Pryapo: il dio dei bordelli
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Pryapo: il dio dei bordelli
RUPERT SANTORO EX PAOLO PRYAPO: IL DIO DEI BORDELLI RUPERT SANTORO EX PAOLO PRYAPO: IL DIO DEI BORDELLI Questo libro è da Guinness dei primati. Non credo ci sia un testo con tante “parolacce”. Parolacce in senso “piccoluccio-borghesuccio”. Ma il vero Guinness non sono le parolacce. Per me è un testo pieno d‟incommensurabile odio. Ma purtroppo non esiste l‟odiatometro. Non esiste uno strumento per misurate l‟odio. Nel S.I. non c‟è un‟adeguata unità di misura. Né il metro, né il kg, né la mole, né l‟ampere. Né la candela, né il Kelvin e neanche il secondo vanno bene. Eppure l‟odio è il sentimento che manda avanti il mondo. Se la mole ( mol ) misura la quantità di sostanza. Se la durezza della minkia ( durmink) misura l‟amore. Perché la dilatazione dei koglioni (ΔK=VK f –VK i )non misura l‟odio? R. Santoro ΔK = Dilatazione koglioni VK f = Volume finale dei koglioni VK i = Volume iniziale dei koglioni Ricetta: Eran quattromila minkie. Ovvero ottomila koglioni. Ma eran picca dinnanzi a quattro milioni. Ovvero otto milioni di koglioni. Son diventate ottomila minkie. Ovvero sedicimila koglioni. Ma eran picca dinnanzi a otto milioni. Ovvero sedici milioni di koglioni. Potevo arrivare a quarantamila minkie. Ovvero ottantamila koglioni. Ma eran picca dinnanzi a quaranta milioni. Ovvero ottanta milioni di koglioni. E allora, minkia più minkia meno, vista l‟inflazione della minkia, e viste le minkiate somme di tante somme teste di minkia, mi sono limitato a condire a tutta minkia questo scritto. Questa la ricetta della “kazzata siciliana”. Prendi ottomila e passa minkie doc fatte ad hoc, e poi kazzi e ciolle e cicie e piselli e mentule e falli. Impasta il tutto dopo avere rotto koglioni a tinchitè. Aggiungi fike, pakki, stikki, baccalari e Massari Paulu a iosa. Aggiungi vino e marijuana alla sanfasò. Tout court e full time. Inforna e buona fortuna a tia, alla tua minkia e alla sua controparte. R. Santoro Pour la laïcité, avec la laïcité, dans la laïcité en nom de la liberté. R. Santorò-Voltaire La liberté du monde est proportionnelle inversement à leur religiosità. R. Santorò-Voltaire Pryapo: il dio dei bordelli Ovvero: L‟Olympo a Monakazzo di Rupert Santoro, ex Paolo Ovvero: Dal Pattuallopolys di Karleonthynoy e Leonthynoy al Terre d‟arance di Carlentini e Lentini, dall‟Olympum di Olimpia all‟Olympum di Munypuzos, dall‟era a. Z. all‟era d. Z. , dall‟era a. C. all‟era d. C. , dalle kazzate della realtà alle stronzate della fantasia, dalle minkionerie della fantasia alle koglionate della realtà, con tante minkiate, minkiatelle, minkiatone e minkiatazze distribuite a iosa, alla sanfasò e a tinchitè, e naturalmente con tanti parerghi e tanti paralipomeni, ma comunque sempre con bordelli, casini, postriboli e lupanari vari compresi, e soprattutto con tante teste di pisella, di pula, di minkia, di ciolla, di verga, di belin, di marrugghiu, di pene, di mentula, di fallo, in ogni caso con tante ma tantissime teste di kazzo, teste di kazzo e non solo, ma sempre a iosa, alla sanfasò e a tinchitè. Nessun kazzo è duro come la vita. John Giorno Nessuna minkia è dura come la minkia di Pryapo, ma certe teste di kazzo hanno lu ciriveddu chiù duro della minkia di Pryapo. Rupert Santoro Un ozio senza lettere è la morte, è il funerale di un vivo. Seneca Forse tremate più voi nel pronunciare questa sentenza che io nell'ascoltarla. Giordano Bruno ai giudici l‟8 febbraio 1600 La filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi a gli occhi (io dico l'universo), ma non si può intendere se prima non s'impara a intender la lingua, e conoscer i caratteri, ne' quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche, senza i quali mezi è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro laberinto. Galileo Galilei Pregate, pregate Dio, o carissimi, se non siete ancora asini, che vi faccia dovenir asini. Giordano Bruno Pregate, pregate se l‟avete, il vostro Dio, o per niente carissimi, se non siete ancora asini, che vi faccia dovenir asini. R. Santoro A B C D MUNYPUZOS BOSCO DI MYNKYALONYA LAGO DI MUNYPUZOS PURCEDDOPOLYS Se la matematica e la scienza prendessero il posto della religione e della superstizione nelle scuole e nei media, il mondo diventerebbe un luogo più sensato, e la vita più degna di essere vissuta. Che ciascuno porti dunque il suo contributo, grande o piccino, affinché questo succeda, per la maggior gloria dello Spirito Umano. Piergiorgio Odifreddi, Il matematico impertinente. In fondo, la critica al Cristianesimo potrebbe dunque ridursi a questo: che essendo una religione per letterali cretini, non si adatta a coloro che, forse per loro sfortuna, sono stati condannati a non esserlo. Piergiorgio Odifreddi, Perché non possiamo essere cristiani. Dedica d‟amore incommensurabile Alla mia compagna Maria Concetta Fiducia ribattezzata Marika com‟io Rupert mi ribattezzai in nome della Dea Ragione di Illuministica memoria. Rupert Santoro da Monakazzo A idda… Mi giru e mi rigiru na lu lettu dispiratu, poi allongu na manu… Trovu aria e vientu ; e sanu sanu amminchiulisciu e na vuci iettu… M‟arrispigghiu di bottu scantatu.. Stava sunnannu cosi ammalamenti.. Idda era dà e durmia pacifikamenti.. „U cori trimanti fu cunfurtatu… Dormi figghia bedda, riposa.. Tu duni filicità alla vita mia.. Senza tia „a vita fossi brutta cosa… Lu to ciauru m‟acchiappa la fantasia.. Taliu a tia e penso e ripensu a na cosa.. „U pitittu mi dici: pigghiala, è pi tia.. Rupert Santoro Là dove si bruciano i libri, si finisce per bruciare anche gli uomini. Heine Il pericolo non è la censura ma l‟autocensura. Dario Fo Ho letto tanti di quei testi che stanno nell‟Indice dei Libri Proibiti che tutta la mia mente è proibita. Rupert Santoro In nome della scienza ripudio l‟odiato Paolo che imposto mi fu con la violenza del battesimo per l‟autoscelto Rupert. R. Santoro Quando la potenza civile si dichiara in favore di un'opinione religiosa, l'intolleranza è la conseguenza necessaria. H. G. Riqueti di Mirabeau Questo romanzo è solo e soltanto una sequenza di minkiate... ..anche se tra tante minkiate ci stanno troppe verità dichiarate.. Quando si parla di Zeus & company è solo immaginazione... ..le minkiate non le fanno gli dei inesistenti ma gli uomini koglioni.. Minkiate per minkiate, meglio le minkiate della minkia che certe minkiate fatte da autentiche teste di minkia.. Rupert Santoro Questo libro è volutamente e ossessivamente “osceno“, perché l‟oscenità esiste solo nella mente dei moralisti. Conteneva all‟inizio circa 4000 volte la parola “minkia”. Ma dovrebbe contenerla alla fine circa 8000 volte.. Praticamente sempre meno delle minkiate di certi signori.. ..delle minkiate che certi avvocati dicono in un giorno.. ..delle minkiate che certi politici fanno in un giorno.. ..delle minkiate che certi preti fanno in un giorno.. ..delle minkiate che certi uomini e certe donne fanno ogni giorno.. .. degli ammuccaparticole e kakadiavoli che dopo aver chiesto perdono per le 4000 o le 8000 minkiate del giorno prima si apprestano a farne altre 4000 o 8000.. ..perché il loro obiettivo primario è quello di fottere il prossimo.. tra le 4000 e le 8000 volte al giorno.. ..e allora meglio dire 4000 o 8000 volte la parola “minkia” che fare 4000 o 8000 minkiate.. Rupert Santoro In una libera comunità dovrebbe essere lecito ad ognuno pensare quello che vuole e dire ciò che pensa. Spinoza Contra jogulatores obloquentes . Federico II di Svezia Contra scriptoris obloquentes . Il potere “Dio è fede, la fede è un dogma, un dogma non si spiega”. Scusate, ma preferisco il metodo scientifico. Rupert Santoro I politici che si comportano con poca onestà non sono degni di rappresentare il popolo. Rupert Santoro Auto-Prefazione Con la nascita dell‟uomo nacque anche la satira. Ma in realtà la satira era già nata da tempo. Era proprietà indiscussa degli Australopithecus. Che lo vogliate o no, i vostri nonni pelosi. Le scimmiette non potevano che ridere appena uscite dal ventre dello loro mamma. E mamma scimmia rispondeva a quella risatuccia ironica con una risatona a bocca spalancata ancora più ironica. Come dire “Benvenuto, scimmietto mio bello, nel mondo della satira, dello sberleffo, dell‟ironia”. E le scimmie per fare facce e faccette avevano tutta la mimica possibile e immaginabile. E per ridere di sé e degli altri avevano una bocca che aperta era veramente la porta, anzi il portone, dello sberleffo. D‟altra parte non poteva essere diversamente. Ancora oggi ci sono tribù di scimmie che fanno, per esempio, la satira della guerra. Lottano con munizioni di cacca e getti di piscio. Per il resto se la godono sbucciando banane di carne e banane vegetali. Poi, purtroppo, arrivò la scimmia nuda, la scimmia senza peli. E finì il tempo della “satira della guerra“ per far posto alla “guerra” vera. Prometeo o Adamo sono solo simboli, ma l‟uomo che discende dalla scimmia è scienza. La creazione, qualunque creazione, è una balla, mentre l‟evoluzione è un dato di fatto. Se la prima, nonna scimmia, aveva la satira nel suo DNA, il secondo, l‟uomo insapiens, andò incontro ad una “mutazione sfavorevole“. Il gene della “satira della guerra” si perse e restò solo il gene della “guerra”. E la storia c‟insegna che grande scannatoio è stato ed è il mondo dell‟uomo. A parte certi comici, filosofi, letterati e scienziati e qualche rappresentante di qualche altra specie, il resto è messo male. Solo ideologia e fanatismo. Un‟accoppiata pericolosissima. Naturalmente dimostrò ironia lo scienziato che chiamò l‟uomo Homo sapiens. Forse si riferiva a se stesso o, in ogni caso, a qualche minoranza. Non certamente all‟insieme, alla massa. Per il resto, l‟uomo, di “sapiente”, ha dimostrato poco. E infatti, quando un bambino della specie Homo esce dal ventre materno non ride ma piange. Sa cosa lo aspetta. E non ride neanche la madre. E generalmente neanche il padre. Sanno che la vita è un macello. Che la storia è una macelleria. Che i potenti sono dei macellai. Alcuni alla grande, altri in piccolo. E che l‟uomo è solo e soltanto una pedina nelle mani dei potenti che gestiscono il macello. Ma per non prendersi colpa alcuna i gestori del macello dichiarano di operare per conto di entità soprannaturali. Almeno in linea generale. E allora la fede e il fanatismo fanno il resto. Il macello nel corso del tempo si è anche evoluto in maniera tecnologica e scientifika. Ma se sappiamo tanto, anche se non sempre la verità, dei macelli passati e di quelli in atto, per nostra fortuna non sappiamo niente su quelli futuri. E in molti temiamo che si preparino grandi macelli. Se tutti ricordiamo la macelleria hitleriana, fascista, franchista o quella comunista molti hanno dimenticato la macelleria napoleonica o quella della santa inquisizione. Che di santo non aveva manco Santa Ciolla. Ma sono esistite anche la macelleria crociata o quella della Roma imperiale. Quella di Alessandro il macedone o quella delle infinite guerre di religione. I grandi “eroi” dei libri di storia sono anche stati dei grandi macellai. Soprattutto sono stati dei grandi macellai. Cosa fare ? Possiamo al massimo toccarci i testimoni o i simil testimoni. Ma i gesti scaramantici non hanno valore né scientifico né legale. Sono solo un gesto popolare di grande koglioneria. È un credere alla Koglionologia. Tale e quale l‟Astrologia. Balle e basta. E il potere poi se ne fotte di codeste stronzate. Che fare allora? Visto che l‟uomo continua a macellare in nome di un ipotetico dio, anche se in realtà lo fa solo e soltanto per i propri interessi, promettendo, come compenso alle pene terrene, un paradiso artificiale che non è quello artificialissimo dell‟LSD e sostanze similari ma che è falso come quello. È un‟illusione come quello. Ed è anche una brutta illusione. D‟altra parte, se l‟anima non è negli atlanti di anatomia ( la ghiandola pituitaria serve ad altro), dobbiamo precisare anche che i paradisi artificiali, e gli inferni altrettanto artificiali, non sono neanche loro negli atlanti di astronomia. Sono solo nelle ideologie di tanti che però vogliono imporle a tutti. E sono poi nelle pagine immortali di tanti autori. Ma quelle sono solo parole; e le parole sono solo fantasia, figlie predilette della fantasia. Da Virgilio a Dante a Milton solo e soltanto fantasie. Come fantastiche sono le storie di queste pagine. Fantastiche perché fantastiche sono le avventure del fantastico e fantasioso Zeus e della sua fantastica e fantasiosa corte di dei viziosi e gioiosi come l‟uomo. Ma una cosa è la mitologia, pagana o d‟altro genere, e una cosa diversa è la realtà. E nella realtà i macellai non sono solo simbolici, sono purtroppo reali. E fare satira, sbeffeggiare o ironizzare sui macellai di ogni ordine e grado, porta sfiga. Al “satireggiatore” sempre, al macellaio delle volte. Per questo il potere dichiara da sempre guerra alla satira. Perché il potere davanti alla satira è nudo. E quando il potere resta senza mutande scatta la censura. La satira è solo libertà. E come le scimmiette che lottano col piscio e la cacca. Ma il potere ha paura di quelle armi biologiche. E censura. In modi diversi, che vanno dal rogo alla tortura, dal silenzio all‟indice dei libri proibiti, dell‟elenco dei film da non vedere a quello delle cose da non fare. Ma l‟elenco è lungo. Lunghissimo. Proibire e vietare e dire no è il lavoro preferito dal potere liberticida. Il liberticida ha paura di tutto. Questo perché il potente rispecchia le parole di J. Swift per il quale la satira “ è uno specchio nel quale vediamo ogni volto tranne il nostro”. Oggi, anno 2008 della falsa kronologia cristiana, la satira è assai malvista e non soltanto dal potere. Eppure la satira è direttamente proporzionale alla libertà. Perché un paese che non ha paura della satira è terribilmente libero. E nel mondo classico, perché noi, diciamolo pure, abbiamo radici gioviane o zeussiane, c‟era un bel po‟ di libertà. Perché certi dei, inventati a modello umano, erano fin troppo simpatici. E gli scrittori greci giocavano con i loro dei perché erano dei a misura d‟uomo. L‟ideale comunque è e resta l‟uomo-cittadino Dyceomynkyopoly, il cittadino giusto. Ma Dyceomynkyopoly deve essere giusto non soltanto quando è un cittadino comune ma soprattutto quando è un cittadino che occupa una carica, quando esercita un potere, quando svolge un ruolo. Allora deve essere un Dyceomynkyopoly all‟ennesima potenza. Capace di portare il fallo in processione e non di usare il fallo per fottere il popolo, la massa dei Dyceomynkyopoly, dei cittadini giusti. Purtroppo, spesso, molto spesso, il potere sa solo imporre. E questo potere ha paura della satira, ha paura dello sberleffo, ha paura dell‟ironia, ha paura della vignetta, ha paura della libertà. Ha paura di guadarsi allo specchio e di vedere le proprie vergogne. Voglio concludere , e concludere veramente, con le parole di Christopher Hitchens, “La religione disprezza la ragione, l‟ateismo crede nell‟essere umano, non ha ricette per la moralità”. Questo testo neanche. Non è immorale come sostengono i moralisti. Non propone una nuova morale, perché questo sarebbe immorale. E‟ semplicemente amorale. La moralità in fondo in fondo è solo un buco che ognuno allarga e restringe come vuole. Il moralista, molto spesso immorale nel privato, vuole imporre la pubblica virtù e lasciare i vizi come fatto privato. Perché il moralista ha spesso vizi abominevoli. Come il prete pedofilo che condanna all‟inferno conviventi gay ed etero ma poi sotto la tonaca nera come la notte buia e scura nasconde abomini innominabili. L‟amorale invece non ha nessuna colpa. E‟ il moralista che vede l‟immoralità negli altri. Il cosiddetto amorale è solo la vittima del moralista che a sua volta vede solo volgarità, oscenità, pornografia e indecenza in quasi tutto. E negli altri naturalmente. Pertanto viva, e ancora viva, l‟amoralità. L‟amorale vive la sua vita, non da giudizi, non sputa sentenze, non impone dogmi, non invoca la censura. L‟amorale è nudo dentro e fuori. È nudo tout court e full time. Non mette la maschera e neanche il costume . Non fa il pupo e manco il puparo. Non indossa il doppio petto e non si genuflette. E‟ solo suo, vive per sé e non per gli altri. L‟amorale non è il cristiano ipocrita e manco l‟ipocrita cristiano che recita la parte del buono ed onesto cittadino. Recita e basta però. Ma è buono ed onesto solo per recita. Non è manco l‟avvocato bugiardo che trama per difendere i bugiardi ed imporre l‟illegalità. E non è neanche l‟ingegnere tangentista che va avanti a tangenti. E naturalmente l‟amorale non è il politico che prostituisce le istituzioni che rappresenta alle sue squallide e arroganti bugie. L‟amorale non ha paura della sua nudità fisica e mentale. Non ha paura delle sue idee che sono soltanto sue. Non ha paura dei suoi pensieri che sono soltanto suoi. Non ha paura dei suoi “scandali” che sono soltanto suoi ma che in realtà non esistono. Sono gli stupidi e tonitruanti scandalizzati che mettono su lo scandalo. L‟amorale non ha “prigioni” ideologiche, religiose o politiche. È semplicemente e draconianamente libero. E allora gridiamo pure “Libertè. Fraternitè. Ugualitè. Sexualitè. E vaffankulo ai rompikoglionè”. Ed io accetto gli amorali e me ne fotto dei moralisti. Non posso accettare per motivi prettamente scientifici l‟idea di dio. E‟ contro, semplicemente contro tutte le leggi della chimica, della fisica e della biologia. E non posso accettare per motivi storici, ma anche per un milione o un miliardo di altri motivi, l‟idea di un dio che inventa stupide regolette come il non mangiar questo e il non mangiar quello ma poi permette ai grandi criminali di diventare grandi governati. Non posso accettare l‟idea di un dio che pensa a regole di natura sessuale e se ne frega di crimini impensabili e innominabili. Dei crimini fatti da singoli ometti ma anche dei crimini di massa fatti dai grandi ometti. I Cesari e i Napoleoni come i Carlo magno e gli Alessandro magno sono stati soprattutto dei macellai. Più che grandi politici e insigni statisti sono stati grandi macellai. Se uno ammazza una persona è un assassino, ma se ne ammazza un milione entra nella storia e diventa condottiero, imperatore, re e finanche eroe popolare. Dov‟era dio, un dio qualunque, uno dei tanti del pantheon delle mille e passa divinità, quando Alessandro magna conquistava, Caligola pazziava, Attila attilava e Hitler itleriava? Dov‟era dio? Dov‟erano gli dei? E quando il papa bandiva le crociate? Dov‟erano gli dei? Dov‟era dio? E quando il papa si chiamava Alessandro VI? Dov‟era? Dov‟erano? E quando il papa firmava a favore della Santa Inquisizione? Dov‟era? Dov‟erano? E io mi chiedo “è più grave mangiar carne il venerdì o essere Hitler?” E‟ meglio omettere la risposta. Astenermi. Non pronunciarmi. Dov‟era o dov‟erano quando i roghi imperversavano? Quando i roghi bruciavano uomini e donne libere di cervello dicendo che erano eretici o streghe? Dov‟era? Dov‟erano? Ma mi chiedo anche dove kazzo è dio - o dove kazzo sono gli dei- mentre tanti uminicchi, tanti omuncoli, tanti ometti, tanti uomini, tanti pupazzi e tanti pupari fanno teatro pieno e ragionato delle loro bugie che spacciano per verità. Dove kazzo è dio - o dove kazzo sono gli dei - quando l„ingiustizia trionfa? Quando le bugie diventano verità? Quando i falsi testimoni testimoniano le più squallide false testimonianze? Dove kazzo è dio. Dove kazzo sono gli dei? Dov‟è? Dove kazzo è? Dove kazzo sono? Io lo so. In nessun luogo, in nessun posto, in nessun sito. Semplicemente non c‟è. Non ci sono. Non c‟è mai stato. Non ci sono mai stati. Il concetto di dio è la satira stessa di dio. È l‟uomo, che con la sua violenza, con la sua arroganza, con la sua voglia di potere , ha inventato il concetto di dio, per poi usarlo e gestirlo secondo le sue intenzioni. È l‟uomo che ha trasformato il mondo in un grande bordello. Pertanto non resta che aspettare il bis di quello che successe 65 milioni di anni fa. Meglio altre vite, meglio altri essere viventi, meglio altri aggregati di cellule che quest‟uomo di merda detto Homo sapiens. Meglio un vivente ateo che altro. Perché dio è anche contro ogni forma di ragione. Dio e la ragione collidono violentemente. Dio è il buio, la ragione è la luce. Magari di tipo illuminista ma luce. E poi, praticamente, non posso accettare l‟idea di un dio che si occupa dei fatti sessuali delle persone, di un dio che richiama a sé i buoni e gli onesti ma lascia vivere e a lungo i piccoli e i grandi criminali. Non posso accettare l‟dea di un dio che manda i suoi fantasiosi rappresentanti a Sodoma. Li dovrebbe mandare nelle sale dei tribunali, nelle sedi delle banche, nelle sedi del potere tout court e full time. Il vero dio che tutto può dovrebbe bloccare il violentatore ma anche il prete pedofilo, l‟avvocato bugiardo, il politico falso, il banchiere ladro, e naturalmente anche il ladro qualunque. Il buon dio dovrebbe bloccare costoro tout court e full time. Bloccali per sempre , o con la morte o con gravi patologie. Invece ciò non succede. Dio o gli dei non bloccano la ciolla al prete pedofilo o al violentatore, non paralizzano la lingua all‟avvocato bugiardo e ai falsi testimoni, non ictizzano il politico falso, non bloccano le mani dei grandi e dei piccoli ladri. D‟altra parte l‟inesistente non può fare niente. Dio non è impotente, è semplicemente inesistente. E come l‟atomo di Rutherford. Uno spazio praticamente vuoto . Anzi, è di più. Una spazio realmente e totalmente vuoto. Uno spazio però che ogni gestore della “parola di dio” riempie e sfrutta come meglio gli pare e piace. A iosa, alla sanfasò e a tinchitè. Tout court e full time. E allora meglio una estinzione di massa e l‟avvento di una nuova forma di vita. O semplicemente una devoluzione verso nonno scimmia. Meglio, molto meglio un Australophitecus che certi Homo sapiens insapiens che non capiscono una kazzo di ciolla del kazzo. Rupert Santoro N.B. Questo testo, nato come un naturale inno d‟amore all‟ateismo, l‟unica condizione teologica scientificamente possibile, matematicamente sostenibile, chimicamente ammissibile, e finanche filosofikamente accettabile, è diventato, causa incontri sommissimamente disgraziati, un gioioso inno all‟odio giusto e dovuto contro i suscitatori d‟odio di professione o per semplice casualità. E io odierò justissimamente fino alla fine; e mai e poi mai maissimo un inutile rappresentante di qualche astrusa forma di teologia potrà chiedermi un kazzo di perdono del kazzo o somministrare una qualche kazzo di assoluzione del kazzo. Non mi serve dare l‟uno e manco ricevere l‟altra cosa. Perché l‟uno e l‟altra cosa son sono ipocrite balle. Kazzismi e controkazzismi in questo ipocrita mondo del kazzo e del controkazzo. Preferisco tenermi il dovuto odio che coltivo con più cura di quella che Mendel aveva con i suoi piselli. E‟ bello alzarsi la mattina con la speranza che i nemici l‟abbiano presa in kulo. Per caso, per coincidenza, per combinazione. E non per inutile giustizia divina o umana. La prima è scientificamente, matematicamente e fisicamente inesistente, la seconda, purtroppo, erra spesso e volentieri. Da apoteosi, panegirico e apologia dell‟ateismo ad apoteosi, panegirico e apologia dell‟odio. In fondo questo romanzo l‟avrei potuto titolare “Dialogo sui due massimi sistemi”. Tanto per citare Galileo. Naturalmente i due sono il sistema “‟Ateistico” e il “Teistico”. I primo è nato con l‟uomo, naturalmente, il secondo è stato inventato dall‟uomo, artificialmente. E se il primo ha validità scientifica e di libertà, il secondo è solo un insieme parole, divieti e sottomissione al potere. Rupert Santoro L‟amorale ha una sua morale ma non la vuole ficcare nel cervello degli altri. La sua amorale morale è solo e soltanto sua. I moralisti invece hanno una morale e la vogliono imporre a tutti. Rupert Santoro L‟impotenza di dio è infinita. Anatole France L‟impotenza degli dei che furono, sono o saranno, è infinita. E‟ infinita a iosa, alla sanfasò e a tinchitè. E‟ infinita tout court e full time. Rupert Santoro Dedica di stima incommensurabile Alla signora Fioretta Faeti Barbato Unica certezza onesta nell‟entropico e bugiardo Kaos del Terre d‟arance di Lentini e Carlentini Rupert Santoro da Monakazzo Nuova dedica di stima incommensurabile A tutti quelli che del Terre d‟arance di Lentini e Carlentini occupati si sono. Primi tra tutti Beha e Marrazzo. Ma anche Buffa, La Fata, Frisone, Guzzardo e altri di cui mi sfugge il nome Rupert Santoro da Monakazzo Dedica di gioia infinitamente incontenibile All‟UAAR che , tra le altre tante cose , a conoscenza della pratica dello sbattezzo mi pose. E io mi autosbattezzai con amore sommo e gioia draconiana per non essere più cristiano tra certa razza “ cristiana”. Rupert Santoro da Monakazzo Dedica di ringraziamento infinitamente gioiosa Grazie a tutti gli elettori di Lentini e Carlentini, e in generale della provincia di Siracusa, che non hanno votato per i politici del Terre d‟arance. Grazie di cuore a tutti loro. Rupert Santoro da Monakazzo << La materia non può essere né creata né distrutta ma soltantotrasformata >>. Questo dice la legge di Lavoisier. Di conseguenza le creazioni delle varie religioni sono solo e soltanto una...una enorme balla. Tutt‟al più una stupenda favola. Rupert Santoro, Pensieri stupendi Odyssesthai signifika “ odiare “, e tu sarai odiato e odierai. Perché l‟odio è il sentimento più bello del mondo.. non perdonare mai.. roba da ammuccaparticole è porgere l‟altra guancia.. odia… meglio milioni di morti che amare.. odia che l‟odio ti farà grande, ti darà vita e speranza.. per odiare ancora di più.. Autolico Sbattezzo contro il Terre d‟arance di Carlentini e Lentini ( spedita dall‟Ufficio postale di Buscemi il 30 / 08 / 2007 alle ore 9: 31 con raccomandata A/R n. 12259746220-8. Al Parroco della parrocchia di San Michele OGGETTO: istanza ai sensi dell'art. 7 del Decreto Legislativo n. 196/2003. Io sottoscritto, nato a Palazzolo Acreide il 25/6/54, residente a Palazzolo Acreide , con la presente istanza, presentata ai sensi dell‟art. 7, comma 3, del Decreto Legislativo n. 196/2003, mi rivolgo a Lei in quanto responsabile dei registri parrocchiali. Essendo stato sottoposto a battesimo nella Sua parrocchia, in una data a me non nota ma presumibilmente di poco successiva alla mia nascita, desidero che venga rettifikato il dato in Suo possesso, tramite annotazione sul registro dei battezzati, riconoscendo la mia inequivocabile volontà di non essere più considerato aderente alla confessione religiosa denominata “Chiesa cattolica apostolica romana”. Chiedo inoltre che dell‟avvenuta annotazione mi sia data conferma per lettera, debitamente sottoscritta. Si segnala che, in caso di mancato o inidoneo riscontro alla presente istanza entro 15 giorni, il sottoscritto si riserva, ai sensi dell‟art. 145 del Decreto Legislativo n. 196/2003, di rivolgersi all‟autorità giudiziaria o di presentare ricorso al Garante per la protezione dei dati personali. Ciò, in ottemperanza del Decreto Legislativo n. 196/2003 (che ha sostituito, a decorrere dall‟1/1/2004, la previgente Legge n. 675/1996), in ossequio al pronunciamento del Garante per la protezione dei dati personali del 9/9/1999 e alla sentenza del Tribunale di Padova depositata il 29/5/2000. Si allega fotocopia del documento d'identità. Distintamente. Santoro Paolo P. S. Il motivo dello sbattezzo, che desidero rendere pubblico, perché pubblico e contro la mia volontà fu l'imposizione dello stesso, è il desiderio di non far parte della stessa comunità, quella dei battezzati, che probabilmente comprende: A)Tocco, coordinatore razzista del Terre d'arance ( ha diviso gli italiani in italiani d'Italia, che andavano saldati, e italiani di Sicilia, che non andavano saldati e rivendicava dal sindaco di Carlentini otto milioni di lire mentre quest‟ultimo sosteneva di averne promesso solo quattro). La sua firma in calce al bando non è mai stata onorata. B) Battaglia, ex sindaco di Carlentini, che ha minacciato il sottoscritto perchè ha osato richiedere il premio vinto, ( tra l'altro uno dei due è un bugiardo patentato e mi auguro che il loro confessore sappia chi sia, visto che in tv hanno sparato cifre diverse, quattro ed otto milioni). C) Raiti, ex sindaco di Lentini, coinvolto in una storia di documenti che non si sa che fine abbiano fatto ( spediti a pochi minuti dalla scadenza e ributtati indietro con l'invito ad integrali. Ma questa integrazione non è stata mai fatta né da lui né dai suoi successori) . D) Marino, presidente del Terre d'arance, che non ha mai voluto rispondere alla semplice domanda " Ha ragione Tocco o Battaglia?". E) Granata, ex onorevole dell'Ars, che intervenendo alla radio, da Oliviero Beha, disse " Si può risolvere tutto in due mesi" ( e invece sono solo passati anni ); F) E ancora, i successori di Raiti e Battaglia, che non hanno fatto niente per risolvere e onorare questo premio della vergogna. G) E poi ancora, persone a me ignote che non hanno fatto il loro dovere in questa storia. Ebbene, se cristiano battezzato vuol dire essere giusto, io preferisco non condividere il battesimo con costoro. Che in questa storia sono stati incommensurabilmente ingiusti. Chiedo anche che al momento della mia morte i miei resti non siano portati in chiesa e che nessun simbolo religioso ingombri la mia bara e la mia tomba. Sulla mia tomba desidero solo la frase “ Siamo solo atomi organizzati “. A parte il cognome che felicemente ereditai , Santoro , e il nome che scelto mi sono, Rupert. Abiuro il Paolo che imposto mi fu. E poi ancora desidero la dicitura “ Vittima del Terre d‟arance di Carlentini e Lentini”. Grazie. Rupert Santoro Siccome negli ultimi momenti della creatura umana, il prete, profittando dello stato spossato in cui si trova il moribondo, e della confusione che sovente vi succede, s'inoltra, e mettendo in opera ogni turpe stratagemma, propaga coll'impostura in cui è maestro, che il defunto compì, pentendosi delle sue credenze passate, ai doveri di cattolico: in conseguenza io dichiaro, che trovandomi in piena ragione oggi, non voglio accettare, in nessun tempo, il ministero odioso, disprezzevole e scellerato d'un prete, che considero atroce nemico del genere umano e dell'Italia in particolare. E che solo in stato di pazzia o di ben crassa ignoranza, io credo possa un individuo raccomandarsi ad un discendente di Torquemada . Giuseppe Garibaldi, Testamento Sottoscrivo al mille per mille le idee del grande grandissimo eroe Giuseppe Garibaldi. Rupert Santoro A.A.A. Zeus è mitologia, come le altre divinità... passate, presenti e future... I fatti raccontatati in questo libro sono solo balle.. tutte balle.. solo balle... Magari balle belle.. balle divertenti.. balle hard... balle porno.. balle erotiche... balle politiche... balle sociali.. ma sempre balle... balle umane.. balle da uomini ...balle fantastiche o di fantasia come fantastica o di fantasia è l‟avventura millenaria dell‟animale Homo sapiens.. tutte balle dunque.. di reale ci sono sole le minkiate del Terre d‟arance di Lentini e Carlentini.. una storia di vergogna senza limiti... di merdosa merdosissima merda tout court e full time. Rupert Santoro La nostra fede non è una fede. Non intendiamo basarci esclusivamente sulla scienza e sulla ragione, perché questi sono elementi necessari piuttosto che sufficienti, ma diffidiamo di qualsiasi cosa contraddica la scienza o offenda la ragione. Possiamo non essere d'accordo su molte cose, ma rispettiamo la libera ricerca, la spregiudicatezza e il perseguimento delle idee per il loro intrinseco valore ... Crediamo senza titubanza che una vita etica possa essere vissuta senza religione. E diamo per ovviamente vero il corollario: che la religione ha fatto sì che innumerevoli individui non solo non si siano comportati meglio degli altri, ma ha concesso loro il permesso di comportarsi in modi che farebbero sollevare il sopracciglio di una tenutaria di postriboli o di un appassionato di pulizia etnica. Christopher Hitchens, Dio non è grande Autoprivazione del certifikato elettorale per protesta contro il Terre d‟arance di Lentini Carlentini . Il certifikato elettorale è stato spedito al Capo dello Stato dall‟ufficio postale di Buscemi alle ore 11:06 del 21 / 08 /2007 con raccomandata numero 12259746167-04 PALAZZOLO ACREIDE, 20 / 8 / 2007 PRESIDENZA DELLA REPUBBLICA PIAZZA DEL QUIRINALE 00187 ROMA Signor Presidente, A Lei, faro di giustizia , di libertà e di laicità, invio la mia tessera elettorale N. 030183468 della V Circoscrizione Collegio italia insulare, perché non me la sento di andare a votare in questa Sicilia dove i politici che rappresentano le istituzioni non fanno il loro dovere. Le scrivo da una parte della Sicilia dove i regolamenti e i bandi sono solo carta straccia. E i coordinatori possono stravolgere i risultati della giuria invertendo l‟ordine di arrivo dei partecipanti. Almeno così è andata per quanto riguarda la mia vicenda che va avanti dal giugno del 2001 e vede protagonisti tra l‟altro dei sindaci : Battaglia (allora sindaco di Carlentini) e Raiti (allora sindaco di Lentini). Il primo ha pubblicamente minacciato - da Marrazzo e da Beha - il sottoscritto, dicendo che sarebbe andato alla Procura della Repubblica perché osavo richiedere il premio vinto. E così facendo facevo parlare male della Sicilia. Il secondo doveva inviare dei documenti a Palermo per avere un finanziamento ma rinviava la spedizione. Lo faceva poi a pochi minuti dalla scadenza ma si vedeva respingere il tutto, con l‟invito ad integrarli, perché la documentazione era ritenuta incompleta. Ma né lui né i suoi successori l‟hanno fatto. Mi sento anche vittima di una forma di razzismo quale è quella inventata dal coordinatore del premio, Tocco, che con i soldi ricevuti a preferito pagare i non siciliani, giustificandosi poi dicendo “che l‟aveva fatto per far fare bella figura alla Sicilia”. Questo signore ha diviso gli Italiani in Italiani d‟Italia e Italiani di Sicilia. E ha deciso che i primi valgono di più e vanno saldati. Nella mai chiarita vicenda compare anche l‟allora vicesindaco di Lentini, Marino, presidente onorario del premio. E nella trasmissione di Beha intervenne anche l‟onorevole Granata, che disse “tutto si può risolvere in due mesi”. Peccato che era l‟ottobre del 2003 e siamo già nel 2007. Nel sito della Rai si trova questa frase “Tuttavia, ora, alla luce della prima trasmissione Battaglia assicura di voler trovare una soluzione per pagare i due vincitori non premiati e salvaguardare il nome della città di Carlentini”. Né Battaglia né i suoi successori hanno "salvaguardato" il nome della città di Carlentini, visto che non hanno risolto il problema. Pertanto non me la sento di andare a votare in questa Sicilia, dove non vota, dati delle ultime regionali, il 40 % degli elettori. Provo solo nausea per questi politici. Provo solo dolore nel pensare che rappresentano le istituzioni in modo scorretto. La Sicilia merita altro, e invece viene rappresentata anche da queste persone. Quindi rinuncio volontariamente a questo mio diritto di cittadino elettore. Per queste elezione e per quelle future. Se questa è la Sicilia, se queste sono le persone che la rappresentano, io rinuncio volontariamente al mio diritto-dovere di elettore. E continuo a sentirmi italiano di serie B nella Sicilia dei politici senza onore e senza vergogna. Cordiali saluti. Rupert Santoro Ronco Cornelia 1 , 96010 Palazzolo Acreide, Siracusa Tel. 0931- 883267 . Cell. 3387038736 In data 29-11-2007 i C.C. mi hanno riconsegnato il certifikato elettorale. Io non so cosa farmene nella terra dei politici del Terre d‟arance, perciò lo spedirò al Presidente del Consiglio . Lettera aperta ai santi Cirino, Filadelfio e Alfio in quanto responsabili del territorio di Lentini, una città del Terre d‟arance . Cari Santi Cirillo, Filadelfio e Alfio, Vi scrivo da laico e per raccontarvi una storia che si è svolto nel territorio di vostra competenza. Sono passati anni ma voi dovreste saperlo. Vi chiedo, sapete per caso che fine hanno fatto i documenti che l‟ex sindaco Raiti doveva spedire a Palermo? E perchè non sono stati integrati? Esistevano o meno? Vi chiedo anche se sapete il perché i successori del Raiti non hanno fatto niente per risolvere l‟infame e infamante storia di malascilia? E ancora, sapete se Marino, allora vicesindaco di Lentini, sapeva se Tocco doveva ricevere quattro o otto milioni dal sindaco di Carlentini Battaglia , visto che aveva che fare, come presidente, con il premio della vergogna denominato Terre d‟arance? E sapete, cari santi, del razzismo di Tocco che da diviso gli italiani in italiani di sicilia che valgono di meno e non vanno saldati e italiani d‟italia che valgono di più e vanno saldati. Mi piacerebbe sapere se questi signori sono credenti e se hanno raccontato codeste fesserie ai loro confessori. Certo, voi come santi dovreste sapere tutto quello che succede in zona. Io Vi scrivo da laico e Vi comunico che per non condividere il titolo di cristiano con questa gente mi sono felicemente e gioiosamente sbattezzato. Meglio ateo che cristiano in compagnia di certa gente. Certamente non è piacevole e bello fare i patroni o roba simile in una terra dove i rappresentanti delle istituzioni combinano certe fesserie. Non dovrei chiedervi niente perché non credo a niente. Ma una cosetta ve la chiedo? Vorrei tanto sapere chi sono i colpevoli in questa storia infame per maledirli ventiquattro ore su ventiquattro. Vorrei tanto sapere la verità prima di morire, laicamente però. Da ateo. In quanto da ateo ho chiesto di non avere nessun funerale religioso. E naturalmente nessun simbolo religioso sulla bara e sulla tomba. D‟altra parte mi sono gioiosamente e felicemente sbattezzato. Cordiali saluti con rispetto ma da laico, senza genuflessioni e preghiere e senza confessione di peccati perché non ne ho.. ho solo da confessare il mio draconiano odio per i signori del Terre d‟arance. Ma a queste condizioni odiare mi sembra doveroso. Lo ripeto, mi piacerebbe sapere la verità per poter morire contento maledicendo solo il colpevole o i colpevoli. Rupert Santoro P.S. Per conoscenza anche alla patrona o al patrono di Carlentini. Denunzia contro il coordinatore del Terre d‟arance ( e non solo..) Dedica alla terra natia che della Magna Grecia faceva parte A Palazzolo Acreide , patrimonio dell‟umanità, dell‟arte e di mille altre cose. A Palazzolo Acreide , che con le sue millenarie storie ispirommi Monakazzo e le sue storie curiose. A Palazzolo Acreide e a tutti i suoi abitanti. A quasi tutti per essere sincero e dire la verità, perché tra tanti c‟è ne qualcuno che sul kazzo mi sta. Rupert Santoro da Monakazzo Controdedica alla terra natia che la Magna Grecia era.. Alla Sicilia, detta anche Trinacria, che dagli dei era assai amata. A tutta la Sicilia intera e alla sua kultura. Alla Sicilia intera tranne Lentini e Carlentini città “madrepatria” del Terre d‟arance e dei suoi casini. Rupert Santoro da Monakazzo Ricontrodedica all‟Europa e al Mare Nostrum Senza polemiche ma in nome della verità. A chi parla di radici cristiane dell‟Europa. Vorrei ricordare che più a ritroso nel tempo. Troverebbero radici pagane con mille e mille divinità. Per cui la cosa più bella è dire che la vera radice è... la “ libertà”. Rupert Santoro da Monakazzo Devi sapere , figlio mio minkiuto, ca quannu si scopre una cosa è solo e soltanto perché ci sta una minkia curiusa. Sono le minkie curiuse che fanno evolvere lu munnu. Le minkie curiuse non accontentandosi del regolare kunno d‟ordinanza cercano sempre novità e accussì scoprono qualche cosa. Il futuro è nelle mani delle minkie curiuse. Dyonyso al figlio Pryapo , da Pryapo, il dio dei bordelli Scoprii di non credere in dio a scuola , quando la maestra mi disse che era stato dio a fare le foglie verdi. Pensai che era una stupidaggine. La religione viene dall‟infanzia della nostra specie, quando non sapevamo dell‟esistenza di microrganismi o come si generavano tuoni e terremoti. Christopher Hitchens Cresci, uomo, cresci. Non è più tempo di essere bambino. Rupert Santoro da Monakazzo Je port en moi le tombeau de moi-même. Io porto in me la tomba di me stesso. Gautier Pensiero stupendamente augurante Io non vorrei trovarmi assiso in paradiso e all‟inferno manco. Che già dell‟inferno chiamato Terre d‟arance sono stanco. Premio Terre d‟arance di Lentini e Carlentini diceva la scritta. Invece solo casini, documenti persi e minacce.. solo aria fritta. Che schifo questa sicilia di merda. Certa gente è meglio che politicamente si perda. Non voterò mai più vita natural durante. Meglio farsi una sega cha dar fiducia a certe gente arrogante. Rupert Santoro da Monakazzo Dedicato con tanta idiosincrasia a... … a chi patto o parola o debito non mantiene.. ... se omo è , un doloroso canchero gli pigli nel pene.. ... se femmina invece fussi la maliritta issa ... un canchero doloroso le pigli nella fissa .. ...accussì la semenza maliritta non avrà discendenza.. ... e se già c‟è, un canchero anche per codesta mal semenza…. Rupertynyum Santhokrysos da Munypuzos, ex Paulorum Già prima di Helena la fika fu causa orrenda di guerra. Orazio Ad me respice, fur, et aestimato, quot pondo est tibi mentula kakanda.. Guardami , ladro, e pensa quanto grosso è il kazzo che dovrai cagare. Carmina Priapea La libertà letteraria è figlia della libertà politica. Hugo Lo spirito scientifico moderno non può ammettere il soprannaturale: Non può concepire due regni. Huxley Ogni qualvolta odo i cristiani parlare di morale mi sento quasi rivoltare lo stomaco. Deschner Troppo fiero per obbedire a qualcuno, persino a dio, l‟ateo non prende ordini che dalla propria coscienza. Maréchal Un libro deve essere un‟ascia per penetrare nel mare ghiacciato che è dentro di noi. Kafka La vita è una, come la minkia, e se non è un piacere vivere e avere una minkia, a che minkia serve vivere e avere una minkia? Sokratynos da Munypuzos, secondo l‟Autore Creati e kreatori si confondono e non si capisce se i creati hanno kreato i kreatori o i kreatori hanno kreato i creati. Zeus, secondo l‟Autore Una mattina l‟uomo, non sapendo che kazzo fare, inventò dio. Ma ogni uomo inventò il suo di dio. Ogni uomo sosteneva che il suo dio era l‟unico dio. Fu così che appena due uomini con due “dii “ diversi S‟incontravano iniziavano a litigare. “ Il mio dio è migliore del tuo “. “ No, il migliore è il mio”. “ Il mio è l‟unico.” “ No, il mio è l‟unico”. E se le davano di santa ragione. Pardon, di divina ragione. La cosa piacque a qui parakuli che amano il potere. Che giustamente pensarono di sfruttarla. Nacquero così i creduti potenti e i credenti dipendenti. Nacquero così re, imperatori e altri capi in generale. Tutti manipolatori della parola di dio. E della coscienza delle masse. Nacquero così le guerre di religione. E iniziò quello scannatoio secolare Che ha fatto miliardi di vittime innocenti. Solo per difendere troni, casseforti e il potere dei potenti. “ Dio lo vuole” era il loro motto per scannare. “ Io lo voglio “ il loro pensiero personale. Grazie a dio, sono ateo, e non devo chiedere perdono a nessuno. Amo i giusti e gli onesti e odio chi è giusto odiare Non ho anima e solo un animale uomo sono. Odio alla grande e non perdono. Rupert Santoro da Monakazzo Al divin marchese D.A.F. De Sade. Hai sofferto giustamente per certe minkiate che hai combinato. Ma resti comunque un martire della libertà.. Il carcere per le opere scritte è stato solo una misura Della grande koglioneria del potere monarco -clericale. Oggi tutti sanno chi sei. Grande ma vittima innocente. Ma nessuno sa chi minkia furono le minkie anonime che ti perseguitarono. Se tu sadico fosti i tuoi persecutori lo furono di più. Rupert Santoro da Monakazzo Odyssesthai signifika “ odiare “, e tu sarai odiato e odierai. Autolico, secondo l‟Autore Gallo turpius est nihil Pryapo. Nulla è più orrendo di un Pryapo senza orpelli. Marziale Chi compie imprese grandi ha molto da soffrire. Eschilo Scribimus indoctis doctisque Poemata nostra: doctus et indoctus quod legat inde leget. Scriviamo questo nostro Poema per dotti e non dotti: il dotto e il non dotto è ciò che sceglie leggere. Stolcius de Stolcenberg Il problema dell'umanità è che gli stupidi sono sempre molto sicuri mentre gli intelligenti sono pieni di dubbi. B. Russell E diu dissi “Fiat pilu”. E pilu fu. L‟ Autore Zeus è la mente, Eracle il corpo, Pryapo il fallo. M. Mhaxymylyanorum da Munypuzos Adesso il mio debito è saldato. Ho mantenuto la mia parola. Io sono un uomo. Non un mezzuomo, un uminicchio, un pigliankulo o un quaquaraquà. Chi mantiene i patti, rispetta i regolamenti, onora i bandi, è uomo. Gli altri, per favore, si mettano in una delle altre quattro categorie. Oppure vadano a farsi fottere. Dyonyso, secondo l‟Autore Obscurum per obscurius, ignotum per ignotius. Sybylla Priaprica, secondo l‟Autore Priapeum In quel sentiero, dove son le querce, o capraio, svoltando, troverai un simulacro di fico, appena sbozzato, a tre gambe, con la scorza, senza orecchi, ma col membro vitale capace di compier l'opre di Cipride. Un sacro recinto vi corre, ed un perenne rivo, dalle rocce, dovunque s'adorna d'allori e di mirti e di cipresso odoroso, e là si distende, datrice di grappoli, con le spire una vite, e primaverili, con acute voci, i merli emettono canti variegati. E i canterini usignoli rispondono con cinguettii, cantando dai becchi la voce di miele. Fermati là, ed al grazioso Pryapo chiedi ch'io smetta il desiderio di Dafni, e subito immolerò un bel capretto. Se però rifiuta, ottenendo lui voglio compier triplice sacrificio: darò infatti una giovenca, un peloso capro, un agnello che tengo chiuso. Ascolti benevolo il dio! Teocrito Pubblico mio, suvvia non deplorare questa poesia trovandola volgare, anche se non la potrebbe declamare un maestro di scuola alle scolare;ma queste mie rimette da sollazzo, così come un marito ad una moglie non possono piacere senza il kazzo. D‟altronde non si può dir cose audaci senza citare dove le donne danno i baci. Questa e' la legge del poeta smaliziato: non può piacere se non e' un po' sboccato. Perciò la serietà or deponete e questi versi sciolti orsù assolvete. Se poi qualche parola e' impertinente non osate castrar le mie canzoni, che sarebbe l'esatto equivalente di chi tagli ad un pene i suoi koglioni. Marziale Le minkiate sono nate con l‟uomo...l‟uomo qualunque spara minkiate qualunque.... l‟uomo dotto spara minkiate dotte... l‟uomo di potere spara minkiate potenti... l‟uomo di chiesa spara minkiate ma pretende che siano verità.. l‟uomo di potere ipocrita spara minkiate e pretende che siano legge... l‟uomo qualunque, quando si skassa la minkia per le troppe minkiate altrui, s‟inkazza e fa tante e tante belle minkiate rivoluzionarie... solo così, certi koglioni, di pentono delle loro minkiate. Marziale da Munypuzos Ingiuriare i mascalzoni con la satira è cosa nobile: a ben vedere, significa onorare gli onesti. Ἀριστουάνης - Aristofane. Inizio la scrittura di questo testo ascoltando Guccini. Meravigliosa e stupefacente ancora oggi la sua”Avvelenata”. Non posso che cantare con lui.“Un kazzo in kulo e l‟accusa di qualunquismo”. Me ne fotto dell‟accusa di qualunquismo, visto il koglionismo dilagante. Meglio ateo anarchico e apolide documentato che credente in compagnia di certi credenti, politico in compagnia di certi politici, e siciliano in compagnia di certi siciliani. E per quanto riguarda il “kazzo in kulo”, lo auguro a tanti. Ma non un kazzo qualsiasi, come minimo un kazzo come quello di John Holmes e amaro per giunta. R. Santoro. Castigat ridendo mores Nessun kazzo è duro come la vita <ROMANZO> ---A--<<< L‟antefatto >>> Giove, a cui era in aria lu carru Comu „ntra mari la varchitta, o scarmu, Era a „ddi tempi lu primu futtarru, E avia la minkia chiù dura d‟un marmu. Cuntava di diametro, si non sgarru, Triccento ottanta canni e mezzu parmu; Ed a Giunoni, ccu ddu kazzu santu, cci l‟avia fattu addivintari tantu! Futteva a longu, e pertichi e bubbuni Pigghiava spissu alla diavulina: E intantu ccu ddu grossu so minkiuni Arruzzulava figghi a minkia cina: Mircuriu, chi nasciu mentri Giununi Cci avia „mmiscatu camurria divina: E in diversi occurrenzi e varii parti Fici a Baccu, Vulcanu , Apollu e Marti. Micio Tempio, La minata di li dei --Historia docuit quantum non iuvasse illa de Zeus fabula. Pontifex Maximus Helios X al suo segretario. --Non si sapi quannu fu, ma fu. E fu tanto tempo fa. Il fatto successe ed Esiodo Phallokriso da Munypuzos ne parla e sparla nella sua Teogonia Sikula. << Perché se è vero che tutto è mito, che il mito è fantasia, che la fantasia dell‟uomo è grande, quale fantasia è più grande dell‟idea di dio? >> si chiedevano i filosofi della Grecia e della Magna Grecia. Ed ecco nascere il mito. Il mito kreato dall‟uomo per darsi un kreatore da lui kreato. E che da qualcuno viene accettato come realtà. Un mito che si perfeziona nel tempo fino a confondere il fantastico mito con la reale realtà. D‟altra parte la religione Zeussiana o Zeussismo non nasce all‟improvviso. E‟ una kreazione lenta che col tempo si migliora automaticamente. Per opera di poeti e scrittori che lavorano di fantasia. C‟è un mito peslagico della kreazione, con Eurimone, dea di tutte le cose, che emerge nuda dal Kaos, trionfo dell‟entropia, che si accoppiò col serpente Ofione. Eurimone depose poi l‟Uovo Universale e da quello nacque il tutto. Ofione è nel ruolo del phallos lungo e fecondatore. Del phallos universale. Del phallos katholikos. Il primo uomo di questa kreazione fu Peslago. C‟è poi il mito omerico che vede in Teti la madre di tutte le cose, con la collaborazione però di Oceano. Con Oceano nel ruolo del phallos in piena attività fecondatrice. Phallos katholikos ancora, phallos universale. E ancora troviamo il mito orfico in cui la Notte amata dal Vento depone nel grembo di Oscurità un uovo d‟argento dal quale viene fuori l‟ermafrodito Eros che mette in moto l‟universo. Come? Autofecondandosi col suo snodabile e flessibile phallos universale. Phallos katholikos ancora una volta. Troviamo poi il mito olimpico, con la madre Gea emersa dal Kaos e che nel sonno generò Urano. E costei con Urano generò incestuosamente tante cose. Poi Urano sposò la sorella e figlia Rea e altre cose ancora generò. Generato dalla madre con lei generò la figlia per poi generare con costei. Incesto su incesto alla base di questa kreazione. Il fallo del figlio prima per la madre e poi per la propria figlia. Il fallo di Urano generato da Gea rientrò in Gea per fecondarla e generare Rea a sua volta figlia da fecondare per rigenerare. Il fallo dei falli, il fallo plurigenerazionale, il fallo universale ancora una volta. Phallos katholikos. Il primo uomo per codesto modello di kreazione fu Prometeo che impastò creta e acqua per fare il genere umano. Semplice lavoro manuale. Ma se questi sono i miti greci, non dimentichiamo che altri popoli hanno altri miti. Perché mille sono le fantasie e mille sono le creazioni. E forse anche più. E anche i siciliani ebbero la loro kreazione. I siciliani ebbero in Esiodo il kreatore di un kreatore di nome Zeus Trynakryensys, Zeus il siciliano. Ovvero la kreazione siciliana. O il mito siciliano. La divina ciolla di Trinacria. La mitica minkia universale. Solo che, gira e rigira, il protofallo per eccellenza, il veterofallo, il “phallos katholikos” non fu più quello di Zeus, il dio degli dei, ma divenne a poco a poco, per evoluzione mitologica, quello di Pryapo, il dio dal “grande palo rosso”. Il protodio restò Zeus, ma il protofallo diventò Pryapo. Proprio Esiodo Phallokriso, grande poeta tragico ma poco serio, storico documentato ma anche inventore di favole molto poco credibili, teologo sparapalle ma ateo convinto e tante altre cose ancora, scrive: <<Fu e non fu che il grande e sommo Zeus litigò con i greci di Grecia perché a causa di troppa democrazia avevano fatto una legge, sottoposta anche a referendum, che condannava le imprese mentuliche terrestri del capodio che spesso faceva incursioni tra le cosce di onoratissime femmine greche. E non solo. Anche tra le cosce delle disonoratissime andava a fikkarsi il sommo Zeus. “Unni antappava antappava, l‟importante era ca la cosa ci appitittava”diceva la gente. Tanto che la bestemmia prediletta dal maschio greco di Grecia era “Sia maledetto il fallo di Zeus”. Le donne invece desideravano, consciamente o inconsciamente , una visita del protofallo. Tante comunque le polemiche per questa legge. “ Legge antizeusmentulamachia” l‟avevano chiamata i legislatori. “ Legge per la Teodeminkiazione popolare” l‟aveva chiamata Zeus. “ Legge pi firmari la minkia di dio” l‟aveva chiamata il popolo. Purtroppo spesso, forse spessissimo, succedeva che qualche kunnus di femmina umana venisse violato d‟autorità dalla mentula divina. I greci di Grecia non sopportavano più le corna, anche se divine. E c‟era anche un detto popolare: “ Zeus , con la sua mentula divina, un fatto è sicuro, ci ha fatto a tutti cornuti; e presto ci farà pure rotti in kulo”. I greci facevano riferimento alle troppe incursioni tra le cosce delle femmine terrestri da parte di Zeus e di altre divinità. Ma, maschilisticamente parlando, ignoravano volutamente le fortunate ciolle terrestri che inciollavano le divinità. Per quanto riguarda i loro kuli facevano riferimento al ratto di Ganimede. Il picciotto bello dal kulo ancora più bello aveva ispirato il theophallos di Zeus. Il capodio se l‟era portato nell‟Olympo per farlo suo “ amato” coppiere in tutti sensi. A dire il vero qualcuno chiamava Ganimede il “ kuliere” di Zeus. Qualcuno comunque accettava la cosa , qualcuno la condannava. “ Pur di fare la bella vita darei il kulo pure all‟ultimo degli dei dell‟Olympo”. “Manco a Zeus darei il kulu, sono uomo castus e purus” dicevano i puri di cuore e di spirito ma soprattutto di carne. Preoccupati pertanto per il futuro dei loro kuli intanto si preoccupavano per i kunni delle loro donne. Perché Zeus si pigliava sempre il meglio. E spesso il meglio delle vergini. Se lo pigliava d‟autorità. Sempre. “Stupro divino” lo chiamava qualcuno. E stupro era a tutti gli effetti. Zeus tonante e trombante tuonava e trombava sia in cielo che in terra , e siccome era un po‟ assai permaloso, appena seppe che i greci gradivano poco le sue divinissime corna, colto da improvviso eroico ed erotico furore, decise di trasferire la sua corte divina. E tanto per non andare lontano, per non tradire la sua terra, decise di passare dalla Grecia alla Magna Grecia. Convocato il Consiglio dei Tredici diede loro la notizia. Poi la decisione fu comunicata alla corte Olimpica e infine al popolo greco. Alla corte per semplice conoscenza, al popolo per divino e impertinente sfregio. Con il suo solito incipit, il dio degli dei e degli uomini disse ai colleghi: “ Io , Zeus, mi consento, se voi mi consentite, altrimenti mi autoconsento di trasferirmi nella nuova sede, di trasferirmi e trasferirvi. Io e tutto l‟Olympo intero, dall‟Olympo di Olimpia al Munypuzosolympo, detto anche Olympazzo. L‟Olympo di Monakazzo. E mi consento di adottare il siciliano come lingua dell‟Olympazzo e di aggiungere al nostro abituale abbigliamento la koppola. Se consentite, alzate le mani, se non consentite, fate lo stesso i bagagli perché io mi autoconsento codesto trasferimento. Pertanto vasamu li manu e muvitivi lu kulu”. Al popolo disse: “ Iti a farvi fottere, io mi trasferisco. Popolo ingrato”. “ Dove, sommo Zeus? “ chiesero i greci. “ Kazzi miei“ fu la risposta. “ Ma se vogliamo farti una visita, dedicarti una preghiera, se vogliamo venire in pellegrinaggio , dove andiamo? “. “ A fari in kulo, che fate meglio”. “ Zeus, perdonaci, se puoi”. “Io non perdono, condanno. Tout court e full time. In sekula sekulorummu. Io condanno e basta. Condanno draconianamente, incommensurabilmente, homerynamente, mhaxymylyanamente, dyceomynkyopolisamente, sokratynosamente e soprattutto santhokhrysosamente. Sono uomo di parola e non un andropattuallopolys”. “ Theopattuallopolys eventualmente”. “ Non ha importanza. Andros o theos, bisogna rispettare la parola data. Io sono un uomo e un dio. O se preferite un dio e un uomo. E non un uminicchio, un mezzuomo, un pigliankulo o un quaquaraquà”. “ Ragione tieni, sommo Zeus sempre più sommo. Sommo tutto, anche di fallo”. “ Affankulo. Io sono Zeus, sono il dio egli dei, e pertanto fotto quando minkia voglio e chi minkia voglio e naturalmente come minkia voglio e quanto minkia voglio e dove minkia voglio” rispose Zeus. E dal monte Olympo, in un lampo, in un amen, in un fiat, Zeus trasferì tutto sul monte Munypuzos. Attirato dalla bellezza del posto ma soprattutto dal nome che prometteva bene. “Muni” uguale fika, “ puzos” uguale kazzo. E poi anche perché ai piedi del monte Munypuzos si estendeva la cittadina omonima. Munypuzos, la città ermafrodita. Città bella assai, patrimonio dell‟umanità della Grecia e della Magna Grecia , ma soprattutto abitata da femmine bellissime, gioiose e sensuali, le famose donne munimorfe e phallofile. Mentre gli uomini erano phallomorfi e kunnofili. A parte i tanti maschi phallofili e le tante femmine kunnofile. Perché a Munypuzos non c‟era nessuno che cercava di regolamentare il piacere sessuale. A Munypuzos vigevano i “ Pacs”, i patti d‟amore di civile solidarietà. Quelli che qualcuno chiamava “ patti d‟amore di kunnus e di kazzo solidali”. Tutto era possibile a Munypuzos, polys per eccellenza della libertà, tutto e il contrario di tutto. Per questo Zeus la scelse. Non fu un colpo di testa, forse fu un colpo di minkia. Un colpo di minkia fortunatissimo per Zeus e per la corte olimpica, ma anche per la gloria eterna di Munypuzos, l‟erede della celestiale Olimpia. E come fu e come non fu, anche se non si sa come fu, il fatto fu. In un lampo,in un amen, in un fiat , Zeus e la sua corte, si trasferirono sul monte Munypuzos. Parola di Esiodo Phallokriso da Munypuzos>>. --Essere dio e fare quel che si vuole è il bello dell‟essere dio. Attribuita a Zeus. --- Altri personaggi del mondo della kultura hanno dato ampie testimonianze sulle vicende dell‟Olympazzo e di Munypuzos, di Zeus e della sua corte. In particolare si distinsero i tre intellettuali della ciolla e il filosofo della minkia. Ovvero, i quattro studiosi del kazzo. Ma anche altri. Uomini si scienza, per esempio. Oppure cittadini con particolari qualità. Tutti diedero il loro contributo per celebrare Zeus o per contrastarlo. Soprattutto per contrastarlo, per annientare l‟idea del soprannaturale, cioè dell‟impossibile. Per distinguere il mondo delle favole da quello reale. Per affermare il semplice concetto che “il destino dell‟uomo è nelle mani dell‟uomo”. Che “l‟uomo è padrone di se stesso”. Che Anemos non ha niente a che vedere con l‟Anima. Anemos è solo soffio, è solo vento, è solo l‟aria che entra ed esce dai nostri polmoni e ci porta l‟ossigeno, la fonte primaria della vita animale. Ma anche per contrastare la Teocrazia che in fondo è solo al sevizio dell‟Aristocrazia, dell‟Oligarchia, della Plutocrazia, della Tirannocrazia. Tutto, tranne che al servizio della vera Democrazia. E allora ecco che delle volte trionfano l‟Anarchia, o l‟Oclocrazia, e quindi succede nu tanticchia di burdellu, di casino. Che insomma, va tutto a buttane. Ma gli intellettuali servono a questo, servono a spiegare, servono ad illustrare, servono a dimostrare, servono ad illuminare, servono a dare alla ragione il primo posto. Il posto che la ragione merita. --- Primo tra tutti gli uomini di kultura, il sommo letterato di lingua greca Homeryno Homokulum da Munypuzos , che come scriveva lui in greco manco Omero e le tante altre “ teste di phallos” della letteratura greca. Altro che Iliade e Odissea. Se Omero e altri crearono Zeus da kreatori creati, Homeryno Homokulum creò il mito dello Zeus siciliano da kreatore e basta. Fece più di Apollonio Rodio e di mille altri scrittori greci. Fu sommo al massimo nell‟arte di creare Poemi. E di dare vita agli dei dell‟Olympazzo. E diede la vera immortalità alle cose di cui parlò. Compresa la sua minkia che battezzata aveva Giasone. Perché se l‟altro Giasone conquistò il Vello d‟oro, questo Giasone amava conquistare Stikki d‟oro.