Review sistematiche, sintesi theory-driven e utilizzazione
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Review sistematiche, sintesi theory-driven e utilizzazione
Review sistematiche, sintesi theory-driven e utilizzazione delle evidenze. Il caso dei programmi di prevenzione (Pubblicato nel n.35/2007, RIV Rivista Italiana di Valutazione, Franco Angeli) Dicembre 2006- Liliana Leone1 Introduzione Le questioni della produzione e dell’utilizzazione delle evidenze d’efficacia dei programmi di prevenzione in ambito socio-sanitario rappresentano dei temi che vedono impegnati in un acceso dibattito operatori sociosanitari, policy makers e ricercatori. Le criticità riguardano sia la natura delle ‘evidenze’ e il processo sottostante alla di cumulazione delle conoscenze, sia i processi di diffusione e utilizzazione delle conoscenze prodotte dalle revisioni sistematiche (Bernhardt 2003, Boaz, Solesbury, Sullivan 2004, Pawson 2006, Petticrew 2003, Solesbury 2001, Rychetnik, Frommer 2002). Una revisione sistematica è definibile come cumulazione e sintesi dei risultati emersi da numerose ricerche e valutazioni allo scopo di determinare se un dato intervento o trattamento funziona o meno; si tratta di una nuova forma di produzione di conoscenza ‘autoritativa’ nell’area della sanità, dell’educazione e dei servizi sociali che a partire dagli inizi degli anni ’90 è andata incontro ad un progressivo processo di istituzionalizzazione (Hansen, Rieper 2006). Le conoscenze prodotte dalle revisioni sistematiche vengono indicate come ‘evidenze’ che vengono diffuse allo scopo di promuovere decisioni politiche e pratiche professionali maggiormente informate. Nell’articolo2 vengono illustrate le origini e le caratteristiche salienti di alcuni orientamenti che, muovendosi sotto il comune denominatore dell’“evidence movement”, realizzano con metodologie diverse una sintesi della produzione scientifica; indicheremo i principali filoni di ricerca e le specificità connesse al settore della sanità pubblica e in modo più specifico ai programmi di prevenzione delle dipendenze. Vengono in particolare confrontati e discussi due metodi di revisione sistematica: la meta-analisi e la sintesi realista (Pawson 2006). Accogliendo alcune indicazioni sviluppate dalla sintesi realista, e dal movimento della Evidence Based Policy, si descrivono in seguito alcuni passaggi della metodologia utilizzata in una valutazione realizzata in tre regioni del Nord Italia nell’ambito del progetto di ricerca-azione Re-Ligo; si rimanda il lettore interessato all’approfondimento dei risultati ad un recente testo di Leone e Celata (Leone, 1 Responsabile Studio CEVAS, Docente a contratto Facoltà Sociologia- Università di Roma “La Sapienza”. Studio: Via Calpurnio Fiamma 9, 00175 Roma, Tel +39 069422505 Cel 3494210845 Sito www.cevas.it E mail [email protected] 2 Il contributo rappresenta una rielaborazione di un paper presentato all’VIII Congresso dell’AIV (Catania 17-19 marzo 2005 ) in cui ho proposto e curato insieme a M. Palumbo una sessione sul tema “Valutare la prevenzione”. Sono riconoscente a Nicoletta Stame per i continui stimoli culturali e confronti, per avermi spinto a considerare il ruolo della teoria nella valutazione. 1 Celata 2006)3. Nella fase antecedente il progetto sono state ri-codificate e riaggregate le evidenze offerte dalle maggiori revisioni sistematiche e linee guida in materia di prevenzione delle dipendenze. Tali evidenze sono state in seguito ‘incorporate’ all’interno della valutazione che ha interessato 11 ASL del nord Italia ed utilizzate come parametro di riferimento per giudicare l’adeguatezza delle metodologie di intervento adottate in un campione di 122 progetti. Nel lavoro si propone un parallelismo tra la nozione di strategia applicata ai diversi approcci di prevenzione e la nozione di “famiglia di meccanismi” propria della sintesi realista (Pawson 2006). La sistematizzazione delle evidenze attraverso la nozione di ‘strategia di intervento’ sembra favorire l’utilizzazione delle evidenze in quanto maggiormente in grado di influenzare le teorie implicite e esplicite degli operatori e dei decisori. Il processo di diffusione ed utilizzazione delle conoscenze è, infatti, meno semplicistico e lineare di quanto inizialmente assunto dai promotori del movimento dell’‘evidenza’, non risponde a logiche autoritative e monodirezionali ma piuttosto a logiche di diffusione, contaminazione e influenza indiretta. L’uso delle evidenze nelle pratiche professionali come nei processi di programmazione viene favorito da un approccio user-led (Boaz, Pawson 2006), attento cioè al coinvolgimento diretto dei diversi stakeholder interessati alla programmazione e gestione di interventi di prevenzione, e dalla promozione di processi di produzione e diffusione di conoscenze ‘contestualizzate’. Con il termine contestualizzate ci si riferisce sia a conoscenze di carattere relazionale connesse a modalità di integrazione e coordinamento tra diverse agenzie territoriali (es. Presenza o assenza di coordinamenti istituzionalizzati), sia a conoscenze derivate dall’analisi dei fenomeni (es: dati di prevalenza), dei problemi oggetto di intervento e delle caratteristiche del sistema di offerta (es: durata, costo, tipologia di promotore, finanziamento, target raggiunto, attività prevalenti). 1. Alla ricerca delle evidenze: dall’EBM al movimento dell’ evidence based policy Negli ultimi anni si è sviluppato un vivace dibattito inerente le modalità atte a produrre delle prove d’efficacia in sanità pubblica e in altri settori, in grado cioè di fornire ad operatori del settore e dirigenti solide basi che giustifichino le attività degli operatori sanitari e, al contempo, di orientare le scelte di sanità pubblica dei policy maker. Tale dibattito è stato caratterizzato dallo sviluppo di una molteplicità di ricchi e stimolanti contributi solo parzialmente sovrapponibili. Senza alcun intento classificatorio ricordo solamente che la stessa terminologia presente nel dibattito testimonia l’ampiezza di tali sviluppi: l’Evidence Based Medicine o EBM, l’Evidence Based Health Care, l’Evidence Based Prevention EBP (Bernhardt 2003), l’Evidence Based Practice (Rychetnik, Frommer, 2002), Evidence Based Public Health EPPH (CDC, 1996), Evidence Based, Health Promotion, Evidence Based Social Work o EBSW (Mullen 2005), 3 La sezione del sito di Cevas www.cevas.it/bibliografia_e_link/valutazione_tossicodipendenze/index.htm è stata dedicata alla presentazione e messa a disposizione di materiali su evidenze di efficacia e valutazione nell’area della prevenzione delle dipendenze. 2 Evidence Based Policy (Pawson 2002 b, Boaz 2005), Evidence Based Policy and Practice o EBPP (Davies, Nutley, 2001). Negli anni ’70, 80’ psicologi e scienziati sociali hanno sviluppato delle procedure sistematiche per minimizzare errori casuali o sistematici nella revisione delle ricerche e nel settore sanitario a partire dagli anni ’80 si è iniziata a sviluppare un’attenzione sempre crescente alla questione della qualità delle review. Anche nel settore delle scienze sociali si sono sviluppate una serie di iniziative che si pongono l’obiettivo di raccogliere e sistematizzare attraverso meta-analisi, narrative reviews, sintesi realiste, strategie EPPI, le evidenze di efficacia nell’area delle politiche educative, per la giustizia e dei servizi sociali. A livello internazionale ricordo negli USA la Campbell collaboration fondata nel 1999 in memoria di Donald Campbell, che si occupa di redigere revisioni sistematiche di studi nei settori del sociale e dell’educazione, e in Inghilterra l’EPPI– Centre (Evidence for Policy and Practice Information Co-ordinating Centre) (Eppi Centre 2001, Oakley et Al. 2005) per quanto riguarda le aree dell’istruzione, educative e della promozione della salute. Il Governo laburista inglese ha ulteriormente contribuito alla popolarità del movimento basato sulle evidenze. Nei documenti ufficiali in cui indicava le sette caratteristiche per la modernizzazione delle politiche citava la necessità che fossero ‘basate su tutte le migliori evidenze a disposizione’ (Cabinet Office 1999): la parola d’ordine divenne il miglioramento dei servizi (‘delivery, delivery, delivery’) e il cambiamento radicale dei servizi di front–line relativamente ai processi di implementazione ed alla formulazione di nuovi programmi. Gran parte delle diverse sfumature connesse al dibattito sulle evidenze di efficacia deriva dall’ambito in cui esso si sviluppa e dall’oggetto cui si riferiscono le ricerche. Nel settore della medicina clinica, ove si sviluppa la EBM, l’oggetto di analisi è un singolo intervento o un procedimento fortemente standardizzato di tipo clinico che interessa singoli pazienti ed i quesiti alla base di una review sistematica sono formulati in modo simile a: ‘il fluoro può aiutare a prevenire le carie nei bambini?’ oppure ‘gli antibiotici possono ridurre i sintomi del mal di gola?’4. Nella medicina di comunità oggetto di analisi privilegiato sono invece i programmi di sanità pubblica, i programmi di promozione della salute e di prevenzione od anche i servizi sanitari. Nella letteratura sulle evidenze prodotta da epidemiologi e ricercatori di sanità pubblica (Bernhardt 2003) la specificità dal punto di visto metodologico tende a definirsi in parte per contrasto rispetto ad alcuni limiti percepiti nella EBM; le motivazioni addotte riguardano in genere la maggior complessità dei setting della sanità pubblica in rapporto ai setting clinici o di laboratorio e, di conseguenza, l’impossibilità nella maggior parte dei casi di utilizzare, per motivazione d’ordine metodologico, etico e pratico, il modello di ricerca sperimentale tipico del laboratorio e della sperimentazione clinica umana. Inoltre la Evidence Based Health Care, ha come target ideale l’amministratore sanitario e tende maggiormente a rivolgersi a coloro che hanno responsabilità nella programmazione e organizzazione dei servizi sanitari diversamente dalla EBM che si rivolge prioritariamente al clinico. Secondo Sara Bernhardt (Bernhardt 2003) a partire dagli anni 80 nella health care sono stati introdotti concetti, come la qualità e l’attenzione ai costi, che hanno incontrato una notevole popolarità ma hanno avuto anche il difetto di creare una separazione tra giudizi attinenti al “far 4 Esempi tratti da presentazione in .ppt della Cochrane Library in http://www3.interscience.wiley.com/homepages/106568753/6 (accesso 9.08.2005) 3 bene le cose” da quelli attinenti al merito dei programmi e cioè alle “cose giuste da fare”. Giudizio quest’ultimo, che è stato delegato ai clinici. Nell’assistenza sanitaria e nella “sanità pubblica” il salto che viene compiuto riguarda il fatto che i principi della ‘evidence’ vengono applicati non a singoli casi clinici