Il calcio come veicolo educativo.

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Il calcio come veicolo educativo.
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articolo
N.42 MAGGIO 2007
RIVISTA ELETTRONICA DELLA CASA EDITRICE WWW.ALLENATORE.NET
REG. TRIBUNALE DI LUCCA N° 785 DEL 15/07/03
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SETTORE GIOVANILE
Il calcio come veicolo educativo.
A cura di FAUSTO GARCEA
Come educare attraverso l’attività sportiva in generale e con il calcio in
particolare.
INTRODUZIONE.
Accingendomi a trattare un argomento spinoso e complesso come quello
dell’educazione attraverso l’attività sportiva in generale, il calcio in particolare, corro il
rischio del tutto personale di sovrapporre i punti di vista dell’insegnante di educazione
fisica della scuola secondaria superiore e del responsabile di una scuola calcio
importante nel territorio come quella dell’Empoli giovani con quella del genitore di due
bambini che, appunto, si dilettano l’uno nel calcio e l’altra nella pallavolo.
Corro il rischio di affrontare il “problema” con occhi diversi e talvolta in
contrapposizione; in un caso con gli occhi di colui che deve trasmettere direttamente
(a scuola) o indirettamente (attraverso l’opera degli istruttori di cui coordina attività e
sedute di allenamento) dei messaggi positivi ai bambini, nell’altro con quelli di colui
che questi messaggi se li aspetta perché ha affidato i propri figli a “esperti” del
settore.
Pensandoci bene, però, forse la mia è una situazione fortunata, in quanto posso più
facilmente di altri, se la mia mente riesce a ragionare in maniera equilibrata, ad
immedesimarmi nel genitore che ho di fronte quando svolgo il ruolo di docente o
dirigente, sapendo perfettamente quali sono le sue aspettative ed i suoi bisogni.
MISTER.
In un altro articolo riguardante la figura del Mister dei piccoli, qualche anno fa, avevo
scritto che: “Insegnare, trasmettere, educare, prima che allenare, sono le azioni che
mi vengono in mente pensando a colui che a livello giovanile è il responsabile di un
gruppo”.
A distanza di tempo, non ho certo cambiato idea.
Il Mister dei giovani deve saper essere, seppure in momenti diversi, educatore,
istruttore, insegnante, psicologo, tecnico, tattico, intrattenitore, animatore, modello e
addirittura giudice.
Il tutto deve essere condito da una notevole dose di coerenza, congruenza, onestà
intellettuale e professionalità.
COMUNICAZIONE.
La comunicazione, in primo luogo, per un allenatore-istruttore del settore giovanile sta
alla base dei principi educativi che si vogliono trasmettere.
Spesso si tende a mettere in rilievo l’aspetto negativo di una qualche azione motoria,
tecnica o tattica del singolo o del gruppo.
Ritengo, invece, che il “pensare” ed il “parlare” al positivo si trasformi sempre in una
spinta verso il miglioramento della prestazione.
E’ inutile lamentarsi o addirittura arrabbiarsi perché lo stop è stato eseguito non
correttamente o perché il goal è stato mancato da posizione (per chi osserva e mai
per il diretto interessato) favorevolissima.
Ma pensiamo davvero che il giocatore non se ne sia accorto da solo, oppure, se non se
ne è accorto, pensiamo davvero che rimarcando l’errore la spinta motivazionale vada
nella direzione giusta?
A mio avviso è meglio cercare, soprattutto con i più piccoli, sempre il lato gratificante
della faccenda.
Dire: “Bravo lo stesso, però la prossima volta cerca di colpire la palla con l’interno dx
invece che con l’esterno sx, così hai più possibilità di direzionarla meglio e vedrai che
farai goal!”, ottiene con l’allievo migliori risultati che dire: “Ma come hai fatto a
sbagliare un goal così facile, l’avrebbe segnato anche un “ciuco”, svegliati!”.
Ovvio che le frasi sono paradossali, ma non fuori dalla realtà che ci circonda.
Rinforzi positivi, quindi; io non sono mai dalle parte della punizione come rinforzo
negativo, e nemmeno dei troppi rimproveri.
