Scheda/Dignità e valore della vita umana

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Scheda/Dignità e valore della vita umana
 a.s. 2011‐2012, n. 2 novembre‐dicembre 2011 Materiale integrativo per “Percorsi didattici I grado”
(a cura di R. Quinteri)
Scheda/Dignità e valore della vita umana
La vita: un dono meraviglioso
Una delle proprietà fondamentali e più perspicue dell’essere umano è la vita.
L’uomo è homo vivens: egli è umano finché è vivo. Mentre però il fenomeno
della vita è un dato certo e ovvio, il suo significato, la sua vera natura e la sua
origine sono cose assai complesse, oscure, misteriose.
Sin da quanto l’uomo ha potuto riflettere sulla condizione del suo esistere, ha
percepito che un mistero grande ed ineffabile avvolge la sua vita. Essa gli
sfugge e lo affascina, lo incuriosisce e lo meraviglia. Per darsi risposte meno
inadeguate sul nascere, il vivere e il morire, l’uomo si affaccia alla
comprensione dei problemi della sua vita con un atteggiamento di rispetto per
il mistero che essa contiene: colloca la vita nell’orizzonte di quelle realtà sacre
che possono essere comprese, ma mai per intero.
Lo sviluppo straordinario della scienza e della tecnica, anziché allontanare, ha
attualizzato ed enfatizzato l’interrogativo sulla vita e sulla sua origine. Dal
momento che l’interrogativo sull’origine della vita è una domanda che l’uomo
pone a se stesso, essa è inscindibile dal bisogno di conoscere il perché della
vita, il senso della vita. Non è pensabile che la scienza arrivi a scoprire l’origine
della vita senza scoprire nel contempo il «senso» della vita, la sua intrinseca
finalità.
La vita è così un mistero da esplorare, un luogo da conoscere, in cui attuare
continui tentativi di indagine geografica e speculativa. L’Odissea è il risultato di
questo profondo desiderio di scoprire il mistero della realtà. Ulisse vive la
tragedia di un destino avverso che si abbatte su di lui, ma se ne serve per
navigare pure fino ai confini della realtà; subisce ogni forma di avversità, ma
tenta sempre di dominarne la violenza per assaporare il gusto dei suoi più
reconditi segreti: facendosi legare all’albero della nave, egli riesce a sentire
l’estasiante e ammaliante canto delle sirene (Privitera).
Fotografare tutti quanti i volti della vita: è questo il grande desiderio di colui
che vuole svelarne il mistero; ma in ciò egli scopre la limitatezza delle sue
possibilità. E questo perché la verità del mistero della vita l’uomo la porta
dentro. Conoscere la verità significa conoscere la vita. L’itinerario di scoperta
della verità, della storia di una singola persona come dell’umanità intera, può
essere ripresentato come un itinerario percorso dall’uomo seguendo le orme
della vita, sua maestra.
Un mistero da contemplare
La vita è anche un mistero da contemplare. La contemplazione che l’uomo fa
del mistero della vita si trasforma sempre in «autocontemplazione»: se parte
dalla contemplazione delle «cose» terrene non potrà non pervenire alla
percezione della propria superiorità nei confronti di tutti gli altri esseri esistenti
nel mondo; se parte invece dalla contemplazione del mistero di Dio non potrà
non abbassare il proprio sguardo fino alla contemplazione del frutto più
significativo della creazione di Dio. Contemplare ed autocontemplarsi è
possibile solo, come afferma Hartmann, all’uomo non frettoloso.
Questo è l’atteggiamento che permette di cogliere il più genuino significato
della vita in genere e della propria vita in particolare. La contemplazione è
saper guardare le cose, ma vedere al tempo stesso oltre di esse; riprendere la
varietà delle immagini della vita come fa la cinepresa, ma osservarle dentro ed
esplicitarne il più recondito significato. L’atteggiamento contemplativo si
identifica con quella tensione verso la trascendente purezza e genuinità della
vita che inevitabilmente si scatena in chi ne ha afferrato, contemplativamente,
il significato più autentico. La vita è un mistero che non si finisce mai di
contemplare.