ma alle comunità: tale salto compiuto in tempi recenti è dovuto in particolare alle ricerche di Muir Gray e all’esperienza realizzata dal sistema sanitario inglese (NHS) ed è sostenuto anche dalla “Carta di Lubiana” promossa dall’OMS che fornisce un quadro di riferimento politico per l’assistenza sanitaria basata sulle evidenze di efficacia. In tali settori sono predominanti altre discipline (es: in primis l’epidemiologia) che per certi versi condividono con la sociologia, l’economia, la psicologia e la politologia una maggiore attenzione al ruolo del contesto culturale, sociale, economico. Il contesto in tali settori non è inteso necessariamente come variabile ‘confondente’ possibilmente da controllare o limitare ma piuttosto come setting ineliminabile e che anzi, condizionando profondamente modalità di implementazione ed esiti di determinati programmi, entra in gioco quale fattore esplicativo di enorme interesse per chi ha ruoli di programmazione. Il merito della Evidence Based Practice (Rychetnik, Frommer 2002) introdotta da un gruppo australiano alla fine del 1999 nel settore della prevenzione (v. dell’incidentalità, dell’abuso di sostanze, salute sessuale e riproduttiva, salute mentale, stili di vita e salute) sarebbe quello “di aver unito la cultura “clinica” delle revisioni sistematiche di letteratura e di aver preso in considerazione l’ambiente, lo scenario e le sue influenze sull’intervento stesso e quindi sugli outcome di salute raggiunti. (…) Diversamente dagli sforzi cui assistiamo in campo clinico, tesi ad isolare quasi come in un laboratorio gli individui su cui i ricercatori intervengono, qui, ci sforziamo di prendere in considerazione, di analizzare e di ponderare il contesto. (…)”. ( Bernhardt, p. 26, 2003) Nei testi dedicati alla Evidence Based Prevention si fa esplicito riferimento alla necessità di “Aprire la black box dei programmi e testare sul campo il metodo”. (Bernhardt, p.51, 2003); si noti che si tratta di una nozione ampiamente discussa, a partire dagli anni ’70, dalla letteratura sulla valutazione ed in particolare dal filone della ‘theory driven’ e della ‘theory based evaluation’ (Stame 1998, Stame 2004). Nella valutazione dei programmi di sanità pubblica, diversamente dal settore clinico, gli stessi protagonisti5 lamentano una eccessiva segmentazione del dibattito scientifico all’interno di canali editoriali propri dei singoli settori e discipline e vi è una maggior apertura nei confronti dell’uso di metodi misti di valutazione, e di approcci valutativi sviluppati nell’ambito di altre discipline e politiche pubbliche. 2. Le revisioni sistematiche Le revisioni sistematiche rappresentano, come osservato in precedenza, lo strumento più noto e diffuso degli approcci evidence-based; scopo di tali revisioni è la sintesi dei risultati, delle evidenze di efficacia, che provengono da ricerche empiriche e in particolare da studi ritenuti di buona qualità e la riduzione al minimo di errori sistematici nell’estrazione degli stessi. (Cruciani, p.601, 2004) 5 Per valutare un progetto di sanità pubblica realizzato dai Dipartimenti di Prevenzione delle ASL (Progetto SALeM- ISS Istituto Superiore di Sanità) sono state, infatti, utilizzate diverse metodologie in relazione alle diverse componenti del progetto stesso: l’analisi storica narrativa, la revisione sistematica della letteratura scientifica, survey tra esperti, analisi dei dati di monitoraggio, stakeholders’ analisi e la valutazione di esperti indipendenti. 4 La meta-analisi consiste in tecniche statistiche per mettere assieme i risultati numerici provenienti da due o più studi e nelle linee guida ICH96 viene definita come “la valutazione formale dell’evidenza quantitativa di due o più esperimenti riferiti allo stesso quesito”. Essa rappresenta la versione tuttora dominante delle revisioni sistematiche; affonda le sue radici nel movimento della scienza medica basato sulle evidenze empiriche, anche EBM, e sulla necessità di giungere a solide dimostrazioni in campo clinico aumentando la potenza e la generalizzabilità di singoli studi clinici e la valutazione dei rischi associati con l’impiego, ad esempio, di un determinato farmaco. Lo sviluppo di nuove cure o la sperimentazione sull’efficacia di determinati procedimenti clinici o di farmaci prosegue attraverso la comparazione dei risultati forniti da molte centinaia di studi. Si tenga conto che la produzione scientifica nel settore della clinica medica, e di quello più ampio della sanità pubblica, è letteralmente immensa e che sin dagli albori della Cochrane collaboration, con gli studi storici di Archibald Cochrane, si è avvertita l’esigenza di capitalizzare e sintetizzare apprendimenti e conoscenze sviluppati grazie a molte migliaia di ricerche. Da un’analisi compiuta una decina di anni fa risultava che solo nel settore della letteratura biomedica, oltre due milioni di articoli venivano annualmente pubblicati in oltre 20.000 riviste: si tratta di un quantitativo di produzione cartaceo pari a circa una collina di 500 metri! (Mulrow 1994) L’esigenza di sintetizzare la mole di conoscenze spiega la forte crescita del numero di revisioni sistematiche; nel solo Cochrane Database of Systematic Reviews (Cochrane Reviews) troviamo nell’agosto del 2005 ben 4041 records di cui 2435 relativi a review complete. Le review sistematiche cercano di rilevare in modo esplicito e con procedure standard quali interventi funzionano o meno e come funzionano; esse vengono realizzate per una serie di ragioni diverse e in genere includono i seguenti step: • la focalizzazione su domande e specifiche questioni a cui lo studio intende dare risposta; • l’utilizzo di un protocollo come guida del processo di revisione; • la ricerca della maggior parte possibile di letteratura rilevante rispetto ai quesiti; • la misurazione del grado di qualità delle ricerche da includere (o escludere) nella revisione; • la sintesi dei risultati delle ricerche incluse; • l’aggiornamento costante il miglioramento e la diffusione della review. Alcuni focus rilevanti nel processo di revisione sistematica riguardano la condivisione di criteri comuni attraverso cui giudicare la qualità degli studi primari, delle ricerche da includere nelle revisioni sistematiche; il reperimento delle evidenze e del livello di informatività degli studi, il grado di evidenza da essi fornito in merito ad esempio all’efficacia di un determinato intervento o programma e, infine, il procedimento che si utilizza nel processo di cumulazione delle conoscenze e per la sintesi delle ‘evidenze’. Il revisore attraverso l’utilizzazione di una serie ben definita di standard, introdotti tramite protocolli di ricerca promossi da organismi riconosciuti a livello internazionale, identifica gli studi che possono rientrate all’interno della revisione sistematica, estrae gli esiti di ciascun esperimento confrontando la deviazione standard del gruppo trattato da quella del gruppo di controllo, e utilizza delle tecniche 6 Le linee guida ICH vengono elaborate nell’ambito delle International Conferences on Harmonization of Technical Requirements for Registration of Pharmaceuticals for Human Use (ICH); esse sono valide nei paesi della Comunità Europea, in USA e Canada e in Giappone. Note far Guidance on Statistical Principles for Clinical Trials. ICH 9. London, England: European Agency for the Evaluation of Medical Products, 1998. 5 statistiche per aggregare i risultati e giungere a identificare gli effetti netti di ciascuna classe di programmi. Esiste una forte condivisione tra i due maggiori network deputati alla produzione delle evidenze, la Campbell e la Cochrane, circa i criteri atti a giudicare la qualità del disegno di ricerca e a produrre una ‘gerarchia delle evidenze’ (Hansen, 2006); il criterio cardine è quello che viene definito il “golden standard”. Il disegno di ricerca ritenuto dalla meta-analisi metodologicamente superiore è l’esperimento con gruppo di controllo randomizzato - RCT (v. “Golden standard” riferito al Random Control Trial) e “a doppio cieco” (assegnazione casuale sia del paziente al gruppo sperimentale o di controllo che di colui che somministra il trattamento, in genere il clinico). Sebbene siano presi in considerazione anche altri tipi di disegni di ricerca il criterio principe che guida la scelta non è la pertinenza del metodo ma la presenza di studi RCT di buona qualità e comunque studi che adottano altri disegni di ricerca vengono in genere giudicati meno informativi e di rango inferiore. Tra le criticità delle revisioni sistematiche segnalate da molti autori, non solo nell’ambito della sanità pubblica e alla base dello sviluppo di metodi alternativi (Narrative review, Sintesi realista, strategie EPPI, revisione etnografica), distinguiamo due livelli: • il primo riguarda il potere informativo che queste possiedono, e cioè la capacità di mantenere le promesse e di fornire ai policy maker e ai professionisti indicazioni per orientare in modo più efficace gli interventi; • il secondo, più rilevante, riguarda la correttezza di alcuni assunti metodologici e alcune criticità relative alle tecniche di revisione sistematica. La meta-analisi rappresenta la tecnica più nota e la versione dominante delle revisioni sistematiche e per tale ragione su di essa concentreremo l’attenzione. Analizziamo separatamente nei prossimi due sotto paragrafi tali aspetti. 