Nel contratto morale che noi stabiliamo con la nostra squadra ed i nostri giocatori è
previsto l’obbligo della correzione non quello del rimprovero.
Si può decidere di inserire nelle proprie strategie d’intervento il secondo (il rimprovero
per suscitare attenzione), al momento giusto e ben dosato, non ci si può esimere dal
primo, cioè dal correggere, anche in questo caso al momento giusto e dosando la
quantità.
Troppi rimproveri e correzioni rischiano di non educare ma di confondere la mente.
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EDUCAZIONE MOTORIA.
L’educazione motoria può essere definita una scienza che rappresenta l’insieme degli
obiettivi, delle tecniche, dei metodi, dei mezzi con cui si cerca di ottenere il massimo
ed il migliore sviluppo motorio di ciascun individuo.
L’educazione motoria può essere definita anche come un linguaggio con i suoi
particolari codici.
Questi codici a loro volta possono essere educati, ampliati, modificati: questa è
l’educazione del movimento.
Ma, il linguaggio motorio può essere adoperato per migliorare, potenziare, educare
altri linguaggi: questa è l’educazione attraverso il movimento.
L’azione didattico-educativa dell’esperto deve adattarsi alle caratteristiche individuali
dell’allievo in maniera da recuperare i deficit motori e sviluppare potenzialità e
capacità.
Le proposte devono essere individualizzate dopo una attenta valutazione della
situazione di partenza del gruppo e del singolo.
L’azione didattica quindi deve essere diversificata a seconda dei target da centrare,
dell’ambiente in cui si opera e della fascia di età interessata.
Minore è l’età degli allievi maggiori sono le difficoltà nel raggiungimento delle mete.
Pensiamo alla raffinatezza d’intervento didattico necessario ai bambini della scuola
materna o delle elementari rispetto all’intervento didattico per i ragazzi delle superiori.
Pensiamo alla delicatezza di cui bisogna disporre quando si interviene con bambini in
cui la personalità sta muovendo i primi passi.
L’educatore (il Mister) deve conoscere le differenze bio-psico-fisiche nelle varie fasce
d’età perché altrimenti, sicuramente, proporrà attività non idonee e dannose per il
presente ma soprattutto per il futuro.
Lo sviluppo neuro-muscolare e coordinativo sarà graduale ma costante nel tempo se
gli obiettivi individuati sono raggiungibili:
‰ il potenziamento della capacità di adattamento a situazioni motorie nuove;
‰ il controllo del proprio corpo;
‰ il rapporto del proprio corpo con l’ambiente circostante;
‰ il controllo degli spostamenti del corpo nello spazio e nel tempo;
‰ il potenziamento delle capacità condizionali e coordinative;
‰ la diminuizione del tempo di reazione tra la comparsa dello stimolo e la comparsa
della risposta.
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EDUCAZIONE MOTORIA CON IL CALCIO.
Qualche anno fa, collaborando con la F.I.G.C. come responsabile dell’attività di base e
scolastica del comitato di Pisa, insieme ad alcuni colleghi analizzai in una serie di
partite il numero di contatti con la palla dei giocatori a seconda che le partite stesse
fossero giocate in campi di dimensioni ridotte oppure in campo regolamentare a 11.
Risultò chiarissimo che i bambini fino a 13/14 anni di età, per partecipare attivamente
alla gara, hanno bisogno di campi di dimensione ridotta, porte di dimensioni ridotte e
ovviamente di numero di giocatori inferiore ad 11.
Finalmente, secondo me, in questa stagione agonistica è stato dato da parte della
F.I.G.C. un segnale importante in questo senso, introducendo norme più adeguate alle
età dei bambini tesserati, equiparando l’attività di base a quelle dettate da molte altre
federazioni europee culturalmente, in ottica sportiva, più evolute della nostra.
Sacrosanto, a mio avviso, che i bambini di 8/9 anni si affrontino 5 contro 5, quelli di
10 anni 6 contro 6, quelli di 11 anni 7 con 7, i grandicelli di 12 giochino non a 11 ma a
9 con porte e dimensioni del campo adeguate e che solo dopo si inizi a “scimmiottare”
gli adulti.
