inflazione e distribuzione del reddito
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inflazione e distribuzione del reddito
Inflazione e distribuzione del reddito Massimo Baldini Marzo 2004 Nel corso del 2003, l’indice dei prezzi al consumo per l’intera collettività nazionale (tabacchi inclusi) ha segnato un incremento del 2.7%. Si tratta di un tasso che, come l’anno precedente, ha superato decisamente l’inflazione media degli altri paesi della UE, e quindi tale da destare preoccupazione per la declinante competitività internazionale delle imprese del nostro paese. Il motivo del fortissimo interesse che l’opinione pubblica ed i mezzi di comunicazione hanno mostrato per l’andamento dei prezzi non è però certo rappresentato dalla perdita di competitività dei nostri prodotti sui mercati mondiali. Tutti i sondaggi mostrano che la gente percepisce un tasso di inflazione decisamente superiore a quello ufficialmente rilevato dall’Istat. Diversi centri di ricerca e tutte le associazioni dei consumatori sostengono che il vero tasso di inflazione è un multiplo di quello ufficiale. Come si argomenterà tra breve, è invece probabile che il tasso di inflazione rilevato dall’istat sia tutto sommato più vicino al “vero” tasso di inflazione rispetto a tutte le altre possibili grandezze alternative proposte sulla stampa in questi ultimi mesi. Come sostenuto da alcuni studiosi, ad esempio Trivellato su www.lavoce.info o Gallino su la Repubblica, tuttavia, l’indice dei prezzi al consumo di fonte Istat si riferisce all’incremento del costo di un paniere di beni e servizi che, volendo sintetizzare i comportamenti di spesa di tutti gli italiani, finisce per non corrispondere a quanto comprato da alcuna famiglia in particolare. Ciascuno di noi infatti acquista ogni giorno un proprio peculiare paniere di beni e servizi, il cui costo dipende da numerosi fattori del tutto eterogenei, che il paniere Istat non può per definizione cogliere: i panieri acquistati dalle famiglie non differiscono solo per la loro composizione nelle varie quote di beni e servizi, ma anche per la qualità dei diversi beni, e per il luogo nei quali essi vengono acquistati. E’ molto probabile ad esempio che il pane acquistato presso il negozio posto nel centro storico abbia un prezzo diverso dal pane comprato nell’ipermercato in periferia, o che la giacca in vendita in un grande magazzino costi meno di un capo di migliore qualità comprato in centro città. Tutte queste differenze inevitabilmente si diluiscono fino a scomparire quando si guarda ad un unico indicatore relativo all’intera Italia. Ciononostante, nessun centro di ricerca o associazione di consumatori possiede le capacità tecniche per rilevare i prezzi in modo migliore di quanto faccia l’Istat. Del resto, se davvero l’inflazione raggiungesse le vette indicate da alcune di queste fonti, le famiglie italiane sarebbero andate incontro ad una riduzione di reddito reale mai verificatasi in precedenza; tuttavia negli ultimi due anni l’economia è si in stagnazione, ma non in recessione, e l’occupazione continua, anche se molto lentamente, ad aumentare. L’Istat potrebbe però contribuire a rendere meno rigido l’indice dei prezzi al consumo, cercando di calcolare tassi di inflazione “personalizzati” per alcune particolari tipologie di famiglie, che si presume possano risentire in modo particolare dell’aumento dei prezzi. Si pensi ad esempio ai pensionati, i cui redditi nominali da ormai dieci anni aumentano al solo tasso di inflazione (o anche meno, per le pensioni superiori a 1200 euro mensili): se i pensionati in effetti fossero sottoposti ad un tasso di inflazione maggiore di quello ufficialmente rilevato per l’intera collettività nazionale, essi vedrebbero costantemente ridursi il proprio tenore di vita. 1 E’ possibile calcolare, con le informazioni pubblicamente disponibili, tassi di inflazione differenziati per specifiche tipologie familiari, allo scopo di verificare se in effetti l’inflazione ha colpito alcune famiglie più di altre, modificando in questo modo la distribuzione del reddito? Un calcolo dettagliato che tenga conto di tutte le eterogeneità indicate non è possibile, tuttavia qualche passo avanti può essere fatto se si utilizza l’indagine Istat sui consumi delle famiglie, che ogni anno intervista più di 20.000 nuclei, e si prova