2.1 Il potere informativo delle revisioni sistematiche Ci chiediamo ora: in questi studi che tipo di evidenze sono offerte ai decisori e in che modo possiamo trarne indicazioni per architettare meglio futuri programmi di prevenzione? Concentreremo l’analisi sul settore della prevenzione delle dipendenze da sostanze lecite e illecite. Tra le review sistematiche più accreditate sulla prevenzione delle dipendenze troviamo quelle realizzate dall’Organizzazione Mondiale della Sanità WHO (Hawks D. et Al. 2002) e altre inserite nella Cochrane Lybrary7 e nel database del British Medical Journal (BMJ); si noti che solo alcune utilizzano unicamente tecniche quantitative di meta analisi per trarre evidenze di efficacia e che anzi molte revisioni di organismi internazionali sul tema della prevenzione delle dipendenze come il NIDA National Institute on Drug Abuse (NIDA, 2003) e il CSAP Centre for Substance Abuse Prevention (Brounstein, Zweig, Gardner 1998) si basano 7 La Cochrane Collaboration è una organizzazione internazionale no-profit fondata nel 1992 nel Regno Unito con l’obiettivo di produrre, aggiornare e diffondere revisioni sistematiche della letteratura scientifica nei diversi ambiti dell’assistenza sanitaria. Le revisioni sistematiche sono documenti elettronici aggiornati 2 volte l’anno che sintetizzano, valutandoli, i risultati degli studi sperimentali sull’efficacia dei trattamenti. Il Gruppo Cochrane su Droghe ed Alcol è stato fondato nel 1998 e si avvale di 7 editori in diversi paesi e di una base editoriale presso il Dipartimento di Epidemiologia della ASL RME a Roma. 6 anche su altri criteri di revisione, su meta analisi qualitative e su procedure basate sul consenso tra esperti. Osserviamo di seguito un esempio della difficoltà che abbiamo incontrato quando si è cercato di utilizzare i risultati delle revisioni sistematiche nel settore della prevenzione delle dipendenze al fine di trarne delle raccomandazioni per programmatori, operatori e amministratori. Innanzitutto dobbiamo segnalare una scarsa conoscenza tra gli addetti al settore delle diverse revisioni realizzate aventi come oggetto l’efficacia della prevenzione delle dipendenze e della riduzione del danno e la scarsa diffusione di lavori sviluppati a tale scopo da alcune regioni (Orlandini, Nardelli, Bottignolo 2002). Un’eccezione a tale osservazione è data dalle linee guida del NIDA che sono state diffuse anche in versione italiana e che tuttavia non sono di per sé revisioni sistematiche ma rielaborano i risultati delle valutazioni in termini di raccomandazioni e ‘principi’ per la progettazione di interventi di prevenzione delle dipendenze. A tale problema segue anche una scarsissimo riferimento e utilizzo delle evidenze di efficacia nell’ambito dei processi decisionali e della produzione di indirizzi e linee guida da parte di regioni e ASL. Si tratta di lavori ampi, talvolta complessi e di difficile consultazione, anche se relativamente facilmente reperibili. Le review presenti nella Cochrane Lybrary dedicate alla prevenzione dell’abuso di sostanze lecite e illecite, a dispetto della rilevanza sociale dei fenomeni di dipendenza e consumo problematico e del crescente allarme espresso da media, decisori pubblici e professionisti del settore, sono ad oggi piuttosto ridotte. Una delle motivazioni addotte dai ricercatori riguarda la carente qualità dei disegni di ricerca basati sull’approccio sperimentale. . Abbiamo tratto dal database della Cochrane Lybrary e del British Medical Journal (BMJ) alcune recenti review sull’efficacia dei programmi preventivi relativi a consumo di alcolici, di tabacco, infezione HIV, incidentalità stradale. Abbiamo privilegiato studi aventi come oggetto l’efficacia di interventi preventivi e non ad esempio l’influenza negativa della pubblicità sui tabacchi; gli studi selezionati e analizzati riguardano: 1. programmi educativi in ambito scolastico finalizzati alla prevenzione del fumo8; 2. efficacia di programmi che utilizzano i mass media per prevenire il fumo9; 3. programmi basati sullo sviluppo della Comunità 10; 4. programmi basati sulla restrizione delle vendite al dettaglio di tabacchi ai minori11; 5. uno studio sull’efficacia degli autovelox quale intervento di prevenzione degli incidenti stradali12; 6. uno studio su programmi di prevenzione dell’abuso di alcool13; 7. uno studio sull’efficacia di interventi di prevenzione dell’HIV rivolti a persone gay;14 8 Thomas R. School-based programmes for preventing smoking. The Cochrane Database of Systematic Reviews 2002, Issue 2. Art. No.: CD001293. DOI: 10.1002/14651858. 9 Sowden AJ, Arblaster L. Mass media interventions for preventing smoking in young people. The Cochrane Database of Systematic Reviews 1998, Issue 4. Art. No.: CD001006. DOI: 10.1002/14651858. 10 Sowden A, Arblaster L, Stead L. Community interventions for preventing smoking in young people. The Cochrane Database of Systematic Reviews 2003, Issue 1. Art. No.: CD001291. DOI: 10.1002/14651858. 11 Stead LF, Lancaster T. Interventions for preventing tobacco sales to minors. The Cochrane Database of Systematic Reviews 2005, Issue 1. Art. No.: CD001497. DOI: 10.1002/14651858.CD001497.pub2. 12 Paul Pilkington, Sanjay Kinra, Effectiveness of speed cameras in preventing road traffic collisions and related casualties: systematic review, doi:10.1136/bmj.38324.646574.AE 2005;Vol 330;331-334 13 Foxcroft DR, Ireland D, Lister-Sharp DJ, Lowe G, Breen R. Primary prevention for alcohol misuse in young people. The Cochrane Database of Systematic Reviews 2002, Issue 3. Art. No.: CD003024. DOI: 10.1002/14651858. 14 A.J.P. Billington, A.J Copas, L.French, P.D French and J. Imrie, .JM Stephenson, F.M Cowan, S.Wanigaratne, A cognitive behavioural intervention to reduce sexually transmitted infections among gay men, doi:10.1136/bmj.322.7300.1451, 2001;322;1451-1456 BMJ 7 8. e uno studio sull’efficacia degli interventi pilota basati su schemi di pagamento dei medici di base per la riduzione del fumo.15 Da un primo confronto delle diverse conclusioni a cui sono pervenute le review sull’efficacia degli interventi preventivi emergono alcuni elementi ricorsivi: ⇒ pur in presenza talvolta di studi ritenuti di buona qualità le evidenze di efficacia delle review considerate sono quasi sempre considerate dagli autori molto deboli (Casi review 2,3,6,8 Allegato) o dubbie; ⇒ nella metà dei casi (Casi 4,6,7,8) si segnalano problemi dovuti alla scarsa qualità del disegno di ricerca sperimentale e alla mancanza di gruppi di controllo con assegnazione casuale dei soggetti o la scarsa considerazione di variabili confondenti. In due casi si suggerisce di ripetere sperimentazioni più accurate prendendo meglio in considerazione l’influenza di fattori connessi a culture di appartenenza, stadio del consumo e cosivvia; ⇒ gli unici due studi, sugli otto presi in considerazione, che hanno individuato evidenze di efficacia delle politiche di prevenzione, riguardano la parziale efficacia di misure volte a disincentivare la vendita al dettaglio delle sigarette e, in parte, le campagne preventive tramite media (Casi 1 e 2). In un terzo caso si segnala il programma “Strengthening Families Programme” che propone interventi formativi volti allo sviluppo di skill “culturalmente focalizzate”. Il dubbio che sarebbe potuto sorgere a seguito di questi risultati era: i programmi che disincentivano i comportamenti ritenuti dannosi per la salute basati su campagne pubblicitarie e le misure sanzionatorie relative all’offerta devono considerarsi strumenti da privilegiare nella programmazione di politiche preventive nel settore della salute (Consumo alcol, tabacco, infezione HIV, incidenti stradali)? Oppure la prevenzione che utilizza approcci d’educazione alla salute, e le misure che intendono modificare le prassi di segmenti del sistema sanitario (v. schemi di pagamento dei medici), hanno una maggior complessità e pongono problemi di “valutazione dell’efficacia” maggiori? Concordiamo con la Petticrew, una rappresentante del movimento dell’Evidence Based Policy, secondo cui l’ironia vuole che review finalizzate ad offrire evidenze di efficacia concludano spesso affermando che esistono limitate evidenze di efficacia, lasciando così i ricercatori, i policy maker e gli operatori cui si rivolgono, confusi e frustrati (Petticrew, 2003). 2.2. Alcuni limiti metodologici delle meta-analisi Per comprendere la logica sottostante al procedimento della meta-analisi, e quindi le ragioni alla base di alcune critiche e di altre proposte, occorre considerarne gli assunti sottostanti e cioè: 1. i trattamenti sono concreti, circoscritti e riproducibili; 2. i soggetti beneficiari hanno un ruolo prevalentemente passivo e i trattamenti funzionano in modo indipendente dal loro giudizio (o a tal fine si possono controllare effetti placebo); 3. l’esperimento con gruppo di controllo rappresenta la prova aurea; 4. i risultati vengono raggruppati attraverso processi di aggregazione; 5. gli esiti sono identificabili senza eccessiva ambiguità e codificati in modi simili; 6. la revisione sistematica deve fornire elementi per una generalizzazione empirica e durevole. 15 T.Coleman, Alison T Wynn, S.Barrett, A.Wilson and S.Adams, Practitioners' antismoking advice to smokers promotion payment aimed at increasing general Intervention study to evaluate pilot health, doi:10.1136/bmj.321.7257.355, 2000;321;355-358 BMJ 8 Secondo Pawson i primi due assunti alla base delle revisioni sistematiche sono semplicemente errati per quanto riguarda i programmi sociali; laddove trattiamo programmi complessi (es: i programmi di prevenzione) diventa meno sostenibile presumere che l’intervento sia caratterizzato da trattamenti, come nel caso di alcune cure mediche, altamente standardizzati e facilmente riproducibili e sostenere che il raggruppamento dei risultati possa eliminare le variazioni contingenti (casuali) che sorgono nell’applicazione sul campo. Il modello della black box è stato già ampiamente criticato (Pawson, Tilley 1997, Stame 1998, 2004); i programmi sociosanitari non sono altamente riproducibili e le variazioni contingenti che sorgono nell’implementazione sul campo non sono necessariamente “casuali”: esistono fattori che attengono a come gli operatori interpretano il programma in determinate situazioni o a come diversi sottogruppi dei beneficiari reagiscono alla proposta che possono esser oscurati dalle comuni analisi. Talvolta si sviluppano reazioni opposte e impreviste nel campione “trattato”, come nel caso degli interventi informativi sulle dipendenze rivolti nelle scuole a giovani “user” e “non user”, che non emergono in un’analisi degli effetti medi del programma (Leone, 2002). Nel processo d’aggregazione dei risultati attuato dalle meta analisi scompaiono i riferimenti a caratteristiche connesse al target, contesti di attuazione e processi di implementazione dei programmi. La codifica degli stessi esiti non è omogenea, essi vengono codificati in funzione dell’approccio di riferimento e sebbene gli obiettivi generali di cambiamento siano sovrapponibili o identici i risultati vengono spesso misurati in modo diversificato solo in termini di incerte proxy agli esiti. Se osserviamo una recente revisione sistematica sull’efficacia dei programmi di prevenzione delle dipendenze nella scuola (Faggiano et Al. 2005), osserviamo direttamente le difficoltà insite nell’operazione di codifica e comparazione dei risultati. Il lavoro, che è stato presentato al Congresso AIV di Catania del 2005, rappresenta un buon esempio di revisione sistematica basata sul metodo Cochrane e ci permette di analizzare da vicino sia i pregi che alcuni limiti di tale metodo.16. Le meta analisi, e le tecniche di aggregazione statistica dei dati da queste utilizzate, finiscono purtroppo per ignorare tutti gli aspetti connessi all’implementazione dei programmi e sottovalutare le conoscenze possedute dagli attuatori. Il fatto che vengano rafforzati nei protocolli di ricerca delle review elementi a favore della forte proceduralizzazione e dell’omogeneità impedisce il riconoscimento 16 I ricercatori hanno identificato inizialmente 9657 articoli, a seguito dell’analisi della qualità degli stessi vengono inclusi