“Giasone mio, vivi le tue Fikenautiche” era il suo slogan. Homeryno Homokulum, come tutti gli uomini di kultura del suo tempo, tinia in casa un Homo pilusus. E come tutti gli altri uomini di kultura lo chiamava semplicemente “cata-cata-nonno”. Homeryno Homokulum fu il sommo kreatore dello Zeus con la koppola. Lo esaltò nell‟esercizio del potere; ma curtigghiò assai assaissimo sulle faccende della ciolla di Zeus. Che fu ciolla che assai assaissimo operò. Il tutto, in altre parole il mito, fu kreato nei locali della sua domus che si trovava accanto alla porta principale di Munypuzos. Taliando ora il Kolosso di Pryapo e la sua colossale ciolla, ora il suo Giasone, scrisse, tra una sukata e l‟altra, la sua Zeusseide Munipuzica. Memorabile resta la sua imprecazione contro il divino: <<Buttana di la ciolla draconiana e buttanazza di quel buttaniere ciullavento di Zeus che buttaniò sia sulla terra buttana che nell‟Olympazzo buttano e che governò solo buttaniando a tempo pieno e a tempo perso>>. --Pensare a phallo, scrivere a phallo e scrivere col phallo sono la stessa cosa. Homeryno Homokulum --- Poi troviamo il poeta di lingua, diciamo latina, Mhaxymylyanum Mhaxymylyanorum da Munypuzos, a cui il latino stava sulla minkia come a Catullo stava nel cuore. Ed aveva felicemente battezzato la sua minkia Lesbia. Come la donna di Catullo. “Lesbia o cara, incatulliamo kunni” era il suo slogan. Ma nonostante l‟odio per il latino Mhaxymylyanum Mhaxymylyanorum immortalò le storie di Zeus e soprattutto quelle di Pryapo. Nella sua domus di via Scalillorum si dedicò al culto letterale di Pryapo. La sua forma poetica preferita fu il Carmen. Il soggetto, come detto, fu Pryapo. Nella sua totalità e nella sua particolarità. E tra una sukata e l‟autra, esaltò le storie del dio dal rosso palo. E di fronte a lui gli altri scrittori latini, quelli della famigerata letteratura latina, i plauti, i plautini, i plautoni e i plautokoglioni, sono solo e soltanto delle autentiche “teste di mentula”. Anche Mhaxymylyanum Mhaxymylyanorum, come tutti gli uomini di kultura, tinia in casa un Homo pilusus, che come tutti gli uomini di kultura, chiamava semplicemente “cata-cata-nonno”. Memorabile anche la sua imprecazione contro il divino: <<Buttanazza di la ciollazza „nbriaca e buttanazza di quel buttaniere analfabeta e ignorante ma anche ciullaniente e ciullatutto di Zeus nullafacente, inkulante, inchiappetante e incunnante ma anche scassapisellante e scassamulunante>>. --Pensare a mentula, scrivere a mentula e scrivere con la mentula sono la stessa cosa. Mhaxymylyanum Mhaxymylyanorum --- Poi troviamo quell‟innominabile criminale della parola scritta e orale assai volgare, ovvero lo scrittore dialettale, scrittore di pilo e basta, pilo magari filosofico, pilo magari scientifico, ma solo pilo però, Paulorum Santhokhrysos da Munypuzos, che non sapendo scrivere correttamene né in greco né in latino si mise a scrivere in dialetto. Nato tra sikuli e sicani, fu dichiarato, per tradizione familiare, adepto dello Zeussismo . E se da piccolo aveva battezzato Kerykeion prokroustes la sua minkia e Scilla e Cariddi i suoi koglioni, successivamente chiamò Zeus la ciolla ed Era e Ganimede le palle. Per ateismo sommo. Per odio verso gli dei inutili. Inutili ed inesistenti. Ma ad un certo punto, tanto per, però aderì al Priaprismo Trinitario: Pryapo, mamma Aphrodyte e papà Dyonyso. E se Pryapo divenne il nome dell‟appendice, Aphrodyte e Dyonyso addivintanu li baddi. Ma da adulto, consapevolmente e giustamente, fece l‟unica cosa giusta per un essere umano dotato di ragione ragionante e non di ragione orante: divenne ateo militante. E ancora una volta ribattezzò i gioielli di famiglia. In dispregio al potere chiamò Pontifex Maximus la minkia e Mynkyalao e Agamynkyone i koglioni. Paulorum Santhokhrysos aveva una visione atomistica del mondo, e abituato com‟era a battezzare e sbattezzare per poi ribattezzare i suoi gioielli di famiglia, alla fine si sbattezzò pure lui, nella sua totalità. Ateo ufficialmente. Soprattutto per non far parte della stessa comunità religiosa che comprendeva potenti arroganti e bugiardi. Pertanto si sbattezzò ufficialmente, con una bella cerimonia , in un amen o poco più. Sostenitore sfegatato com‟era dell‟atomismo, che lui considerava “uno e trino”, in quanto formato da elettroni, protoni e neutroni, il Santhokrysos negò tutto tranne la libertà. Chiese di essere seppellito nella bella necropoli di Munypuzos senza alcuna cerimonia religiosa e senza alcun simbolo religioso. Né Zeus né Ere e neanche Priapi sul suo sarcofago. Eppure codeste rappresentazioni erano assai diffuse nella necropoli di Munypuzos. Quasi una gara ad avere lo Zeus più grande, l‟Era più immensa, l‟Aphrodyte più bella, il Dyonyso più brillo, il Pryapo più dotato. Soprattutto il Pryapo più dotato. Lui chiese solo e soltanto l‟epitaffio “Siamo solo atomi organizzati”. Era seguace di Leucippo, Democrito e Lucrezio. Era per l‟atomos. L‟atomos era l‟inizio e la fine del tutto. “L‟atomos non può essere né kreato né distrutto. Può solo essere legato ad altri atomi o slegato. Per formare le mille e mille e ancora mille sostanze biotiche e abiotiche che compongono la miscela eterogenea chiamata universo“. Questa era una legge scientifika partorita dalla Scuola Atomistica di Munypuzos, e lui ne era un convinto sostenitore. Queste cose lui volle, fortissimamente volle. Perché convinto dell‟atomo universale, dell‟atomos katholikos. E l‟ottenne, perché Munypuzos era giusta, era una polys giusta. Una polys piena di cittadini complessivamente giusti. E nella necropoli della giusta Munypuzos c‟era posto per tutto e per tutti. Anche per l‟anarchia libertaria e atea di questo Santhokrysos manipolatore della parola che nella sua domus di Via Kornelya elaborò strane teorie. Strane ma sempre libere. Sempre in nome della libertà. Inventò pertanto, tra una sukata e l‟altra, storie plausibili e altre impossibili, ma disse sempre la verità. In confronto a lui gli altri scrittori, greci o latini, ma finanche egizi, babilonesi, assiri o altro ancora, sono solo e soltanto “teste di minkia”. Anche il Santhokrysos, come tutti gli uomini di kultura, tinia in casa un Homo pilusus, che come tutti gli uomini di kultura, chiamava semplicemente “cata-catanonno”. Memorabile la sua imprecazione contro il divino: <<Buttana di quella buttanuna buttanissima e simbolica ciollona crisoelefantina e tonitruante di quel simbolico buttaniere crisoelefantino e ciullatore di Zeus dalla ciolla crisoelefantina e dal kulo fulminante e che è l‟apoteosi del sincretismo del buttanesimo sincronico e diacronico>>. --Pensare a minkia, scrivere a minkia e scrivere con la minkia sono la stessa cosa. Paulorum Santhokhrysos --E per concludere non bisogna dimenticare il notevole contributo filosofico di domande senza risposta del filosofo Sokratynos Phylologos da Munypuzos, che era un Socrate senza cicuta ma con cento e passa femmine che si contendevano il suo Platone. E il suo Platone non era il filosofo, ma il fallo che teneva tra le gambe. E quel Platone lì sapeva dialogare solo con le donne. O meglio, con certe aperture delle donne. Lui era aperto a tutte le aperture. E i vari filosofi classici, tutti insieme appassionatamente, valgono meno di un pelo della sua minkia. Sono solo e soltanto una “mangiata di koglioni e un fascio di minkie inutili e impotenti”. << Platone? Un koglione plutoniano e platonico che tiene una minkia platonica. Socrate? Un sukacicuta e un sukaminkia. Gorgia da Leonthynoy? Un perdidocumenti del kazzo che non vale una ciolla. I presocratici? Dei pre-pigliankulo. Naturalmente pigliano ciolle. Talete ? Un taliatore di minkie. Empedocle? Un uomo e una ciolla da arrosto. Anassimene? Uno che la minkia nun la tiene. Anassimandro? Non trovando la rima la piglia dove capita prima. Senofane? Uno che ragiona a minkia di cane. Eraclito? Uno con la minkia quanto un dito. Aristotele? Una minkia a perdere>> diceva sui nomi più grossi della nomenklatura filosofika. Anche Sokratynos Phylologos, come tutti gli uomini di kultura, tinia in casa un Homo pilusus. E lo chiamava semplicemente “cata-cata-nonno phylosophiykus”. La sua scuola, quella dei Peripatetici Phalloperanti, tra una passeggiata e una discussione, prevedeva l‟esercizio fisico. Non del corpo ma della minkia. E la minkia fu al centro della sua filosofia. Domande e domande ma sempre con la minkia come tematica centrale o secondaria. Comunque sempre presente. E secondaria solo apparentemente. Infatti Sokratynos Phylologos, il padrone del suo Platone, sapeva porsi solo domande. Domande su domande. Infinite domande che gli venivano su come su veniva spessissimo la sua ciolla. Ed è impossibile dire se nella sua lunga carriera di filosofo furono più le domande che si pose o le erezioni che ebbe. Ma se le erezioni finirono sempre con una venuta alle domande non venne mai data risposta. Venne sempre la sua filosofika ciolla in risposta all‟incipit erettivo, non venne mai la sua filosofika mente in risposta alle filosofike domande. Tutte restarono senza risposta. Eppure al centro delle domande c‟era sempre la minkia, il fallo. Il phallos philosofhicus. Nella sua domus, situata nel quartiere dei lupanari, elaborò le sue infinite domande che in realtà erano solo e soltanto delle varianti della stessa domanda. E fino all‟ultimo respiro cercò di dare almeno una risposta ad una sua domanda, convinto com‟era che dando una risposta precisa ad una sua domanda qualunque avrebbe automaticamente risposto a tutte. Ma nonostante tutto non riuscì nell‟impresa. Né quando era in sé né quando era fuori di sé. Né quando s‟ispirava meditando né quando s‟ispirava inspirando i suoi fumi prediletti. O meglio sukava. Proprio com‟era di moda in sicilia. Perché in sicilia tutti sukavano. E minkia come sukavano. Alla sanfasò. Memorabile comunque la sua imprecazione contro il divino. Tra una fumata e l‟altra il filosofo filosofeggiava: <<Buttana di la ciolla bestia e frocia e buttana inkunnante e inkulante di quel buttaniere frocio e buttano e ciullavento di Zeus o buttana di lu kulu bestia e frocio e buttano di quel buttaniere frocio e buttano e ciullavento di Zeus?>>. Questo tra una fumata e l‟altra però. --Pensare a minkia filosofika, scrivere a minkia filosofika, e scrivere con la minkia filosofika sono la stessa cosa. Sokratynos Phylologos --- Perché come detto, in sicilia, tutti, o quasi tutti, sukavano. Sukavano alla sanfasò. E a Munypuzos in particolare sukavano doc. Minkia come sukavano. Infatti tutti sukavano “minkiuna”. Ovvero una foglia di “minkiasukana” arrotolata asimmetricamente e quindi leggermente conica e piena di frammenti di “minkiasukana”. Si trattava di una “erba” assai assaissimo bella esteticamente ma ancora chiù bella e bellissima se sukata. Perché questa pianta conteneva THC, ovvero il Teo-Hattizza-Ciolla. Ovvero, “Sukati sta minkia di erba che la tua minkia attiserà come quella di Zeus”. Indubbiamente era stata chiamata così in onore del sommo Zeus e della sua somma ciolla. Questa erba era stata importata da un certo Filostrato Fhallophilos, detto Sukasuka, grande viaggiatore, eccelso studioso, eminente scienziato e soprattutto scrupoloso catalogatore. Amante del sesso in quanto tale, e soprattutto amante del sesso mascolino, si era proposto di catalogare in modelli, misure ed espressioni le ciolle di tutto l‟orbe allora conosciuto. Voleva mettere a punto un catalogo ragionato, documentato e sperimentato di tutte le ciolle esistenti a qualsiasi latitudine e longitudine. E lo fece. Lasciò ai posteri un Atlante illustrato dei molteplici phallomorfismi umani. Una delle soste più importanti Filostrato la fece Egitto, ad Alessandria, dove frequentò la famosa Biblioteca. Ma anche i bibliotecari, gli eruditi e i bibliomani. E soprattutto frequentò le loro ciolle. Frequentò anche la corte e i sacerdoti. Frequentò anche gli schiavi, soprattutto i Nubiani. E frequentò, naturalmente, anche le loro ciolle. In particolare frequentò i culti di varie divinità: Iside, Osiride, Horus, Seth e altro. Ma s‟innamorò del culto di Min, il dio itifallico, il dio del Min-Suk-Min. E Filostrato era tornato dall‟Egitto con codesta bellissima “nuova conoscenza” e con tanta tantissima simenta di Min-Suk-Min. In terra egizia quest‟erba era dedicata al culto del dio Min, il dio itifallico, e si chiamava Min-Suk-Min , che possiamo tradurre in “ Suka la minkia del dio Min”. In onore di Min, in Egitto, tutto veniva incensato con i fumi di Min-Suk-Min . E tutti avevano a casa una statuetta di terracotta raffigurante Min. Si trattava di una statuetta vuota, praticamente un bruciatore, dentro cui si metteva l‟erba. Poi naturalmente si sukava la parte tisa. E tra i tanti effetti, a parte l‟euforia, provocava l‟attisamento della ciolla. Alle femmine invece ci addumava il portaciolla. E Filostrato Sukasuka iniziò la coltivazione della stessa nel suo orticello. La offrì agli amici e agli amici degli amici e agli amici degli amici degli amici. La offrì arrotolandola in semplici foglie secche della stessa. E ribattezzò la Min-Suk-Min solo e semplicemente “minkiasukana”. E il suo uso si diffuse rapidamente. Da Munypuzos alla sicilia intera. Inizialmente tra le elite e poi nei riti misterici di certe divinità. In primis nelle Zeusphallomachie. Da qui la dedica a Zeus. Pertanto inizialmente sukavano sacerdoti e adepti che, tenendo conto del racconto di Filostrato, reintrodussero la statuetta. Naturalmente quella di Zeus. Poi, lentamente o forse rapidamente, per puro e semplice piacere tutti attaccarono sukare. O statuette o semplici minkiuna di minkiasukana. Generalmente a casa sukavano statuette, fuori sukavano minkiuna. In sicilia pertanto tutti, per l‟appunto, sukavano. Fumavano i ricchi e i poveri. E fumavano gli uomini e le donne di religione. Per costoro la “minkiasukana“ era solo e semplicemente la “minkiajuana”. La minkia di Giove. Così chiamata in onore della ciolla di Zeus, Giove per i latini. Giustamente quindi la statuetta di Min era stata sostituita da una di Zeus. Però con le stesse caratteristiche: l‟essere itifallico. Ma Zeus in realtà non era itifallico. Era comunque ben messo. E proprio quella parte tanto cara a Filostrato si sukava. Ma a dire il vero vero veramente quella parte non era cara solo a Filostrato, essendo cara a tutte le donne praticanti e anche a tanti mascoli che non contenti della propria appendice e soprattutto non potendosela sukare, cercavano l‟appendice di qualche altro mascolo. Comunque, ripuntualizzando la cosa, quasi tutti i siciliani sukavano. E Filostrato Sukasuka oggi viene considerato il fondatore della Botanica o Bottanica classica. Questo perché il maggior consumo di “minkiasukana” si registrava nei bordelli. Fumare, o meglio sukare, incrementava il consumo di kunnus da parte dei portatori di minkia. Ma Filostrato fece di più. Diede un nome scientifico al principio attivo della minkiasukana. Scoprì il vero e sconosciuto e misterioso signifikato di THC. Sperimentando su di sé, sui suoi amici, nelle relative compagne, nei bordelli, nelle loro lavoratrici e nei loro affezionatissimi e soddisfattissimi clienti arrivò alla semplice conclusione che THC stava per Tetra-Hattizza-Ciolla. Ovvero, la ciolla diventava quattro volte chiù dura del normale mentre alle femmine aumentava di quattro volte il pititto della ciolla. Questo fu il contributo ludico e scientifico di Filostrato. Da tanti è considerato l‟inventore del metodo sperimentale o scientifico. A Munypuzos divenne la norma salutarsi gridandosi un gioioso “ Ciao, sukaminkiuni beddu”. Ma a Filostrato dobbiamo n‟autra importante novità. Sempre dall‟antico e glorioso Egitto portò a Munypuzos una coppia di scimpanzé. La coppia si riprodusse a iosa e tutti gli intellettuali e altra gente stramma pigliò l‟abitudine di tenere in casa un “cata-cata-nonno”. Pertanto Filostrato è ritenuto non solo l‟inventore della Botanica ma anche della Zoologia. Lui spiegò a tutti che lo scimpanzé era un nostro antenato, un nonno del nonno del nonno del nonno del nonno, e ancora chiù indietro andando, del nonno del nonno del nonno del nonno. --Fumare a minkia, scrivere a ciolla e scrivere con la cicia sono la stessa cosa. Filostrato --Questo comunque fu il contributo kulturale, filosofico, scientifico e ludico degli uomini di kultura di Monakazzo. O meglio, di Munypuzos. Nati tutti Zeussiani aderirono poi, da adulti, al Priaprismo Trinitario. Ma fondamentalmente furono tutti quanti atei. Anche se solo il Santhokrysos lo dichiarò liberamente in quanto il soprannaturale gli stava naturalmente e letteralmente sulla minkia. <<Mentre la minkia è una cosa naturale, il soprannaturale è innaturale. È solo una grande illusione, una minkiata megagalattica>> diceva il Santhokrysos. --Munypuzos era dunque una polys di cittadini ideali. Di ideali Dyceomynkyopoly a tutti i livelli. Cittadini giusti di testa e di minkia. Ma c‟era anche un Dyceomynkyopoly più Dyceomynkyopoly degli altri. Un Dyceomynkyopoly di nome e di fatto, che era amico assai assaissimo degli intellettuali in genere. Anche se non capiva una minkia, era giustissimo a tutti i livelli. Il cittadino Dyceomynkyopoly fu giusto oltre ogni giustizia. E giusti furono i suoi commenti giustissimi enunciati per non giustifikare l‟ingiustifikabile giustifikazione di ingiustifikabili potenti arroganti che da autentiche teste di minkia cercavano di giustifikare l‟ingiustifikabile esercizio del loro potere attribuendone l‟ingiustifikabile possesso all‟ingiustifikabile volontà di qualche ingiustifikabile e arrogante oltre che inesistente divinità che come tale era priva di qualsiasi giustifikazione alla semplice esistenza perché il nulla è vuoto e nel nulla non c‟è niente. Eppure costoro, i potenti, dicevano sempre “Dio lo volle, gli dei lo vollero”. Dyceomynkyopoly passò dallo Zeussismo a adepto del Priaprismo Trinitario per diventare poi manifestazione vivente dell‟ateismo. Quando capitava una cosa storta a Munypuzos, si chiedeva: << Minkia, quante teste di minkia ci sono in questa polis della minkia. E tu, Zeus della minkia impertinente, perché non fai una amata minkia per fermare queste teste di minkia che combinano solo minkiate? La tua grande e impotente impotenza è la manifestazione vivente della tua magnifika inesistenza >>. Quando capitava una cosa storta in sicilia, si chiedeva: << Minkia, quante teste di minkia ci sono in questa sicilia della minkia. E tu, Zeus della minkia impertinente, perché non fai una amata minkia per fermare queste teste di minkia che combinano solo minkiate? La tua grande e impotente impotenza è la manifestazione vivente della tua magnifika inesistenza>>. Quando capitava una cosa storta nell‟orbe terracqueo si chiedeva: << Minkia, quante teste di minkia ci sono in quest‟orbe terraqueo della minkia. E tu, Zeus della minkia impertinente, perché non fai una amata minkia per fermare queste teste di minkia che combinano solo minkiate? La tua grande e impotente impotenza è la manifestazione vivente della tua magnifika inesistenza>>. Quando capitava, o meglio, quando qualcuno raccontava di una cosa storta capitata nell‟Olympazzo, iddu si chiedeva: << Minkia, quante teste di minkia ci sono in quest‟Olympazzo della minkia. E tu, Zeus della minkia impertinente, perché non fai una amata minkia per fermare queste teste di minkia che combinano solo minkiate anche in quella sede ideale delle minkiate che è l‟Olympazzo? La tua grande e impotente impotenza è la manifestazione vivente della tua magnifika inesistenza>>. Naturalmente Dyceomynkyopoly sapeva che Zeus non esisteva. Che Zeus non era materia ma fantasia. Che Zeus non aveva niente a che fare con ipocriti, bugiardi e figli di peripatetica. Con le minkiate dei potenti e con le minkiate della gente comune. Con le minkiate in genere. Per lui Zeus era una minkiata inventata da uomini a minkia. << Zeus c‟è? Zeus non c‟è? Il problema non è di Zeus che non esiste. E neanche mio che so che Zeus non c‟è. Il problema è di quelli che credono in Zeus. Quando scopriranno che Zeus non c‟è. Quando moriranno e non andranno né nei Campi Elisi, né nel Tartaro e neanche nella Prateria degli Asfodeli, sai che minkia di sorpresa a minkia. Ma purtroppo non scopriranno niente. I morti non possono scoprire niente. Pertanto moriranno con l‟illusione dell‟al di là, ma una volta morti non potranno più scoprire la verità. La verità può essere appannaggio dei vivi e non dei morti. Veniamo dal nulla per finire nel nulla. Il tutto e il contrario di tutto lo possiamo fare solo nell‟intervallo tra la nascita e la morte, perché la nascita è solo l‟inizio della morte. E allora in questo intervallo diamoci da fare, che dopo c‟è il nulla, il vuoto, una minkia cina d‟aria, un kazzo di niente, il nihil chiù nihil del più grande nihil>>. Dyceomynkyopoly finiva tutti i suoi discorsi con un sonoro “Anthegamisu.. vaffankulo... vaffankulum .. all‟urbe, all‟orbe e all‟Olympum.. mi state tutti sul pisum sativum.. ”. << Unni minkia ti stanu?>> gli addomandava qualche uomo spiritoso. << Sul pisum sativum>>. << Unni?>> chieda l‟ignorante. << Sul pisello odoroso>>. << Sul pisello?>>. << Sì. Sul kazzo odorante. Sulla ciolla ciaurante>>. << Ahhh... Capiiiiiii. Sulla minkia profumata. Capiiiiiii, minkia come capiiiiiii>>. Anche lui teneva a casa un “cata-cata-nonno”. Anche lui se lo portava a spasso come gli altri. E ci dialogava. Anche perché il “cata-cata-nonno” rappresentava la storia dell‟uomo prima della nascita dell‟uomo. Rappresentava l‟origine del tutto. Ma proprio di tutto. Memorabile assai la sua imprecazione contro il divino: <<Buttana di la inesistente ciolla capa e bestia e frocia e buttana e ingiusta di quell‟ingiusto e inesistente buttaniere capo e frocio e buttano e ciullavento di Zeus>>. --Fumare a minkia giusta, scrivere a ciolla corretta e scrivere correttamente con la cicia sono la stessa cosa. Dyceomynkyopoly --- Dyceomynkyopoly, onesto al mille per mille, in tutto e per tutto, per finire i suoi discorsi, cosciente che “nessuna ciolla è dura come la vita”, gridava sempre un sonorissimo: << VaffanKuluM U O O M P S M all‟ ... rbe , all‟ perché mi state tutti sul rbe e all‟ isum Il miserabile kazzo di Ottone, le gambe sporche e rozze d'Erio, il peto sinistramente lieve di Libone, a te e a Sufficio, quel vecchio rifatto, almeno questo dovrebbe spiacere. E torna pure ad inkazzarti Cesare generalissimo, contro i miei versi innocenti. Catullo lympu ativu ... ... >>. Castigat ridendo mores Nessun kazzo è duro come la vita --- B --<<< Il fatto >>> I . Zeus, il capodio Senza purtari a Giove ubbidienza Picciotti privi di boni cunsigghi Pinzaru un ghiornu senza la licenza Iri a mangiari „n campagna sti figghi: Subitu fu accurdata la dispenza: si affirraru nna pocu di buttigghi; Ed arrivati a lu locu signatu „Ntra nenti fu lu pranzu priparatu. Cuminciaru a manciari, e „tra un mumentu Li buttigghi si vittiru agghiurnari; Già dritti in pedi mi mettunu a stentu; Già li testi cuminciunu a fumari; Intantu di luntanu a passu lentu La bellissima Veniri cumpari. Ca nuda e sula pri li larghi strati Va cugghiennu lu friscu pri la stati. Micio Tempio, La minata di li dei --Bello e imponente Zeus stava stinnicchiatu sul letto tutto d‟oro ma cu nu matrazzuni cinu di pilu di kunnu di fimmina. Era il letto l‟unica cosa che si era portato trasferendosi dalla Grecia alla Magna Grecia. Perché quella matrazza a tre piazze l‟aveva riempita a pikka a pikka. Scippannu un pelo dal pakkio delle femmine con le quali avia avuto una storia pilusa. Un pelo per ogni fottuta. Quella matrazza era la summa teologica e filologica di tutte le sue divine fottute. L‟opera omnia della sua minkia. L‟alfa e l‟omega della sua ciolla. << Mi consento, se mi consenti, altrimenti mi autoconsento. Per ricordo del piacere avuto. E spero anche dato >> diceva loro al momento della spilatura. Adesso stava sul letto e cu na punta di lenzuolo si antuppava le parti intime, degne di un dio. Era nudo, a parte la koppola che portava in testa. Ma soprattutto si copriva la panza di diu cinquantinu nell‟aspetto. Pirchì chista era l‟età ca si era stabilizzata pi lu capo supremo di li dia in generali. In realtà era vecchio di mill‟anni e mill‟anni ancora più altri mille e altri mille e altri mille ancora. E poi ancora mille e mille e mille e altri mille. Lu diu di li dia era multimillenario, come altri suoi colleghi passati e futuri. E anche contemporanei, naturalmente. E Zeus era anche il dio di l‟ommini, nel bene e nel male, naturalmente. Dio degli dei e degli uomini. Come dicevo Zeus si antuppava la panza e si grattava li cugghiuna. Questo era il suo modo di fare quannu stava pinsannu. E Zeus pinsava spesso. << A chi stai pinsannu?>> ci addumannavanu i colleghi. <<A come governare lu munnu>> rispondeva lui. In realtà pinsava a come accaparrarsi nuovo kunno. Infatti chiddu ca era bello è ca pinsava sempre a fatti e fattazzi di pilu. A chiddi cumminati nei secoli dei secoli ca furunu passati in Grecia. E a chiddi ca stava cumminannu adesso, da nu tanticchia di tempo, nella Magna Grecia. Pinsava anche a chiddi ca s‟avia fari in futuro. Per lo meno fino a quando il mito non veniva sostituito da un altro mito. Iddu avia sempre in testa un elenco di femmine da fottere. “Il catalogo delle donne“ lo chiamavano gli dei dell‟Olympazzo. “U catalugu di li stikkia” lo chiamava lui. E tra una pinsata e una ripinsata taliava il kulo bello e sorridente di soddisfazione e piaciri della persona che gli stava accanto. Persona bella, giovane e nuda, a parte la koppola. E grattannisi li palli pinsava mentre la sua minkia tisa stava stinnicchiata lungo il braccio. Come un picciriddu in braccio alla mamma. Questo sembrava Zeus: un uomo che tiene in braccio la sua ciolla e ci canta na bella ninna nanna. << Ciolla bella, ciolla pazza. Unni anfilu sta minciazza? Ciolla bella, ciolla rossa. Unni anfilu sta cosa grossa? Ciolla bella, ciolla bona. Unni voi fari lampi e trona? Ciolla bella, ciolla mia. Vuoi pakkiu di terra o di dia? Ciolla bella, ciolla rura. Vuoi stikki oppuru kula? >>. Pinsava Zeus. Pinsava al trasloco fatto in un momento di divina inkazzatura e del quale non si era pentito affatto. I siciliani erano ospitali. Seri. Precisi. Draconiani. Liberi e liberali. Tutti. A parte quelli di Ortigia. Appena traseutu da la strada sbagliata ti la mitteuno in kulu. Ovvero, ti faceunu una bella multa. E a parte quelli di Leonthynoy e quelli di Karleonthynoy. A Leonthynoy si perdevano i papiri. A Karleonthynoy si litigava sempre perché quello che per uno era otto pi n‟autro era quattro. E a parte anche quelli di Palermorum. Qua si prometteva di risolvere tutto in sessanta rotazioni terresti e invece non si faceva un kazzo manco in cinque rivoluzioni terrestri. A parte queste quattro polys la sicilia era terra bedda. Terra di pilu. Terra di minkia. Terra di pakkiu. Comunque i siciliani, sia sikuli che sicani, erano gente di rispetto, di parola e di minkia. In generale. Poi c‟erano pure quelli che non rispettavano i patti, i regolamenti e i bandi. E c‟erano quelli che non saldavano i debiti. C‟erano falliti bugiardi e bugiardi falliti. C‟erano advocati, tutores, actores, causidici e clamatores delinquenti e delinquenti advocati, tutores, actores, causidici e clamatores. Insomma, c‟erano uomini e c‟erano mezzuommini, uminicchi, pigliankulo e quaquaraquà. Ma nessuno è perfetto. E pertanto neanche la sicilia poteva essere perfetta. Era bella, ma aveva pure le sue merde, le sue merducce e le sue merdacce. Ma a parte questi “casus belli“ i siciliani erano gente allegra. Genti ca amava i fatti di pilo. Che viveva per il pilo. Vestivano come i greci a parte il copricapo locale: la koppola. Che piaceva molto anche a Zeus che sempre la usava. E poi l‟Olympo a Munypuzos era stata una bella trovata. La città ermafrodita era la sede ideale dei giochi di pilo. Dei fatti di pilo. Delle trame di pilo. Tanto che Zeus pensava di istituire per decreto divino le Piliadi, le olimpiadi del pilo. Vuoi mettere il “Lancio della minkia” al posto del “Lancio del giavellotto”? Vuoi mettere la “Lotta greco-munipuzica“ al posto della “Lotta greco-romana”? Nella prima il vincitore inchiappetta il perdente. E vuoi mettere la “Maratona a piedi” con la “Maratona del coito”? E come gli piaceva a Zeus parlare il siciliano. Com‟era bella questa lingua dalle infinite sfaccettature. Come si riempiva la bocca quannu diceva: << Non mi skassati la koppola della minkia. Non mi rumpiti li cugghiuna. Sukatimi l‟aceddu. Nun mi skassati li baddi. Attaccativi „o marrugghiu. Facitivi na sunata cu lu me battagghiu. Nun mi faciti addivintari iacitu lu latti di lu me brigghiu, altrimenti vi sbattu in kulu lu marrugghiu, vi fulmino l‟aceddu e vi lu fazzu addivintari nu tizzuneddu. E poi saranno minki niuri da kakari>>. L‟unica cosa che aveva imposto era di carattere ortografico. Ci paria chiù elegante. Per il sommo e intelligentissimo Zeus il siciliano “minkia” doveva essere scritto con la lettera “k“ al posto di “ch”. “Minkia“ al posto di “minchia “. Ma la frase che lo faceva pazziare chiù assai era:<< Non fatemi diventare acido il latte del kazzo. Nun mi faciti addivintari iacitu lu latti di lu brigghiu>>. Altro che latino e greco: << Non mi rompete l‟acrofhallus. Non mi rompete la cupolomentula. Non mi gonfiate i testikulos. Mentula kakanda, da pedicare. Paedicare volo>>. E poi quel saluto referenziale, bello ed educato, tanto in voga nella Magna Grecia: << Voscenzasabbinirica, vasamu li manu. La vostra conoscenza sia benedetta, baciamo le mani>>. Frase bella che era addiventata ancora più bella con l‟arrivo degli dei. << Voscenzasabbinirica, vasamu li manu e li peri >>. Qualche ateo l‟aveva un po‟ cambiata: << Voscenzasabbinirica, vasamu li manu e li peri. E nu fattu è sicuru, se vuliti, vi vasamu puru lu kulu>>. Che poi, volendo, era una bella frase. Na cosa era vasare il kulo peloso di Zeus, na cosa era vasare il kulo bello di Aphrodyte Kallipigia, Aphrodyte Bellenatiche. Ragionando al maschile, sarebbe sicuramente stato un piacere per le femmine vasare il kulo bello di Apollo. Pilo comunque. Pilo e sempre pilo. Pinsava spesso a questo Zeus. Pinsava anche alla sua minkia tisa e a quel kulo da cui si la sarebbe fatta skassare per davvero. Sorrideva quel kulo bianco e giovane. Al ritmo del respiro quelle natiche si allontanavano e si riavvicinavano. Un sorriso naticale. O anale. Parevano veramente due cassate siciliane allegre. E allegro era anche Zeus. Che di quel kulo aveva goduto poco prima. Adesso la persona proprietaria di quelle natiche dormiva. E lui pensava. Pensava taliannu. Pensava a quanti kuli e a quanti kunni avia visitato dacché lui era stato lui, dacché Zeus era stato Zeus. O meglio, da quannu il phallo divino si era messo a funzionare. Che a dire il vero verissimo veramente assai presto aveva incominciato. Era stato nu picciriddu fottitore. Fors‟anche un neonato fottitore. Ma il suo dolce andare di pensiero in pensiero, di kunnu in kunnu, di kulo in kulo, di ucca in ucca, intanto che si taliava l‟ameno paesaggio bicollinare, fu interrotto da una voce antipatica. Di quelle che trasunu dalle orecchie, vanno al ciriveddu, si fanno un giro veloce dintra la scatola cranica, e non la potendo skassare perché d‟osso è, scinninu al core facennulu inkazzare, quindi vanno alla panza e all‟intistinu facennuli mettere in movimento, e pi finiri vannu a li cugghiuna ca automaticamente uncinu come du muluna di ciauru. Mentre l‟aceddu, se gonfio era, si svunciava in un amen. << Che fai? Sempre il solito panorama guardi? >> disse la voce maliritta di una fimmina tutta allicchittiata e con tanto di koppola di seta in testa. << Senti, non ci skassare la koppola della minkia. Io mi consento di fare quel kazzo che mi pare. Io taliu chiddu minkia ca mi pari e piaci. E fazzu chiddu minkia ca mi pari e piaci. Sicuramente non devo dare conto a tia, signora skassaminkia autorizzata>> rispose serio serissimo Zeus. << Ma come, sono tua moglie, Zeù.. >> rispose la donna che amava il parlare fino. E utilizzando il diminutivo che usava nei momenti di abbandono al piacere. << E chi minkia mi ni futti.>> << Ricordati che sono pure tua collega. Sono una dea >> precisò Era. << Ma chi riminkia mi ni rifutti. Io sono il capo di li dia, quindi anche tuo. Suka e porta a casa. >> << E sono pure tua sorella>>. << E chi triminkia mi ni tririfutti. Risuka e ririporta a casa>>. << Adesso ci lo conto alla mamma >> disse Era. << Vaffankulo a tia e a lei pure. Vaffankulo sia alla moglie che alla suocera >>. Poi si rese conto che la suocera era anche sua madre. << Tu hai mandato a fare in kulo tua madre, tua mamma >> disse Era. << Vaffankulo non una ma due volte, sia come suocera che come mamma, buttana di la buttanissima ca ti criau>> rispose Zeus. << Ma creò pure te>>. << E cu minkia ci lu fici fari? Mammà non ficcò pi fari a mia o a tia, ficcò per il suo piacere o per quello di papà>> rispose ridendo Zeus. E rise pure la sua ciolla abballando. Rise pure il kulo della persona dormiente con una allargatine di chiappe. << Sei volgare e arrogante più di nostro padre Krono, irrispettoso e prepotente. Non rispetti neanche l‟età, neanche chi ti ha dato la vita >> rispose Era, ferma come una statua di marmuru accanto al letto. <<Vaffankulo, ca mi sta addivintannu iacitu lu latti di lu brigghiu. E non paragonarmi al deminkiatore celeste. O forse tu vorresti fare lo stesso? A mia per caso vorresti deminkiarmi? Attenta, perché io ti la cusu pi sempri la porta del pakkio. E poi su kazzi tuoi. Ti la cusu accussì stritta ca mancu pisciari potrai. Pertanto attenta alle minkiunate che dici>> rispose Zeus sentendosi sempre più sgonfiare l‟aceddu e gonfiare li baddi. << Una volta mi amavi >>. << Da picciriddu, quannu nun capivo una minkia e pazziavo per un pakkio. Uno qualunque, tanto per fare trasi e nesci >>. << Mi amavi allora>>. << Chiamalo amore ma era amore per il pakkio. Sì, ti amavo, ma poi ti fici li corna presto. Con la sacerdotessa del tuo tempio, la sacerdotessa Io. La bella Io>>. << Ricordo. La bella Io dell‟Heraion. Bella e vergine>>. << Bella, vergine e amante della ciolla e ciollofila docchi>>. << E invece adesso corri appresso a un kulo di mascolo. Vergogna>>. << Un kulo è solo un kulo. I kuli non hanno sesso, possono essere solo belli o brutti. E questo è bellissimo, è di un picciotto callipigio. Iddu tiene un kulo che parla, che grida, che invoca soddisfazione>>. << Come il mio è>>. << Come il tuo una volta. Una volta sì, una volta forse. Ma per me tu un kulo così bello non l‟hai mai avuto. Questo è bello come quello di Aphrodyte. Comunque una volta ti la passavo la minkia, davanti e darreri. Mi piaceva fotterti. Mi consentivo di chiavarti e non solo. Anche inkularti era un piacere, farti un kunnilingus. E a tia ti piacia assai la fellatio. Come la sukavi alla grande la mia minkia..>>. << Non usare parolacce. Il nostro era amore>>. << Ma sukari l‟aceddu è.. è anche quello amore. Minkia. E tu lo sukavi in modo divino. Minkia, tu sukavi e io ti la alliccavo con la mia lingua esperta>>. <<Porco>>. <<Porco sta minkia>>. <<Porcazzo>>. <<Porcazzo sto kazzo>>. <<Porcazzozzone>>. << Porco o non porco, cara Era, ci sta pure il bassorilievo. Il bassorilievo del tempio di Heraion a Mynkyalonya. Rappresenta a tia ca suki la minkia mia>>. << Porco.. porco tu e chi fece quel bassorilievo>> disse Era inkazzata. << E l‟amore che porta a fottere. E io godevo nel fotterti e rifotterti a mio piacimento. Godevo io e godeva la mia minkia >>. << Amore, amore era. Ricordati che la nostra prima notte di nozze durò trecento anni>>. << Un pilo nell‟eternità, anzi un piliddu nicu nicu. Ma la minkia mia lavorò assai assaissimo>> puntualizzò Zeus. << Un piliddu piacevole però. Tu che fikkavi e io che mi bagnavo sempre nella fonte di Kunnosanato per riacquistare la verginità >>. << Ma ricordati che non fottevo solo con te>>. << Lo so, ma il nostro era amore. Con le altre era solo sesso>>. << No, per me solo e sempre fottere è, fu e sarà. Io consento alla mia minkia di fare e sfare come vuole lei e come voglio io>>. << Non essere volgare. Ancora adesso , in fondo, qualche volta mi cerchi>>. <<Solo dovere coniugale, semplice prestazione maritale. Quasi dovere d‟ufficio, dovere e basta. Come una pratica da sbrigare. Un colpo e via, possibilmente ad occhi chiusi, pinsannu di fikkari con qualcosa di chiù bello, di più giovane, di più vivo. Tu sei un pakkio da museo. Un pakkio morto. Uno stikkio giurassico>>. << Ti prego, non dire queste cose>>. << Senti, skassakazzu, ti sei taliata come sei arriddotta? Kulu carenti, minni sbunciati e pakkiu sdillabbriatu. E tuttu il resto in rovina>>. Era scoppiò a piangere. << Anche tu sei in rovina, tieni la panza, ciai li minni ruossi, il kulo obeso>> aggiunse la donna. << Sì, sì. Nel corpo sì, ma nell‟aceddu no. E l‟aceddu mio voli carni frisca, per arrifriscarsi meglio. Carne fresca e variabile soprattutto>>. << Come quella che hai a portata di mano?>> <<Certo, quel kulo è una casa del piacere. Domus mentula, casa della minkia è>>. << Sodomita>> gridò Era. << E che minkia. Questa è parola della concorrenza ebraica>> disse Zeus ridendo. << Iarruso>>. << E che minkia ancora. Iarruso è quello che riceve>> puntualizzò Zeus. << Bardascia>>. << Minkia ancora una volta. E la stessa cosa>> aggiunse il capodio. << Buggerone>>. << Questo va bene. E ora, signora Era, vaffankulo, che io devo buggerare. O vuoi taliare la cerimonia della messa in kulo? >> E si scoperchiò mettendo in evidenza lo zeussino in fase di rinascita. Presa da una crisi isterica dovuta alla mancanza di kazzo Era si buttò su quel kulo dormiente e lo prese a pugni e a mozziconi. << Ahi ….>> gridò Ganimede che ne era il proprietario. E girandosi mise in evidenza un cicetto ch‟era un giocattolino nel vero senso della parola. Era e il coppiere di Zeus litigarono alla grande. Le prime cose che abbularono furono le coppole. Poi si acchiapparono per i capelli e rotolarono a terra. Lu carusu ci strappò la vistina e la misi col paparaciannu di fora. Lei lo acchiappò per il ciollino gridano che glielo scippava e glielo fikkava in quel posto . Intanto Zeus rideva. Una risata divina. Ma nelle mani di Era il giocattolino fece il suo dovere e diventò uno strumento niente male. Ganimede era bello sia di darreri che di davanti. <<Uhm … Piccolo da moscio ma da sveglio è un bello e meraviglioso esemplare. Ma io te lo strappo lo stesso e te lo ficco là. Là dove vuole fikkarsi quello iarruso di mio marito>> disse Era che da parecchio stava all‟asciutto. Ganimede gridava ed Era strillava. Alla fine intervenne Zeus. << Basta, femmina disobbediente. Lascia quello che desideri. Adesso pi minnitta assisterai al mio gioioso buggerare. E non dire una minkia, ca lu latti di brigghiu è già mezzo acido >>. Piangendo Era fu costretta a taliare con dolore e pititto. Addossata alla parete fredda, nuda com‟era, vide il ciollo divino trasiri tra quelle chiappe sorridenti. A cose fatte Era implorò una dose di sasizza maritale anche per lei: << Dammilla nu tanticchia di quella tua ciolla doc, a divinità d‟origine controllata. Dammilla qualche dose di minkia. Dammilla, pi carità. Una tantum ma dammilla. Arrifriscami lu paparaciannu che da tempo non vede alcuna grazia di dio. Ti prego, magari una botta e via ma dammilla una botta. E via....>>. << No>> rispose Zeus. << Una dose soltanto, un assaggino, magari solo una sola trasuta e sciuta tanto per levare le ragnatele >> implorò la moglie piangendo. << Certo, avere le filinie nel pakkio non è una cosa bella, ma io non sono una ciolla pulisci stikkio, una minkia smantella filinie. Io non sono un fallo delle pulizie, non faccio lo spazzino della fika>> rispose con serietà ironica Zeus. << Una botta, solo una botta>> implorò ancora la femmina. Zeus la taliò seriamente autoironico. << Sì, si può fare. Ma col profilattico però, altrimenti rischiamo di fare nu diuzzu>> rispose Zeus. << Come ti pare e piaci, basta che m‟insasizzi. Con uno, due , tre profilattici, non ha importanza. Basta che mi fotti >>. Era si buttò sul letto e attese l‟arrivo del maritofratello a cosce spalancate. Invece arrivò Ganimede con la sua giovanile ciolla. << Ma …>> addumannò Era. << Niente ma, lui è il profilattico. Io l‟inkulo e lui t‟inkunna. I miei colpi di reni si trasmetteranno a lui e lui li trasmetterà a te, lui ti fotterà ma io sarò il deus ex machina di quella tua trombata tanto assai assaissimo desiderata>>. Così, col permesso di Zeus, Ganimede si trombò la signora Era intanto che veniva trombato dal capodio. Era godette col kunnus, ma pianse col cuore. Poi andò via lasciando Ganimede tra le braccia del suo Zeus. Nell‟uscire Era gridò disperata: << Porco Zeus. Guruni Zeus. Stronzo Zeus. Malaca Zeus. Vaffankulo, Zeus, porco chiù porco del porco, praticamente purkazzu. Purkazzu di testa e di kazzu>>. << Taci, troia. Tutte le onestà che predichi con la bocca di sopra si contrappongono alle minkiate che fai o vorresti fare con la bocca di sotto. Taci pertanto>> rispose calmo Zeus. <<Pupazzu, purkazzu, purkazzu di kulu e di kazzu>> replicò l‟isterica moglie sorella. Ma Zeus rise. Non era una novità. Tutti, da tempo immemorabile, lo consideravano un “porco”. E “Porco Zeus” era l‟insulto preferito da tanti, sia tra gli dei che tra gli uomini. Ma non sempre era un insulto. Il “porco” con cui l‟appellavano tante donne dopo un fattaccio sessuale era un “porco“ pieno di erotismo e sessualità. Come dire chiaro e tondo “Come sei bravo a fare le porcherie, sei un amabile porco, come fai le porcate tu non le fa nessuno, porchiamo insieme”. Anche il “porco“ con cui l‟appellava spesso Ganimede era un “porco“ pieno d‟amore e d‟affetto. Era un grazie per il piacere che Zeus gli procurava. << Vattinni troia, e ringraziaci per la sfiliniatura. Per la livata delle filinie dal tuo sito paleoarcheologico. Vaffankulo, che forse pure là ci stanno le filinie>>. Poi, rivolgendosi a Ganimede: << A proposito, amore mio bellissimo, ci ni stavano assai di filinie?>>. << Controlla, porcone mio>> rispose il picciotto. E Zeus, dopo averlo pigliato in mano, taliò da vicino l‟aggeggio del suo amore. << Pare nu pisci dintra na riti, minkia, com‟era arriddotta la cosa di Era. Kazzo, quante filinie sul kazzo>>. E chiamò due cameriere che accorsero con un vassoio d‟oro pieno d‟acqua. E con quella Zeus ci lavò il pisello al suo coppiere. E tra una sciacquata e l‟altra ci desi pure dei bacetti. << Cuntami una storia d‟amore>> chiese il picciotto intanto che Zeus ci lavava lo strumento. << Di pilo. Una storia di pilo. L‟amore è fantasia, il pilo è realtà. L‟amore è religione, il pilo è scienza>>. << Ma..>>. << Lo so>> riprese Zeus << non dovrei dirlo che l‟amore è religione. Io che sono un dio ateo non dovrei dire certe cose. Ma tu si cosa mia e io ti dico la verità. L‟amore è religione e il pilo è scienza. Poi ognuno l‟interpreta come minkia e cappella di minkia vuole>>. << Va bene, ma cuntimilla. Pilo o amore, sempre fatto di minkia è>>. << Ti racconto quello che feci ieri. Andai al bordello di Munypuzos, quello di lusso, quello della Munypuzos bene, il Krisomentulamachia.. e … e dopo aver preso le sembianze del filosofo Mario Cicerone Acicero Gaudenzio Pisellosenza Amentulo Sbaddatu Senzaceddu..>>. << Di chi? >> chiese Ganimede. <<Di Mario Cicerone Acicero Gaudenzio Pisellosenza Amentulo Sbaddatu Senzaceddu, quello che chiamano Catone il Censore di Munypuzos, quel malaca che vorrebbe prendere provvedimenti draconiani contro gli immorali, compreso il sottoscritto. Quello stronzo che vorrebbe chiudere i bordelli, quel ciullagalline che vorrebbe cancellare il diritto al piacere e fare tante altre amene minkiate di ciullavento. Ebbene, dopo aver pigliato le sue sembianze, mi sono fatto tutte le signore del lupanare. Dopo essermi regolarmente presentato però. Tutte le ho possedute e ripossedute facendomi un piacevole e soddisfacente doppio giro. Per il piacere mio e il disonore del filosofo. Minkia, come mi sono divertito nel vedere le facce delle lupe quando mi presentavo. Minkia, che divertimento>>. E Zeus attaccò a raccontare tutti i particolari: << Lucilla lu teni accussì. Cinzia l‟avi accuddì. Camilla fa questo. Berenice fa quello. Poppea sa suonare il piffero. Romoletta sa ciullare la ciolla. Natichella sa usare le chiappe >>. << E io che so fare?>> chiese Ganimede che fibrillava d‟amore tutto sano sano, dalla testa ai piedi, passando per il centro anteriore e soprattutto quello posteriore. << Tu sai fare il coppiere. Mettermi il vino nella coppa. O ricevere il mio vino d‟amore nella tua coppa personale. E sai anche suonare il flauto in maniera divina. Mai vista una suonatrice di flauto brava come a tia, kuliddu miu beddu, niru di lu me aceddu>>. << A proposito, dopo avermi sfiliniato la ciolla dalle filinie di Era, perché non mi sfilini dall‟altra parte con il tuo bellissimo e potente sfiliniatore? >>. << Immediatamente>> rispose Zeus che con la sua forza infinita mise in un attimo il picciotto nella posizione giusta per poi acchianargli addosso. E stava per trasire là dove era tanto atteso quannu successe quello che successe. Infatti proprio allora, in fase di “anun penetratio” sentirono una bella voce cantare. << Minkia, lu skassaminkia ranni arrivau>> disse Zeus deponendo le armi dell‟amore. O meglio, l‟arma dell‟amore. << Minkia, lu minkiaranni arrivau a skassare la minkia a tia e a lassari a mia chinu di pitittu>> aggiunse Ganimede che sentiva già la ciolla divina arrimuddari tra le sue chiappe e sciogliersi come neve al sole. << E iddu, ciriveddu nicu e minkia ranni. L‟esibizionista per eccellenza. Fhallopompos. La guida de falli, la stella polare dei kazzi >> dissero in coro Zeus e Ganimede. E infatti, ogni volta che Zeus sentiva quella voce potente, diventava impotente. Che quello avesse una ciolla chiù grande della sua lo faceva inkazzare e se era in fase di minkia nascente automaticamente passava a quella di minkia calante. Così successe anche quella volta. << Bastardo minkiaranni, mi sminci sempre. Sei solo uno smontaminkia. Passami nu minkiuni ca mi lu suku>> disse Zeus deluso ma ironico. “Sminciare” voleva dire “sgonfiare la minkia”. Lo stesso signifikato di smontaminkia. Ma era un odio amoroso quello di Zeus. Lui amava il picciotto che tra l‟altro era un parente. Ma l‟effetto purtroppo era quello. Il picciotto lo sminkiava. Ma Zeus s‟inkazzava solo un attimo, poi perdonava. Ganimede invece, anche se devotamente innamorato di Zeus, avrebbe voluto avere una storia con quella bestia di uomo-uomo per modo di dire - con tanto di bestia tra le gambe. Tanto per provare. Per vivere una nuova emozione. Una emozione grande, particolarmente grande. Ma intanto era saltato tutto. Per colpa di quello, quello che andava solo con le femmine. Quello che era etero al miliardo per miliardo. Esclusi però i lavori d‟ufficio. O i doveri d‟ufficio. Ovvero le pratiche di sfondamento dei kuli dei ladri. E non solo quello. --< < Fottiam nei lieti calici che la bellezza c‟infiora. E la fuggevol ora s‟inebri a voluttà. Fottiam coi dolci fremiti che suscita il kunnus a tutte l‟ore. Poiché questa minkia in amore onnipotente o purtusu va>> cantava quello. La voce potente del picciotto, potente come la sua minkia, si sentiva in tutto l‟Olympazzo quando iddu attaccava a cantare. E ne sapeva di canzoni. Tutte a senso unico, ma ne sapeva a iosa. Adesso la sua voce risuonava nei sacri palazzi. Il picciotto stava andando dalla mamma. Per una visita lampo. Da Aphrodyte Anadiomene e Kallipigia. Brutto di nascita, brutto era cresciuto e brutto era rimasto. Piluso come una scimmia già da quannu sciu dal buco materno, chiù piluso ancora era diventato quando era cresciuto. Piluso tutto tranne che nel kulo. Quello spilato era e spilato era rimasto. Ed era nato talmente brutto che la bella mamma, dopo il parto, l‟aveva rifiutato. Era stato cresciuto da altri. Ma da grande aveva riallacciato i rapporti. La bella mamma adesso andava d‟amore e d‟accordo col figlio brutto, lario e racchio ma minkiuto più di qualsiasi altro uomo, terrestre e no . Lo amava più degli altri figli. Perché era brutto. E forse anche per altri motivi. << Brutto bruttazzu tranne ca di kulo e di kazzu>> ci diceva la bellissima Aphrodyte. La sua bellezza stava altrove. Era bello d‟aceddu e di kulo. Se il primo era spropositato, il secondo l‟aveva pigliato sano sanissimo dalla madre. Era sia itifallico che callipigio. E la sua biddizza facia paura a tutti. Alle femmine, che pure la desideravano, e ai maschi, che invece lo invidiavano. Lui, Pryapo itifallico, era stato costretto da sempre a portare una tunica un po‟ più lunga degli altri. Questo dai sei anni in poi, prima stava nudo. Anche se la cosa era già spropositata e sempre tisa. Era nu picciriddu ciollaranni, da nicu tinia la ciolla molto assai assaissimo chiù ranni di la ciolla di li uomini ranni. Poi, per nascondere la ingombrante protuberanza eretta , aveva dovuto portare tuniche più lunghe. Ma la cosa, sempre tisa sotto la tunica, sporgeva in avanti. Così come le donne incinte compaiono prima con la pancia allo stesso modo Pryapo compariva con la sua famosa protuberanza che faceva pressione contro la stoffa della tunica. Da grande si era dovuto abituare a convivere con la sua specialità fallica. Sotto la tunica, cortissima per scelta e moda, portava una sorta di imbracatura, detta “cingifhallus” , che gli bloccava la minkia in verticale. Issa passava sopra l‟ombelico, poi tra le tette e infine arrivava sotto il mento. Tanto che Pryapo portava sempre una sorta di sciarpa, una primitiva gorgiera detta “Priapera“. Sia col caldo che col freddo. Per antuppare la koppola dell‟aceddu, che spesso si affacciava. Tanto che questo accessorio era diventato alla moda. Stava a signifikare “ Tengo n‟aceddu ca è na bestia.. tale e quale quello del dio Pryapo..” In testa poi portava sempre due coppole. La koppola era una invenzione di Munypuzos, ma la doppia koppola era una trovata di Pryapo. A chi gli chiedeva il perché Pryapo rispondeva: << Una per la testa, l‟altra per la minkia>>. Infatti, quannu la ciolla, al massimo della potenza, si affacciava e mittia la testa accanto all‟autra testa, lui si levava una koppola e la mittia sopra la koppola della minkia. “Uomo bicefalo” lo chiamava qualcuno. “Doppia testa di minkia“ qualcun altro. Ma a parte tutto Pryapo si sentiva castrato dagli abiti. Se le statue a lui dedicate lo raffiguravano nudo e itifallico, c‟era un motivo. E lui avrebbe voluto stare sempre nudo. Appena poteva, si denudava. Nudo si sentiva libero. Libero di essere se stesso e di esibire la sua arma . La sua clava di carne. Ma quando andava in giro si vestiva. Per buona creanza, per non scandalizzare, per la cosiddetta educazione, la cosiddetta morale, per ordine della mamma, del papà e di altri rompibaddi. Ma soprattutto per comodità. Il “cingiphallus“ gli teneva la minkia in ordine. << Minkia. Perché Ermete poli stari nudo e io no?>> si chiedeva spesso. Poi si dava la risposta. Quello aveva una minkietta, lui era più kazzo che altro. Ma appena poteva si metteva minkia all‟aria e palle al vento. Arrivato davanti alle stanze della mamma trasiu senza bussare. << Mammina Kulubeddu, vasamu li manu e lu kunnareddu>> disse trasennu nella camera da letto di Aphrodyte. << Smettila, non dire parolacce. E non scherzare, megastronzone, malaca, malacone, malakazzu>>. << Mammina, Kulubeddu è la traduzione in dialetto di Kallipigia>>. << Lu sacciu, ma lassamu stari. Piuttosto, figlio mio bello, che stai combinando di bello adesso? Di questi tempi? Dimmi, che fai, bello di mamma>>. << Beddu a mia, no. Tutto mi puoi dire tranne quello. Bello non fui, bello non sono e bello non sarò. Capito?>> << No. Tu si beddu, anzi biddazzu tuttu. Sulu ca la tua biddizza è nascosta. Ma è chidda ca piaci a li fimmini. Fattillu diri di mia, sono la dea dell‟amore. Ho avuto tanti maskuli, ma nessunu avia una biddizza come la tua. Ho solo avuto biddizzi chiù nichi. E poi tu tieni pure il kulo bello come il mio, megamentulo e callipigio. Grande ciolla e kulo bello>>. << Certo mammina. L‟aceddu appititta a tutti li fimmini, che però delle volte si scantanu a farissullu infilare. E delle volte invece appititta pure a qualche maskulo. Ma il kulo, mammina bella, appititta a troppi mascoli. E a dire il vero vero veramente anche a li scecchi. O per lo meno, a uno scecco appitittò. Minkia che scantazzu quella volta ca lu scikkazzu mi vulia sunari in kulu lu so kazzu. Se ci penso mi scanto ancora>>. Aphrodyte, conoscendo la storia, rise. E per la gioia si mise a saltare. La koppola volò via, mentre la corta tunica, svolazzando, mise in evidenza il culetto bellissimo e il paparaciannu senza pila. Senza pila di natura, e no spilato come facevano tante per moda. Per avere il “pakkio all‟Aphrodyte”. Poi abbracciò il figlio. Pryapo la sollevò da terra e ci fici fari na decina di giri a velocità elevatissima. << Che è sta cosa che si frappone tra noi?>> chiese ridendo la mamma. << Chidda ca mi facisti tu cu la collaborazione ciollesca di papà>>. << Speciali ti la fici? Ehhhh….. ammuccamu >> rispose la mamma. << Mammina, se vuoi, a disposizione>> disse Pryapo ridendo. << Vaffankulo, figlio beddu. Sugnu sì la buttana ranni, la buttana universale. Ma mi la fazzu infilare da chi voglio io >>. E ci desi una manata nella panza ma acchiappò n‟autra cosa. Pryapo la rimise a terra e si mise a fare l‟addolorato d‟aceddu. << Ahhhh….Mammina, mi arruvinasti il rosso palo. Io dicevo per dire. Mi pare che nella famiglia nostra è tutto un casino. E che casino. Un casino infinito e senza confini>>. << Casino sì, ma casino divino. Io la buttana universale, tu la minkia universale, mio marito il cornuto universale, tuo padre lu „nbriacu universale, lu nonno è si il capodio ma è anche il capobuttaniere universale. È tutto un casino, un casino come quello che c‟è nel mondo, come quello delle altre religioni, passate e future. È tutto e soltanto un casino, perché è la vita che è un casino. L‟importante è farne un casino divertente e no di ciangikunnu, minkieperse e ammuccaparticole nate e pasciute. L‟importante è essere minkiallegra e kunnoridente >>. << Come a mia, minkiallegra e ciolla tisa>>. << Sì, figlio mio bello di kulo e d‟uccello. È meglio essere minkiallegra come a tia e kunnoridente come a mia . Kunnoridente ma non pi tia comunque>>. << Mammina bella, ma lo sai che poi ci sta pure il proverbio “quannu è tempo di necessità unu ci l‟avi a infilari pure a mammà”. Comunque io scherzavo, ma se vuoi? Se è tempo di necessità?>>. << Necessità? Per me mai. Basta che alzi un dito e mille minkie di qualità si mettono a disposizione. Ciolle doc e ciolle duc. Ciolle a divinità d‟origine controllata e ciolle a divinità umana controllata >>. << Mammina, io scherzavo>>. << E io pure>>. << A parte gli scherzi, sappi che io una sonata di minkia non la nego a nessuna femmina. Possono suonare a mano. Possono farne un flauto. O farsi suonare l‟arpa a quattro corde. O eventualmente farsi sfondare il tamburo. Tutto per le femmine sono. Tutto per il pelo femminino m‟arrapo e m‟arrabatto. E a tutte me le sbatto. Ma lungi da me i maskuli cercakuli e i maskuli cercapiselli. Sol per le femmine io ci son. Sol per loro la mia minkia è >>. << Io, Pryapo beddu, fazzu tutti sti cosi, e anche altro. Sono o non sono la buttana universale? Ma decido io con chi, capito, Pryapuzzo mio. Ho detto “No” pure a Zeus, ma dico “Sì“ a chi minkia voglio io. Perché io sono la proprietaria del mio pakkio e me lo gestisco come voglio io. Capito, Pryapuzzo>>. << Non chiamarmi Pryapuzzo. Eventualmente Pryapazzo. Oppure Pryapuzos, kazzo di Pryapo>>. << Ve bene. Io ti fici e adesso mi la suku, Priapazzu ca scisti da lu me stikkiazzu>>. << Almeno, mamma bella, mi facisti col metodo tradizionale? Cu la mamma che riceveva e il papà che dava. Una bella sonata di campana col marrugghiu di carne. Din don dan trasiam, din don din uscim, din don dan siminiam, din don din gudim>>. << Certo, una bella sonata fu. Perché papà tuo pazzo e brillo sempre è, ma quannu si tratta di sunari il piripikkio nel pakkio ci mette sentimento, arte, possanza, prestanza e tanta fantasia. Insomma, una fikkata di passione fu quella che ti stampò a tia. Come pure le altre che s‟avi fatto con me. Tuo padre conosce l‟arte del fikkare. E un artista della minkia e.. e del vino. Solo che non si capisce se è il vino che fa andare la minkia o è la minkia che va a vino. Comunque la ciolla di papà va alla grande>> rispose la mamma. << Invece la tua nascita fu nu tanticchia strana, vero, mammina cara>>. << Tanticchia, solo tanticchia, solo tanticchiella>>. << No mammina, nascere dalla spumazza del mare pirchì Krono avia tagghiatu li cugghiuna e la minkia a suo padre Urano non è tanto normale>>. << Nascere cu na minkia tanta neanche>> rispose Aphrodyte, che nella Magna Grecia chiamavano anche Venere. << Ma è sempre una minkia. Ma una minkia che si fotte il mare non s‟è più vista. E dimmi, a cu chiami papà? Alla ciolla di Urano? E mamma , il mare?>>. << No. Io chiamo papà a Zeus. Sono sua figlia adottiva. E lo chiamo papà e a volte anche mamma. A secondo dei casi. E può darsi che ricapiterà>>. << Va bene, ricapiterà. Forse sì. Forse no. In ogni caso tu sei figlia della detesticolazione e della deminkiazione>>. << Zitto, perché altrimenti ricapiterà subito. Perché io ti deminkio seduta stante>>. << A mia no. Ma a proposito, mammina bella, accamora chi è che ti l‟arrifrisca?>>. << Cosa? >> chiese la mamma fingendo di non capire. << Cosa? La filazza dell‟amore, la funnacella per arrostire la sasizza, la gabbia pi mittirici l‟aceddu, la vaschetta pi fikkaricci lu pisci, l‟ortu pi siminari la simenta, la campana pi mittirici lu battagghiu, la pignata pi cociri li spaghetti, la biblioteca pi mittirici lu volume unico, lu piripakkiu pi mittirici lu piripikkiu…>>. << Io. Io la inciollo, la imminkio, la inkazzo, la inkunno. E brindo sempre a quest‟inciollamento>> rispose una voce . << Bihhhh … Papà. E chi ci fai qui? Tu che sei famoso come “lu diu giramunnu ca sauta di kunnu in kunnu “. Ogni tanto ti veni la pinsata e ci veni a dare un colpetto alla mammina? Tra un tour del pakkio e uno dello stikkio, ti piaci ancora il pakkio spilato di mammà >>. << Ogni tanto, tra un kunnusgiro e n‟autro >> rispose Dyonyso affacciannisi nella stanza nudo come si attruvava. Nudo, a parte la koppola in testa e la consueta coppa di vino buono in mano. Dyonyso era sempre brillo, tanto che qualcuno lo considerava pazzo. Ma la sua pazzia di chiamava e si chiama ebbrezza. Ebbrezza di ciriveddu e d‟aceddu. Ebbrezza di pititto di stikkiareddu e di altro. Ebbrezza di piacere sessuale. O meglio, come lo chiamano tutti, “spirito dionisiaco”. Lo spirito dionisiaco alla fin fine è solo un ciriveddu e una ciolla tisa ca vanu a vinu. Lu vinu addiventa il carburante dell‟uno e dell‟altro strumento. Del ciriveddu fallico e del fallo ciriveddu. << Bello il mio papà. E complimenti per la strumentazione. Si mantiene bene>> rispose Pryapo. << Che fai? Mi pigli per il kulo? Per quanto bello il mio strumento nun poli fare concorrenza al tuo. Se il mio è una bestia, il tuo è un bestione. Se il mio è un obelisco, il tuo è un obeliscone. Se la mia è una koppola di minkia la tua è un coppolone di minkiolone>>. << Papà, scherzavo>>. << Scherzi del kazzo, quando si ha una ciolla come la tua. D‟altra parte lo sai che ti invidia pure Zeus>>. << Lu sacciu. Infatti mi chiama smontaminkia>>. E rise del vecchio capodio. Risero pure Dyonyso e Aphrodyte. << Mio figlio invidiato da Zeus per la ciolla>> disse Dyonyso. << Nostro figlio>> aggiunse Aphrodyte. << Il figlio dell‟amore. Uno scherzo del mio kazzo e del tuo kunno >>. << Scherzo o no, ogni tanto ci metti ancora qualche cornetto al legittimo marito di mammina, lo zio Efesto, il cornuto universale. E pare che l‟altra volta un corno ci sciu dal cratere dell‟Etna. E mi sa che era un corno tuo. Il gran cornuto, che poi ti viene fratellastro. E questo non è uno scherzo. Fikka papà, fikka, finu a quannu la ciolla ti attisa>>. << Ogni tanto una rimpatriata fa piaceri. E mettere un altro corno a Efesto è un doppio piaceri. E poi, fikkare è sempre bello. Con tua madre poi è addirittura bellissimo. Quella tiene il pakkio col risucchio. Appena ci lo tocchi con la koppola la sua forza kazzipeta si lu suka in automatico. È un pakkio turbo, un pakkio con pompa aspirante incorporata. Ti suka non solo lu skulu dei koglioni ma anche la vita, il core, l‟anima, lu ciriveddu. Tutto ti suka. Tu ti consumi a pikka a pikka sciennu dalla tua stessa minkia. Ma però, consumarsi accussì è bello, anzi bellissimo. Viva il pakkio e chi lo inventò>> rispose Dyonyso che era sempre allegro. E intanto il vino gli stava rigonfiando lo strumento. << Viva il pakkio sì, ma viva anche chi mi fece una minkia accussì. Taliati, mamma bedda e papà amatissimo. Taliati il frutto del vostro amore>> rispose il dio dal rosso palo sempre eretto sciennisilla di fora in tutta la sua magnificenza. << Kazzu, chi kazzu>> dissero i genitori. Papà Dyonyso comunque era sempre un bell‟esemplare di uomo. Ben dotato e atletico, ma soprattutto sempre allegro. Posseduto da quello che è passato alla storia come “spirito dionisiaco”, era sempre felice e pronto a celebrare qualche rito orgiastico. Nelle vene aveva più vino che sangue. E anche la sua ciolla andava a vino. Era in perenne stato di ebbrezza. Sempre pronta a fare il gioco del fikka-fikka. E lo era anche adesso. Ma era poca cosa la sua cosa in confronto a quella bestia della cosa del figlio. --Figlio di Zeus e di Semele, la donna che il capodio con la sua potenza incenerì, dopo un‟infanzia travagliata, Dyonyso, si era poi dato alla bella vita. Maritato per un po‟ ad Arianna, la figlia di Minosse e Pasife oltre che moglie abbandonata di Teseo, essendo, come detto, gran viaggiatore, passava da un‟avventura a n‟autra. E una di queste avventure era stata con la bella Aphrodyte. Il primo incontro, il primo fikka-fikka, quello che aveva generato Pryapo, era avvenuto nella valle di Pantalika. Nel punto in cui i due fiumi fottono da tempo immemorabile. “Vino, sesso e polikunniecioll” era il motto di Dyonyso. Vino per l‟ebbrezza, sesso per il piacere, e polikunniecioll i falli e i kunni impegnati in riti orgiastici. Accompagnato com‟era sempre da Satiri assatirati, Seleni inseleniti e Menadi pronte a menarsi e a menarlo e a darsi e a riceverlo. Anche il rapporto di Pryapo col padre era stato riallacciato da grande. Successe quando Pryapo si unì alle Menadi col desiderio di farsele tutte. E ci riuscì. In una sola notte, nel bosco di Mynkyalonya Iblea, non solo se le passò tutte, ma se le ripassò e riripassò. Con ognuna fece la tripletta nei tre siti canonici. Praticamente una “nonetta” con ognuna delle Menadi. Dyonyso saputo dell‟espluà del picciotto lo volle conoscere. E saputo della particolarità anatomica di Pryapo, ci vinni un sospetto. E pinsò al figlio mai conosciuto. Pryapo invece sapeva che Dyonyso era suo padre. << Voscenzasabbinirica, vasamu li manu e li peri>> disse Pryapo skoppolandosi la koppola dalla testa . Poi taliannu le Menadi aggiunse:<< E a voi, voscenzasabbinirica e poi na vasata di fika>>. Le Menadi risero sia con la bocca di sopra che con quella di sotto. Risero pure di kulo. << Niente minkiate, beddu picciottu. Parra pikka e fai l‟uomo serio. Senti invece, dimmi una cosa. Se vuoi. Se puoi. Se ti va. Diciamo che mi affido alla tua buona volontà>> chiese Dyonyso. << A disposizione di voscenza … kulo, panza e presenza>> rispose Pryapo. A Pryapo ci piacia parlare il dialetto di Munypuzos. Era chiù bello dire Monakazzo, il nome dialettale del paese. Ma anche dire minkia, koppola di minkia e altro. << Senti, per caso, nei testimoni … tieni..….>> riprese Dyonyso. << I testimoni?>> rispose Pryapo che in realtà aveva capito. << I testikulos>>. << Ahhhh… Parla chiaro. I testimoni sunu li palli, i baddi, i cugghiuna, l‟ alivi da canniscedda, l‟uvidda di l‟aceddu, i picciuli na lu borsellino, i du scuffati dintra la scuffaredda, i du girasi, esatto? E allora parra comu minkia mangi>> disse il picciotto. << Esatto. Tu per caso na li baddi tieni una voglia a forma di grappolo d‟uva?