I sentimenti vanno educati!

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I sentimenti vanno educati!
I sentimenti vanno educati!
dott. Walter Colesso
In questi giorni ho avuto l’opportunità di leggere un articolo di Vinerba
(20121) dove l’autrice affronta il tema dell’educazione dei giovani al
matrimonio e alla famiglia, prendendo in considerazione diversi aspetti tra cui il
rapporto tra amare e la decisione del matrimonio quale scelta di vita
irreversibile. L’autrice indica nell’”a-priori” – vale a dire il contesto culturale che
respirano – del “sentimento” con l’amato/a, una delle “pietre d’inciampo” nella
vita dei giovani verso il matrimonio. Il rischio è che tale esperienza esaurisca la
realtà dell’amore quando il sentimento è vissuto come passione totalizzante e
ingovernabile, irruento criterio di moralità per cui quello che si fa per amore è
sempre buono, quando il partner, più che essere desiderato, è fatto oggetto
del proprio bisogno inconscio; quando la coppia vive un tempo dove “non
esiste l’io, non esiste l’altro, esiste solo l’amore”, preludio di un futuro
inevitabilmente felice: sembra che ciò che si sente saprà superare ogni
difficoltà (Borsato, 19932). Potrebbe stabilirsi una sorte di corto-circuito tra
sentire e amare, tra innamoramento e amore, un utilizzo quasi esclusivo del
linguaggio delle pulsioni e delle emozioni, incapace di creare una
comunicazione tra differenti: tutto si potrebbe ridurre a rapporti di fusione che
hanno la caratteristica di sottrarsi a una socialità aperta, a doveri di tipo
istituzionale, all’urto della storia carica di inevitabili contraddizioni, conducendo
a frustrazione e di aggressività, nell’incapacità di accettare il fatto che l’altro
non regge il peso delle aspettative. L’amore-sentimento potrebbe generare
rancori e il tempo della passione si potrebbe rovesciare in quello dell’odio.
L’amore-sentimento sarebbe, in ultima analisi, la soluzione a un’antropologia
strutturata prevalentemente, se non esclusivamente, sulla persona come
centro di pretese e attese, dimentica delle responsabilità all’altro. Tuttavia
l’assenza del posto dell’altro, – è la conclusione – non si insegna con due mesi
di corso pre-matrimoniale, è un’opera che promana da una famiglia che vive e
si auto comprende come il luogo dell’amore-volontà: impegno, parità e
responsabilità sono i mattoni per costruire nella libertà e vivere nella continuità
l’intimità relazionale di coppia: “Ti voglio amare perché sono responsabile di te
anche quando non sei amabile”.
La lettura dell’articolo mi ha stimolato a connettere altre riflessioni analoghe
e a riflettere sul mio impegno professionale a proposito del ruolo dei sentimenti
nelle relazioni intime nelle varie fasi della vita. Ricordo la provocazione lanciata
da Alberoni già dieci anni fa sul Corriere della Sera3 riguardante le “quattro
infatuazioni” in cui cadono le persone che avviano il loro matrimonio perché
“innamorate” con la conclusione: «Guai seri quindi, a cui c’è un solo rimedio:
imparare ad analizzare le proprie emozioni, le proprie passioni e quelle della
persona che ci interessa, il tutto con serietà e con intelligenza». È lo stesso
messaggio che traspare nel suo più famoso libro: Dall’innamoramento
all’amore” del 19854. D’altra parte, già nel 1963, Fromm sottolineava nel suo
“L’arte di amare” che al “supremo interesse” si arriva con “disciplina,
concentrazione e pazienza”5.
La mia esperienza professionale al Centro della Famiglia conferma senza
dubbio che i sentimenti nelle relazioni intime sono una forza potente che va
formata. A volte i sentimenti sono manifestati a briglia sciolta, altre volte sono
coartati, tenuti nascosti, non riconosciuti, non liberati: nell’uno e nell’altro caso
non sono educati e quindi non positivamente valorizzati. Porto qualche
esempio.