nella review 41 articoli: solo 15 studi basati sull’esperimento con gruppo di controllo randomizzato (RCT) forniscono dati utili mentre altri 14 RCT non forniscono dati utili per la meta-analisi. In questo studio gli indicatori di esito utilizzati infine per la comparazione degli studi sono piuttosto ridotti e consistono nella conoscenza sulle droghe (n.b.che in realtà non è correlato al consumo do sostanze e non può rappresentare una proxy di efficacia), le capacità decisionali, il miglioramento del senso di auto-efficacia e, solo in 6 studi, l’uso di droghe. E’ comprensibile come a seguito di tale rarefazione del campione moltissimi elementi attinenti a differenze di contesto non possano essere presi in considerazione e che pure la nozione di esito sia stata necessariamente semplificata eliminando altri tipi di esiti. La comparazione tra i diversi studi viene effettuata in relazione alla tipologia prevalente di intervento (socioaffettivo, informativo..) e ai diversi tipi di esiti e risultati considerati singolarmente e ciò si traduce in un confronto statistico che interessa infine due o tre studi per volta e che non riesce a rendere conto del fatto che più fattori attinenti a caratteristiche del target (età, sesso, atteggiamenti e comportamenti relativi a consumo di sostanze lecite e illecite..), ai processi di implementazione o caratteristiche del contesto (es: area metropolitana, area scarsamente urbanizzata, area con tasso di prevalenza dei consumi alto/basso..) possono interagire per spiegare i risultati. Osserviamo ad esempio che la popolazione presa in considerazione negli studi era costituita da alunni delle scuole elementari, medie inferiori e medie superiori e che pure la variabile età non è stata presa in considerazione nello spiegare i differenti esiti dei programmi sebbene sia noto in letteratura che approcci di tipo informativo producano esiti differenti, e talvolta opposti, in relazione all’età del target e alla fase di consumo delle sostanze (fase di iniziazione o di consumo occasionale). 9 delle tacite conoscenze, delle intuizioni, e il valore dei risultati imprevisti nel guidare lo sviluppo di nuove ipotesi o di nuove teorie. L’efficacia di un programma di prevenzione non dipende da singoli segmenti di intervento di durata annuale o biennale ma, in gran parte, da come vengono realizzati i singoli interventi-progetti e dalla collocazione di questi in strategie più complessive e di lungo termine che impattano sulla comunità. Sappiamo ad esempio che una tattica che si è dimostrata efficace nella realizzazione di progetti educativi focalizzati sulla prevenzione del consumo di sostanze stupefacenti in ambito scolastico è quella di inserirli all’interno di programmi più ampi di educazione alla salute (health/life skills) (Hawks D., Scott K., McBride N., Jones P., Stockwell T. P.41, 2002); questa accortezza facilita, infatti, anche la realizzazione del progetto in quanto la promozione di comportamenti auto-protettivi e “salutari” se inserita all’interno del normale curriculum scolastico (Idem, p. 41) ha una minor incidenza economica sul piano di offerta formativa della scuola. Sappiamo inoltre che l’intervento in ambito scolastico dovrebbe essere collocato all’interno di una strategia a lungo termine (es: almeno 15 sessioni iniziali con richiami nei 3-4 anni successivi) e che dovrebbe essere ripetuto nel tempo (le booster session previste nell’approccio alle life skill). Rispetto a tali indicazioni si sottolinea il fatto che non necessariamente l’intervento debba essere realizzato da una singola agenzia e coincidere con un singolo progetto: l’importante è che su un dato target o su una data scuola vi sia una certa continuità di interventi preventivi. Se questi sono i presupposti non possiamo basare le valutazioni di efficacia sull’analisi di studi che considerano le dimensioni temporali dei progetti quasi esclusivamente in termini formali ed avulsi dal contesto in cui si collocano. Uno dei limiti manifestati dalla meta-analisi consiste, secondo la sintesi realista, nel fatto che aggregando i risultati raggiunti da diversi programmi, essa si traduce in un riassunto di riassunti derivato dalla fusione dei meccanismi, dall’eccessiva semplificazione degli esiti e dall’occultamento dei contesti dei programmi (Pawson 2002, p.21). Abbiamo nel precedente paragrafo constatato un’eccessiva debolezza nelle evidenze fornite dagli attuali studi realizzati sulla base di accreditati sistemi di review internazionali. Tra i limiti maggiori sul piano metodologico delle review sistematiche si segnala uno slittamento tra metodo dell’indagine scientifica e aspetti tecnici dei disegni di ricerca: tale slittamento porta ad anteporre e previlegiare particolari tecniche e procedure sviluppate nell’ambito di alcune specifiche discipline all’analisi degli elementi fondamentali che dovrebbero qualificare una proposizione scientifica. Il fatto che le review nel campo delle politiche sanitarie pongano tra gli standard ideali di uno studio di qualità l’utilizzo di disegni di ricerca basati sul modello sperimentale con campione di controllo e metodo random (preferibilmente “a doppio cieco”) ha delle profonde ricadute su tutto il processo di conoscenza che ne deriva. Questo tipo di opzione, a parte altre considerazioni, porta a ridurre notevolmente il tipo di studi che possono esser presi in considerazione ed anche il tipo di fenomeni in quanto le tecniche di indagine si sono sviluppate proprio a partire dalla loro adeguatezza e utilità rispetto precisi oggetti e discipline di riferimento (es. astronomia, antropologia, fisica…) e poco si prestano ad essere utilizzate come paradigma indifferenziato di riferimento e ad assurgere a buono standard di scientificità. Torniamo tuttavia alle stesse parole di Donald Campbell, lo psicologo e metodologo americano a cui si ispira la Campbell Collaboration17 e a cui dobbiamo, tra l’altro, l’ideazione del disegno di ricerca quasi-sperimentale. Negli anni ’80 un’agenzia federale statunitense, precisamente un Centro di Ricerca sulla Prevenzione (CPR) del National Institute of Mental Health, chiese a Donald Campbell di formulare delle linee guida 17 Sito: www.campbellcollaboration.org 10 per monitorare, finanziare e analizzare i fabbisogni che avrebbero potuto aumentare la validità scientifica del lavoro di ricerca realizzato da una serie di centri a livello regionale (Campbell, Russo 1999). Le scienze sociali applicate, osserva Campbell, sono tenute a confrontarsi con problemi pratici evitando di orientarsi verso compiti ritenuti più desiderabili in cui risulterebbe più facile adottare un maggiore rigore scientifico. “L’ideologia della scienza-pura con cui siamo stati tutti formati, in aggiunta alla necessità di ottenere l’approvazione dei progetti di ricerca da commissioni esaminatrici il cui principale comun denominatore è l’expertise nel metodo scientifico, più la necessità di carriera dello staff di prodotti della ricerca pubblicabili in rispettabili riviste scientifiche, tutto ciò si combina nello spingere coloro che fanno ricerca applicata (…)verso l’abbandono di problemi mirati e la sostituzione con ricerche scientificamente fattibili ma con obiettivi di dubbia rilevanza” (Campbell, Jean Russo1999, 210-211 Traduzione dell’autrice) Il CPR Centro di Ricerca sulla Prevenzione avrebbe dovuto supportare attività di ricerca il più possibile scientificamente valide, senza tuttavia modificare i problemi oggetto di indagine, infatti, “..dove il problema non è adatto ad una ricerca quantitativa sperimentale, si dovrebbe utilizzare una ricerca appropriata all’obiettivo utilizzando approcci “clinici”, “umanistici”, “etnografici”, o “qualitativi””. (Campbell, Jean Russo 1999, 211) Le raccomandazioni espresse da Campbell e finalizzate a rafforzare la validità scientifica dei lavori di ricerca di un centro che si occupava di prevenzione non riguardavano l’adozione di determinati standard e approcci di ricerca, ma la struttura sociale. Esse riguardavano strategie volte a: • sostenere una comunità scientifica mutualmente stimolante, focalizzata sul confronto; • evitare monopoli sui problemi di metodologia della ricerca ed incoraggiare sovrapposizioni e competizione nelle agende dei diversi team di ricerca, • facilitare la possibilità di rianalizzare i dati da parte di altri ricercatori e realizzare metaanalisi; • suddividere grandi studi in studi paralleli in modo da sviluppare maggior senso critico e ed una pluralità di soluzioni senza pressioni ad una identità metodologica. Tutti questi punti sembrano enfatizzare l’importanza nel processo di conoscenza scientifica del confronto tra visioni rivali e i vantaggi della pluralità metodologica piuttosto che il conformismo in termini di standard aurei da rispettare comunque. Pawson ironicamente osserva che alcune caratteristiche promosse dalla Campbell Collaboration similmente dalla Cochrane Collaboration- quali la spinta all’uniformità dei protocolli delle review sistematiche, la gerarchia delle evidenze e la corrispondente sottovalutazione delle conoscenze tacite e locali, non sarebbero apprezzate dallo stesso Campbell se oggi fosse vivo. (Pawson, 2004) 3. La revisione proposta dalla sintesi realista Secondo la valutazione ‘realista’ l’efficacia dei programmi può essere concepita nel seguente modo. “Il potere causale di un’iniziativa sta nel meccanismo sottostante (M), vale a dire nelle risorse (materiali cognitive o emotive) da essa fornite nella convinzione che tali risorse possano influenzare le azioni del soggetto: il funzionamento di questo meccanismo dipende dal contesto (C): dalle caratteristiche tanto dei soggetti quanto del luogo in cui si svolge il programma” (Pawson, 2002, 27). 11 L’elemento centrale della critica realista alla meta-analisi riguarda la concezione di causalità di tipo “successionista” che assume un nesso esplicativo tra trattamento e cambiamento osservato in seguito. Nella prospettiva realista si utilizza una concezione ‘generativa’ della causalità; la causazione è contingente e non dipende unicamente dal “programma” o dal trattamento ma dai meccanismi che si generano in relazione all’interazione tra intervento, natura dei soggetti coinvolti e circostanze. Il quesito di valutazione quindi si sposta da “Il programma funziona?” a “Cosa funziona per chi e in quali circostanze?”