>>. << Sì, nu pitittu a forma di racina. E chi racina>>. E Pryapo si scupirciò per far vedere a Dyonyso il grande pititto che si sviluppava sulle sue grosse palle. Se c‟era da mettersi nudo, se c‟era da esibire il suo capitale, lo faceva in un amen. <<Minkia chi minkia. E minkia chi cugghiuna. Autru ca du scuffati dintra la squffaredda, chista nun è na squffaredda. Non è una piccola borsa. Chista è una borsa ranni. Una quffa. O koffa>> disse Dyonyso che era in fase contemplativa e creativa. Ma il discorso piaciu alle Menadi che in seguito adottanu, per moda e per piacere, una borsa di paglia bedda ranni e ci diedero il nome “koffa”. E la koffa diventerà poi la borsa ufficiale di Munypuzos, diventerà un oggetto di culto tra le femmine. Esibire una bella koffa equivaleva a dire “il mio maskulo tiene due koglioni ranni come quelli di Pryapo”. Ma intanto taliavano il capitale di Pryapo. E pure Dyonyso taliava quel gran capitale. << Ma tu chissa nun la devi taliari. Si maskulu cercapakkio o maskulu cercaceddi? Ehhhh….. tu li baddi mi devi taliari>> chiese Pryapo. E si ittau a terra e allargau li cosci. << Minkia chi baddi. Chissi nun su girasi, chissi su muluna. E chissa nunn‟è nu rappu di racina, chissa è na vigna intera. Chissa nun è na koffa e na koffazza. E tu si chiddu ca pinsava iu>> ci scappau a Dyonyso. E lu abbrazzau. << Figghiu miu, l‟haiu puru iu. Chiù nicu, ma l‟haiu. Tu sei il mio figlio perso, il figlio ca fici cu Aphrodyte. Ma chidda quannu nascisti ti visti lariu e brutto, nicu nicuzzu ma tutt‟aceddu e cu lu pitittu di racina na li cugghiunedda ca erunu già chiù granni di chiddi di nu uomminu ranni, ti abbannunau. Ti mannau a fari in kulo. Che poi tu tenevi pure il kulo bellissimo. Bello, figlio mio gran minkiuni di lu munnu intero, terrestre e non. Brindamu, brindamu. E poi emu a futtiri. Brindamu e fikkamu. E affankulu a cu nun fikka e cu nun bivi. Brindamu e fikkamu, ora e sempre>>. Dyonyso fece vedere al figlio il suo capitale, molto più modesto, ma cu lu pititto di racina pure quello. Per festeggiare brindanu alla grande. Poi fecero, tanto per fare, una bella orgetta . Padre, figlio e le Menadi tutte. Quindi, discorrendo discorrendo, decisero di perfezionare la lingua di Monakazzo, che era già tanto bella, e di farla diventare la lingua ufficiale della polys e dell‟Olympazzo, l‟Olympo di Monakazzo. E di chiamarla non lingua siciliana o di trinacria ma monacazzese. Lingua di Monakazzo. Di Munypuzos. Alla faccia del greco e del latino e anche del siciliano in genere. Questa sarebbe stata la lingua ufficiale di Munypuzos, delle polys alleate e dell‟Olympazzo. Da allora padre e figlio si erano visti spesso. Andavano d‟accordo. Erano fatti della stessa pasta. ---Adesso Pryapo e Dyonyso si erano incontrati casualmente a casa di Aphrodyte. Perché per Dyonyso, ogni tanto, dare un colpetto ad Aphrodyte dalle belle natiche era un piacere. E poi , in fondo, avevano generato insieme un figlio. << Ora vado, vi lascio alla vostra kunnomentulamachia. Io vado a fare le mie>> disse Pryapo antuppannisi la ciolla. << Trasi e nesci. O fikka-fikka, suona meglio. Ma prima brindiamo ancora, ca la minkia allegra fotte meglio>> propose Dyonyso. << E il pakkio allegro gode di più>> aggiunse Aphrodyte. Bevvero una bella coppa di “Fhallonero d‟Avolum ”. << Brindiamo alla salute della nostra minkia>> dissero i due uomini. << E di tutte le minkie in attività dell‟universo>> aggiunse la dea. << E di tutti li kunna >> replicarono quelli. << E soprattutto del mio, che se li possa fare tutte le ciolle del mondo. Quelle di mio gradimento però>> precisò Aphrodyte. Brindarono alla sanfasò. Poi Pryapo offrì ai genitori du beddi minkiuna. Due megaminkiuna. << Sukati ca vi passa, sukati ca alla fine tutta allegria è. Allegria di testa e allegria na lu suttapanza... allegria.. allegria a tutta minkia e a tuttu kunnu>>. E sukò pure lui. La minkiajuana ci piacia assai assaissimo. Anche se a rigore di logica, secondo iddu, s‟avia a chiamari minkiapriapriana. Perché il miglior simulacro itifallico da sukare non era quello di Zeus ma il suo. Lui era l‟itifallico come Min e non Zeus. Lui era la minkia primaria del kreato a tutti i livelli e non Zeus che era solo il capo del kreato. Poi andò via felice cantando come al solito. Forse era nu tanticchia chiù allegro del solito. << Cinque.. dieci.. venti … trenta.. trentasei.. quarantatré .. or sì, ch‟io son contento.. sembra in numero giusto per me.. guardare un po‟ mie care fike.. guardate adesso la mia cappella… sì mia minkia.. ora sei più bella.. sembri fatta apposta per me..>>. --- << Quarantatré si ni voli fari, quarantatré lavori di minkia>> disse Dyonyso accostandosi, da dietro, alla bella Aphrodyte e facennici sentire la potenza del suo fallo tra quelle belle natiche. << E noi a quanto possiamo arrivare con questa minkietta ubriaca? >> chiese la dea girannisi e acchiappandolo per il manico. << La mia minkietta non è>> rispose inkazzato e quasi offeso Dyonyso. << Rispetto a tanti no, ma rispetto quella di tuo figlio sì>> rispose la donna ridendo. << Vaffankulo, la porto altrove>>. << No. Io la voglio e la rivoglio e ancora la vorrò e rivorrò. E anche se non sono quarantatre mi accontenterò lo stesso>>. << Tu , quante te ne vorresti fare? >> chiese l‟uomo. << Tutte quelle possibili, all‟infinito io fotterei. Sono o non sono la dea dell‟amore?>>. << Ma io non sono una minkia d‟acciaio o di ferro. Sono una semplice minkia di carne, carne divina ma carne. E di carne ho la minkia>>. << Ma io non intendevo tutte le fottute possibili con te. Io intendevo tutte le fottute possibili con tutte le ciolle funzionanti del mondo. Almeno con quelle di mio gradimento. A mia m‟interessa la minkia tout court, la minkia e basta. La minkia come volontà e rappresentazione della minkia. La minkia come uno dei due elementi del dialogo sui due massimi sistemi>>. << Ha ragione tuo marito Efesto >>. << Perché? Che minkia dice il cornutone?>>. << Dice che sei una buttanazza di prima qualità, la “protobuttana universalissima” ti chiama. Mentre gli altri si accontentano di chiamarti buttana universale>>. << Buttana universale a mia?>> disse offesa Aphrodyte che in realtà sapeva tutto del titolo in questione. <<Sì, prima buttana del globo terracqueo e dell‟universo tutto, Olympazzo compreso>>. << E lui , il mio caro marito, è solo na cosa fitusa e laria, lu curnutu universale. Zoppo di iamma e di minkia. Anzi, è il primo cornutone dell‟Olympazzo e non solo. Ma secondo te, Dyonyso beddu, ha ragione il curnutazzo? Ha ragione o no? E stai attento a quello che dici, pirchì te lo affuco>> rispose la dea acchiappando Dyonyso per la ciolla e stringendo la koppola della stessa con una certa forza. << Ahi.. ahiaia... ahiaiiii... No. Per me sei solo una femmina ciollofila.. ahiaiiii.. amica della ciolla al cento per cento … di tutte le ciolle .. ahiaiiii.. ma adesso amica della mia … ahiaiiii.. o forse nemica? ahiaiiii.. ahiaiiii.. ahiaiiii.. >>. << Chi si accontenta gode. Dai Dyonyso, fai il tuo dovere di uomo ciolluto. Inciollami.. riinciollami e poi inciollami ancora.. che con la tua minkia brilla fai brillare il mio pakkio buttano>>. E ci desi na bella stringiuta pure ai koglioni. << Ahhhhhhhhhhhhhhiiiiiiiiiiiiiiii..... lu skulu sciu da li palli miei...chi ti voi fare na spremuta di cugghiuna?>>. << No, semmai na sukata, na sukata di latti di brigghiu>> rispose la dea della bellezza ammuccandosi il citrolo di Dyonyso. E rise la bella Aphrodyte. A bocca piena ma rise. Rise pure Dyonyso. E ridendo ridendo attaccarono a inciollare. Era un verbo che sapevano coniugare bene la buttana universale e lu „nbriacu universale. << Io inciollo.. tu inciolli.. noi inciolliamo…>> recitò la dea. << Io inciollo.. tu inciolli.. noi incolliamo .. ma a mia mi fa mali la minkia e pure le palle, ma inciollo lo stesso. Sono o non sono un dio del.. del kazzo...>>. E risero. A bocche spalancate, a kunno aperto e a minkia allegra. Perché Dyonyso e Aphrodyte nei fatti di pilo davano il massimo. --A Pryapo non ci poteva pace per il fatto che doveva andare in giro vestito. Vedeva la cosa come una imposizione. Lo aveva scritto chiaramente il sommo poeta latino, latino per modo di dire, Mhaxymylyanum Mhaxymylyanorum da Munypuzos, l‟autore dei Carmina Priapea. L‟opera dedicata al dio dal palo rosso e sempre eretto. E Pryapo si vantava di questa opera. Voleva farne il testo base del Priaprismo, la religione del dio Pryapo . Quella religione che si stava diffondendo un po‟ in tutto il bacino del Mediterraneo, il Mare nostrum del mondo classico. Una delle tante correnti dello Zeussismo. Una religione che prevedeva al raggiungimento della pubertà, con il menarca nelle femmine e con la prima polluzione nei maschi, la cerimonia del Cunnesimo per le prime e quella del Mentulesimo per i secondi. Una sorta di battesimo pagano. Una cerimonia in cui il sesso del nuovo adepto veniva asperso di seme santo. Quel liquido, che poi non era altro che un derivato del latte, stava a signifikare la benedizione di Pryapo. E Mhaxymylyanum Mhaxymylyanorum da Munypuzos , che era il cantore di questo grande e immenso dio, aveva scritto: << Cur obscaena mihi pars sit sine veste, requires, quaero, tegat nullus cur sua signa deus…. Mi chiedi perché sono scoperte le parti vergognose del mio corpo; mi chiedo, perché nessun dio mai copre le proprie armi. Il padrone del mondo ha il fulmine; lo porta senza nasconderlo, né al dio marino è concesso tenere il tridente nascosto. Né Marte cela quella famosa spade che lo rende potente; né Pallade occulta l‟asta sotto il tiepido seno. E forse Febo si vergogna di portare i dardi dorati? E forse Diana suole portare la sua faretra di nascosti? Forse Ercole cela la forza della nodosa clava.? Forse il dio alato tiene la verga sotto la tunica. Chi vide mai Bacco tendere la veste sul delicato tirso, chi mai vide te, amore, nascondere la fiaccola? Non mi si accusi di nulla, quindi, se metto in bella mostra i miei genitali, sono la mia arma, altrimenti sono inerme>>. Il suo sommo autore preferito aveva ragione. Lui, per essere Pryapo, per essere riconosciuto ed adorato, doveva stare con la ciolla al vento. Nudo e basta. Non solo nelle statue ma anche nella realtà. Nel quotidiano. Lo scandalo non era la sua ciolla esibita, lo scandalo stava nel fatto che gli altri, i moralisti, trovassero scandalosa l‟esibizione di quella sua ciolla enorme. Eppure era un dono di madre natura e basta. E la natura non è mai scandalosa. << Perché minkia deve stare nudo? >> poteva chiedere qualcuno. Ma la risposta era semplice. << Perché io sono il dio della minkia, della minkia suprema. Il non plus ultra della minkia. La minkia per eccellenza. La capaminikia di tutte le minkie>> avrebbe risposto lui. --In forma d'aquila Zeus venne a Ganimede, in forma di cigno alla bionda madre di Helena. Sono cose inconfrontabili; c'è a chi sembra migliore l'una, a chi l'altra, e quanto a me, tutt' e due. Antologia Palatina --Zeus si trovava benissimo nella nuova sede dell‟Olympo. In questa polys si inciollava che era una meraviglia. Si coniugavano benissimo i verbi inciollare, inkunnare, infilzare, fottere, fikkare, trummiare, scopare e altro. Si coniugavano e si praticavano. E pensare che la scelta non era stata sua . Lui conosceva appena di nome Munypuzos. << Minkiate sono che un dio possa conoscere il tutto e il contrario di tutto. Io se proprio lo volete sapere, sono un dio analfabeta. L‟unica cosa dotta che ho è la minkia. E minkia se dotta è>> diceva Zeus. Era solo inkazzato Zeus quannu convocò il Consiglio dei Tredici. Una volta detto dei Dodici da poco avia avuto il tredicesimo membro. E che membro. Era entrato a far parte del sommo consesso Pryapo con il suo mostruoso ma invidiato accessorio. Zeus amava quel picciotto anche se gli smontava la minkia. Anche se la vista o la sola voce lo rendevano impotente. Lo amava, a parte tutto, anche tenendo conto di tutto quello che doveva succedere. Ma Pryapo era un predestinato. E il destino, il fato, è superiore anche alla volontà degli dei, anche a quella del capodio, cioè, a quella di Zeus. Pertanto lo aveva accolto volentieri come tredicesimo membro. << Io mi consento anche se voi non mi consentite di trasferire l‟Olympo altrove. Questo referendum mi ha rotto i testimoni e la mentula. I miei sudditi fedeli o fedeli sudditi che si permettono di imporre dei limiti alla mia volontà e soprattutto all‟operato della mia mentula non mi va giù. Mai e poi mai, questa è impertinenza. Via allora da questa kazzo di terra ingrata. Via. Non so dove a dire il vero, ma comunque non in Grecia. In fondo, nella vicina Magna Grecia, ci sta già qualcuno dei nostri. Il mio amatissimo Eolo con la sua signora Ciana si trova bene nelle sue isole. Ciuscia e fikka, fikka e ciuscia. E minkia come ciuscia. Chiù ciuscia, chiù fikka. E quannu piscia annaffia la rosa dei venti. Vive là in compagnia delle sue sei figlie che si sono maritate con i suoi sei figli ed è contento e felice. In sicilia la mia figlia adottiva Aphrodyte va spesso: è affezionata ad Erice. La adorano gli ericini e le hanno dedicato un santuario che è una meraviglia. Kazzo, che tempio. Efesto, suo marito, tiene casa dintra il vulcano Etna. Travaglia e suda e teni la minkia sempre addumata e sudata. Travaglia alla grande con l‟aiuto dei Ciclopi. Lavorano tutti come muli tranne quel figlio di buttana di Polifemo. Quello si passa il tempo a tirare petri grossi verso il mare. Ha sensibilità artistica Polifemo, dice che un giorno quelle pietre le sfrutteranno turisticamente. Efesto dici ca l‟Etna è grande e comoda e capiente e che lavora felice. Polifemo dice che il panorama è bello e che lui si la spassa felicemente senza fare un kazzo. Dice che vuole costruire una nuova Etna tutta per sé. E quannu Efesto lo chiama lui risponde, lu babbu, “nun ci sta nessunu qua … nessuno.. nessunissimo … nemmeno io” . Poi ci stava mia figlia Persefone ca si la annacava spesso sulle rive del lago di Mynkyalonya finu a quannu mio fratello Ade ci fici la festa. E la mia cara amante e sorella Demetra è sempre in sicilia, a cercare la figlia persa. E ci sta Prometeo che io incatenai a Pantalika. Adesso è libero, ma è rimasto a vivere da quelle parti. E poi ancora ci stava Ciane, amica del cuore di Persefone, che per il dolore si fece fonte e adesso piscia acqua bona. E ci stava Anapo, che innamorato di Ciane, per farsela in eterno, si trasformò nel fiume che accoglie l‟amata fonte. E da allora fottono in eterno e a tempo pieno. E poi ancora ci stanno Aretusetta ed Alfiuzzo. E Dafni che disperato si buttò nell‟Anapo. E ancora ci stanno Aci e Galatea con Polifemo come terzo incomodo skassakoglioni. E pure quelle due mostruose fikesse di Scilla e Cariddi. Una volta belle donne ma adesso mostri con cento bocche e mille fike, sempre assetate di minkia. Pertanto si contendono ogni mascolo che attraversa lo stretto. O l‟una o l‟altra si lo spurpano vivo. Quindi come vedete la sicilia è frequentata. Per questo ho pensato alla mia amata Magna Grecia. O sicilia. O Trinacria. Ma in generale, non a un posto preciso. E voi amici , cosa mi consigliate? Consigliatemi un posto bello e felice, un posto non minkiofobo né kunnofobo. Tutti i siti della Magna Grecia per me vanno bene, solo due posti mi stanno sulle palle. Due paesi che insieme formano la Lega di Pattuallopolys. Quelli li ho scartati perché ci sta gente che perde i documenti, gente che non onora la parola data o la firma posta in calce a un documento. Pertanto ovunque ma non lì. Forza, ditemi. Altrimenti mi consento di trasferire il tutto nel primo posto che capita. Lo scelgo a “minkia e tocca”. E io questo posso consentirmelo e autoconsentirmelo. A voi la parola comunque anche se so che ci saranno almeno dodici proposte diverse più la mia che sarà la tredicesima e diventerà quella effettiva>>. Il “Minkia e tocca” era un gioco molto in voga tra dei e mortali. In questo caso, usando una mappa della Trinacria, Zeus, a occhi bendati, avrebbe scelto a caso una località toccandola con il suo divino augello. E quello, quel posto, quel sito, bello o brutto, sarebbe stato la scelta di Zeus. Ogni membro del sacro consesso disse la sua. Furono proposte Ortigia ( “Manco per la minkia, quelli sono capaci che mi multano l‟aceddu per le troppe trasute e sciute. Sia maledetta in eterno quell‟isola maledetta. Vaffankulo a Ortigia” commentò Zeus), Henna ( “ Bel panorama ma minkia che noia per la mia minkia. E poi troppa nebbia. La mia minkia potrebbe perdere l‟orientamento o prendersi i reumatismi. Potrei anche finire con la cervicale al collo della minkia. Vaffankulo a Henna” commentò il capodio ), Erice ( “ Bella posizione ma troppo attaccati ad Aphrodyte. E quella con la luminosità trionfante del suo pakkio oscurerebbe la luminosità della mia ciolla. Tutti correrebbero appresso al suo signor kulo. Kallipigia è. Minkia se è kallipigia. Pertanto vaffankulo anche ad Erice” commentò il dio degli dei ), l‟Etna (“Troppo cauro per la mia persona, troppo cauro per la mia minkia, troppo cauro per fikkare. Il cauro smincia. Si deve sudare fikkando e non fikkare sudati. Vaffankulo anche all‟Etna“ disse Zeus ), le Eolie (“ Posto bello ma troppo ventoso. E se poi mi piglia un raffreddore alla minkia? O addirittura un colpo di vento mi stocca la minkia? Io la minkia preferisco farmela spezzare in altro modo. Vaffankulo anche alle Eolie“ puntualizzò Zeus ). Alla fine prese la parola il nuovo membro. Quello che Zeus chiava “smontaminkia”. A parte quell‟effetto, forse gelosia e non certo per la gioventù, a Zeus quel picciuttazzu ci piacia assaissimo. Gli smontava la minkia, ma gli era simpatico. << Scusate colleghi, io sono nuovo ma conosco un posto che è un amore, un amore in tutti i sensi. Non è per interesse che lo sostengo, infatti la polys in questione mi ha nominato suo protettore. Ma non è per questo, lo giuro col cuore in una mano e la minkia nell‟altra. Perché anche la polys che la fronteggia mi ha nominato suo protettore. Quindi non è per interesse personale. E che si tratta di un posto bellissimo, una polys dove i cittadini hanno portato al massimo l‟arte della mentula e quella del kunnus, strumenti che sono liberi di operare in tutti i modi possibili e possibilmente anche, per chi ci riesce, in tutti i modi impossibili. Si va dalle monominkiomachie alle multimentulamachie. In quella polys è nato il Munypuzosutra, il libro sacro dell‟amore infinito. E non per niente la polys in questione si chiama Munypuzos. Come dire kunnusmentula o kazzofika. Visto che Zeus vuole trasferire l‟Olympo perché non accetta censure all‟attività della sua ciolla, mi pare giusto andare in una polys che già nel nome rende omaggio alla ciolla e al portaciolla. Per quello che mi risulta in questa polys vige la massima democrazia pilusa: tutti i kunni e tutte le mentule sono uguali. Vi prometto, e giuro sulla salute del mio aceddu, che mi possa seccare in un amen, che i vostri piselli e le vostre piselliere saranno liberi di fare tutto, tutto veramente. Assolutamente tutto. Termino perché non ho altro da dire. Se ci tenete alla gioia e alla felicità delle vostre ciolle e dei vostri kunni, Munypuzos è il posto giusto, veramente giusto>>. Si fermò un attimo, poi riprese: << Ma no, non termino, continuo ha perorare la causa di Munypuzos, il paese delle minkie allegre, dei kazzi gioiosi, dei marugghi felici. E io vi consiglio di adottare anche la lingua siciliana e soprattutto la koppola munipuzica. Quello è il paese del dolcissimo saluto, del “Voscenzasabbinirica, vasamu li manu”, quello è il paese dove la minkia è onorata e rispettata, quello è il paese che in dialetto si ciama Monakazzo, kazzo e mona. È il paese adatto a fare cu la minkia lampi e trona. E tu, Zeus beddu, di lampi e trona reali e minkiali sei esperto. Ma è anche il paese in cui la mona, il pakkio, lo stikkio, la filazza, il piripikkio, lu baccalaru, la massaru Paulu, è libero di fare quel che vuole. E lo dimostra sorridendo appena vede una minkia. Voi uomini siete esperti di stikkio che ride ma non avete mai visto la risata gioiosa di un pakkio di Monakazzo. Quello, quando ride, si spalanca tanto che si vede il fondo del pozzo di carne. E adesso termino veramente. Vi dico solo fate pure come mentula o minkia volete, tanto alla fine é Zeus che decide. Ma a voi tutti, e a lui in particolare, consiglio codesta cittadina. Io, in fede, vi consiglio Munypuzos, la polys del sesso>>. La proposta piaciu a tanti. Quasi a tutti. E tanti applaudirono. Quasi tutti. Ma Pryapo riprese: << Ah...dimenticavo. A Munypuzos coltivano una bella pianticella che poi usano per farsi li minkiuna. E sai, caro Zeus, come l‟hanno chiamata? L‟hanno chiamata minkiajuana, in tuo onore naturalmente. La minkia Juana, la minkia di Giove. E io ti consiglio di sukaritinni assai assaissimo. È bona e metti allegria. Altro che nettare e ambrosia. Altro che birra, altro che vino, il vino tanto caro a Dyonyso. La minkia Juana è veramente altro, veramente. Anzi, tieni chistu minkiuni e sukitillu>>. La cosa ci piaciu a Zeus. Ci piaciu l‟idea di Monakazzu e ci piaciu fumarisi lu minkiuni di minkia Juana. E ci piaciu pure il fatto che non usavano solo il sukare li minkiuna. Sukavano pure il simulacro della minkia del suo simulacro di terracotta. << A Munypuzos ti la sukunu sempri>> specificò Pryapo. Zeus rise. Comunque la proposta piaciu a tanti. Soprattutto piaciu a Zeus e ad Aphrodyte. Costei abbandonò la sponsorizzazione della sua Erice a favore della città tanto amata dal figlio. Si opposero solo Artemide e Atena. << Andate a fare in kulo, voi avete il kunno solo per ornamento>> risposero in tanti. << Siti malati di minkiofobia>> disse Pryapo. Quelle in effetti erano vergine antipiselliche. “No alla minkia in tutte le sue espressioni” era il loro motto. Alla fine Zeus pronunciò la sentenza inappellabile. << Mi consento se voi mi consentite, altrimenti mi autoconsento, di trasferire l‟Olympo a Munypuzos. E niente obiezioni, altrimenti mi si inacidisce lu latti di lu brigghiu e poi sono kazzi amari per tutti>>. Nessuno disse niente. Perché se si inacidiva il latte di brigghiu di Zeus quello si lasciava pigliare una crisi isterica e cumminava un macello. Nu iocu focu di chiddi mai visti. Lampi unni acchiappa acchiappa. Lampi a minkia cina e trona a kulo aperto. Pertanto nessuno disse niente. E in un attimo tutto fu. Tutto l‟Olympo diventò l‟Olympazzo. L‟Olympo di Munypuzos. L‟Olympo di Monakazzo. Conservò comunque la sua natura di grande diamante dalla caratteristica struttura di sfera cubica a forma di piramide infinitocircoliedrica con dentro il tutto e il contrario di tutto. Con case di turchese, mobili di topazio, letti d‟ambra, tavoli di cristallo, sedie di giada, divani di palissandro con cuscini di seta ripieni di piume d‟oca vergine del Peloponneso. E poi, oggetti in oro, argento e platino. Tra l‟altro non bisogna dimenticare che gli dei pisciavano oro liquido e kakavano diamanti e altre pietre preziose. E che qualcuna di queste cose ogni tanto finiva sulla terra, e diventava simbolo di ricchezza. I fondo i ricchi erano ricchi solo di merda e piscio divino. Zeus e colleghi si trovavano bene anche dal punto di vista alimentare. << Minkia, qua uno si allicca i baffi, si li allicca e riallicca. Altro che nettare e ambrosia. Sempre la solita musica. E chi cammuria. Nettare e ambrosia, ambrosia e nettare. E poi stikkiosia e minkiosia per il bene di kunnu e mentula. Oramai ero stanco del menù fisso ed eterno. Invece qua si mangia che è un meraviglia, qua ci sono mille piatti e alcuni sono afrodisiaci. Stimolano il pititto. E poi ci sta il Divino Oinos. Lo stesso gusto della bevanda usata nell‟Olympazzo, ma fatta in modo diverso dall‟Olympazzo. Fu un regalo mio a Dyonyso per poi regalarlo agli uomini. Ma insomma, che vi devo dire, qua si mangia da dio, parola di capodio. Uomini, sukate Divino Oinos e fativillu sukari. Fimmini, sukativi nu cannolu e incannulativi quello del mascolo. Addivertitevi di ciriveddu, kunnu e aceddu e naturalmente nun vi scurdati li minkiuna>> diceva Zeus. Lui personalmente scia pazzu pi la pasta cu li sardi, la sasizza di porcu arrostita e la cassata siciliana. Il tutto annaffiato cu qualche abbondante bevuta del buon vino che gli consigliava Dyonyso. Il Divino Oinos. E mangiava assai Zeus. Mangiava quanto un porco. E a mangiata finita si faceva sempre nu beddu minkiuni . Poi consumava l‟energia fikkando a destra e sinistra. << Sua divinità, quanta ni voi pasta?>> gli diceva la cammarera Olympokazzica. << Na scuredda.. quantu a lu kulu di Polifemo>>. << E sasizza?>>. << Na porzione quanto alla ciolla di Pryapo>>. << E cassata?>>. << Due porzioni quantu a li natichi di Aphrodyte>>. << E vino?>>. <<Na decina di coppe grandi quantu li minni di la bedda Aphrodyte. Possibilmente di Minciazzone Est Est Est>>. << E pi frutta?>>. << Fiku e fikupali, ca mi fanu pinsare a chiddu ca haiu a fari dopu. Mettere la mia fikupala pirsunali dintra qualche fiku di fimmina>>. << E lu minkiuni di chi misura lu voli?>>. << Quantu alla ciolla di Pryapo>>. Ma c‟erano tanti altri piatti che imperversavano. Veramente tanti. L‟arancini fatti a misura di li palli di Pryapo, li cannola di ricotta fatti a misura dell‟aceddu di Pryapo.. ma anche altro. E la ricotta Zeus la usava anche per giocare il suo gioco preferito. Se capitava che il ricottaro avia fatto la ricotta da poco iddu si ittava cu la commare di turno su chidda cosa bianca e si facia na fottuta in mezzo alla ricotta. Quella ricotta così piacevolmente usata addivintava poi un formaggio tipico dal forte odore chiamato Minkianzola. Ci piacia a Zeus pure futtiri in un letto di fiku. Vinia n‟impastu melodioso e il suo corpo s‟incollava a quello della fortunata. Nasciu accussì la mostarda, allora chiamata “ minkiarda”. << In chistu mari di fiku dammi la tua fika>> gridava Zeus. E alliccava fiku e fika. O fika alla fiku. Comunque la prima cosa che chiese appena arrivato a Munypuzos fu nu beddu minkiuni cinu di minkiajuana. Ci ni purtanu na coffa cina cina. Ma ci purtanu pure tanti simulacri di Zeus itifallico. Provò a sukari la ciolla del simulacro e rise. Sukò nu minkiuni e rise di più. Alla fine si fece l‟intera coffa. Sukava e rideva. Rideva e sukava. Era in estasi. Era in estasi sia di testa ca di ciolla. << Come ti senti? >> ci chiese Ganimede. << Da dio>> rispose Zeus. --Munypuzos, la città regina della Magna Grecia, la regina delle polys, quella dove Dyonyso, il tiranno di Siracusa, vinni un giorno a riposarsi. Quella dove anche Platone, il filosofo e non la ciolla di Sokratynos, vinni a passare un fine settimana quannu vinni in sicilia e si visti nu bello spettacolo al teatro greco, la messa in scena, da parte degli studenti del locale Liceo, di “Edipo a Munypuzos”. Teatro greco dove si assittavano normalmente i kuli più intellettuali dell‟epoca. Kuli di scrittori, poeti, filosofi. Ma a Munypuzos ci veniva anche tanta altra gente. Non solo intellettuali. Venivano politici, plutocrati, sparapalle di regime. Tutti a passarisi le ferie a Munypuzos, la polys del piacere. E c‟erano sempre conferenze e altro. Si poteva accoppiare la kultura con il pilo. Sparare minkiate con la bocca di giorno, fare minkiate con la minkia di notte, conferenziare di giorno e inciollare di notte. L‟ultimo convegno era stato un successo. Titolo : “Pakkio impilato o spilato?”. Era diventata una moda farsi spilare il pakkio per averlo come Aphrodyte. E a dire il vero si facevano spilare pure gli uomini. Dalla testa ai piedi. Munypuzos quindi era anche questo. Arte, kultura, sesso: tutto alla sanfasò. Munypuzos, la prima delle prime della Magna Grecia, sempre in lotta con la rivale e frontaliera Purceddopolys. Bella in modo esagerato, austera nella forma, ricca nella sostanza, lussuriosa al massimo e religiosa quanto basta, cioè pikka e nenti. E carnale allo spasimo, gemellata con Olimpia, famosa per la bellezza delle sue donne e per la virilità dei suoi uomini, città alla moda. Questa era Munypuzos. A Munypuzos nasciu il tipico cappello siciliano detto Koppola, portato tanto dagli uomini quanto dalle femmine. E da quando era arrivato l‟Olympo pure dagli dei. Perché come disse Zeus “ La koppola rende più coppuluti a tutti i livelli”. La zona alta, ma veramente alta di Munypuzos, era 1‟Akropolys, un complesso monumentale ispirato a quello di Atene. E contenente le sette meraviglie della Trinacria. O sicilia. Dall‟Akropolys si vedeva in basso il lago di Munypuzos circondato dal bosco di Mynkyalonya Iblea. Si vedeva poi mezza sicilia da lassù. Si vedevano la ingiusta e multosa Siracusa, la bella ed elegante Etna, la freddolosa e fantastica Henna, le isole dolci e ciusciose di Eolo, il bello ed erotico monte Erice. Soprattutto si vedeva benissimo la vicina arrogante e potente, Purceddopolys. E altro, tanto altro si vedeva. Si vedevano soprattutto le polys che erano alleate o sottomesse a Munypuzos, in quanto vittime volontarie o involontarie della sua egemonia politica, militare, kulturale e soprattutto economica. Perché il vero potere lo danno i soldi, i piccioli, in dialetto. Si vedevano anche la nobile Akraj, la rivoluzionaria Buscemopolys, la ribelle Bukkeropolys, la dolce Ferlopolys, la cerimoniosa Kassaropolys e la gaudente Kanikattinopolys. E si vedevano ancora Ciollopolys, Munipolys, Kunnopolys, Minkiapolys, Kazzopolys, Stikkiopolys, Filazzopolys, Monapolys, Clitoridopolys , Belinopolys, Brigghiopolys, Ciciopolys, Pakkiopolys.. e altre ancora … Tutte suddite di Munypuzos. Nel bene e nel male, ma soprattutto libere nell‟esercitare il diritto supremo del vivente all‟universale piacere universale. Il piacere katholikos. E purtroppo si vedevano anche le misteriose Leonthynoy e Karleonthynoy, note come “polys affossaverità” ( ed era stato costruito un muro per non vederle neanche da lontano. C‟era un detto ca dicia “ in chiddi polys nun si capisci se ci su quattru o otto venta e poi si perdunu in sekula sekulorummu li documenta” ). << La vita è una, come la minkia, e se non è un piacere vivere e avere una minkia, a che minkia serve vivere e avere una minkia?>> era una delle tante domande per cui era famoso il filosofo Sokratynos da Munypuzos. E che si facevamo tutti i possessori d‟augello. --A dominare l‟Akropolys era il tempio di Zeus Munipuzico o Partenonino, all‟interno del quale si trovava una statua bellissima del capodio. Una statua crisoelefantina che vedeva Zeus assittatu in trono con le parti nude in avorio e il resto d‟oro. Ma soprattutto con la koppola in testa, una koppola d‟oro. Un coppolone a dire il vero. Con una mano teneva lo scettro sormontato da un‟aquila con tanto di koppola e pronta a spiccare il volo, e nell‟altra, distesa in avanti, portava la Munypuzosnike, la vittoria alata di Munypuzos, una statuetta ermafrodita nuda ma alata. Molto bella la Nike con le tette, il pisello e la koppola in testa. Il tempio di Zeus stava al centro di una enorme agorà che a sua volta era circondata da una serie di edifici pubblici di primo piano. Tra questi, la biblioteca col criptoportico di Eratostene, il palazzo reale con la sala del trono di diamante, quello del collegio sacerdotale, il ginnasio e il liceo. Del palazzo reale facevano parte i giardini pensili di Teseo Mynkyalonya col suo elegante Labirinto del Piacere costruito da Dedalo. Questi giardini erano una vera e propria meraviglia della natura canalizzata dall‟uomo. Ai margini dello sperone roccioso dell‟Akropolys si trovavano il tempio di Pryapo Krisomentula, il protettore della città, e il teatro greco con sullo sfondo l‟Etna, la sede dell‟officina dove il dio Efesto costruiva, tra l‟altro, meravigliose armi e armature per vari tipi di eroi. Nel tempio di Pryapo Krisomentula c‟era una statua crisoelefantina del dio come al solito nudo ma con la koppola. D‟avorio il corpo, d‟oro i genitali. Nel sottosuolo ci stava una sala dalla forma cubica chiamata Pryapo Pryaporum che era considerata la sede della spirito di Pryapo. La Casa della Psiche di Pryapo. Ovvero la Psichepryapodomus. Potevano accedere solo la Sybylla Priapica e i sacerdoti che stavano più in alto nella scala gerarchica. Là c‟era la quintessenza di Pryapo. Ma soprattutto c‟era la quintessenza della sua ciolla. Davanti al tempio c‟era la famosa fontana di Pryapo Polimentula. Una statua con cento mentule che buttavano fuori acqua, cento zampilli che erano uno spettacolo. E i visitatori, fedeli o turisti, buttavano nella fontana una monetina. Era un gesto che stava signifikare “ Che la mia mentula possa fare per cento”. Accanto al tempio si ergeva, tiso come una minkia che volesse fottersi il cielo, il faro di Alessandro. Il faro, falliforme soprattutto nella sua parte finale, illuminava la notte di Munypuzos e dintorni. Non doveva guidare i naviganti del mare che non c‟era ma i naviganti del piacere. Era un simbolo fallico che doveva indirizzare le minkie appitittate alla ricerca della fonte del pititto. Ma anche i kunni alla ricerca del proprio strumento. Era stato costruito per volontà del ricchissimo Alessandro Liborio Castronunzio Trimalkazzone. Per questo era chiamato il faro di Alessandro. Era bello salire sul faro per godersi il panorama. Intorno al faro e al tempio di Pryapo Krisomentula si trovava la zona dei lupanari. Lupanari di tutti i tipi e per tutte le tasche. Prostitute e prostituti per tutti i gusti. E davanti ad ogni bordello una statuetta di Pryapo. I clienti entrando gli accarezzavano il fallo, uscendo il kulo. Da tutti Pryapo era riconosciuto come il dio dei bordelli, ma questo era solo un titolo ufficioso anche se dovuto. A parte il fatto che spesso Pryapo i bordelli li frequentava di persona, passandosi e ripassandosi l‟intera forza lavoro. E i bordelli da lui visitati mettevano nell‟insegna un fallo, un fallo per ogni visita. Un fallo d‟oro se il dio era andato via contentissimo e soddisfattissimo, un fallo d‟argento se era andato via contento e soddisfatto, un fallo di bronzo se era andato via solo felice di aver scaricato. I falli d‟oro erano i più ambiti. Se le puttane di un bordello riuscivano ad accontentare il dio dalla grande minkia era chiaro che potevano far felice qualsiasi mortale. E per rispetto del piacere in genere, in quella zona tutto era permesso e concesso. Ogni prostituto o prostituta era libera di specializzarsi in quello che voleva. E c‟erano anche, ricercatissimi, gli ermafroditi, detti anche “Transi”, perché a secondo dei casi potevano transitare da un ruolo all‟altro. Tutte le tecniche amatorie erano concesse. Non solo gli uomini frequentavano i lupanari, ma pure le femmine. Il diritto alla voluttà, al piacere e all‟estasi da minkia o da kunno a pagamento valeva per tutti. A Munypuzos il sesso era democratico. Vigevano la Demominkiacrazia e la Demokunnocrazia. Tutti, se lo volevano, potevano accedere al sesso a pagamento per soddisfare i loro bisogni sessuali. Tutti ma veramente tutti. Tuttissimi. << La libertà sessuale è la prima forma di democrazia >> dicevano in tanti. A parte che, annessa al tempio di Pryapo, c‟era la scuola Paneros. Si poteva studiare fino alla “Licenza elementare”, che dava le nozioni sessuali di base. Oppure fino alla “Licenza media”. O arrivare al “Diploma“, che dava la maturità sessuale. Ma c‟erano anche la “Laurea “ e la “ Specializzazione”. Per entrare nell‟Akropolys bisognava passare sotto le cosce spalancate del Kolosso di Pryapo Rodio. Costruito per volontà di Apollonio Fidia Rodio stava a simboleggiare la grandezza di Munypuzos. Era un omone gigantesco, nudo e con tanto di fallo tiso. E naturalmente con la koppola in testa. Era alto cinquanta Pryapometri. Il Pryapometro era l‟unità di misura della lunghezza adottata a Munypuzos e zone limitrofe e si basava sulla reale lunghezza dell‟aceddu del dio Pryapo che era un omone alto con la minkia che era la sua esatta metà. La ciolla del Kolosso era una sorta di ammonimento ai forestieri, ai nemici, ai ladri, alla gente dotata di mala volontà. Ma anche un monito ai potenti che venivano a Munypuzos. << O fate i bravi o vi rompiamo il kulo. Noi siamo la città più potente della sicilia. Siamo la sede dell‟Olympazzo. E siamo protetti dagli dei, soprattutto da Pryapo, che è pronto a sfondarvi il kulo se solo ci mancate di rispetto. Noi lo sfondiamo a tutti, perché noi siamo sotto la protezione di Pryapo. E lui ci protegge con la sua arma micidiale. Siamo tutti sotto la protezione di quella ciolla enorme. Quella è la nostra arma vincente. Munypuzos è difesa dalla ciolla divina>>. Lo “scudo minkiale” lo chiamavano i militari. Alla base del Kolosso era riportato il Carme X di Mhaxymylyanum Mhaxymylyanorum da Munypuzos, il cantore ufficiale delle gesta terrestri e olimpiche di Pryapo. << Ne prensere cave ; prenso nec fuste nocebo, saeva nec incurva vulnera falce dabo: traiectus conto sic extendere pedali. ut kulum rugas non habuisse putes. Non ti far prendere. Se ti acchiappo, non ti farò male con il bastone, né ti ferirò con il falcetto ricurvo, ma trapassandoti con un verga larga un piede ti aprirò tanto da pensare di non avere più le rughe del kulo>>. Sempre sull‟Akropolys c‟erano: il tempio di Artemide Adiabatica Munipuzica, la vergine delle vergini, raffigurata nuda ma con l‟elmo in testa e l‟ago in mano mentre si cuce la filazza che nessuno avrebbe dovuto mai e poi mai penetrare; la piramide di Kakkio Kazzeope, dov‟era sepolto il faraone Kazzeope, venuto qui in esilio per dedicarsi al sesso in tutte le sue forme nel pieno rispetto del suo motto “Fottere è meglio che comandare”; e infine il Mausoleo di Teseo Alicarnazza, il mitico fondatore di Munypuzos. A dire il vero c‟era una quasi ottava meraviglia, non considerata tale ufficialmente lo era nella realtà, erano le possenti mura in pietra lavica costruite da Polifemo e dai suoi compagni. I Ciclopi, mascoloni enormi con un solo occhio rotondo sulla fronte ma con due minkie enormi sutta lu biddicu anche se con una sola enorme palla. Uomini sì, ma senza Ciclopesse. Non potevano riprodursi, ma solo minarsela. Per ripagare la locale maga Circella, che ci avia kreato le Ciclopesse , Polifemo e compagni costruirono a suo tempo queste mastodontiche mura. Le Ciclopesse erano femmine enormi con un solo occhio e una sola tetta ma in compenso avevano una fika con due buchi. Oramai Polifemo e compagni fottevano allegri e contenti. Nella ciclopica fika con due purtusa delle Ciclopesse ci stava posto per il loro doppio ciclopico aceddu. Ma queste mura avevano n‟autra caratteristica. Lungo il suo perimetro erano dislocate sessantanove torri falliformi. Un altro omaggio alla famosa appendice di Pryapo. Costruite anche queste da Polifemo e compagni. Per questo Munypuzos era nota anche come la polys ciclominkiuta, la polys dalle sessantanove minkie in pietra lavica. Ma ci sta una cosa da dire. Se in Grecia le colonne erano in stile corinzio, ionico o dorico, qua avevano inventato lo stile fallico. Per la precisione “ Mincico”. Le colonne terminavano tutte a koppola di minkia. Per non parlare poi del Minkialisco. L‟obelisco a forma di minkia che si trovava al centro di molte piazze. Questa era quindi l‟Akropolys di Munypuzos. Questo e anche altro, tanto altro. L‟insieme delle vie e delle piazze era come un intreccio di kazzi e pakki, di minkie e kunni. Era una sorta di orgia continua. --- E a Munypuzos il re maggiore Agamynkyone e il re minore Mynkyalao e la loro corte facevano il bello e il cattivo tempo. Soprattutto si facevano i kazzi e i kazzetti loro e lasciavano le kazzate al popolo. E anche i kazzoni li lasciavano in kulo alle masse. << Io sono il re e faccio come minkia piace a me. Mi consento se gli altri consentono, altrimenti mi autoconsento. L‟importante è illudere il popolo, mettergliela in kulo con dolcezza facendogli credere che sia lui a metterla in kulo ai potenti. Inkulato e bastuniatu ma senza saperlo. Questo è il bello dell‟esercizio del potere. E io so come fottere il mio popolo facendogli credere d‟essere lui a fottere a mia. Il fine giustifika i mezzi. Il mio fine è comandare, i mezzi consistono nell‟inkulare il popolo. E mi pare giusto. Anzi, giustissimo. Perché io mi consento, e se non mi consentono mi autoconsento, di fare come minkia mi pare e piace. Io sono esperto nel somministrare la pruli agli occhi del popolo. Il popolo deve essere convinto di essere libero ma la sola cosa che deve avere libera è la minkia e lo stikkio. Quannu un popolo è felice di minkia e kunnu si ni futti do restu do munnu. Pensa a fare fikka-fika e del resto ci ni futti picca. Parola di re ca sapi fari lu re>> diceva Agamynkyone. Il temine “pruli “ sta ad indicare una polverina magica, non si sa se frutto di fantasia o realtà, che buttata per aria, davanti agli occhi di una persona, ci facia abbidiri a questa quello che non c‟era come se c‟era o ci fosse . O che ci sarà. << Il potere ha bisogno della pruli.. per alluciare il popolo... >>. Ma in realtà non c‟era niente. Non c‟era mai stato niente. E forse non ci sarebbe mai stato niente. Sicuramente niente è sinonimo di pruli. << Ma se il futuro è nelle mani di dio e se dio non c‟è allora il futuro è nelle mani di nessuno e praticamente non c‟è futuro? Oppure il futuro è nelle mani degli uomini e allora è l‟uomo che deve pensare al suo futuro? Ma siccome il futuro dell‟uomo è nella sua minkia, allora il futuro è un fatto di minkia>> si chiedeva il filosofo Sokratynos da Munypuzos, quello delle domande. << La vita è una, come la minkia, e se non è un piacere vivere liberi anche da dio e avere una minkia atea, a che minkia serve vivere liberi e avere una minkia atea se poi il kunno è controllato da dio? >> era una delle tante domande per cui era famoso il filosofo Sokratynos da Munypuzos. --- Dyceomynkyopoly commentò: << Agamynkyone non è un uomo con due koglioni. È solo un grande koglione. Anthegamisu... vaffankulo... vaffankulum.. all‟urbe, all‟orbe e all‟Olympum.. perché mi state tutti sul pisum sativum...>>. --Questo e nient'altro è la vita: la vita è piacere. Alla malora le angosce. È breve il tempo per vivere. Presto, il vino, le danze, le corone di fiori, le donne. Voglio star bene oggi, giacché è oscuro il domani. Antologia Palatina --- A Munypuzos avevano ideato un sistema di pesi e misure che faceva riferimento al dio Pryapo. O meglio, alla sua specialità. Dicono che il tutto fosse stato ispirato dal dio in persona a una sua Sybylla molto amata, la Sybylla Kunnana o Priapica. Detta dal popolo Sybylmynkya. Questo sistema comprendeva il Pryapometro, detto anche Minkiometro, come unità di misura di base. Un Pryapometro corrispondeva alla lunghezza dell‟aceddu di Pryapo. Suppergiù novanta dei nostri centimetri. Per i volumi, oltre al Pryapometro cubo, c‟era anche il Koglionometro, la capacità di un testicolo del dio. Pare fosse di circa un litro. Anche la moneta corrente era stata dedicata al dio dal rosso palo. L‟Erosminkia, divisa in cento Minkiesimi. Aveva sostituita la vecchia Minkiadracma o Minkialira. Sull‟agorà principale ci stava una struttura particolare detta Homo Priapicus Vitruvianus. Costruita , o meglio ideata, dal grande architetto, scultore e studioso delle proporzioni umane e divine, Marcus Vitruvianus. L‟Homo Priapicus Vitruvianus consisteva in un uomo nudo con le gambe divaricate, le braccia volte verso l‟alto e la ciolla tisa. In tutto inserito perfettamente dentro una sfera. La ciolla tisa pertanto era il raggio di questa “sfera delle giuste proporzioni divine”. Secondo Marcus Vitruvianus, che si occupava anche di biologia, è infatti l‟autore del “De rerum naturae“, in futuro l‟uomo si sarebbe evoluto verso quella forma, la sua ciolla si sarebbe allungata sempre più, fino a raggiungere la lunghezza di un Pryapometro. La minkiazza, attualmente specialità di Pryapo, un giorno sarebbe stata di tutti. Quando , naturalmente non si sa. << Un giorno verrà che ogni uomo questa minkia avrà>> diceva la Sybylla Priapica. << La vita è una, come la minkia, e se non è un piacere vivere e avere una minkia, a che minkia serve vivere e avere una minkia come quella di Pryapo?>> era un'altra delle domande per cui era famoso il filosofo Sokratynos da Munypuzos. --- Dall‟Akropolys, come detto, si vedeva benissimo l‟altra polys, quella che sorgeva sul monte gemello a quello di Munypuzos. Si trattava della bella Purceddopolys, il regno di Pryamo Scopantassai e di sua moglie Ekuba Kallifiketta. La coppia reale aveva generato cinquanta figli e cinquanta figlie, tra cui il bellissimo Paryde, detto Vogliounafikabella, Ettore, detto Minkiaresistente, e Kassandra, nota come la Sparaminkiate. Ma c‟erano anche Heleno, Deifobo, Troilo, Polite, Polyssena, Creusa e tanti altri. Una grande famiglia, e non solo numericamente parlando. Protettore della polys era il Palladio, una enorme minkia con un sola palla. Città antica e lussuosa la bella Purceddopolys, detta la superba, che si affidava direttamente al potere della minkia visto che come protettore aveva scelto il Palladio. In realtà il Palladio era la personifikazione dell‟uccello di Pryapo. E visto che questo dio aveva concentrato tutta la sua potenza e sapienza nell‟organo sessuale, loro si erano affidati direttamente a quello. Il Palladio sorgeva sull‟agorà principale ed era veramente monumentale. In realtà il Palladio era semplicemente un contenitore. Il vero Palladio era una piccola Minkia “Acheropita“ , non fatta da mano umana ma caduta dal cielo, detta anche Minkia Pantocrator. D‟altra parte Pryamo e la sua signora sapevano ben usare la ciolla e il pakkio maritale. Cento figli erano stati senz‟altro un bella impresa. Eppure Pryamo andava a fikkare pure altrove. E pure Ekuba. << Mai tenere la ciolla disoccupata. La minkia che non lavora diventa scema. Ci vuole allenamento continuo>> diceva Pryamo. << Se non inforna la minkia del marito, fai infornare la minkia all‟amico>> diceva Ekuba. --Paryde ,il più grande dei figli di Pryamo, e quindi l‟erede al trono, dopo varie vicissitudini legate a delle profezie intorno alla sua nascita, era stato riconosciuto dalla sorella Kassandra ed era rientrato in famiglia. Paryde infatti era stato abbandonato dopo la nascita perché la mamma nel darlo alla luce si era sentita bruciare. Il fuoco, partito da quel picciriddu che stava venendo al mondo, si era esteso al pakkio regale e poi all‟intero corpo della regina che per il dolore aveva chiuso gli occhi un attimo. E a occhi chiusi aveva avuto un visione: l‟incendio si estendeva all‟intera Purceddopolys. Un oracolo interpretò il sogno: << Lu picciriddu deve morire altrimenti morirà Purceddopolys intera. Fai di tutto, Regina bella, ma fallu cripari prima che sia primavera>>. Per amore fu abbandonato e non fatto morire, ma il destino riportò Paryde in famiglia. Sposato alla ninfa Enone, gli piaceva passare il suo tempo nel bosco di Mynkyalonya a minkiolare nel minkialiere della moglie. E tra una minkiolata e l‟altra dava una taliata agli armenti del padre che custodiva. Gli animali taliavano il padrone minkiolare e minkiolavano pure loro. Pertanto gli armenti crescevano assai assaissimo numericamente parlando e tutti esaltavano la bravura di Paryde nel suo lavoro. << Duna all‟animale lu stimulu di fikkari>> dicevano. << E come fa? E come fa? >> chiedeva qualcuno. << Con una dimostrazione pratica. Iddu fikka cu la so fimmina. E a lu toru ci veni lu pitittu di fikkari cu la vacca. A lu crastuni di farisi la crastuna. E a lu sceccu di farisi la scecca. E lu cavaddu si fa la cavadda. Lu succi la succia. Lu iattu la iatta. Lu puorcu la puorca. Lu pecuru la pecura. La iaddina lu iaddinu. Lu iaddu la iadda. Lu scimpanzè la scimpanzà. Lu lumacu la lumaca. E così via. E un fikka-fikka generale, universale. Tutto un travaglio di minkia>>. Ma un giorno Paryde, intanto che si stava facendo una bella pecorina con Enone, sentì una cosa nel kulo. Una cosa che trasiu di botto. << Ahi .… chi minkia è sta cosa fridda ca si fikkau nel mio culetto sano … ahi... ahi.. ahiai.. ahiai.. >>. Per il contraccolpo le coppole di Paryde e Enone abbularono via. E Paryde trasiu in Enone come non mai. Se putia trasia lì dentro tutto sano sano. << Ihhhh.. che bellu... che bellu..>> sospirò Enone. Paryde sciu la sua cosa dalla cosa di Enone e poi si sciu la cosa misteriosa dal kulo. Praticamente interruppe il loro gioioso kazzicatummulio. Ovvero l‟arte del kazzicatummuliare. Del seppellire la minkia in un portuso. Storpiatura ottenuta dalle parole “kazzo” e “tumulo”. Parola che Paryde amava tantissimo usare, e soprattutto mettere in atto. << Ahiai.. ahiai.. taliamu sta minkia di sorpresa>> disse . La sciu e la taliau. Brillava quella cosa sotto i raggi del sole. Era un “crisofhallo”, un fallo d‟oro di buone e grandi proporzioni. << Bihhhh. Che bidditto, l‟ideale pi quannu na fimminitta è senza sasizzitta. E ci pruri assai assaissimo la fikitta>> puntualizzò Enone che era di Buccheropolys. Era uso comune per le femmine senza citrolu consolarsi con falli lignei. Ma questo era d‟oro. Questi falli artificiali venivano chiamati olisbos e venivano usati dalle vedove che non riuscivano a trovare un sostituto del defunto. Oppure dalla maritate a cui la dose maritale non bastava e non avevano il coraggio di farsi il ganzo. O ancora dalle signorine che aspettavano il buon partito che non arrivava e intanto per non diventare zitelle dal kunno acido usavano l‟aggeggio in questione. Ma anche dalle ragazze in caldo che prima di arrivare a fare esperienza col vero facevano esperienza col finto. E naturalmente anche dai finocchi in pectore che non potendosi cercare una vera minkia si accontentavano di un sostituto artificiale. Ma soprattutto era usato dalle sacerdotesse condannate alla verginità. Sapendo che per loro non ci sarebbe mai stato un fallo di carme, per lo meno ufficialmente, si accontentavano di quello che tra l‟altro era inconsumabile, instancabile e sempre pronto all‟uso. Da cui il detto “Chi trova una minkia d‟oro, trova un tesoro”. In realtà si trattava del primo verso di una bella filastrocca: <<Chi trova una minkia d‟oro trova un tesoro. Chi trova una minkia d‟argento è sempre contento. Chi trova una minkia di bronzo non è certo uno stronzo. Chi trova una minkia di legno ha sempre un bel congegno>>. Ma questa era d‟oro. << Questo è sicuramente l‟olisbos di qualche regina. Una finta minkia d‟oro. So che mia madre lo tiene d‟oro, ma è personalizzato col suo stemma. E pure il nome ci sta scritto. Le mie sorelle l‟hanno d‟argento. E personalizzato anche loro. Quindi questo non è quello di mia madre e neanche delle mie sorelle>> sentenziò Paryde. Generalmente erano di legno o di cuoio e prima dell‟uso venivano unti d‟olio. << Solo che sbagliò purtusittu e andò in kulittu al figlio del reittu>>. << Uomo inkulato, uomo fortunato. Però.. ahiai.. ahiai .. Il kulo mi fa male assai>> rispose ridendo Paryde. Si lo mise accanto al suo e parevano gimelli. Quello di carne e quello d‟oro. << Bidditto questo Sosia. Regalimillittu pi quannu non ci sei>> chiese Enone. “Sosia“ era il nome con cui familiarmente le femmine chiamavano il fallo artificiale. << Te lo regalo, ma se poi lo preferirai al mio?>>. << Mai. La minkitta di carnitta è tutta n‟autra cositta>>. << Lo vuoi provare?>> chiese Paryde. << Sì. Ma ficchimillittu tu, biddittu miu>>. Paryde avvicinò lo strumento alla filazza di Enone e ci infilau piano pianissimo la cappella del Sosia. Ma quannu stava pi catafuttillu tuttu dintra qualcuno lo chiamò. << Fermati, quello è uno strumento divino>>. Paryde si bloccò. Il Sosia restò mezzo dintra e mezzo fora la cosa di Enone. << Chi è che parla? >> chiese Paryde un po‟ spaventato. << Sono Zeus. E quello è il mio Sosia. Non che lo utilizzi io. Se lo contendono le donne dell‟Olympazzo. Quando non possono avere l‟originale si accontentano del Sosia. Oggi in tre stavano litigando per pigliarselo, ma il Sosia ci scappò di mano e finì dove tu sai>>. << Nel mio kulo, divino Zeus. Ma sono onorato di aver ricevuto il tuo Sosia, e onorato è pure il mio kulo. Voscenzasabbinirica, vasamu li manu e li peri. Però.. ahiai.. ahiai .. Il kulo mi fa male assai. Comunque onorato resto dall‟onore che il tuo Sosia mi fici>>. << Onoratitta anch‟io sono di aver assaggiatitto il Sosia tuo. Vasamu li manitti e li peritti e se voi puru l‟autri cositti >> disse Enone. << Adesso, Paryde bello, farai quello che ti ordino. Se consenti, altrimenti mi autoconsento. E pertanto lo fai lo stesso. O ti la suki volontariamente o ti la suki involontariamente>>. << Consento, consento. Mi la suko volontariamente. Basta che non c‟entri il mio sedere>>. <<Ho detto “suki” voce del verbo “sukare” e con “inkuli” voce del verbo “inkulare”>> puntualizzò Zeus. << Ragione tieni, ma mi confusi. Perché.. ahiai.. ahiai .. Il kulo mi fa male assai >> rispose Paryde ca pi lu scantu vide afflosciarsi l‟aceddu suo di botto. << Consentitte, consentitte>> aggiunse Enone, felice di averlo assaggiato. << Allora, mio bel picciotto, da solo, senza la tua bella fiketta, andrai al lago di Munypuzos, in quel ramo del lago di Munypuzos riservato ai vip, e a un certo punto troverai le tre litiganti. Tre dee sono e si stanno ancora azzuffando. Si sentono le tre grazie dell‟Olympazzo, ma secondo me sono solo le tre disgrazie, tre rompikoglioni, tre skassakazzi. Quindi cercale e appena le troverai osservale bene. Devi dare il Sosia a quella che tu giudicherai la più bella. A te che sei il più bello di Purceddopolys, e non solo, dugnu questo incarico. Dicono addirittura che sei il più bel picciotto del mondo, dicono anche che sei chiù bello del mio Ganimede, e in effetti bello sei, spilato, con ciolla d‟ordinanza perfetta in riposo e in attività. E soprattutto tieni un bellissimo culetto, un culetto che io ho taliato con interesse tante volte. E adesso lo taliavo dimenarsi intanto che minkiolavi con la tua bella fiketta Enone. Quannu trasivi le natiche si avvicinavano, quannu uscivi si allontanavano. E io vedevo brillare il tuo fiorellino, e quel fiorellino vergine, perché io sapevo che eri vergine, attirò il mio Soia quannu scappò alle mani delle tre litiganti. Iu fui che là lo guidai. E, come dicevo, vedevo anche le tue palle ballare il ballo del fikka-fikka. Che spettacolo, Paryde bello, che spettacolo di kulo che sei. E non solo di kulo, ma complimenti comunque per il tuo kulo>> << Grazie. Grazie. Però.. ahiai.. ahiai .. Il kulo mi fa male assai. Comunque sempre a disposizione, sia del Sosia che dell‟originale>> rispose Paryde temendo nu tanticchia che dopo la visita del Sosia arrivasse pure l‟originale. Temendo sì, ma anche sperando. Poteva diventare il novello Ganimede e far carriera. Dare il kulo a Zeus e usare la ciolla sua come minkia voleva, con chi voleva e quando voleva. << Comunque è stato un piacere per il mio Sosia. D‟altra parte il mio Sosia non poteva mica andarsi a fikkare in un kulo qualsiasi. A te dunque l‟onore di decidere chi deve essere la più bella dell‟Olympazzo, la protofika dell‟Olympazzo. Anch‟io mi consento di consentire all‟accettazione del tuo verdetto. Qui si tratta solo di dire chi è la più bella, non la più buttana, la più santa o la più skassakazzi. A te, bello dei belli, decidere chi deve essere la bella delle tre belle, la kallimuni, la fikabella, lu stikkiubeddu, lu beddupakkiu, la filazzabona. A te il verdetto. Io mi consento di acconsentire qualunque esso sia. Vai, kulo bello, lassa la tua fiketta e vai>>. << Non posso, sono nudo. E poi.. ahiai.. ahiai .. Il kulo mi fa male assai>> rispose Paryde , temendo anche che Zeus si inzeussasse la sua Enone. << Senti, caro signor “ahiai.. ahiai .. Il kulo mi fa male assai”, anche a mia mi stanno per fare male l‟aceddu e pure i koglioni. Li palli si stanno gonfiando assai assaissimo, ma io non dico però “ahiai.. ahiai .. Le palle mi fanno male assai”. Pertanto mi consento di ordinarti, e se tu non consenti io mi autoconsento di ordinarti lo stesso di fare questo travaglio. O con le buone o con le cattive. Pertanto alzati, lascia il pakkio di Enone e non mi skassare ancora la minkia. Soprattutto non far diventare acido il mio latte di brigghiu. Alzati e sbrigati, per Zeus e i suoi divini zeussoni. Altrimenti ti rompo il kulo. Poi però lo dirai con sommo piacere “ahiai.. ahiai .. Il kulo mi fa male assai” >>. << Già fatto col Sosia. In ogni caso sarebbe quasi meglio assai assaissimo n‟autra rottura di kulo che inimicarsi due dee scegliendo la terza>>. << Basta, esegui gli ordini e non mi skassare la koppola della minkia. Fai subitissimo>>. << Consento, consento>>. << Gli ordini sono ordini. Vai, che forse la tua ciolla, lasciandosi ispirare dai tre kunni, ti ispirerà la sentenza>>. Non avendo alternative Paryde si avviò verso la zona del litigio. Naturalmente dopo aver recuperato la koppola che si piazzò sui riccioli biondi di picciuttazzu in amore. E prese pure il suo lussuoso tascapane fatto di fili d‟oro e firmato “Minkibeddi”, il più famoso stilista di Purceddopolys. Non tanto per il valore dell‟oggetto ma perché ripieno di minkiuna già belli e confezionati. Fatti con amore dalla sua Enone. <<Chi sono le tre grazie?>> chiese partendo. << Lo vedrei quando arriverai in loco. Sono lì, nude , che si azzuffano come commari al mercato>> rispose burbero Zeus. E per farsi ancora chiù coraggio il bel Paryde si addumò nu beddu minkiuni di minkiajuana. << Damminni uno a mia>> chiese Enone. Paryde ci lu addumò. Si scambiano nu vasuni, e cu lu vasuni lu fumu ca tineunu na la ucca. Enone ci desi na manata sulla ciolla. <<Ciao, amore mio. Stai attento a quelle tre femmine che sicuramente saranno stikkia di prima qualità>>. << E tu stai attenta a Zeus>> rispose lui piano piano. E partì cantando , per farsi coraggio. Nudo, a parte la koppola in testa e il tascapane che ci abballava davanti alla minkia che tranquillamente pinnia. In una mano tinia il Sosia e nell‟altra lu minkiuni addumatu. << Ciolla mia amurusa, ciolla mia bedda, andiamo a vedere chi tiene chiù bedda la vanedda. Aiutami in chista maliritta sintenza a diri cu iavi chiù beddu lu portasimenza. Intanto Zeus, nu fattu è certu e sicuru, a chisti tri ci la misu in pakkiu e in kulu. Mentri iu ca lu iurici haiu a fari seduta stanti m‟attruvai lu kulu ruttu in un istanti. Ora, tu, ciolla mia bedda, mi devi aiutari, attisa, talia, ca poi ci la putemu sulu minari>>. Tenendo il Sosia in una mano e sukannu sukati su sukati, tanto girò e rigirò, che trovò le tre femmine impegnate a litigare. Nude e belle ma con la koppola. Litigavano solo a parole e gesti. Soprattutto a parole. E kazzo che parole del kazzo. << Buttana cauriata... buttana di pititto... buttana curnuta...>>. Ma appena lo videro, smisero. E lu talianu come delle assatanate di minkia, delle cannibali di minkia. Lui si scantò e si premette forte il tascapane davanti al pisello continuando però a tenere in una mano il Sosia divino. Il minkiuni invece stava tra le labbra. E si consumava rapidamente. Il ritmo delle sukate era impressionante. Come la takicardia. Quindi si potrebbe parlare di takisukata. <<Minkia chi sunu beddi, tri stikkia paradisu d‟aceddu>> pinsò Paryde sukannu ancora chiù forte lu minkiuni ca tinia tra le labbra. <<Minkia comu ci la fikkassi. Leviti sti minkia di manu e fammi taliari megghiu. Soprattutto leva sta minkia di tascapane della minkia che io sento ciauro di stikkio. Ciauro di stikkio al cubo>> pinsò il suo aceddu ca era quattro volte chiù duro del normale. Effetto del THC. Le tre belle lo guardarono con lo sguardo inkazzato e ingrifato. Da autentiche spurpaminkia. Vedendo cosa aveva in mano il picciotto, le donne dissero all‟unisono: << Dammelo… Dammillu… E mio … >>. Paryde per lo spaventò non comprese bene e alzò le mani al cielo lasciando libera di brillare la ciolla d‟oro. Il Sosia infatti brillò superbamente sotto i raggi del sole. Come stordito Paryde rispose: << Cosa? La minkia, lu minkiuni o la borsa china i minkiuna?>>. Non sapeva se quelle volevano la borsa, la ciolla o lu minkiuni. Intanto il tascapane, a causa della minkia che attisava sempre più, si stava sollevando. << Il Sosia vogliamo, non l‟autre cose>>. << Cosa ?>> richiese il giovane che era nu tanticchia confuso da cotanta bellezza in esposizione. << Il Sosia di Zeus, non la ciolla tua>>. << Ahhhh…. mi paria>>. << Ehhhh… chi ti paria?>>. Intanto la minkia si era affacciata in tutta la sua magnificenza. Scostando lateralmente, a colpi di testa di minkia, il tascapane. E con un colpo finale aveva spedito il tascapane a coprire il kulo. << Però..>> dissero le dee. << Però cosa?>> chiese Paryde che non sapeva dell‟affaccio ma sentiva di avere la minkia tisa. << Però la minkia tua bella è. Bellaciolla sei>>. << Cosa?