“niente vidi, niente sacciu e i fatti miei mi facciu” Si fa ma non si dice

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“niente vidi, niente sacciu e i fatti miei mi facciu” Si fa ma non si dice
“niente vidi, niente sacciu e i fatti miei mi facciu”
Si fa ma non si dice
Come tre scimmiette si fecero impallinare
di Roderigo
Eravamo poco più che bambini e all’epoca, con gli amichetti, frequentavamo la spiaggia di
fronte a Torre Vittoria. Non esisteva ancora “La Bussola” e la fascia sabbiosa era
larghissima, tanto da bruciare i piedi prima di arrivare alle onde (questo basta per rivelare
la nostra vetusta età). Ci capitò un giorno un’avventura di quelle che sembra possano
accadere solo quando si è ragazzi: catturammo uno squaletto. Nulla di eroico, la povera
bestiola era lunga si e no trenta centimetri ed era bastato semplicemente lanciarla a riva,
ma ci sentimmo novelli protagonisti dei fumetti d’avventura che ci capitava di leggere.
Trionfanti, riportammo a casa il pesciolino (che finì miseramente nel secchio della
spazzatura appena cominciò a puzzare) e facemmo il giro di parenti e conoscenti per dare
l’annuncio dell’impresa compiuta. I genitori di uno di noi gestivano un negozio di generi
alimentari: lo trovammo pieno di gente e, confortati dal vasto uditorio, a gran voce
annunciammo: “Abbiamo preso un pescecane!” (omettendo ovviamente le dimensioni). Il
padre del nostro amico, da dietro il banco dove stava affettando mortadella, ci lanciò
un’occhiata da incenerire. Ammutolimmo senza capire la ragione. Lui ci portò fuori con
aria di dover parlare in gran segreto e severamente ci ingiunse di non diffondere
assolutamente la notizia: “I turisti non devono saperlo, potrebbero spaventarsi e andare
via!”.
Questo fatterello ci è tornato alla mente nel sentire i commenti dei sanfeliciani all’articolo
uscito poche settimane fa sul settimanale L’Espresso, che ha rivelato a tutta l’Italia le
penetrazioni della camorra nel nostro territorio. Il titolo non lascia spazio a interpretazioni:
“Circeo connection”. Vi si racconta dell’indagine condotta dalla Magistratura (non quella di
Latina, per carità) su alcuni clan che si stanno insediando proprio dalle nostre parti. “Sotto
inchiesta – dice il giornale- c’è una rete mafiosa certamente operante a Fondi, Terracina,
San Felice Circeo, Formia e Gaeta”, passando poi a dare notizia delle vicende di un
“imprenditore” di origine araba che proprio al Circeo è proprietario di un notissimo locale
notturno. Sono tre pagine dense di fatti e nomi, che includono malavita, politica, assegni e
cocaina, raccontando le vicende anche degli altri comuni coinvolti.
Dalle nostre parti il settimanale (nonostante sia uno dei maggiori italiani) è stato letto da
pochi, in qualche edicola è addirittura andato esaurito in poche ore, ma copie in giro non
se ne sono viste tante. Però, se n’è parlato. Quali reazioni ha destato nel nostro paese,
abitato da ferrei sostenitori della regola “legge e ordine” (escluso quando sono loro a
violare, ad esempio, le leggi urbanistiche)? Nessuno stupore, tanti hanno detto “E allora,
dov’è la novità?” (ma finora sono stati rigorosi custodi di un omertoso silenzio), molti,
moltissimi si sono invece scandalizzati. Ma non per la scoperta dell’avvicinarsi della piovra
camorrista, no: il fastidio nasceva dal fatto che qualcuno avesse osato raccontare questa
faccenda: “Non è una buona pubblicità!”, ha tuonato qualche commerciante. “E’ tutta una
montatura!”, hanno sibilato i politici, forse preoccupati che venisse coinvolto qualche loro
collega e protettore di partito. Ma non sarebbe una migliore pubblicità poter dire che, prove
alla mano, questo paese non vive all’ombra della malavita? Non sarebbe stato più
edificante se i politici avessero immediatamente chiesto alle forze dell’ordine di indagare
su questa pista e forse di impegnarsi maggiormente nel controllo del territorio, o alla
Magistratura di farci sapere come stanno le cose? Niente di tutto questo: il problema non è
il fatto in sè, il problema è che venga rivelato, reso noto il verminaio, il malaffare, la
collusione tra politica e criminalità (una lunga parte è dedicata a “Fazzonia”, sinonimo del
comune di Fondi, regno incontrastato del senatore Fazzone). Questo modo di ragionare è
la premessa migliore per l’instaurazione della “pax mafiosa”: “niente vidi, niente sacciu e i
fatti miei mi facciu”, era il ritornello usato per sfottere i siciliani, ma la frase più frequente
era l’accusa ai soliti legalitari rompiscatole: ”Chi dice che in Sicilia c’è la mafia, non vuole
bene a quest’isola”. Sostituite “Sicilia” con “San Felice” e “isola” con “promontorio” e avrete
l’espressione ricorrente dell’aspirante omertoso nostrano. Non siamo certo noi a
pretendere eroici atti di denuncia da parte dei nostri concittadini, ma almeno ci sembra
legittimo richiedere un minimo di etica e dignità. Il coraggio non è obbligatorio, e chi non ce
l’ha non può darselo (diceva Manzoni), ma subire passivamente, o addirittura strizzare un
complice occhio ai malavitosi, magari perché hanno soldi, auto e abiti griffati è una
vergogna per qualsiasi essere umano e per qualunque comunità. “Ci sono atti che non
richiedono coraggio per compierli, ma fanno di te un vigliacco se te ne astieni” (Michael
Herr, Dispacci). A costo di apparire banali, non possiamo non ricordare le famose tre
scimmiette, magari adattandone un po’ la storia: la prima fece finta di non vedere il
cacciatore, la seconda ignorò volutamente il rumore dei suoi passi, la terza preferì “farsi i
fatti suoi” e non parlò. Finirono tutte e tre impallinate.