. Ne consegue un diverso modo di concepire anche la generalizzazione il cui obiettivo non è più la replicabilità su ampia scala dei risultati dei programmi in contesti eterogenei ma lo sviluppo di teorie trasferibili: questa teoria del programma funziona a queste condizioni, per questi soggetti e in queste circostanze”. (Pawson 2002 b). Le revisioni sistematiche sull’evidenza si occupano di sintesi delle indagini senza tener conto nel loro modello di ricerca dei processi cumulativi alla base della stessa investigazione scientifica. L’assunzione critica dei problemi alla base dell’indagine e delle ipotesi assunte e il procedimento basato sulla ricerca di falsificazione delle ipotesi rappresentano il modo con cui procede la conoscenza scientifica. Ogni ricerca nelle review sistematiche è, invece, considerata una monade a se stante e non piuttosto nel suo contesto di ricerca quale processo di messa a confronto di più ipotesi esplicative contendenti. Ci chiediamo allora: come la sintesi realista intende favorire politiche basate sull’evidenza d’efficacia? “La soluzione è composta di due parti, la prima delle quali consiste nel cambiare l’unità di analisi della revisione sistematica. Poiché sono i «meccanismi dei programmi» a innescare il cambiamento, piuttosto che i programmi in quanto tali, è molto più ragionevole basare la revisione sistematica sulle «famiglie di meccanismi» invece che sulle «famiglie dei programmi». Sono i meccanismi gli ingredienti attivi degli interventi sociali, ed è necessario che vengano identificati e concettualizzati e poi eletti a luogo di confronto per l’intero esercizio.” (Pawson, 2002, 27). La seconda parte della soluzione riguarda ciò che avviene nel processo di sintesi dei risultati dei diversi studi e che nelle meta-analisi si traduce in un esercizio di unificazione e aggregazione statistica. Realizzare una sintesi realista vuol dire invece realizzare un confronto fra le diverse configurazioni di Outcome-Contesto- Meccanismo (C + M= O) e dare una spiegazione delle variazioni osservate in programmi che, seppur diversi, utilizzano una stessa famiglia di meccanismi, con lo scopo di mettere in evidenza con quali soggetti si è realizzato il cambiamento sperato e in quali contesti. Si tratta di una prospettiva non determinata da esigenze e competenze amministrative connesse alla valutazione di un programma ma di una prospettiva conoscitiva basata sul meccanismo. Mentre lo scopo della meta-analisi è quello di tirare fuori “cosa funziona”, con la sintesi realista si va a scavare fra le coerenze e incoerenze emerse nell’applicazione dei diversi programmi per ri-costruire, modificare, revisionare le “teorie dei programmi”. È ancora una volta la teoria, quindi, il punto di ritorno della sintesi sistematica dei programmi. Di seguito sintetizziamo i principali step del procedimento della sintesi realista , di un approccio di revisione guidato dalla teoria (Pawson et Al., 2004); si noti che la questione degli standard di ricerca compare in diversi punti ed in particolare nel sesto. Il procedimento di una revisione guidata dalla teoria 1. Con i committenti e i decisori indagare come intendono utilizzare i risultati della review. Sviluppare una teoria approssimativa del programma, di come l’intervento si suppone debba 12 funzionare. Analizzare i presupposti teorici alla base del programma e ricostruire tramite l’analisi di fonti diverse (per ora non considerare le evidenze empiriche dei programmi) un modello esplicativo di come il processo di attuazione del programma dovrebbe condurre agli outcomes previsti. 2. Ricercare evidenze rispetto ai diversi link previsti dal programma; ogni studio può contribuire alla comprensione di parti della “catene logiche”. 3. Identificare l’evidenza offerta da questi studi ricordando che l’elemento chiave è l’originale interpretazione dell’autore la sua spiegazione dei risultati e non invece “i risultati” derivati da misure di outcome, osservazioni di processo, focus group, interviste, documenti etc. 4. Fare una preliminare verifica in ciascun studio rispetto a quanto le interpretazioni sono sostenute e giustificate dall’evidenza ricordando che vanno giudicate alla luce del paradigma con il quale sono state create. L’iniziale mappa di interpretazioni sarà costituita da un diverso grado di plausibilità e correttezza. 5. Sintetizzare le evidenze individuando pattern sottostanti le affermazioni esplicative. Identificare i processi individuati ad esempio nello studio A, che danno peso e giustificano gli outcome dimostrati nello studio B). Combinare le evidenze tra diversi studi per produrre un insieme coerente di spiegazioni che non rappresentino la somma delle singole parti. 6. Questo processo di assorbimento delle diverse interpretazioni include il fatto che vengano dati dei giudizi sulla qualità degli studi. Esiste un’accettazione o rifiuto a più riprese dei risultati e delle interpretazioni degli stessi, ogni scelta va giustificata individualmente alla luce del pattern complessivo e della coerenza dei risultati. Il valore degli studi è determinato nel processo di sintesi. 7. Ripetere il processo alla luce delle nuove informazioni e di un ampio numero di studi primari. Nuovi studi possono permettere di rifinire o apportare aggiustamenti al modello esplicativo precedentemente sviluppato. Una revisione basata sulla teoria realizza una sintesi delle evidenze di efficacia di programmi attuati in differenti contesti e settori di policy che hanno in comune “le famiglie di meccanismi” sottostanti ai cambiamenti previsti dai programmi stessi. Secondo tale approccio i programmi che sono composti da lunghe e complesse catene di interventi, come per l’appunto quelli nel settore della prevenzione, necessitano di una revisione che non si limiti a sovrapporre e contemplare le analisi quantitative degli outcomes ma che tenga conto dei processi e dei meccanismi sviluppati nel corso delle azioni. Programmi diversi tra loro, realizzati in ambiti di policy differenti, spesso hanno alla base delle teorie del cambiamento molto simili: dopotutto i decisori non hanno una sconfinata fantasia e tendono a riprodurre strategie che hanno funzionato in altri contesti. Nei paesi anglosassoni sono, ad esempio, piuttosto comuni i programmi che si basano su meccanismi di “blaming and shaming”, cioè sulla denuncia e “additamento” pubblico di comportamenti che si intende contrastare e che prevedono interventi quali la pubblicazione di statistiche sulle performace scolastiche, di liste di soggetti condannati per crimini sessuali, di statistiche sui furti di automobili con luogo e marca. Il programma per il mantenimento dell’ordine pubblico basato sul motto “tolleranza zero” ha attraversato l’atlantico e si è trasformato nella città di Napoli in un programma per il mantenimento della pulizia. Delle sintesi realiste sono state, ad esempio, recentemente realizzate sui programmi che utilizzano le strategie del Mentoring (Pawson 2004). Il mentoring si realizza in una pluralità di ambiti , nelle politiche educative in ambito scolastico, carcerario, extrascolastico per la prevenzione del drop out, in moltissimi contesti (scuole, prigioni, ospedali) e a favore di differenti target group. 13 Ricavare delle lezioni su “cosa funziona” da questa massa di esperienze è virtualmente impossibile e il tentativo di aggregare i risultati di diversi studi o trovare gli effetti netti può portare a risultati contrastanti. Vi sono diverse ragioni che ci inducono a ritenere che per lo sviluppo di politiche di prevenzione basate sull’evidenza, questo tipo di ragionamento, applicato sino ad oggi in ambito internazionale (Network for Evidance Based Policy, UK) in diversi ambiti e settori di policy assai vicini alle politiche preventive nel settore socio sanitario, porterà a indicazioni e risultati significativi. Innanzitutto si tratta di un settore maturo con un’ampia produzione di studi valutativi, si tratta inoltre di programmi basati su un numero limitato di “meccanismi” sperimentati in innumerevoli contesti. I programmi per la prevenzione della dipendenza da sostanze lecite e illecite comprendono programmi basati su misure diverse: • Regolamentazione della disponibilità economica e fisica di alcune sostanze (Es: Modificare il tasso alcolemia per guidatori, disincentivare l’uso inappropriato di farmaci tramite attività di controllo delle prescrizioni e del consumo di alcuni farmaci da banco…); • Regolamentazione che influenza la disponibilità di sostanze psicoattive illecite sul mercato (es. accordi internazionali, eradicazione delle colture, legislazione su precursori chimici…); • Regolamentazione dei Media (es : regolamentazione restrittiva della pubblicità esplicita e occulta sul tabacco); • Campagne informative (es : informazione su effetti delle sostanze tramite campagne su Mass media o sessioni informative rivolte a gruppi, classi etc. ); • Programmi di educazione alla salute in contesti scolastici ed extra scolastici rivolti a target intermedio o giovani beneficiari (es: interventi volti a rafforzare le life skill e la capacità di resistere a pressioni sociali); • Interventi basati sulla peer education. Un esame delle similitudini rinvenibili tra programmi di prevenzione nel settore delle dipendenze con quelli realizzati in altri settori svela le analogie che esistono in termini di strategie di intervento: le campagne informative sono ampiamente utilizzate non solo per la prevenzione, ad esempio, dell’abuso alcolico e del tabagismo, ma anche dell’incidentalità stradale, della trasmissione di malattie sessualmente trasmissibili, dei disturbi cardiovascolari connessi all’obesità e a un’inadeguata alimentazione e stile di vita, degli incidenti sul lavoro, etc. Così pure l’educazione peer to peer è stata sperimentata nel settore della prevenzione del disagio mentale, per prevenire drop out e dispersione scolastica, come in quello della devianza giovanile o quello del consumo di sostanze illecite. La nostra tesi è dunque, in sintonia con quanto proposto dalla sintesi realista, la seguente: • poiché le strategie di fondo dei programmi di prevenzione attuati in diversi contesti e con obiettivi diversificati (es: prevenire dispersione scolastica, abuso di sostanze stupefacenti, comportamenti a rischio nell’incidentalità stradale, disturbi cardiovascolari connessi a stili di vita inadeguati etc.) sono limitate e poiché ben identificabili sono le teorie del programma a cui le stesse si ispirano, sarebbe più sensato porre tali strategie (analoghe alla nozione di famiglia di meccanismi proposta dalla sintesi realista) al centro dell’analisi valutativa piuttosto che gli outcome di ciascun programma. 