la quale il legislatore si è soltanto preoccupato di escludere l'irrilevanza della colpa lieve anche
in ambito di responsabilità extracontrattuale civilistica), ritiene che ove il legislatore avesse voluto solo
escludere l'irrilevanza della colpa lieve nella responsabilità aquiliana, il richiamo all'obbligo risarcitorio
di cui all'art. 2043 c.c. sarebbe del tutto superfluo ed ingiustificato.
Per tali ragioni ove, come nel caso di specie, gli attori agiscono solo nei confronti dei medici, senza
allegare l'esistenza di un contratto d'opera professionale con gli stessi concluso, deve ritenersi che il
rapporto gli stessi sia di natura extracontrattuale.
Di conseguenza, in tema di responsabilità extracontrattuale, il danneggiato ha l'onere della prova degli
elementi costitutivi di tale fatto illecito, del nesso di causalità, del danno ingiusto e della imputabilità
soggettiva.
Ancora in via generale, è opportuno precisare i termini delle questioni relativi all'onere della prova ed alla
limitazione di responsabilità professionale prevista dall'art. 2236 c.c., più volte invocate dalle difese degli
attori (anche nelle richieste di chiarimenti al CTU).
Come affermato dalla Suprema Corte, con orientamento pienamente condiviso da questo giudice, l'art.
2236 c.c. deve essere inteso contemplante una regola di mera valutazione della condotta del debitore (v.
Cass., 13/4/2007, n. 8826; Cass., 28/5/2004, n. 10297; Cass., 21/6/2004, n. 11488).
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All'art. 2236 c.c., non va, assegnata rilevanza alcuna ai fini della ripartizione dell'onere probatorio,
giacché incombe in ogni caso al medico dare la prova della particolare difficoltà della prestazione,
laddove la norma in questione implica solamente una valutazione della colpa del professionista, in
relazione alle circostane del caso concreto (v. Cass., 13/4/2007, n. 8826; Cass., 28/5/2004, n. 10297;
Cass., 21/6/2004 n. 11488).
Da ciò discende che ogni caso di "insuccesso" incombe al medico dare la prova della particolare
difficoltà della prestazione (v. Cass., Sez. Un., 11/1/2008. n. 577: Cass.. 13/4/2007. n. 8826; Cass.,
28/5/2004, n. 10297; Cass., 21/6/2004, n. 11488).
A tali considerazioni deve poi aggiungersi che la limitazione di responsabilità professionale del medicochirurgo ai soli casi di dolo o colpa grave, ai sensi dell'art. 2236 c.c., attiene esclusivamente alla perizia,
per la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà, con esclusione dell'imprudenza e della
negligenza. Infatti, anche nei casi di speciale difficoltà, tale limitazione non sussiste con riferimento ai
danni causati per negligenza o imprudenza, dei quali il medico risponde in ogni caso (fra le varie
Cass.1.3.2007 n. 4797; Cass. 19.4.2006 n. 9085; Cass. 29.7.2004 n. 14488; Cass. 10.5.2000 n. 5945;
Cass. 18.11.1997 n. 11440; Corte Cost. 22.11.1973, n. 166).
La consulenza tecnica espletata in corso di causa (pienamente condivisa da questo giudice in quanto
basata su un completo esame anamnestico e su un obiettivo studio della documentazione medica
prodotta), depositata il 12.6.2013 (unitamente alla relazione della consulenza specialistica infettivologica
a firma del prof. F. del 23.3.2013), a firma del dott. M. (medico chirurgo e specialista in medicina legale,
il quale si è avvalso della collaborazione del predetto) ha consentito di accertare i seguenti dati:
− X1, nato il 10.9.1968, affetto da panipopituitarisrno, grave osteoporosi, malformazioni cerebrali con
pregresse crisi convulsive e obesità di terzo grado, era stato ricoverato presso Z con diagnosi di "frattura
sottocapitata femore destro";
− In data 11.8.2008 il X1 veniva trasferito presso il reparto ortopedico dell’Y e, in considerazione dello
stato generale del paziente, si optava per una terapia di tipo conservativo;
− Fin dai primi giorni del ricovero X1 aveva manifestato un'importante insufficienza respiratoria con
desaturazione di 02 e si era resa necessaria ossigenoterapia; in concomitanza si era verificato episodio
febbrile per cui era stata iniziata subito terapia antibiotica, cortisonica e broncodilatatrice per aerosol; gli
accertamenti strumentali eseguiti -avevano escluso focolai flogistici ed eventuali tromboembolici
polmonari;
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− In data 8.9.2008 il X1 veniva dimesso e trasferito presso l'Istituto riabilitativo Y; X1 nel periodo
compreso tra la data di ricovero ed il 2.10.2008 il paziente è sempre definito stazionario e in discrete
condizioni;
− Il 3.10.2008 veniva annotato nel diario clinico la comparsa di febbre, che perdurava fino al 7.10.2008;
− Le condizioni generali erano rimaste stabili e senza febbre fino al 21.10.2008 quando veniva segnalata
febbre a 38,5;
− Il 22.10.2008 si registrava nuovo aumento febbrile che scompariva in giornata;
− Il 27.10.2008 la temperatura era a 39.2 e, su richiesta dei familiari, il X1 veniva trasferito allo W;
− Alle 23.00 del 28.10.2008 si segnalava arresto cardiocircolatorio ed alle 18.00 del 29.00 il X1
decedeva.