Dono di Dio
A interrogare un uomo di scienza la vita è una particolare organizzazione della
materia. Per l’uomo della strada, invece, la vita è amore, la vita è lotta, la vita
è dolore, la vita è speranza, o qualcosa di simile. Una simbologia questa nella
quale si legge l’affermazione che la vita dell’uomo è posta per sua essenza
sotto il segno dell’ambivalenza e del rischio. Nessun automatismo o magia la
può garantire e nessuna sapienza può svelare il segreto che ne assicuri la
permanenza e la crescita.
Per l’uomo di fede, la vita è dono di Dio. La vita viene dalla libertà benedicente
di Dio e, quando raggiunge il culmine nell’uomo, si svela come dono che si
gioca nell’ambito della libertà. Solo l’accettazione di essa come dono di cui si
deve rinunciare a voler disporre autonomamente, per riconoscerlo con
gratitudine e ubbidienza come proveniente dalla libera benevolenza di Dio, fa
in modo che la vita possa crescere come vita di qualità. La vita, infatti, in
senso assoluto, appartiene solo a Dio. Vi è sempre un di più in Dio che può
creare vita perfino nella morte.
La domanda sul significato della vita in genere e di quella umana in particolare
è al tempo stesso, un po’ ovunque, per tutti e sempre, tensione conoscitiva nei
confronti del suo mistero e tentativo umano, ora lecito ora proibito, come nel
caso di Adamo ed Eva, di appropriarsi sempre di più e sempre meglio del suo
più recondito significato. La vita appare ora come trascendenza, ora come
tragedia, ora come luogo da esplorare sia geograficamente che
speculativamente, ora come rapporto di amore evanescente, irrompente,
travolgente, passionale o catartico, ora come processo maieutico o
contemplativo, ora come realtà da scomporre in tutti i suoi particolari o come
itinerario esistenziale verso un al di là raggiunto e al tempo stesso
irraggiungibile, ora infine come un accavallarsi di più sentimenti contrapposti
ed il conseguente prevalere alternato dell’uno o dell’altro di essi.
Pertanto, la vita, dall’uomo posseduta, trascende la sua stessa realtà
personale, non essendo lui a darsela, non essendo lui a potersela togliere.
Credente o non credente, la persona avverte sempre che quella vita che
adesso è nelle sue mani sia e resti sempre qualcosa di molto superiore alla sua
stessa realtà: pur possedendola, non la ritiene come cosa sua; la usa, ma non
la domina; la trasmette, ma non la origina; la possiede, ma ne è anche
posseduto.
VALORI IN QUESTIONE
•
La vita è un mistero da contemplare. Stupendo è il dono di Dio e la sua
immagine scolpita nella dignità della vita.
•
La vita è una realtà sacra, che non può essere compresa mai per intero.
•
La vita in senso assoluto appartiene solo a Dio.
•
La vita è un valore indisponibile e intangibile per se stesso.
Odissea: Nell’omonimo poema di Omero, indica le difficoltà, le avventure, i
disagi e le situazioni imprevedibili che Ulisse dovette affrontare nel cammino
della vita.
Verità: Il significato più profondo delle cose, la dignità intrinseca della vita e
della storia.
Contemplare: È la capacità di fissare con stupore e meraviglia i valori e le
ricchezze di una realtà carica di trascendenza.
HANNO DETTO
«Non possiamo comprendere la vita, se in qualche modo non ci spieghiamo la morte».
L. Pirandello, Il fu Mattia Pascal, 1904, X.
«La vita è opportunità, coglila;
La vita è bellezza, ammirala;
La vita è una sfida, affrontala;
La vita è preziosa, abbine cura;
La vita è una ricchezza, conservala;
La vita è amore, godine;
La vita è mistero, scoprilo;
La vita è dolore, superalo;
La vita è un inno, cantalo;
La vita è lotta, accettala;
La vita è un’avventura, rischiala;
La vita è felicità, meritala;
La vita è vita, salvala!».