>>. <<Testa di minkia che altro non sei, tieni comunque una bella minkia>>. << Grazie. Me l‟ha detto anche Zeus. E mi ha fatto pure i complimenti per il bel kuletto>>. << E ti paria. Quello è capace che prima o poi t‟inchiappetta>> risposero automaticamente le tre dee. << L‟ha già fatto col Sosia>>. <<E forse in futuro lo farà con l‟originale. Magari si appititterà a quel bell‟esemplare di minkia tisa. Ma intanto dacci il Sosia>>. Solo allora Paryde si rese conto che la sua minkia s‟era fatta strada . E se la coprì con le mani e col Sosia. << Non posso. Zeus mi ha detto di darlo a una soltanto>> disse. Intanto la ciolla del picciotto, che a vedere quei tre pakki s‟era da tempo messa sull‟attenti, si affacciava con la testa insinuandosi tra le mani e il Sosia. E taliava ora l‟una, ora l‟altra. << E allora fai? Esegui gli ordini, fai quel kazzo che ti ha ordinato Zeus. Assittamini sulla sabbia e discurremu la facenna. E poi deciditi, che noi non siamo al tuo servizio, signor Bellaminkia- e - tutto-il-resto>> risposero le tre donne. << Ma chi siete, se è lecito saperlo? Tanto per farmi un‟idea>> chiese Paryde assittannisi col tascapane misu davanti all‟aggeggio tiso che però continuava a sbirciare. Ora a destra ora sinistra. << Chi sei tu, incaricato di fare il giudice, di decidere chi è la più bella. Sei bello ma babbu. Sei scimunito, visto che non ci riconosci. Bello babbu o babbu bellu sia tu ca il tuo uccello. Decidi ipso facto, ma intanto dacci nu beddu minkiuni pure a noi. Daccillu personalmente, metticcillu in bocca personalmente e adduminillu personalmente. Fai tutto, ma proprio tutto, personalmente>> risposero le tre donne sedendosi in maniera molto delicata. Ma ognuna a suo modo. Paryde fece ciò. Scelse tre bei minkiuna e ci li misi in bocca alle tre dee. Poi li addumò col suo. Stricannu minkiuni contro minkiuni. <<Come vorrei essere al posto di sti minkiuna>> pinsò la minkia di Paryde, che durante l‟operazione di addumamientu si era trovata a distanza ravvicinata di li tri stikkia. O meglio, delle loro bocche. Tiso e sempre dietro il tascapane, in realtà si era affacciato continuamente. A cose fatte Paryde tornò a sedersi. Il tascapane adesso poggiava sul fianco. E la ciolla era libera di taliare e manifestarsi. E se necessario di esprimersi. << Chi sei, bellaciolla inutile ? Parla e non ti spaventare>>. << Sono.. sono .. sono Paryde, il figlio del re di Purceddopolys. E saluto tutte voi, o belle tra le belle. Voscenzasabbinirica , vasamu li manu e li peri>>. Nella sua testa aggiunse “E se possibile anche la fika”. Poi concluse: <<E voi chi siete ? Chi siete voi, belle in tutto e dappertutto? >>. << Io sono Era, la moglie universale>> esordì la prima , intanto che si sukava tranquillamente, come normalmente fa una moglie con l‟aceddu del marito, il suo minkiuni, comodamente assittata col kulo sulla sabbia, in una posa che possiamo definire matrimoniale. E continuò: << Io sono Era, e sono la più bella. Sono la moglie sorella di Zeus. Se Zeus mi ha fatto sua moglie è perché sono la più bella. La sua minkia poi mi rende sempre più bella. Se lo darai a me, a parte il fatto che mi appartiene per diritto maritale, sia il Sosia che l‟originale, a parte questo, io ti farò diventare il padrone del mondo, il re del mondo. Tu sarai lo Zeus terreno. E vedo che anche il tuo fallo mi guarda interessato, anche lui mi giudica la più bella. Perché io sona la chiù bedda, sono il protopakkio dell‟Olympazzo, il pakkio legale consorte del capodio. E il mio pakkio ride sempre. Risata di pakkio di moglie onesta. Ride pertanto onestamente, perché si concede solo a Zeus, solo alla ciolla di Zeus, solo alla minkia di Zeus>>. Era si susiu, si avvicinò a Paryde e allargò le cosce all‟altezza del suo viso; e ci fici abbidiri come rideva un pakkio onesto. E poi piano piano ci disse: << Se non lo dai a me, pi minnitta ti deminkio ipso facto>>. Era un pakkio assai peloso ma rideva. Purtroppo la risata era rovinata da quel pelame esagerato. E a Paryde ci parse un pakkio deminkiatore. E nu tanticchia si scantò. <<Pakkiu troppu pilusu, l‟aceddu nun trova lu purtusu>> pinsò Paryde. Era lo taliava ancora. Dall‟alto verso il basso. Era una taliata minacciosa. E Paryde comunque taliava Era. Dal basso verso l‟alto, con sguardo pauroso. O meglio, taliava il pakkio di Era. E la sua ciolla pure. Infatti puntava verso Era. O meglio, verso il pakkio di Era. E vinni in quella direzione. Ma la simenta non raggiunse Era. <<Vinuta scantata fu, effetto possibile deminkiazione>> pinsau lu picciottu. << Io sono la dea Pallade Atena, la vergine universale>> esordì la seconda , intanto che si sukava delicatamente, con fare inesperto, il suo minkiuni, praticamente come na carusa la prima volta ca si trova cu la prima ciolla da sukari. Ed era anche non tanto comodamente assittata col kulo sulla sabbia, pertanto in una posa che possiamo definire di vergine titubante, di vergine che non sa se restare vergine o farisilla prima o poi sfunnari da qualche ciolla. E continuò: << Io sono Pallade Atena, io sono la figlia di Zeus. Solo di Zeus, senza la collaborazione fikale della signora Era. Sono la più giovane e sono io la più bella. Sono bella perché vergine, la verginità mi abbellisce. Sono incestuosa idealmente, ideologicamente, perché io ho dedicato la mia verginità a mio padre. Pertanto solo lui la potrebbe cogliere, ma lui non la vuole. E naturalmente non voglio neanche io. Lo voglio e lo desidero ma platonicamente. Allora potrei farla raccogliere al suo Sosia, ma sempre formalmente. Vergine sono e vergine devo e voglio rimanere. Se me lo darai ti farò vincere tutte le battaglie, tutte tranne quelle d‟amore che non mi competono. Perché sono ignorante in materia per mia scelta. E poi vedo che la tua ciolla mi giudica la più bella. Infatti guarda me, attirata dalla mia verginità. Sicuramente la vorrebbe raccogliere, la mia verginità, ma non si può, essa è dedicata a Zeus, alla sua ciolla o al suo Sosia. Formalmente però. Ma io, sappilo comunque, sono la chiù bedda. Perché giovane e vergine. La verginità fa risplendere la mia bellezza. Il mio kunnus vergine ride felice più degli altri perché vergine, perché illibato, perché puro, perché innocente, perché felice di essere casto, puro e innocente>>. Atena si susiu e si avvicinau. Poi allargò delicatamente le cosce e ci fici abbidiri a Paryde come rideva un pakkio vergine. E intanto che c‟era ci disse:<< Se non lo dai a me, pi minnitta ti rendo impotente seduta stante>>. Era un pakkio poco piluso e piccolo piccolo, più che ridere sorrideva, ma in compenso tinia nu clitoride ca paria na ciolla di picciriddu. <<Stikkiu strittu e clitoridi attisatu, si parti pi fikkari ma si veni inkulatu>> pinsò lu carusu. Pallade Atena lu taliava. Dall‟alto verso il basso. Era una taliata pulita ma pericolosa. E Paryde taliava Atena. Dal basso verso l‟alto. Era una taliata timorosa. O meglio, taliava il pakkio di Atena. E la sua ciolla pure. Infatti puntava verso Atena. O meglio, verso il pakkio di Atena. E vinni in quella direzione. Ma la simenta non raggiunse Atena. <<Vinuta scantatissima fu. Deminkiato, nun la teni chiù e non ci pensi. Ma impotente, ci l‟hai ma nun funziona. Minkia, che belle prospettive>> pinsò lu carusu. << Io sono Aphrodyte, la buttana universale>> esordì la terza , intanto che si sukava voracemente, come normalmente fa una femmina di ciolla appitittata, il suo minkiuni, nervosamente assittata col kulo sulla sabbia, in una posa che possiamo definire di “attesa della ciolla”. E continuò:<<Io sono Aphrodyte, io sono la dea dell‟amore, io sono la più bella, io ho detto di “No“ a Zeus ma dico “ Sì “ a chi voglio io. Sono maritata ad Efesto ma non m‟interessa niente di lui, gliela dugnu solo per dovere, solo per quello. Perché se un mascolo mi piace me lo faccio, in un amen, in un fiat. Ero curiosa di provare il Sosia di Zeus, il mio papà adottivo. Solo questo. Io che nella mia vita ho sperimentato più minkie di qualsiasi altra donna, tanto che ho generato la minkia per eccellenza, quella di mio figlio Pryapo. Io non ti prometto regni, non ti prometto vittorie negli affari, in politica, nelle guerre e neanche in amore, perché l‟amore non esiste. Esiste solo il pititto. Noi chiamiamo amore solo il desiderio di fikkare. Io da parte mia preferisco dire che sono la dea del sesso, dell‟arte di usare il kunnus e il phallus. E io ti prometto, a te, il più bello dei belli dell‟orbe, la donna più bella del mondo, per la felicità della tua minkia e del tuo cervello. Il tuo cervello sì, perché devi sapere che la ciolla è solo lo strumento, in realtà il vero organo sessuale è il cervello. Parola mia, parola della donna più bella dell‟Olympazzo. Perché devi sapere che fikkare fa bene, più si fikka meglio ci si sente. Guarda pure il mio pakkio senza pila. E nato accussì perché non ha niente da nascondere, è puro, è adamantino, è limpido, è gioioso, è ironico, è solo un pakkio che sa fare il pakkio, che sa fare il suo lavoro e lo ama. Deontologia professionale. È un pakkio a trecentosessanta gradi, un pakkio che adora fare il pakkio. E tu devi sapere che fikkare rende sempre più belli. La mia fika fikka sempre. Basta che una ciolla la ispiri ca idda la fa accomodare. Pertanto è sempre più bella, sempre più felice, sempre più soddisfatta. E ride per la troppa bellezza, felice e soddisfatta com‟è>>. Aphrodyte si susiu e si avvicinau. Poi allargò le cosce e ci fici abbidiri a Paryde come rideva un pakkio bello. E intanto che c‟era ci disse:<< Ti prometto potenza di minkia assai assaissimo e pakkio a iosa, alla sanfasò e a tinchitè tout court e full time>>. Era un pakkio senza pila, che rideva libero e felice, a labbra spalancate, sia le piccole che le grandi. Era un pakkio che invitava ad essere visitato e teneva un clitoride che era un terzo capezzolo, lu capicciu nascosto. E come quelli delle tette invitava ad essere alliccato, sukato, mozzicato. Fece di più Aphrodyte. Si portò lì lu minkiuni e mostrò come si poteva sukare con la fika. Con quella Aphrodyte inspirò, o meglio, infikò, una bella quantità di fumo e lo trattenne tutto dentro. Aphrodyte taliava Paryde. Dall‟alto verso il basso. Era una taliata erotica e non solo. E Paryde taliava Aphrodyte. O meglio, il pakkio di Aphrodyte. E aspettava la fuoriuscita del fumo. E la sua ciolla pure. Infatti puntava verso Aphrodyte. O meglio, verso il pakkio di Aphrodyte. E vinni in quella direzione. E la simenta raggiunse Aphrodyte. La raggiunse là. O meglio, anche là. E in quel momento Aphrodyte espirò il fumo. Un fumo impregnato di profumo fikale. Ma anche altrove la raggiunse la simenta di Paryde. Praticamente la inondò. A dire il vero vero veramente, la inondò perché la venuta non fu normale ma super super super assai assaissimo assai. Fu una vinuta ispirata da Zeus in persona. E non solo. Aphrodyte espirò un mix quasi allucinogeno. E quella nuvola di fumo per un attimo avvolse Paryde. E lu picciotto lo respirò col naso, con la bocca, col kulo e finanche con i koglioni e la ciolla. E quando il fumo raggiunse lu ciriveddu di Paryde, la sua ciolla siminò ancora di chiù. Simenta su simenta e ancora simenta. Sempre in direzione di Aphrodyte . La dea dell‟amore si avvicinò al picciotto e piano piano ci disse: << Grazie per la doccia di simenta mascolina. E bravo per la mira precisa. Hai fatto centro. Io in fondo ti ho fatto attrintari la minkia più delle altre, la potenza dello schizzo è stata maggiore. Le altre non ti hanno manco fatto venire granché. Le altre la fanno attisare ma poi lasciano il lavoro a metà. O non lo iniziano neanche. E non ci sta cosa chiù brutta di una minkia arrapata senza soddisfazione lassata. Invece io l‟ho fatta venire alla grande. Io, con la forza del mio pakkio spilato. E lo schizzo mi ha raggiunto. Grazie per l‟onore. E stato un tele- kazzicatummuliari. Un kazzicatummuliari da lontano. Se mi eleggerai la più bella, caro il mio Paryde, avrai anche me per una notte, in tutti i modi possibili e anche in quelli impossibili che saprai mettere in atto. E quello sarà kazzicatummuliamiento vero. E dopo di me sarà un diluvio di pakkio a minkia cina. Un kazzicatummulio continuo. Oppure, a scelta, avrei il pakkio più bello del mondo per kazzicatummuliare. Un pakkio che farà storia. Un pakkio che lascerà il segno. D‟altra parte io so che ti chiamano Paride Vogliounafikabella. E io ti prometto la più bella fika del mondo, dopo di me naturalmente, la più bella fika terrestre comunque. So che espertuccio sei in fatto di stikkio. So che con Enone fai scintille a iosa e ci fai veniri il pititto pure agli animali. Ma con me sarà il “non plus ultra” del piacere. E con quel pakkio promesso sarà in “non plus ultra” del “non pus ultra” del piacere totale e assoluto. Ogni volta sarà una “super nova”, una “nouvelle vogue”. Sarà solo e sempre Orgasmo bum.. bum.. bum.. ad libitum.. >>. Si fermò un attimo la dea tutta incilippiata di simenta. Fissò negli occhi Paryde, che invece taliava ora la faccia ora il pakkio della dea, e riprese:<< E se invece mi farai perdere, ti manderò mio figlio Pryapo a romperti il kulo per una notte intera. Sarai kazzicatummuliato da mio figlio Pryapo e sarà rottura di kulo bum.. bum.. bum .. ad libitum..>>. E prima di allontanarsi si levò la koppola e gliela buttò sulla ciolla che era di nuovo tisa. Tisa in maniera eclatante. <<Minkia, minkia di vai .. ahiai.. ahiai .. Il kulo mi fa male assai..>> pinsò Paryde pinsannu alla ciolla di Pryapo. Ma il doloroso pinsero non ammosciò la sua ciolla. << Decidi, principino Paryde>> dissero le tre donne. Paryde non sapeva cosa fare. Taliava ora l‟una ora l‟altra. Lo stesso faceva il suo aceddu tiso. Puntava ora una, ora l‟altra. Poi Paryde si consultò col suo Pariduccio. Una taliata profonda ed esaustiva. Due occhi contro uno. E la decisione fu presa insieme. Paryde, seduta stante, prese il Sosia e lo consegnò alla più bella. << Voscenzasabbinirica a tutte quante, vasamu li manu e li peri all‟istante. Il pakkio più bello secondo me è quello che ride più contento perché è felice, perché è allegro. Tieni il fallo d‟oro. Il Sosia di Zeus è tuo, Aphrodyte, bella tutta. Anzi, bellissima. Io mi scappello tutto davanti a tia, mi scappello la testa e la minkia, mi scappello di sopra e di sotto, mi scappello tutto davanti alla bella chiù bella della terra e dell‟Olympazzo. E se vuoi mi scappello anche di kulo, perché tu meriti questo e altro>>. Atena ed Era scapparono minacciando vendetta e sukannu minkiuna. << Malirittu iarrusu ca nun capisci ca io sono il miglior portuso. Ti deminkierò>> disse Era che come moglie del capo, anche se plurimulticornuta, spirava di essere scelta. << Buttaniere partenofobo e zoccolofilo, ti renderò impotente>> disse invece Pallade Atena. La dea e il caruso risero. << Perché hai scelto me?>> chiese Aphrodyte. << Per quattro motivi, a parte che bella delle belle lo sei. Bella tutta tuttissima. Primo: il mio kulo mi ordinò perentorio ”Salvami”. Secondo: il mio cervello mi disse “Avrai per una notte il kunnus più bello dell‟universo tutto. Anzi, dell‟Olympazzo”. Terzo: la mia ciolla mi disse ”Ci la ficcherò alla dea dell‟amore per una notte intera e poi a li kunna di tuttu lu munnu oppure a lu kunnu chiù bellu di lu munnu per tutta la vita. O almeno, fino a quando ci la farò a fikkare”. Quarto: “Tu usi la stessa parola che uso io. Kazzicatummuliare”. Perciò , Aphrodyte bella, la tua conoscenza sia benedetta. Toscenzasabbinirica, e vasamu li manu, li peri e..>>. <<... e..>> disse la dea felicissima per essere stata scelta. < .. e la fika..>> concluse Paryde. << Grazie. Grazie di cuore e di fika. Beddu Paryde, toscenzasabbinirica. E vasamu li manu, li peri e la minkia>> rispose la dea inginocchiandosi davanti al picciotto. Nella bocca divina iniziò la notte divina di Paryde e della sua eroica ed erotica ciolla. Era quasi l‟alba e i due fikkavano ancora. Ficcavano a tinchitè. << L‟ultima>> disse Aphrodyte. << Sì, ma dimmi, chi è la donna più bella del mondo, quella destinata a me. Dimmillu, bedda fika spilata ca la minkia mia fai sempre più arrapata>>. << Helena Kalliste, Helena di Munypuzos>>. << Minkia, ver‟è>> rispose Paryde. E si fece l‟ultima e la post-ultima e la post -postultima. Inkunnava Aphrodyte pinsannu a Helena. Poi fece una piccola riflessione e disse: << Ma non è promessa sposa a chiddu babbu di Mynkyalao?>> << Sì. Ma quello sarà solo amore dovere, amore fallimento. Quello vostro sarà amore carnale, sesso animale, sesso sfrenato, fottimento continuo, trionfo della carne. Solo e sempre gloriosa kunnomentulamachia. Voi due sarete l‟apoteosi del fottimento terreno, l‟estasi della minkia trionfante e del pakkio gaudente. Sarete l‟uno il completamento dell‟altro>>. A quelle parole Paryde si fece l‟ultima, l‟ultimissima e l‟ultimissimissima. E chiedeva ancora l‟ultima e l‟ultimissima. E la dea si apprestava a dargliela per l‟ultima e l‟ultimissima volta e magari ancora per una nuova ultima e ultimissima volta perché Paryde ci sapeva fare. Ma avevano appena finito una delle tante ultimissimissime quando arrivò Pryapo cantando: <<Andrò a cacciarmi in quel bel culetto. Cosa mai Paryde ha in quel fosso. Che mi piace tanto tanto. Se lo penso, in lui m‟incantò. Se lo vedo, lui si fa grosso. E che caldo esso mi fa>>. A quelle parole Paryde tremò di paura: << Minkia, però Pryapo lu stissu vinni. Ahiai.. ahiai .. Al solo pensiero il kulo però mi fa male ancora chiù assai>>. << Non ti preoccupare. I patti sono patti. La tua ciolla ha avuto me e avrà Helena, ma il tuo kulo è salvo. Parola di Aphrodyte>>. << Mammina, che faccio? L‟inkulo?>> disse Pryapo arrivando. << No. Mi ha proclamato vincitrice. Io sono la più bella dell‟Olympazzo>>. << Ahhhh.. E te lo sei pure fatto. E io resto con la ciolla tisa. Pensavo di farimilla sukare e poi di dariccilla tante e tante volte in kulo, in quel suo bel kuletto. E invece niente, resto con la minkia tisa e affisa>>. << Tanto è sempre tisa>> rispose Aphrodyte. << Ma non affisa>>. < Troveremo una soluzione. Qualche pakkio o altro si troverà, caro il mio Pryapo>>. << Ma io volevo un kulo maschile, un kulo masculino bello però>> disse ironico Pryapo accennando a Paryde. Paryde per lo spavento stava per kakarsi sotto. << Troveremo, troveremo. Ma Paryde non si tocca>>. << Cosa scegli per la tua ciolla, Paryde bello?Kunnu a tutta minkia o Helena?>>. << Helena>>> rispose senza pensarci. << Scegli me>> intervenne ironico Pryapo. << Vai Paryde, e pensa ad Helena. Sarà presto tua. Lasciaci però nu tanticchia di minkiuna e tieni questo vasetto. Contiene un certo Unguento, il Sacro Unguento, il Venerina diasatirion, ricavato dal Satyrium hircinum e dall‟Amanita muscaria. Prima della prima fikkata con Helena mettitinni nu tanticchia sulla ciolla, serve a veder le stelle e finanche l‟origine delle stelle. E non solo per la prima ficcata comunque. Ma per la prima non te lo scordare. Porta al massimo l‟arte del kazzicatummuliare. Droga la minkia, ma droga soprattutto lo stikkio e la padrona dello stikkio>> disse Aphrodyte. << Sì. La prima? Le stelle? Ne vedrò chiù assai di quelle che ho visto con te?>>. << Chiù assai assaissimo assai assaissimamente assai>>. << Kazzo.. kazzo.. kazzo.. Grazie, a nome mio e del mio kazzo. Grazie di tutto veramente>>. << Vai Paryde. Vai e pensa a quella che ti sei fatto, ma anche a quella che ti farai. E naturalmente pensa anche a quello che ti sei perso. Ma se vuoi, a disposizione>> aggiunse Pryapo tenendosi il palo rosso con entrambi le mani. Paryde diede loro na manciata di minkiuna e si allontanò tenendo una mano davanti e l‟altra dietro. Per salvarsi il kulo. Ma poi tornò un attimo indietro. Per risalutare la dea. E le disse piano all‟aricchia: << Mi dispiace per l‟ultima e l‟ultimissima che stata non c‟è. È mancato il kazzicatummulio dell‟addio>>. << Aspettami dietro quel roseto, così raccoglierai ancora la mia rosa. Un‟ultima o ultimissima volta>>. Paryde si allontanò contento di minkia e di kulo scantato. La dea lo raggiunse e fu un trionfo di ultime e ultimissime e ancora ultime e ultimissime ancora. Pryapo intanto si annoiava. Sentiva gemiti a iosa, alla sanfasò e a tinchitè. A un certo punto pinsò di taliare. E da dietro il roseto taliò. Taliò mamma e Paryde. E decise di dare una lezione simbolica a Paryde. Per interrompere questa serie di ultime e ultimissime che non finivano più. Pertanto, non visto, si avvicinò di ciolla al kulo di Paryde. Lu carusu appena intisi quella bestia che tuppuliava al suo kulo per lo scanto svinni. Svinni dintra il pakkio della dea, ma anche vinni. E fu l‟ultima. L‟ultimo kazzicatummulio con la dea della bellezza. La dea e Pryapo lo lasciarono là. Pryapo attaccò a ridere come un pazzo. Rise a iosa, alla sanfasò e a tinchitè. E per il troppo ridere finiu in mezzo al roseto. E si vinciu di spine tutto quanto. Anche la ciolla si spinò. E fu la volta della mamma di ridere a iosa, alla sanfasò e a tinchitè. Paryde invece, svenuto era e svenuto restava. Quando si svegliò era tutto solo soletto. E per prima cosa si toccò il kulo. <<Ma. Già mi lu ruppi il Sosia di Zeus. E passi. Ma se c‟è stato l‟originale di Pryapo mi sa che mi lu allargau bonu.. ahiai.. ahiai.. Comunque mi sa di no. Pryapo fece solo finta. O forse mi salvai svenendo. Il kulo però mi fa male ancora assai, ma mi fa male per colpa di Zeus. Il dolore causato da Pryapo sarebbe stato incommensurabile. Però c‟è un però: la minkia mia è contenta, contenta assai assai, contenta a iosa, alla sanfasò e a tinchitè, contenta tout court e full time>> pinsò Paryde allontanandosi. --Madre e figlio invece parlarono assai. E intanto che parlavano la mamma lo spinò. Idda pure la minkia le spinò. E nella sola minkia di spine ne aveva ventitrè. Ventitrè spinate. Ventitrè piccole coltellate. Pryapo, pinsannu agli eredi di mammà, ci scherzo su: << Giulio Cesare si chiama la minkia mia>>. << Non offendere la mia discendenza>> precisò la dea. Fu la madre che ad un certo punto accese il primo minkiuni e lo offrì al figlio: << Tiè, sukati nu tanticchia di minkiajuana>>. << No, io non uso mai la minkiajuana. Io uso..>>. << Scusami >> disse Aphrodyte ricordandosi la stikkiosità a volte esasperante del figlio << Tieni chistu minkiuni di minkiapriapriana>>. << Adesso sì>> rispose Pryapo accettando il regalo. E si sukarono , tra na parrata e n‟autra, tanti minkiuna di minkiajuana idda e tanti di minkiapriapriana iddu. Erano la stissa cosa ma cangiava il nome. E la nomenclatura è importante a tutti i livelli. Comunque fumarono assai assaissimo. Lei col Sosia in mano e lui col suo capitale tra le mani. Pensieri lussuriosi circolavano in quelle menti sessualizzate al massimo. Lei si accarezzava la cosa col Sosia, lui si accarezzava lo strumento con le mani. << E‟ mio finalmente, ma non m‟interessa l‟oggetto, m‟interessa il simbolo. Il Sosia di Zeus è mio, il Sosia del mio caro papà adottivo è mio. E io sono, cosa buona e giusta, la più bella dell‟Olympazzo>>. << E io che speravo di fare la festa a quel bellimbusto di Paryduccio. Invece mi tocca autofesteggiarmi. Meno male che Zeus inventò la minata. E meno male che prima ho festeggiato a lungo con la bella Enone>>. << La fimmina di Paryde?>>. << Sì. La trovai impegnata con Zeus; e quannu Zeus si ni iu, io pigliai il suo posto. Ma adesso mi la posso solo minare. Grazie Zeus, che la minata inventasti per le urgenze e le necessità indelebili e non procrastinabili o non rinviabili della minkia. Anche della minkia affisa da ventitrè spine>>. << Meno male che l‟inventò. L‟assolo di kazzo o l‟assolo di fika delle volte è l‟unica possibilità di fare sesso. Noi femmine comunque possiamo usare il Sosia. Per voi invece non ci sta un Sosia della fika >>. E intanto Pryapo si accarezzava con sempre più ardore . << Alla faccia del kulo di Paryde che sfunnato non ho>>. << Ma il picciotto però si scantò>>. << Iddu però fikkò e io no>>. E fici una sorta di sproloquio. Aphrodyte invece stava in silenzio e si strofinava il Sosia contro la filazza. Con ardore però. Pryapo, per spezzare quella strana tensione, cercò nella sua memoria un motivetto adatto. Lo trovò: << A questa tua cosa oggi non son sordo. Ella mi vuole e io vorrei. Sconveniente è e non si può. Quando son vicino a lei. Vale a dire: solus cum sola. Basta un‟occhiata e resto senza parola. Mi riscaldo, lui si fa grosso. Mi par ch‟abbia il fuoco addosso. Sento il sangue in ogni vena. Che ribolle e fa blo, blo>>. E continuava a maneggiare l‟aggeggio. Con una smania manuale da manuale del perfetto minatore. Aphrodyte rise e ci resi na mano. << Mano di mamma allevia il dramma>> disse ridendo di bocca e di pakkio. << Attenta a dove metti le dita, la minkia mia è ferita>>. Invece la mamma ci desi l‟altra. Lui non parlò. Ma cantò ancora piano pianissimo: << Ma l‟amor non finisce poi. Con la gabbia con dentro l‟uccello. Ed il seme già sul più bello. Disse “ O là o là”. E si fermò>>. La mamma capì e disse: << Se la mano non basta damu il resto, l‟importante è fare presto. Per il bene di mio figlio io ci dugnu pure il pakkio vermiglio>>. Senza dir niente si distese sull‟erba . E sempre senza dire niente allargò le gambe. Lui taliò quel pakkio spilato e cantò ancora. << E son come un can koglione. Guardo il kunnus e il bastone. Vorrei stender lo zampino. E il bastone ti avvicino. E abbaiando, mugolando. Piglio il kazzo e te lo do>>. E così fece. L‟incesto, uno dei tanti dell‟Olympazzo, fu consumato quella notte. Fu la prima volta tra madre e figlio. Tra la madre dal pakkio spilato e il figlio dalla minkia spropositata. Tra la mamma bella e il figlio laitu e bruttu tranne che di minkia e di kulo. L‟orgasmo tra quei due simboli viventi e divini della lussuria fu quasi una reazione termonucleare. Uno scontro di atomi, di neuroni, di neurotrasmettitori che per poco non annichilì pure loro. Perché il sesso, quello vero, sapiente e cosciente, è a tutti i livelli la cosa più dirompente che ci sia nell‟universo intero. Come dice tra l‟altro anche un detto popolare. “Tira chiù un pilo di kunnu ca l‟oro di tuttu lu munnu”. Ma ci sta anche la versione maschile. “Tira chiù assai un pilo di kazzu ca tuttu l‟oro di stu munnu pazzu”. Per dovere di cronaca debbo precisare che nel momento culminante, e per due dei il momento culminante fu incommensurabile, la dea dell‟amore ci piazzò il Sosia in kulo al figlio, ma questi non ci fece manco caso. Continuò a imminkiare la sua cara e bella mamma con tanto di Sosia nel kulo. << Ma io volevo un kulo>> disse Pryapo a cose fatte. La mamma rise, si alzò, e gli ammusciò il suo. << E invece l‟hai avuta in kulo>>. << Minkiate, minkiate di mamma>>. << E allora talia, varda, vidi>>. In effetti Pryapo trovò il Sosia proprio lì. << Io volevo un kulo, non la volevo in kulo. Un kulo di mascolo volevo>>. La dea allora si mise il recuperato Sosia là dove realmente sta la ciolla nei maschi. Poi si appoggiò ad un albero e si mise a simulare un accoppiamento. Paria ca ci la stava fikkannu al tronco della pianta. Il Sosia facia trasi e nesci da un buco mentre il kulo della dea ia avanti e annareri. E Pryapo immediatamente si buttò su quel kulo. E intanto che inchiappettava mamma, ci la minava al Sosia di mamma. Quel che successe poi lo sanno solo loro. --E salvi i naufraghi in mare, Aphrodyte benigna, salva anche me che sto morendo, naufrago in terra. Antologia Palatina --- La prima volta che Pryapo e Dyonyso vennero a Munypuzos successe un casino generale. Ficiru una processione erotizzate ed euforizzante intanto che tutti mascoli erano riuniti in assemblea. Ammuscianu ciolli al massimo dello splendore e kunna sorridenti a tutte. E annaffianu tutte con del vino intanto che fumavano minkiuna su minkiuna. Provocarono accussì l‟ascensione del pititto ai massimi livelli. Gli occhi di tutte videro ciolle eccezionali, il vino arrivò nelle bocche di tutte e tutte aspirano tanto ma proprio tanto fumo. E pigliate dal pititto tutte si unirono all‟insolito e festante corteo. Il fatto successe dopo che padre e figlio si erano incontrati nel bosco di Mynkyalonya. Briachi sia loro che le Menadi, scatenarono una “follia erotica” in tutte le femmine della città. Fino ad allora le donne di Munypuzos era famose per la loro castità e fedeltà. Almeno ufficialmente. “Mai cu l‟occhi taliari quello che il kunnus o la ciolla possono fare” diceva un detto popolare. E facevano tutte di tutto con tutti. Ma senza commenti o esibizioni. Al massimo qualche curtigghiamientu. Ma con delicatezza. Nel rispetto del detto “Se ti appititta na ciolla strana stuppiti lu kunnu ma antuppiti la facci sana sana”. Ma quel giorno, sentendo un spirito strano ma divino che penetrava nella loro muni per poi impadronirsi del cervello, corsero felici dietro i due sconosciuti e il loro seguito. Corsero verso il bosco di Mynkyalonya e qui iniziarono a strofinarsi contro qualsiasi cosa avesse un aspetto falliforme. Tra le donne c‟erano anche la madre, la moglie e le cinque figlie del re Pentesileo, il re di allora. Il re, non riuscendo a riportare a casa le sue e le altrui femmine, fece imprigionare Dyonyso e Pryapo, non sapendo chi fossero. Padre e figlio stettero al gioco. Durante la notte passata nella regia galera, sotto stretta osservanza, Pryapo e suo padre decisero, per non farsi capire dagli altri, di parlare una nuova lingua. Che chiamarono Monacazzese. Perché Munypuzos per loro era solo e soltanto Monakazzo. Quella notte praticamente non nasciu la lingua siciliana e neanche quella Trinacrica. Nasciu la lingua Monacazzese. L‟indomani mattina il re si recò a visitare i prigionieri. E assistette subito a un miracolo. Le catene di ferro dei due prigionieri si sciolsero e si ricomposero intorno ai polsi e alle caviglie del re. Poi loro lo convinsero a vestirsi da donna e ad unirsi al gruppo per capire le reali esigenze delle donne. Pentesileo, non avendo alternative, accettò. Fece un bel discorso alle femmine. Da finta femmina a vere femmine. Ma queste sembravano non capire. Nude ballavano e si strofinavano tra di loro. E fumavano. << Tornate a casa, dai vostri padri, dai vostri mariti. Ritornate alla famiglia, alla gioia del focolare domestico. Ritornate ad ubbidire al padre, al marito, al figlio. Insomma, all‟uomo di casa>> diceva il re. Lo disse sia in greco che in latino. Ma le donne non sentirono. O meglio , non capirono. Dyonyso e Pryapo avevano loro trasmesso la lingua Monacazzese. << Datici na minkia quanto a chista, ca notte e iornu ci l‟arrifrisca, notte e giorno daticilla una minkia ranni e brilla, sira e matina vulemu fikkari a minkia cina>> gridavano in siciliano le donne scoperchiando il dio Pryapo. Pentesileo capì. E arrossì. Proprio allora arrivano i Satiri e i Sileni e iniziò l‟orgia. Orgia spaventosa fu. Pentesileo fu costretto ad assistere ai focosi amplessi tra Pryapo e le sue donne. Voleva gridare o intervenire. Ma una forza misteriosa lo rendeva muto e lo bloccava. L‟unica cosa che sentiva era il suo fallo che stava attisando. Con la mente in angoscia e il cuore dolorante assistette muto al trionfo della carne. Poi vide il misterioso megantrofallo avvicinarsi a lui. Pryapo, con violenza, lo sodomizzò, trasmettendogli un pititto incommensurabile. Pentesileo si spogliò e si vide anche lui un fallo enorme. Paria gemello di quello che gli era andato in kulo. Ma era solo una allucinazione. Intanto tutte le donne lo taliavano. << E‟ mascolo>> gridò la moglie non riconoscendolo. << E‟ mascolo >> risposero le figlie. << E‟ mascolo>> disse la madre. << E‟ mascolo>> aggiunsero le altre. << Voglio fikkare>> gridò lui. E si fici le figlie, poi la moglie e infine la madre. E venendo dentro il pakkio che ci avia dato la vita spirò. Questa è la storia che poi Euripide da Munypuzos mise in scena nelle sue Monakazzobaccanti, le Baccanti di Monakazzo. Le baccanti che col loro fumo avevano fatto perdere la testa alle femmine del paisieddu. Grazie all‟appoggio determinante delle femmine poi Munypuzos si innamorò di Pryapo e Pryapo di Munypuzos. Pryapo fu nominato protettore della città e i mascoli concordarono. Pryapo aveva reso le donne di Munypuzos abili nell‟ars amandi. Da protettore per scelta politica si era ritrovato ad essere protettore per scelta popolare. I mascoli felici ringraziavano e onoravano il maestro di pakkio e minkia. Pryapo, Dyonyso, le Menadi, i Satiri e i Sileni avevano fatto diventare esperte nell‟arte del “dare piacere” le loro femmine. Da minkiofobe erano diventate minkiofile. E adesso loro godevano che era una meraviglia. E gli adepti di Munypuzos formarono i Monakazzokazzoni e le Monakazzofikine. Da allora Munypuzos divenne la polys più liberarle e moderna della sicilia. La città dove tutte le unioni erano ammesse. Mascolo cu mascolo, fimmina cu fimmina, e naturalmente la tradizionale mascolo cu fimmina. La polys dove il filo conduttore era il piacere. Il piacere e basta. E divenne anche la patria del siciliano. O meglio, del Monacazzese. “Minkia, non mi skassare la koppola della minkia” divenne la frase più famosa dell‟orbe di allora. E pure dell‟Olympazzo. --- A contrastare la libertà sessuale a trecentosessanta gradi ci stavano solo nu tanticchia di emeriti koglioni. Sopratutti vecchi impotenti e vergini mai annincate. Oltre a certi sacerdoti della dea Kasta. << Tutti nel Tartaro finirete, peccatori siete anche se non lo sapete. Pentitevi fimmini e uomini pazzi, cusitivi li stikkia e tagghiativi li kazzi. Se proprio dovete fikkare, fatelo solo per figliare. Della ciolla gli altri usi saranno considerati solo abusi >> era il loro motto terroristico. Ma la gente li considerava meno di un pirito fantasma. Perché la migliore risposta al terrorismo ideologico è e resta l‟indifferenza. E inutile replicare “ E‟vietato vietare”. C‟è gente che vive di soli divieti. Che gode nel vietare. Ma la gente libera vive la sua vita e se ne fotte e strafotte dei divieti. Si ni sbatti e se ni risbatti. Usa la ragione sia per il ciriveddu che per la minkia e il portaminkia. ---Celio, la mia Lesbia, quella Lesbia, quella sola Lesbia che amavo più di ogni cosa e di me stesso, ora all'angolo dei vicoli spreme questa gioventù dorata di Remo. Catullo --- Tra Purceddopolys e Munypuzos si trovava il lago che portava il nome di quest‟ultima città. E tutt‟intorno il bosco di Mynkyalonya. Un bosco particolare. Un bosco formato al cento per cento da piante di fico. Ma non il solito fico, bensì una variante particolare. Non il comune Fikus carica, con un solo frutto carnoso con tanto di purtusiddu, ma una varietà, oramai estinta, che cresceva solo qua. La fiku di Monakazzo oggi, allora Fikus mentulakunnus. Una pianta con due frutti diversi, ovvero fiku maskuli e fiku fimmini. Li fiku fimmini come quelle che conosciamo tutti, piriformi con purtusiddu. E li fiku maskuli con piccola escrescenza che andava a fikkarsi nel portuso di li fiku fimmini. Da cui i nomi popolari di fikazza e fikazzu. In questo bosco dove fikkavano anche li fiku, di storie d‟amore se ne sono sempre viste, allora come oggi, ma allora erano gli dei i protagonisti. Zeus in primo luogo. Il theophallus era sempre alla ricerca di un kunnus terrestre. In questo bosco caro a Pryapo Zeus si fece la bella Leto che poi fu costretta a vagare per mari e monti alla ricerca di un posto dove sfornare i gemelli che abballavano nella sua panza. Perché c‟era una profezia che diceva che i nascituri non dovevano nascere in alcuna terra ferma. Dovevano nascere in una terra ballerina. E Leto questo posto lo trovò nel posto dove li aveva concepiti, nel bosco di Mynkyalonya. Si narra infatti che la Trinacria, famosa per l‟intensa attività sismica, fosse un isola vagante nel Mediterraneo. Praticamente se la giocavano, tra un terremoto e l‟altro, l‟africa e l‟europa. Ma in quell‟occasione Zeus l‟ancorò al fondo con tre colonne. Per dare una terra natale fissa ai suoi figli. Per dare loro una patria. Ma per uno sbaglio involontario una colonna fu sistemata sotto l‟Etna. Ed è quella che si sta infracicando, consumando, carbonizzando, ma allora tutto filava liscio. Zeus scendeva spesso nel bosco di Mynkyalonya per farsi la bella Leto e vedere i suoi figli, ma anche per cercare altro pakkio. E fu correndo appresso a Leto che conobbe Leda e ci appitittò. E incominciò a pinsare a come fare per inkunnarsela . In questo suo firriari alla ricerca di pilo Zeus spesso incontrava la sua cara capra Amaltea, la capra che l‟aveva nutrito da picciriddu a forza di pisciari dalle sue corna ambrosia e nettare mentre dalle tette pisciava un latte che faceva crescere in fretta. Ma in realtà la capra Amaltea in mezzo al pelo folto nascondeva una bella sorpresa, era una capra ermafrodita. Tinia na bella ciolla e pisciava pure abbondante latti di brigghiu. E a chi riusciva a berselo in un amen ci si sviluppava l‟aceddu. E se a causa di un corno rotto riempito di frutta nasciu il nome “cornucopia“, da una minkia nascosta che molti ignoravano nasciu il termine “phallocopia”. --Pryapo andava spesso nel suo tempio. Gli piaceva vedere le femmine e gli uomini che lo adoravano. E se c‟era qualche femmina che lo ispirava cercava di fargli assaggiare la sua ispirazione. Gli piaceva vedere le sue sacerdotesse pregare e scatenarsi in riti orgiastici a cui lui partecipava con piacere. Ma soprattutto non mancava mai, nella ricorrenza della sua nascita, quindi una volta l‟anno , di assistere alla liquefazione del suo “Sangue potente”. Il cosiddetto “Risveglio del sangue”. Si racconta che Pallade Atena, la dea vergine per scelta, odiasse Pryapo e tutti i maskuli portatori di ciolla sana. Lei si sentiva più virile di tutti. Aveva le palle nel cervello. Per il resto era una bella donna con due piccole tettine, una boccuccia piccola e un kunnus piccolissimo. In compenso aveva un grosso clitoride. La virilità era per lei una condizione mentale, non fisica. Una volta ci mancò poco che Efesto la infilzasse. Proprio all‟ultimo lei riuscì a sfuggire alla violenta penetrazione. Diciamo che si salvò per un pilo. Almeno in quell‟occasione. Non si sa se pilo di kazzo o di fika. Forse per la difficoltà di Efesto di trasiri in quel portuso stretto la simenta divina cadde accussì per terra generando Erittonio. Dopo che per un pelo era sfuggita alla dolorosa penetrazione da parte di un aggeggio di mascolo, il suo odio per l‟uomo in generale, ma soprattutto per la sua appendice, si incrementò. E decise di colpire il simbolo dei simboli della virilità. Il palo rosso ed eretto di Pryapo. Si allicchittiò come una zoccola di lusso e partì alla ricerca di Pryapo. Lo trovò subito. Lui viveva quasi sempre nei bordelli, a portata di pakkio in quantità industriale. Dormiva stanco e affaticato per le cento e passa trummiate della notte prima. Stanco lui ma non il suo palo rosso sempre eretto. La sua ciolla era ciolla a tempo pieno e non a tempo parziale. <<Clitoridazzo mio, se mi faccio il kulo di Pryapo col mio clitoridazzo, lui si sveglia e m‟infilza col suo palo rosso. Meglio allora deminkiarlo a morsi, meglio staccargli la ciolla con un morso. Ma non tutta, anche perché tutta sarebbe impossibile. Mi accontento di staccargli solo la punta rossa, la cappella, quella che qui chiamano la koppola della minkia>> pinsò Atena. Si avvicinò a bocca spalancata, ma si accorse che la cappella era troppo grande per staccarla con un mozzicone. Come facia facia, come si mittia mittia, la koppola della minkia di Pryapo non entrava nella sua boccuccia in miniatura. Atena si rese conto che quella estremità rossa non sarebbe mai trasuta nella sua bocca. Pryapo, che sentiva odore di femmine già a distanza, rispose a quella falsa fellatio venendo in bocca alla dea. O meglio, indirizzando lo schizzo potente verso la gola della dea che continuava a fare dei tentativi per ammuccarisi la koppola. Venne dormendo a causa di quella che tutto era tranne che una fellatio. E la dea, per la rabbia di aver dovuto assaggiare il latte di brigghiu, lu muzzicau e scappau. Un bel mozzicone dato con tutta la forza della sua dentatura divina sulla divina cappella. La koppola iniziò a sanguinare. Pryapo per il dolore si svegliò e attaccau a gridare e a santiari ca paria lu scrittore Santhokrysos quannu s‟inkazza col mondo intero. << Per Zeus e i suoi zeussoni folgoranti. Per Krono e i suoi krononi antichi. Per Efesto e i suoi efestioni ardenti. Per Dyonyso e i suo dionosoni briachi. Per Apollo e suoi apolloni musicanti. Per Poseidone e i suoi poseidononi acquatici. Per Elio e i suoi elioni brillanti. Per Ares e i suoi aresioni combattenti. Per Urano e i suoi uranoni inesistenti. Per Ermete e i suoi ermetoni volanti. Per Ade e i suoi adoni sotterranei>> E continuava. Ma fu interrotto da una voce fimminina: << Per Pryapo e i suoi Pryaponi ca stanu scoppiannu. Se nun ci la finisci ti staiu deminkiannu>>. << Mamma.. mamma... mi fa mali la minkia>> disse il picciotto. << Fammi vedere>>. << Mi affruntu>>. << Nun fari lu iarrusu>>. << Mi affruntu assai ma ti l‟ammusciu volentieri >> scherzò Pryapo, che era un esibizionista nato. La mamma la taliò da vicino. << Nun fari lu iarrusu, nenti è. Chidda buttana in spirito nun sapi mancu usari li denti. Appena appena li segnali ci lassò>>. << Cu fu? L‟hai vista ? Dimmi cu fu?>> chiese Pryapo. << Chidda kunnucusutu di Pallade Atena, la lesbica ca si la strufinia sempre con Artemide. Zia e nipote. Le leccatrici di fika, le strusciatrici di pakkio, le manovratici di mirto>>. << Mirto?>>. << Il clitoride. Ca in loro è quasi una ciolla >>. << Mi ni futtu di idda. La minkia mi rovinò. La sua estetica. E poi che dolore, che dolore, che dolore. La mia minkia è ipersensibile. Ma io mi devo vendicare, ci l‟haia catafuttiri nel pakkio. Ci lo devo sfondare d‟autorità, cu lu me aceddu ci la fazzu quantu lu crateri di Mungibeddu>>. << Sta minkia. Chidda si l‟avi cusutu>>. << E io ci lu scusu, ci lu sfunnu, quant‟è vero ca sugnu la prima minkia di lu munnu>>. << Che skassamientu di ovaie, pi nu muzzicunieddu ca pari di picciriddu>>. << Mi fa male la koppola. Che dolore quando si skoppola. Minkia, che male di koppola>> cantava Pryapo, tra l‟addolorato e l‟ironico. Aphrodyte raccolse quelle poche gocce di sangue in un ampolla di vetro e poi ci cummigghiau la koppola dell‟aceddu e tutto il resto con una fascia di lino bianco. Alla fine la ciolla di Pryapo paria una mummia. <<Mammina, non stringere, ca pari ca mi l‟affuchi. Accussì l‟aceddu mio soffoca. Io vivo ma cu l‟aceddu morto impikkato, che kazzo campo a fare?>>. << Senti, ciolla delle ciolle, non è niente. La ciolla è sana e in ottime condizioni>>. << E ora comu fazzu cu sta minkia impacchettata?>>. << La pigghi in kulo, quella degli altri. Per il resto aspetta almeno una settimana, almeno una settimana. Poi veni ni mia ca ti levo la benda. Dopodiché potrai suonare fike e pakki e stikki e altro a volontà>>. << Mi la levo io. E che kazzo>>. << Non puoi, ho fatto un nodo particolare. Il nodo gordiano afroditiano, e solo io lo so sciogliere>>. << E io pure>>. << No>>. << E come faccio a pisciare?>>. << Ora ci fazzu nu purtusiddu na la cima dell‟impacchettatura. Nu purtusiddu nicu nicuzzu>>. << E come fotto?>>. << Pi na simana nenti.. astinenza.. castità … e basta..>>. << Na simana senza fikkari?>>. << Sì, poi recuperi e in una notte ti fai tutte le buttane della Trinacria>>. << Consiglio buono, lo seguirò. Ma con quelle gocce di sangu mise nell‟ampolla che kazzo ci devi fare?>>. << Na reliquia. Vanno tanto di moda. E non solo con l‟ampolla. Anche con la benda di lino. Tra una settimana io ti la levo e ne faccio n‟autra reliquia. Il Sacro Lenzuolino di Pryapyno>>. << E chi sarebbe Pryapyno?>> addumannò Pryapo che invece aveva capito benissimo << Tu sei Pryapo, quindi Pryapyno è la tua ciolla>> rispose la mamma. << Semmai Pryapone è>>. << Senti, fai tu. Pi mia è lo stesso. O Sacro Lenzuolino di Pryapyno o Sacro Lenzuolino di Pryapone, non cambia niente>>. << Mi fa male la koppola, che dolore quando si skoppola. Minkia, che male di koppola>> riprese a cantare Pryapo, tra l‟addolorato e l‟ironico. << Vaffankulo>> concluse la mamma. Aphrodyte donò al tempio di Munypuzos l‟ampolla e la benda. E ogni anno, intanto che i fedeli recitavano la litania di Pryapo, intanto che la Sybylla Priapica annacava l‟ampolla, il sangue si scioglieva lentamente. Era per tutti un miracolazzo. Un miracolo del kazzo. Anche quell‟anno Pryapo partecipò. Come gli piaceva cantare la sua litania: <<Pryapo Polieus.. Ora pro nobis.. Pryapo Xenios.. Ora pro nobis.. Pryapo Katachthonios.. Ora pro nobis.. Pryapo Meilichios.. Ora pro nobis..>>. Come gli piaceva pregare per se stesso. Intanto che la Sybylla Priapica alzava per aria l‟ampolla e ci la annacava. In attesa del risveglio. E intanto fumi odorosi uscivano da ben precise filazze. E le adepte inalavano il fumo e partivano. Partivano di testa e di corpo. Partivano verso Campi Elisi artificiali. << Pryapo ktesios.. Ora pro nobis.. Pryapo Herkeios.. Ora pro nobis.. Pryapo Hikesios.. Ora pro nobis.. Pryapo Soter.. Ora pro nobis.. Pryapo Plouton.. Ora pro nobis.. Pryapo Eubouleus.. Ora pro nobis.. Pryapo Klymenos.. Ora pro nobis.. Pryapo Polydegmon.. Ora pro nobis.. Pryapo Oanoptes.. Ora pro nobis.. Pryapo Pankunnus.. Ora pro nobis.. Pryapo Panphallus.. Ora pro nobis.. Pryapo Itiphallicus.. Ora pro nobis..>>. Gli ultimi tre appellativi erano quelli più amati da Pryapo. E venivano ripetuti fino al “Risveglio del sangue”. Erano una sorta di droga sonora, parole quasi allucinogene, che mandavano i fedeli, per la maggior parte donne, in estasi da orgasmo metaforico. E non solo metaforico. Una cacofonia che stimolava il kunno e le altre parti erogene. Alla fine, quando il sangue si scioglieva, tutti gridavano al miracolo. A quel punto il tempio era pieno di fumo, una sorta di nebbia odorosa che tutti inalavano. Erano fumi di minkiajuana. O meglio, di minkiapriapriana. E quella nebbia mandava in estasi tutti e tutto. << La minkia è viva.. viva la minkia.. La ciolla è viva.. viva la ciolla.. Lu kazzu è vivu.. viva lu kazzu.. Lu brigghiu è vivu.. viva lu brigghiu.. Lu piripikkiu è vivu.. viva lu piripikkiu.. Lu marrugghiu è vivu.. viva lu marrugghiu.. Lu battagghiu è vivu .. viva lu battagghiu..>>. E lui felice, dopo il miracolo che avveniva sempre a mezzodì, quando il sole culminava sul meridiano munipuzico, correva nel bosco di Mynkyalonya e si faceva tutte le Menadi. La sera invece si faceva il giro di tutti o quasi tutti i lupanari di Munypuzos. E all‟alba andava a fottere, senza limiti di tempo e di atti, la sua Sybylla. Anche quell‟anno si recò nel bosco di Mynkyalonya. E si fece tutte le Menadi. Poi si fece il giro dei postriboli e quindi partì per andare dalla sua Sybylla. Invece incontrò, per caso, Kassandra, che andava vaticinando sventure su sventure. Diceva il vero ma non era creduta. Per maledizione divina di Apollo che era stato rifiutato carnalmente. Doppia era la maledizione. Con la bocca sparava profezie che venivano ignorate, col kunno desiderava kazzi che non poteva avere. E Kassandra, appena visti a Pryapo, ci mangiò lu paparaciannu. Veniva da Purceddopolys unni avia profetizzato sventure ranni, ma era di Purceddopolys. Era figlia di Pryamo. << Attenti a lu pupu cu la minciazza. Sarà la fini di tutta la nostra razza>> gridava come una forsennata. E intanto sukava minkiuna di minkiajuana. << Ci l‟hai cu mia, sparaminkiate autorizzata che altro non sei>>. << No, non parlavo di un dio. Parlavo di un pupo cu la minciazza come a tia però. Un pupone ranni e tutto minkia>>. << Perché piangi? >> chiese Pryapo. << Tu lo sai perché. Ma se i miei occhi piangono, il mio kunno ride. Piangerà dopo, se qualcuno non piangerà in lui, ma tanto è abituato a piangere. A piangere da solo>>. Pryapo, essendo dio, non doveva rispettare le maledizioni divine. E siccome aveva ancora pititto di fikkare, ficcò. Una volta tanto il kunno di Kassandra rise. E rise alla grande. Lui di meno. <<Kassandra non è buona neanche di pakkio, è proprio una femmina andata a male. Annuncia il piacere ma non lo sa dare, si sente femmina solo perché ha il kunno, ma se questa è una condizione necessaria non è però sufficiente per fare di una donna una femmina. Il suo kunno è freddo, gelido, mortuario>> pensò Pryapo. Rimasto solo e ancora pieno di desiderio Pryapo cantò, tra una sukata e l‟altra , di un bel minkiuni di minkiajuana. Cantò com‟era solito fare. << Non so più cosa sono, cosa faccio. Or è di fuoco, or è di ghiaccio. Ogni donna il fallo cangiar mi fa di color. Ogni donna il kazzo mi fa palpitar. Solo ai nomi di kunnus o di stikkio. Mi si turba e s‟alza il piripikkio. E a trombare mi porta con amore. E‟ un desio che so ben spiegar. Voglio scopar vegliando. Voglio fottere sognando. Nell‟acqua, all‟ombra, sui monti. Tra i fiori, nell‟erba, nelle fonti. All‟eco, nell‟aria, nel vento. Che il suon della mia minkia potente. Portano via con sé. E se non c‟è chi si piglia la mia coda. Faccio l‟amore con me >>. E attaccò a minarisilla. << E‟ meglio una bella e sana minata che farsi Kassandra dalla fika disgraziata>>. << No, non sprecare il rosso palo>> disse una voce femminina. Taliò. Era una bella ragazza. Tutta nuda e bagnata. << Chi sei ?>>. << Sono, sono la bella Aretusetta. Scappo da quello stronzo del mago Alfiuzzo. Arrivo adesso dal mio paese. Ho attraversato il mare a nuoto, ma lui mi sta inseguendo. S‟è trasformato in fiume sotterraneo per inseguirmi e ha detto che mi travolgerà, mi annegherà, mi farà diventare una sorgente. Accussì farà l‟amore sempre cu mia, ma io non voglio, divino Pryapo. Non lo voglio né in carne né in acqua, né in minkia di carne né in minkia di acqua>>. << Mi conosci?>>. << No. O meglio sì. Solo Pryapo può avere quella cosa. E io mi voglio sacrifikare su quella cosa. Subito. Prima che arriva Alfiuzzo. Meglio la cosona bedda tua che la cosetta brutta di quello>>. << Subito, Aretusetta bella>>. In un amen la pigliò e si l‟impalò sul suo rosso palo. E con la sua possanza l‟aiutava anche a fare su e giù. Stava quasi vinennu quannu si intisi una vuci. << Noooo … buttana..>>. Era Alfiuzzo che arrivava sotto forma di fiume. << Buttana ranni, ma diventerai acqua lo stesso, acqua buttana ma acqua. E io mi ammischerò continuamente cu tia in un amplesso infinito e buttano>>. Aretusetta invece, proprio nel momento che Pryapo la stava annaciando di simenta, si sciolse in un mare di acqua. Pryapo vide solo la sua ciolla emergere dal liquido e sputare verso il cielo la sua simenta. Nasciu accussì la via lattea.. lattea perché formata dal latte di brigghiu di lu diu ciollaranni. Aretusetta invece addivintau una sorgente di acqua dal sapore di fika ma impregnata però dalla divin sementa, acqua che si ammiscava col fiume Alfiuzzo, che a sua volta alimentava il lago di Munypuzos. E divenne usanza andare a bere a quella fonte. Tutti andavano a bere, bevevano anche quando non avevano sete, bevevano tanto per bere, per gustare il sapore particolare di quell‟acqua. L‟acqua alla fika con essenza di sementa divina. << Chi sapi bella l‟acqua di pakkio alla divin semenza>>. E si alliccavanu lu mussu. Questa pertanto è la vera e originale fonte Aretusetta, e non quella dell‟isola di Ortigia. Quella è sola la storiella della sorellastra laita e brutta di Aretusetta che si chiamava, guarda caso, Aretusa ed era una grandissima iarrusa e facia la buttana. Tinia un amante lario di nome Alfeo, che era fratello di Alfiuzzo. Alfiuzzo e Alfeo erano due fiumi ma se in Alfiuzzo si lavavano li stikki più belli della Grecia e pertantu iddu era sempre profumato e ingrifato, Alfeo facia sempre na puzza di merda ranni in quanto per volontà altrui avia lavatu li staddi di Augia. Ma Aretusa, quannu si stancau di fari la vita, inventau un sistema di multe. Un sistema pi fari sordi e futtiri la genti ca nun vulia o putia futtiri. Cu trasia a Ortigia e nun futtia, vinia futtutu. Vinia multato. Poi si inventau la storia della fonte. Sempri pi futtiri soldi. Questa Aretusa è pertanto un evidente falso storico, ideologico e mitologico. D‟altra parte quella è una isola dove hanno astrummintato un sistema per spennare i cittadini a forza di multe se solo trasino dalla porta sbagliata. Ma torniamo al nostro bel Pryapo. Praticamente era giorno fatto quannu Pryapo raggiunse la sua Sybylla e si sfogò alla sanfasò. Kassandra prima e Aretusetta poi erano state solo e soltanto due diversivi. La sua Sybylla era una femmina al mille per mille, una femmina che dava il meglio sotto l‟azione della ciolla del dio delle ciolle. Nel giardino del suo tempio fu quella una notte di piacere puro. Per lui e per la sua sacerdotessa. Finito ch‟ebbe si stinnicchiò, con la Sybylla addosso, taliannu il Kolosso gemello che era in costruzione accanto al suo tempio. Taliò e fumò assai però. --Infatti, ultimamente, accanto al tempio di Pryapo si stava edifikando un secondo Kolosso di Pryapo, un Kolosso gemello di quello che ci stava all‟ingresso principale della polys. La koppola della minkia di questo secondo Kolosso doveva fare concorrenza al faro di Alessandro. E l‟opera era arrivata attualmente all‟altezza delle cosce, della parte alta delle cosce, la dove queste si congiungono per sostenere il resto. Adesso c‟era da costruire il kulo e la panza ma soprattutto c‟era il problema di piazzare l‟ingombrante, maestosa e incommensurabile ciolla tisa del Kolosso. E quindi si dovevano risolvere problemi di ordine tecnico. Complessi ma fattibili. Se in passato era stato possibile costruire il primo perché adesso non si doveva riuscire a costruire il secondo? Erano in fondo le stesse misure. Ma il primo, per tradizione, veniva attribuito ai Ciclopi. Il problema principale praticamente era quello di sollevare il monoblocco formato da bacino, panza e kulo con tanto di minkia tisa. Era il sollevamento prima e la stabilità di quel monoblocco dopo a creare problemi che impegnavano una corte di tecnici assai tecnici. Ma adesso la soluzione era vicina. L‟architetto Mega Lhitos aveva messo a punto una macchina solleva blocchi grandissima. E quanto prima quella cosa enorme sarebbe stata sollevata. La koppola della ciolla, rivestita d‟oro, di giorno sarebbe stata un punto luce di grandissima importanza. Tra l‟altro poi, la direzione della stessa, avrebbe indicato il “minkiadano“ principale, ovvero il “minkiadano“ di Munypuzos. Si trattava di un sistema di riferimento messo a punto dall‟astronomo Eratostene da Munypuzos che aveva ideato una sorta di reticolato geografico ante litteram che vedeva un insieme di “minkiadani“ e di “minkialleli“ che nella base del Kolosso avevano il punto alfa e omega. Ovvero l‟inizio e la fine di tutto. E Pryapo era arcicontentissimo di questo omaggio scientifico alla sua ciolla. << La mia ciolla è l‟inizio e la fine di tutto. Sono la protominkia, la minkia madre dell‟universo. La minkia che tutto imminkia, straminkia e riimminkia>>. --Kassandra, bella ma inutile figlia di Pryamo, aveva avuto il dono della profezia e la maledizione di non essere creduta. Questo perchè la prima volta che profetizzò si incasinò nu tanticchia. << Dimmi bedda, se vado in guerra torno o moru? >> ci disse un pezzo grosso della nomenclatura di Purceddopolys, tale Asterione. Idda ci arrispunniu in latino: << Ibis redibis non morieris in bello>>. Quello capì e felice partì. Ma crepò. Il padre, più intellettuale del figlio, curriu da Kassandra per diriccinni quattro e forse anche cinque. << Chi cappella di mentula ci dicisti al figlio mio ca cripò?>>. << Ibis redibis non morieris in bello>> rispose Kassandra. Il padre capì come il figlio. << Peripatetica regale, quello morì>>. << E io detto ci l‟avia, babbo scimunito di lusso. Ibis, redibis non, morieris in bello. Andrai, non tornerai, morirai in guerra>>. <<No. Tu ci dicisti ibis, redibis, non morieris in bello. Andrai, tornerai, non morirai in guerra>> precisò il padre. << Io ci dissi quello che pensavo>>. << Lui capì quello che voleva>>. << La virgola scassò tutto il ragionamento>>. << E scassò la vita di mio figlio, ma io arrovinerò la tua reputazione. Tu non devi solo parlare. Deve specifikare unni mettiri la virgola, unni mettiri lu punto e virgola e unni mettiri lu punto>>. << Certo. E magari unni la devi andare a pigliare in kulo>> rispose Kassandra. E così fu. Kassandra parlava ma nessuno le credeva. Per volere di Apollo. Era solo una ciulla vento, anche se diceva il vero. --Adesso Munypuzos era una monarchia plutocratica. O meglio, una diarchia plutocratica. Da secoli i cento capifamiglia più ricchi governavano la polys effettivamente, anche se a rappresentarli c‟era un re vero e proprio. O meglio due. Un re maggiore e un re minore. E a comandare era il maggiore. Attualmente il re maggiore era Agamynkyone. Uomo forte e potente. Devoto a Zeus e a tutti gli dei dell‟Olympazzo, ovvero dell‟Olympo di Monakazzo, si sentiva il capodio terreno. E pinsava di fare di Munypuzos la nuova caput mundi. Facia progetti eccezionali per rilanciare la polys e spirava accussì di entrare nella storia. Sposatosi d‟autorità alla superba Fikennestra aveva generato tre figlie e un figlio: Ifikanya, Elettrakunnus, Kunnotemi e Mynkyoreste. Ifikanya era una bella fika sempre corteggiata ma che automaticamente ripudiava i corteggiatori. Diceva che voleva diventare sacerdotessa di Artemide Adiabatica. Artemide l‟impenetrabile. Elettrakunnus era bella ma emanava scariche elettriche che facevano spaventare l‟aceddi e li faceunu naturalmente arrimuddari. Kunnotemi mittia timore. Pertanto le due ultime sorelle erano gelose di Ifikanya e la maledicevano in continuazione. << Accussì come addumi la minkia a li picciotti per poi lassariccilla addumata allo stesso modo devi addumare tu. Noi che tanto vorremmo addumalla a qualcuno per poi stutariccilla non la addumiamo a nessunu. Buttana ranni fortunata , tu sei la nostra sfortuna. Ifikanya, tu porti sfiga. Per questo ti hanno sempre chiamata Sfigania>>. Mynkyoreste invece si ni futtia delle sue sorelle e di tutto il resto, e pinsava al suo caro cugino Pilade con cui spesso s‟impiladava. Agamynkyone teneva pure un fratello, il re minore Mynkyalao, che era il promesso sposo della bella Helena, la sorelle di Fikennestra. Agamynkyone, non avendola potuta ottenere in moglie, aveva ottenuto di darla al fratello. Tutto questo sperando di farne poi la sua amante, perché Helena era il più bel pakkio terrestre così come Aphrodyte lo era dell‟Olympazzo. Ma c‟era un imbroglio nascosto. E che imbroglio. Nascosto e incestuoso. Mynkyalao infatti era innamorato perso di sua nipote Ifikanya che lo ricambiava. E non di amore platonico, bensì carnale carnalissimo assai assaissimo. E il bello è che nessuno lo sapeva. Quelli fottevano alla sanfasò, ma nessuno se ne rendeva conto. Ifikanya era impenetrabile agli altri ma non a Mynkyalao. Comunque Agamynkyone governava benino. A parte la megalomania. Facia bene soprattutto i suoi interessi ma pure quelli dei plutocrati in genere. Qualcosa faceva anche per il popolo. Che con grande savuarfer sapia illudere. Il popolo era convinto che in fondo in fondo si la passava benissimo. A dire il vero il popolo bene si la passava veramente. E se non bene, benino senz‟altro. Il motto ufficiale di Agamynkyone era “Panemmi e circensemmi”. Quello ufficioso “Mentula, fumu e kunnu pi tuttu quantu lu munnu”. U re sapia che se l‟uomo è felice a livello d‟aceddu non usa il ciriveddu, e se il ciriveddu è cinu di fumu o di vinu nun pensa a fare casinu, mentre la fimmina se teni lu kunnu cinu di na bedda minkiazza nun pensa a fari la pazza. Poi, naturalmente, ci stava chi usava li strumenta del piacere in modo diverso. Ma a Munypuzos c‟era libertà di ciolla e di kunno. Tra l‟altro il re era il proprietario di tre teatri, il Penta, il Mono e il Tetra; e gestiva anche i tre teatri pubblici. E la gente si divertiva. << Minkia chi risati, minkia come mi addiverto, puru li baddi mi rirunu e la minkia mi abballa di cuntintizza. Minkia comu riru a tutti li livelli>> dicevano tutti fumannu minkiuna su minkiuna e pinsannu a immettere la minkia in un portaminkia. E magari di trincare vino e altro. E lo stesso facevano e dicevano le donne.<< Kunnu cinu e menti brilla la me vita è tutta na scintilla>>. Il re maggiore adesso era impegnato nella costruzione dell‟anfiteatro Agamynkyone. Grande e capiente e con accanto una sua megastatua crisoelefantina , detta il Kolosso di Agamynkyone o il Kolossominkione. Tutto questo accanto alla sua lussuosissima villa fuori le mura che aveva chiamato Domus aurea. Sull‟esempio di Zeus usava sempre l‟espressione “Mi consento”. Anzi, andava oltre: << Mi consento se voi, carissimi, mi consentite. Altrimenti mi autoconsento di consentirmi>>. L‟ultima trovata pubblicitaria era stata quella di costruire un ponte tra Munypuzos e la sua dirimpettaia Purceddopolys. Il ponte doveva passare sul bosco di Mynkyalonya e sul lago di Munypuzos. I tecnici erano al lavoro da tempo. Ma i lavori non erano ancora iniziati. La progettazione era stata difficile. L‟architetto Dedalo, ateniese di origine ma monacazzese di adozione e adesso libero cittadino di questa polys, si era impegnato assai assaissimo nella faccenda che progettualmente parlando era stata veramente molto ma molto complicata. Si trattava di un ponte in pietra lavica con sette ordini di archi che così grandi non se n‟erano mai visti prima. E alle due estremità due megastatue di Pryapo rivolte l‟una contro l‟altra e con le minkie che si toccavano nel cielo, a formare una sorta di arco della pace del tutto particolare. O di arco della minkia o dell‟amore. Un arco particolare insomma. Le statue erano previste in pietra, i falli in legno e praticabili. Ovvero, si poteva entrare nelle statue, percorrere la galleria che stava dentro il pene e poi affacciarsi dalla terrazza panoramica che stava nel punto in cui le due coppole si toccavano. Cappella contro cappella, koppola contro koppola. Comunque ci mancava poco per l‟inizio dei lavori. Il ponte doveva avere una duplice funzione. Secondo Agamynkyone doveva diventare l‟ottava meraviglia ufficiale della sicilia e celebrare il matrimonio tra suo figlio Mynkyoreste e una figlia qualsiasi di Pryamo. Una qualsiasi della cinquanta. Non contava il pakkio e il contorno, contava solo chi era il papà del pakkio. E Agamynkyone per suo figlio voleva una figlia di Pryamo. In quel modo lui avrebbe messo una mano o un piede sul trono di Purceddopolys. Era un modo per conquistare pacifikamente la superba polys vicina. Senza guerra, senza morti. Solo con la minkia di suo figlio come arma conquista kunni. E la prima pietra sarebbe stata “posata” in occasione del matrimonio tra suo fratello Mynkyalao e la bella Helena. Sarebbe poi stato inaugurato in occasione del matrimonio tra suo figlio e una principessa nata dalla simenta di Pryamo. << Due minkie che si salutano. Che si danno la cappella in cielo. Novella e bella forma di saluto. Ciolla contro ciolla per amore e amicizia. “ Salve, minkia bedda di Purceddopolys”. “ Salve, ciolla bona di Munypuzos”. Due popoli amici e nemici che si pacifikano. Quest‟arco di minkie sia la gloria del pakkio. E della pace tra le due polys. Basta guerre di spade, lance, scudi. Basta morti, vedove , orfani. D‟ora in poi solo battaglie di minkie. Per la conquista dei kunni. Solo guerre di piacere. Solo guerre di pilu. E anch‟io che son poeta dico: “Datemi un pakkiu quantu ci l‟infilu” >>. Questo scrisse il sommo poeta Mhaxymylyanum Mhaxymylyanorum da Munypuzos per celebrare il futuro ponte. Quando la lingua latina lu facia inkazzare lui scriveva direttamente in italiano. << Sta minkia di latinu nu fatto è sicuro, si la poli iri a pigliare nel kulo. Ma purtroppo il mio destino è scrivere in latino, latino poco latino ma latino. E se io non capisco quello che scrivo è perché la gente non capisce quello che legge. È ignorante chi legge e non capisce e non chi scrive anche se non sa quello che scrive. Per interpretare le cose che uno scrive ci stanno gli studiosi, altrimenti, a che kazzo servono gli studiosi? O no?