Troppo spesso, in passato, ho assistito a situazioni ridicole con portierini smarriti e
infreddoliti lungo l’immensa linea di un portone e non di una porta, di difensori o
attaccanti (a seconda che la loro squadra fosse troppo più forte o troppo più debole)
che nell’intero arco di una partita non toccavano mai palla.
Solo adeguando le regole alle possibilità psico-fisico-motorie dei bambini si possono
avere più dribbling, più stop, più tiri, più azioni d’attacco e di difesa e soprattutto più
divertimento.
In questo caso il calcio può veramente educare la motricità, le abilità, la tecnica ed
anche il senso tattico del giovane e del giovanissimo, prendendo coscienza che tattica,
per i bambini, significa proprio risolvere le situazioni che si presentano e che perciò di
situazioni ne dobbiamo creare il maggior numero possibile.
Noi adulti pensanti dobbiamo ricreare quel gioco di “strada” familiare alla nostra
generazione ma sconosciuto ai nostri figli e nipoti.
Il duello continuo con la palla attaccata al piede sotto un lampione vicino a casa è
sparito insieme a molti altri momenti di crescita motoria spontanea come saltare una
siepe o salire su un albero.
Gli obiettivi che un “educatore calcistico” (istruttore, allenatore, mister?) si deve porre
per un processo formativo pedagogicamente efficace, sono graduali e progressivi,
tenendo conto delle effettive capacità biologiche di prestazione dei suoi allievi,
partendo dall’uno contro uno per arrivare al gioco collettivo.
Il calcio a misura dei bambini è diverso dal calcio a misura degli adolescenti ed è
diverso dal calcio a misura degli adulti, pertanto il principio da seguire, adottando i
vari metodi di insegnamento, è quello imprescindibile della gradualità didattica.
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EDUCAZIONE ALL’EDUCAZIONE.
Valori sportivi, fair play, rispetto dei compagni e degli avversari, messaggi positivi di
civiltà e socializzazione, devono essere sempre al centro degli insegnamenti del
tecnico.
L’importante è che il calcio, come tutte le attività sportive, non si arroghi per il
giocatore il diritto di sostituirsi alle altre “agenzie” formative come scuola e famiglia,
ma riconosca il dovere di essere a queste complementare sia a livello di sviluppo
cognitivo che della personalità.
Il calcio può e deve educare le competenze sociali.
La civile convivenza è allenabile, partendo dalle basi: il saluto ai compagni, ai
componenti dello staff tecnico, al magazziniere non è scontato, purtroppo, così come
non è scontato il saluto per l’arbitro e per l’avversario all’inizio e (soprattutto) alla fine
della gara.
Non alzare la voce, non usare un facile turpiloquio con parolacce e bestemmie
ricercate quando si rincorre un pallone perché altrimenti non si dimostra grinta ed
aggressività, non rispondere con tono sgarbato all’allenatore, il quale bene o male
riveste un ruolo preminente e merita rispetto se non per altro per l’età sicuramente
maggiore, non sputare, evitare atti maleducati durante i viaggi in pulmino con la
squadra, tenere pulito ed in ordine il vestiario della società, sono comportamenti che,
scusate la retorica, “ai miei tempi” erano dati per scontati, al mondo d’oggi no!
CONCLUSIONI.
Allenamento e gara sono le attività pedagogiche di un unico iter educativo: il calcio.
Abilità, conoscenze e competenze socio-educative, conoscenze e competenze
coodinativo-motorie, conoscenze e competenze tecnico-tattiche si insegnano
soprattutto durante il lavoro settimanale; il tutto poi lo si consolida, lo si potenzia e lo
si verifica nelle situazioni che solo la gara vera può creare.◊
FAUSTO GARCEA
Laureato in Scienze Motorie
Preparatore Atletico Professionista
Istruttore Calcio
Allenatore di Base
Responsabile Tecnico Scuola Calcio Empoli Giovani
Autore del libro “Il Calcio - conoscerlo per insegnarlo”
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