Madre Teresa di Calcutta
CONFRONTIAMOCI IN GRUPPO
•
Che rapporto vedi tra la vita come dono di Dio e la libertà dell’uomo di
disporre della propria vita?
•
Ritieni possibile un pluralismo sull’indisponibilità della vita? Se sì, allora
anche chi ha disposto della vita nei campi di sterminio ha diritto di opinione.
•
La dignità della vita ha valore assoluto: come vedi chi dispone della vita al
suo nascere con l’aborto?
•
Pensi che possa essere accettabile disporre della vita nelle sue fasi terminali,
quando il soggetto è permanentemente incapace di capire e le sue
condizioni sono terminali?
•
La vita è un valore trascendente, aperto alla vita eterna. Come annunciare
questo messaggio oggi?
scheda film
LA VITA È BELLA
Genere: Drammatico Regia: Roberto Benigni Anno di uscita: 1997 Durata: 110’
Soggetto: Verso la fine degli anni Trenta in Toscana, due giovanottelli lasciano la campagna
per trasferirsi in città. Guido, il più vivace, vuole aprire una libreria nel centro storico, l’altro
Ferruccio fa il tappezziere ma si diletta a scrivere versi comici e irriverenti. In attesa di
realizzare le loro speranze, il primo trova lavoro come cameriere al Grand Hotel, e il secondo si
arrangia come commesso in un negozio di stoffe. Camminando, Guido si innamora di una
maestrina, Dora, e, per conquistarla inventa l’impossibile. Le appare continuamente davanti, si
traveste da ispettore di scuola, la rapisce con la Balilla. Ma Dora si deve sposare con un
vecchio compagno di scuola, e tuttavia non è soddisfatta perché vede molto cambiato il
carattere dell’uomo. Quando al Grand Hotel viene annunciato il matrimonio, Guido irrompe
nella sala in groppa ad una puledro e porta via Dora. Si sposano ed hanno un bambino,
Giosuè. Arrivano le leggi razziali, arriva la guerra. Guido, di religione ebraica, viene deportato
insieme al figlioletto. Dora va da un’altra parte. Nel campo di concentramento, per tenere il
figlio al riparo dai crimini che vengono perpetrati, Guido fa credere che loro fanno parte di un
gioco a punti, in cui bisogna superare delle prove per vincere. Così va avanti, fino al giorno in
cui Guido viene allontanato ed eliminato. Ma la guerra nel frattempo è finita, Giosuè esce,
incontra la madre e le va incontro contento, dicendo «abbiamo vinto».
Valutazione Pastorale: Il film si compone di due parti ben distinte. Nella prima è descritta la
vita quotidiana in una cittadina italiana anni Trenta, con l’affermarsi delle varie simbologie
mussoliniane e il lento avvicinarsi dei segnali di guerra. Nella seconda, tutta ambientata nel
campo di concentramento, viene fuori l’idea centrale, ossia quella del ricorso alla fantasia come
unica soluzione per permettere al piccolo Giosuè di passare indenne nella tragedia dei lager,
uscirne senza traumi e poter crescere con maggiore consapevolezza. Il «comico» Benigni può
così continuare ad essere se stesso e calare la propria verve, la propria capacità mimetica in
una situazione di difficoltà assoluta. Ne deriva una sorta di metafora sulle capacità più
profonde dell’essere umano, un invito a trovare dentro se stessi la forza per reagire e superare
i momenti tragici che la storia ciclicamente ripropone. L’essere umano, le sue qualità,
l’aspirazione ad una vita serena e giusta devono sconfiggere anche con un sorriso i portatori di
violenza e di morte. Film anche di denuncia dell’assurdità della guerra, film quindi di intensi
contenuti, affidato a molti momenti poetici, più presenti nella seconda parte, mentre la prima
indulge a qualche situazione più scontata e prevedibile.
Scheda tratta da: Giovanni Russo, Bioetica: dialogo con i giovani, Elledici 2006