Conduco ormai da anni il percorso formativo “La scelta dell’amore”. Si tratta
di un cammino formativo con un piccolo gruppo di coppie che, prima di
impegnarsi nella preparazione al matrimonio, chiedono di fare il punto della
situazione per trovare più chiarezza e sicurezza nel loro rapporto. Sono
persone che magari stanno assieme da tanti anni, quando la prima fase
d’innamoramento ha ormai lasciato il posto alla disillusione in cui l’altro non è
più idealizzato bensì percepito con le sue risorse e soprattutto con i suoi limiti:
“Mi posso fidare di questa persona?”, “Mi sarebbe permesso di lasciarla dopo
tanti anni di relazione?”. Spesso in questo impegno vengo a contatto con
giovani in cui il “sentimento” è molto coartato, nascosto, la cui espressione
sembra essere di pertinenza soltanto del femminile. Il sentimento verso l’altro
è quasi celato, perché, se espresso, farebbe sentire un senso di vergogna,
quasi l’essere nudi, senza difese, deboli. Le coppie sembrano educate dalle
famiglie d’origine a non esprimere, a non mostrare e ascoltare i propri
sentimenti, perché segno di debolezza, qualcosa di effimero e fuorviante:
vanno quindi repressi o perlomeno nascosti. La cosa interessante è che questa
attitudine è rivolta verso tutti i tipi di sentimenti: quelli dell’amore, etichettati
come “positivi”, ma soprattutto quelli del dolore e della rabbia che, a maggior
ragione, sono etichettati come “negativi”. Gran parte del percorso formativo è
volto a superare queste etichette per far accettare il messaggio che tutti i
sentimenti sono importanti e utili nella misura in cui sono espressi nella
maniera adeguata.
I miei contatti con coppie sono anche sul versante clinico all’interno del
Servizio Psico-relazionale per il Benessere Familiare per accogliere coppie
magari sposate da diversi anni, spesso con figli, che chiedono aiuto perché la
loro relazione è in crisi, talora con l’ipotesi anche di separazione. Nonostante
gli impegni, i sensi di responsabilità verso i figli, verso la propria famiglia e
verso la propria dimensione di fede, esplodono nel colloquio molti non detti – e
non ascoltati – di dolore e di rabbia, in cui i “sentimenti” tornano
prepotentemente allo scoperto, monopolizzando risorse e interessi nelle
relazioni di coppia e di famiglia.
L’altra esperienza che ritengo esemplificativa è la proposta formativa che il
Centro sta portando avanti ormai da quasi un anno: “Nel corpo come a casa
propria”. Rivolta agli adolescenti e ai loro educatori, è finalizzata alla scoperta
della propria corporeità che non è sola fisica, ma soprattutto emotiva.
L’attenzione è alla persona in relazione nella sua interezza, recuperando la
dicotomia mente-corpo, riscoprendo e educando la propria affettività in una
prospettiva individuale, ma soprattutto relazionale. I molti ragazzi incontrati
esprimono il disagio per la difficoltà provata di entrare in relazione “vera” con i
propri sentimenti e soprattutto con quelli degli altri, in particolare dei pari.
Probabilmente quanti fanno uso di droghe sono spinti dalla necessità di
esprimere quello che provano dentro… col pericolo poi, finito l’effetto esaltante,
di trovarsi più che mai alienati!
Pertanto il mio impegno professionale conferma quanto la letteratura
abbondantemente ha messo a fuoco e sottolineato da decenni: è necessaria
un’azione educativa tradotta con coerenti ed efficaci proposte formative che
favoriscano nei singoli e nelle coppie una crescita equilibrata di tutte le
dimensioni personali, con particolare attenzione a quella emotiva. Quest’azione
deve e può essere fatta, nonostante il clima culturale attuale fortemente
squilibrato. Merita dedicare a questo obiettivo ogni sforzo possibile per dare
l’opportunità alle persone di maturare, crescere, riconoscere, sentire e capire la
propria posizione rispetto ai sentimenti, alla riflessione, alla consapevolezza,
alla capacità di coerenza e di impegno: persone quindi libere di scegliere e di
prendere responsabilmente delle decisioni, scevre da calcoli mentali o da
tempeste sentimentali. Lì dove parti importanti delle persone e delle coppie
non sono sviluppate e “allenate”, può accadere che la propria emotività,
oltrepassate le “personali barriere contenitive”, esca dal controllo e divenga
essa stessa controllore delle persone e delle situazioni. Spesso le crisi
coniugali, anche di coppie con molti anni di matrimonio, ne sono un classico
esempio.
1
Vinerba, R. (2012). L’educazione dei giovani al matrimonio della famiglia. Rivista di Teologia
Morale, 175, 403-408.
2
Borsato, B. (1993). Amore come apprendimento dell’alterità. In Credere, 78,101-113.
3
Alberoni F. (2005). Infatuazione, innamoramento e ... amore: per non dirsi addio! Corriere
della Sera, lunedì 24 ottobre 2005.
4
Alberoni, F. (1985) Innamoramento e amore. Milano: Garzanti.
5
Fromm, E.(1963). L’arte di amare. Milano: Mondadori.