ad associare a ciascuno di essi un tasso di inflazione individuale. Nell’indagine Istat sono presenti informazioni sulla spesa mensile in circa 270 beni e servizi, che possono essere associate agli indici di prezzo individuali relativi a circa 208 prodotti che l’Istat diffonde ogni mese sul suo sito. Purtroppo non si può tener conto di alcune dimensioni fondamentali dei comportamenti di consumo a cui si è brevemente accennato, come le qualità dei beni acquistati o i luoghi di acquisto, ma almeno si può valutare, sui tassi di inflazione subiti da ciascuno, l’impatto della diversa composizione dei panieri individuali per beni e servizi acquistati. Il presupposto di questa analisi è ovviamente la presenza di una certa eterogeneità nei tassi di inflazione relativi ai singoli beni e servizi; se tutti i prezzi fossero aumentati a tassi molto vicini, non avrebbe molto senso considerare gli effetti delle differenze nelle quote di spesa individuali. I dati Istat sui prezzi dei vari beni e servizi mostrano invece che i tassi di inflazione per singoli prodotti sono molto diversi, ad esempio i prezzi di frutta e verdura in genere presentano elevati indici di inflazione, così come i pasti fuori casa, mentre i prodotti che rientrano nella voce “comunicazione” hanno registrato, negli ultimi due anni, riduzioni di prezzo. L’analisi che viene qui condotta aggiorna quella presentata nel Rapporto di previsione di settembre 2002, che cercava di valutare l’effetto distributivo degli incrementi dei prezzi misurati nei primi mesi successivi all’introduzione dell’euro. Il periodo che qui consideriamo è più ampio, e comprende la variazione degli indici di prezzo che ha avuto luogo tra il gennaio 2002 ed il gennaio 2004. Ci chiediamo quindi se sia possibile riscontrare un effetto redistributivo dell’inflazione italiana nei primi due anni di vita della moneta unica. Nella parte finale della nota estendiamo l’orizzonte temporale, e applichiamo una metodologia equivalente agli effetti redistributivi dell’inflazione sulle famiglie italiane nel periodo 1985-2003. Gli effetti distributivi dell’inflazione negli ultimi due anni. Come spiegato, l’eterogeneità degli indici personalizzati che possiamo ricostruire è sicuramente una sottostima delle reali differenze nei tassi di inflazione individuali; questo esercizio costituisce comunque un utile passo avanti rispetto alla conoscenza del solo indice dei prezzi al consumo per l’intera collettività nazionale. Se applichiamo alle famiglie dell’indagine sui consumi i tassi di variazione dei prezzi relativi agli ultimi due anni, il tasso medio di inflazione per tutte le famiglie sui due anni risulta uguale al 5,85%, leggermente superiore al 5,3% che si ottiene sulla base degli indici di prezzo ufficiali per l’intera collettività nazionale. Per verificare l’impatto distributivo di questa inflazione, si sono classificate le famiglie in dieci gruppi (decili) di uguale numerosità, definiti sulla base di valori crescenti della spesa non durevole equivalente. Dei beni durevoli si è considerato solo il flusso di beneficio annuo, e non l’intera spesa, per evitare di considerare come benestanti alcune famiglie per il solo fatto di avere effettuato, nell’anno, un acquisto in un bene durevole di rilevante valore, come un’automobile. Per rendere confrontabili i valori delle spese di famiglie di diversa composizione, la spesa è stata rapportata ad una scala di equivalenza, quella Ise, che dovrebbe neutralizzare l’effetto della diversa numerosità familiare. Come la precedente indagine, anche questa analisi conferma che il tasso di inflazione in Italia incide in misura leggermente superiore le famiglie più ricche. Le differenze sono comunque piuttosto contenute. Mentre il 10% più povero ha subito negli ultimi due anni un’inflazione pari al 5.7%, per il decile più ricco il tasso di inflazione è uguale a circa mezzo punto in più, il 6.1%. 