14 4. L’utilizzazione delle evidenze offerte dalle revisioni sistematiche in un ottica realista: il caso della ricerca valutativa in Re-Ligo In questo paragrafo illustreremo un’esperienza di utilizzazione delle evidenze di efficacia offerte dalla ampia letteratura sulla prevenzione e dalle review sistematiche nell’ambito di una ricerca valutativa inserita in un progetto di ricerca-intervento denominato Religo. Tale esperienza enfatizza l’importanza della comprensione delle teorie sottostanti ai maggiori approcci di prevenzione a partire dalla convinzione che sono i meccanismi in azione in determinati contesti a produrre gli outcomes. In questo paragrafo ci soffermiamo sul metodo utilizzato e rimandiamo il lettore interessato ai risultati alla ricerca valutativa, e ad una descrizione esaustiva dell’approccio e delle maggiori evidenze di efficacia nell’area della prevenzione delle dipendenze18 ad altri testi (Leone 2006, Leone, Celata 2006). Il progetto Re-Ligo era un progetto di ricerca-intervento (periodo 2003-2006) finanziato dal Dipartimento nazionale anti droga della Presidenza Consiglio dei Ministri, promosso dalla Regione Lombardia e coordinato dalla ASL Città di Milano (ASL capofila). Al percorso hanno partecipato i Dipartimenti Dipendenze di 11 ASL di 3 Regioni del nord Italia (Lombardia, Liguria Piemonte), CEVAS per la parte relativa alla conduzione della ricerca valutativa, la formazione dei 22 operatori ricercatori referenti dei diversi servizi territoriali e l’elaborazione del manuale utilizzato nella fase di diffusione. Uno degli obiettivi del progetto era quello di individuare elementi conoscitivi utili allo sviluppo di raccomandazioni e indicazioni per la programmazione di attività di prevenzione nel settore delle dipendenze. Un secondo obiettivo riguardava lo sviluppo, sui diversi territori, di Agenzie locali per la prevenzione atte a svolgere una funzione di catalizzazione, coordinamento e programmazione delle attività di prevenzione promosse da diverse istituzioni e organismi presenti nel territorio ASL (Comuni, altri dipartimenti ASL, associazioni locali, organismi del privato sociale accreditati). In questo processo le contaminazioni tra diversi organi di governo, Regione, diversi dipartimenti delle ASL., comuni e uffici tecnici dei Piani di Zona l.328/00, tavoli di coordinamento con il privato sociale , sono state significative e ricorsive; in corso d’opera elementi emergenti dalla sperimentazione sono stati, infatti, inglobati e rielaborati all’interno di ordinari strumenti di programmazione regionale (v.DGR relative a utilizzo dei fondi vincolati, ipotesi su modello di accreditamento delle attività preventive) e locale (v. piano territoriale L.45/99). La logica alla base dell’implementazione del progetto può essere rappresentata dal seguente grafico che pone in luce il processo ricorsivo connesso alla utilizzazione, diffusione, e in seguito riformulazione, di indicazioni e raccomandazioni connesse a evidenze di efficacia. 18 Si veda in particolare il capitolo di Leone L, Ruffa M. (2006), “Prevenzione delle dipendenze, riduzione del danno ed evidenze di efficacia: sintesi delle principali indicazioni offerte da review sistematiche e linee guida”, in: Leone L., Celata C. (a cura di), Per una prevenzione efficace, Il Sole 24 ore, Milano 15 Estrazione di raccomandazioni tratte da linee guida e review e aggregazione in relazione a Famiglie di meccanismi Ricerca valutativa su territori e sviluppo conoscenze contestualizzate Rifinitura delle linee guida, loro contestualizzazione e diffusione tra programmatori locali Questa forte enfasi sulla ricaduta pratica del progetto, la disseminazione delle evidenze e la significativa presenza dei decisori all’interno degli organismi di coordinamento insita nella stessa architettura dell’iniziativa19, hanno influenzato il disegno della ricerca valutativa e rafforzato la possibilità di trarre dalla ricerca suggerimenti fruibili sia dai programmatori locali sia da operatori responsabili di progetti. Una classificazione theory-driven delle evidenze di efficacia delle review sulla prevenzione La prima tappa della ricerca valutativa, quella su cui in questo scritto intendiamo soffermarci, è stata caratterizzata da un lavoro di analisi della letteratura scientifica sulla prevenzione in campo sociosanitario e socioeducativo, finalizzata a rintracciare le strategie ricorrenti dei diversi programmi, considerandole in termini di “famiglie di meccanismi”. La tabella seguente mostra i criteri di classificazione adottati originariamente dalle review sistematiche e dai documenti presi in esame; solitamente si utilizza la nozione di ‘componente’ centrale di un programma per collocarlo in una o l’altra delle possibili classificazioni20. Tab. 1 Classificazione originaria delle revisioni e delle linee guida Criteri di Review sistematiche o Linee Guida classificazione Review WHO Regolamentazione della disponibilità fisica ed economica dell’alcol. Regolamentazione delle sostanze psicoattive. Iniziative basate su utilizzo dei media. Iniziative basate sulla strategia di sviluppo di comunità. L’uso di strategie educative all’interno delle scuole. Strategia Ambito intervento Linee Guida EMCDDA Programmi rivolti a dispersione scolastica e abbandono Fattori di rischio e 19 La connessione tra progetto e operatività dei servizi è in parte affidata agli sessi operatori del “GOI”: si tratta di persone segnalate dal Dipartimento Dipendenze la cui attività lavorativa è stata destinata per due anni a part time al progetto Religo. 20 World Health Organization (WHO); European Monitoring Centre for Drugs and Drug Addiction (EMCDDA); National Institute on Drugs Abuse (NIDA); Centre for Substance Abuse Prevention (CSAP). 16 precoce della scuola. Interventi con gruppi vulnerabili nella scuola. Giovani delinquenti. Counseling per giovani consumatori (contesto extra scolastico). Interventi nel tempo libero, attività sportive, giovani lavoratori.. obiettivi; Target; Ambito di intervento Linee Guida NIDA Fattori di rischio e fattori protettivi, segnali iniziali, periodo più a rischio. Interventi di prevenzione delle dipendenze nella Comunità. Programmi di prevenzione universale, selettiva e indicata nella scuola elementaremedia-superiore. Fattori di rischio e Protettivi. Ambito di intervento. Tipologia di prevenzione: Universale, Selettiva , Indicated Ambito di intervento Strategie Review CSAP Principi a seconda del dominio di intervento: individuo, famiglia, peer, scuola, comunità, società-ambiente. Principi secondo la strategia CSAP Spieghiamo meglio: l’idea da cui siamo partiti è che dalla vasta tipologia di programmi di prevenzione (differenti per ambiti di policy, target, contesti di implementazione e così via) fosse possibile rintracciare e classificare alcune comuni strategie sottostanti la programmazione di tali interventi, ovvero quelle quasi-teorie e quelle ipotesi (più o meno esplicite) che i programmatori o i progettisti formulano rispetto a cosa dovrebbe accadere, perché e in chi a seguito di determinati interventi. Alla base degli interventi informativi esiste, infatti, una comune ipotesi sottesa. Dal momento che, come abbiamo ribadito più volte, il cambiamento nei soggetti è provocato dai meccanismi che i programmi innescano e non dai programmi in sé, aver individuato delle “strategie sottostanti i programmi di prevenzione”, significava anche aver individuato delle “classi di meccanismi” che si innescano presumibilmente in programmi che condividono un’architettura simile anche se diversi per ambiti di intervento. Di seguito indichiamo Strategie e “famiglie di meccanismi” da noi evidenziate e utilizzate per ricodificare le evidenze di efficacia offerte dalla letteratura relativamente al settore delle dipendenze. 1) Strategia normativa Meccansimo: Minaccia-dissuasione Rientrano in questa famiglia di meccanismi una serie di programmi basati sull’assunto che il sanzionamento, basato sul meccanismo del “bastone” (Bemelmans-Videc., Rist, Vedung 1998), di un determinato comportamento possa scoraggiare l’adozione dello stesso da parte degli individui e che la minaccia scoraggia il ripetersi di tali comportamenti (v. art 75 DPR 309/90)21. 2) Strategia Informativa Meccanismo: Diffusione informazione “scientificamente corretta”- adozione comportamenti protettivi Riguardano tale famiglia di meccanismi programmi che adottano approcci di tipo informativo, basati sul meccanismo del “sermone” (Bemelmans-Videc., Rist, Vedung 1998) e sulla diffusione di informazioni e raccomnadazioni rivolte a singoli, a gruppi (di giovani o di adulti) o a masse. Determinati comportamenti della popolazione sono interpretati come frutto di una scarsa o errata conoscenza (lettura del fenomeno e del problema) dei rischi e conseguenze a questi connessi. Le strategie informative prevedono interventi volti a colmare o modificare tale deficit informativo tramite messaggi rivolti a singoli individui, gruppi o grandi pubblici (v. mass media, conferenze..). L’ipotesi alla base dell’intervento è che tali messaggi possano modificare e aumentare il livello di conoscenza e che questo si traduca in una modificazione di atteggiamenti (es: maggiore percezione del rischio) e di 21 L’art 75 DPR 309/90 prevede che vengano applicate sanzioni amministrative e obbligo colloquio prefettizio a soggetti trovati dalle FFOO in possesso per uso personale di sostanze stupefacenti. 17 conseguenza in una modificazione di comportamenti (v. campagne informative sull’utilizzo del casco; interventi tenuti da esperti sulle modalità per prevenire il contagio del virus HIV…). 3) Strategia educativo-promozionale Meccanismo: Rafforzamento e promozione delle competenze sociali- adozione comportamenti e stili di vita protettivi In questa famiglia di meccanismi rientrano una molteplicità di modelli di intervento che vanno sotto il nome di approcci educativi e che spesso utilizzano in modo più o meno eclettico il modello basato sulla promozione delle Life skills promosso dallo stessa OMS nel settore dell’educazione alla salute o l’approccio socioaffettivo. Il presupposto di fondo è: se si rafforzano negli individui le life skills, ovvero le capacità di gestire le emozioni, prendere le decisioni, di percepirsi adeguati (autostima), di gestire lo stress, di resistere all’influenza del gruppo, di accrescere un pensiero critico ecc., è possibile che questi sviluppino una maggiore consapevolezza di sé e una maggior tendenza all’auto-protezione (es. interventi volti a ridurre la dispersione scolastica degli studenti). 4) Strategia di Sviluppo di comunità Meccanismo: Sviluppo competenze e soluzione dei problemi da parte della comunità – le diverse agenzie sostengono stili di vita protettivi Rientrano in questa famiglia di meccanismi una serie di orientamenti afferenti all’approccio dello sviluppo di comunità. Secondo tale approccio, frutto dell’incontro di una pluralità di quasi-teorie del cambiamento sociale, se si interviene all’interno di una comunità adottando un approccio emancipatorio e prevedendo, in un’ottica sistemica, la partecipazione degli individui, delle diverse agenzie educative e delle istituzioni presenti nella comunità (approccio di rete) e favorendone l’assunzione di responsabilità (v. comunità competente e empowerment di comunità) rispetto alla realizzazione degli stessi interventi, allora è probabile che si sviluppino una serie di cambiamenti all’interno della stessa in termini di rafforzamento del controllo sociale sui comportamenti devianti, di una maggiore comunicazione e capacità di gestione dei conflitti, di una corresponsabilità nella soluzione di problemi comuni, ecc… (es. interventi di prevenzione dell’incidentalità stradale che prevedono il coinvolgimento di forze dell’ordine, gestori dei bar e opinion leader di una determinata zona). 