>> diceva chiaro e tondo. Poi pensava all‟importanza di quella lingua, il latino, come d‟altra parte era importantissimo il greco, lingua parlata e scritta correttissimamente dal sommo Homeryno da Munypuzos. E allora si correggeva. Tornava al suo amatissimo e straamatissimo latino. Perché lui ufficialmente viveva, studiava e lavorava solo e soltanto per il latino. Ufficialmente però. Ufficiosamente lo mandava amorosamente a farsi fottere, catafottere e strafottere da quando si svegliava la mattina fino a quando andava a dormire a tarda notte. Ma durante la notte sognava altro. E in quell‟altro il latino non ci trasia una amata ciolla. << Mentula.. mentula.. mentula.. fhallus.. fhallus.. fhallus.. mi si sono rotti i testikulos... >> diceva spesso il sommo scrittore latino del latino. --Per Agamynkyone Dedalo aveva già costruito molte cose. La più amata dal re e dalla corte era il Labirinto del Piacere, una struttura a più piani con un solo accesso e poi corridoi su corridoi e tante stanze dove si faceva sesso a lu scuru. Qui le femmine traseunu per prime e poi andavano a chiudersi in qualche stanza buia. Poi arrivavano li mascoli e s‟infilavano nella prima stanza che capitava. E la coppia di sconosciuti facia sesso alla sanfasò. La disgrazia, matematicamente possibile, era quella di finire tra le cosce di una sconosciuta che poi altri non era che la moglie. Questo ed altro aveva costruito Dedalo. Quest‟uomo era l‟ingegno fatta pirsuna. Orami era vecchio assai ma ancora impegnassimo. Molte costruzioni di Munypuzos portavano, come detto, la sua firma. Scultore, poeta, pittore, architetto, inventore e tante altre cose. Dedalo era di tutto e di più. Si era fatto pure un autobassorilievo. Paria lu papà del futuro Leonardo. Stissa faccia, stissu nasu, stissa barba. Nato ad Atene avia ittatu giù dall‟Acropoli il nipote che prometteva di superarlo in tutto e per tutto. Giudicato colpevole dalla corte dell‟Areopago si nu iu a Creta. E Minosse l‟accolse a braccia e portafoglio aperto, la sua signora Pasife a braccia e a cosce aperte. << Le minkie scienziate ci piacinu assai. La buttana spera sempre di provare qualche nuovo piacere. Pensa che la minkia astronomica ci faccia vedere le stelle, che la minkia matematica ci moltiplichi gli orgasmi, che la minkia filosofika ci faccia ragionamenti perfetti per la sua fika>> dicevano i cretesi. La prima opera la fece per lei. Costruì una vacca di legno accussì bella che quella riuscì a soddisfare il suo desiderio di congiungersi al Torobianco. Nasciu na cosa strana. Mezzo uomo e mezzo animale. Da picciriddu il Minotauro era stato cresciuto all‟interno del palazzo reale; e l‟unica che giocava con lui era Arianna. C‟era del filinghi tra i due. Minosse invece se ne vergognava assai: pertanto appena quello fu cresciuto diede ordine a Dedalo di costruire il Labirinto. E Arianna cianciu siccia e siccia di lacrimi amari. Una struttura così complessa che una volta trasuti non si riusciva più ad uscire. Arianna pianse assai per la perdita del compagno di giochi. Dedalo, per non vederla soffrire, costruì allora il Filo di Arianna, un filo magico che la riportava all‟uscita. Quando Dedalo litigò con Minosse, questi lo rinchiuse nel Labirinto, insieme al figlio Icaro. Sapendo che non c‟erano vie di fuga, Dedalo costruì delle ali artificiali, con penne e cera, per sé e per il suo caruso. E prendendo il volo scapparono da Creta. Come uccelli in fuga. << Minosse, voscenzamalirittassai, pigliala in kulo tu e tutta l‟isola che hai>> gridò Dedalo in fase di decollo. << Non volare in alto che il troppo sole scioglie la cera e non volare in basso che la troppa acqua di mare appesantisce le penne>> consigliò al figlio. << Sì, papà, stai tranquillo. Né alto né basso>>. Ma Icaro volò in alto assai. Voleva scoprire la sede dell‟Olympazzo. Invece precipitò cripannu seduta stante. Il padre atterrò in sicilia, a Kassaropolys, dove re Cocalo lo ospitò volentieri. Ma Minosse , accompagnato da Pasife, si mise a cercarlo ipso facto. << Lo scanno, lo ammazzo, lo deminkio e lo detesticolo. E mi mangio tutto fritto. Stu bastardo traditore. Costruì l‟armaru fintu per farmi diventare cornuto. Io fatto cornuto dal Torobianco. Io considerato padre legale di quel mostro del Minotauro. E quella mocciosa di Arianna che ci giocava. E ci va ancora a trovarlo nel Labirinto. Chi fa? S‟innamurau del fratellastro mezzo uomo e mezzo armaru. Ma io lo ammazzo a Dedalo, lo scanno, lo deminkio>> gridava come un ossesso Minosse. E continuava a cercarlo. << Lu ammazzu ma prima lu kulu ci sfunnu. Giuro su mia moglie e su lu so kunnu. Se lo piglio faccio una grande macelleria. Mi fazzu nu beddu spezzatino e cosi sia >>. --- A Pryapo piaceva anche andare nella grotta dove profetizzava la sua Sybylla. La Sybylla Priapica. Sempre immersa nei fumi odorosi e odoranti e penetranti della minkiajuana. Che però veniva polemicamente chiamata minkiapriapriana. Questa Sybylla era creduta e onorata da tutti. Nella grotta, accanto alla statua di Pryapo Acheropita, era riportato il suo quadrato magico. Il quadrato palindromo di Pryapo. Quello che poteva essere letto in tutti i sensi e aveva lo stesso signifikato. Quello dove veniva ricordato l‟altro suo nome: Arepo. E questo nome lo conoscevano solo Aphrodyte, Dyonyso, e naturalmente Pryapo. Neanche la Sybylla sapeva il vero signifikato di quelle parole. S A T O R A R E P O T E N E T O P E R A R O T A S AREPO TENET Letta in originale dice: S A T O R O P E R A R O T A S. La traduzione letterale della frase è la seguente “Il seminatore Arepo adopera le ruote”. << Ma cu minkia è Arepo? E che vuol dire il tutto? >> si chiedevano tutti. Pryapo invece sapeva il vero signifikato di quelle parole. Erano una profezia. Solo una profezia che lo riguardava personalmente. D‟altra parte anche il motto della Sybylla Priapica, quello con cui iniziava le sue divinazioni, lasciava poco alla conoscenza. << Obscurum per obscurius, ignotum per ignotius, rivelo l‟ignoto con cose ancora assai più ignote, rilevo l‟oscuro con cose ancora assai più oscure>> diceva sempre la Sybylla. Quando quella profetizzava era invasa dal dio e dal THC. Ed essere invase dal dio Pryapo signifikava solo una cosa: essere possedute dalla sua ciolla. In spirito generalmente, ma delle volte la possessione era reale. Essere invase dal THC signifikava solo una cosa: navigare a vista immersa nei fumi. Pryapo si divertiva a farsi la sua Sybylla, più la inkunnava, più quella profetizzava. Il dio si piazzava alle spalle della donna e le metteva la ciolla in mezzo alle cosce. Poi puntava al portuoso e l‟infilzava. Anche il pakkio era pieno di fumo. Quando la ciolla trasia questo usciva. Ma non era chiù fumo di minkiapriapriana. Era minkiapriapriana all‟essenza di stikkio. << Ahhhh.. Obscurum per obscurius, ignotum per ignotius>> facia lei. E vaticinava. E lui la inciuciava. E insieme inspiravano. << Ahhhh.. Obscurum per obscurius, ignotum per ignotius>> continuava lei. E profetizzava. E lui la trapanava. Insieme inalavano. << L‟amore di la bella cu lu bellu porterà solo burdellu>>. E lui l‟inkunnava. Insieme sukavano. << Zinghi zì, zinghi zà, la freccia va proprio là>>. E Pryapo fikkava. E inspiravano. << Tri ni trasinu e tri ni nesciunu>>. E facevano. << Accamora una ni trasi e una ni nesci>> pinsò Pryapo. E intanto scopava. E come lei respirava. << Attenziuna. Attenziuna. Lu pupu è cinu di maskuluna>>. E lui insiringava. E come lei sukava aria. Aria per modo di dire. << Premio Pattuallopolys finisce a bordellopolys>>. E lavoravano. << Chista non l‟ho capita>> disse a se stesso Pryapo. E intanto chiavava. Ma nello stesso tempo respirava che era una meraviglia. Lei pure. << Dite a lu scritturi ca nun manni l‟opira di kazzi e kuli>>. E trummiavano. << Boh.. meglio che penso a fottere>>. E intanto zummiava e inspirava. << Ottomila erosminkia o la metà? Chi kazzo dice la verità?>>. E ciullavano. << Ma a mia chi mi futti? E‟ meglio futtiri>> pinsò Pryapo. E facevano trasi e nesci. << Non siciliano ti pagherò, siciliano no>>. E intanto scampaniavano. << Sta minkia>> disse Pryapo. E intanto insasizzava e immetteva aria nei polmoni. << Risolverò tutto in due mesi o in dieci anni e due mesi o in dieci secoli e due mesi>>. E minkiolavano. << Minkiati>> pinsò Pryapo. E intanto infornava la minkia nel pakkio e l‟aria nelle vie aeree. << I carti ci sunu pi carità, ma unni kazzu sunu nessunu lo sa>>. E mentulavano. << Minkiati ranni rannazzi, minkiati assai assaissimo ranni. Se Poseidone fa un terremoto nesciunu fora da tutti li banni>> disse Pryapo. E marrugghiava. E intanto vinia. Vinia di ciolla ma inalava ancora THC. << Questo succederà>> pinsò Pryapo << Prima o poi succederà. La sicilia è sismica e ogni vota ca Poseidone si annaca lu kulu succedi da qualche parte nu terremoto. E siccome Poseidone teni la camera da letto sutta la sicilia e dà ci la fikka alla sua assai bellissima consorte Persefassa, ecco che spesso la sicilia abballa. “Terra ballerina, terra ca s‟annaca a minkia cina” dice un proverbio. Ed è vero>> disse Pryapo sciennu la cosa soddisfatta dall‟altra cosa altrettanto soddisfatta. Se la fikkata era finuta la sukata d‟aria andava avanti. << Palli. Pallini. Pallazzi. Megghiu li loti ca li pattuallazzi. Li loti sunu rosella comu la fika, li pattuallazzi sunu russi di vergogna>> disse infine inspirando con la massima potenza un bel volume di aria affumata. A cose fatte si fici la sua consueta cantata. Generalmente Pryapo cantava arie tratte dalle opere di un certo Amazeus Volfangum Mozarteum Fallophilus . Ogni tanto ne cantava anche qualcuna di Jiosepha Verdorum. Ma Amazeus era il suo preferito. << Sarò volubile. Sarò incostante. Ma non so vivere senza amante. E se qualcun porco mi chiamerà. Con tutta flemma gli dirò tondo. La fika è la cosa più bella del mondo>>. --- Proprio in quei giorni, tale Minkia Cinadaria, un vucittieri , un banditore, girava per le strade di Munypuzos e annunciava una “Gara di parole“, ovvero una minkia di concorso per scrittori di minkia, commedianti di ciolla e altri kakastrunzati di marrugghiu. Si trattava del premio Pattuallopolys, in quanto bandito dalle polys di Leonthynoy e di Karleonthynoy. Con tanto di garanzie. Garantivano i re in persona e poi tanti della nomenclatura locale e non solo. Patrocinato, come detto, dai re delle due polys e da altri rappresentanti del potere, paria una cosa seria. Insomma, una cosa alla grande. Una cosa in cui credere. Paria però. In realtà era una minkiatuna ranni. << Scriviti, scriviti, scrittori beddi. Scriviti di kunna e d‟aceddi. Scriviti ca lu fattu è sicuru. Gara seria è e no a kazz‟in kulu. Mannati li vostri opiri di parola. Ca chidda ca vinci si cunsola. Mannati li papiri cini cini. Di paroli purcigni e fini. Scriviti, scriviti, scrittori beddi. Scriviti magari di kunna e d‟aceddi>> gridava il banditore. Tanti intellettuali pinsanu di mannari il loro lavoro. Tra questi lo scrittore Paulorum Santhokrysos. Ma non sapia quale inviare. Ne aveva scritti tanti ma parlavano di una cosa sola: il pilo. Qualcuno disse:<< Minkiat‟è>>. << Il romanzo piluso mio?>> chiese lo scrittore “Purceddu”, come lo appellavano i moralisti del kazzo e i kakakazzi della minkia. << No, minkiat‟è il premio>>. Altri dissero: << Merd‟è>>. << Il romanzo piluso mio?>> chiese lo scrittore “ Ingrasciato”, come lo appellavano i moralisti del pisello e i kakapiselli della ciolla. << No, merd‟è il premio >>. Allora pinsò di scrivere una nuova opera. N‟opera a minkia e di mannaricilla. Un‟opera a minkia che praticamente contenesse un mare di minkie e altro. Una cosa eccezionale, ma a minkia. Una grande minkiata per un premio ca, secondo certa gente, era na minkiata megagalattica. A troppi il Pattuallopolys ci paria una minkiata. Una emerita minkiata targata Pattuallopolys Leonthynoy e Karleonthynoy . Pertanto disse:<<Scriverò un romanzo a minkia che parli solo di minkia e che sia una minkiata come il premio in questione. Secondo il detto “Occhio per occhio, dente per dente, minkia per minkia, minkiata per minkiata”>>. --- Dyceomynkyopoly commentò: << Per me questo premio è una grandissima minkiata, anzi, è un insieme di minkiate. Da un minimo di quattro milioni a una massimo di otto milioni.. anthegamisu ..vaffankulum.. vaffankulo... un vaffankulo variabile da un minimo di quattro milioni a un massimo di otto milioni>>. --- In testa venivano portati un'anfora piena di vino e un ramo di vite, poi c'era un uomo che trascinava un caprone per il sacrificio, seguito da uno con un cesto di fichi e infine qualcuno portava un fallo. Plutarco , De cupiditate divitiarum. --- Sempre in quei giorni al teatro greco di Munypuzos si stavano facendo le prove di uno spettacolo nuovissimo scritto da un commediante locale, tale Aristofane da Munypuzos. Aristofane, bello e dalla parola facile, non tinia mancu un pilu nel suo corpo. E a dire il vero nun tinia pila mancu sulla lingua. Se doveva mandare a fare in kulu a qualcuno, lu facia senza mezzi termini, senza giri di parole. Praticamente ci lu dicia chiaru e tunnu. Chiunque fosse il tizio da mannare a fare in kulo. Dall‟ultimo dei Monacazzesi al re in persona, dall‟ultima delle buttane popolari alla buttana chiù aristocratica, che gira e rigira, era sempre la regina. Dall‟ultimo dei cornuti di massa al primo cornuto della polys, che gira e rigira, era sempre il re. Ma, ateo com‟era, se c‟era da mannari a fare in kulo Zeus o qualche altra divinità, non c‟era problema. Mannava a fare in kulo pure loro. Non diceva, come certi uomini colti “Per favore, gentilmente le chiedo di andare a prenderla nel deuterostoma”. Aristofane no, lui diceva “Levati dalla mia minciazza. Vaffankulo tu e la tua razza”. Aristofane da Munypuzos era uno esperto nell‟arte della satira, dello sberleffo del potente, divinità comprese. Stavolta avia deciso di dedicare la sua opera al dio Pryapo e di cercare di smussare l‟odio tra Munypuzos e Purceddopolys. Attraverso la satira naturalmente. Acarnesi si intitolava la commedia, e prendeva spunto dal quartiere di Acarne, il quartiere dei vegetariani di Munypuzos, situato nei pressi del Kolosso ma fuori le mura anche se entro i muretti. Costoro, gli acarnesi, rifiutavano sia la carne intesa come cibo, sia la carne intesa come mentula e kunnus. Erano puri di panza, di minkia e di stikkio. Erano casti ma volevano assurdamente imporre la loro castità agli altri. L‟opera celebrava non Pryapo ma direttamente il fallo di Pryapo. E ispirandosi ai riti di Dyonyso, di Aphrodyte e di Pryapo, riti nei quali veniva portato in processione il fallo, in questa commedia, come simbolo di pace e di piacere, si celebrava proprio la minkia, la minkia siciliana del siciliano Pryapo, la minkia con la koppola del coppoluto e minkiuto Pryapo. Cosa che ha poco a che vedere con il casto quartiere di Acarne, ma che per provocazione viene portata in processione proprio in quel quartiere e proprio intanto che gli acarnesi celebrano la processione della casta Pallade, la dea dalla fika adiabatica. Adiabatica naturalmente anche per il fallo. Ma le “falloforie“, dette anche “fallagogie”, erano una tradizione del mondo classico. Portare il fallo in processione portava bene. Da tutti i punti di vista. La commedia intendeva ricordare anche lo smembramento di Dyonyso avvenuto nel bosco di Mynkyalonya ad opera dei puri di cuore, di corpo, di testa e di sesso. Ed era stata Pallade a salvare una parte del corpo di Dyonyso. Tenendo conto della verginità sua la tradizione indicò il cuore come parte salvata, in realtà Pallade salvò il fallo del dio. Perché il fallo è simbolo di vita, di zoè. E lei, inconsciamente, desiderava il fallo, desiderava la vita. Desiderava essere zoè, dare zoè. Comunque da quel fallo ricrebbe l‟intero, ricrebbe Dyonyso. --Silenzio, silenzio! Si faccia un poco innanzi la canefora, e Rosso tenga ben diritto il fallo. Aristofane --Silenzio, e che kazzo. Silenzio, e che minkia. Si faccia un poco innanzi il carro con la minkia, e tu testa di minkia di Rosso, tieni ben tisa la tua di minkia. Aristofane --- << La vita è una, come la minkia, e se non è un piacere vivere e avere una minkia, a che minkia serve vivere e avere una minkia e sentire le minkiate delle sibille che sparono a tutta minkia?>> era una delle domande per cui era famoso il filosofo Sokratynos Phylologos da Munypuzos. Mhaxymylyanum Mhaxymylyanorum da Munypuzos aveva dedicato a Pryapo i suoi Carmina Priapea. Rigorosamente in latino. O quasi latino. <<Perché in latino anche le parolacce diventano parole. Dire “mentula” fa dell‟uomo un essere colto, dire “minkia” fa dell‟uomo un porco>> dicevano le persone di kultura. E Mhaxymylyanum Mhaxymylyanorum lo era. E Pryapo, di questa raccolta poetica, ne era contentissimo. Recitava spesso il Carmen XVII. << Commoditas haec est in nostro maxima pene, laxa quod esse mihi foemina nulla potest. Questo è il grande privilegio del mio pene; che non c‟è alcuna donna troppo aperta per me>>. --- Dyceomynkyopoly commentò: << Il mio kulo è adiabatico agli dei, perché ciò che non esiste non può mettertela nel kulo. Purtroppo non è adiabatico ai potenti. anthegamisu ..vaffankulum.. vaffankulo.. >>. Dyceomynkyopoly, sempre coscientissimo che “nessuna mentula è dura come la vita”, alla fine, per scaricare la solita tensione accumulata, com‟era solito fare, gridò, come sempre, un forsennato, lancinante, squassante e sonorissimo: << VaffanKuluM U O O M P S M all‟ ... rbe , all‟ perché mi state tutti sul rbe e all‟ isum Non avia quindici anni: la frischizza Di ddi carnuzzi aggraziati e ghianchi Accumpagnava la dilicatezza Tuttu era in idda grazia e biddizza; Di lu morbidu pettu e di li cianchi; lympu ativu ... ... >> Beddi l‟occhi, la vucca, e beddi l‟anchi. Beddi ddi labbra, comu dui girasi. Bedda dda cosa unni si nesci e trasi… Tinti a pinneddu parianu li natichi, Tunni, duri, citrigni e sapuriti; Stavano tutti a taliarla estatichi , Ca muveva l‟arrittu a li rimiti; Aveva l‟occhi vivili e simpatichi, Dd‟occhi unn‟era d‟amuri la riti; Dd‟occhi capaci, ccu na taliata, Di squagghiari la nivi e la ilata. Micio Tempio, La minata di li dei II. Lu matrimonio di Helena, la prima buttana di Munypuzos Lu nasiddu paria cira chi adduma; La vucca, si la guardi, tu nni spinni, Li masciddi chiù ghianchi di la scuma; Drittu lu coddu aggrazziatu scinni; „Ntra lu pittuzzu poi, comu dui puma, Ianchi e tunni spurgevanu dui minni: Li cosci su, di lu chiù espertu mastru, Dui colonni perfetti di alabastru. Dda cosa poi „ntra ddi kulonni amati, La vidi , in forma rilevata e tunna, E ghianca „mmezzu a dui fardi spaccati, Ca su cuperti di nna manta biunna; Dui kulunneddi surgiunu a li lati „ntra lu mezzu di vadda si profunna; Tennira irvuzza intornu s‟agghiummira Intatta di l‟aratu e di vummira Micio Tempio, La minata di li dei --Io voglio andare a letto. Il membro c‟è l‟ho eretto. Dyceomynkyopoly --A Munypuzos era giorno di mercato. Nell‟agorà accanto al teatro greco ci stavano un sacco di venditori. E la gente firriava felice. Munypuzos era una polys ricca. Ci stava gente assai benestante. Pertanto gli affari andavano bene. Spesso i mascoli maritati, dopo una girata al mercato, con la scusa di pisciare, andavano al lupanare a scaricare altro. A scaricare una porzione o anche più di latte di brigghiu. A farisi sukari lu latti di brigghiu dopo aver sukato qualche beddu minkiuni di minkiajuana. <<Vado a cangiare l‟acqua alle olive>> dicevano alle mogli. Mentre le loro femmine continuavano ad accattare. I giovanotti passeggiavano e si taliavano li stikkiaredda ca eunu crisciennu. In particolare il pakkio più ammirato era quello di Helena. Helena la bella, promessa sposa di Mynkyalao. La ragazza aveva il vizio dello scioppinghi e al mercato cercava sempre qualche tunichetta nova, dei sandali, delle collane o altro ancora. E a debita distanza da lei c‟era sempre un gruppo di giovani che estasiati si la mangiavano con gli occhi. Soprattutto si drogavano della visione di quel kulo che si annacava sotto la tunica. Il ballo di quelle natiche era maestoso, come quello di li minni. E poi lasciava un ciaru di stikkio ardente che metteva il fuoco ai cirivedda e all‟aceddi di tutti li mascoli, operanti e non. << Ahhhh.. chi ti facissi... cu la minkia mia>>. << Ahhhh.. comu ti la mittissi.. la minkia mia>>. << Ahhhh.. comu ti arridducissi.. cu la minkia mia>>. << Ahhhh.. comu ti la sunassi… la minkia mia>>. << Ahhhh.. comu ti la infilassi...la minkia mia>>. Questo era il pensare mascolino nel vedere la bella Helena. E pare che quannu Helena stava in giro si incrementava l‟incasso dei lupanari. In ogni lupanare ci stava sempre qualche buttana che si facia chiamare Helena. La picciotta, con la sua bellezza e la sua sensualità, accendeva il meccio a tutti; e tutti quelli che potevano andavano a fikkare. Chi non poteva si la minava. E infatti, quando lei era in giro, un odore di simenta si aggirava per l‟aria di Munypuzos. Helena era il più potente afrodisiaco di Monakazzo. La sua vista accendeva tutte le minkie funzionanti. E qualche effettuccio lo faceva anche su quelle in disuso. Era uno stimolante naturale della minkia in generale. --Pi na fimmina passare dall‟agorà principale era come sottoporsi a una ispezione generale da parte dei mascoli del Plutocircolo di Munypuzos. E non solo di quelli. Situato all‟angolo tra l‟agorà e la via principale, era la sede ufficiale del pettegolezzo. In tanti lo chiamavano Circolo della Minkioscopia o circolo della Minkia parlante. << Per Pryapo e i suoi Pryaponi. Helena teni due minne ca su due meloni. Come ci addepositassi la minkia mia>> diceva uno tanto per scherzare. << Io mi la facissi a Helena la bella, mi la incappellassi sulla mia cappella, tutta ci la passerei la minkia>>. << Io puru, cu lu pinseru però. Cu lu pinseru ci passu la minkia a tinchitè>>. << Helena, il pakkio più bello di Munypuzos, l‟ispiratrice della minkia in generale>>. << E dicono che lu teni spilato di madre natura, il portaminkia>>. << Come la dea Aphrodyte, pakkio terrestre come pakkio divino>>. << Non come tutte queste fimmini che se lo fanno spilare da qualche “ spilatore”>>. << A mia mi piace spilato, anche se spilato a mano. Mi piace di più il pakkio spilato. E pure io mi sono spilato. L‟aceddu senza pila pari chiù allegro, chiù divertente e pure più grande. Minkia, chi pari bella la minkia spilata. E non mi sono spilato solo l‟aceddu, ma anche tuttu il pelame che avevo altrove>>. << Lu sapennu, lu sapemu. Anche il buco del kulo ti sei spilato>>. <<Anche quello, perché spilato è bello. Si kaka meglio. E se uno vuole farsi inchiappettare, tutto procede meglio>>. << Kulattone ricchione>>. << Io? Sta minkia. Io dugnu e basta. E darei volentieri a Helena la bella. Minkia, comu ci rassi la minkia mia>>. << Comunque, beata Helena. E beato chi si la inciucia>>. << A Munypuzos molti se la sono fottuta. Illibata ufficialmente ma troia ranni in privato. “La purcedda di Munypuzos” la chiama un noto plutocrate locale che si l‟avi fatta in tutti i modi possibili e che poi è stato lassato come un salame. Espertissima di minkia idda è>>. << Io direi che è stato lassato come un pupo con la minkia in mano, proprio nel momento del bisogno. Raccontano che all‟improvviso, mentre che Helena lo cavalcava, idda levò la sua campana dal battagghiu e si ni iu dicennici “Addio, sonitilla a mano, il mio kunno è chiamato a più alti destini”. Quello capì “Il mio kunno è chiavato da più alti ciollini”. E l‟uomo restò così scioccato che ci vinni la depressione nella minkia e nel ciriveddu. E da allora non fikka più, addivintò impotente>>. << La capabuttana. Attisa la minkia in automatico ma in automatico la manda in rovina>>. <<Comunque ci manca pikka ca Mynkyalao ci la fikka a iosa, alla sanfasò e a tinchitè>> rispondeva un altro. << Ma sicuramente ci la fikka già, ufficiosamente. Dopo il matrimonio invece ci la ficcherà ufficialmente. Helena tiene un pakkio che grida “Fikkami, fikkami”. Helena senza minkia non può stare>> aggiungeva un altro. << In fondo tinia dudici anni quannu assaggiò lu citrolo di Teseo, quello che viene considerato il suo primo marito, la sua prima minkia>>. << Ma la assaggiò davanti o darreri la minkia di Teseo?>>. << La storia dici ca iddu la sodomizzò per non fare danni irreparabili>>. <<Ahhhh… Chi ci fici Teseo alla bella Helena?>> facia sempre lo scemo di turno. << La sodomizzò>>. << Ahhhh… La sodominkizzò... Ahhhh ... Ci misi la minkia .. Scusati, ma unni ci la misi la minkia?>> chiedeva lo stesso scemo di prima. << Ci la mise in kulo, come noi la mettiamo in kulo a tia quando non abbiamo la giusta quantità di erosminkia per andare a buttane>>. << Sta minkia. In tempo di necessità ci la putiti puru infilari alla vostra mammà. Ma a mia no. Sta minkia>> rispondeva lu babbu. E scappava. << Secondo me invece quel parakulo di Teseo ci la mise nel posto canonico, da retro ma nel posto canonico, poi fici capiri ca ci l‟avia messo nel vaso alternativo per farla restare con la fama di vergine e consentirgli di attruvari un marito appartenente alla nomenclatura. Infatti avete visto che sfilata di uomini d‟alto rango e ciolle famose c‟è stata per la sua messa all‟asta matrimoniale? Odisseo Penevagante, Diomede Mentuladoro, Palamede Inkunnide, Aiace Teladoinmona, Aiace Teladoinkulio, Euripilo Cercapilo, Filottete Fottettete, Idomeneo Sfondaimenei, Apollonio Incarpasciò. E altri. Tanti altri>> diceva l‟intellettuale del gruppo. << Più che la ricerca del citrolo più sostanzioso è stata la ricerca del citrolo più ricco>>. << Chiù l‟aceddu miu è ricco, chiù facile è ca a Helena ci la ficco>> disse un picciotto che passava per molto assai ironico. << Secondo me li dovevano fare sfilare nudi e poi scegliere quello con la minkia chiù grossa>>. << Invece scelsero quello con il patrimonio più consistente>>. << Il babbo di Mynkyalao si attruvò accussì il kunno più bello di tutti>>. << Grazie anche alle pressioni di Agamynkyone che la vuole come cognata con la speranza di fikkarisilla nel letto>>. << Manca pikka al matrimonio, veramente pikka. E mi sa che il re maggiore Agamynkyone, prima o poi ci la fikka alla moglie del re minore Mynkyalao>>. << E intanto è Mynkyalao ca ci la fikka>>. << Certo. Ca ci passa la minkia iddu è>>. << E per giunta tutti i pretendenti al bel kunno funu convinti a giurare di addifenniri, vita natural durante, il diritto alla proprietà del kunnus di Helena da parte del marito, qualunque cosa succedesse. E questo prima della scelta ufficiale della minkia maritale. E tutti i portatori di minkia aspirante al ruolo di minkia maritale si sono impegnati>>. << Ricordo il giuramento fatto tenendo in mano, tutti assieme , la ciolla della statua del Pryapo dormiente. “Io giuro di difendere il diritto al pakkio di Helena da parte della minkia del prescelto. Sacrosanto è il suo diritto ad avere l‟esclusiva del pakkio di Helena. Tutti per lo stikkio di Helena, lo stikkio di Helena solo per il marito. Lo giuro sul santo divino aceddu di Pryapo”. Ma il realtà avrebbero voluto dire “Tutti per lo stikkio di Helena, lo stikkio di Helena per tutti” >>. << Pare infatti, secondo pettegolezzi di corte, che la notte prima della decisione finale, o meglio, della comunicazione del prescelto, del fortunato, che secondo tanti era stata già decisa a tavolino, pare che durante quella notte definita di “Meditazione spirituale”, la bella Helena si sia fatta il giro dei vari appartamenti per farsi insasizzare da tutte quelle sasizze ed operare poi una scelta sul campo. In realtà voleva solo provarle, ingegnarle. Ma per il resto sapeva già con chi si doveva maritare. Il testa di minkia più ricco era Mynkyalao. Con lui doveva maritarsi. Poi poteva sempre farsi un amante o anche più di uno. Perché un pakkio spilato come quello di Aphrodyte è insaziabile>>. << Così dicono i pettegoli. Ma non girò per appartamenti vari, tutto successe nel salone delle feste. Helena, unica donna, si fece fottere da tutti i pretendenti, compreso Mynkyalao. Fu una lotta bellissima tra minkie per la conquista di un kunno. E pare che la ciolla chiù bella e soddisfacente sia stata quella di Aiace Teladoinmona. Come gudiu cu quello cu nessun autru>>. << Questo vuol dire che prima o poi ci saranno questioni. Quella è buttana di matri natura. E prima o poi combinerà dannu. È troppo portata per la minkia, ha una affinità altissima per la minkia tout court >>. << Figlia di buttaniere nun poli ca siri buttana>>. << Io farei subitu dannu pi idda, me ne fotterei se crepasse il mondo intero. L‟importante fossi fikkariccilla a Helena>>. << Ma lu pakkiu è sempre lu stissu>> diceva Prudenzio. << Nonsi. C‟è pakkio e pakkio. Quello di Helena è pakkio nobile e mezzo divino. È o non è la figlia di Zeus. Fikkare con Helena è come fikkari cu na mezza dia. È sintirisi, se non in cielo, a metà strada senz‟altro>>. << E poi è bona. Troppo bona, bonissima è. E dicono che abbia una cosa in comune con Aphrodyte>>. << Certamente, il buttanesimo. La buttana universale e la buttana terrestre>>. << No. Hanno in comune il pakkio spilato di matri natura. Pakkio allegro e sempre sorridente. Pakkio che rende allegra e pitittosa e vogliosa al massimo la minkia>>. << Beato Mynkyalao. E beata la sua minkia>>. << Beato Teseo che la ingignò. E beata la sua minkia>>. << Beato cu ci la fikka, la minkia>>. << Ma lo sapete che ci sta un mistero sulla vita di Helena. Pari che Teseo la misi incinta e idda poi kakau nu picciriddu ca scumpariu dalla circolazione>>. << Ne ho sentito parlare, kazzi suoi comunque>>. << Sentite picciotti, a forza di parlare di Helena, a mia mi è venuto un‟aceddu priapescu. Pertanto vado al lupanare. Se ci volete venire, fate pure. Altrimenti arrivederci e buone minate>> diceva Filostrato. E in tanti partivano per il lupanare. Arrapati dal pensiero di Helena, kunno mezzo umano e mezzo divino. Kunnu forse sfunnatu da Teseo, kunnu forse già madre, kunnu destinato a Mynkyalao, desiderato da Agamynkyone, ma anche da tutti gli altri maschi in attività. Kunno destinato a fare dannu. “La fimmina ca si fa kunnu porta sulu vai na lu munnu” diceva un detto popolare d‟allora. Forse ancora valido. << La vita è una, come la minkia, e se non è un piacere vivere e avere sulla koppola della minkia Helena, a che minkia serve vivere a Munypuzos e avere una minkia?>> era una della tante varianti della domanda base per cui era famoso il filosofo Sokratynos da Munypuzos, uno dei frequentatori chiù assidui del Plutocircolo. --- Tra i frequentatori del Plutocircolo c‟era Dyceomynkyopoly, il cittadino giusto per eccellenza, che mai niente negava e mai niente imponeva. Parlava spesso usando le rime e paria che recitava. Ma era sempre giusto. Al collo portava la collana fallica, detta Phallaryo, praticamente tanti falletti più un fallone come pendente. Era un adepto fanatico del Priaprismo. Eppure era ateo. << Helena è bona, ma è lei che decide con chi fare lampi e trona. E lei che sceglie la minkia adatta >>. << Se t‟attisa l‟uccello vai al bordello. Là, qualsiasi minkia trova la sua soddisfazione>>. << Agamynkyone però è un re un po‟ koglione>>. << Problemi nichi cu na minkia nica, problemi ranni cu na minkia ranni>>. << O ranni o nica, se è in uso, l‟unica soluzione è un portuso>>. << Io cu Purceddopolys fazzu la pace universale, voi fate la guerra e viriti comu vi finisci male>> chiarì Dyceomynkyopoly. << La guerra porta male alla povera gente ma arricchisce il potente>>. << Pi sarvari la minkia di lu re mori genti a tinchitè>>. << Pi sarvari l‟onore della regina mori genti a minkia cina>>. << Pi sarvari l‟onore di li dia mori nu popolo intero e così sia>>. << L‟unica guerra che voglio fare io è quella della mia minkia che imminkia qualche portaminkia>>. << Lavorare per la panza e per la fika è cosa bona , vi l‟assicuro. Lavorare pi lu re vi porterà solo a prenderla nel kulo>>. << Io voglio andare a letto. Il membro c‟è l‟ho eretto... anthegamisu ..vaffankulum.. vaffankulo... all‟orbe e all‟urbe e pure all‟Olympum.. perché mi stanu tutti sul pisum sativum...>> era la frase con cui spesso troncava ogni discussione. E andava veramente a letto. Con chi capitava, la moglie o altro. Gratis o a pagamento. Ma andava a letto per dar sfogo al suo membro eretto. I Plutocircolini apprezzavano le sue massime. E avrebbero desiderato tutti il membro sempre eretto. Come il suo. --C'era una volta l'età dell'oro, poi quella d'argento, di bronzo: al giorno d'oggi Aphrodyte è tutto questo insieme: venera l'uomo dell'oro, bacia l'uomo del bronzo, non scappa mai via dagli uomini che hanno argento. È come Nestore. E credo che Zeus scese da Danae non come pioggia d'oro, bensì portando cento monete. Antologia Palatina --Helena infatti era una picciotta bellissima dell‟aristocrazia di Munypuzos. Sorella di Fikennestra e già causa di liti tra mascoli arrapati in cerca di un kunno bello, nobile e ricco. Agamynkyone stesso aveva cercato di farne sua moglie. Poi aveva dovuto ripiegare sulla sorella di Helena. Ma adesso la vedeva come futura cognata in quanto promessa sposa di Mynkyalao. E da cognata poteva riprovarci. I fatti di pilo in famiglia sono cosa assai assaissimo diffusa. Un kunnu in casa è più facilmente acchiappabile di uno di fora. A parte il fatto che Mynkyalao era anche chiamato Babbalao, perché era si bello e kazzuto ma era anche babbo assai. Insomma, Agamynkyone si la sentiva già sul suo aceddu impalata. La regina minore sulla minkia del re maggiore. Il re minore cornuto a causa del re maggiore. In ogni caso, corna di famiglia. Comunque, al di là della presenza o meno di Helena, tutti i picciotti, nel giorno del mercato, attaccavano a corteggiare. Con la speranza di scopare presto. Speranza possibile. Perché le femmine la davano con facilità. Se non proprio il pakkio, davano il retropakkio. In ogni caso poi c‟era sempre il postribolo. Solo che per spitittarsi ci volevano i soldi. Pertanto , se non avevano i piccioli, si facevano accalappiare da qualche finocchio. Un pompino e una messa in kulo erano meglio che farsela a mano. E poi, a dire il vero, il finocchio faceva sempre un regalino al picciotto che gli passava una bella dote di sasizza. E il regalino era l‟ideale per andare al casino. L‟altro passatempo dei portatori di ciolla locale era il corteggiamento delle donne sposate. Il portone era già aperto. E sperimentare nuova sasizza era sempre piacevole. --Tra i picciotti che si aggiravano al mercato c‟erano spesso Castore e Polluce, i fratelli di Helena, che assetati di pakkio corteggiavano tutto quello che respirava. Purché fosse femmina. Rigorosamente femmina. Corteggiavano sempre la stessa femmina insieme perché insieme la volevano. Era il loro vizio non tanto segreto. Legati sin da piccoli si amavano tantissimo ma non lo avevano mai fatto fisicamente. Non si erano mai reciprocamente posseduti. Il loro amore si manifestava solo nel possedere contemporaneamente la stessa donna. Nello stesso portuoso possibilmente. Godevano nello strofinarsi l‟aceddu l‟uno contro l‟altro dentro uno stikkio femminino. Così come amavano passarsi lu minkiuni da sukare. Erano grandi consumatori di minkiajuana. << Unu lu trasi, l‟autru lu nesci. E di futtiri sempre accussì ci arrinesci>> diceva Castore. << La bedda ciolla mia si strica cu la tua ciolla bedda dintra la stissa vanedda>> rispondeva Polluce. Figli di Zeus e Leda, fratelli di Helena e fratellastri di Fikennestra, avevano litigato già prima di nascere dintra la panza materna. Ognuno voleva uscire per primo. Poi erano usciti insieme. Forse per questo volevano fikkare insieme e nello stesso buco. --Al mercato andavano spesso “i due finocchi”, Adone e Narciso. Erano due amici bellissimi, che amavano andare sempre in giro. Andavano spesso a fare acquisti. Soprattutto a rifornirsi di minkiajuana. Erano uno chiù bello dell‟altro. Questi corteggiavano con successo, ma poi facevano sempre cilecca. Alla fine si consolavano tra loro. Adone, frutto dell‟amore incestuoso di Mirra per il padre Cinira, era uno splendore nel vero senso della parola. Da neonato era tanto bello che aveva fatto impazzire di desiderio anche la dea della bellezza Aphrodyte che l‟aveva nascosto in una cascia. <<Mi lu crisciu pi mia, sulu pi mia. Sarà il mio fottitore personale, il mio minkiobello, la mia ciciaredda >> pinsava la dea. L‟aveva affidato a Persefone, ma pure questa si era innamorata del bel neonato. Tanto da non volerlo ridare alla prima. <<Lu ammucciu e sulu iu mi lu ciucciu>> pinsava st‟autra. Ci funu insomma questioni. Risolte poi con l‟intervento di Zeus. Na vota crisciutu, lu caruso era tanto e talmente bello che a tutti ci facia veniri il pititto. I maskuli gli pizzicavano spesso il kulo. Le femmine lo tastavano altrove. La stessa Aphrodyte pazziava per lui. Ma lui niente. Accettava le coccole e coccolava con arte. Ma al dunque tutto si ammosciava. Nonostante tutto lei lo bramava. Quello che non sapeva fare con la ciolla Adone però lo faceva con le mani. E con la lingua. Toccava che era una meraviglia. Kunnidigitus. Leccava che era un paradiso. Kunnilingus. Comunque Aphrodyte sperava di riuscire a farselo prima o poi. La bellissima e il bellissimo. Per adesso si accontentava di lavorarlo di bocca. Il picciotto gradiva il pompino. La fellatio. <<Tanto farò che la sua minkia avrò>> pensava Aphrodyte. Intanto si accontentava di questi furiosi e soddisfacenti amplessi in cui Adone usava le mani e la lingua. La lingua, grazie alla sua flessibilità, facia veramente miracoli. Anche Narciso appitittava a tutti. E respinse pure l‟amorosa follia di Eco. Condannato ad amare se stesso andò avanti con l‟autoerotismo fino a quando non conobbe Adone. Tra i due fu subito amore. --Quel giorno tra i tanti che si aggiravano per il mercato c‟era anche Pryapo. Cercava, come al solito, minkiateddi da accattari. Ma soprattutto cercava un incontro un po‟ ravvicinato con Alcmhona, una delle più belle donne di Munypuzos. E forse anche l‟unica vergine certifikata rimasta sulla piazza. Vergine ma maritata. Sposata al generale Anfistronzone che aveva rispettato il suo desiderio di arrivare col portone sano al matrimonio. E tale era rimasta perchè nel pomeriggio del giorno delle nozze il marito era dovuto partire per una missione segretissima, una missione militare, nientepopodimeno che ad Atene. Neanche il tempo di consumare con una sveltina. Tanto per.. consumare. Per spalancare o socchiudere il portone. << Dammilla di cursa la minkia>> ci avia detto lei. << Non posso, devo obbedir tacendo>>. << Una botta e via, accussì. Additta. Tanto per sfondare il portone>>. << Al mio ritorno>>. << E se pi disgrazia tu morissi?>>. Anfistronzone si toccò le palle in segno di scongiuro e non rispose. Si li toccò a lungo e con forza. << E se pi disgrazia tu morissi?>> ripeté la donna. << Minkia, chi camurria. Devo ancora pigliare quello che è mio e già mi rompi i koglioni. Alcmhona, ma sei per caso una femmina skassakazzu puru tu?>>. << E se pi disgrazia tu morissi?>> ridisse la donna. << Minkia. Senti bedda, e per colpa tua se tieni quella cosa ancora sana. Prima ho aspettato io, adesso aspetti tu. In fondo il tuo aspettare il matrimonio è stato solo e soltanto un capriccio, il mio invece è solo un dovere. Tu sei chiù strunza di quella strunza sukaminkia di Lisistrata. Chidda cumminciu tutti li fimmini a chiudere putia, e fu allora ca li masculi si misiru a circari masculi, per scaricarsi reciprocamente l‟aceddu. Tu inveci chiuristi la tua alla minkia mia, anzi, a dire il vero, nun ci la rapisti mai. Mi dautu sulu la boccuccia e il popò, mai l‟antipopò. Ma adesso però non ci sta tempo manco pi na visita lampo di lu pipì nell‟antipopò. Comunque io non cercherò altri purtusa. Uomo d‟onore sogno e di parola anche>>. << E se pi disgrazia tu morissi?>> ripetè quella oramai appitittata di ciolla. << Senti, se crepo, ti prometto che il mio aceddu te lo farò recapitare imbalsamato, accussì ti lu sbatti dà. E potrai sempre dire che la tua prima volta è stata con tuo marito. E che minkia. Ciolla morta ma sempre ciolla maritale>>. << E se pi disgrazia morissi io?>>. << Minkia chi pacienzia ca ci voli. Senti bedda, se crepi tu, io vengo e ti la ficcò anche da morta. Sarà necrofilia, ma te lo prometto, ti la ficco anche da morta. Per evitare la contraddizione di essere morta vergine e maritata>>. << Anfistronzone , ti voglio bene, ma in tutto questo tempo una sveltina l‟avremmo potuta fare. Una fikkata lampo>>. << Veramente sì, ma adesso è tardi. Al mio ritorno bel pakkietto dell‟amore mio. Io aspettai a tia, tu aspetterai a mia>>. << Al ritorno, bel minkione dell‟amore mio>>. Così lui era partito. E non le aveva lasciato neanche un Sosia. Adesso erano passati tre mesi. E idda tinia un prurito ca nun si calmava manco cu li sciacqui di camomilla vergine. Pryapo s‟era addeciso che doveva essere lui ad aprire quel portone. In incognito, ma lui. Pertanto cercava l‟occasione per attaccare discorso. In attesa di attaccari qualcos‟altro. Da una settimana ia a pisciare davanti alla casa di Alcmhona. Si scia la pompa e pisciava per un tempo lunghissimo contro la finestra della signora vergine. << Chi fu?>> si chiese Alcmhona vedendo arrivare quello spruzzo. E da una feritoria, non vista, taliau fora. Ma Pryapo, occhio fino, capì d‟essere guardato. << Mizzica, chi mazza. Pari nu sceccu, anzi, di chiù. Pari nu scikkazzu>>. E sospirau. Aveva rifiutato la minkia del marito fino al matrimonio. Poi quello era dovuto partire e lei era rimasta col pitittu dell‟aceddu maritale. Ma chidda del marito si l‟arricordava molto più piccola. L‟avia tante volte vista e tuccata e arrussicata e finanche ricevuta nel popò. Chista era proprio eccezionale. Nun taliò manco il piscione in faccia. Tutta la sua attenzione fu pigliata dallo strumento. E sospirau, arrussiau, si intisi pigliare da una smania e corse al cesso perché per l‟emozione si era pisciata. Si sentiva tutta bagnata. Ma in realtà non si l‟era fatta addosso. Capì che s‟era pisciata di piacere. Adesso era al mercato pi pigghiari una boccata d‟aria. E pi accattari cose a minkia, a kazzo o a ciolla. Perché lei accattava solo cose ciolliformi. La notte non dormiva. Pinsava all‟uomo che da una settimana pisciava contro la sua finestra. Si sentiva anche taliata. Tutti sapevano della sua condizione di femmina maritata e vergine. Le femmine la commiseravano mentre i mascoli la desideravano; ed erano tutti pronti a far le veci di Anfistronzone. Ma lei era fedele. E stava accattando degli orecchini a forma di ciolla quannu si avvicinau nu maskulu. << Salve, Alcmhona bedda, voscenzasabbinirica. E vasamu li manu per non dire altro>> disse l‟uomo. << Non parlo cu li sconosciuti>>. << Ma io ti voglio acconoscere>>. << E io no>>. << A dire il vero ci conosciamo già>>. << Minkiati. Mai vista la tua facci racchia e laria e bruttazza>>. << La faccia no, ma altro sì. Perché le donne non guardano mai in faccia l‟uomo se lo possono taliare in quella che è la parte chiù interessante, anche per valutare se vale la pena o no>>. << Ancora minkiate racconti>> rispose Alcmhona. << Senti bedda, io sono l‟uomo della pioggia>>. << Ahhhh….>>. << Quello che fa chioviri contro la tua finestra >>. Alcmhona non rispose. << Alcmhona, non sai che ti perdi>>. << Vaffankulu>> rispose la donna. <<Dintra il tuo volentieri>> pinsau l‟uomo. La donna tornò verso casa e attruvau lo sconosciuto che l‟aveva infastidita al mercato davanti il suo portone. Stava pisciannu. << Che fai? Purceddu, lurdu, vastasi, porcu, purkazzu>>. << Alcmhona bedda, staiu sulu addimostrandoti che ci sono strumenti e strumenti. E io voglio mettere il mio a tua disposizione>>. << Mai. Meglio morta che impalata da quel palo>>. << Sarai mia tutta. Mia prima di Anfistronzone>>. << Sta minkia, fai una inversione a U e ti la sbatti in kulo tu>> rispose la donna. Nel dire quelle parole si pisciò per il piacere. << Lu surci dissi alla nuci: dammi tempu ca ti spurtusiu. Iu dicu ad Alcmhona: dammi tempu ca ti la ficcu unni vuoiu iu>>. E andò via cantando. << Donne, è qui l‟uccello d‟amore.. Chi lo vuole eccolo qua.. Ch‟ei fa caccia tutto l‟anno.. Vecchie e giovanette lo sanno.. Quest‟uccello ad un mio fischio.. Trova sempre uno stikkio.. Sono allegro, son contento.. Migliore di questo al mondo non c‟è ..>>. --Un altro mascolo si era appitittato di Alcmhona. Si trattava di Zeus in persona. Che stava studiando come farisilla prima del marito. Non Anfistronzone doveva consumare, ma lui. E Zeus, che dall‟Olympazzo avia visto le manovre di Pryapo, non temeva la concorrenza di quel suo nipote. Era sì la minkia più potente dell‟orbe, ma lui era chiù furbo del picciotto. E il portone l‟avrebbe sfondato lui, basta che nel momento della deflorazione non arrivasse Pryapo a cantare. Quel picciotto smontaminkia doveva stare lontano. Quello era uno smontaminkia specializzato. Quello faceva calare la testa pure alla minkia di Zeus. E non solo con la presenza. Anche la voce di Pryapo, che amava cantare canzoni a contenuto piluso, lo smontava. Ci facia arrimuddare l‟aceddu. Anche se l‟aceddu era in volo, precipitava. Si sgonfiava. Accupava. Crepava. << Iddu la voli, ma io l‟avrò. Essere minkia ranni non vuol dire arrivare prima >>. Lui, Zeus, comunque avrebbe aggiunto al suo elenco di fimmini fottute il nome di Alcmhona. E dintra la matrazza avrebbe infilato uno o più pila del desiderato kunnu. << Mi consento di pigliarmi questo kunnus bello, per il piacere del mio glorioso uccello>> canticchiava il capodio tuccannisi con una mano la koppola ca tinia in testa e con l‟altra la koppola della minkia. --Alcmhona la notte non dormiva. Pinsava all‟aceddu dello sconosciuto e lo desiderava. Lo desiderava sano tutto sanissimo. Ciolla compresa. Non sapeva chi fosse quell‟uomo kazzuto ma era uno spettacolo della natura. Certo, era lariu e pilusu come una scimmia pilusa ma tinia na mazza pi mazzuliari fimmini, e non solo, che era uno spettacolo. Poi si scantava e piangeva. Pinsava allora al marito lontano e desiderava la sua ciolletta. Poi si la allisciava nu tanticchia e si addormentava sospirando. Nel sonno veniva lo sconosciuto dalla grande spada di carne e la infilzava alla sanfasò. E lei godeva fino allo svenimento. Allora si svegliava tutta sudata, ansimante, in preda allo spavento e al piacere ma anche tutta pisciata. E capiva che era stato solo un sogno. Per fortuna. O forse per sfortuna. Quella minkia comunque era diventata la sua ossessione. --L'appendice dei ragazzi può avere una triplice forma, Diodoro: te ne dirò tutti i nomi. Quando non l'ha ancora toccata nessuno si chiama cosino, pisello quando comincia ad essere florida, quando vibra nella mano lucertola, quando è adulta, sai bene come si chiama. Antologia Palatina --Adone e Narciso si erano conosciuti nel bosco di Mynkyalonya. Narciso scappava dalle offerte amorose di Eco. << Narciso.. iso. .iso.. iso..fammi tua.. ua.. ua… ua…ficchimilla.. illa.. illa.. illa.. >>. Quando scappava andava ad infilarsi in una filazza della roccia che immetteva in un piccolo laghetto. Qui si levava la tunica e si contemplava nello specchio d‟acqua. << Comu sugnu beddu, dalla punta di lu nasu a chidda di l‟aceddu. Sugnu propria biddazzu, da la punta di lu peri a chidda di lu kazzu. Nu fattu è sicuru, sugnu beddu magari di kulu. Io mi amo, mi amo. Mi amo all‟eccesso e fazzu l‟amuri con me stesso>>. E nel dire questo si impegnava con fervore nelle pratiche autoerotiche. Insomma, si la minava. Generalmente si metteva in acqua, con i koglioni a mollo e la minkia di fuori. E nel minarsela taliava la so minkia e l‟immagine della so minkia riflessa dall‟acqua. E ci paria di minarsela in compagnia di un amante sconosciuto. Ma un giorno, intanto che faceva tutto questo, visti sciri un picciotto bello come il sole dall‟acqua. Paria la sua immagine, paria un suo gemello. Il picciotto si avvicinò a Narciso e ci desi na mano. Narciso lassau fari. Anzi ricambiò. Era cummintu di fari lu mina mina con se stesso. Per una magia si era materializzato un secondo se stesso. Ma era un altro. E nell‟acqua le minkie adesso erano quattro. Due ciolle reali e due ciolle virtuali. Una bella illusione ottica. Ma la minata reciproca era diventata realtà. << Narciso, io ti amo>> disse vinennu. << Adone. Mi chiamo Adone. E ti amo anch‟io>>. Accussì iniziò la storia omo tra i due. E avevano deciso anche di sposarsi al più presto, grazie ai Pacs. Patti d‟Amore Cazzo e Stikkio e non solo. Corteggiavano sempre li fimmini ma poi si futteunu a vicenda. Dopo aver però discusso a lungo sul tema “io prima la ficco a tia o tu prima la ficchi a mia”. E siccome non arrivavano mai alla soluzione iniziavano a lottare. Era una lotta amorosa, ideologica, morale, intellettuale , erotica, sentimentale e soprattutto fisica. Perchè prima o poi uno dei due riusciva a mettere l‟altro sotto e a piazzargliela nel kulo. Era tutto un guizzare di muscoli, un strofinio di corpi, un darsi baci, muzzicuna e alliccati. Ma anche un darsi manate e carezze. Era una corpomachia, una manimachia, ma soprattutto un bikazzomachia. Una sorta di “Jus primae inkulatorum”. Perché poi, democraticamente, toccava all‟altro ricambiare il favore e l‟onore. Purtroppo in contemporanea non potevano farlo. Era possibile il simultaneo coitus manualis e la fellatio ma l‟analis no. Neanche ricorrendo a tutte le tecniche acrobatiche di questo mondo. Almeno a quelle conosciute allora. Bisognava procedere uno alla volta. Pertanto doveva sempre esserci uno dei due che doveva essere inchiappettato per primo. Neanche nel Munypuzosutra ci stava una pratica democratica per quella forma di sessualità. --Nello stesso laghetto veniva, dopo ogni avventura amorosa, Pryapo. Veniva a farsi un bel bagno nelle chiare, freschi e dolci acque, ma soprattutto a lavarsi il rosso palo sempre tiso. Ma non aveva mai incontrato Narciso e Adone. Per i casi del caso. Li conosceva soltanto di vista. Se quelli erano i due finocchi belli, lui era il dio kazzuto e lariu. Ma una mattina , dopo aver fatto una bella nuotata sott‟acqua, appena sciu si attruvò i due che amoreggiavano. Si vasavano e si tenevano in mano l‟uno il coso dell‟altro. Taliò con interesse lo spettacolo. Una bedda bimentulamachia manuale. Taliò pertanto con curiosità. Curiosità di testa , di ciolla e finanche di kulo. I due belli erano tanto presi dal loro gioco amoroso che non notarono l‟uomo kazzuto che li osservava. Pryapo non aveva mai avuto esperienze omo. O meglio, l‟aveva messo in kulo ai ladri ma solo per dovere istituzionale. Solo dovere e basta. Pratica d‟ufficio. Lui purtroppo aveva il compito d‟inkulare i ladri per punizione. E lui lo faceva per bene il suo lavoro. Senza provare piacere. Quindi con inaudita violenza gli spaccava il kulo, li faceva tutti dei kuliaperti. In tanti comunque l‟avevano stuzzicato a causa del suo bel culetto, che era tale e quale quello di mamma Aphrodyte. Lui delle volte era stato al gioco. Tanto per giocare, per stuzzicare. Non certo per concludere. Se passava la minkia ai ladri per dovere non aveva mai passato la stessa per piacere a dei maschi, e men che meno se l‟era fatta passare. Era etero al mille per mille, al milione per milione, al miliardo per miliardo. A parte i kuli rotti per dovere d‟ufficio. Ma non sempre i kuli che skassava per lavoro erano di maschi. In netta minoranza, ma c‟erano anche le ladre femmine. A volte stava al gioco. << Prima mi dai il tuo di culetto che poi io ti do il mio>> provocava Pryapo. << Sì>> rispondevano quelli. A questo punto lui tirava fuori la consistente sorpresa. E i maskuli, vedendo quello che c‟era davanti, si spaventavano e fuggivano. Una cosa era andare in kulo a Pryapo, ma se Pryapo voleva andare in kulo a loro erano kazzi amari. Se per caso accettavano era Pryapo che si tirava indietro. Lui era etero. Rispettava tutti ma personalmente era etero. Almeno fino a prova contraria. Anche se ogni tanto ci vinia il pititto di una avventura omo. Non da amante ad amato. O viceversa. Ma da amante ad amante. Pari diritti e pari dignità. A Munypuzos d‟altra parte vigevano legalmente tutte le unioni. Bastava registrarsi e tutti potevano formare una coppia. Pacs, si chiamavano questi legami. Senza benedizione di Zeus o di qualche altro suo collega, in tanti si mettevano insieme e si registravano come famiglia. Non era importante il sesso, l‟importante era essere in due e avere un legame. Narciso e Adone per esempio lo stavano per fare. Stavano per mettere su famiglia. E Pryapo era favorevole a tutte le unioni possibili e immaginabili. Anche se lui era etero tutti dovevano vivere liberamente la loro sessualità. D‟altra parte l‟Olympazzo era un futti futti generale. Ma attualmente a lui il sesso omo non interessava, a parte le pratiche d‟ufficio. << Però, mai dire mai>> disse a se stesso. E infatti tinia un poco di pititto di quel tipo da tempo. Voleva sicuramente un uomo come femmina ma forse voleva anche essere la femmina di un uomo. Quello spettacolo comunque lo intrigava. Attualmente invece lui inkulava per dovere solo i ladri. Li stuprava e basta. Veniva nei loro kuli ma non provava piacere. Poteva anche finire in bocca ai ladri ma non provava neanche in questo caso piacere. Solo e sempre stupro. Inkulare un ladro o tappargli la bocca era solo una pratica d‟ufficio. Lavoro e basta. <<Mai dire mai, ma per adesso dico no. O forse dico solo forse. Quannu capita capita. Perché la ciolla vorrebbe e a quanto pare pure il mio kulo vorrebbe e in bocca ho una acquolina che pare sia solo il frutto del pititto di sukare>> pinsava democraticamente taliando quei due. Belli e senza un pilo erano i due amanti. Mentre lui di pila era pieno. Eppure suo padre ne aveva pochissimi di riccioli sul pene e sua madre addirittura era pakkio spilato di madre natura. Lui invece era una quasi scimmia , a parte il kulo. Ci vinni pititto in quel momento di vivere una storia omo per passione e non dovere. E ci vinni anche il desiderio di scipparisi li pila. Di spilarsi tutto. Ci vinni il pititto di fare presto l‟una e l‟autra cosa. Di avere un corpo spilato e un kulo sfunnato e di saper fare dei bei pompini. Tutto voleva spilarsi. Anche i riccioloni che decoravano l‟aciddazzu voleva scipparsi. Intanto quello spettacolo lo stava eccitando e turbando. <<Come sunu belli. Come si la minano bene>> pinsava il dio minandosela. Senza dire niente , se la stava minando pure lui. Poi puntò l‟arma contro quei giovani in amore e si concentrò al punto tale che in quattro e quattrotto vinni. La sua simenta arrivò addossò ai picciotti. Che si scantanu vedendo Pryapo. Poi videro l‟arma di carne e si scantanu chiù assai. << Se chissu ni pigghia ci la fikka in kulu e ci la fa sciri da la ucca >> disse Adone spaventato assai assaissimo ma desideroso di sperimentare. << E se ci la duna a sukari ci fa cripari soffocati>> rispose Narciso scantato tutto sano sano ma inconsciamente desideroso. << Scappiamo>>. << Scappiamo>>. E fecero per scappare. Nudi e con l‟aceddi tisi. Pryapo visti due culetti che lo mandarono in visibilio. Come scappavano quei culetti. Quattro natiche quattro che fuggivano. Che spettacolo quella coppia di kuli. << Non abbiate paura. Adone e Narciso belli. Voi a me siete cari assai, soprattutto Adone. Caro a mia come caro è a mia madre Aphrodyte, detta anche Kunnuspilatu. Cari, non scappate>>. << Minkia, ni canusci>>. E si bloccarono di botto. L‟aceddi già sgonfi per lo scantazzo. << Sono il dio Pryapo. Il figlio di Aphrodyte, quella che pazzia assai assaissimo per tia, Adone bello. E dovete sapere che non ho intenzione di farvi del male. Avreste dovuto arriconoscermi dall‟aceddu, solo il mio in tutto l‟orbe è accussì grande>>. << Ver‟è. Voscenzasabbinirica. E vasamu li manu e li peri>> dissero i ragazzi . << No, non datemi del voi. Datemi del tu>> propose Pryapo. << Certo, toscenzasabbinirica.. e vas…..>>. << Niente formulette giakulatorie e minkiate varie, niente vasamu li manu e li peri. E nient‟altro naturalmente>> . << Chi diu democratico>> dissero i ragazzi. Poi tornarono indietro e raggiunsero il dio. Parranu assai. Addivintanu amici. << Io, Pryapo, garantirò a vita la consistenza del vostro aceddu per il vostro piacere personale. Per Zeus e i suoi zeussoni >>. << Grazie. Per Pryapo e i sui pryaponi>>. << E allora io dico: per Adone e i suoi adononi e per Narciso e i suoi narcisoni>>. << Adonini. Al massimo adonini i miei koglioncini>> disse Adone. << Narcisini. Al massimo narcisini i miei testicolini>> disse Narciso. Risero. Adone e Narciso si talianu in faccia e sparanu la dumanna. << Pryapo, ti lu putemu tuccari?>>. Il dio dal rosso palo li taliò un attimo e decise di dare via libera alla sua componente omo. Di dare via al libera al suo omoerotismo. Ma solo alla parte attiva. << Sì, fate pure. Se volete, minatimilla pure. E se siti assetati, abbeveratevi. Mai rifiutare da bere agli assetati>>. Adone e Narciso ci la minanu e poi si bivenu nu tanticchia di latti di brigghiu. Quel giorno nasciu una bella amicizia basata sul fallo. << Semu li tri minciazzi>> disse Pryapo. << Facemu una minciazza e due minkiette>> risposero i ragazzi. << No, quello che conta è la media>> rispose Pryapo. Risero tutti. A Pryapo però per la prima volta ci pruriu lu kulu assai assaissimo. Ci mangiau lu kulu. Ci vinni pitittu di farisi al più presto insasizzare. Il dio dal rosso palo li taliò un attimo e decise di dare via libera alla sua componente omo. Di dare via al libera al suo omoerotismo. Sia alla parte attiva che a quella passiva. <<Sono bellissimi. Potrei provare a farmi inchiappettare da loro. Mai dire mai. Adesso potrei dire sì. La bellezza va gratifikata>> pinsò nella sua testa divina. << Scusate, picciotti, posso chiedervi un cosa ?>> chiese poi Pryapo. << Minkia, lu kulu voli>> si chiesero i ragazzi. << Chi voi, amicu beddu di kulu e d‟aceddu?>> dissero. << Sapete, io che passo per pornofilo ed erotomane, io non l‟ho mai pigliata in kulo>>. E si bloccò. E cangiò idea. Un improvviso retromarcia. <<La voli in kulo da noi?>>pinsanu li carusi. << Volete farmi vedere come fate?>> chiese infine. <<Ahhhh… non poteva essere ca un dio vulia in nostro aceddu>> si dissero mentalmente. Adone e Narciso si talianu in faccia. Si fecero un dialogo muto ma esaustivo. << Sì>> risposero. E si esibirono dopo la solita querelle. Uno spettacolo dal vivo per Pryapo, solo per lui. << Io prima a tia o tu prima a mia>> si dissero come al solito. Pryapo taliò incuriosito ed estasiato. La discussione erotica, il maneggio del manico, la lotta per vedere chi finia sotto l‟altro . <<Bello spettacolo. Violento al punto giusto. Mi piace. Erotico, appassionante, travolgente, appitittante, infiammante, eccitante>> pensò Pryapo. E decise di dare via libera al suo omoerotismo tout court. Poi disse: << Picciotti, mi volete dare questa grande soddisfazione a mia? A mia che l‟ho sempre data alle femmine, mi la volete dare voi questa grande soddisfazione?>>. Adone e Narciso si talianu in facci. << Grande non proprio. Se proprio vuoi ti possiamo dare una piccola soddisfazione. Tranne che poi tu non ci vuoi dare chidda granni a noi>>. << No, no. Tranne che non lo desideriate. Io comunque desidero voi>>. Adone e Narciso si talianu. Lo desideravano ma si scantavano. << Lu vulemu, ma tutto no. Non per qualche cosa, solo che lo spazio non c‟è>> precisò Adone. << Tutto sarebbe impossibile>> aggiunse Narciso. << Ricordatevi la saggezza popolare: la casa capi quanto vuole il padrone>> disse Pryapo. << Fino a un certo punto, se la casa è nica, è nica. Facciamo sulu la punta>> dissero i ragazzi. << Sulu la punta, d‟accordo. Come dire, n‟assaggio. Ma dopo di voi>>. << D‟accordo>> dissero in coro. Adone prima e Narciso poi trasenu in quel kulo. Dopo la solita litigata. Gudienu assai pinsannu a chiddu ca li aspettava. A Pryapo ci parse appena un solletichio. E rimpianse quella volta che aveva detto “ No” a lu sceccu. Comunque decise che il sesso è sesso e basta. Etero o omo, mono, bi e pluri, sono solo distinzioni morfologiche stupide e bigotte. Poi fu Pryapo che ricambiò il favore a Narciso prima e ad Adone poi. Solo la punta. Ma quelli dicevano :<< Ancora.. ancora … tutto.. magari n‟autro pizzitto>>. << No.. solo la punta .. altrimenti facciamo danno.. e poi i patti sono patti>>. << Tutto.. tutto.. tutto..>> gridavano quelli. << Non è possibile, giuro. Avendo una ciolla come la mia è un problema iri in kulu e a volte anche in kunnu. Sono poche le femmine che possono permettersi sta cosa sana sana. Solo le femmine femmine possono permetterselo, perché il piacere ci allarga la domus mentula all‟inverosimile>>. << Beate loro, ca si pussierunu sta cusazza sana sana>> dissero i ragazzi. Alla fine, assittato in mezzo ai due picciotti, intanto che Adone e Narciso si taliavano negli occhi ma con le mani gli tenevano l‟aceddazzu, Pryapo , che a sua volta teneva in mano gli acidduzzi dei carusi, cantò com‟era solito fare. Ma intanto ci vinni una bella idea. << Ottimi giovani, con gioia accetto il vostro amore. Nei vostri cari sederi scoprirò la mia felicità. Ma ahimè, se dolore crudele seguirà il nostro amore, lo compensi la gioia di scopare. Giovinetti, pensateci bene. Nulla mi è più prezioso e caro del vostro kulo e della vostra mano. Colmo di puro fuoco d‟amore vi do in pegno il mio fallo e il mio cuore>>. Alla fine della cantata palesò la pinsata che aveva partorito. << Sentite, beddi carusi, ma pirchì nun facemu nu esperimento? >> chiese Pryapo. << Subito, a disposizione. Illuminaci>> dissero all‟unisono i due ragazzi che oramai avevano perso lu scantu e si aspettavano solo piaceri infiniti. << Mittitimilla in kulo contemporaneamente>>. << Subito, ma illustraci la posizione>>. Pryapo li fici mettiri distesi per terra, peri contro peri. Poi li fici scivolare l‟uno contro l‟altro. Le gambe alla fine formavano la lettera X. Le palle dell‟uno toccavano quelle dell‟altro e le ciolle tise pareunu due colonne accostate. Pryapo ci si assittò di sopra e si li sukau col kulo. Con difficoltà all‟inizio, per il coordino dei movimenti, Adone e Narciso poi pigliano il ritmo e gudenu alla sanfasò. << Minkia chi è bellu, iri na lu stissu kulu in compagnia del tuo uccello>> disse Adone. Pryapo da parte sua decise che il sesso andava vissuto in tutte le direzioni possibili. << Senti Pryapo beddu >> chiese Narciso<< Ma nun ci sta un modo tale che io e Adone ci la putemu mettiri in kulo reciprocamente ma anche contemporaneamente? Sai, dobbiamo sempre litigare amorevolmente per stabilire chi incomincia. A noi farebbe piacere sunariccilla reciprocamente in kulo. Reciprocamente sì, ma contemporaneamente però>>. << Ver‟è, ci piacissi assai>> rispose Adone. Pryapo ci pinsò un attimo. << Siti sicchi, magri, in forma, giovani, con capacità contorsionistiche ottime. E soprattutto aviti una ciolla bella lunga. Ci sta una soluzione>>. << Insigniccilla. Insigniccilla>> chiesero all‟unisono. << Subito, immediatamente e con piacere sommo>>. << Mittitivi assittati kulu per terra, uno di fronte all‟altro. Poi avvicinatevi l‟uno all‟altro incrociando le gambe. Ecco. Accussì. Adone, la tua coscia destra supra a chidda di Narciso. Tu, Narciso, fai la stessa cosa con l‟altra coscia. Ecco, adesso siete biddicu contro biddicu, le vostre ciolle si toccano, i vostri cappicia pure, le labbra si sfiorano. Ecco. Adesso intrecciate le ciolle, incrociatele, sono ancora mezzo mosce. E al momento devono restare mezze mosce. Cercate di autocontrollarvi, di non eccitarvi. E adesso puntate ciascuno la koppola della minkia contro il buco del kulo dell‟altro. Ecco, così. Sentite adesso la koppola della minkia dell‟altro contro il vostro buco del kulo. Non agitatevi. Non eccitatevi eccessivamente. Adesso fate del vostro kulo un pompa aspirante. Sukatevi col kulo la koppola dell‟aceddu. Ecco, così. Sentite che trasi. E adesso andate avanti>>. Adone e Narciso eseguirono gli ordini con deontologia professionale, tutto come ordinato. Era bella la sensazione di quelle due minkia incrociate. Ma il bello è che riuscivano ad autocontrollarsi. A non eccitarsi troppo, come ordinava Pryapo. La sensazione chiù bella era stata quella della koppola che puntava al kulo dell‟amico mentre quella dell‟amico puntava al proprio. << Ecco, adesso iniziate a muovervi a poco a poco, con calma. E la ciolla attiserà quanto basta, quanto basta per non fare danni ma anche quanto basa per fikkarsela sempre più reciprocamente in kulo>>. Adone e Narciso eseguirono gli ordini e accussì si ficiru la prima inkulata simultanea. << Grazie Pryapo, come ti possiamo ringraziare?