2 Tabella 1 – Tassi medi di inflazione per decile di spesa equivalente. Gennaio 2002 - Gennaio 2004 decile 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 Totale 5.71% 5.62% 5.70% 5.80% 5.82% 5.87% 5.89% 6.00% 6.01% 6.13% 5.85% Altre elaborazioni, non presentate per esteso, mostrano che per un quarto del campione il tasso di inflazione è inferiore al 5%, e per un altro 25% è invece superiore al 6,7%. L’inflazione sarebbe superiore per le famiglie degli affittuari rispetto ai nuclei che possiedono la propria abitazione; la differenza sarebbe molto sensibile soprattutto per il 30% meno ricco della popolazione, con un tasso di inflazione superiore di circa mezzo punto a danno degli affittuari. La tabella 2 mostra, dapprima per tutte le famiglie, e poi per i due decili estremi della distribuzione della spesa equivalente, come si forma il tasso medio di inflazione, suddividendolo nei contributi all’inflazione totale forniti da ciascuna voce di spesa. Nella prima colonna, ad esempio, l’inflazione complessiva media del 5.9% è la somma di tutti i valori della stessa colonna. La colonna a fianco esprime questi valori in percentuale della somma. L’ultima colonna presenta l’incremento medio del prezzo per ciascuna categoria, calcolato su tutte le famiglie del campione. Il contributo che ogni categoria fornisce all’inflazione totale dipende da due elementi: l’incremento del prezzo medio per la categoria, e la sua quota sulla spesa totale. Tra le macrocategorie considerate, spiccano gli aumenti di prezzo per frutta e verdura, con un’inflazione media di circa il 17%, e degli altri beni e servizi, con l’8.6%. Quest’ultima categoria contiene, tra le tante, voci quali viaggi e vacanze, articoli di gioielleria, orologi, le spese per la cura personale. Anche gli altri alimentari presentano un tasso di inflazione piuttosto alto, vicino alla media complessiva. 3 Tab. 2 – Contributo all’inflazione delle diverse categorie di beni e servizi, per tutta la popolazione e per i decili estremi. Gen. 2002 - Gen. 2004 tutte le famiglie primo decile decimo decile contributo Contributo perc. contributo Contributo perc. contributo Contributo perc. incremento all'inflazione all’inflazione all'inflazione all’inflazione all'inflazione all’inflazione medio complessiva complessiva complessiva complessiva complessiva complessiva del prezzo Alimentari 1.2% 20% 1.8% 31% 0.6% 10% 5.4% Frutta e verdura 0.9% 15% 1.3% 23% 0.5% 8% 16.8% Bevande alcoliche 0.1% 1% 0.1% 1% 0.1% 1% 4.0% Bevande non alcool. 0.1% 1% 0.1% 1% 0.0% 1% 4.5% Tabacchi 0.2% 4% 0.3% 5% 0.1% 2% 6.8% Vestiario e calzature 0.4% 7% 0.2% 4% 0.5% 8% 3.9% Abitazione 0.4% 7% 0.6% 10% 0.6% 10% 3.2% Mobili 0.2% 4% 0.2% 3% 0.3% 5% 3.8% Energia el. E comb. 0.1% 2% 0.2% 4% 0.1% 1% 1.6% Trasporti 1.0% 16% 0.8% 15% 0.8% 13% 6.5% Comunicazioni -0.5% -8% -0.6% -11% -0.3% -5% -14.4% Istruzione 0.1% 2% 0.0% 0% 0.2% 3% 1.2% Servizi sanitari 0.1% 1% 0.0% 0% 0.2% 3% 0.1% Servizi ricreativi 0.2% 4% 0.1% 2% 0.3% 4% 3.6% Pasti fuori casa 0.2% 4% 0.1% 2% 0.3% 5% 5.2% Altri beni e servizi 1.1% 18% 0.5% 9% 1.8% 29% 8.6% Totale 5.9% 100% 5.7% 100% 6.1% 100% 5.9% Per il totale delle famiglie italiane, quattro sole categorie di spesa spiegano circa il 70% dell’incremento complessivo dei prezzi. Si tratta degli alimentari (escluse frutta e verdura), che contribuiscono alla formazione dell’inflazione complessiva con 1.2 punti percentuali, che corrispondono ad un quinto del valore totale, della frutta e verdura, che aggiungono un altro 15%, dei trasporti (che comprendono anche le assicurazioni auto) con il 16%, ed infine degli altri beni e servizi, con il 18%. Al variare del benessere della famiglia, cambia il paniere tipo acquistato, e si modifica quindi l’influenza di ciascuna voce di spesa sull’inflazione personalizzata. Per il 10% più povero delle famiglie italiane, ad esempio, alimentari e frutta e verdura contribuiscono a circa la metà dell’inflazione totale, mentre per il 10% più ricco queste componenti spiegano meno del 20% della loro inflazione media. Ciononostante, per il decile più ricco il tasso di inflazione medio è solo leggermente più elevato di quello relativo al 10% più povero. La ragione sta nel fatto che delle quattro voci che si è visto contribuiscono al 70% dell’inflazione totale, due, alimentari e frutta e verdura, sono molto pesanti nel paniere dei poveri, ed una, gli altri beni e servizi, occupano una quota rilevante del paniere dei ricchi. La ridotta differenza tra i tassi medi individuali di inflazione per i decili estremi, osservata anche nella Tabella 1, nasconde quindi effetti di composizione molto forti e divergenti: l’inflazione per il primo decile è governata soprattutto dall’aumento del prezzo degli alimentari in genere, mentre un