5) Strategia peer education Meccanismo: Adozione di comportamenti protettivi dei giovani Leader di gruppo-influenza sui pari Quest’ultima famiglia di meccanismi riguarda gli interventi che utilizzano l’approccio della peer education per promuovere cambiamenti di atteggiamento e comportamento nei giovani. L’assunto sottostante è che se la promozione di determinati comportamenti auto-protettivi proviene da soggetti che appartengono al proprio gruppo di riferimento e svolgono un ruolo di leader, gli individui saranno più inclini a orientare i propri atteggiamenti e comportamenti nella direzione indicata dai pari . Tenendo conto dello specifico ambito di intervento del progetto Religo, nella seconda tappa della ricerca ci siamo soffermati sull’analisi delle evidenze offerte principalmente da review sistematiche e linee guida di programmi di prevenzione sul consumo di sostanze lecite e illecite. Tali documenti sono stati selezionati per i seguenti motivi: 18 1) sono stati redatti da organizzazioni internazionali fortemente accreditate22 rispetto al settore sanitario o delle politiche per le tossicodipendenze; 2) sono stati prodotti con l’intento di fornire delle raccomandazioni, basate su evidenze di efficacia, rispetto alla implementazione di programmi di prevenzione. L’obiettivo della ricerca-intervento, ricordiamo, era quello di rafforzare le evidenze di efficacia dei programmi di prevenzione e di diffondere indicazioni utili al fine di migliorare la programmazione degli interventi a livello locale. E’ a questo punto della ricerca che l’influenza dell’approccio theorydriven emerge in modo più evidente. La sistematizzazione dei risultati delle diverse valutazioni effettuate sui progetti inserite nelle review, infatti, non è avvenuta rispettando le classificazioni originarie utilizzate dai ricercatori (v. contesto di implementazione, caratteristiche del target, obiettivi che si vogliono raggiungere…); i contributi offerti sono stati esaminati e ricollocati in modo originale in relazione alle “famiglie di meccanismi”, da noi identificate come strategie preventive. In questo modo è stato possibile estrapolare per ciascuna “famiglia di meccanismi” un elenco di indicazioni relative alle condizioni che, sulla base di evidenze, sembrano favorire l’efficacia degli interventi di prevenzione. Il presupposto centrale di questo lavoro riguarda la possibilità di comparare e in parte assimilare il concetto di “strategia di prevenzione” con la nozione di “famiglia di meccanismi” proposta da Pawson (Pawson, 2006). Tale assimilazione del concetto di strategia sarebbe plausibile perché: • esso taglia trasversalmente e in diversi campi di policy i diversi programmi (es: sicurezza stradale, educazione alla salute, sicurezza sul lavoro, prevenzione delle dipendenze…). In tal modo si eviterebbe di considerare il dominio amministrativo dei programmi come unità di analisi. • La nozione di strategia si riferisce ai modelli teorici ed alle teorie del cambiamento sociale sottostanti ai diversi approcci, a quelle quasi teorie o teorie implicite che guidano le attese degli operatori e degli “architetti dei programmi”. Questo lavoro di sistematizzazione delle evidenze di efficacia nella prevenzione delle dipendenze è stato utilizzato in più modi: a) per sviluppare parte di un questionario utilizzato per la valutazione di un campione di n.122 progetti di prevenzione realizzati nelle 11 ASL; b) per diffondere attraverso seminari locali, conferenze e tramite canali editoriali (v. un testo dedicato alle evidenze di efficacia nella prevenzione) pratiche di prevenzione ritenute efficaci e raccomandazioni scaturite dalla valutazione dei progetti di prevenzione. In sede di analisi dei dati è stato possibile sintetizzare le informazioni23 raccolte su ciascun progetto attraverso un indice che ci ha permesso di determinare il grado in cui ciascun progetto ha realizzato interventi secondo le raccomandazioni e le indicazioni metodologiche suggerite da letteratura. Si tratta 22 World Health Organization (WHO); European Monitoring Centre for Drugs and Drug Addiction (EMCDDA); National Institute on Drugs Abuse (NIDA); Centre for Substance Abuse Prevention (CSAP). 23 Le indicazioni tratte dall’analisi delle revisioni e delle linee guida sono state tradotte in forma di items e inserite nella scheda di rilevazione utilizzata dai ricercatori per valutare i progetti (n.b. attraverso le interviste a responsabili di progetto, analisi documentazione e report monitoraggio e valutazione)23. Al ricercatore è stato chiesto di dare un giudizio (scala Likert da 1 a 4) a ciascun item sulla base della rispondenza delle azioni implementate dal progetto con le indicazioni di “buon utilizzo” della strategia riprese dalla letteratura. 19 di un indice sull’adeguato utilizzo delle diverse strategie che ci ha permesso di esprimere dei giudizi valutativi riferiti alla qualità dei progetti. La rielaborazione di evidenze di efficacia in termini di strategie ha permesso in diverse ASL in cui abbiamo lavorato e presentato i risultati di sviluppare o rafforzare il confronto tra più dipartimenti e servizi ( dipartimento dipendenze, dipartimento prevenzione, medicina scolastica, servizio materno infantile, servizio educazione alla salute per la ASL, Prefettura, Comune, Scuole, organismi del privato sociale) che a diverso titolo si occupano di prevenzione ed educazione alla salute nella comunità locale. Presentiamo di seguito un breve esempio di come abbiamo utilizzato nello strumento di rilevazione le raccomandazioni relative alla strategia informativa24. Tab. 2 Alcuni item presenti nella scheda di rilevazione relativi alla Strategia Informativa a. Sono assenti messaggi e comunicazioni di tipo allarmistico o molto ansiogeni b. Se si utilizzano messaggi intimidatori, si danno anche indicazioni positive e rassicuranti che rinforzano i comportamenti non-devianti c. Si utilizzano metodi di apprendimento attivo (es: con scambi e discussioni di gruppo) d. Le informazioni fornite evidenziabili nei materiali utilizzati nel progetto o comunque nella documentazione paiono chiare e scientificamente corrette (n.b. nel senso che non vi sono informazioni scorrette né traspaiono fortemente posizioni di fondo liberiste o proibizioniste) e. Gli stili di comportamento proposti nel messaggio appaiono socialmente accettabili per il gruppo target di riferimento (Es. utilizzo del casco che non rovina i capelli) f. Nel caso di interventi su gruppi di giovani, i destinatari vengono differenziati a seconda delle diverse “fasi esperienziali” rispetto al consumo di sostanze stupefacenti (es: giovani che si presuppone non siano ancora entrati in contatto con le sostanze stupefacenti, giovani che ne fanno uso occasionale, giovani che abusano di sostanze stupefacenti…) Tramite interviste semistrutturate, la somministrazione di questionario e l’analisi della documentazione (v. In ciascuna ASL i ricercatori del GOI Gruppo Operativo Interregionale hanno raccolto i formulari dei progetti inseriti nel campione e i relativi report di monitoraggio e valutazione) sono state indagate numerose dimensioni dei progetti di prevenzioni attinenti a: caratteristiche strutturali dei progetti (costi, tempi, fonte finanziaria..), rete degli attori coinvolti, contesti organizzativi e territoriali, attività realizzate, target e risultati raggiunti, grado di adeguatezza rispetto ciascuna delle strategie di intervento individuate. Per misurare il grado di adeguatezza delle metodologie di intervento sono stati confrontati i processi di implementazioni dei progetti con le singole indicazioni tratte dalla letteratura scientifica ed infine sono state sviluppati otto indicatori sintetici per ciascuna delle strategie in precedenza individuate. Le evidenze tratte dalla letteratura scientifica hanno assunto in questo disegno di valutazione il ruolo di standard e pietra di paragone attraverso cui esprimere un giudizio circa la qualità dei progetti (Stame 2002). Nel successivo diagramma a barre ( Fig. 1) vengono riepilogati i giudizi complessivi relativi al grado di adeguata utilizzazione di ciascuna strategia di prevenzione all’interno del campione. Si rimanda il lettore interessato a questi aspetti della ricerca alla sua descrizione esauriente mentre in in questa sede il focus viene posto solamente sui processi di estrazione e utilizzazione delle evidenze e sulla modalità di utilizzo delle revisioni sistematiche. 24 In tale famiglia di meccanismi vi rientrano interventi di prevenzione che si rivolgono a singoli (v. interventi di counseling), a gruppi di soggetti (v. interventi nelle classi) o a grandi pubblici (v. campagne informative che utilizzano i media). Dalle review internazionali abbiamo tratto indicazioni rispetto alle categorie di intervento individuate e anche nella scheda di rilevazione abbiamo presentato gli item suddivisi nelle tre aree; in questa sede abbiamo preferito portare a titolo esemplificativo solo alcuni items senza specificare le distinzioni effettuate per non appesantire troppo il testo. 20 Le sigle di ciascuna barra indicano le iniziali di ciascuna strategia25, sull’asse delle ascisse viene indicato il punteggio standardizzato. Il toni del colore sono graduati dallo scuro, che indica basso punteggio, al chiaro che indica punteggio alto (cioè adeguatezza alta). Osserviamo, ad esempio, che le strategie informative sul singolo individuo (SIS) sono quelle insieme alla Peer education (SPE) che vengono realizzate in conformità alle indicazioni delle revisioni sistematiche. Fig. 1 Indici di adeguata utilizzazione delle strategie di prevenzione In fase di elaborazione dei dati si sono analizzate anche le correlazioni tra tali indicatori sintetici (Tramite Chi Quadro ed R phi- Software Datastat) e le altre variabili osservando, ad esempio, una connessione significativa tra prevalenza di determinate strategie (es: sviluppo di comunità, Educativopromozionale), presenza a livello ASL di chiari indirizzi nel settore della prevenzione, caratteristiche dei partenariati in fase di implementazione, migliore capacità progettuale, costi e durata dei progetti. I risultati dei progetti sono stati messi in relazione ai meccanismi, alle strategie adottate, ed ai contesti di attuazione cercando di individuare le possibile configurazioni. Le raccomandazioni emerse dall’analisi delle review internazionali (espresse sottoforma di items) fanno riferimento alle metodologie di intervento che, nei programmi che rientrano nella famiglia di meccanismi Diffusione Informazione “scientifica”- adozione comportamenti protettivi si sono mostrate maggiormente efficaci. In particolare le affermazioni relative alle modalità di costruzione del messaggio che sembrano essere più efficaci (items a. b. d. e.) sono state rintracciate nella review del WHO (Hawks et al., 2002, 28, 48) e nella review redatta dal CSAP (Brounstein P.J. et al.,1998, 53, 60); mentre le indicazioni sulle modalità di intervento che sembrano favorire il cambiamento di atteggiamento da parte dei destinatari (v. items c. f.) sono estrapolate dalla review del WHO (Hawks et al., 2002, 40, 47), quella del NIDA (AAVV, 2003, 2, 5, 23) e quella del CSAP (Brounstein P.J. et al.,1998, 54, 66). Se si presta attenzione alle affermazioni riportate è possibile inferire da ciascun item i presupposti teorici che sono alla base dell’utilizzo di tale strategia. 