− Sulla base della documentazione analizzata i c.t.u., con valutazione che, lo si ribadisce, sono
pienamente condivise dal giudicante, hanno potuto accertare che:
− I trattamenti medici e fisioterapici effettuati durante la degenza al Z risultano adeguati, relativi al
quadro clinico-sintomatologico che si è manifestato, e conformi al comportamento di una adeguata
preparazione professionale ed alle linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica
dell'epoca;
− Il sospetto diagnostico di una colite da Clostridium difficile è insorto nei curanti quando si sono
verificati i presupposti sintomatologici necessari per sospettarlo, di cui la diarrea è il sintomo principale.
Proprio in quel momento e stata richiesta la ricerca delle tossine del bacillo per giungere alla diagnosi
perché in precedenza non sussistevano elementi che potessero indurre ad anticipare la richiesta del
suddetto accertamento o il sospetto dell'esistenza della detta patologia;
− La morte si è verificata per intercorrente arresto cardiaco e non per una complicanza diretta locale
della malattia colitica. Le multiple gravi patologie concomitanti, tra cui certamente la colite,
probabilmente da Clostridium difficile, e lo stato settico nel contesto di una flogosi polmonare importante
in una persona a letto da tre mesi, hanno sicuramente e concausalmente influito sull'exitus;
− Le infezioni da Clostridium difficile rientrano tra quelle tipicamente nosocomiali (atteso che il germe
è stato ritrovato come commensale intestinale fino al 30% delle presone ospedalizzate contro il 2-3 %
delle persone sane.
Dalla relazione di ctu emerge quindi che la morte dell’X1 intervenuta per arresto cardiaco è stata
determinata da una serie di patologie, tra le quali anche la colite da Clostridium difficile che, secondo la
prospettazione di parte attrice, avrebbe dovuto essere diagnosticata e curata in tempi e modi diversi da
parte dei medici convenuti. Le censure di parte attrice per non possono essere condivise, atteso che le
risultanze tecniche della c.t.u. (ed i chiarimenti dallo stesso resi alle richieste di osservazioni formulate
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dai consulenti di parte) consentono di accertare che i sanitari della casa di cura hanno effettuato gli esami
diagnostici necessari alla scoperta del germe proprio quando il quadro clinico del X1 lo richiedeva,
mettendo in atto le cure necessarie e che, anche ove tale terapia fosse stata anticipata di due giorni
(rispetto al giorno di inizio presso il W) l'esito non sarebbe mutato.
In particolare, con riferimento alle numerose censure di parte attrice si osserva che:
− Un primo episodio di diarrea si era già verificato il 21 ottobre, ma lo stesso era stato transitorio e si era
risolto già nella giornata del 22 ottobre;
− Il 25 ottobre era stato già richiesto l'esame specifico per la ricerca del Clostridium difficile e la
coprocoltura;
− Proprio in ragione del contesto clinico del’ X1 - il quale aveva già sofferto di analoghi episodi di
diarrea,
giustificabili
alla
luce
delle
patologie
dalle
quali
era
affetto
-
la mancanza di
acuzie addominali, il miglioramento della sintomatologia diarroica e il mantenimento nei limiti della
norma del numero dei leucociti (numero di particolare rilievo atteso che la leucotitosi è un segno tipico
per la diagnosi di tale infezione) la decisione di effettuare la ricerca dei germi solo il 25.10.2008 deve
ritenersi corretta;
− Con riferimento alla comparsa della diarrea deve ritenersi più affidabile quanto riportato in cartella
clinica rispetto a quanto annotato nel verbale di Pronto Soccorso all’Ospedale W~ atteso che tale ultima
annotazione è di tipo anamnestico, probabilmente frutto di quanto riferito dai parenti del X1
− Al W la terapia specifica per il Colostridium (che in seguito alle indagini di laboratorio,
questa volta, era risultata negativa ma che, come chiarito dal consulente, tale dato non appare
significativo atteso che il responso positivo ha più valore rispetto a quello negativo) è stata sospesa
proprio perché tale sintomatologia addominale non è stata ritenuto il problema più importante;
− Le linee guida citate dagli attori (del 2009) e dal prof. Z (2011) sono successive ai fatti per cui è causa
(dell'ottobre del 2008) all'epoca dei quali non esistevano ancora indicazioni certe sul comportamento dei
medici di fronte a tale tipo di infezione (sia in un soggetto sano che in un soggetto ricoverato in
ospedale);
− Il mancato accertamento del carattere di "speciale difficoltà" della prestazione richiesta ai medici
convenuti è del tutto irrilevante atteso che le conclusioni del c.t.u. consentono di escludere — anche a
prescindere dall'esame del requisito dell'elemento soggettivo - il nesso di causalità tra la morte del X1 e la
condotta dei medici convenuti.