ruolo ridotto è giocato dall’incremento elevato del prezzo della voce altri beni e servizi. Quest’ultima ha invece un effetto decisivo sull’inflazione sperimentata dai più ricchi, che invece risentono in misura solo marginale degli incrementi dei prezzi dei generi alimentari. La tabella 3 cerca di valutare, in prima approssimazione, gli effetti di questi livelli inflazionistici sul reddito reale delle famiglie italiane. Una analisi più dettagliata, sui dati Istat dei consumi delle 4 famiglie, è resa complicata dalla scarsità e ridotta qualità delle informazioni relative ai redditi delle famiglie. Se consideriamo che negli ultimi due anni le retribuzioni nominali di fatto sono aumentate del 6%, è possibile concludere che per i lavoratori dipendenti in genere il reddito reale negli ultimi due anni è rimasto sostanzialmente inalterato. Sempre dall’indagine sui consumi, è possibile stimare che per quasi il 50% delle famiglie di lavoratori dipendenti il tasso di inflazione individuale risulta tuttavia superiore al 6%, e che circa il 10% di esse ha subito una riduzione di reddito reale superiore al 2%. Quanto ai pensionati, nell’ultimo biennio le pensioni nominali inferiori a circa 1200 euro mensili sono aumentate del 4,8%, ancora meno quelle superiori ai 1200 euro. Il 77% dei nuclei con persona di riferimento in pensione ha subito una riduzione del reddito reale, essendo caratterizzata da un tasso di inflazione individuale superiore al 4,8%. Anche considerando, per quanto possibile, tassi di inflazione personalizzati, risulta quindi che una buona parte delle famiglie italiane dovrebbe aver subito, negli ultimi due anni, una riduzione del proprio benessere materiale, inteso come possibilità di disporre di risorse. Mentre per le famiglie degli attivi una inflazione individuale effettiva superiore a quella stimata dall’Istat può avere effetti tutto sommato modesti, per la possibilità di una crescita del reddito reale da lavoro, per quelle dei pensionati la situazione è molto più critica: se l’inflazione individuale è maggiore di quella media che l’Inps usa per rivalutare le pensioni, il pensionato subisce una riduzione di reddito reale che non può in alcun modo essere recuperata. Tab. 3 – Inflazione e reddito reale delle famiglie. Gen. 2002 - Gen. 2004 Professione del capofamiglia Tasso medio di inflazione Quota di famiglie con inflazione superiore al tasso medio generale Quota di famiglie che hanno subito una riduzione del reddito reale Dipendente Indipendente Pensionato 5.97% 5.95% 5.73% 53% 54% 47% 48% 49% 77% Finora abbiamo considerato gli effetti distributivi dell’incremento dei prezzi che ha avuto luogo negli ultimi due anni. Applicando lo stesso schema alle indagini Istat sui consumi delle famiglie relative ad anni precedenti, è possibile ampliare l’orizzonte di analisi e verificare le tendenze di lungo periodo delle disuguaglianze, se hanno avuto luogo, nei tassi individuali di inflazione. Il costo che si paga in questo tentativo è il ricorso ad un minor livello di dettaglio nella imputazione degli indici di prezzo alle categorie di beni, dal momento che per gli anni anteriori al 2001 è disponibile solo un minor numero di prezzi per singole categorie di beni. La fig. 1 mostra la variazione complessiva cumulata del costo della vita per tutte le famiglie, e per i tre decili della distribuzione della spesa equivalente di ciascun anno, i due estremi e quello intermedio. Il primo decile individua il 10% di famiglie con minore spesa equivalente. Anche se di poco, i prezzi sembrano essere costantemente aumentati più per le famiglie ricche, soprattutto negli ultmi anni: alla fine del ventennio considerato i nuclei appartenenti al 10% più ricco hanno visto i prezzi aumentare di circa un 7% in più rispetto al decile più povero. I prezzi dei beni “di lusso” hanno evidentemente subito un maggior incremento medio. Si può osservare anche il deciso rallentamento dell’inflazione nella seconda parte dello scorso decennio. Le differenze tra i tassi cumulati per le diverse categorie di spesa equivalente sono comunque molto contenute. 5 Fig. 1 - Indice cumulato del costo della vita per tute le famiglie e per alcuni decili di spesa equivalente – 1984=1 2.6 2.4 totale primo decile 2.2 decimo decile 2 1.8 1.6 1.4 1.2 2003 2001 1999 1997 1995 1993 1991 1989 1987 1985 1 6