25 Sigle: SSC Strategia Sviluppo comunità, SEPA Strategia Educativo Promozionale per Adulti, SEPG Strategia Educativo Promozionale per Giovani, SPE Strategia Peer Education, SRD Strategia Riduzione del Danno, SIG Strategia Informativa sul Singolo. 21 Esistono molte teorie o quasi-teorie sottostanti a l’approccio informativo; spesso si fa riferimento alla dissonanza cognitiva di Festinger (Festinger, 1957) per cui le incoerenze percepite tra i vari aspetti della conoscenza, dei sentimenti e del comportamento instaurano uno stato interiore di disagio che le persone cercano di ridurre tutte le volte che è possibile. La conseguenza che viene tratta è che occorre evitare di proporre situazioni che generano una eccessiva dissonanza cognitiva (vedi item 2) altrimenti i destinatari del messaggio cercheranno in diversi modi (es. evitamento, dimenticanza, pensiero “magico”…) di ridurre tale dissonanza rendendo inefficace l’intervento informativo e selezionando (attenzione selettiva) unicamente le informazioni che tendono a confermare e rafforzare precedenti credenze (Cedri, 2003). Al tempo stesso occorre che vi sia un minimo di dissonanza per favorire una messa in discussione dei sistemi di riferimento personali. Un intervento efficace, quindi, è l’intervento che produce nel soggetto un’attivazione emozionale e una ristrutturazione cognitiva che determina un comportamento nuovo e più sicuro. L’intervento deve essere in grado di creare una dissonanza nel sistema di convinzioni e valori che mantengono il comportamento a rischio; accanto a tale intervento occorre però anche fornire i mezzi per ridurre la dissonanza illustrando, ad esempio, soluzioni sufficientemente percorribili dai soggetti. Per tali ragioni sono sconsigliabili interventi informativi basati sull’utilizzo di messaggi violenti e traumatici (es. campagne sugli incidenti stradali o su effetti connessi all’uso di sostanze) che producono assuefazione, indifferenza, esitamento nei destinatari. 5. Osservazioni conclusive L’intento dello scritto è stato quello di cogliere i suggerimenti di alcune correnti di pensiero sulla Evidence Based Prevention e la Evidence Based policy (Pawson 2002, Pawson 2006, Stame 2003) relativi al miglioramento delle revisioni sistematiche di programmi di prevenzione nel settore della sanità pubblica e in quello socioeducativo. Diversi autori hanno messo in luce problemi d’ordine metodologico delle review sistematiche sottesi al processo di sintesi e cumulazione delle conoscenze ed alla natura stessa delle ‘evidenze’. Tra questi si è fatto riferimento ad alcuni contributi di epidemiologici nel settore della sanità pubblica (Bernahrdt 2003) ed a quello dato dalla ‘sintesi realista’ (Pawson, 2001, 2002, 2006). Ray Pawson rappresenta oggi, da un punto di vista metodologico, il critico più puntuale e feroce della meta-analisi, la tecnica prevalente di cumulazione delle conoscenze nelle revisioni sistematiche. Attraverso l’esemplificazione di un caso di valutazione degli interventi per la prevenzione delle dipendenze (progetto Re-Ligo) è stato proposto un parallelismo tra la nozione di strategia applicata ai diversi approcci di prevenzione e la nozione di “famiglia di meccanismi” propria della sintesi realista. Il procedimento adottato e le indicazioni scaturite si prestano ad essere utilizzate ovviamente anche al di fuori del singolo settore delle dipendenze. L’ambito di sperimentazione è particolarmente promettente perché il richiamo a diverse teorie del cambiamento sociale è abbastanza esplicito nei diversi modelli e approcci di prevenzione e promozione alla salute. Nel settore dell’educazione alla salute la letteratura sulla prevenzione fa riferimento a diversi modelli basati sulla “influenza sociale”, a modelli “comprensivi e combinati”, a modelli cognitivi. In tali modelli di intervento molteplici sono le teorie chiamate in causa: la teoria dell’apprendimento sociale di Bandura, della normative beliefs di Hansen, dello sviluppo sociale di Hawkins e Catalano, della dissonanza cognitiva di Festinger (Emcdda, 2005) e numerose altre ancora. Le revisioni sistematiche vengono in genere realizzate in funzione di una classificazioni di programmi aventi in comune le sostanze o i comportamenti considerati dannosi (alcol, tabacco, droghe illecite, marijuana, utilizzo del casco) sebbene i decisori tendano ad utilizzare in ambiti diversi della prevenzione strategie simili. Occorrerebbe quindi tener conto di tale gap e al contempo opportunità e 22 sviluppare revisioni sistematiche di iniziative di promozione della salute aventi in comune proprio le strategie di intervento e le famiglie di meccanismi alla base dei cambiamenti auspicati. Un secondo ordine di problemi analizzato nello scritto riguarda l’utilizzazione delle evidenze e cioè la capacità delle stesse revisioni sistematiche di informare e influenzare i processi decisionali e le pratiche professionali. Grazie all’analisi di alcune revisioni sistematiche sul tema della prevenzione abbiamo potuto osservare una certa debolezza informativa dovuta alla ricorsività con cui tali studi denunciamo “carenze di evidenze” o carenze inerenti “la scarsa qualità dei disegni sperimentali”. Si è osservato che la sistematizzazione delle evidenze attraverso la nozione di ‘strategia’ di prevenzione ha favorito la comprensione e l’utilizzazione delle evidenze in quanto probabilmente si è proposto qualcosa di più comprensibile e coerente rispetto alle classificazioni originarie delle review sistematiche. Si è proposta una conoscenza più congruente con il back ground culturale, un ‘costrutto’ più trasversale ai diversi settori di intervento (n.b. la prevenzione del consumo di tabacco è in Italia realizzata dal Dipartimento Prevenzione della ASL, l’educazione socio-affettiva dal servizio Materno Infantile, mentre la prevenzione delle sostanze illecite è realizzata dai Servizi per le tossicodipendenze che rispondono ad un altro dipartimento), maggiormente rispondente all’esperienza ed alla forte necessità di strategie integrate tra diversi settori dell’amministrazione; per tali diverse ragioni il nuovo costrutto è stato forse maggiormente in grado di influenzare le teorie implicite ed esplicite degli operatori e dei decisori. A termine del progetto di ricerca si sono sviluppate in modo collaterale, come ricadute impreviste, una serie di iniziative e progetti formativi a livello di singole ASL (es: ASL BG, ASL MI1) finalizzati allo sviluppo di strategie integrate di programmazione tra diversi dipartimenti della ASL, Comuni, organismi del privato sociale ed agenzie educative ed a promuovere una cultura comune circa approcci di prevenzione e pratiche di programmazione più efficaci. Sebbene i due aspetti – quello relativo al metodo e quello relativo all’uso delle evidenze- attengano a ordini diversi del problema in realtà si connettono ad una concezione comune della conoscenza scientifica intesa come fonte autoritativa del sapere professionale e più recentemente del processo di policy-making (Nutley 2003, Young 2002, Hansen 2006). Nell’ultimo decennio, in particolare nei Paesi anglosassoni, si è assistito ad un processo di istituzionalizzazione delle ‘evidenze’; in alcuni settori di policy (v. sanità) non esiste innovazione o iniziativa che non si promuova senza l’imprimatur della ‘evidence based’. Si sta imponendo una nuova forma retorica dei processi decisionali (Nutley, Davies 2001) e qualcuno suggerisce che occorrerebbe ripensare ai concetti di ‘evidence based practice’ ed ‘evidence based policy’ in direzione di una ‘evidence-informed society’ (Nutley 2003, Young et Al 2002). In questa seconda prospettiva sarebbero i processi di costruzione collettiva e di assunzione delle decisioni ad essere ‘razionali’ e ‘informati’ e non tanto i contenuti delle singole scelte in sé. Il processo di diffusione e utilizzazione delle conoscenze è meno semplicistico e lineare di quanto inizialmente assunto dai promotori del movimento dell‘evidence’; non risponde a logiche autoritative e monodirezionali ma piuttosto a logiche di diffusione, contaminazione e influenza indiretta. Il caso illustrato dimostra che l’uso delle evidenze nelle pratiche professionali come nei processi di programmazione viene favorito da un approccio user-led (Boaz, Pawson 2006, Leone 2006 a), attento cioè al coinvolgimento diretto dei diversi stakeholder interessati alla programmazione e gestione di interventi di prevenzione, ed dalla promozione di processi di produzione di conoscenze ‘contestualizzate’. Con il termine contestualizzate ci si riferisce sia a conoscenze di carattere relazionale connesse a modalità di integrazione e coordinamento tra diverse agenzie territoriali (es. Presenza o assenza di coordinamenti istituzionalizzati), sia a conoscenze derivate dall’analisi dei fenomeni (es: dati di prevalenza), dei problemi oggetto di intervento e delle caratteristiche del sistema di offerta (es: durata, costo, tipologia di promotore, finanziamento, target raggiunto, attività prevalenti) in determinati setting e territori. 23 Se è vero che “lo scopo ultimo è trovare modalità per revisionare la letteratura e presentare reviews che siano su misura rispetto ai bisogni di specifici policy makers e practitioners” (Pawson, Boaz 2006), occorre allora rafforzare e sperimentare metodi di estrazione e presentazione delle evidenze maggiormente in grado di rispondere ai reali fabbisogni informativi e di dialogare con le teorie implicite dei diversi attori, i meccanismi di cambiamento assunti ed alla base dei nessi ipotizzati tra dati interventi e risultati. Riferimenti bibliografici Bemelmans-Videc M.L.., Rist R., Vedung E., a cura di, (1998), Carrots, Sticks & Sermons. 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