>>. << Accompagnandomi da una brava o bravo spilatore, quanto mi spilo tutto. Sono stanco di essere piluso come una scimmia pilusa>> chiese Pryapo. Adone e Narciso risero. Loro erano glabri. Si spilavano pure l‟aceddu . E lo facevano fare alla sorella gimella di Narciso, ca di nome facia Narcisa e di mestiere la spilatrice. << Pryapo, ti metto nelle mani di mia sorella gimella. Ci vorrà tempo ma ti spilerà tutto. Senza dolore ma con piacere>>. << E come spila? A macchina o a mano? >>chiese il dio ridendo. << Accussì>> disse Adone tirannici l‟aceddu e ridendo alla sanfasò. << Accussì>> disse Narciso scippannici di botto un pilo dalla minkia e ridendo anche lui alla sanfasò. << Ahhhhhhhi.. vi scippu l‟aceddu a tutti e due e mi lu mangiu>> disse il dio ridendo ancora chiù assai e sempre alla sanfasò. Adone e Narciso scappanu. Lui li inseguì. Iucanu assai in quelle chiare e fresche e dolci acque. Iucanu di manu, bocca e kulo. Protagonisti soprattutto li tri aceddi. Pryapo, grazie ad Adone e Narciso, scoprì ufficialmente l‟amore omo. Quella volta fu la sua prima “presa in kulo”. La sua verginità kulare fu presa da quei due giovani bellissimi. Ed uno era minkia partaimmi cu la mamma. Anche se madre e figlio ne facevano un uso diverso. Pryapo l‟aveva avuta, mamma Aphrodyte no . << Adone , fammi un piacere>> chiese Pryapo << Il mio kulo è tale e quale quello di mia mamma. Allora promettimi una cosa; daccillu almeno in kulo a mia mamma>>. << Promesso>> rispose Adone. << Grazie, a nome di mia mamma>> rispose Pryapo contento. Poi si fumanu minkiuna su minkiuna e ancora minkiuna. Ma iucanu magari cu li loro tri ciolle, li loro tri kula, li loro tri bocche e naturalmente li loro sei mani. --A taliare tutti le storie di pilu ci stava sempre lui. Bimentulamachie, bikunnomachie, kunnomentulamachie, polikunnomentulamachie. Lui osservava tutto. Anche quannu erano in tri o più, lui taliava tutto. Dall‟assolo all‟orgia. Perché lui era la causa di tutto. Eros era il suo nome. Ed era fratasciu di Pryapo. Eros, il figlio di Aphrodyte e di Ares, appena sciutu dal pakkio materno si misi a volare casa casa. Perchè lu picciriddu era dotato di ali. Abbulava per andare a sukarisi il latte dalle belle minne della mamma. Volava per giocare, volava per passione e piacere. Ma era anche un pericolo, quannu vulannu vulannu, ci scappava di pisciare o kakari, perché la lassava cadere unni capitava capitava. Con la ciolletta divina o col culetto bellu, lu iarruseddu paria pigghiari la direzione giusta. Perché ogni volta che si liberava del liquido o del solido beccava qualcuno. E aveva anche delle preferenze. A Zeus, per esempio, ci piacia colpirlo sul naso, alla mamma sul culetto, a Pryapo sulla ciolla. Neonato ma già teneva un bel vizio. Oltre a quello di beccare con la cacca o la pipì qualcuno dell‟Olympazzo, al picciriddu ci piacia taliari la gente impegnata nell‟ars amandi. Ci piacia assai assaissimo. Poi un giorno attruvau un arco e delle frecce. Le frecce non avevano la solita punta. La punta era o una minciaredda o nu sticciareddu. Ed erano d‟oro o di piombo. Eros ne tirò qualcuna a caso. E capì che quelle frecce potevano far scoppiare l‟amore di una persona verso n‟autra. Ma anche farlo finire. E non aveva importanza il sesso. Se colpiva un mascolo con una fallofreccia quello si innamorava di n‟autru mascolo. Se colpiva una femmina con una kunnofreccia quella si innamorava di una femmina. Non era amore amore quello che scoppiava. Era amore passione, amore fuoco, amore carnale divorante, incendiante, consumante, ma dava l‟estasi, il paradiso. Naturalmente Eros colpiva generalmente i mascoli con una kunnofreccia e le femmine con una fallofreccia, ma ogni tanto facia confusione. Oppure si sbagliava. Oppure lo faceva apposta. A volte addirittura colpiva le persone sbagliate, ma orami il danno era fatto. E quel che doveva accadere accadeva. Aveva sbagliato con Eco e Narciso e con tanti altri. E continuava a sbagliare. Crescendo continuò a fare quel lavoro. Bello e sempre nudo, a parte la koppola , l‟arco e la faretra sempre piena di frecce, si passava il tempo a frecciare. E unni acchiappava acchiappava. Poi si godeva lo spettacolo. Un giorno la mamma lo pregò di punire una puttanella che s‟era montata la testa. Tanto che si sentiva chiù bella di Aphrodyte. << Eros mio, falla innamorare di l‟omino chiù brutto di lu munnu>>. Eros, pi accontentare mammina e farici pure uno scherzo, pinsò al suo caro fratellastro Pryapo. <<Brutto sì, ma la megghiu ciolla di lu munnu pi chidda ca si considera lu chiù beddu kunnu>>. E partì pi realizzare l‟impresa. La ragazza tutti li iorna, a mezzodì, si facia lu bagnu nel lago di Munypuzos. Poi tornava a casa. Era la figlia piccola di un nobile di Purceddopolys, il paese che fronteggiava Munypuzos. Eros arrivò che la picciotta si stava spogliando. Preparò l‟arco con la freccia e si posizionò per frecciare. Ma poi addecise di godersi lo spettacolo. Era bona assai veramente la picciotta. Avia un kulo che per circumnavigarlo ci vulia arte ed esperienza. E due minne che per scalarle ci vulia l‟esperienza di la gente di montagna. Taliò con gioia e piacere. E con gioia e piacere taliò il suo aceddu. << Dopo la freccio>> disse. << Dopo, dopo. Invece adesso dammi una mano>> gli suggerì l‟aceddu. E tutto preso dallo spogliarello attacco a minarisilla. Solo che per sbaglio, preso com‟era dalla foga minatoria, desi na pedata all‟arco con la freccia. L‟arco naturalmente lassau partire la freccia che aveva pronta. Accussì Eros si acchiappò in pieno il piede sinistro. E fu preso da amore improvviso per la picciotta . L‟amore si manifesto nella sede adeguata. Era nudo e non sapeva come cummigghiarisi. Si la riminò ma lo strumento restò tiso. Alla fine pigliò la faretra e si la piazzò sulla sciabola di carne. << Minkia chi danno! E adesso cu ci lu dici alla mammina? >>. Senza dire niente alla mamma sull‟errore commesso si astrummintau su come consumare l‟unione. Pinsau di fare tutto al buio. Psifika, questo il nome della ragazza, accettò le condizioni di quell‟uomo che nel buio della notte la mandava in estasi con le sole parole. <<Se mi fa quest‟effetto con le parole cosa mai mi farà con la minkia?>> si addomandava Psifika. I due scoparono alla grande per parecchio tempo. Purtroppo, parenti serpenti, le sorelle zitelle incominciarono, per pura e semplice gelosia, a tormentarla con dubbi sempre più grossi. << Sarà lariu, sarà un mostro, sarà nu vecchio, sarà deforme, sarà accussì, sarà accuddì>>. Alla fine la convinsero a fare na minkiata rossa. Di notte, quando lui si addormentava spossato dalla troppa fika di Psifika, lei doveva accendere il lume e taliallu. Tanto per accertarsi di come stavano le cose. Psifika fece come concordato. E vide il picciotto chiù bello che i suoi occhi nobili avessero mai visto. Dormiva a pancia in giù ma con la faccia girata verso di lei. Era bello di facci e pure di kulo. Vidi pure l‟arco e la faretra e capì chi era l‟uomo misterioso. Si lu taliò tutta la notte, sperando che si girasse pi taliari anche l‟altra freccia, quella che le dava tanto piacere. Ma il picciotto non si firriava. Allora ci si misi accanto e ancuminciau a tuccallu piano pianissimo. Spirannu ca si firriassi. A un certo punto Eros si firriò. E nel vedere la freccia di carne dell‟amore tisa e splendente ittau na uci e fici cariri nu tanticchia di olio caldo proprio sulla ciolla. O meglio, sulla striscia di carne che circonda la koppola della ciolla: il prepuzio. Eros si svegliò gridando:<< Ahhhh.. la koppola della minkia mia si ustionò>>. Capendo di essere stato scoperto nella sua vera identità, acchiappò la koppola, la faretra e l‟arco, e fuggì. Con la cima della minkia che gli faceva male. << M‟arruvinau la buttanazza curiosa. Pi curpa di li so soru, li buttanazzi. Zitelli sunu e zitelli devono restare. Anzi, adesso li faccio morire di pititto>>. Siccome il dolore gli era passato iu a casa delle mancate cognate. <<Organizziamo la minnitta. Mi arruvinarunu la minkia, gli arruvinerò la vita>> pinsò. Nudo, ma con la faretra davanti alla ciolla pendente, si presentò alle donne. << Mi volete ?>> disse << Sono vostro cognato>>. << Sì>> riposero quelle. << Volete a mia o a lei? >>chiese Eros liberando la ciolla che penzolava come nu battagghiu di campana. << A lei, a lei, ch‟è proprio bedda. Basta che ci fai le stesse cose che fai a nostra sorella>>. << A disposizione, ma dovete sapere che con i vostri consigli mi l‟avete rovinata. Una stizza di olio bollente cadde proprio sulla punta e mi la abbruciò>>. << Mischina la ciolla, ma funziona ancora?>> chiesero le donne. << Non lo so>> rispose ironico Eros. << Vediamo, facciamo la prova>> domandarono le sorelle. Eros si distese e le donne attaccanu a tuccaricilla. La minkia vunciau in un amen. La koppola si scoppolò. Ma nel prepuzio ci stava la bruciatura. << Era bella la minkia mia, senza macchia alcuna. E adesso è laria e brutta. È na cosa tinta e fitusa>>. << Sempre bella è. Bellissima è. La macchia è na cosa nicaredda. L‟importante è ca questa minkia sappia fare il lavoro di minkia. Ma tu daccilla allo steso modo in cui la dai a nostra sorella>>. << A chi la devo dare prima? A Kunnetta o a Fiketta ?>>. << A mia>> disse Kunnetta. << A mia >> disse Fiketta. << Sentite, belle mie, la ciolla è una e li stikkiaredda sunu dui. Facciamo un gioco: io scappo e voi mi inseguite. La prima che mi acchiappa mi farà suo. Poi toccherà all‟altra>>. << Va bene, ma almeno faccilla tastari, per sapere comu sapi>> risposero le donne. << Va bene, alliccate pure ma insieme>>. Le ragazze alliccanu.. la cosa ci sappi tanto bella ca ci scienu li siensi per il troppo piacere. Eros osò di più. Vinni in faccia a quelle, che si alliccanu la simenta. L‟effetto fu pari a certe sostanze allucinogene. Volevano la ciolla ad ogni costo e ci la staunu scippannu. Eros scappò e loro l‟inseguirono. Scappò verso l‟Etna, salì sul cratere e si distese sul bordo. E attese l‟arrivo della prima con tanto di ciolla tisa. << Ti pigghiai finalmente, adesso fammi tua..>> disse Kunnetta. E si lanciò verso la preda. Invece perse l‟equilibrio e cariu dintra l‟Etna. La stessa cosa successe a Fiketta. Dopo, intanto che c‟era, fici una visita a Efesto, il marito di sua madre, che con l‟aiuto dei ciclopi, travagghiava dintra l‟Etna. << Zietto, chi dicunu li corna?>> chiese vedendo Efesto. << Mi prurunu chiù assai di l‟aceddu. Ma dimmi? Perché hai sacrifikato li du stikkiaredda sani di Kunnetta e Fiketta? Me li potevi portare vive, accussì li inciollavo un po‟. Ca adesso è assai assai che non ficco>>. Eros gli raccontò l‟accaduto. Efesto rise. Era lariu, tuttu arrustutu pi lu troppu cauru, sudato come nu cani e la ciolla, laria puru idda, paria nu tizzuni ardente. Se futtia cu qualcuno ci ustionava il pakkio, come minimo. << Minkia. La koppola della minkia ti abbrucianu. Fammi talari>> chiese Efesto. Eros ci la fici abbidiri. << Nenti è, minkiati>>. << Sulu ca è antiestetica. Io ci tengo alla bellezza mia in tutti i punti del mio corpo, pertanto anche sulla punta dell‟aceddu>>. << Se quella macchietta proprio non ti piaci, vai da Asclepio. Iddu attroverà una soluzione>>. << Grazie per il consiglio. Ciao>>. <<Ciao. E se vedi quella buttanazza di mia moglie, o se preferisci, quella buttanazza di tua madre, salutimilla. Quanto prima la verrò a trovare pi purtarici na minkia bella calda. E si la dovrà sukari. Voli o nun voli, è quella del marito. Lariu , bruttu e sciancato ma suo marito>>. << Ti la saluterò, ma stai sicuro che quella fikka a minkia cina. Non sente la mancanza della tua minkia arrosto>>. << Che vuoi? Aphrodyte è buttana di natura>>. << E tu, curnutu di natura>>. << E tu, testa di minkia pi scelta>> rispose Efesto. << Pi scelta però>>. --Eros iu a circari Asclepio, il figlio di Apollo. E ci contò la faccenda. << Videmu>> chiese il dottore. Taliata la cosa sparò la sentenza. << Niente è. Minkiatedda di minkia>>. << E antiestetica però>>. << Bihhhh.. Chi si smurfiusu e iarrusu. Chiù vanitusu di certi fimmini ca si spilunu puru lu pakkiu pi farisillu comu a chiddu di Aphrodyte. L‟importante, Eros beddu, è che funzioni l‟aceddu>>. << Funziona, certo che funziona, ma è antiestetico. Lu capisci o no? O sei chiù testa dura della minkia di Pryapo>>. << Pensa a quanti mascoli la vulissiru tutta macchie e altro, purché funzionante>>. << Io la voglio bella com‟era. Funzionante ma bella>>. << Fammi pensare. Ci sta la soluzione. Adesso io invento la fimosi e l‟operazione pi curalla. Si chiamerà circoncisione. So che l‟adotteranno pure altri popoli: gli egizi per esempio, e pure gli ebrei. Anzi, quelli, furbastri come sono, ne faranno la sede del patto tra il loro dio e il popolo. Allora, caro Eros beddu dalla minkia macchiata, basterà levare la striscetta di carne, tagliare il rivestimento, lu cosiddetto prepuzio, e tutto sarà risolto. La tua minkia sarà più bella di prima. E a dire il vero la koppola si scoppolerà meglio. Diciamo che complessivamente tutto l‟insieme sarà assai assaissimo meglio meglissimo di prima>>. << Faciemula subito>> rispose Eros. Asclepio lo accontentò. Ed Eros si portò pure il pezzettino di pelle come ricordo. << Che ci devi fare?>>. << Lo metterò nel mio tempio. Sarà la protoreliquia dell‟Erotismo, la mia religione personale. Il santo santissimo prepuzio di Eros. E farà concorrenza al Sangue e al Lenzuolino di Pryapo>>. << Chiamalo Lenzuolino. Sette Pryapometri per due>>. << Le reliquie sono la materializzazione della divinità>> puntualizzò Eros. << Altri comunque faranno le stesse cose, avranno le stesse pensate: prepuzi, lenzulini e lenzuoloni, ampolle , ampolline e ampolloni. E tutto quello che è possibile e impossibile. Fai, comunque. Il popolo ama le reliquie. Il popolo ama le trovate impossibili. Il popolo ama i miracoli>>. Intanto Psifika lu cercava come na ugghia persa. Soffrì come una cagna in calore. Pinsava e ripensava alla ciolla persa, pinsava e ripensava al mascolo perso, ma poi il pinsero tornava alla ciolla e si sentiva vuota. Vuoto lu ciriveddu, vuote le mani, la bocca e soprattutto la vanedda. Ah, come gli mancava la ciolla di Eros. Ma alla fine lo riebbe. Il matrimonio fu celebrato nell‟Olympazzo e dalle loro gloriose fottute nasciu la bella Voluttà. Sulu che a forza di fikkari e rifikkari ad Eros, sempre bellissimo, ci si indebolì la vista. Risultato: facia chiù confusione di prima, sparava frecci a casaccio e unni minkia colpiva colpiva. Era sempre beddu, la sua minkia era bellissima ed efficiente, ma la vista ci calau assai assaissimo. L‟ultima minkiata l‟avia cumminata di recente. Quattro frecce avevano colpito contemporaneamente Anfistronzone, Alcmhona, Zeus e Pryapo. <<Minkia chi casinu ca cumminai. Nu bellu burdellu>> disse Eros a se stesso. <<Ma tanto l‟amore è solo e sempre incasinamento totale. Burdellu a iosa, alla sanfasò e finanche a tinchitè>> concluse autoassolvendosi. --Nel tempio di Eros, a Munypuzos, in tanti onoravano la reliquia del dio. Portava bene a chi voleva aver successo nel campo dell‟eros. Stava messa dentro una teca d‟oro che i fedeli accarezzavano. Poi passavano dall‟oracolo e ascoltavano la sentenza. L‟oracolo stava dintra un posto misterioso immerso nei fumi di minkiajuana che inalava alla grande. E tutti i fedeli alimentavano questo fumo buttando dosi consistenti di minkiajuana in un apposito inceneritore. Il fumo veniva convogliato nell‟abitacolo dell‟oracolo. Che così profetizzava a iosa. Solo che in onore di Eros la minkiajuana si chiamava minkiaerosiana. << Solo divinazioni d‟amore e consimili, Ma soprattutto di sesso. Ma se capita, anche altro, tanto una connessione col pilo la troviamo sempre. Facciamo come fanno i ragazzi in vista dell‟esame: presentano un percorso a minkia, è passano dallo Zeussismo al famoso principio di “dio è morto“. Tutto è collegabile. Ci sta sempre un collegamento. Pertanto, gira e rigira, tutto è riconducibile al pilo. Il pilo generò lu munnu e da allora ciolla e kunnu lu mannunu avanti. Tuttu sciu dì là e là finì, finisce e finirà. Sempri gira e firria lu kunnu sulla minkia e così sia. La ciolla invece trasi e nesci e pi la gioia nenti capisci>> diceva l‟oracolo. --Tra i visitatori ci fu Alcmhona. Che sperava nel rientro del marito al più presto. Perché il pititto la stava divorando. Buttò nell‟inceneritore parecchie dosi di erba sicca. << Reliquia assai santa, amata e biniritta, fa tornare a mio marito cu la cosa già additta. Fallo tornare presto assai veramente, ca la mia cosa addesidera, ma inutilmente. Sto uscendo pazza, ma veramente pazza. E la notti sogno sulu na certa minkiazza>>. << Non una ma trina sarà pi tia la ciolla divina>> profetizzò l‟oracolo. Alcmhona non ci capì una minkia frisca. Il marito aveva una ciolla e non tre. Forse le avrebbe portato due Sosia. Oppure ci l‟avrebbe passata tre volte ogni volta. << Chi vivrà vedrà.. però c‟è un però.. quando la minkia maritale ritornerà?>> pinsò la bella moglie verginella. E appena fuori, per calmarsi il firticchio, si sukò nu minkiuni di minkiajuana ca paria la megaminkia di Pryapo. Solo ca idda la chiamava “erba scordaminkia”. Dopo aver fumato si addormentava profondamente e non pinsava chiù alla minkia del marito. Neanche alla minkia tout court pinsava. --- Minkia, ma dopo cotanta astinenza dalla minkia, quante dosi di minkia avrò? O forse mi devo chiedere quante minkie avrò? Sarò monominkia e pluriminkia? Attribuita ad Alcmhona --- Venne pure Helena, che stava si per maritarsi con Mynkyalao ma intanto si era innamorata follemente di Paryde, figlio del re di Purceddopolys. Innamorata persa assai. Il picciotto da poco era ospite, per motivi di studio, di Mynkyalao. Si trattava del progetto “Ciollarasmus”. Ma più che studiare fotteva e controfotteva con la bella Helena. Fotteva e fumava. Fumava e fotteva. E nel bel mezzo beveva a iosa, alla sanfasò e finanche a tinchitè. Helena buttò solo una dose, il resto la tenne per sé. << La minkia nova o chidda antica? Qual è chidda giusta pi la me fika? Lu quasi maritu ca eni minkialenta? O l‟amanti a cui sempre ci attrenta? Cu lu maritu o cu l‟amanti l‟haia fari? Cu cui haiu assai assai kazzicatummuliari? O devo minkie e minkie assai sperimentare?>>. L‟oracolo rispose: << Intanto, Helena bedda, ti mariti come previsto. Lo vuole il fato. E chi minkia s‟è visto, s‟è visto. Può darsi che il letto metta a posto la facenna, sennò ti cerchi n‟autru intuppatutto pi la to cisterna. Troppi ciolle e kazzi e minkie hai sperimentato. Mynkyalao manca di volontà, lu disgraziato. Teni lu stigghiolu pi sunari la to campana. Ma pirchì nun la sona , stu figghiu di buttana. Iddu eni distratto da mille e passa avvenimenti. A tia poi ti piaci lu carusu cu la minkia impertinenti. Comunque viru minkie e minkie in processione. Son minkie alternative tra l‟amante e il marito koglione. Ma sappi che, se lassi il vecchio per il nuovo, è sicuro che saranno kazzi amari, e non solo per il tuo kulo. Saccio che a tia ti piace l‟arte del kazzicatummuliu. E saccio ca Paryde in ciò è bravo quantu nu diu. Però.. però.. però lu minkia di distinu è lu distinu. E iu, in fede, viru sulu na minkia di casinu. E chi casinu >>. Helena capì poco. Si maritava sì, ma poi il marito sarebbe riuscito a fare il marito? Boh! E chi poteva o doveva essere l‟eventuale sostituto? Quello che operava già o un altro? Boh! Ma soprattutto, che voleva dire con quel “kazzi amari“ e non solo per lei? Boh! Non capendo una amatissima minkia si sukò due minkiuna contemporaneamente. Uno a misura della minkia di Mynkyalao e l‟altro a misura della minkia di Paryde. Pi idda la minkiajuana aveva n‟autro nomi: “erba scegliminkia”. Perché doveva aiutarla a fare la scelta definitiva. O la minkia di Mynkyalao o la minkia di Paryde. Una scelta per il kazzicatummulio. Una scelta tra la minkia infelicitante e la minkia felicitante. Ma tra l‟una e l‟altra forse ci sarebbe stata una sperimentazione della minkia tout court e full time. Ma lei, a dire il vero, la sperimentazione la faceva da tempo. Perché dopo Teseo c‟era stato l‟oceano. --Minkia, tra un mare di minkie, adesso quale minkia scegliere dovrò? Una minkia qualsiasi?No. Quale minkia allora, tra la minkia del minkialenta di quel testa di minkia di Mynkyalao o la minkia impertinente di quel minciabella di Paryde? Attribuita ad Helena --- Vinni puru Ermafrodito, fratellastro di Eros e Pryapo, in quanto figlio di Aphrodyte ed Ermete, quest‟ultimo noto anche come Mercurio ma chiamato dagli amici Accagi. Ermafrodito era corteggiato e desiderato da tutti. Mascoli e fimmini. E lui andava con tutti.. sia mascoli che fimmini. In fondo era una delle tante vittime di Eros. Per una freccia sbagliata la naiade Salmacide si innamorò, non ricambiata, di Ermafrodito. Che poverino, sempre scappava. E fin qui tutto normale. Un giorno la femmina innamorata vide il giovane bellissimo che si bagnava nel lago di Munypuzos. Di corsa, prima che quello potesse scappare, lu abbrazzau. E i due corpi si fusero. Ermafrodito si truvau con un corpo da donna ma con tanto di ciolla. Il corpo della sua innamorata più la sua ciolla. La ciolla, l‟unica cosa che le era rimasto di suo, a parte il cervello. << A parte lu ciriveddu di mio mi restò solo l‟aceddu. Di chidda pazza m‟arristò tutto, anche la filazza >> andava dicendo. Adesso pregava la reliquia del fratellastro perché non sapeva mai addecidersi, se andare solo con donne o solo con uomini. Ma prima aveva messo nel giusto sito tanta ma proprio tanta minkiajuana. << Goditilla tutta, ma proprio tutta sta vitazza. Futti e rifutti a kulu aperto e a minkia pazza. Pigghiala l‟altrui minkia unni minkia ti pari. La tua inveci passala a chiunque ti la fa attisari >> fu la risposta dell‟oracolo di Eros. Capiu che doveva portare al massimo l‟entropia sessuale. E non solo quella. Uscì sukandosi nu minkiuni beddu ranni come a quello di Pryapo. Anche se ufficialmente vulia fare una scelta di campo in realtà vulia continuare ad essere pansessuale. E lui, tra l‟altro, chiamava la minkiajuana “erba pansessuale”. --Minkia, é meglio metter la minkia mia in kunno o prendere l‟altrui nel mio kunno? Oppure è meglio piazzarla e prenderla in kulo? Attribuita a Ermafrodito --Venne Mynkyalao a chieder lumi sulla riuscita del suo matrimonio. Mise anche tanta roba di quella buona nell‟inceneritore. E ipocritamente chiese: << La bedda Helena dal kunno assai bello, la farà o no la felicità del mio uccello? Chista bedda biddazza mogliettina mia sarà felice di cotanta e cotale minkia mia?>>. << Contenta di cotanta se l‟avrà sempre cotale e cotanta. Ma ci sta la concorrenza che azzoppa la sua efficienza. Se tu riuscirai a vincere cu la minkia a letto, forse tutto sarà giustissimo e assai perfetto. Ma se perderai la battaglia di la minkia in kunnu, sarai lu primu curnutu di tuttu stu minkia di munnu. Idda tinia 12 anni quannu Teseo, da mafiusu, ci l‟anfilau pianu pianissimo na lu purtuso. Nun si sapi se l‟imminkiò darreri o davanti, ma ci fici assaggiari la cosa pi n‟istanti. Da allora idda, in via del tutto ufficiosa, ne ha avuti a iosa di uccelli nella sua cosa. Idda sapi chi minkia voli diri godere alla sanfasò. Idda capisci se la minkia ca trasi vali o no. Lu confronto minkiesco pertanto è assai duro, stai attento a non pigliarla tu la minkia in kulo. Ma purtroppo non dipenni di tia ma da lu ventu. La minkia tua ora ciuscia altrove lu so sentimentu. E allora che fare? O metti la minkia tua sulla retta via, o la pigli in kulo tu, Purceddopolys e altro. E così sia>> rispose l‟oracolo inalando tantissimo fumo. Mynkyalao ci tinia al suo kulo, ma ci tinia pure alle apparenze. Non voleva le corna ma voleva libertà di minkia. Helena doveva essere un modello di moglie. Almeno ufficialmente. Poi ognuno si sarebbe spitittato secondo i suoi gusti. Ma in privato. Assolutamente in privato. Uscì sukando nu minkiuni nicuzzu. Tanto per non dare nell‟occhio. Lu minkiuni ranni se lo sarebbe sukatu a casa. Per addumarsi ben bene la minkia e imminkiare la fika del suo vero amore. E Mynkyalao chiamava la minkiajuana “erba fikamia”. --Minkia, ma sono o non sono il padrone della mia minkia? Minkia, posso decidere dove minkia importusarla la minkia mia? Minkia, posso differenziare tra “lavori di minkia” per dovere e “lavori di minkia” per piacere? Attribuita a Mynkyalao --- Venne pure Paryde. Offrì solo mezza dose. L‟altra mezza si la sukò immediatamente. Era nervoso e chinu di desiderio. Desiderio di kazzicatummuliare. Ed era anche strafottente, come tutti i picciotti moderni. << Pi tuttu l‟oro di stu kazzu di minkia di munnu, fallu addivintari mio pi sempri chissu kunnu. Enone aspetta ancora la mia minkia bedda, ma idda ora attisa sulu pi Helena e la so vanedda. A parte le promesse di la biddazza dia, io voglio sulu a idda sulla minkia mia. Pirchì sulu cu idda , sulu tra le sue cosce belle, iu viru chiddu ca viru, cioè, viru le stelle. Ogni vota viru na nova nova e na supernova. Ogni vota la minkia mia na cosa nova attrova. Ogni volta è una nuova “novella buona”. Ogni volta è una esplosione di lampi e trona. E non solo. Io sento quel che sento na stu iocu, ed ogni vota è comu sparari un nuovo iocu focu. E da chiddu ca nesci dal miu bell‟aceddu, mi sentu chiù potenti assai di Mungibeddu. Ma chiddu ca nun sacciu mancu cuntari, e lu casinu filici ca na la testa mi sentu scuppiari. Idda è la droga mia, lu so kunnu m‟ha dato dipendenza. Iddu è la mia eroina, e senza, tengo la crisi di astinenza>>. << Tutto dipenni da chiddu ca succeri na lu iazzu. Tuttu è in mano a Mynkyalao, anzi, a lu so kazzu. Se rinesci ad accuntintari chidda ardenti funnacella, la storia futura assai cangia e addiventa assai bella. Ma se nun ci la fa, comu pari ca avi a siri, sunu sulu kazzi niuri e amari a nun finiri. Kazzi niuri e amari pi tanta genti e pi tia. Tu avrai lu stikkiu ca la minkia t‟arrigria. La bedda Aphrodyte ti lu rissi ciaru e tunnu, “di Helena la bedda avrai lu beddu kunnu”. Aphrodyte soccu dici manteni immediatamente. Ti promisi lu so stikkiu e ti lu resi veramente. D‟autra parte a voi piace assai assaissimo praticare chidda bellissima arte del kazzicatummuliare. E pi chiddu ca viru scrittu na lu distinu, l‟orgasmo vostro è nu granni e bellu casinu. Ma fai attenzione, pirchì tu avrai si stu kunnu, ma pi chistu forsi la piglierà in kulu lu munnu. Ma lu pakkiu suo sulla ciolla è quel che interessa a tia. Il resto è solo e soltanto una batracomiomachia>> rispose l‟oracolo inspirando alla sanfasò i fumi di minkiaerosiana. A Paryde ci ni futtia na minkia se lu munnu la pigghiava in kulu. L‟importante era ca iddu ci la mittia in kulo e altrove alla bedda Helena. Il resto erano solo minkiate. Minkiatedde. Minkiatazze al massimo. Appena sciutu si addumò nu minkiuni ca paria la ciolla di Pryapo. E tale ci parse la ciolla che ci stava tra le gambe. Non tanto per effetto del THC ma della fika di Helena. Chiamava la minkiajuana “erba Helenina”. --Minkia, Helena sarà la corona della minkia mia? Minkia, è la minkia mia sarà lu stuppagghiu del suo pakkio? Minkia, se le cose son così, che minkia mi ni futti del resto? Minkia, a mia m‟interessa solo Helena sulla minkia mia? Attribuita a Paryde --- Venne anche Edipo, che si trovava a Munypuzos per le nozze di Helena e Mynkyalao. Edipo avia scannato il papà biologico senza saperlo e senza saperlo si era maritato con la mammina Giocasta. Accussì era nata Antigone la bella, oltre ad altri tre figli. Ed Edipo s‟era trovato marito di sua madre. E adesso, che orbo era, andava in giro con sua figlia Antigone, il bastone della sua vecchiaia, che innamoratissima cotta e scotta del padre, la sera lo faceva bere e poi si congiungeva carnalmente con esso. Come le figlie di Loth. Le sue vicende ispirarono grandi tragediografi come Eschiletto che scrisse la bellissima “Edipo a Munypuzos”. << Perché a mia mi successi chiddu minkia ca mi successi? Ammazzai a mo patri e cu mammà ebbi felici amplessi?>> chiese Edipo dopo aver offerto tantissima minkiajuana. << Colpa tua non è, ma del destino assai malirittu. Tu dovevi ammazzare tuo padre, stava scrittu, e scopare alla diavolina cu la bella mammuzza, pi fari figgi in quantità cu chissa signuruzza. Pirchì comu dici lu distinu già archiviatu, tu da tua figlia Antigone dovevi essere scupatu>>. << Noooo..>>. << Sì. “Iddu ammazzerà la minkia di lu re patri pi poi passari la so minkia a la regina matri. E la mamma sarà mugghieri cuntenta di lu figghiu e ci darà figghi pisciati da lu so beddu marrugghiu. E a na figghia assai bedda, ca sarà puru sa soru, lu patri frati ci metterà la minkia na la stanza di lu tesoru”. Accussì sta scrittu na lu libru di lu distinu malirittu >>. << Noooo..>> gridò Edipo. << Ma fu già.. e fu tanto tempo fa. Ammazzasti lu papà. Ma fu già.. e fu tanto tempo fa . Ci la fikkasti a mammà. Ma fu già.. e fu tanto tempo fa. A to figghia ci la mittisti dà >>. << Chi kazzo lo sa? Io non ricordo niente>> chiese Edipo che si vergognava della sua storia sessuale. << Tu non ricordi. Ma la tua ciolla lo sa sicuramente>>. << Ma la ciolla memoria non ha, fikka e finisci tutto dà>> rispose Edipo. Per non pensarci si sukò il suo solito minkiuni fatto a mano. A misura della sua ciolla. E pinsò di correre tra le braccia della figlia. Chiamava la minkiajuana “erba della mia simenta”. --Minkia, perché assassinai la minkia paterna e siminai la minkia mia dà unni mittia la so minkia papà? Minkia, e come minkia fu e come minkia non fu, ca ficcai la mia minkia nel portaminkia di mia figlia? Attribuita a Edipo --- Vinni pure Pasife, la moglie minkiofila di Minosse, che adesso s‟era invaghita di un elefante. Pasife era a Munypuzos, ospite di Agamynkyone, perché il marito stava firriando la zona alla ricerca di Dedalo. << Comu minkia fazzu a riciviri lu so kazzu?>> chiese intanto che versava dosi su dosi nell‟inceneritore. << Fai comu facisti cu lu toro, ca ti fikkasti na la finta vaccazza finu a quannu iddu ti passau la so minkia dintra la filazza. Fai na elefantessa finta e ti ci metti di dintra sana sana. Prima o poi iddu la minkia ti la ficcherà na la to tana>>. << Ma io stavolta non voglio l‟aceddu di l‟elefante. Vuogghiu la proboscide, magari seduta stante>>. << Ho capito chiddu ca ti appititta fimmina vorace. E si nun l‟avrai, il tuo kunno non si darà pace >>. << Ma chi nasci, soccu autra brutta cosazza, se iddu mi fikka la so cosa dintra la filazza?>> chiese la mamma del Minotauro desiderosa sempre di nuove esperienze. << O na fimmina cu tri Pryapometri di pakkiuni, o nu maskulu cu tri Pryapometri di kazzuni?>>. Pasife pinsò che l‟occasione non doveva andare sprecata. Lei era predestinata. Se nasceva un mascolo avrebbe fatto un concorrente - collega di Pryapo, se nasceva una femmina, avrebbe fatto l‟equivalente femminile di Pryapo. Uscì sukando nu minkiuni ca paria la minkia del Minotauro. Ma il pensiero era ad altra minkia. Pasife chiamava la minkiajuana “erba elefantina”. --Minkia, come minkia è bello sperimentate nuove forme di minkia? Minkia, ma tutto ciò che è minkiforme può fare la minkia? Attribuita a Pasife --- Venne Achylle che gli chiese dell‟amore suo. Naturalmente dopo la consueta e giusta offerta di erba sicca. << Io e il mio compare, chi minkia dobbiamo fare? Dobbiamo restare amanti o sposarci all‟istante?>> chiese. << Goditi l‟amicu di lu cori prima ca ti mori. Goditillu sanu sanu sia d‟aceddu ca di anu. Iddu piglierà il tuo posto, immortale di ciolla mortale, e pi tia, per troppo troppissimo amore, finirà male >>. Achylle pianse ma poi decise che intanto era meglio godere. Godere il più possibile del corpo di Patroclo. E farlo godere naturalmente. E in attesa di godere si godette nu beddu minkiuni artigianale fatto tenendo conto delle misure intime del suo bel Patroclo. Iddu chiava la minkiajuana “ erba patrocliana”. Patroclo la chiamava “erba achylliana”. --Minkia, la minkia mia nel kulo di Patroclo o la minkia di Patroclo nel mio kulo? Minkia, perché non possiamo passarci la minkia contemporaneamente? Attribuita ad Achylle --- Vinni Odisseo. Chiese del futuro e dell‟amore in generale. Fece naturalmente la sua bella e buona offerta di minkiajuana. << Centu ni pensi e milli ni fai, nu miliuni sarannu li to vai. Mentre tua moglie tesse e sfila, tu sarai chiddu ca a tutti l‟infila. Nun ti dicu li peni ranni toi, tantu ti l‟hai a sukari prima o poi. Ma ci sarà pure kunnu a iosa, unni anfilari la to bedda cosa. Girerai pi vintanni tunnu tunnu, ma la ciolla farà il pieno di kunnu. Ci sarannu maghe, regine e buttani ranni. Ci sarannu fimmini pi tia a tutti banni. Anche le sirene, mezzi pisci e mezzi fimminuna. Se trovi lu purtusu, fikkiccilla, e buona fortuna. Attento a Circe, se t‟acchiappa, porco ti farà, porco di ciolla e porco nella tua totalità. Attento a Polifemo e alla sua voglia di kuli, se t‟acchiappa ti farà vedere stelle e suli. Attento a fare stu giru a kazzo di cani. Attento a li kazzi di li Proci ruffiani. Il pakkio di Penelope vogliono conquistare, ma lo fanno solo e soltanto per poter regnare. Ma Penelope mancu li kaka per niente. Idda aspetta la tua minkia religiosamente. In attesa del tuo ritorno di eroe assai ranni si l‟avi misa sotto sale dintra a li mutanni. A li proci e alle loro minkie poco potenti non va giù stu minkia di discursu di niente. Idda pensa, sfila e tessi, tessi, pensa e sfila. E a li Proci ci resta sempre addumata la cannila. E p‟amuri di conquistare lu pakkiu di la regina nun cercunu autru pakkiu pi futtiri a minkia cina. Pertanto, in attesa degli eventi, sperando in un bel futuro, la minkia, codesti Proci se la calano tra di loro in kulo. E quarcunu corteggia, sempre interessatamente, scopo potere, il tuo bel Telemaco costantemente. Pronto a darici la minkia ma anche a farsela dare. Ma non è amore, è solo una grande voglia di regnare. Questo, che ti piaccia a no, è il quadro generale. Questo ha deciso il destino per la tua storia personale. Attento, Odisseo, attento alla tua “Furbizia” e a tia. Attento, attento a non pigliarla in kulo e così sia>>. Odisseo era furbo e capì tutto. Capì in modo lapalissiano. Erano kazzi niuri e tempestosi quelli che lo aspettavano. Ma anche kunna gioiosi per far godere il suo kazzo avventuroso. E tanto per non fare il sapiente si sukò nu minkiuni beddu grosso di erba sicca. Solo che lui la chiamava “erba della furbizia”. ---Minkia, che giro della minkia per la mia minkia? Minkia, quanti minkia di kunna pi la minkia mia? Minkia, e quante minkie che vogliono imminkiare a tutta minkia la moglie mia? Minkia, e quante minkie che vogliono inkulare a tutta minkia il figlio mio? Minkia, ma a mia mi ni futti na minkia? Attribuita a Odisseo --- Venne anche Enea, che aspirava al trono di Purceddopolys. Era il principe dei Dardani. Una razza che aveva per kazzi “dardi” che andavano soprattutto negli “ani”, per non seminare guerrieri, forieri di morte, distruzione e dolore sommamente sommo. E iddu fece la sua offerta. Un‟offerta principesca. << A comu minkia mi fanu mali li cugghiuna. Li baddi mi pisunu centu quintali l‟una>> ironizzò l‟oracolo. << Minkia, chi ti senti mali, oraculu beddu? Ti ciamu na minkia di minkia di duttureddu? O mi sfutti, a mia che sono assai addolorato. Per via di questa minkia di dolore addannato. Son principe dei Dardani, son io il Dardanazzo. Se mi sfott‟ancora ti sbatto in kulo il kazzo>>. << Nun pisunu a mia li testimoni, ma a tia, eroi putenti. Tu na li cugghiuna teni l‟urbe sana sana, ovvero tanta genti>>. << Certo, tengo il futuro di Purceddopolys, la mia bella città. Ma dimmi, quannu minkia addiventerò lu re , dimmillu, pi carità>>. << Mai. Purceddopolys morirà pi curpa di na fika buttana. Morirà pi sempri e mai, mai maissimo chiù rinascerà>>. << Vaffankulo, oraculu di kazzu e di testa assai pazzu>>. << Taci. Zitto, muto, cicidda nica e cugghiuna assai ranni. Ascolta lu to distinu, lu distinu ca porti dintra li mutanni>>. << Ascolterò sì, ma solo per pura e semplicissima curiosità. Sono di minkia e testa atea, non crederò alle tue false verità>> rispose calmo e con una certa arroganza Enea. << Che ci credi o no, a mia meno di una minkia sicca me ne può fregare. Stu minkia di destinu pazzu è lu destinu tou, e tu ti l‟hai a sukari. Tu scapperai cu Anchise, ca na lu stikkiu vinirinu ti siminò. E cu Ascanio, ca tu siminasti accussì, quasi quasi alla sanfasò. Più che la mugghieri, tu circavi nu pakkiu di na figghia di lu re. Lu pakkiu reale, e poi n‟erede, sulu pi trasiri a corte a tinchitè. Ti li passasti tutte, o quasi, le figghie di Pryamo. Ed eran cinquanta. La prima che sciu incinta fu Creusa, e ti maritasti cu sta minkia di santa. Polyssena però ti piacia di chiù. Pure alla regina ci dasti na passata. La legge della maniglia, “prima la madre, poi la figlia”, fu rispettata. E per farti volere bene a corte, pure a li figghi masculi di lu re, ci passasti la minkia tua a iosa , alla sanfasò e pure a tinchitè. Ma pure iddi tineunu na ciolla di kulu appitittata veramente. E tu ti la facisti calari in silenzio, senza dire na minkia di niente. Anche a Purceddopolys è di moda fare, essere e sentirsi masculazzi senza escludere la possibilità d‟essere dei grandissimi “ciucciakazzi”>> disse l‟oracolo. << Li fatti del mio bell‟aceddu, sono solo miei, oraculu beddu. Se cu la minkia io sperimento, chi t‟interessa del mio inciollamento? Se mi la fazzu cu tanti figghi di lu re, chi ti ni futti del mio futtiri a tinchitè? Se la piglio o se la passo, chi ti ni futti di come minkia me la spasso? Se c‟è traffico di kazzi nel mio kulo, è un fatto solo mio di sicuro? Pertanto fatti i kazzi tuoi. E cerca di andare a fare in kulo prima o poi>> disse Enea nu tanticchia inkazzato << Sì. Però adesso un pakkio anarchico, apolide, ateo e rivoluzionario, sta per cambiare inesorabilmente tutto quanto codesto scenario. Tu, per destino divino, sommo eroe devi essere necessariamente. Aphrodyte nun si la fici calari da Anchise per fare un minkia di niente. Lu fici per piaciri sì, ma soprattutto per dare l‟avvio a una storia potente. Enea, nei tuoi lombi ci sta un futuro a dir poco assai impressionante. “Romakazzo” si ciama la città eterna che porti nei tuoi koglioni. E sarà l‟urbe caput mundi di lu munnu, la città capa di tutte le nazioni. Romolocicia, Remociolla e la bedda lupa assai assai buttana, chista è la storia futura che uscirà dalla tua minkia sana sana>>. << Oraculu beddu, si sicuro ca chistu minkia di casinu ranni ca fa tanta impressioni io lo porterei dintra li me mutanni>> chiese Enea. << Sì. Un fratricidio, poi sette re cu la corona e Cesare dittatore. Quindi una seria bell‟assai di gente chiamata “imperatore”. Augusto, mentula pacis, darà la pace con la sua minkia imperiale, ma in famiglia sangue su sangue assai assaissimo farà circolare. Poi ci sarà Tiberio il caprese, Caligola col cavallo senatore, e la sorella Drusilla come unico, grande e immenso amore. E Nerone, grande e sommo poeta non affetto da piromania. L‟accuseranno di ciò gente ca nun piaci per niente a mia. E Tito, che cercherà invano dio a casa sua ma non lo troverà. E Vespasiano che darà con amore il suo nome ai cessi, ove le minkie pisciano, specie dopo caldi e dolci amplessi. E ci sarà pure un certo Costantino e il suo segno vincente. D‟allora in poi non si capirà chiù una minkia di niente. Ma ci sarà anche Marco Aurelio e la sua minkia di filosofia. Ma con Romolo Augusto finirà tutto a kazzo, e cosi sia>>. << E poi che minkia di minkia succederà. Dimmi l‟autra tua verità>> chiese Enea preoccupato per l‟evoluzione della sua discendenza. << Poi verranno monaci, monache, santi, sante e parrini, papi, inquisitori e tanti e tanti autri ranni e grossi casini. E se “Romakazzo” brucerà per volere, si dice, di Nerone, li papi bruceranno, una ad una, direttamente tante persone. Ci saranno papi, papetti e papazzi, il nepotismo e altri kazzi. Ci sarà un certo Formoso che da un suo successore assai inkazzato verrà tirato fuori dalla necrodomus e normalmente processato. E alla fine, a processo finito, nel panta rei Tevere sarà buttato. Ci sarà na fimminazza di nome Marozia ca il papato gestirà. Idda compagna di papa, madre di papa e nonna di papà sarà. E ci sarà pure la storia, vera o falsa, di Giovanna la papissa. Ma ci sarà veramente chissu papa senza pinnenti e cu la fissa? Resterà a ricordo della falsa o vera facenna un trono detto “stercorario”, con tanto di purtuso per vedere se il papa tiene il dovuto armamentario. Ci sarà un certo Benedetto nono che per ben tre volte papa sarà. E per ben tre volte al trono e alla tiara addio, per motivi vari, dirà. Ma lu scannulu ranni di chista minkia di facenna sarà legato all‟età. Lu signor Biniritto alla prima intronazione solo nove anni avrà. Pertanto quel pisello aristocratico di un certo messer Alighieri Dante, quannu parlerà del “gran rifiuto” di Cilistinu, dirà minkiate seduta stente. Ci sarà pure nu papa detto Borgia, ma soprannominato “Borgiazzo”. Penserà al potere e alla guerra. Ma soprattutto penserà al suo kazzo. Avrà fimmini e fimmini a iosa. E ci farà kakare figghi da la cosa. Ma avrà puru nu figghiu quannu già sul trono assittatu sarà. Iddu cinquantinu di la bedda Giulia tutto tutto si appititterà. Invece la storia dell‟incesto cu Lucrezia nel mistero resterà. Si la fici cu la figghia? E ci fici fare nu figghiu? Unni sta la verità?>> disse l‟oracolo. << Minkia, chi casinu ranni. Ma sta tuttu dintra li me mutanni? Tutta sta genti, una pi una, sta veramente dintra li me cugghiuna?>> chiese preoccupato Enea. << Sì. E ci sarà un papa che al rogo metterà messer Bruno Giordano, solo e soltanto perchè non vorrà cangiare idea il monaco nolano. Tutti si ricorderanno sempre, in sekula sekulorummu e seduta stante, il nome del rogato, ma nessuno si ricorderà il nome del condannante. Come già fu con Galileo Galilei, di professione sturiusu ranni. Iddu sarà costretto a negare il vero, costretto ad abiurare la scientifica reale realtà. “Eppure si muove “ dirà iddu firmanu la carta malirittissima dell‟abiura. E non si riferirà a chidda cosa ca sta dintra li mutanni e che chiamano “natura”. Tutti però ricorderanno il nome del Galileo scienziato e sturiusuni. E così sia. Nessuno di ricorderà del messer papa ch‟il condannò per somma koglioneria. Il Galileo sosterrà ca la terra aggira intorno a lu suli come na minkiuna, come fa la vera minkia intorno a lu purtusu di na bedda picciuttuna. A lu papa e a la so corte, stu giramentu di palli nun ci piacerà pi nenti. Pi iddi a siri all‟incontrario, pirchì accussì dici nu libru assai intelligente. Ma la storia, a dire la vera verità, chiù semplice di quanto appare sarà. A Galileo, secondo le leggi dell‟astronomia, ci gireranno scientificamente. Al papa, che di scienzia nun capirà nenti, i koglioni ci gireranno diversamente. E anche se ancora sarà lungi da venire il dogma della papale infallibilità, lu papa sarà testa assai assaissimo rura e pertanto imporrà la sua falsa verità. Verranno anche l‟indice dei libri proibiti e tanti ma tanti autri sommi minkiatoni. Sarà il gaudemus del “No”. Sarà il trionfo dei divieti e delle proibizioni. Pure la Bibbia sarà proibita senza sapiri lu pirchì di la cosa ca pari assai strana. E l‟invenzioni di la stampa sarà condannata come cosa lurda e buttana. Nel criminale indice dei libri proibiti sarà messo di tutto e di più. Storici, filosofi, romanzieri, poeti e scienziati tutti quanti in un mazzo. Così deciderà qualche emerita testa di grandissimo skassakazzu del kazzo. Ma un giorno verrà abolito, e solo per l‟impossibilità di tutto catalogare. E non per democrazia o libertà di pinsero, cose che certa gente non poli accettare. Altrimenti anche il futuro Codice da Vinci na stu elencu fussi collocato. Ma anche un certo Odifreddi ca sarà sturiusu ranni e granni scienziato. Ma puru nu certo Rupert Santoro ex Paulu, come figghiu di lu diavuluni, cu la so opira maliritta, fossi misi na sta lista fatta da nu cugghiuni. E puru stu kazzu di Pryapo, il dio dei bordelli, ca dici sulu minkiati fritti, fossi misu in chidda lista di cosi ritenute assai assaissimo maliritti. E ci sarà pure l‟assassina e , per modo di dire, santa santissima inquisizione, ca voli sempre sapiri unni minkia metti la to bedda minkia in azione. Si userà assai la tortura, ma assai assai, e il torturatore sarà un uomo vero. Si brucerà, come ho già detto, anche il povero “martire del libero pensiero”. “Romakazzo” sarà dominata per tanto tempo da assai arrogantissima gente. E in nome del loro dio iddi ammazzeranno chiunque la pensi diversamente>> disse ancora l‟oracolo leggendo nelle stelle della volta celeste il futuro. << Minkia, chi burdellu pazzu. Ma a sciri veramente tuttu da lu me eroico kazzu? Tutta sta storia veramente buttana sta dintra li me cugghiuna sana sana?>> chiese preoccupatissimo Enea. << Sì. Poi un giorno la bedda “Romakazzo” tornerà alla giusta libertà. Il papa, per fortuna, non sarà chiù papa-re, e comandare più non potrà. Grazie a un certo re Vittorio Emanuele e a un certo Garibaldi Peppino, i liberatori laici libereranno “Romakazzo” dal suo amarissimo destino. Con la cosiddetta monarchia, che non è certo della mona il governo, per “Romakazzo” e i romakazzoni non ci sarà chiù il papa col suo inferno. E lu iornu di la trasuta a “Romakazzo” attraverso la cosiddetta Porta Pia, sarà festa ranni, festa laica, festa nazionale. E così sia. Il progresso giustamente andrà avanti lentamente, piano assai piano, e “Monsieur lu papa” se ne starà chiuso ma inkazzato dintra il vaticano. Arriverà un giorno un certo messer Benito che il potere tutto per se vorrà. << << << << Iddu abbandonerà il socialismo. Iddu il fascismo purtroppo inventerà. Ma la colpa sarà anche di un certo messer sciaboletta con la corona. Chistu, pur di non perdere il posto, gli lascerà fare lampi e finanche trona. Il dux, per farsi bello con le masse popolari, firmerà nu schifusu concordato, la povera italia perderà la libertà e ci sarà di nuovo la “religione di stato”. E naturalmente, il XX settembre, la festa nazionale di la “presa” di Porta Pia sarà cancellata in un amen, cu na firmetta del kazzo, e così sia. Spunteranno nei pubblici palazzi, accanto all‟immagine del sciaboletta re, maronni, santi martiri e vergini, angeli, arcangeli e crocifissi a tinchitè. Pi vintanni ci sarà sta minkia di dittatura ca sarà cosa assai assaissimo mali. Ma pi fortuna poi ci sarà la biniritta seconda guerra assai mondiali. E in italia, e non solo in italia, ritornerà nu tanticchia di libertà. In italia meno ca nel resto dell‟europa. Anche se la cosa sarà strana, in italia il papa sarà il deus ex machina della Democrazia Cristiana. Mente l‟europa tutta andrà avanti nel campo delle generali libertà, l‟italia resterà indietro assai assaissimo. Alle tradizioni idda legata resterà. E quannu chidda minkia del cosiddetto terzo millennio incomincerà, in italia si orerà assai mentre in europa ci sarà il trionfo della laicità. E ci sarà pure nu mumentu assai piriculusu in cui la bedda libertà rischierà a causa di certa gente tutta cina di arroganza e autorità. Ritorneranno i tempi del persecutore Diocleziano, di Tiberio il Caprese. Feste e festini alla sanfasò. Ma guai a parlare di cotali imprese. Guai a dire del riposo dei potenti e delle loro minkie al viagra onnipotente. Chi lavora per il paese, deve pur svagarsi lu pinseru e la minkia sofferente. Ma chisti minkiati assai ranni e potenti sono assai lungi da venire. Attualmente ci siamo noi, allura sukamici nu beddu minkiuni pi finire. L‟unica speranza, caro il mio Enea beddu, e che sia vera quella gran fesseria che passerà alla storia e alla mitologia come la lista di “messer Malachia”. Tuttu chistu casinu però è ora na li to baddi e na la fregna di idda, ovvero di la fimmina a cui tu darai un giorno l‟eroica tua cicidda>>. Minkia e cicia e ciolla e mentula e fallo e kazzu. Tu cu stu cuntu mi fai nesciri assai assaissimo pazzu. Io pensavo di addivintari di Purceddopolys lu re. Ca pi la minkia di lu re, pakkio ci n‟é sempre a tinchitè. Inveci mi fai capiri ca iu na li baddi nun portu la felicità, ma la disgrazia, e chi disgrazia, pi la futura umanità>> disse spaventato Enea. Il futuro tuo è questo, il futuro tuo si ciama Lavinia. E tu col dardanazzo a idda ci sfunnerai la filinia. Idda aspetta la minkia del suo destino, e non dice niente. Sapi che sarà madre di una città assai assaissimo potente>>. Minkia, chi minkia di minkia di programma. Pi la me minkia quasi un minkia-dramma>>. No. Se la cosa ti spaventa, ci sta n‟autra soluzioni. Pigghia nu cuteddu e tagghiati minkia e koglioni. Tu perdi la cicia, lo strumento ca serve a siminari, e pertanto non potrai più in alcun modo fikkare. Perdi anche il deposito della tua simenta, chistu è sicuru. E “Romakazzo” naturalmente la pigghia ipso facto in kulu. E pi quantu riguarda la storia fitenti di stu minkia di munnu, la piscerà n‟autra ciolla e la cagherà n‟autru kunnu>>. Enea capì poco? O forse capì troppo? Iddu sapia sulu ca spissu si sintia nu pisu ranni na li baddi. Li baddi ci staunu unciannu a pikka a pikka. E nonostante il fikka - fikka sempre più intensivo, iddi continuavano a gonfiare lentamente. Delle volte le facevano nu tanticchia mali. Ma picca, ad essere sinceri. Però tutta chidda storia mittia scantazzu a lu ciriveddu e a lu kazzu. Niente comunque corona di Purceddopolys. Niente trono reale per il suo reale kulo. Per un attimo fu tentato di pigliare un falcetto e deminkiarsi e detesticolarsi seduta stante. Poi rinviò. Il futuro era glorioso, ma altrove. Il futuro era glorioso, ma per la sua minkia di discendenza della minkia. Comunque decise di portare con sé sempre un falcetto. Se il peso di sta minkia di polys della minkia nomata “Romakazzo” fosse diventato insostenibile, iddu si sarebbe tagliato ciolla e palle. << Mica posso aspettare Lavinia? E sarà bedda sta minkia Lavinia? O no?>>. Intanto, per non pensare al suo destino, si fumò tanta ma tanta “erba romana”. Ma non riflettè neanche un attimo sul nome di quell‟erba. Gli eroi son sempre grandi di muscoli, ma piccoli di ciriveddu. --Minkia, mi taglio la minkia o no? Minkia, mi taglio le palle o no? Minkia, sta minkia di città la semino o la distruggo? Minkia, sta minkia di “Romakazzo” la scannu o la siminu na qualche kunnazzu? Minkia, ma deve essere per forza il kunno di Lavinia o va bene un kunno qualunque? Minkia, ci la scarico in kunno a mia moglie? Minkia, ci la scarico in kunno a una mia cognata? Minkia, ci la scarico in kunno a una buttana? Minkia, ci la scarico in kunno a lu primu kunnu ca m‟ammatti? Minkia, oppure ci la scaricò in bocca o in kulo a quarcuno,mascolo o fimmina che sia, accussì nun nasci na minkia di nenti e cosi sia? Attribuita a Enea --- Venne pure Pryapo, a vedere la strana reliquia, e ci vinni l‟idea di fare altrettanto. Ma poi si rese conto che la sua sarebbe stata una reliquona. In incognito chiese dell‟amore. S‟era vistuto da mendicante iarruso per non farsi riconoscere dall‟oracolo del fratellastro. Fece un offerta di minkiajuana grande quanto la sua ciolla. << La parola amore pi tia non vuol dire niente. A tia t‟interessa solo della tua minkia potente. Ti basta avere un portuso di femmina bona pi fari timpesti, lampi, lampuna e tanti trona. Lu to distino, io ti lu dicu chiaru e tunnu, è di fikkalla a tutti li fimmini di lu munnu. Ma se dopo ciò ancora teni pitittu di fikkari ci stanu li kula di li maskuli da trummiare. E non solo e soltanto per dovere istituzionale, ma per un piacere sommo di tipo universale, pirchì cu minkia teni na minkia tanta rossa pensa sulu a mittilla in una qualche fossa. Però, per completare il discorso generale, io ti consiglio anche di farti trummiare. E per essere sincero come un bambino ti dico “impara pure l‟arte del pompino”>>. << Bravo, bravo, oracolo miu beddu, io vivo solo e soltanto pi lu me aceddu. Ma pi caso capisti cu minkia sugnu iu ? Capisti o no, ca iu sugnu di la minkia lu diu?>>. << Certu, di la minkia si l‟unicu e potenti diu. E vistu chiddu ca avi successu na lu laghetto, ti la poi fari mettiri puru na lu culetto. Perché quel giorno la vista mi si annebbiò e nun capii se lu iocu finu alla fine arrivò>> rispose l‟oracolo. << Minkia, quasi tutto vedi e quasi tutto sai, figlio mio. Dimmi allora quanti pila di minkia ho nell‟aceddu io?>>. << Settemilanovecentocinquantuno sono adesso. Ma ne sta cadendo uno proprio ora dal tuo sesso>>. << Vero è. E allora facemu settemilanovecentocinquanta, che stasera li conto per vedere se la mia peluria è tanta>>. << E tanta sì, a parte che dappertutto ci sta pilu a iosa. Ma manca pikka ca tu ti spili la minkia e ogni altra cosa>>. Pryapo rise e s‟avvicinau alla reliquia . << Iarrusello, iarrusello, tu sai quello che pensa il mio cervello. Iarrusello, iarrusello, tu sai pure quello che pensa e fa il mio uccello>>. << Minkiunazzu, minkiunazzu, stai assai attento a lu scikkazzu. Minkiunazzu, minkiunazzu, stai attento a lu sceccu e a lu so kazzu>>. << Oraculu miu, oracolo beddu, stai attento a lu me aceddu>>. La reliquia non rispose. Pryapo felice andò via sukandosi il solito minkiuni di minkiapriapriana. Poi cantò forte: << Addio piccolo Minkiolino, come cangia in un amen il nostro destino>>. Quindi si tuccau la sua ciolla e continuò: << Sempre più andrai farfallone amoroso, notte e giorno sempre chiavando. E delle belle turbando il portuso. Kazzone, Minkiolone d‟amor, sempre più avrai questi pelosi pennacchini, questa cappella grande e galante, questa chioma , quest‟aria brillante, questo vermiglio ciollesco color >>. Poi nella sua testa si arricordò che aveva deciso di spilarsi tutto. Quindi i pennacchini erano a scadenza. Aveva già un appuntamento con Adone e Narciso per andare da Narcisa. A farsi levare tutti li pila da tutti i posti possibili e impossibili. Tutti ma proprio tutti. ---Minkia, la minkia mia pi li purtusa di tuttu lu munnu? Minkia, chi travagghiu di minkia pi la prima minkia di lu munnu? Minkia, ma perché devo stare attento alla minkia di lu sceccu? Attribuita a Pryapo --- Venne anche lo scrittore Paulorum Santhokrysos e chiese della serietà del Pattuallopolys . Il tutto dopo una bella e consistente offerta di minkiajuana. Era ateo, ma venne tanto per giocare. Tanto per vedere e sentire le minkiate grandi e grosse che gli oracoli sparavano in nome del loro dio. Tanto per prendersi reciprocamente per il kulo. << Pi mia nun s‟avissa a ciamari Pattuallopolys, ma Bordellopolys, Kasinopolys, Minkiapolys, Kazzopolys e altro. Vidu sulu nu gran casinu. Nu burdellu di merda strunzata cinu cinu>>. << Orakulu beddu , in fede, mi spiegasse cosa minkia vede?>>. << Comu minkia fazzu? Nun ci capisciu nu kazzu. Minkia. Chiù taliu, chiù la minkia mi cunfunnu. E na storia a minkia ca farà ririri tuttu lu munnu. Pattuallopolys, minkia e kazzu e cicia, per carità, beato chi capisce unni minkia sta chidda minkia della verità. Quattro o otto, minkia chi discursu a marrugghiu pazzu. Chi minkia è stu minkia di concorso a minkia e a kazzu? I documenti e li cartazzi. Unni minkia sunu sti kazzi? Minkia, chi minkia di burdellu e chi casinazzu. Minkia, chi schifiu, mancu pi la minkia e pi lu kazzu. Se voi na minkia di consiglio, figghiu beddu, lassa stari stu concorsu a kazzu o minkia d‟aceddu. Chistu premiu è premiu a minkia, a ciolla e a kazzu. È la merda chiù merda di la merda di stu munnu pazzu>>. Lo scrittore Paulorum Santhokrysos, tanto per fare gli scongiuri, ti tuccau e rituccau li baddi assai assaissimo. Fu un lavoro lungo ma gli scongiuri , quando ci vogliono, ci vogliono. Non se ne può fare a mano. E tra una toccata e l‟altra si sukò tanta minkiajuana. Ma lui però la chiamava “erba ateina”. Per la precisione scientifico - matematica - filosofika li baddi si li tuccau, e la cosa è documentata in maniera rigorosamente tecnica dalla parola santa dell‟oracolo, ben novecentonovantanovemilioninovecentonovantanovemilanovecentonovantanove voti. E tra una toccata e l‟altra sukò minkiuna di minkiajuana a iosa. O meglio, di “erba ateina”. Ma l‟oracolo aveva contato alla sua maniera. Aveva sautato da un numero all‟altro sotto l‟effetto del fumo. Paria nu pazzu furioso ca spara kazzate a iosa, alla sanfasò e a tinchitè. Kazzate tout court e full time. --Minkia, ci sunu cosi a minkia chiù a minkia di chidda minkia di premio a minkia chiamato Pattuallopolys? Attribuita a Paulorum Santhokrysos --- Ma a dire il vero vero veramente ci furono due oracolanti che aspettavano il turno di oracolare con l‟oracolo e che non avendo un kazzo da fare contarono le toccatine di Paulorum Santhokrysos. E poi litigarono. Perché uno sosteneva che erano state quattro milioni e l‟altro che erano state otto. << Di unni minkia siti?>> chiese l‟oracolo fatto e strafatto di fumo di minkiaerosiana. << Se oracolo che sa oracolare sei, lo devi sapere da solo?>>. << A mia mi pariti di Karleonthynoy e Leonthynoy>> rispose l‟oracolo inalando ancora fumo. << Ver‟è. Siamo due uomini di kultura. Kultura per modo di dire. Comunque siamo impegnati nel premio chiù serio del mondo, il Pattuallopolys. Stiamo cercando di organizzare tante belle minkiate. Sicuramente se ne parlerà in futuro>> risposero quelli ridendo. S‟erano fatte due pattuallone, ovvero due palle piene di pattuallojuana. Questa era la moda di Karleonthynoy e Leonthynoy. E stavano per offrire delle dosi di pattuallojuana anche al dio Eros. << No, chissa porcheria no. Sukativilla voi ma non rovinate i fumi miei. Meglio niente che sukare pattuallojuana>>. L‟oracolo si mise a ridere, Paulorum Santhokrysos anche. <<Forse non basta pi scongiurare la iella e la sfiga >> pinsò lo scrittore fumando. <<Toccarsi? Forse non basta manco quello. Quel premio è proprio un bordello. Merda assai e assai mirdazza, è proprio na kakatazza >> pinsò l‟oracolo inalando per il puro e semplice piacere di non sentire altre minkiate da quei due senzaciriveddu. Lo scrittore comunque nun sapia se mandare o non mandare il suo testo a tematica pilusa. <<Ma chi ci trasi il Santhokrysos col pilo?>> potrebbe chiedersi qualcuno. Tanto per farsi una domanda. << Ci trasi. Perché lui scrive solo di pilo>> sarebbe la giusta risposta. Tanto per darsi una risposta. --Minkia, chi minkia di minkia ci posso fare se a mia mi piace diri sempre quattro milioni di minkiate? Attribuita al tizio di Karleonthynoy --Minkia, chi minkia di minkia ci posso fare se a mia mi piace diri sempre otto milioni di minkiate? Attribuita al tizio di Leonthynoy --Venne anche l‟autore dei Carmina Priapea, Mhaxymylyanum Mhaxymylyanorum da Munypuzos. Uno a cui piaceva tantissimo parlare e scrivere in latino. Non diceva mai “Testa di kazzo” ma “Cefalomentula”. Non diceva mai “Koglione” ma solo e soltanto “Testikulos”. Non diceva mai al suo parrino che era “ Obeso“ ma “Obesus“. Però facia confusione tra credito e debito. Fece anche lui la sua offerta . Una minidose. Nu tanticchia, anzi, nu tanticchina: << Il latino tiene un debito cu mia>>. Invece era lui che teneva un debito nei confronti del latino. << Il latino mi è creditore>> diceva. Invece era lui che tinia un debito, come detto, nei confronti del latino. All‟oracolo chiese: << Orakulorum, orakulorum, mi accatteranno il megaduerotorum>>. << Minkia. Mi pare cosa difficili ma assai assai, e megghiu ca ti teni chiddu minkia ca hai. Pirchì altrimenti ti finisci ca a peri devi caminari, anche se la mamma in cambio nu sceccu ti voli accattari>>. << Mentula , mentulona, mentulazza. Minkia, minkiona, minciazza>>. Chi minkia ci trasi questo col pilo? Ci trasi. Per il sommo poeta Mhaxymylyanum Mhaxymylyanorum avere il megaduerotorum voleva dire correre chiù assai e arrivare più presto a fare li cosi di pilo. Uscito dal tempio si sukò nu minkiuni di minkiajuana. Ma iddu la chiamava “Erba latina”. Ma che cos‟è il megaduerotorum? Difficile da spiegare. E‟ pura tecnologia. Attualmente lui aveva il microdueruotarum. La differenza unnè ? << Come iri a sceccu e a cavaddu. Mi sono spiegato>> diceva lui << Sì. No. Se mi sono spiegato bene, altrimenti iti tutti a fari in kulo, anzi, in anum>>. --Minkia, ma chi minkia di mali della minkia ho fatto per non avere questo minkia di strumento della minkia che mi appititta? Attribuita a Mhaxymylyanum Mhaxymylyanorum --Venne anche Sokratynos da Munypuzos. Offrì tantissima roba di quella fatta in casa. << La mia filosofia, la bedda filosofia mia, avrà successo in questa minkia di terra mia?>> chiese. << Mancu pi la puntidda di lu to kazzu. E megghiu ca scrivi di pilu e di pilazzu>>. Sokratynos Phylologos s‟inkazzò un casino. << Ma come ti permetti, oracolo pazzu e iarrusu. Io sono uomo d‟onore e no nu cosa fitusu. Io scrivo di filosofia , di filosofia ranni. E no di li cosi ca stanu dintra li mutanni>>. << Sei solo un filosofo di pilo, testa di kazzu ranni, pirchì la minkia è sempre na li to dumanni>>. << Minkia, ver‟é>> esclamò il filosofo. E si sukò na dose massiccia di minkiajuana. Detta da lui anche “erba dei filosofi”. E poi si pose una nuova domanda. << La vita è una, come la minkia, e se non è un piacere vivere con filosofia e avere una filosofika minkia, a che minkia serve vivere filosofikamente e avere una minkia filosofika?>> era una delle tante varianti della domanda per cui era famoso il filosofo Sokratynos da Munypuzos. Ma ci trasi Sokratynos Phylologos col pilo? Ci trasi. Perché nelle sue domande filosofike ci stava sempre la parola “Minkia “. --Minkia, ma pirchì nelle mie domande a minkia ci sta sempre la parola “minkia”? Minkia, ma pirchì alle mie domande a minkia non ci sta mai na risposta, magari a minkia? Attribuita a Sokratynos --Intanto morì Minosse. Nel suo girovagare di corte in corte Minosse finalmente l‟avia trovato. Quel cornutazzo dell‟architetto e altro, Dedalo, era da Cocalo. Anche se non l‟avia visto era là. Perché Minosse a tutti addomandava la stessa cosa. A tutti poneva lo stesso problema. Un problema che solo Dedalo poteva arrisolvere. << Come si fa a far passare un filo attraverso una conchiglia a spirale>. E dava a tutti la conchiglia e il filo. Ma Cocalo fu l‟unico che gli restituì la conchiglia con dentro il filo. << Minkia. Per Apollo e i suoi apolloni e anche per il mio amico Koglio e i suoi koglioni. Dedalo è qua>>. Infatti era in quella corte. Occasionalmente. Di solito viveva alla corte di Agamynkyone. Pare che Dedalo, per risolvere il quesito, avesse fatto un piccolo purtusiddu all‟estremità della conchiglia spiralizzata e poi, legando il filo a una formica, avia concluso l‟impresa. << Per Apollo e i suoi apolloni, per i suoi Colleghi e i loro collegoni. Dammi Dedalo, dammillu. Altrimenti faccio un macello, una battaglia, una guerra>>. << No>>. La città fu posta in stato d‟assedio. Cocalo capì di essere in uno stato di inferiorità. E giocò a suo modo. Giocò d‟astuzia. << Vieni a cena, facciamo pace. E poi ti pigli a Dedalo. Te lo dugno con l‟inganno e tu ne farai quel minkia che vorrai>>. << Obbedisco e vengo>> rispose laconico Minosse contento per aver finalmente trovato Dedalo. << Ti propongo prima di mangiare un bel bagno caldo con le mie tre figlie, in segno di ospitalità. Loro ti terranno compagnia e ti massaggeranno tutto. Solo massaggi con le mani, le tette, le natiche e la lingua. Altro non possono fare. Vergini sono e vergini devono restare>>. << Obbedisco e mi faccio il bagno>> rispose laconico Minosse pensando di essere massaggiato da sei mani, sei tette, sei natiche, ma soprattutto pinsannu a tre bocche e tre lingue pronte a contendersi la sua ciolla regale un po‟ vecchietta ma ancora capace di fare bella figura a letto. E s‟immerse nella speciale vasca costruita da Dedalo. Poi fu massaggiato a tutti i livelli dalle tre ragazze che prima di immergersi si erano strofinate sul corpo una crema detta “Atermica”. Infatti dalle condutture iniziò ad uscire acqua sempre più calda. << Minkia, ma troppu caura è>> disse Minosse. << Minkiate dici, e che sei eccitato e tieni cauru. E cauru ciollesco, cauro di minkia>>. Minosse sentiva sei mani che lo arriminavano. Vedeva sei seni superbi ballare davanti ai suoi occhi Vedeva tre lingue dare segnali inequivocabili. Si sentiva in paradiso. Anche se l‟acqua era troppa caura e in realtà ci paria di stare all‟inferno. << Sarà, ma a mia mi pari troppu caura. Mi sento cuocere i koglioni e la minkia, mi pari ca tegnu du ova bolliti e una sasizza cotta al vapore>>. << Minkiati. Re bello, è la tua ciolla tisa che genera calore. Anche noi siamo immerse nella stessa vasca. È il famoso effetto detto Minkiatermogenesi>>. << Vero? Ma! Sarà? A mia mi pare che bolle. E se bolle vuol dire che la temperatura è a cento gradi Archimedoni. Mi sento che sto per diventare un re bollito>>. << Balle, siamo noi che facciamo le bolle, cu li nostri pirita. Il piritomassaggio fa bene alla pelle>>. << Sarà, ma io mi sento un re sempre più bollito>>. << No, ma la tua ciolla forse sì. E già nu pezzo di sasizza cotta>>. Una delle figlie di Cocalo la staccò e si la mangiò. Minosse oramai ci vedeva poco. Anche il cervello bolliva. A vapore, ma stava cucennu puru iddu. L‟autra figlia invece staccò le palle. Se ne mangiò una e desi l‟autra a quella che ancora non aveva assaggiato niente. Così, conversando conversando, Minosse cripò bollito. E naturalmente , conversando conversando. Iddu fu mangiato dalle tre figlie di re Cocalo. --Nella grotta accanto a quella dell‟oracolo di Munypuzos abitava, oramai in pensione, il vecchio Tiresia. Profeta dalla vita avventurosa come pochi. E non avendo una minkia da fare pensava sempre alla sua vita stran‟assai. Nato mascolo si era goduto alla grande la sua mascolitudine. Era profeta ma ci piacia il pakkio in tutte le salse e varianti. O meglio, gli era piaciuto. Era stato un profeta pakkiofilo. Adesso anche la minkia era in pensione. A parte qualche espluà si riposava l‟aceddu mentre il ciriveddu dell‟oracolo impazziva. Tiresia non aveva mai amato il piatto fisso a cui erano obbligati gli uomini che pigliavano moglie. << Mangiare sempre lu stissu piattu, iu vi l‟haiu dittu, fa passari a qualsiasi minkia di futtiri lu pitittu. È bello e giusto cangiari spissu la bedda pignata, anche se alla fine la ciolla sempre là veni fikkata. Ma se unu pi disgrazia teni na minkia di mugghieri nun poli sulu e sempri iri a zappari peri peri. Invece chi nun si pigghia na minkia di moglie poli futtiri alla sanfasò e a iosa, e levarsi tutte le voglie. La minkia è anarchica, apolide, atea, amorale. E a la minkia ci piaci sulu fari la minkia in generale. La mogliere per la ciolla male assai e ranni è. Meglio essere senza moglie e futtiri a tinchitè>>. Tiresia era poi addivintatu femmina per sette anni; e poi di nuovo mascolo. La prima metamorfosi era avvenuta quannu attruvati due serpenti in amore ammazzau la fimmina con un colpo di bastone. Ammentri ca la serpentessa spirava iddu si intisi siccari l‟aggeggio e crisciri du minnazzi. Praticamente si trasformau in femmina bona assai. Pianse la perdita del citrolo ma poi scoprì i piaceri della filazza. Se con il citrolo doveva darsi da fare per trovare una nuova citroliera con la filazza di aceddi che volevano infilazzarsi ne trovava a iosa. E poi, se il citrolo aveva dei limiti, la filazza non si stancava mai. Era stato femmina kazzofila assai assaissimo. Kazzofila instancabilissima. << Dari è difficili, ricevere è facili. E il mascolo deve dare, la femmina invece deve solo ricevere>>. Passati sette anni attruvò di nuovo una coppia di serpenti che fottevano. <<E se stavolta ammazzo il mascolo che succede?