In conclusione, ritiene il Tribunale che anche ove la colite da Costridium difficile fosse stata
diagnosticata e curata prima, questo non avrebbe modificato il corso degli eventi successivi e, in
particolare, non avrebbe impedito la morte del paziente.
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Orbene, ritiene questo giudice che parte attrice non ha fornito la prova del nesso di causalità tra la morte
del sig. X1 e la condotta dei medici convenuti.
In via generale è opportuno ricordare, in ordine alla prova del nesso di causalità tra la patologia e l'azione
o l'omissione imputabile al medico curante, che quando l'impegno curativo sia stato assunto
senza particolari limitazioni circa la sua funzionalizzazione a risolvere il problema presentato dal
paziente, dal punto di vista del danneggiato, la prova del nesso causale, quale fatto costitutivo della
domanda intesa a far valere la responsabilità extracontrattuale, si sostanzia nella dimostrazione che
l'esecuzione del rapporto in parola si è inserita nella serie causale che ha condotto all'evento di preteso
danno. In altri termini, il paziente dovrà limitarsi a dimostrare che l'evento dannoso si è verificato a
seguito dello svolgimento del rapporto curativo e, quindi, necessariamente - sul piano della causalità
materiale - quale conseguenza del suo svolgimento.
Nel caso in esame, invece, dalla relazione di c.t.u. è emerso che l'evento morte non si è verificato in
seguito allo svolgimento del rapporto curativo, ma solo in occasione dello stesso.
Infatti la morte del Sig. X è avvenuta per un arresto cardiaco che, anche in caso di tempestiva diagnosi di
colite da Costridium difficile, non si sarebbe potuto evitare, secondo il noto criterio del più probabile che
non.
Merita di essere ricordato, sul punto, l'orientamento della Corte di Cassazione, che ha ripetutamente
enunciato il principio (Cass. n. 22894 del 2005; Cass. n. 13082 del 2007) secondo cui il nesso di causalità
può essere riconosciuto anche in base ad un serio e ragionevole criterio di probabilità scientifica, che però
deve essere "qualificata" da ulteriori elementi idonei a tradurre in certezze giuridiche le conclusioni
astratte svolte in termini probabilistici.
In altri termini (vedi Cass. n. 14759 del 2007) il nesso causale può essere ritenuto sussistente non solo
quando il danno possa ritenersi conseguenza inevitabile della condotta, ma anche quando ne sia
conseguenza altamente probabile e verosimile, non già una mera possibilità astratta.
Nel caso in esame, sulla, base delle risultanze della c.t.u., pienamente condivise da questo giudice e delle
argomentazioni sopra esposte, non può ritenersi che la morte del sig. X1 sia una conseguenza altamente
probabile dei tempi e dei modi in cui l'infezione da Costridium difficile è stata diagnosticata e curata.
Le domande di parte attrice, pertanto devono essere rigettate.
In ragione della complessità del caso in esame, dell'esistenza di una letteratura scientifica sulle questioni
oggetto della presente controversia formatasi in epoca successiva ai fatti per cui è causa, della necessità
di un accertamento tecnico (che ha reso necessario ulteriori approfondimenti anche in sede di repliche da
parte del c.t.u.), appare equo disporre una integrale compensazione delle spese di lite e delle spese di
c.t.u. (già liquidate con separato provvedimento) tra le parti.
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Sentenza redatta in conformità al canone normativo oggi dettato dal n. 4) del secondo comma dell'art.
132 c.p.c. e dalla norma attuativa contenuta nell'art. 118 delle disposizioni di attuazione del codice
processuale (motivazione succinta, limitata ad una concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto
della decisione, con riferimento ai fatti rilevanti della causa, alle ragioni giuridiche della decisione ed ai
precedenti conformi), firmata e depositata con firma digitale
P.Q.M.
Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza, domanda ed eccezione reietta, così
provvede:
Rigetta le domande di parte attrice;
Compensa le spese di c.t.u, e le spese di lite tra le parti.
Milano, 18 agosto 2014
Il Giudice
dott. Martina Flamini
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