>> pinsò. Essendo indovino si desi la risposta in automatico. Ammazzò il mascolo; e in un amen ci svuncianu li minni e ci crisciu l‟aceddu. Adesso era lì che pinsava : << Ahhhh.. se avissi ancora la bedda filazza sicuramente acchiapperei qualche minciazza. Invece cu sta cosa babba ca penni inutilmente, magari ca acchiappo nu pakkiu, poi nun fazzu nenti>>. Pinsava sti cosi quannu visti nu messaggero arrivare di corsa. << Veni all‟Olympazzo, di cursa, ca Zeus e Era si stanu strarriannu comu lu cani cu lu iattu e vonu ca tu ci devi , per esperienza, dari la sentenza>>. << Io a lu capodio e alla sua signora?>>. << Sì >>. Na vota ca si attruvau al cospetto del padre padrone e relativa consorte ascoltò con deferenza sommissima. << Tiresia bello, io mi consento di chiederti, e tu mi devi dare la risposta qualunque essa sia, mi consento di addomandarti, a tia che sai cosa vuol dire fare il mascolo col meccio e la femmina colla filazza, di dirmi papale papale se quannu si futti ci prova chiù piaciri il mascolo o la femmina. La mia signora sostiene che il piacere mascolino è più grande di quello femminino. Io sostengo all‟incontrario. Ma tu dicci chi è che teni ragione. Io mi consento e autoconsento di accettare il tuo verdetto qualunque esso sia, perché è giustifikato dall‟esperienza di essere stato maskulu con la ciolla e femmina con la filazza >>. << Kazzo. Ma è facile la risposta. Il piacere della femmina è un milione di volte chiù granni di quello del mascolo. La femmina dintra la funnacella avi una reti di cellule del piacere che s‟irradiano in tutto il corpo e una volta stimolate si mettunu a ballare na specie di tarantella automatica che nun finisci chiù. Lu maskulu, chisti cellule del piacere, li teni sulu sulla cappella del pene, sulla koppola della minkia, per dirla in dialetto. Perchè mentre la femmina è tutta una estensione fisiologica del suo stikkio, l‟uomo, a parte la punta dell‟aceddu, è sulu carni di basso macello. Pensa all‟affari, alla politica, alla guerra. Poi di punto in bianco la minkia ci arrimodda e finisci tutto. Invece la femmina, volendo, può sempre arricevere. Vita natural durante poli sempre fikkare. “La fimmina vulennu si poli fari tutti li maskuli di lu munnu, a lu maskulu ci arrimodda tuttu dopo qualche kunnu” dicevano gli antichi. E io giustifico così il passaggio dalla società matriarcale a quella patriarcale. Vista le infinite possibilità del kunno era meglio farlo gestire ai mascoli con leggi, leggette e minkiate e minkiatelle varie>>. << Ahhhh.. bella spiegazione e bella risposta? >> risposero Zeus e signora. << O accussì o kazzi>> aggiunse Tiresia <<Io preferirei essere una vecchia. E avennu li soldi mi paiassi nu beddu buttanu pi farimilla fikkari. Invece l‟aggeggio arrimuddò e nun ci sunu piccioli ca lu mettunu additta. Ogni tanto ci riesco, ma è assai assaissimo faticoso arrivari alla sciuta del latte di brigghiu. Ma prima quante operazioni devo fare. Ci vonu due margherite vergini di Pisticci, una rosa ermafrodita di Minkiaekunnu, l‟olio di quattro olive nere di Atene e tri pila di kunno rossiccio di Erice. Poi bisogna tritare il tutto e stricare la miscela sulla parte interessata. E poi aspettare il miracolo della rinascita recitando la litania dell‟aceddu di lu diu Urano. E se questo miracolo avviene bisogna sbrigarsi a fare il fikka-fikka, perché altrimenti quello magari arrimodda presto>>. << Ahhhh…>> rispose Zeus che come dio nun avia problemi di minkia impotente. A parte quando viria o sintia a Pryapo. << Meglio fimmina ca maskulu. Male ca va, una fikka con un bel citrolo frisco. Oppure si accatta il Sosia che va tanto di moda>> aggiunse Tiresia. << Comunque il citrolo, volendo, pure un mascolo si lu poli fikkare in kulo. E forse alla fine è meglio un citrolo in kulo che niente. Tra l‟altro il citrolo costa pikka e va bene per fare fikka-fikka>> disse la gelida e impassibile Era. Zeus e Tiresia la talianu come due babbi. Zeus rise del citrolo ma Tiresia ci fece un pensierino. --Cronaca pilusa, pilo per pilo e minkia per minkia, ma anche ciolla per ciolla, kazzo per kazzo, mentula per mentula, cicia per cicia del matrimonio di Helena e Mynkyalao con annessa minkia di Paryde e non solo quella. Ovvero dalla minkia maritale di quel minkialenta di Mynkyalao alla minkia amorosa di Paryde passando attraverso una serie di vere minkie più o meno portentose, compresa quella di Pryapo, più qualche minkia finta . Ovvero il “tur delle minkie e non solo” di Helena. Detta Helena di Munypuzos prima e Helena di Purceddopolys poi. Ma conosciuta da tutti come Helena la Troia. --Arrivò il giorno del matrimonio. Lu iornu di lu sposalizio. Lu teatro per eccellenza. Prima si recita in pubblico, per la gioia del mondo; poi si recita in privato, per la gioia della ciolla e del pakkio. E se il pakkio può recitare anche sul palcoscenico chiamato “letto”, la ciolla può non farcela. Se manca l‟ispirazione, se non ci sta il pititto, son problemi grossi, in quanto il coso non s‟ingrossa. Ecco pertanto che le più grandi tragedie avvengono il camera da letto. Si alza il sipario sul mondo e va in onda il matrimonio. Si abbassa il sipario in camera da letto ma non s‟alza il protagonista. E allora son kazzi da kakare. “Lu iornu di lu sposaliziu lu sposo si leva lu sfiziu, lu iornu di lu matrimoniu la sposa canusci lu demoniu” diceva una massima popolare di Munypuzos. Per alcuni, anche allora come ora, al matrimonio si doveva arrivare vergini. Almeno ufficialmente. Ma la cosa, allora come ora, non succedeva quasi mai. Innaturale era e antibiologica anche. A parte gli adepti di qualche setta, la verginità era una grannissima minkiata. Anche se la gente si sposava giovanissima, ognuno dei maritanti era generalmente aperto a tutte le esperienze. Specialmente il maskulo, che se non aveva fatto la giusta esperienza col suo aceddu, poi lassava insoddisfatta la moglie. E la moglie si cercava subito una nuova minkia. Mentre il marito, a causa dell‟inesperienza della moglie, si cercava quasi sempre una fimmina sperta di pakkio e altro. << Come minkia si usa il portuso? Quannu si sazia sta ucca affamata di minkia? >> si domandavano i maschi incompetenti. Ma anche la fimmina, se era babba di li cosi di pilo, lassava l‟aceddu infelice. Delle volte non riusciva manco a farlo decollare. <<Qual è la giusta manutenzione della minkia?>> si domandavano le femmine inesperte. Ma generalmente anche la moglie aveva fatto le sue. E c‟era anche il suddetto detto popolare. Ma in realtà, cosa buona e giusta, lo sfizio si lu luvavunu subito o quasi. E quella cosa che qualcuno chiamava “demonio” di demoniaco non aveva un kazzo. La minkia non era il demonio, e il pakkio non era il Tartaro. --Comunque arrivò il giorno del matrimonio di Helena con Mynkyalao. “Il matrimonio del secolo” dissero tutti. Qualcuno addirittura del millennio. Tra mortali e immortali nun si capia na minkia. C‟erano in passato stati i sontuosi matrimoni di Teti e Peleo e quello di Cadmo e Armonia. Questo comunque era un evento. Helena, figlia del capodio Zeus, si maritava. Tutto si svolse nel palazzo reale di Munypuzos e nei suoi giardini pensili. Celebrò Zeus in persona. Tutto allicchittiato in pompa magna e assistito da Eros e da Pryapo. Il desiderio dell‟amore il primo, la sua concretizzazione il secondo. Helena, bell‟assai nella sua vistina trasparenti assai, fu addichiarata moglie di Mynkyalao, ca mischinu, pi la prescia di fikkari, tinia nu vunciazzuni sutta la corta tunica. Eppure prima aveva fatto quello che aveva fatto. Quannu idda ci dissi “Sì“ pi la gioia Mynkyalao vinni automaticamente. Gioia per modo di dire. <<Helena è mia, mia tutta. Del resto mi ni futtu una minkia e così sia>> pinsò Mynkyalao. Nessuno visti la macchia umana, ma in tanti intisiru il ciauro di simenta maskulina diffondersi nell‟aria. A dire il vero si pisciò pure Helena. Ma non per il pititto dell‟aceddu maritale, bensì per la gioia che alle femmine duna il matrimonio. << Sugnu regina e tengo na la vanedda una minkia reale, bella , tisa , poco disponibile, e con una corona speciale. Ma tengo pure l‟amante, ca è un principino reale, e tiene na minkia ca mi duna nu piaciri celestiale>> pinsò Helena. Paryde, invitato tra gli invitati, ebbe anche lui la sua erezione. << Iddu ci la fikka tra poco e io che faccio? Da solo cu la me ciolla ioco? Da solo mi sparo lu iocu foco?>> pinsò Paryde. Ma a dire il vero l‟erezione l‟ebbero tutti i maskuli presenti. Le femmine invece invidiarono Helena sia per il ruolo di moglie regina che per quello di amante soddisfatta. << Pititto di consumare il matrimonio ufficialmente. Pirchì già consumato fu>> dissero alcuni commentando l‟odore. E tutti a dire che si trattava di una recita. Che quel matrimonio era un teatro, una recita, una sceneggiata, fors‟anche una commedia che però putia trasformarsi in una colossale tragedia che storici, poeti e scrittori avrebbero tramandato ai posteri. << Si comincia cu lu re ca la metti in kulu a la regina e si finisci cu lu re ca la metti in kulu alla popolazione cina cina >> dicevano certi nemici della monarchia. << Ma nu fattu è sicuru, qualche volta pure lu re la piglia in kulo>> aggiungevano i nemici acerrimi della monarchia. Per tramandare ai posteri la storia del matrimonio erano presenti Homeryno Homokulum e Mhaxymylyanum Mhaxymylyanorum da Munypuzos. L‟uno scrivia in greco, l‟autro in latino. Ma la gente capia pikka sia l‟uno che l‟autro. E ci stava naturalmente pure quel curtigghiaru dello scrittore Paulorum Santhokrysos, lu scrittore di cosi di pilo, che nun sapennu né le grecu né lu latino e a dire il vero ignorando magari l‟italiano, si era misu a scrivere in dialetto. Ma sulu su fatti di pilu. Homeryno Homokulum pinsò di scrivere il Poema Helena sposa Mynkyalao pensando a Paryde. Mhaxymylyanum Mhaxymylyanorum pinsò di mettere mano a un Carmen intitolato Il kunnus di Helena sposa la mentula di Mynkyalao ma desidera la verga di Paryde. Lo scrittore piluso Paulorum Santhokrysos pinsò al romanzo Lu pakkiu di Helena dice sì alla ciolla di Mynkyalao ma addesidera la minkia di Paryde. E non poteva mancare il filosofo Sokratynos Phylologos, il filosofo della minkia, con le sue domande a kazzo di cane: << La vita è una, come la minkia, e se non è un piacere vivere senza sposarsi e avere una minkia felice senza una moglie che te la rende infelice, a che minkia serve vivere infelice e maritato e avere una ancora chiù infelice e maritatissima minkia che se ne fotte del pakkio maritale?>>. Ma si chiese anche: << La vita è una, come la minkia, e se non è un piacere vivere e avere una libera minkia, a che minkia serve vivere per sposarsi e avere una minkia in gabbia e priva di libertà ?>>. Ma la più bella sul matrimonio o sulla stupidità del matrimonio fu questa : << La vita è una, come la minkia, e solo i fessi, per i quali non è un piacere vivere liberi e avere una minkia libera, si maritano per avere una minkia sistemata e il diritto matrimoniale alla fikkata assicurata, e allora io mi chiedo “ma a che minkia serve vivere e avere una minkia che fikka per dovere”? >>. --Arrivò, come detto, il giorno del matrimonio. Lu iornu di lu sposalizio. E un matrimonio è anche l‟occasione per parlare di fatti di pilo. Perché il matrimonio è basato sul pilo. Sull‟uso del pilo. Pilo autorizzato però. Pilo legale. Pilo benedetto. “Pilo pilorum. Pilinu pilazzu. Pilu di stikkio e pilu di kazzu”. << La gente arriva al matrimonio per il pilo, poi continua a stare sposata per il pilo, ma alla fine divorzia quannu tra il pilo maritale si inserisce qualche pilo estraneo. Perché il pilo nuovo attizza di chiù >> sosteneva lo scrittore Paulorum Santhokrysos che pensava di scrivere il romanzo I promessi sposi che fikkavano ufficiosamente da promessi finalmente si sposano e possono ufficialmente fikkare da sposati per il dovere e ufficiosamente fikkare con gli amanti per il piacere. E siccome a un matrimonio nun si poli fare a meno di curtigghiari anche in questo si curtigghiò. Si curtigghiò su Helena e sui suoi amori, su Mynkyalao e la casa regnante di Munypuzos. Si curtigghiò dell‟amicizia intensa nata tra la bella sposina caura di stikkio e il bel Paryde cauro di ciolla. <<E‟ n‟amicizia assai pilusa, iddu cu lu stuppagghiu ci antuppa li purtusa>> commentarono in tanti. Si curtigghiò sugli dei in genere e naturalmente anche e molto sui mortali. E naturalmente si curtigghiò molto assai assaissimo su Pryapo che per l‟occasione sfoggiava per la prima volta il suo nuovo lukki. E se un matrimonio è fonte naturale di pettegolezzi spettegoliamo nu tanticchia anche noi. E che kazzo! I costumi era perfetti, eleganti, sontuosi, spettacolari. Helena indossava un elegante Armani molto ma molto sensuale. Mynkyalao un trasgressivo Versace da cerimonia. Aphrodyte un focoso rosso da sera di Valentino che metteva in evidenza il suo essere Kallipigia, Kalliminna e Kallikunno. Paryde era tutto allicchittiato da uno stupendo Dolce & Gabbana che evidenziava la sua carica erotica di picciotto in piena tempesta ormonale. Alcmhona indossava un sensazionale Cavalli che la rendeva chiù bella di quello che era. Zeus addirittura era in Paciotti e al collo portava il famoso rosario col suo pendente. Era aveva scelto un abito nero anonimo in segno di lutto confezionato dalla “Premiata Sartoria Ciccina e Ciccinedda”. In fondo quella che si sposava era la figlia dell‟amante di suo marito. Leda, la bella amante di Zeus, sfoggiava un sofisticato Gattinoni. Pallade Atena e Artemide indossavano una semplice tunica bianca anonima come segno della loro purezza e verginità, tunica prodotta dalle Sacerdotesse della Castità Moltiplicata. Ares esibiva un lussuoso Ferrè. Dyonyso, amante dei viaggi, aveva scelto un abito con le carte geografike di Martini. Efesto, tanto per non dimenticare il rosso fuoco dell‟Etna, era tutto in rosso pompeiano di un suo amico di Munypuzos. Eros si era infilato in un coloratissimo Coveri. Castore e Polluce si erano vestiti allo stesso modo, indossavano il marchio giovanile Sonny Bono. Odisseo sfoggiava un meraviglioso Moschino. Enea indossava un classico completo da eroe con tanto di reggiballe in quanto tinia un peso insopportabile nei koglioni. Tinia, mischineddu, due koglioni quanto due cipolle di Giarratana. E camminava pertanto a gambe larghe. Con lui il vecchio Anchise e il piccolo Ascanio, e naturalmente la moglie. Tutta la famiglia indossava abiti artigianali confezionati dalla sartoria “Maruzzedda & company”. E anche gi altri erano elegantissimi. Agamynkyone però indossava il costume reale, accussì anche la bella Fikennestra. Ifikanya invece mostrava tutta la sua bellezza con una tunica trasparente ma eroticissima che esibiva una curiosa scritta “Grazie zio”. Trasgressivo Mynkyoreste in compagnia del suo Pilade, entrambi in Gucci. Trasgressivi anche Patroclo e Achylle in Lauren. Serio e anonimo era invece il vestiario di Elettrakunnus e Kunnotemi. Tradizionale stile Purceddopolys per Pryamo, Ekuba e gli altri loro figli. Homeryno indossava un tradizionale abito di stile greco corto assai, Mhaxymylyanum Mhaxymylyanorum il tipico abito latino e Santhokrysos il completo tipico di Munypuzos. Sokratynos si era vestito in modo filosofico. Cioè, a minkia di cane. Anzi, a minkia di filosofo. Ma se questo lo vedevano tutti, non tutti sentivano le frasi acide che commentavano il tutto. << Matrimoni, che rottura di koglioni>> dissero in tanti. << Lo sposalizio è l‟anticamera del divorzio>> dissero altri. << Helena, rimembri ancora quannu la mia ciolla ti somministrai? >> disse piano pianissimo un misterioso invitato. Ma quello che fece più scalpore fu Pryapo. Indossava un completo di Gaultier che metteva il evidenza la sua struttura anatomica con una sorta di cilindro piazzato davanti al pistone di carne e due cilindretti piazzati davanti al seno. Nello stesso tempo l‟abito elegante e curioso lasciava scoperte le cosce e le braccia. E tutti taliavano quelle cosce e quelle braccia prive di peli. << Ca teni la megaciolla lu sapemu, ma ca tinia magari li minni no>> dissero i soliti pettegoli. Che intanto taliavano cosce e braccia del dio minkiuto. Per poi concentrarsi sul portaciolla. << Ma chi minkia talinu? Ci paru nu fenomeno da baraccone? Ci paru un teatrante da teatro? Chi minkia mi talinu a fari? La mia specialità è nascosta. Lu sacciu ca a tutti ci piacissi taliari la mia ciolla. Ma idda è nascosta anche se esibita. Minkia, chi skassamarruna. Mi stanu taliannu li cosci e li urazza, comu se cosci e urazza da taliari non ci ni stassunu. A parte che poi ci sunu certi fimmini ca unu ancuminciassi a talialli cu l‟occhi pi poi mangiarisilli cu la ucca e infini addubballi cu la minkia>> disse Pryapo chiacchierando con Narciso e Adone che erano vestiti come lui. Solo che il cilindro minkiolesco era molto ma molto più piccolo. Golia e Davide , tanto per citare altra mitologia. << Talinu la tua biddizza e non solo la tua sasizza. Talinu l‟una e vorrebbero l‟altra>> risposero Narciso e Adone. << Perché, adesso bello addivintai?>> chiese ironico Pryapo. Che però sulla bellezza ci marciava. << Certamente e sicuramente. Da quannu pirdisti lu pilazzu addivintasti nu beddu maskulazzu>>. In effetti tutti lu taliavano a Pryapo. A parte la mise stravagante, a parte quattro Menadi, bone e chiù nude ca vestite, che lo accompagnavano, a parte la caratteristica anatomica che lo rendeva celebre, a parte il desiderio inconfessato di tutti, al di là del sesso, di sbirciare almeno una volta la protuberanza delle protuberanze, il fatto vero, reale e concreto, per cui tutti lo taliavano, era che Pryapo, da brutto e racchio qual‟era, era diventato bello. E questa era la prima occasione pubblica in cui il dio dal palo rosso e sempre eretto si ammusciava pubblicamente. Neanche il padre Dyonyso e la madre Aphrodyte lo avevano ancora visto. Solo Adone e Narciso sapevano la verità. Solo loro conoscevano la nuova versione di Pryapo. --Pochi giorni prima del matrimonio Pryapo era andato, con i suoi amici , nel centro di bellezza gestito da Narcisa. E lì si era fatto spilare pilo per pilo. Narcisa a vidillu si era messa le mani nei capelli. << Tutto ama scippari? Tutti l‟haia a spilari chissi cosci?>> aveva chiesto taliando le gambe dello sconosciuto accompagnato da suo fratello Narciso. << Tutto, tutto, tutto quello che vedi e anche il resto>> aveva confermato Pryapo. << Tutto, tutto. E non sai quello che ci sta sotto la tunica>> avevano aggiunto Narciso e Adone. Scoperta poi l‟identità del cliente Narcisa e le sue assistenti erano andate in brodo di giuggiole. Non vedevano l‟ora di vederlo nudo per contemplare il sacro palo rosso sempre eretto. <<Minkia, per Zeus e i suoi zeussoni. Minkia, che kazzo e che koglioni>> pinsarono tutte nel vederlo. Pryapo si era disteso su una sorta di lettino nudo e con l‟aggeggio disteso sulla pancia e oltre. << Si la poli ciucciare da solo>> pinsò Taide che amava la fellatio. Comunque, pilo dopo pilo, l‟operazione era durata una giornata intera e aveva coinvolto Narcisa e quattro sue assistenti. Una si era dedicata alle gambe, una alle braccia mentre Narcisa ci scippava li pila di davanti. Acuminciau da lu pettu per poi arrivare al biddico e quindi all‟area circumkazzica. << E le altre due assistenti che facevano?>> si chiederà qualcuno. << Da buone assistenti, assistevano la ciolla del dio, spostandola, a seconda dei casi e delle necessità, a ovest, a est, a sud, o a nord >> vi racconto io. Comunque l‟operazione iu avanti facilmente e tranquillamente anche se Pryapo, ogni tanto, facia “Ahi“ più per gioco che per altro. Ma la cosa più strana fu che procedendo la spilatura successe il miracolo. Pryapo incominciò il tutto che era lario e alla fine vinni fora che era un picciotto bello. N‟autro Narciso . N‟autro Adone. Solo con una minkia più grande. L‟unica cosa mostruosa, ma di un mostruoso piacevole, era pertanto la sua ciolla eretta. Ma quella era già spilata di suo come il kulo. << Minkia, che beddu>> dissero le assistenti appitittate. << Minkia, che beddu, pari n‟autru>> disse Narcisa estasiata. << Minkia, che beddu, mancu iddu pari>> dissero Adone e Narciso adoranti e contemplanti. << Minkia, che beddu. Ma cu minkia è chissu maskulu biddazzu cu na minkia quantu la mia?>> chiese Pryapo taliannisi na lu specchiu d‟argento. << Ma si tu>> ci dissero gli altri. << Iu sugnu? Ma se ero lario? Chi successi? Nu miracolo? Dopotutto mi sono solo spilato. Possibili ca livannisi quattro, per modo si dire, pila fitusa, si addiventa bellissimi?>>. << Sì>> risposero tutti in coro. <<Allora abbasso li pila e viva il pilo. Addivintai beddu e voglio fare solo e sempre più fatti di pilu ma senza aviri mai più un pilo. Minkia chi sugnu beddu. Beddu, beddu, beddu. Biddazzu di la punta di li peri a chidda di lu kazzo. Beddu, beddu ca pi la gioia staiu...>>. Manco in tempo di finire la frase che il rosso palo eretto iu in eruzione, e annaciau tutti i presenti. Che risero e si ittanu sulla sacra fontana. << Beviamo lu latti di brigghiu di lu diu ca porta fortuna>> disse Narcisa. << Fortuna porta>> dissero le assistenti, << Fortuna nei fatti di pilo e d‟amore>> aggiunsero Narciso e Adone. E ci lu alliccanu ca na stizza di simenta non arristò. Pryapo era contentissimo. Si susiu e si mise a sautare stanza stanza. Iddu abballava ma la sua ciolla facia un balletto che era uno spettacolo. E cantava: << Kalos kagathos, kalos kagathos. Il bello e il buono sono io. Io sono kalos. La mia mentula è kagathos. Io sono il bello e la mia minkia è il buono>>. E ballava davanti allo specchio d‟argento. Anche gli altri si misero a ballare. E ballannu ballannu si spugghianu. Orgetta fu. Tutti ingignanu il nuovo Pryapo, e Pryapo fece il suo primo sesso da maskulazzu beddu. Uscito dal locale non fu riconosciuto da nessuno. Passiava ma nessuno lo riconosceva. << Minkia, ma cu è chistu maskulazzu beddu>> diceva la gente. << E bello come un Apollo, ma davanti teni una ciolla spaventosa>>. Pryapo, nella sua testa, si ripeteva mnemonicamente fino all‟ossessione la solita identica frase “Minkia chi sugnu beddu, e non solo di kulu e d‟aceddu“. Quella notte la passò davanti allo specchio a taliarsi e contemplarsi. A minarisilla e a ricontemplarsi e poi a riminarisilla e poi ancora a ricontemplarsi. Era talmente beddu ca si eccitava in continuazione. Anzi, si autoeccitava. La notte trascorse tra minate e autopompini. Ma non era mai soddisfatto. L‟eccitazione non diminuiva bensì aumentava. Voleva correre dalle Menadi ma poi decise che doveva aspettare l‟occasione ufficiale per manifestarsi. << Vedranno la mia cotanta bellezza e resteranno abbagliati>> pinsava. Intanto voleva fikkare. Aveva pititto di fare sesso. Ma non poteva uscire. Voleva aspettare l‟occasione ufficiale. Poteva correre in qualche lupanare ma una volta arriconosciuto la voce si sarebbe sparsa. Maledisse se stesso perchè non aveva permesso a Narciso e a Adone, che volevano restare, di fargli compagnia. Ma lui non aveva voluto. Adesso erano kazzi suoi. Poteva avere due kuli e due bocche e invece aveva solo le sue mani e la sua bocca. Si la minava alla sanfasò e si la sukava a tutta forza, ma la minkia era sempre al massimo dell‟eccitazione. Ma lui voleva un buco. Alla fine trovò la soluzione. Forzò la sua ciolla, che aveva una certa elasticità, a fare un curva strana, e alla fine ci riuscì. E puntata la koppola contro il suo kulo si autosodomizzò. Era quasi l‟alba quannu si addormentò. L‟alba del “dì delle nozze”. --- E arrivò il giorno del matrimonio di Helena con Mynkyalao. E quella era anche l‟occasione ufficiale per sfoggiare il nuovo Pryapo. Addormentandosi, la sera prima del matrimonio, cantò piano pianissimo. La “sera” per modo di dire. S‟era addormentato all‟alba. << Ubriaco son io. Sono bello più di un pochettino. Ogni stikkio sarà sempre mio. E io lo posso ichiavardar. Perché alfin, se si parla del kazzo mio divino, quel che mio io lo posso far scopar>>. Mhaxymylyanum Mhaxymylyanorum da Munypuzos celebrò la cosa nel Carmen XXXIII, dedicato a quella notte di autopassione di Pryapo. << Turpe quidem factu, sed ne tentigene rumpar, falce mihi posita fiet amica manus.. Turpe a farsi, certo, ma per non crepare di libidine, deposta la falce, mi servirò della mia cara mano>>. --Pilo dopo pilo, veni fora la biddizza sana sana. Pilo dopo pilo, pure l‟aceddu esce dalla tana. Pilo dopo pilo, anche i koglioni diventano una spettacolo sano sano. Pilo dopo pilo, pure il buco del kulo esce dal suo mistero arcano. Socratino --Arrivò, come già detto, il giorno del matrimonio. E pertanto parliamone nu tanticchia. Tanto per dire qualche cosa. Per fare la cronaca giustissima e onestissima del matrimonio di Helena e Mynkyalao. “Curtigghiamu a minkia ranni prima ca li sposi si scippunu li mutanni” diceva un detto popolare di Munypuzos. Al palazzo reale affluivano gli invitati. Tanti uomini e tanti dei. I curiosi e i pettegoli, lungo il percorso, taliavano come babbi allucinati, scemi specializzati, ciolle e fike appitittate. Il matrimonio era stato celebrato secondo il rito Priapico-Munipuzico. Momento cruciale della cerimonia era stata la domanda fatta dallo ierofante, in questo caso il Theos Maximus Zeus in persona, che aveva chiesto agli sposi: << Vuoi tu , kunnus di Helena, la figlia mia bella, pigliare come tua ciolla personale la qui presente mentula di Mynkyalao?>>. << Sì, la voglio, nella sua totalità e nella sua particolarità>> rispose Helena a nome suo e della sua fika. Ma chiudendo gli occhi vide la “Gioconda”. << E tu, mentula di Mynkyalao, il genero mio, vuoi pigliare come pakkio personale la qui presente muni di Helena?>> << Sì, la voglio, nella sua totalità e nella sua particolarità>> rispose Mynkyalao a nome suo e della sua minkia. Ma chiudendo gli occhi vide la fika di Ifikanya. Vide la sua Domus mentula. << Allora scambiatevi le koppole e le koppolette>>. Lo “scambio delle koppole e delle koppolette” era il momento cruciale della cerimonia . Lui metteva in testa a lei la sua koppola, lei metteva in testa a lui la sua koppola. Lui metteva tra le sue gambe un porta - koppoletta, lei metteva tra le gambe di lui una koppoletta. Dopo il „Sì” papà Zeus chiagniu di felicità, mamma Leda si commosse a livello di kunno, Castore e Polluce pinsanu di fare festa cu qualche pakkio disponibile alla doppia penetrazione, Paryde pianse di rabbia e gelosia, Fikennestra pinsau al marito che spasimava per la cognata ma si consolò pinsannu all‟amante, Agamynkyone si senti già amante in carica della cognata e si la immaginò sul suo aceddu , Kunnotemi e Elettrakunnus piansero per lo zio oramai maritato, la finta vergine Ifikanya rise pensando che lo zio in fondo in fondo sarebbe stato solo e sempre suo. Pryapo gioì sia per il successo personale sia perché Helena era poliminkiofila e iddu si l‟avissa fatta volentieri, Odisseo avia grande pititto di fare fikka-fikka e non vedeva l‟ora di acchiappare il primo kunno di serva disponibile, Ermafrodito taliava tutti e sceglieva ora un mascolo ora una femmina, Eros vulia tirare un po‟di frecce a caso per fare un po‟ più di casino di quello che già c‟era, Alcmhona taliava la sposa e pinsava che tra poco quella fotteva e lei no perché Anfistronzone non era ancora tornato, Efesto si facia in conto dei mascoli lì presenti che s‟erano fatti sua moglie, Eolo si stava annoiando e ogni tanto ciusciava, Dyonyso era brillo più che mai e pinsava d‟inkunnare il suo “ spirito dionisiaco” nel kunno spilato di Aphrodyte. Idem Antigone col padre Edipo. Adone e Narciso non vedevano l‟ora di andare a fottersi reciprocamente come aveva loro insegnato il maestro dell‟erotismo Pryapo, il desiderio di inkularsi era anche nelle menti e nelle ciolle Achylle e Patroclo. Ganimede invece spirava che Zeus ci facissi visita presto, Pallade Atene e Artemide si annoiavano e spiravano presto di potersi leccare la fika reciprocamente e strusciarsela, Era si facia il conto di quante di quelle femmine aveva stuprato Zeus, Pryamo pinsava di festeggiare con la sua signora, tutte le sue figlie ancora zitelle pensavano di trovare una ciolla per la nottata e intanto speravano di essersi fatte notare da Mynkyoreste, Mynkyoreste si era taliato tutte le figlie di Pryamo cercando di capire chi era la meno rompikoglioni per sceglierla come moglie e intanto sperava di poter concludere la nottata con Pilade, anche i figli di Pryamo pensavano a come procurarsi un portuso per la notte, la fresca vedova di Minosse, Pasife, pinsava di attrovarsi una bella ciolla consolatoria per la notte. E così anche gli altri. Ognuno avia i suoi pinseri. O di kunno o di minkia o di altro. Ma tutti avevano comunque pensieri lussuriosi. Anche Enea, nonostante l‟insopportabile peso che tinia nei koglioni. Tutti, tranne gli intellettuali: Homeryno, Mhaxymylyanum Mhaxymylyanorum e Santhokrysos. Li avevano ma non li manifestavano. Per deontologia professionale. Iddi pensavano solo e soltanto a quello che dovevano scrivere, rispettivamente in greco, latino e siciliano. Ma questo è vero solo in parte. In realtà, tra una pinsata e l‟autra, anche loro pensavano che dovevano festeggiare. E che minkia! << Chi la minkia ha, prima o poi adenzia ci darà>>. Al matrimonio era presente anche il filosofo piluso Sokratynos da Munypuzos che si chiese: << La vita è una, come la minkia, e se non è un piacere vivere e avere una minkia, a che minkia serve la partecipazione al matrimonio di un kazzo di potere con un pakkio di lusso, se poi non puoi partecipare alla “consumazione “ del pakkio di lusso anche con la tua minkia intellettuale che in fondo in fondo è una minkia come tutte le altre minkie? >>. --Arrivò, come già detto e ridetto, il giorno del matrimonio. Anzi, stava trascorrendo. Gli invitati, cosa giusta, curtigghiano alla grande. “Curri curri iornu beddu ca iu aspettu l‟aceddu” diceva un proverbio al femminile di Munypuzos. Aspetta ancora nu tanticchia ca poi avrai pakkiu a sicchia“ diceva invece un proverbio al maschile. Comunque sminkiare sui kazzi altrui ad un matrimonio è la cosa più bella. Se poi si poli sminkiare direttamente sugli sposini ancora meglio. << Helena, lo dico papale papale, ci l‟avi quantu il portone del palazzo reale>>. << Mynkyalao inkunna a n‟autra banna, ci piaci n‟autra minkia di capanna>>. << Helena è na purcedda, lo giuro sulla mia vita. Voli sulu la sasizza del purceddopolita>>. << Pi mia sunu già amanti, a corte futtunu cu l‟occhi ogni istanti>>. << Ma quannu sunu sulu iddi, futtunu a minkia cina comu li cunnigghi>>. << Helena adesso è tutta presa dalla minkia del picciotto. Idda ama solo la ciolla, la ciolla ca ci fa fare lu botto>>. << Helena, se putissi, na lu so kunnu, facissi trasiri tutti li kazzi di lu munnu>>. << E mancu a unu a unu, a pikka a pikka. Tutt‟insieme li vorrebbe per fare fikka-fikka>>. << Agamynkyone pi la cugnata s‟attizza, e prestu ci passerà la sasizza>>. << Ma Helena voli sasizza di fora ed è naturale. La fa sentire una strafika internazionale>>. << Porterà assai male sta kazzo di fika reale>>. << Accussì pare, ma chissà se accussì sarà?>>. << Chi vivrà vedrà, ma intantu biatu cu la ciolla ci dà>>. << Beato cu la kazzicatummulia, pirchì di iddu la minkia s‟arrigria>>. Poi naturalmente si parlava alla sanfasò. << Megghiu farisi l‟abbonamento al casino pi fikkari cu na buttana ca pigghiari mugghieri e fare della propria vita un casino continuo>> sosteneva lo scrittore piluso Santhokrysos. << Il matrimonio è la catena del fallo. Phonos phallus. L‟ assassinio del fallo. Kteinein fhallus. Uccidere il kazzo. Thuein fhallus. Sacrifikare la ciolla. Sphazein phallus. Sgozzare il pene. Questo è il matrimonio. Solo kazzi da kakare>> diceva Homeryno . << Amor oskulo signifikatur, necessitas mentula. L‟amore viene signifikato dal bacio, la necessità dalla minkia>>. << To Hellenikon. “La cosa greca” si diceva del pakkio di Aphrodyte. To Munypuzoskon. “La cosa di Munypuzos” si dirà del pakkio di Helena >> disse un intellettuale . Per Pryapo si sprecarono le parole. <<Phanaios. Colui che appare. Megalophyia. Naturale grandezza. Pondus et mensura. Peso e misura >>. Ma soprattutto si discusse sull‟acquisita bellezza del dio. << E‟ bello come un Apollo e sessuale come un Dyonyso. La spilatura lo ha messo a nudo. Li pila lo rivestivano come una scimmia. O nu scecco. Adesso è bello tutto. È bello perchè nudo, veramente. È l‟espressione personifikata della bellezza maschile. Bello. Bello sia di corpo che d‟uccello>> dissero i tanti ammiratori di Pryapo. --Arrivò, come detto già ho, il giorno del matrimonio che tranquillamente andava avanti. Andava verso la notte e verso i giochi pilusi, le machie sessuali. I fikka-fikka alla sanfasò. E c‟erano anche i proverbi. “ Minkia assai aspettata, bedda assai sarà pure la scupata”. “ Kunnu astutatu, minkia dolente, kunnu addumatu, minkia ridente”. Ad animare la festa furono gli amici di Dyonyso: Satiri, Sileni e Menadi. Briachi fracidi com‟erano scatenarono un bella orgia nei giardini pensili del palazzo reale. Ma prima di scatenare l‟orgia iucanu a cottabo. Un gioco bello dalle connotazioni esplicitamente erotiche. Uno dei banchettanti si sukava una coppa di vino e poi lanciava le ultime gocce verso un piatto o un bicchiere pronunciando il nome della persona con cui voleva avere un dialogo fallico o kunnico. Tutto dipendeva dalle tentazioni, dalle voglie , dai desideri del momento, da come lo spirito dionisiaco s‟impossessava di ciolla e ciriveddu. Intanto le suonatrici di flauto diffondevano nell‟aria dolci note musicali, ma chi li taliava pinsava solo a mettere qualcos‟altro al posto del flauto. Intanto i cinedi ballavano, i pantomimi mimeggiavano, alcuni ballavano il kordax, un ballo originario della Lidia che mimava i rapporti sessuali. Qualcuno cantava, o meglio, improvvisava licenziosi scolii, canzoni da tavola con doppi sensi a iosa, allusioni sessuali alla sanfasò. Ma tutti fumavano minkiuna su minkiuna. E anche i non fumatori fumavano. Ai matrimoni si suka. Sukari minkiuna è un dovere cerimoniale. E intanto cantavano. Cantavano tutti. Si partiva cantannu in coro: << Lì o là o su. Là o lì o su>>. “Lì” era il pakkio, “là” il kulo e “su” la bocca. Inizio Dyonyso: << Helena questa sera è sicuro, la piglierà finanche nel kulo>>. Continuò Aphrodyte: << Helena l‟avi come la mia, è la gloria del kunnus e così sia>>. Odisseo: << Mynkyalao, senza affisa, la teni già tisa>>. Zeus: << Mia figlia la teni spilata ed è sempre arrapata>>. Agamynkyone: << Non perché è mio fratello, ma tiene un bell‟uccello>>. Dyonyso: << E‟ già brillo, questo è il bello. Inzetterà dove metter l‟uccello?>>. Achylle: << Parola di iarruso, al massimo poli sbagghiari purtusu>>. Patroclo:<< Poli sbagghiari apposta, per cambiare sito alla sua ciolla tosta>>. Il finale spettava agli sposi. Mynkyalao: << La ciolla mia bella e bona è pronta a fari lampi trona>>. Helena:<< Marito mio, sono pronta sana sana, infila lu battagghiu na la campana>>. Ma Pryapo stavolta finì lui. << Pi soddisfare una si bella filazza ci vulissi la me minciazza>>. E il coro: << Lì o là o su. Là o lì o su>>. --Andava avanti, come già ripetutamente detto fino alla noia, o forse fino a skassarvi i koglioni, il giorno del matrimonio. Ci fu addirittura una processione falloforica. Una minkia enorme fu portata in processione. In solenne processione. E intanto la festa proseguiva. Minkiate a destra e minkiate a sinistra. Più la minkia in processione. Solo Pryapo, dei tanti partecipanti della nomenclatura olimpica, si unì ai ballerini. Gli altri talianu e basta. Ma a dire il vero tutte le femmine taliavano a Pryapo. << Minkia, chi addivintau bello. Mi lu mangiassi, mi lu arrussicassi, e so pure da dove incomincerei. Incomincerei da quella stupenda minkia. Dalla minkia incomincerei, per Pryapo e i suoi pryaponi, che bell‟uomo e che bel minkione>>. Pryapo ballava e ballava pure la sua ciolla. Sotto i vestiti naturalmente. << Nudi.. nudi.. nudi.. >> gridava la folla. Al matrimonio, oltre all‟aristocrazia e alla divinocrazia, ci stava pure mezza Munypuzos. L‟amico, l‟amico dell‟amico, l‟amico dell‟amico del carissimo amico e il carissimo amico dell‟amico carissimo. Ma anche altro ci stava. Ma l‟invito femminino era rivolto soprattutto a Pryapo. Qualcuno lo gridò senza vergogna: << Pryapo, sei bellissimo, mi addumi e mi infiammi dintra li mutanni. Pryapo, voglio vederti nudo, tutto nudo, al massimo del tuo splendore>>. Una voce di fimmina ingrifata, dallo scuro di un angolo, grido:<<Pryapo, ficchimilla per sempre, in sekula sekulorummu>>. Un mascolo , che si trovava in una zona protetta dal buio, gridò: << Ti darei il kulo notte e giorno, ma mi accontento anche di una tantum. Però dammilla questa una tantum, o magari una doppia tantum, o una tripla tantum. Ma mi accontento anche di una sola una tantum, tanto la tua ciolla è tantum>>. Pryapo, travolto dall‟ebbrezza alcolica, oppure dallo spirito dionisiaco di origine paterna, si scippau li robbi a pikka a pikka. Con arte da strippimenni. A vedere quel kulo bello, quelle cosce muscolose, quelle spalle imponenti, quegli addominali saettanti, la folla iu in estasi. E ancora mancava il meglio, mancavano le palle e soprattutto la ciolla. Lo strumento reale ma non democratico del più reale e democratico dei piacerei. Quel giorno Pryapo si era messo un erotico modello di cingiphallus. << Minkia, chi genti babba, stanno uscendo pazzi pi taliari la minkia di quella testa di minkia. Magari , se putissinu , lu mittissinu al posto mio, perché secondo tanti non deve comandare chi tiene il ciriveddu chiù granni, ca nun si viri , ma cu teni la ciolla maggiore, che visibile è, anzi, visibilissima. Comunque beddu è e affezzionato ci signu, ma sempre chiù smontaminkia è>> pinsò Zeus inkazzatissimo. Pryapo da parte sua completò lo spogliarello. E quannu la ciolla fu esposta alla pubblica visione successe la fine del mondo. Ma Pryapo non ci faceva manco caso. Era in estasi, ma non per motivi sessuali. Semplicemente ci tinia a dimostrare a tutti che adesso era bello. Saltava ma pinsava a se stesso. Ballava iddu e ballava la ciolla. Ballava iddu e ballavano i koglioni. Girò, sautò, ballò, trippò assai assaissimo Pryapo. << Minkia, chi sugnu beddu, di lu munnu sugnu lu megghiu omino e lu megghiu aceddu>>. E ballava nella sua totalità e nella sua particolarità. E la sua particolarità, eccitatissima, paria in preda alla follia eroica. Sbattia ora a destra e ora a sinistra. E a volte pigliava a Pryapo in faccia. E lui, in quel momento, si la vasava o si la alliccava. Ma una volta che Pryapo tinia la ucca aperta la koppola della sua minkia ci finiu in bocca. E iddu, davanti a tutti, si fece una bella auto-fellatio. Tutti lu talianu amminkiuluti. Le femmine avrebbero voluto fellarlo loro. I mascoli avrebbero voluto potersi autofellarsi anche loro, ma siccome la cosa era una esclusività solo di alcuni maskuli con cotanta o cotale ciolla, non gli restava che la curiosità di fellare qualcuno. E mentre tutti pensavano all‟arte sopraffina della fellatio, Pryapo venne. Ma non dentro la sua bocca, venne verso il pubblico. Questo fu un segnale non previsto né prevedibile in quella cerimonia dove tutto era stato organizzato al millesimo. Poi successe quel che successe. E orgia fu. Orgia e fumo. Fumo e orgia. E tanto vino divino e divino vino. Furono ciolle briache e affumate e pakki brilli e cini di fumo ca operanu alla sanfasò, a iosa, e finanche a tinchitè. Fu vedendo quella esibizione del dio dal rosso palo che lo scrittore Paulorum Santhokrysos decise di scrivere in quattro e quattr‟otto Cent‟anni da Priapazzu. E di dedicarlo a Pryapo. E di inviarlo al Pattuallopolys, che non sapia pirchì, ma ci paria un premio del kazzo. Un premio a minkia. Un premio a ciolla. Un premio a mentula. Ovvero, una kazzata, una minkiata, una ciollata, una mentulate. E quale omaggio migliore per una premio organizzato a minkia, se non quello di mandarci un romanzo a base di minkia che riminkia e imminkia all‟infinito. Era un‟opera ad hoc. Minkia a iosa, alla sanfasò e a tinchitè tout court e full time per un premio della minkia a iosa, alla sanfasò e a tinchitè tout court e full time. << Minkia pi minkia ci sta proprio bene questo romanzo a minkia per quel premio di minkia>>. --Scorreva intanto, come detto e ripetuto anche fin troppo, skassando i cabasisi e tutti gli altri accessori, il giorno del matrimonio. << Taliannu la sposina veni pitittu di fikkari a minkia cina>>. << Taliannu lu spusu veni pitittu di fusu>>. << Taliannu sta carnazza ca c‟è , veni pitittu di futtiri a tinchitè>>. L‟orgia intanto ia avanti. Gli sposi invece si infilanu nel labirinto per farsi la prima fikkata ufficiale da marito e moglie. Proprio nel centro del labirinto era stata approntata una lussuosa e comodissima alcova. Fu una fikkata lampo, con tutto il sottofondo sonoro di Menadi, Satiri e Sileni che fottevano alla sanfasò. Si ni ficiru sulu una. Poi Mynkyalao si addormentò. Non fu certamente un bel kazzicatummuliu. Praticamente finiu a schifiu. Helena invece utilizzando il “filo magico” fici trasiri a Paryde e si ni ficiru setti senza sciri lu battagghiu da la campana. Fu senz‟altro un bel kazzicatummuliu. Dyonyso e Pryapo videro i misteriosi travagli di erezione del corname reale ma si fecero i kazzi loro. E kazzulianu unni capitava capitava. Perché Pryapo aveva coinvolto paparino nell‟orgia. << Inveci di taliari la minkia altrui datti da fare. Datti da fare con la minkia tua>>. << Ragione tiene, minkia se tieni ragione. Una minkia di ragione>>. L‟orgia era fantastica. Un mare di fika cinu di ciolle. Una montagna di fika cina di uccelli. Un mare di minkie in cerca di casa. << Papà, là ci sta un pakkio libero>> gridava Pryapo. E Dyonyso curria. << Figlio, là ci sta uno stikkio disoccupato>> gridava Dyonyso. E Pryapo correva. Gli altri invece erano tutti e soltanto eccitati ma si preparavano spiritualmente e carnalmente alla nottata. Una nottata a base di sesso. Sesso e basta. Sesso alla sanfasò. Sesso a palazzo reale ma sesso anche a Munypuzos. --Scorreva rapidamente, come detto, il giorno del matrimonio. Scorreva veloce verso la notte. Elio brillante pigliava la calata e Selene si apprestava a trionfare, pallida come una puttana al chiaro di luna. “La festa di la panza prima, sia concesso, ma chidda di la minkia subito appresso” diceva il solito detto popolare. << Ma subito subitissimo subitissimamente appresso>> commentava la gente. Agamynkyone da parte sua si sentì padrone dell‟universo per un giorno. Nel suo palazzo aveva ospitato l‟Olympazzo al completo. Aveva mangiato allo stesso tavolo di Zeus e di tanti altri dei. Homeryno da Munypuzos, presente al matrimonio del millennio, lo avrebbe sicuramente raccontato in un suo Poema. Ne aveva anche accennato il titolo. L‟Heleneide. Agamynkyone era contento anche perché si sentiva già nel kunno di Helena. Era convinto di farsela in quella che era la notte di nozze di Helena stessa e Mynkyalao. In mattinata aveva deposto la prima pietra della futura ottava meraviglia della Magna Grecia: il ponte Munypuzos - Purceddopolys. Zeus personalmente aveva benedetto la posa della prima pietra. Eratostene Mercallone da Munypuzos, illustre scienziato locale, aveva fatto un discorso scientifico. Punto per punto, da tutti i punti di vista. L‟opera doveva essere antisismica. E pertanto lui aveva ideato una scala per misurare l‟intensità dei terremoti, la scala Mercallorum . << Basta mettere dieci leccakuli del re uno sull‟altro e aspettare il terremoto. Poi si contano quanti ne sono rimasti in piedi e si calcola l‟intensità del terremoto. E questo ponte è fatto per resistere fino al nono grado. Pryapo lo protegge con la sua ciolla e Zeus personalmente l‟ha benedetto>> aveva detto lo scienziato. Dedalo aveva illustrato il progetto architettonicamente parlando. Aveva fatto un discorso così serio, complicato e scientifico, che tutti erano stati presi dalle sue parole e anche se nun ci avevano capito un kazzo alla fine ci avevano abbattuto li mani assai assaissimo. Anche Agamynkyone aveva fatto il suo discorsetto alla presenza di Pryamo. << Popolo.. amici.. parenti... ma soprattutto Divinità carissime... caro Zeus e caro Olympazzo...Mi consento.. mi autoconsento.. mi consentirò … e in occasione dell‟inaugurazione .. mio figlio sposerà una figlia del qui presente Pryamo.. una qualsiasi in segno di pace universale … pacs katholikos... mi consento.. mi autoconsento.. mi consentirò.. intanto vi dico “festa sia.. festa grande”.. e consentitemi di fare festa pure a me.. Come voglio io..>>. Tutti avevano applaudito pensando a quel “ come voglio io”. Perché tutti sapevano che Agamynkyone voleva il kunno di Helena al più presto. Magari quella notte stessa. Ma a tutti la cosa paria strana. Anche a Homeryno da Munypuzos paria strana. << La vita è una, come la minkia, e se non è un piacere vivere da re e avere una minkia reale da dare a Helena, a che minkia serve vivere da re e avere una minkia reale da non poter somministrare ad Helena?>>. Sempre quella mattina era stato inaugurato il secondo Kolosso di Pryapo. Era un capolavoro. Copia esatta del primo, a parte la cappella della ciolla che era rivestita d‟oro. La famosa “mentula aurea” di tante storie fantastiche. Solo che questa era reale. Aveva presenziato personalmente Pryapo con tanto di mammina e di paparino al seguito. E per giunta questo fallo era praticabile. Nel senso che si poteva accedere, tramite scale e cunicoli interni, a quella koppola d‟oro e godere di un panorama incommensurabile. Si saliva dalla gamba destra e si scendeva da quella sinistra. Una volta nei testicoli si poteva salire per il fallo o internamente o esternamente . In ogni caso si arrivava ad una terrazza che stava sulla koppola. E da quella koppola di minkia incommensurabile altrettanto incommensurabile era il panorama. Tutti avevano osannato l‟opera. Tutti veramente. E l‟opera era stata battezzata con una esibizione “live” di Pryapo. Una performance a una ciolla e quattro mani . La ciolla di Pryapo, le mani di due ancelle. Era stata battezzata con una bella dose di latte di brigghiu divino. Lo stesso Pryapo aveva concluso il suo discorsetto dicendo: << Minkia, che panorama della minkia si vede dalla koppola della mia minkia. Minkia, come sono contento. La mia minkia è il massimo della minkia sempre, il massimo tout court e full time>>. --I due progetti faraonici, uno da realizzare e l‟altro realizzato, ispirarono i tre intellettuali della minkia e il domandiere del kazzo. Sul ponte Homeryno scrisse un Poema. Uno sguardo fallico dal ponte bifallico per un bifallico abbraccio tra due popoli. Mhaxymylyanum Mhaxymylyanorum scrisse il Carmen Il ponte dalla doppia mentula: un progetto per una pace duratura o per una doppia inkulatura? Il Santhokrysos scrisse un romanzo. Cent‟anni di minkiate per un ponte dalla doppia minkia che non servirà una amatissima minkia. Sul Kolosso Minkiaurea Homeryno Homokulum scrisse il Poema Pryapo Phallokhrysos. Mhaxymylyanum Mhaxymylyanorum il Carmen Pryapo Mentuladoro. Paulorum Santhokrysos il romanzo Cent‟anni di minkiadoro . Socratino fu lapalissiano: << La vita è una, come la minkia. Ma a che minkia serve avere una minkia vera in quest‟oceano di minkie false?>>. Dyceomynkyopoly commentò: << Il ponte è una minkiata esibizionistica, il Kolosso Minkiaurea una esibizione della minkia, il tutto come forza di volontà e rappresentazione della minkia di quel testa di minkia di Agamynkyone>>. --Scorreva ancora festosamente, come già detto e ridetto, forse anche esasperando le anime e skassando le palle, il giorno del matrimonio. “O di regina o di buttana, la fika è solo una tana” diceva un proverbio. Al Plutocircolo di Munypuzos quel giorno si cazzeggiò alla grande. O meglio, si sminciuliò. Se ne dissero a iosa, alla sanfasò e a tinchitè. <<Agamynkyone la vorrebbe già stanotte la fikina della cognatina, la vorrebbe inkunnare la prima notte di nozze>>. <<Sta minkia, stanotte, per levarsi le proprie voglie, il concerto pi minkia e kunnu lu suonano marito e moglie. Per lo meno così dovrebbero andare le cose>>. << Helena sarà buttana veloce, ma non è buttana velocissima >>. << Pi mia è super super velocissimamente veloce>> disse uno ridendo. << Magari stanotte suoneranno moglie e amante. Moglie di Munypuzos e amante di Purceddopolys>>. << E marito e amante. Ovvero zio Mynkyalao e nipote Ifikanya incestuosamente incestuosi>>. << Quelli l‟hanno suonato tante e tante volte la notte scorsa che lui è sminkiato e scoglionato totale. Avrà sì la minkia d‟avorio, ma il pititto sarà di ricotta>>. << Chissà se è riuscito a scopare nel labirinto?>>. << Forse una, per dovere praticamente. Tanto per dire “consumato est”. La fikkata nel labirinto, per tradizione, deve essere una sola. Una sorta di preparazione alla notte che verrà. Un prendere possesso ufficialmente di quello che non esiste generalmente da tempo>>. <<Se poi però la passione prende il sopravvento, ci esce il bis e anche il tris. Ma questa è una querelle privata. La cosiddetta privacy della minkia in kunno>>. << Diciamo che è una sceneggiata. Tanto per consumare quello che non c‟è più. Però consumarlo ufficialmente>>. << Girano voci che iddu, il re minore, una sula si ni fici, una e basta. Come da regola. Praticamente una sveltina>>. << Un kazzicatummulio di merda praticamente, e poi per giunta si addormentò istantaneamente>>. << Ma idda poi, naturalmente, fici il pieno con Paryde. Subitissimamente si rifici>>. << Un kazzicatummulio di piacere>>. << E adesso arriva la notte delle nozze, chissà come minkia andrà?>>. << Una, una e basta. E forse neanche quella. Poi lui si addormenterà. È stanco, stanco di testa e di ciolla. E allora sarà quel che sarà>>. << E che sarà?>>. << Sarà che lei resterà col pakkio in fiamme e cercherà altre pompe già stanotte, per farsi stutari il fuoco che la infiamma, che la arde, che la brucia. Perché idda è kazzofila, amica è assai assaissimo della ciolla>>. << N‟autru kazzicatummulio di merda maritale prima, e un kazzicatummulio a iosa, alla sanfasò e finanche a tinchitè appresso. Oppure un kazzicatummulio mirato, con una ciolla ben precisa. Una ciolla con tanto di nome, cognome, proprietario, indirizzo e altro. Una ciolla che la signora regina conosce fin troppo bene, e a cui e particolarmente affezionata>>. << Figlia di Zeus è. Se quello è minkia fiamma eterna, questa è stikkio in fiamme perenni>>. << Io ci la darei volentieri, solo per vedere quel suo pakkio spilato. Dicono che sia la copia di quello di Aphrodyte>>. << Beato chi ci la fikka all‟una e all‟altra, hanno tra le cosce il paradiso delle ciolle, i campi elisi della minkia, l‟estasi, la gloria e il trionfo dell‟aceddu>>. << L‟epifania del marrugghiu, l‟apoteosi del creapopoli, il panegirico del citrolo, l‟apologia dello spargisimenta e altro e altro ancora>>. << Agamynkyone ad Helena ci la ficcherà prima o poi, ma non stanotte come lui spera. Stanotte o ci la fikka a Fikennestra o si etta di la finestra>>. << Poli iri dall‟amante o al casino o fikkariccilla a una concubina o far venire a palazzo un esercito di etere, di professioniste del kazzo, o andarle a trovare personalmente>>. << Accussì Fikennestra si la farà fikkare dal suo ganzo a pagamento>>. <<Ah.. Krysegystos, la krisominkia. Dicono che sia originario di qua>>. << Comunque è lu buttanu preferito dalla regina, l‟oggetto sessuale della stessa, praticamente un Sosia vivente. Il suo escort personale o privato. Un pupazzo di carne con tanto di minkia d‟oro>>. << Io stanotte mi sognerò il pakkio di Helena, in primo piano me lo sognerò. Ca se in sogno niesciu la lingua, come minimo ci lu alliccu>>. << E ti la minerai in suo onore, perchè averla tu non potrai mai>>. << Mai dire mai, quella appena vidi nu aceddu si lu suka in un amen>>. <<Magari si sukassi, skulassi, inkunnassi lu miu >>. << Stanotte tutti fikkano>>. << E noi no, popolo di ciolle perse e di minkie alla deriva, di kazzi che non sanno kazziare a dovere, quasi kazzi inutili>>. << Kazzi amari. Kazzi amari, salati e pepati. Andiamo al lupanare a fottere le lupe. Cu li piccioli ti accatti qualsiasi servizio sessuale>>. << A fottere le lupe, ma quelle con la caratteristica di Helena, quelle col pakkio spilato>>. << O quello o quello. Tanto oramai sono quasi tutte col pakkio spilato>>. << E si fanno chiamare Helena o Aphrodyte>>. << D‟altra parte s‟è spilato pure lui>>. << Lui chi?>>. << Pryapo>>. < < Minkia, lu diu di la minkia ca era pilusu come una scimmia pilusa>>. << Esatto. Dopo aver scoperto l‟omoerotismo con Adone e Narciso ha deciso di curare il suo aspetto, di farsi bello tutto. Buco del kulo compreso>>. << E si è fatto depilare da Narcisa, pilus per pilus. E il bello è che è diventato bello. L‟avete visto che cosce esibiva sotto la tunica durante la cerimonia>>. << Se si è spilato lui, si possono spilare tutti>>. << Adesso la minkia sembrerà più grande ancora>>. << E magari ci la fikka ad Helena stanotte>>. << Tutto è possibile, anche l‟impossibile. Lo sventrafike sa fare il suo mestiere>>. << La minkia di Pryapo è incommensurabile, imprevedibile, irresponsabile e adesso pare che ami pure andare in kulo ai mascoli terrestri improvvisamente>>. << In un lampo>>. << Si materializza e trasi in un fiat. E non solo in kulo. A Pryapo ci piace anche farsela sukare. Perché improvvisamente si può materializzare sotto il naso, e siccome per lo scanto uno è portato ad aprire la bocca, iddu ne approfitta e in un fiat ci l‟infila dentro>> disse uno della nomenclatura che era ben informato dei fatti pelosi dell‟Olympazzo. << Improvvisamente?>> chiese qualcuno. << Sì>>. << Sotto il naso?>> chiese n‟autru. << Sì>>. << Improvvisamente ma proprio improvvisamente?>>. << Sì>>. << E l‟infila?>> addumannò n‟autru ancora. << Sì, in un fiat. In un fiat in kulo, in mezzo fiat in bocca>>. << Ihhhhhhhhhhh....>> dissero in tantissimi. E in tanti si stringienu li natichi per paura. Qualcuno li allargò automaticamente con desiderio. Quasi tutti ciurienu la ucca. Tranne qualcuno che si alliccò lu mussu. Questo perchè da picciotti quasi tutti avevano avuto qualche problema di quel tipo. E qualcuno lo aveva ancora adesso. Anche se con moglie e figli, nel segreto, per modo di dire, della propria vita personale, ia a circari kazzi per il proprio kulo o per la propria bocca. Ogni maschio, per legge di natura, aveva i suoi segreti di kulo. Che poi tanto segreti non erano. Così al Plutocircolo di Munypuzos. Si parlava e sparlava di pilo. E tra i chiacchieranti c‟era, e non poteva mancare, Dyceomynkyopoly. Che sparò massime su massime. Tutte giuste come lui. Naturalmente. << Helena è già sfunnata, ma come vergine si è maritata... Mynkyalao è già cornuto assai, ma lu sapi ed è contento più che mai... Matrimonio tra potenti, sceneggiata pi la genti... Matrimonio tra puvirazzi, matrimonio pi sistimari kunna e kazzi... In quell‟ambiente altolocato si scambiano kazzu e kunnu comu lu iocu chiù bellu di lu munnu... Io voglio andare a letto. Il membro c‟è l‟ho eretto..>> . --Continuava a scorrere gioiosamente ed eroticamente, come detto e ridetto, il giorno del matrimonio. “La sposina voli l‟aceddu pi fari nu bellu iucareddu” diceva uno dei tanti proverbi di Munypuzos. Helena, come detto, era da tempo la promessa sposa di Mynkyalao. Si lu stava maritannu per ordini superiori. Ma anche per convenienza. Allora i matrimoni venivano combinati. A forza di frequentarlo si era nu tanticchia affezionata. Era bello ma poco interessante. Ed aveva poca passione per il pakkio. Per lo meno per il suo. Che tra l‟altro era un modello di pakkio, un pakkio di lusso. Lei ci facia capire di essere disponibile ma lui faceva finta di non capire. Fino a quannu Helena esasperata, come si dice in sicilia, ci lu scippau da li causi. Mynkyalao si ni facia una di fottuta e poi basta. E le cose andavano avanti così. Diceva di essere sempre stanco. La tinia sempri tisa pirchì la tinia di materiale speciale, ma non operava. Diceva di essere stanco di corpo e di ciolla. Eppure la ciolla tisa sempre era. Diceva di essere stanco per motivi tecnici. << Lo stress del re minore è maggiore di quello del re maggiore>> diceva. <<Mynkyalao, mettiti a posto il marameo, altrimenti sunu corna sicuri, bello il mio babbeo. Io amo kazzeggiare col kazzo. Io amo kazzicatummuliare a iosa, alla sanfasò e a tinchitè>> pinsava Helena che era stata deflorata a dodici anni appena da un eroe come Teseo. <<Finirà con le corna, ma mi ni futtu. Mio fratello la desidera da sempre, e prima o poi si la farà. Helena ci appititta da una vita. Corna di famiglia saranno: lui si suka li miei e io mi sucherò li suoi. L‟importante ca sunu e restino corna ufficiose e non ufficiali. Come chiddi ca ci fazzu iu. Sono corna lunghe e grandi e grosse e nessuno l‟avi mai scoperto, e anche se qualcuno lo sa, però tace. Perchè se qualcuno parra, morto è. Per il resto ci sono i pettegolezzi, ma i pettegolezzi non valgono un kazzo>> pinsava Mynkyalao che da tempo si la facia con sua nipote Ifikanya. Si l‟era cresciuta poco a poco. Si l‟era curata e contemplata e quannu la picciotta fu pronta si la pussiriu con tutta la possibile compartecipazione di idda. La tresca pelosa andava avanti da tempo e non era mai stata scoperta. Per lo meno ufficialmente. I due si incontravano nel bosco di Mynkyalonya, in una grotta tutta attrezzata ad alcova. Adesso però ci stava l‟imprevisto previsto del matrimonio per lui. Ma Mynkyalao aveva detto alla nipote che quello sarebbe stato solo un dovere. Lui avrebbe ridotto le prestazioni sessuali con la moglie al minimo garantito dalle legge sui matrimoni, tre tra una luna piena e l‟altra. Praticamente una ogni dieci giorni. Finu a quannu idda non ci avissa kakato l‟erede. Poi putia magari tinilla solo e soltanto come soprammobile. Ifikanya da parte sua rifiutava tutti i pretendenti che gli venivano offerti. << Non mi marito. Voglio restare vergine, per Artemide Adiabatica>> diceva la picciotta. A causa degli amplessi furiosi di Ifikanya con lo zio questo era sempre stanco quannu si incontrava con Helena. Stanco fisicamente e mentalmente a parte l‟aceddu tiso per questioni materiali. << Una basta, una soltanto, tanto per consolidare la coppia>> diceva lui. << Meglio una che niente. Se voglio fare la regina mi devo accontentare anche di non avere la vanedda cina. Da parte del marito però. Perché in giro di aceddi ci ni sunu alla sanfasò>> pinsava lei. E si chiedeva perchè corressero certi numeri in giro. A parte che lei di esperienza ne aveva. E sapeva di certi numeri suoi personali e delle ciolle dei suoi partner. Esperienza ufficiosa era però. Ufficiosa e passata. Esperienza ancora in atto invece era quella con la ciolla impertinente di Paryde. Una ciolla sempre pronta a fare la ciolla. Sempre pronta a fare trasi e nesci. E minkia che prestazione e che numeri. Erano entrambi dei bravi kazzicatummuliatori. << Mio marito fikka allo spasimo, finche la ciolla risponde lui fikka>> diceva una. << Mio marito non è mai sazio, finché la ciolla ci la fa>> diceva n‟autra. A questo pensava Helena la bella. Helena in effetti veniva taliata e controtaliata da tutti per la sua bellezza. Tutti la taliavano con occhio indagatore, quasi quasi ci volessero cuntari li pila di lu paparaciannu. Ma questo è solo un modo di dire. Tutti sapevano che il suo pakkio era spilato di madre natura, che il suo era come quello di Aphrodyte. Ma Helena, questi guardoni che scopavano con gli occhi, manco li kakava. << Dopo il matrimonio si vedrà, ma è sicuro che un amante ci sarà, Paryde mio bello, Paryde, amore mio, preparati l‟uccello>>. In realtà l‟amante c‟era già. Era Paryde. E prima di Paryde c‟era stato tanto. --- Andava avanti, come detto fino alla sfinimento e al rimbambimento per non dire fino al rinkoglionimento, il giorno del matrimonio. Tutti erano fintamente felici, come tradizione vuole ad ogni matrimonio. “La ziticedda porta in dote sempre nu tanticchia di corna a lu ziticeddu. Lu ziticeddu porta spissu lu kulu ruttu da qualche aceddu” recitava, tra il serioso e il comico, n‟autro proverbio. Pertanto bisogna fare un salto nel passato appena passato. Una saltino. Perché se è vero che la dea della bellezza aveva promesso a Paryde il pakkio di Helena, e se sappiamo che sono amanti già, in realtà non sappiamo come minkia si sono conosciuti. E allora dico ”Come minkia fu che la minkia di Paride conobbe il portaminkia di Helena e ci s‟imminkio in un amen addiventando ipso facto la minkia in primis della regina delle minkie?”. E rispondo, tanto per chiarire. Quindi, e mi pare giusto, bisogna anche ricordare che un giorno, un picciotto tutto elegante stava andando da Purceddopolys a Munypuzos. Non era una grande distanza, ma prima si doveva scendere verso il lago e poi risalire. Tra tornanti e altro una bella camminata. Mezza giornata e passa. Una faticaccia della minkia. <<Speriamo che Agamynkyone si sbrighi a costruire questo kazzo di ponte del kazzo, allora sarà una volata andare da una polys all‟altra, sarà un lampa e stampa. Come fare una sveltina. Una kazzicatummulio lampo>> pinsò il picciotto che tinia già diciannove anni. Arrivato al lago si riposò nu tanticchia all‟ombra. Pinsava alla fika di Enone lassata in quel di Purceddopolys, ma pinsava che avrebbe presto conosciuto la fika più bella del mondo. “E pi tia” ci aveva detto Aphrodyte. E iddu pinsava a quannu sarebbe stata sua. << Succederà subitissimo, subito o tra pikka questo bel fikka - fikka?>>. Ma intisi dei lamenti e andò a vedere curioso. Erano lamenti di un certo tipo, lamenti che lui conosceva bene, e provenivano da una grotta. Lui li conosceva bene i gemiti d‟amore. Lui e la sua signora Enone ne facevano alla sanfasò. Sapevano minkiolare alla grande. Anzi, kazzicatummuliari. << Qualcuno sta futtenu, beati loro che possono minkiolare.. kazzicatummuliari>>. Si avvicinò piano pianissimo e taliò dentro. <<Minkia, kazzo e controkazzo di una ciolla che inciolla. Mynkyalao che fikka con sua nipote Ifikanya, quella che si vanta di essere vergine. Vergine sta minkia. Talia come kazzu kazzicatummulia>> pinsò il picciotto. Guardò nu tanticchia e gli venne pititto. Decise di farsi un bel bagno per calmarsi i bollori minkioleschi. Poi si addormentò, nudo, disteso al sole che brillava iarrusu in cielo. Un sole che riscaldava le minkie e le attrintava a iosa. Un sole che brillava in un cielo blu fottuto. Un cielo che invitava a fottere. Mynkyalao e Ifikanya uscendo dalla grotta lo videro. << Bihhhh.. che bello stu picciotto col ciciotto di fora>> disse lei. << Silenzio, che se si sveglia siamo rovinati>>. << Perché? Lo acconosci? >>. << Certo. E lo acconosci pure tu. E‟ Paryde, e sta venendo a casa mia. Sarà mio ospite. E il figlio di Pryamo ed Ekuba>>. << Vero è. Adesso che lo guardo in faccia lo riconosco>>. << Certo, prima taliavi il ciciotto>>. << Certo, prima si talia il capitale, poi il proprietario del capitale. Anche se il capitale in questo momento arriposa si vede che è un bel capitale. Ma iddu non è bello solo di capitale, è bello tutto. Di cosce, di petto, di faccia. E poi tutti quei riccioloni biondi e pazzigni che pazziano al minimo soffio di lu ventu. Sono sicura che pure bello di kulo è>>. << Bello, bello anche di kulo è. E kulorotto anche>>. << Minkia, minkia gay è?>>. << No, minkia etero è, ma il kulo glielo ruppe Zeus in persona>>. << Zeus l‟inkulò? Come fa con Ganimede?>> << Non direttamente, ma col Sosia d‟oro. Per poi affidargli la missione del Sosia aureo. E lui lo diede alla bella Aphrodyte. Che in cambio ci desi il pakkio per una nottata sana sana. E non solo. Idda ci promise pakkio a tinchitè, oppure la fika più bella del mondo vita natural durante>>. << Diciamo ciolla natural durante>>. < < Va bene così. E lui scelse la fika più bella del mondo. D‟altra parte lo chiamano “Vogliounafikabella”. Il problema è: ma chi è la proprietaria della fika più bella del mondo? Il concetto di bellezza è relativo. Helena è bellissima di fika, ma per me la tua è chiù assai assaissimo bellissima>>. <<Ahhh.. Ricordo la storia. Capit‟ho chi è>>. << In fondo è stato eletto, a diciottanni, prima Mister Tuttobello di Purceddopolys, poi Mister Biddizza della Trinacria, quindi Omobeaux della Grecia e della Magna Grecia, e infine Mister Kalliuniverso. Un concorso di bellezza al maschile che vede la scelta del più bello tra uomini e dei. E iddu è arrivato primo, davanti a Ganimede. Per questo Zeus gli spedì in kulo il suo Sosia d‟oro. E a questi concorsi sfilano nudi. Ma nel suo carnet ha pure il titolo di Kulettobello, Kulettosodo, Minkiabeaux, Cicia elegante e altro. E a dire il vero anche il titolo di Mister Pattuallo, un concorso organizzato da Karleonthynoy e Leonthynoy. Ma ci desiru la targa e si scurdanu a darici il premio. Era praticamente un premio a minkia>>. << Minkia, chi carriera della minkia. Potrebbe fare il modello di statue oppure l‟attore teatrale. O il gigolò di lusso. O l‟escort per fike ricche>> precisò Ifikanya. Paryde si svegliò proprio allora ma fici finta di dormire. Quelli parlarono tranquilli dei kazzi loro. E iddu s‟intisi la discussione tutta sana sana. << Meno male che dorme, altrimenti si scopriva che io mi trombo la mia nipotina bella. Kazzo.. kazzo.. kazzo..>>. << E che io non sono più vergine, ciolla di quella ciolla che m‟inciolla>>. << Minkia chi scannulu>> aggiunse Mynkyalao. << Forse saltava il tuo matrimonio con Helena>>. << No, meglio fare la sceneggiata per il popolo. Helena sarà mia moglie. Poi si vedrà. Poi ognuno si gestirà la minkia o il kunno come minkia vorrà. Io mi gestirò il tuo sempre, nipotina mia bella>>. << La tua la gestirò sempre io, mio caro zietto. La tua minkia è mia>>. << Il fatto è che adesso dovrei mettermi un po‟ a sua disposizione. Però non mi va. Dovrei portarlo in giro, ma sinceramente non mi va>>. << L‟ospitalità è un dovere, ciollone mio>> puntualizzò Ifikanya. << Mi è venuta una bella pensata, potrei affidarlo a Helena>>. << Vero è. A quella le piace fare la cicerona, la guida, la psychopompos, la guida delle anime>>. A sentire il nome di Helena, la bella figa che le era stata promessa, Paryde incominciò ad eccitarsi. Era curioso di conoscerla. La pensava spesso, la immaginava, ma soprattutto era curioso di conoscerla carnalmente. Di imminkiarla. Di trasiri nel suo pakkio spilato. Di capire se con lei il fotter e il goder fosse il più supremo dei piacer. Così come promesso dalla dea della bellezza. Non vedeva l‟ora di kazzicatummuliarla. Che lui era esperto in quest‟arte. La praticava benissimo con Enone, l‟aveva praticata con tante altre. E per una notte l‟aveva praticata con la dea della bellezza. E la dea ci avia promesso un grande kazzicatummulio con Helena. E adesso lui, con la scusa dello studio, vedeva avvicinarsi la concretizzazione del promesso divino. <<Talia, ci sta risuscitannu l‟aceddu. Chissà chi minkia pensa?>> sparò l‟ufficialmente adiabatica Ifikanya. << Ma cosa minkia guardi? >> chiese Mynkyalao. <<La resurrezione della carne talio. Le cose belle vanno guardate. Mica mi la staiu mangiannu, la sto solo guardando. È bella. Anzi, bellissima. Ma pure il resto del picciotto è bello. Talia chi cosci, chi biddicu sensuali, chi capiccia tisi. E che sorriso, un sorriso che cattura anche intanto che dorme>>. << Perché, io non sono bello?>> chiese geloso Mynkyalao facendo lo smorfioso. << Tu sei il mio zio amatissimo, ma non sei bello come lui. Lui è giovane, tu non tanto, ma io ti amo lo stesso. Non sei neanche giovane come lui ma io continuerò ad amarti ugualmente. E non tieni neanche una minkia accussì bella, però io sono innamorata della tua minkia. Una minkia speciale da tutti i punti di vista. Perché anche se girassi lu munnu, quella è e resterebbe la minkia ideale pi lu me kunnu. Io ti amo assai assaissimo assai assaissimamente assai. La tua minkia è più piccola ma di materiale speciale. Sempre tisa pertanto è. Io amo la tua minkia pirchì amo a tia>>. << E neanche tu sei bella come Helena, ma io mi addumo chiù assai pi tia. Mi piaci di chiù la tua fika impilata che non quella spilata di Helena. Al mio augello piace perdersi in quel boschetto piluso, invece con Helena è tutto a bella vista, manca il gioco dell‟attrovapurtusu>>. A sentire parlare del pakkio di Helena Paryde si eccitò al massimo. << Andiamo via prima che questo ci spara la sua simenta in faccia>> disse Mynkyalao. << Andiamo, ma Paryde comunque è bellissimo tutto. Bello di corpo e bellissimo di faccia e di minkia. E poi adesso la sua minkia è al massimo. Pare un pupo siciliano autonomo. E scommetto che è pure bellissimo di kulo>> rispose Ifikanya. Che preso un sassolino glielo tirò sulla minkia. Paryde sospirò. Un sospiro tra il doloroso e il piaceroso. Un sospiro fatto ad arte. E messosi le mani sulla minkia, una sorta di protezione o quasi, facendo sempre finta di dormire, il caruso, che tutto sentito avea, si girò lentamente. Quasi al rallentatore. << Minkia, chi minkia di kulo bello>> disse Ifikanya. << Concordo, ma andiamo, che se si sveglia fottuti siamo>>. << Minkia , che bello. Sarà kulo rotto, ma bello è. E poi, se a rompere è stato Zeus, più che un kulo rotto, è un kulo benedetto>>. << Andiamo, prima che finisce a schifiu>>. E andarono via. Paryde rise. Della finta verginella e del futuro cornuto. Si sparò una sega in onore di Helena. Di quella Helena che sarebbe stata sua prestissimo. Quella scoperta anticipava la promessa fatta da Aphrodyte. Si vestì, dopo un bel bagno, e dopo n‟autro pezzo di strada decise di farsi un pisolino prima di salire verso Munypuzos. Ma prima si sukò nu beddu minkiuni di minkiajuana. Nu minkiuni beddu ruossu. E dormiva alla grande quannu si trovò a passare Helena. La ragazza stava meditando su chi poteva scegliersi come amante dopo il matrimonio, quando vide all‟improvviso il picciotto che dormiva. Lui dormiva e sognava di fottere con Helena. Ed Helena stava davanti a lui a taliarlo. Lo taliò in faccia. Era bellissimo. Muscoloso ma delicato. Biondo e riccioluto. Villoso. Maschio al cento per cento ma femminile anche. Potenti erano anche le cosce che la corta tunica lasciava scoperte. Dalla sacca che aveva con sé si capiva che era nobile. Intanto che lu taliava una folata di venticello ci susiu la tunica. Ed Helena, non volendo ma desiderandolo, si attruvò a taliare l‟aceddu del picciotto, che placidamente dormiva. << Minkia, quantu eni bellu. Minkia, come mi piacissi iucarici cu chista cicidda bella. Minkia, chi minkia espressiva, eleganti, nobile, promettente e altro che tiene questo bel picciotto. Ma cu minkia è stu minkia di proprietario di cotale minkia bella?>>. E intanto idda taliava. Sotto il suo sguardo la ciolla di iddu iniziò a inciollarsi. Ad attisare. Ad attrintari. A mettersi additta. A diventare una minkia in armi. << Minkia, chi miracolo della minkia. Era una minkia di cicidda, e ora sta addivintannu na minkia di ciciazza. Minkia, chi minkia di minkia promettente. E che pititto di kazzicatummuliari cu idda>>. E intanto idda taliava. Iddu dormiva, ma la cicia era sveglia . Anzi, diventava sempre più sveglia. << Minkia, talia come si sta scoppolando la minkia. Minkia, che koppola di minkia che tiene codesta minkia. Minkia, che bella scoppolatura di minkia. Minkia, minkia, la minkia mi sorride. La minkia, o meglio, la koppola della minkia dello sconosciuto, mi sorride. E minkia, che bel sorriso che mi sta facendo. Altro che sorriso a trentadue denti. Questa promette trentadue alla trentaduesima fikkate tout court e full time>>. E intanto idda taliava sempre più interessata. E anche eccitata. Eccitata da quel sorriso. E rispose con un sorriso nascosto della sua fika spilata. Era la cicia orami tisamente tisa e tisissimamente tisa. E in più sorrideva. Idda ebbe l‟impressione ca ci sorridesse a iosa. La taliò da vicino. Faceva odore di minkia e di minkiajuana. E sorrideva. Minkia, come sorrideva. Non prometteva paradisi celestiali o artificiali, prometteva paradisi carnali. <<Kazzo, come sorride questa kazzo di ciolla, invece il mio kunno piange lacrime di stikkio. Anche se adesso ha sorriso felice a cotale e cotanta minkia gentile. Iddu purtroppo generalmente piange>>. Il picciotto aveva nella sacca tanti minkiuna. Se ne pigliò uno. Intanto il vento sollevò quasi tutta la tunica. Praticamente il picciotto ristò nudo ma con la faccia coperta dalla tunica. Era bello tutto. Ma era bellissimo di ciolla. Ed era anche abbronzato tutto. Si vede che stava, spesso e molto, nudo al sole. << Minkia, una minkia che sorride, una minkia allegra, una minkia che solo a guardarla duna la felicità agli occhi, al cervello e pure al pakkio. Che bella minkia allegra, una minkia come dire “Gioconda”. Quella farà ridere lu kunnu e la proprietaria di lu kunnu. Mi piacerebbe sceglierlo come amante, ma non so manco chi kazzo è>>. Si sedette e fumando taliò la ciolla del picciotto. Più lei sukava più quella attrintava. Paria ca ci la stava sukannu. Invece sukava lu minkiuni. Poi il picciotto, dormendo e sempre con la faccia coperta, incominciò a minarisilla. E lei, tanto per, incominciò a farsi un ditalino. Vinniru insieme. Lei si pisciò una mano sana sana, lui eiaculò contro il cielo. Ma una stizza di simenta arrivò alle labbra di Helena. Che alliccò. << Minkia, giusta di sale è la simenta dello sconosciuto, è proprio ottima per condire una “Stikkiontorte”>> disse. Lui era inconsapevole di tutto, quindi anche di essere taliato dalla femmina a lui promessa. Lei consapevole di quella cosa bella che le sarebbe piaciuto possedere, ma ignorando che a lei era destinata. Helena continuò poi la sua passeggiata sukandosi n‟autru minkiuni e avendo in testa l‟immagine della “minkia che sorride”, della “Gioconda “, come la chiamò nel suo linguaggio segreto. Diciamo che oramai in testa tinia la minkia sorridente dello sconosciuto. La sera venne a pigliarla lo zito per la cena. Lei s‟era tutta allicchittiata, e bedda com‟era, era più che mai sensuale e sconvolgiciolla. E in testa tinia la “Gioconda”. << Prima dammilla, gioia mio, ho pititto di fikkare. Mi mangia lo stikkio. E minkia, come minkia mi mangia. Ha bisogno urgente di una minkia per sfamare cotanta e cotale bocca ingorda di quella cotal cosa che mi auguro sia sempre cotanta>> propose lei pinsannu in realtà alla “Gioconda”. << Sono stanco, dopo, dopo, dopo>>. << E va bene, dopo>> rispose lei pinsannu sempre alla “Gioconda”. Mynkyalao aveva il vizio di rinviare. D‟altra parte era reduce da ravvicinatissimi incontri pelosi con Ifikanya. Che se lo spurpava sempre più per farlo rendere al minino con Helena. << Vieni, che ti devo presentare un mio ospite>>. << E cu minkia è?>> chiese sorridendo Helena. << Lo vedrai tra poco>>. Portata a palazzo si trovò davanti il picciotto del lago, quello la cui minkia gli aveva sorriso. Il proprietario della “ Gioconda”. << Helena cara, ti presento il bel Paryde, il figlio di Pryamo. Paryde bello, ti presento la mia bellissima zita, la mia futura moglie, la bella Helena>>. << Piacerissimo mio, m‟inchino davanti a cotanta e cotale bellissima bellezza>> disse Paryde taliandola estasiato. E fece un sensualissimo baciamano pensando al kazzicatummulio. << E anche mio>> rispose la donna taliandolo in faccia ma pinsannu alla “Gioconda”. Paryde restò ammammaluccuto da cotanta bellezza che sua doveva essere per promessa divina. La taliava in faccia ma vedeva, o meglio, immaginava, il suo kunno in primo piano. Helena, per la sorpresa, lo taliò con lo sguardo perso. Non vedeva la faccia di Paryde, ma la sua ciolla che le sorrideva . La “Gioconda”. << Sapete che siete coetanei>>aggiunse Mynkyalao. << No>> dissero i due. Non solo erano coetanei, ma erano nati lo stesso giorno. << Helena, tu che so che sarai la mia futura brava moglie, in questi giorni che io ho molto da fare, potresti per caso fare da cicerona al nostro ospite? Ti prego, Helena bella, ti prego, accetta>> propose Mynkyalao. << Sì, volentieri>>. I due ragazzi diventarono subitissimamente amici. E si raccontarono le cose intime. Lui gli parlò dell‟arte di minkiolare, quell‟arte che praticava con sommo piacere con la moglie Enone. Lei gli raccontò dei rapporti scadenti col futuro marito. E chiacchierando del più e del meno si trovarono a chiacchierare in giardino. Tra ciura, ficu e fikupala. << Una volta mi la passa, una volta e basta, nonostante abbia una ciolla speciale mi la passa solo una volta. Ma una volta e abbastanza veloce, quasi una sveltina, tanto per. Un dovere da compiere chiù ca un piacere ad vivere. Nel matrimonio invece è fondamentale il kazzicatummuliari. Se manca quello, manca tutto>> precisò lei. << Ma è pikka, picc‟assai>> rispose lui, felice perché lei usava la stessa parola che a lui cara era. Come lui, come la dea della bellezza, come Enone, Helena era sicuramente e indubbiamente una che sapeva coniugare in tutti i modi possibili il verbo ”kazzicatummuliari”. E lui non vedeva l‟ora di farlo con lei. << E chi fazzu? Lu obbligo a fare di più? A darmi la minkia per forza?>> << No. Ti fai l‟amico per minkiolare. Per kazzicatummuliare>>. << Certo, lo farò, ma dopo il matrimonio. Adesso sarebbe sconveniente>>. << Io sono disponibile a..>> <<..a..>> <<..a kazzicatummuliari. Anch‟io uso questa bella paroletta>> sparò Paryde sorridendo bocca aperta. << Mi fa un casino di piacere. Un piacere immenso. Un piacere da sballo. Però tu kazzicatummulierai per i fatti tuoi e io kazzicatummulierò per i fatti miei. Ognuno coniugherà il verbo “kazzicatummuliari” per i fatti suoi. Io kazzicatummulierò con chi voglio io, tu kazzicatummulierai con chi vorrai tu, ma noi non kazzicatummulieremo insieme mai. Questo verbo noi insieme non lo coniugheremo mai>>. << Mentre potremmo kazzicatummuliari insieme>>. << Non dire stronzate, tu sei mio amico. Rovineremmo l‟amicizia appena nata. Ma mi fa piacere che usi codesta bella espressione che chiarisce bene il concetto della ciolla dentro un portuso. Io sono esperta ufficiosamente nell‟arte del kazzicatummulio, ma ufficialmente devo ancora apprenderne i concetti basilari>> puntualizzò Helena che però aveva in testa l‟immagine della ciolla sorridente. << No, bedda mia, devi sapere che l‟amico si riconosce nel momento del bisogno , e tu di quella cosa hai bisogno. Di una ciolla inciollante. E io, quella cosa, la tengo disponibile. Dose più che sufficiente e soprattutto disponibilissima: a portata di mano, diciamo. Materiale normale e non speciale, ma a parte questo, idda duna effetti speciali, specialissimi. La mia, cara Helena, è una minkia dotata di deontologia professionale.. è una minkia che sa fare la minkia.. >>. << Di quella cosa ho bisogno sì, ma non della tua, anche se ha portata di mano è. E poi é..>> << E poi è .. è cosa?>> chiese Paryde. << E poi è.. è carina, carinissima, bella in tutto e per tutto, anche nei particolari. Bella d‟aspetto è. E di misura anche. E penso, se tanto mi duna tanto, che anche giusta di consistenza è. Diciamo dura al punto giusto. Di carne rosea appare, ma con un buon accappellamento e con tanto di dotazione testicolare è . Ed è nobile al momento dello scappellamento. Appena vede una signora si scappella in automatico. E alla fine porge i suoi omaggi>>. << Chi minkia su sti omaggi della minkia?>> chiese ironico Paryde che si stava divertendo a sentire quei discorsi strampalati. << Un giorno per rendere gli omaggi si spareranno ventuno colpi di cannone. Oggi invece basta sparare un colpo di cannone. E tu questo colpo lo sparasti in mio onore>>. << Minkiate somme e sommissime minkiate ancora tu vai dicendo>>. << No. E come disse il poeta io dirò. “Tanto bella e onesta appare la minkia tua”. Ecco, la tua minkia apparve a me onesta e bella e finanche devota e sorridente. E soprattutto mi omaggiò>>. << Minkia, come inventi storie a minkia. E mica la conosci la mia ciolla? >> sparò Paryde. << La conosco, la conosco. E mi ha pure sorriso. Un sorriso a piena koppola di minkia. La “Gioconda“ l‟ho chiamata io. Che mi pare un bel nome per lo strumento del kazzicatummulio>>. << Minkiate, stai sparando minkiate a iosa. Minkiate a minkia cina d‟aria. Raccontami, e scoprirò se è vero>>. Lei le raccontò la facenna. Paryde restò come uno stronzo allampato da un fulmine di Zeus. E fece la faccia di un politico inkulato da Pryapo. Si sforzò di arrossire ma non ci riuscì. Comunque era sorpreso e contento anche. Lei conosceva già la merce. << Minkia. Tu mi l‟hai vista la minkia. E io il pakkio a tia no. Kazzo.. kazzo... kazzo...brava.. brava.. tu hai visto il “kazzi” mentre io non conosco il “tummulo”. Brava bravissima però>> disse ridendo. << Una minkia come le altre, caro Paryde. Solo più “Gioconda”. Una minkia allegra, una ciolla felice, una minkia che porta allegria, una ciolla che duna felicità . Almeno così mi pare>>. << E oltre che vederla, l‟hai anche assaggiata>>. << Involontariamente però. Un pompino a distanza fu. Un telepompino>>. << Se vuoi, puoi farlo volontariamente, adesso>>. << No>>. Paryde era rimasto sorpreso dalla frase “Un pompino a distanza fu”. << Invece la tua cosa è particolare.. è .. è.. è..>>. Paryde si trattenne per scena e non per censura. E anche per cambiare discorso. Teneva a dire il vero la “Gioconda” in fiamme. << Spilata, spilata come tutte>> replicò lei ridendo. << Come tutte?>> chiese lui ironicamente. << Come tutte. Tutte si sono fatte spilare, io invece c‟è l‟ho spilata di mio. Ma tra il vero e il falso non ci sta nessuna differenza. Non è l‟aspetto che conta, ma il concetto. Non è la facciata che conta, contano le abilità, le capacità, le applicabilità. E altro..>>. <<Kazzo, che panegirico del pakkio. Comunque tu acconosci il mio cetriolo, ma io purtroppo non acconoscio la tua cetroliera>>. << È giusto che la cetroliera sappia com‟è il cetriolo>>. <<Ma è anche giusto che il cetriolo sappia com‟è la cetroliera. In vista naturalmente del kazzicatummuliamiento>>. <<No, caro Paryde, noi non kazzicatummulieremo mai. Mai insieme. Mai maissimo maissimamente mai>>. << Mai maissimo adesso o mai maissimo maissimamente mai?>> aggiunse lui. << Boh! Sì. O no. O nì. Boh!>>. << Boh! Boh! Boh! Sì. Sì. Sì. Ja. Ja. Ja. Da. Da. Da..>>. << Mai maissimamente mai. Sì. Sì. Sì. Ja. Ja. Ja. Da. Da. Da..>>. << Mai dire ”Mai maissimamente mai”. Sì. Sì. Sì. Ja. Ja. Ja. Da. Da. Da..>>. Risero di bocca, cetriolo e cetroliera. E Paryde, figlio di zoccola per modo di dire, attaccò a corteggiare la femmina con costanza. La voleva prima del matrimonio. E non dopo, come da promessa divina. << Mai, mai, mai, cara la mia “Gioconda” la sua fika avrai>> disse Paryde rivolgendosi alla sia cicia che sotto la tunica pazziava. Helena rise. << Mai, mai, mai, cara la mia fika quella minkia avrai>> ironizzò lei. Paryde rise. < < Ah, come minkia mi mangia la minkia>>. Iddu la voleva al più presto. Pertanto giocò sporco e ci disse: << Voglio dirti un segreto, posso. È un segreto relativo alla ciolla, un segreto del kazzo, un mistero fallico>>. << Certamente, raccontami di questo segreto del tuo bel kazzo>>. << Minkia. Non è del mio>>. << E allora di quale segreto del kazzo di quale ciolla stai parlando?>>. << Della ciolla di Mynkyalao. Minkia mia bella che vorrebbe kazzicatummuliari con la tua fikabella>>. << Kazzo.. kazzo.. minkia.. minkia.. dimmi?>>. << Minkia e kazzo e cicia e ciolla. E duro da digerire però. Lo vuoi sapere lo stesso?>>. << Certamente. Minkia come minkia sono curiosa di sapere questo minkia di segreto della minkia di Mynkyalao minkialenta>>. << Kazzo. Io so perché il tuo zito è sempre stanco. Nonostante la ciolla sia speciale. E che minkia>>. <<Veramente? >>. << Sì>>. << Minkia. Dimmillu>>. << Minkia. Mynkyalao kazzicatummulia con Ifikanya. Minkia, minkia, minkia, è vera verissima sta storia di minkia. E chi minkia>> << Ehhhh…..>> fece idda ancora sotto choc. << Mynkyalao si la fa con Ifikanya. E chi minkia >>. << Ahhh..>> << Mynkyalao trummia, futti, ficca, scupa, ci la cala, ci la sona, ci la passa, ci la sbatti, ci la metti e ci l‟infila a sua nipote Ifikanya. Capito?>> << No. Minkia. Non è possibile. Minkia. Con la vergine adiabatica>> disse ridendo amaro tossico e velenoso Helena. << Sì>>. E ci cuntò quello che sapeva. << Minkia. E‟ impossibile, quella è vergine, e vergine vuole restare>>. << Minkia. Di pinsero forse, ma nei fatti non è vergine neanche di biddicu>>. << Minkia. Voglio vedere coi miei occhi>>. << Minkia sì. Certo. Certamente. Facciamo stanotte, a talora e nel tal posto. Ti ci porto io, e vedrai. Minkia, se vedrai con i tuoi occhi. Kazzo, se vedrai. Vedrai come sanno ben kazzicatummuliari iddi>>. << Kazzo... kazzo.. kazzo...>>. << Kazzo, ma non per te. Il kazzo lui lo passa solo ad Ifikanya>> << Kazzo e minkia, la ciolla è per lei e non per me. Intanto, caro Paryde, se ci l‟hai, dammi.. dammi..>>. << Un kazzo? Vuoi un kazzo? Vuoi il mio kazzo? Subito, eccoti la “Gioconda”>> l‟interruppe lui tirandoselo fuori in un amen già bello e tiso. Erano in un angolino buio, ma la luna buttana illuminò lo stesso la ciolla. E la ciolla sorrideva. Pallida ma sorridente era la “Gioconda”. << No, non adesso, non ora. Ho detto ”mai maissimo”. Oppure ho detto ”forse mai maissimo”? Adesso comunque voglio solo nu minkiuni beddu ranni ca mi lu suku tuttu di cursa. E rimettiti dentro quella cosa sorridente. Io sono ufficialmente una signorina. E che minkia. Io ufficialmente la minkia non so manco cos‟è>> disse Helena. << Ma se l‟avevi già vista la mia cicia sorridente>>. << Di nascosto. Ufficiosamente, non ufficialmente. La prima minkia la vedrò ufficialmente la prima notte di nozze, perché io per tutti signorina sono. Signorina per l‟urbe, per l‟orbe e finanche per l‟Olympazzo. Per tutti io ignoro l‟arte del kazzicatummulio>>. << Signorina sta minkia, sta ciolla e sto kazzo. Per l‟urbe, per l‟orbe e finanche per l‟Olympazzo. Per loro forse sì, ma per me, certamente no. Anche se non te l‟ho passata io la ciolla, so che di ciolle avuto ne hai. Kazzi su kazzi e ancora kazzi, e poi ciolle su ciolle e ancora ciolle. Diciamo pure minkie a tinchitè, ciolle a iosa, mentule alla sanfasò>>. << E minkie e minkie e minkie avuto ho. E mentule e mentule e mentule avuto ho. E falli e falli e falli avuto ho. E marrugghi e marrugghi e marrugghi avuto ho. E cicie e cicie e cicie avuto ho. Ma mai ufficialmente però. Ufficialmente non ho mai kazzicatummuliato. Devi sapere, caro mio, che qua, a Munypuzos, conta la tradizione. Qua, conta la sceneggiata. Qua, conta il teatro. Questo è un paese di teatro. È tutto un teatro. Come tutto il mondo anche qua è teatro. Forse più teatro che altrove. Tutto, veramente tutto, è teatro. Anche l‟Olympazzo è teatro. Ma una cosa è farlo sul palcoscenico del mondo e una cosa è farlo dietro le quinte. E io fatto dietro le quinte ho. Per lo meno credo. Comunque teatro è la vita. Sai quanti cornuti camminano a testa alta? Quante puttane recitano la parte delle femmine oneste? Quante signorine che ci l‟hanno quanto il portone del palazzo reale recitano la parte delle “caste e pure”? E quanti mascoli che cercano aceddi recitano la pare del mascolo cercapakkio? Tanti, tantissimi, perché ognuno in questa ciolla di mondo della minkia recita al sua parte>>. << Teatro.. teatro.. teatro.. Teatro di minkia , cicia e ciolla>>. << Sempre teatro è. Di kazzo, col kazzo e per un kazzo. Di pakkio, col pakkio e per un pakkio>>. << Allora anche la mia minkia tisa che hai taliato era teatro? >> chiese Paryde curiosissimo assai assai assaissimo. << Certo. Teatro d‟erezione. Teatro a minkia tisa>>. << E anche ora che ti l‟ammusciai? Anzi, che ti l‟ammuscio, visto che è rimasta en plein air>>. E ci la stricau na la coscia sinistra che nuda era. << Certo. Teatro d‟esibizione. Teatro a minkia ammusciata. Teatro di pititto. Teatro di contatto>>. << E pure tu che adesso non mi la voi dare è teatro?>>. << Certo. Teatro di negazione>>. << E pure lu minkiuni da fumare ca voi è teatro?>>. << Certo. Teatro di sostituzione>>. << Di sostituzione di cosa?>>. << Della tua minkia che mi appititta>>. << Ahhh.. e minkia.. vuoi sta minkia? E piglitilla sta minkia. E che minkia>> sparò Paryde nu tanticchia rimbambito e con la minkia in mano. << Ehhhh…...>> replicò lei. << Allora, cosa vuoi? Solo nu minkiuni da fumare vuoi o vuoi magari la minkia da sukare e non solo?>> disse lui. << Sulu lu minkiuni. Unu e basta, altrimenti lu minkiuni mi fa venire pititto di minkia. E io non posso e non devo pensare alla minkia. Teatro di sublimazione tout court e full time>>. << Ma la minkia mia sempre disponibile è. Teatro live è la mia ciolla. Teatro dal vivo. La mia “Gioconda” è multiforme, capace di performance inimmaginabili, di kazzicatummuliate estasianti. Teatro magico o quasi>>. << Ma io non la voglio. Sarà pure a disposizione, ma per me resterà a disposizione. Almeno per adesso. Minkia spettatrice e non minkia attrice. Se vuole però, può fare un monologo. Che faccia pure. Io mi godrò lo spettacolo. Sarà la replica dello spettacolo che allora mi concedesti involontariamente. Forza, caro Paryde, fai il burattinaio del tuo burattino. Il puparo del tuo pupo. Per il resto dico “No” alla “Gioconda”. Niente duetto. O monologo o kazzi. O auto-kazzicatummulio o niente>>. <<Niente auto-kazzicatummulio. Non sono un attore. Se auto-kazzicatummulio deve proprio essere, auto-kazzicatummulio sia, ma in privato. Eventualmente, se ti va, possiamo fare un doppio auto-kazzicatummulio. Io talio a tia e mi la mino, tu talii a mia e ti la soni>> propose Paryde. << No>>. << Minkia. Fino a quando ti negherai alla mia minkia?>> chiese Paryde, quasi supplicante e con la ciolla sempre in fiamme. << Vita natural durante. O forse... O forse giorno natural durante>> replicò Helena. << Minkiate, tu la vorresti subito, ma ti imponi di non volerla. Pensa però al concetto di “teatro live”. Di “teatro-ciolla live”>> disse Paryde. A iddu erano piaciute le parole “giorno natural durante”. Pertanto dopo la mezzanotte la cosa poteva iri in porto. E sicuramente ci sarebbe andata dopo lo spettacolo delle “corna dello zito con la nipote”. << Voglio solo nu minkiuni, capito? Nu minkiuni, e no na minkia. Pertanto non cambiare le carte in tavola>>. << Sì>> rispose Paryde . E ci desi un bel minkiuni ranni. E uno si lo addumò lui. Lei sukava, lui pure. Sukavano alla sanfasò. << Sappi che sono a misura della ciolla mia>> disse Paryde mettendosi lu minkiuni addumatu accanto alla minkia in fiamme. << Non m‟interessa la misura>>. << La misura è importante. La ciolla nica dintra lu pakkio abballa a vuoto>>. << Ma la tua gigantesca non è. Bella e sorridente sì, ma a dimensioni siamo nella norma>>. << E chi minkia volevi, la minkia di Pryapo? Io Paryde sono e questa tengo. Però sono sicuro delle sue professionali prestazioni>> rispose il picciotto tenendosi la minkia in mano. << E io Helena sono e vaffankulo ti mando. A te e alla tua minkia impertinente e impenitente>>. Iddu non rispose. Idda sukava e basta. Sukava di corsa. Era nervosa. Il suo cuore batteva fortissimo e il suo pakkio pulsava. Lui sukava. Sukava e taliava lei. A vedere come la picciotta sukava a Paryde ci attisò al massimo la ciolla. <<Minkia. Guarda come mi hai ridotto la minkia>> sparò Paryde che non l‟aveva rimessa sotto la tunica. Lei rise. La luna illuminava benissimo la ciolla. E la ciolla sorrideva. Era attrentatissima. << Fammilla almeno vedere la porta dei Campi Elisi, e chi minkia>> chiese Paryde. << No>>. << Dammi na mano allora, e chi minkia?>> implorò Paryde. “No” fece lei con la testa. Non c‟era niente da fare. Tisa era e tisa se la doveva tenere. In attesa del poi. Niente prove o provini. Niente prima teatrale per adesso. Manco operazioni manuali. Niente di niente. Se voleva, poteva esibirsi in un assolo. Un assolo solo per lei. Un felice auto- kazzicatummulio. << Sappi che ne sento il ciauro però>> disse il picciotto che intanto, pensando al poi, si era stricata na stizza di unguento sulla ciolla. E ci parse che la sua ciolla addiventasse chiù dura e chiù grossa ancora. Che fosse in fase crescente come la “Luna” in certi periodi. Si sentì chiù ciolla che altro. Si sentì tutto ciolla. << Devo fare pipì>> replicò lei. E si allontanò. Ma non di tanto. Si mise in un punto ben illuminato dalla luna. E lì pisciò. Paryde vide tutto. Vide la “Luna” illuminata dalla luna. Telescopia. Vide il pakkio brillare e brillare sempre più intanto che lei pisciava. E quel piscio pareva d‟argento. Come d‟argento, o platino, pareva il pakkio di piscio bagnato. << Minkia che beddu, pakkiu calamita d‟aceddu>>. E quando lei finì, fu lui che pisciò. Nun urina ma simenta. E la siminò in direzione di quel pakkio tanto addesiderato. Raggiungendolo. La sua simenta raggiunse la “Luna”. Allunò. Fu un bell‟allunaggio. Una telescopata. Una tele- kazzicatummuliata. <<Torniamo dentro, manchiamo da troppo tempo>> disse lei riavvicinandosi e baciandolo sulle labbra. La vistina era rimasta sollevata. Poggiava sui fianchi. << Dammilla. Dammilla subito. È troppo bella, è troppo bella la tua “Luna”>> implorò lui inginocchiandosi. E taliando là, ma proprio là, Paryde recitò:<<Luna, sei pallida per la stanchezza d' arrampicarti in cielo e guardare sulla terra, e andar vagando sola fra le stelle che hanno diversa nascita, sempre cambiando, come un occhio senza gioia che non trova oggetto degno della sua costanza? Tu, sorella eletta dello Spirito, che ti contempla finché in te si dispera>>. Lei capì cos‟era la “Luna”, ma non parlò. Sentiva il suo sguardo là. E senza accorgersene allargò le cosce. Quattro spicchi di “Luna” iddu vide. E vide anche il mare della felicità. Vide la “Luna” nuova e la “Luna” piena, vide il Novilunio e il Plenilunio. E vide anche il primo e l‟ultimo quarto. E vide anche il suo guardiano puntiforme. Lui continuò poi, preso dalla visione:<<Luna. Luna, sei pallida e addolorata per la stanchezza del mancato arrampicarti in cielo e del restare a guardare sulla terra. Luna. Luna, è brutto andar vagando sola, fra le ciolle che hanno diversa destinazione che non è la “Luna”. Perché la “Luna” tua non trova oggetto degno della sua costanza? Perché , sempre a piangere , come un kunno senza gioia? Tu, Luna, sorella eletta dello Spirito Kazzoso, che ti contempla e che per te si dispera>>. << Kazzo, come sei poeticamente poetico? >>. Intanto lui la baciava là. E lei lo lasciava fare. << E come poeticamente baci la fonte della poesia>>. Alzandosi Pryapo la baciò in bocca. Un bacio profondo. E nello stesso tempo ci misi chiddu ca ci misi davanti alla “Luna”. Proprio lì. La koppola toccava la porta dei Campi Elisi. Era pronta a trasiri. Voleva però l‟autorizzazione. Voleva il permesso per kazzicatummuliare. << No>> disse lei che sentiva la koppuluta koppola scoppolarsi e bussare. << Sì, invece sì. Adesso, se vuoi, hai trovato “l‟oggetto degno della tua costanza”. Tutto per te è>> rispondeva lui che sentiva, con la koppola, le quattro caldissime colonne del portone dei Campi Elisi. << La “Gioconda” per me?>>. << Sì>>. << No, non adesso. Ma sappi però che è troppo bella pure la tua ciolla. È troppo “Gioconda”>>. << Dammilla. Voglio la “Luna”>>. << Adesso no>>. << Quando?>>. << Poi. Poi. Poi. Comunque prima o poi la “Gioconda” andrà sulla “Luna”. Prima o poi kazzicatummulierai con me>>. << “Poi” quando?>>. Lei non rispose. Ma il poi era comunque vicino. Intanto la minkia stava per scoppiare. E scoppiò. Scoppiò davanti alla “Luna”. << Poi>> disse Helena. << Poi. Intanto pigliati la simenta, la minkia te la prenderai poi>>. << Poi>>. Lui era felice. La sua ciolla aveva scaricato ancora. Lei invece tinia il kunno il fiamme. La cappella della ciolla parydea l‟aveva addumata di un fuoco strano. Si sentiva in ebollizione come mai lo era stata. <<Paryde, col tocco della sua minkia mi drogò. Chi minkia tinia nella minkia? La minkia - cocaina? La minkia - ellessedì ? La minkia - eroina? Minkia, adesso io sono minkia - dipendente più di prima. Ma di chidda minkia sua però>> pinsò Helena. E quella notte arrivò il “poi”. L‟atteso “poi”. Il desiderato “poi”. Quella notte, intorno a mezzanotte, Paryde ammusciò ad Helena come Mynkyalao si inkunnava la bella vergine Ifikanya. Videro la prima , la seconda, la terza e la quarta kazzicatummuliata. E ad ogni fikkata Helena chiedeva nu minkiuni di minkiajuana da sukari. Partiva con calma come calmo era il ritmo della fikkata del suo futuro marito e della sua amante. Poi accelerava la sukata del minkiuni allo stesso modo in cui Mynkyalao e Ifikanya aumentavano il ritmo dell‟amplesso. E quannu iddi venivano, Helena s‟ammuccava l‟ultima sukatazza di minkiajuana. E poi buttava fora il fumo in un amen. E si formava una nuvola odorosa che avvolgeva lei e Paryde anche. Paryde, per stare nu tanticchia tranquillo, o forse per semplice e buona compagnia, si sukava pure lui nu beddu minkiuni di minkiajuana. All‟inizio della quinta Helena disse: <<Basta, dammi n‟autru minkiuni e basta. Andiamo via, che tengo il firticchio dappertutto. Il core mi sta pazziannu, la testa mi sta scoppiannu, ma lu pakkiu grida “Minnitta … Minnitta...”. Era già in fiamme, ma adesso pare l‟Etna. Stu kazzu di teatro del kazzu nun mi piaciu. Teatro cornuto fu. Ora tocca a mia fare teatro. Teatro a tutta minkia. Teatro minnitta. Teatro controcornuto. Teatro cornutissimo. Teatro a tutto kazzo e minkia e cicia e ciolla e pene e fallo e mentula e minkia assai e ancora minkia e minkia assaissima e veramente assaissimamente assai minkia. Andiamo a fare kazzicatummuli d‟amore. Andiamo a fare tante ma tante ma veramente tante e tantissime e tantissimissime kazzicatummuli di minkia in ogni minkia di posto che ti appititta. Veni, vidi, vici e kazzicatummuliai>>. << Andiamo dove?>> chiese speranzoso Paryde, che era come uno un po‟ assai brillo. Lo chiese sukandosi nu beddu minkiuni ranni. Intanto tinia la ciolla già pronta e incilippiata di unguento. << A fare teatro. Teatro minnitta. A fare la minnitta. Dal minkiuni alla minkia. E datti da fare a tutta minkia con la tua minkia. E che teatro giocondo con la “Gioconda” sia>> disse lei. << Io son qua, pronto a darti la mia arma, la mia minkia arrapata. A fare la mia parte. Sarò puparo del mio pupo e pupo del mio puparo>>. << Minnitta subito. Minnitta con l‟arma tua, con la minkia tua. Ma non qua. Altro deve essere il palcoscenico della nostra prima teatrale. Della nostra prima misa. Misa in scena e non solo. Misa qua, misa là, misa su, misa giù, misa dappertutto deve essere la “Gioconda”>>. << Al tuo servizio, a minkia sana, tisa e potenti. Al tuo servizio a tutta minkia>>. << Imminkiami tutta, tutta tutta tuttissima. Imminkiami alla sanfasò. Imminkiami a iosa. Imminkiami a tinchitè. Kazzicatummulimmi a iosa>>. << A disposizione tutto sano sano sanissimo. Cuore, ciriveddu, corpo e soprattutto ciolla. Anzi “ Gioconda”. Tutta tutta tuttissima però>>. << Soprattutto quella, la “Gioconda”, per fare giocondo il mio kunnus che sta piangendo. Forza.. vai.. trasi.. trasi nella “Luna”>> precisò lei. << Subito, immediatamente>>. << Non qua, nel bosco. Andiamo nel bosco a kazzicatummuliari>>. << E andiamo nel bosco a imboscare sta minkia. A mettere il kazzo nel tummulo>>. Helena si lo portò in mezzo al bosco di Mynkyalonya, in un angolino riservato, e si lu pussiriu alla diavolina. Appena la koppola della ciolla toccò la porta della fika si scatenò l‟inferno, il tartaro, l‟Etna e altro ancora. Non si capì una minkia. Eppure una minkia c‟era. Non si capì una ciolla e manco un kazzo. Eppure una ciolla c‟era. E un kazzo anche. Ficiro teatro assai assaissimo. Ficiro il primo atto, il secondo e il terzo. E dopo ne fecero altri. Ne fecero tanti, tantissimi. Ma non so quanti altri atti recitarono. Fu un incendio sempre più devastante, una reazione sempre più incontrollata, un sisma sempre più violento. Fu forse la ”reazione atomica“ di cui parlava Democritino. Lui comunque vide le stelle della volta celeste. Le vide, le contemplò, e cercò di contarle. Ma nel contarle si perse in un infinito piacere. Erano infinite le stelle. La sua ciolla vide le stelle della volta fikale. Le contemplò e cercò di contarle, ma nel contarle si perse in un mare di piacere. Erano infinite anche loro. E così lei. Vide e sentì cose che non aveva mai visto e sentito. Vide le stelle in cielo e sentì le stelle in fika. Erano infinite numericamente parlando sia le une che le altre. Ma sentì anche il sole dentro il suo pakkio. Helio la riscaldava tropp‟assai assaissimo. La “Gioconda” era calda come il sole. La sa fika s‟illuminava d‟immenso piacere. Un mare, un oceano, un universo di piacere, frutto di un orgasmo che dilaniava i corpi, i sessi e soprattutto le menti, li travolse. Era impossibile negarsi il poi, il seguito, il dopo, se quello era il risultato della loro prima missione nel “mondo del kazzicatummulio”. Il loro kazzicatummulio era divino. Mai Helena aveva goduto tanto, e manco Paryde. Con Helena vedeva chiù stelle che con la dea della bellezza. Paryde naturalmente era contentissimo. Paryde aveva accorciato i tempi. Helena era stata sua prima del tempo. Non una ma ben otto volte la “Gioconda“ aveva reso giocondo il portuso di lei. Otto volte, ma otto volte con parte prima, seconda e terza. O meglio, con attino primo, attino secondo e attino terzo. O forse attone. Come nelle commedie e nelle tragedie. Ma questa era una rappresentazione del piacere. Ed era anche questo teatro. E pure lei era contentissima. Quello che avevano messo in scena era teatro puro. Teatro minnitta per essere precisi. Ma anche Teatro cornuto. O Teatro piaceroso. Così si erano acconosciuti carnalmente Paryde ed Helena. E accussì il picciotto aveva accorciato i tempi per arrivare al dunque. << Bello il pakkio spilato>> disse Paryde prima di tornare a Munypuzos. E intanto pensava <<Lu pakkiu di Helena mi attizza assai assaissimo la sasizza>>. << Bello sì>> rispose lei pensando: << Ne ho avute di minkie na lu kunnu, ma chista mi ha reso la femmina più felice di lu munnu>>. << Bella la “Luna”>> disse lui toccandole il satellite. << Bello l‟allunaggio della “Gioconda“ sulla “Luna”>> replicò lei toccandogli la ciolla. << Bella sempre la tua “ Luna”>>. << E la tua “Gioconda” la rende sempre più gioconda. Con lei è sempre “Luna“ piena>>. Ma sulla via del ritorno a Paryde gli era rivenuta su la poesia e ritornato il pititto. Pertanto la fermò una prima volta, a colpi amorosi di minkia in amore, dicendo: << Dammi il Tartaro per un kazzicatummulio velocissimo>>. E finita la cosa, facendo il finto serio, disse : << Lo bischero e io per quel cammino ascoso intrammo per poi esplorar quell‟oscuro mondo. E sanza cura aver d‟alcun riposo, salimmo su, el primo lui e io secondo, tanto ch‟i‟ vidi de le cose belle che porta ‟l ciel, per un pertugio tondo. E quindi uscimmo a riveder l‟altre stelle>>. Poi aggiunse: << A dire il vero però, le stelle stavano anche là dentro. Ed erano quelle le più belle. E viste l‟ho. Con la cicia le ho viste, ed erano chiù belle di quelle del cielo. La tua volta fikale è più stellata di quella celeste. E girava in senso ora orario e ora antiorario intorno alla koppola della minkia mia che caldissima era>>. << La tua minkia era il mio sole>> rispose lei. N’autra vota, dopo un po’, la rifermò, sempre a colpi di pitittosa minkia cina di pititto, dicendo: << Fammi passeggiare nella Prateria degli asfodeli. Per una serie di kazzicatummulii velocissimi>>. E alla fine, tra il serio e l’ironico, disse: <<Io ritornai da la sementosa onda rifatto sì come ciolle novelle rinovellate di novella fronda, puro e disposto a riveder ancor le stelle>>. Poi aggiunse: << Perché, a dire il vero, le stelle stanno là dentro. E là dentro stato io ciò. Visto l‟ho le stelle e l‟autre cose. E minkia quante cose ci son dentro la tua fika>>. << Illuminami d‟immenso l‟ardente pakkio vorace con la tua solare “Gioconda”. Esplora come minkia vuoi, quando minkia vuoi e come minkia vuoi la mia volta fikale. Illumina tout court e full time la mia “Luna”. E che mai ci siano eclissi>> rispose idda. Infine la fermò per la terza volta, sempre a colpi di arrapata ciolla arrapatissima, dicendo: << Fammi entrare nei Campi Elisi per qualche altra kazzicatummuliata gloriosa>>. E a cose fatte, in estasi completa e assoluta, recitò: << A l'alta fantasia della mia bell‟assai cicia rossa che già volgeva di nuovo il mio disio in valli belle, sì come rota ch'igualmente è smossa e mossa, la ciolla mia è il sole, e move e smove l'altre stelle>>. Poi aggiunse: << Move e smove le stelle della tua volta fikale. Perché la ciolla mia è il sole, e il sole mio move e smove le stelle che stanno là dentro. E là dentro di stelle è pieno pienissimo, e sono chiù belle, chiù luminose, chiù colorate e chiù calde delle stelle che stanno in cielo a non fare una minkia. Le tue invece rendono felici la mia minkia>>. << Le soste mi son piaciute ma le poesie non le ho capite.. troppo kriptiche. Quasi misteriose.. parunu tratte da un libro sacro..>>. << Mi son venute su come la minkia, ma se ho capito l‟andazzo del mio kazzo le poesie non le ho capite manco io. Forse erano parole a kazzo, ma son venute fuori dalla bocca e non dal kazzo. Comunque erano divine. Divine come la nostra “divina commedia”. Come il nostro “divino kazzicatummulio”>>. << Sono previste altre soste?>> chiese lei. << Io ne farei tante quante le stelle>>. << Della volta celeste?>>. << No, della volta fikale>>. E risero. Risero alla sanfasò, a iosa, e finanche a tinchitè. In effetti la sequenza fikkatoria, a parte le soste, era stata impressionante. Un incendio devastante, un sisma potente, un alluvione di piacere. Ma l‟effetto comunque era stato potenziato dalla troppa minkiajuana. Quannu iddu ci alliccava lu pakkiu ci sapia di minkiajuana, quannu iddu ci sukava li capiccia ci sapeunu di minkiajuana. E quannu idda ci sukava la minkia ci paria di sukari nu minkiuni di minkiajuana. E pure l‟aceddu ci sapia di minkiajuana. E pure lu latti di brigghiu ci parsi latti di minkiajuana. Ma se lu latti di brigghiu esistia chiddu di minkiajuana non era stato ancora inventato. Ma poi c‟era un “poi” misterioso. Un sapore misterioso, un ciaru non conosciuto, C‟era l‟unguento misterioso. Na stizza appena. Ma minkia, chi minkia cumminava na stizza di chiddu unguento della minkia. <<Ma chi minkia è st‟unguento della minkia che ho messo sulla minkia?>> si addumannò Paryde. << La minkia sua è il più potente afrodisiaco che io conosca>> pinsò Helena. --La ciolla amata, magari ca è nicaredda, è sempre la regina di l‟acedda. Socratuccio Nicu --Nel mezzo della notte ho lasciato il mio compagno di letto, e vengo qui tutta bagnata da una pioggia battente. E poi restiamo senza far niente, senza parlare o dormire (s'intende come è legge degli amanti dormire)? Antologia Palatina --O dio della Ciolla, come faccio a trovare la giusta ciolla? Invocazione a Pryapo --- Trascorreva felicemente, come detto già troppe e troppe volte, il giorno del matrimonio. Anzi, finiu nel senso del dì. E arrivò naturalmente la notte. “E ora si fotte. A tutti buonanotte. Per non dire altro” pinsarono in tanti. “Luna calante minkia scopante. Luna crescente minkia penetrante. Luna nuova, la minkia già dintra si trova. Luna piena, la minkia trasi e nesci e si allena” diceva uno dei tanti detti popolari a sfondo erotico. La notte di nozze però finiu mali. Eppure la luna era piena. Ma la reale ciolla di Mynkyalao era però vuota. O meglio, erano vuoti i suoi reali koglioni. La prestazione di Mynkyalao fu scadente. Trasiu con difficoltà e si pisciau in un amen. Una fikkata lampa e stampa. Peggio di quella del labirinto. Helena restò assai insoddisfatta. Da quannu il suo kunno avia assaggiato la ciolla di Paryde era più in fiamme che mai. Era minkia - dipendente tout court e full time. Mynkyalao non poteva spegnere l‟incendio di quella troia di Helena. Non era il pompiere adatto. Pur avendo una pompa resistente. Una pompa sempre dura per motivi tecnici. Ma se la minkia reale era realmente dura, il pititto reale era realmente di ricotta. Mynkyalao, poco prima della cerimonia, era stato spurpato vivo dalla nipote. Intanto che lo aiutava a vestirsi lo aveva sottoposto a sette fellatio. Aveva preteso sette inkunnatio, e finanche sette inkulatio. Quello pertanto non aveva certamente esaurito la durezza dell‟aceddu, ma aveva invece consumato tuttu lu latti di brigghiu disponibile. E al talamo nuziale si presentò che era una fitinzia. Esaurito com‟era di minkia e di ciriveddu. Eppure la ciolla era dura, per motivi tecnici. Dura ma stanca. E stanco era pure di corpo e di testa. <<Mancu una bona si ni sapi fari. La buttana di sua nipote Ifikanya l‟avi spompato alla grande, la sukaceddi specializzata. E io non mi posso accontentare di questa fitinzia di minkia. La prima notte di nozze deve essere un‟orgia di minkia in kunno, deve essere una notte di minkia in piena che ti allaga e ti sbrodola. La simenta deve tracimare dal pakkio e non solo. La prima notte di nozze deve essere una notte cina di minkia. Una recita multipla e divertente. Un kazzicatummulio continuo. Minkia a iosa, alla sanfasò e a tinchitè. Una commedia del piacere deve essere e no una tragedia del kazzo. La prima notte di nozze deve durare tutta la notte. Deve essere una notte a tutta minkia. La ciolla deve essere la protagonista primaria dello spettacolo. Deve esibirsi a iosa, alla sanfasò e a tinchitè. Invece il mio kazzicatummulio finiu a schifiu>> pinsò nella sua testa la bella Helena. Poi pensò per un attimo a Teseo che l‟aveva fatta femmina a forza, ma subito dopo pinsò a Paryde. Dalla minkia primaria alla minkia amata. Ma tra il pensiero della minkia primaria di Teseo e il pensiero della minkia amante di Paryde pinsò a tutta una serie di minkie da cui felicemente si era fatta imminkiare. Fece una classifika e all‟ultimo posto piazzò quella di Mynkyalao. Al primo mise Paryde. Allora desi al marito una sostanza strana pi fallu dormire assai assaissimo ed essere libera di imminkiare a tutto kunno. Se quel palcoscenico era stato un fallimento del kazzicatummulio, altri letti e altre minkie potevano dare altri spettacoli. La notte delle nozze doveva essere una notte cina di minkia. E se la minkia del marito non riusciva a fare la minkia, c‟erano in giro minkie a non finire. Eventualmente quindi poteva rifarsi con queste minkie. E se il marito, minkialenta e non solo, non era stato capace di imminkiarla a dovere, doveva cercasi un‟altra minkia per imminkiare come minkia comanda. Praticamente la minkia di Paryde. O eventualmente una serie di minkie. Praticamente minkie a caso. Però minkie a iosa, alla sanfasò e a tinchitè. << Voglio il kazzo di Paridazzo o voglio solo un kazzo?>> pinsò. << Bevi per amore mio. È una miscela di sostanze rinforzanti. Tra poco la forza ti riconquisterà. L‟aceddu è tisu ma il corpo è moscio. Con questo beverone tra picca sarai prontissimo a fare un nuovo fikka-fikka. Tra poco facemu festa di nuovo. Riprenderemo la spettacolo, la recita, la misa..>>. <<Voglio il kazzo di Paridazzo o forse va bene solo un kazzo. Se non posso fare una bella orgia con la minkia di mio marito, allora farò un‟orgia con la minkia dell‟amante. Oppure un‟orgia di minkie varie e basta. Di minkie varie e stop. Perchè la notte di nozze dev‟esser un‟orgia di minkia. O un‟orgia di minkie. Per dimenticare la minkia inutile del marito e non pensare alla minkia gioconda dell‟amante>> pinsò Helena. Mynkyalao si calò tutto in un attimo. E si addormentò profondamente in un amen. << Dormi beddu, che io vado a cercare il mio aceddu. Ma il mio dilemma è questo: la notte delle nozze, se la minkia del marito non funziona, per fare lampi e trona ci voli la minkia dell‟amante o basta una minkia che sappia fare la minkia all‟istante? O fors‟anche una serie? Insomma, se la ciolla maritale è un fallimento, la sposina deve andare direttamente da quella che è la ciolla già sperimentata dell‟amante o iniziare la ricerca della ciolla ideale, sperimentando minkie su minkie e ancora minkie e minkie e poi ancora minkie a iosa, alla sanfasò e a tinchitè tout court e full time? >>. << Voglio il kazzo di Paridazzo o voglio solo un kazzo?>> gridò forte. Il marito non sentì una minkia. Dormiva pesantemente. Dormiva come un ghiro. E russava come un porco. Helena rifletté un attimo e si chiese: << Ci voli la minkia di Paryde bello o basta un qualsiasi uccello?>>. Non sapeva se andare da Paryde o dalla prima minkia che capitava. Andare da Paryde voleva dire che era semplicemente innamorata, anche perché Paryde avia si un bell‟uccello ma non era certamente il massimo in fatto di misure. Ma lei avia il kunno innamorato: e l‟amore è capace di far diventare un elefante magari una mosca. << Vado a minkia e m‟imminkio sulla prima minkia per cercare di non pensare né alla minkia di Mynkyalao che mi fa schifo né a quella di Paryde che mi appititta. Ma se non troverò soddisfazione, gira e rigira, imminkia prima e imminkia appresso, è da Paryde che porterò il mio sesso, perché per il mio kunnu chidda è la megghiu minkia di lu munnu>>. Uscì dalla camera da letto coniugale gridando: << Voglio una minkia. Voglio un kazzo. Voglio una ciolla. Voglio un fallo. Voglio una minkia>>. Era comunque scontentissima e inkazzatissima la bella Helena. Il kazzo maritale non valeva un kazzo. Il teatro col marito era stato un fallimento. Una tragedia del kazzo. Bellissima lei, inutile lui e inutilissima la sua cosa spompata. Da attrice professionista la sua performance, da attore da strapazzo quella del marito, da attore morto quella della sua ciolla. Più che una festa, un funerale. Della ciolla e del resto. La “Luna “ era pallida di umiliazione. Pallida e addolorata. E piangeva lacrime di dolore e non di piacere. Titolo plausibile della squallida messa in scena, un flop totale, A letto col marito che minkia faccio se la ciolla maritale non funziona come una vera minkia. Esempio chiarificatore di Teatro impotente. In testa un pinsero fisso.<< Che minkia devo fare?>>. E si mise a firriari per i corridoi del palazzo reale sukannisi nu beddu minkiuni di minkiajuana. E ciusciannu peggio di Zeus nirbusazzu e arrapato, di Eolo inkazzatissimo e tempestoso, di Pryapo trombante e inkunnante, pinsava a quel kazzo che fare doveva. In testa un pinsero fisso che la tormentava fin nel più profondo del kunnareddu. Pardon, del ciriveddu. <<Che mentula di ciolla di cicia del kazzo di una minkia devo fare?>>. Il kazzicatummuliu col marito era finito letteralmente a schifiu. Doveva solo kazzicatummuliari di ciolla in ciolla fino ad approdare alla ciolla di Paryde. <<E così sia. Orgia di minkie sia. Iniziamo il “minkia tur”. In attesa di arrivare al traguardo. Alla minkia di Paryde>>. --Delle volte la ciolla del marito vale meno di un pirito fantasma. Plotonio --La ciolla minore del re minore fu minore in tutto. Euclide da Munypuzos --La minkia reale non sempre è necessariamente reale. Fedro --- Due tizi originari di Leonthynoy e Karleonthynoy, polis della “lega del pattuallo”, cercarono di valutare il numero delle ciolle di cui aveva bisogno Helena per dimenticare l‟odiatissima ciolla dell‟odiatissimo Mynkyalao e non pensare a quella amatissima dell‟amatissimo Paryde. << Quattro milioni di ciolle che sappiano fare la ciolla. Quattro milioni di ciolle in processione, una dopo l‟altra. Questo per non pensare alla ciolla di Paryde. Per dimenticare la ciolla del marito bastano quattro ciolle qualunque. E a dire il vero basta anche una ciolla anonima oppure un Sosia qualunque>> disse il tizio di Karleonthynoy. <<Otto milioni. Otto milioni di ciolle in processione per non pensare alla ciolla di Paryde. Otto ciolle qualunque per dimenticare la ciolla del marito . Anche se in realtà basta anche una ciolletta o un dito>> disse il tizio di Leonthynoy. Ma da Palermorum fecero sapere che la valutazione poteva arrivare al massimo a quaranta milioni di ciolle. Quaranta milioni di cicie per non pensare alla cicia di Paryde. Mentre bastava una cicia qualsiasi per dimenticare la cicia maritale. Magari bastava un cicetta, una minkietta, una ciolletta, un falletto, un kazzetto, un piselletto. Purtroppo un altro tizio perse i documenti e tutto finì a ciolla di cane rognoso. Ma costoro ignoravano che per Helena la ciolla di Mynkyalao valeva meno di zero mentre quella di Paryde era tutto. Aut Cesar, aut nihil. O Cesare o nulla. Paryde era Cesare, Mynkyalao il nulla. O meglio, la minkia di Paryde era Cesare, la minkia di Mynkyalao il nulla. La cicia paridea era la dea delle ciolle. A parte il fatto che tra magna grecia e grecia tutte quelle minkia di ciolle non c‟erano. Manco considerando le ciolle impotenti e quelli dei picciriddi era possibile arrivare a quattro o otto milioni di ciolle. Figuriamoci a quaranta milioni. Manco a cercarle con lanternino. Manco con un miracolo potevano spuntare tutte quelle ciolle. --Quattro milioni.. otto milioni.. quaranta milioni.. senza documentazione che rottura di koglioni. Detto popolare --- Per tutto il palazzo reale di Munypuzos risuonò, in un crescente continuo, un lacerante e addolorato urlo. Era l‟insoddisfatta Helena. Si trattò di urlo spaventoso, di un urlo semplicemente e drammaticamente tonitruante. <<Voglio.. una minkia.. una minkia.. una minkia... una minkia.. una minkia... una minkia.. una minkia..>>. Per poi finire con un micidiale: <<Voglio una MINKIA >>. Pure la sua “Fika” urlò un “Fika-tonitruante” urlo assai lapalissiano. << Voglio una minkiaaaaaa...una minkia che sappia fare la minkiaaaaaa...>>. E non era un lapsus calami o un lapsus linguae. In vino veritas. O meglio, in kunnus veritas. Gutta cavat lapidem, mentula cavat kunnus. Il sogno di Helena, e della sua fika, era quello di gridare in faccia all‟urbe, all‟orbe e all‟Olympazzo tutto:<< Habemus mentula>>. Ma il problema era “Quale mentula?” Una mentula qualsiasi o la mentula di Paryde? “Melius abundare quam deficere” diceva un detto latino latinamente latinissimo. E allora meglio un‟overdose di mentuline, mentule, mentulone e mentulazze per dimenticare la mentulina di Mynkyalao e non pensare alla mentulona di Paryde. << E overdose sia.. con tanti parerghi e senza paralipomeni>> disse Helena. --Gallina che canta ha fatto l‟uovo, donna che canta ha fatto l‟amore. Iaddu ca s‟annaca la cura è pronto a fari l‟amuri, maskulu ca s‟annaca lu kulu avi già fattu sciri lu skulu. Detti popolari --- A curtigghiari c‟erano i tre intellettuali della ciolla che pinsavano già di scrivere rispettivamente, secondo la propria specializzazione, il Poema Helena abbandona l‟inutile phallo di Mynkyalao per cercare un phallo che sappia fare il phallo , il Carmen Helena addormenta l‟addormentata mentula di Mynkyalao per andare alla ricerca di una mentula più sveglia, e il romanzo Cent‟anni di minkia addummisciuta di Mynkyalao costringono il pakkio di Helena a circari una minkia più efficiente. Sokratynos, il filosofo della minkia, si chiese: << La vita è una, come la minkia, e se non è un piacere vivere e avere una minkia, a che minkia serve avere una minkia se poi non puoi imminkiare manco quella troia di Helena che insoddisfatta della minkia di quel minkialenta di Mynkyalao nun sapi se cercare la minkia innamorata di Paryde o una minkia qualsiasi che sappia fare la minkia mentre ci sarebbe la mia minkia tonitruante a disposizione ipso facto pronta a imminkiarla draconianamente e finanche socraticamente assai assaissimamente assaissimo?>>. --<< Voglio una minkia. Ho bisogno di una vera minkia per imminkiarmi, ma non so di quale minkia ho bisogno? Insomma, se la ciolla maritale è un fallimento, la sposina deve andare direttamente da quella che è la ciolla goduriosa già sperimentata dell‟amante o iniziare la ricerca della ciolla ideale, sperimentando minkie su minkie e ancora minkie e minkie e poi ancora minkie a iosa, alla sanfasò e a tinchitè tout court e full time? Insomma insomma, il kazzo piaceroso dell‟amante o un kazzo qualsiasi che sappia fare il suo mestiere di kazzo? Insomma insomma insomma, con chi kazzo devo kazzicatummuliare?>> gridava Helena nei corridoi del palazzo reale. Era in quella parte del palazzo dove riposavano gli illustri ospiti. Re, regine, dei, dee e tanti ma tanti eroi. E riposavano pure le ciolle di costoro. O meglio, lavoravano. << Chiedo a papà. E che minkia. Chiedo alla prima minkia della nomenclatura>>. E non ancora totalmente convinta sulla decisione da prendere corse nella camera del padre. Zeus stava trummiannu. Cu Leda. Ca era la madre di Helena. Smise subito Zeus e si antuppò l‟aggeggio. Non tanto per vergogna, ma per dignità divina. Era troppo troppissimo eccitato. E adesso anche inkazzato. << Coitus interruptus ipso facto, la fikkata fu interrotta. Piacere perso, paparino bello. Senza botto fu la botta>> disse la bella Helena pensando di addolcire il caro e amatissimo capodio. O per lo meno, provandoci. << Skassamento di minkia, ma dimmi comunque, tanto oramai il danno è fatto, chi minkia vuoi, figghia bedda assai ma assai veramente>> disse Zeus tra il serio divino e il faceto umano. << Papà, chi minkia fazzu? Mynkyalao nun vali nu kazzu. Consolami la parte addolorata, altrimenti m‟ammazzu. Papà,vuoiu nu kazzu. Papà, tu ca si lu capudiu, fai cu mia un assai bellissimo kazzicatummuliu>>. << Nun pozzu. È incesto, tu sei figlia mia. Per dio. Calmati lu firticchio sia di testa ca di stikkio >>. << Mi ni futtu na minkia. To mugghieri Era ti veni soru. Magari chiddu è incesto. Ma tu ci lu calasti il tesoro. E a Persefassa poi ci la dasti volentieri la ciolla. E io, minkia pi minkia, mica sono chiù stolla>>. << Non posso, sono qui con tua madre che vuole l‟osso>> replicò Zeus. << O mi consoli subito lu stikkiu o m‟ammazzu >>. << Figghia mia bedda, nun ci skassari lu kazzu>> intervenne Leda. << Papà. O mi consoli la fregna o m‟ammazzu >>. Non disse altro Helena. Zeus capì. E la consolò seduta stante. Sotto gli occhi consenzienti di Leda. Poi Zeus disse: << La qualità e la quantità di la minkia di Mynkyalao non fa per te. Troppa poc‟assai da tutti i punti di vista quella sasizza è. A parti ca ci sta na gran figghia di grannissima buttana ca ci la sta, per modo di dire, cunsumannu tutta sana sana. Quella ciolla in realtà è sempre tisa, e minkia se putissi fari. Ma lu ciriveddu di lu padruni è stancu di farla travagghiari>>. << Papà, allora chi minkia di minkia fazzu?>>. << Figlia, cerchiti n‟autra minkia di kazzu, pigghiti puru chiddu di lu beddu Paridazzu >> rispose placido Zeus. << Figghia bedda, pigghiti pure la minkia del purceddopolita. Ma nun ci skassari chiui la minkia pi tutta la vita>> aggiunse mamma Leda. << Per adesso no. Ciao comunque, e buon lavoro di cicia divina in kunnu. Buon lavoro mamma . E buon lavoro papà, numero uno di lu munnu. >>. << Vai, vai a skassare la minkia a chi dico io, che sicuramente si la sta skassando da solo per il dolore di saperti sotto l‟aceddu torturatore di tuo marito. Vai e non tornare che già mi skassasti la koppola della minkia e mi facisti addivintari acido lu latti di brigghiu. Lassimi finiri cu Leda, ca se spunta Pryapo sunu kazzi amari. E kazzi amari sunu anche se solo lo sento cantare. E chiddu è come il gallo, prima o poi canta e rumpi la quattara cina. O meglio, la ciolla tisa>>. << Sono d‟accordo, d‟accordissimo. Se il tuo è acido, quello di Paryde acidissimo sarà>>. << Vai, vai, e speriamo che Pryapo non si faccia vedere, e soprattutto che stia zitto ancora un po‟>> disse Zeus. Ma poi, perché come a tutti i maschi ci piacia sentirsi dire dalla fimmina ca era tutta ma proprio tutta soddisfatta, anche se la fimmina in questione era la figlia, il sommo Zeus chiese curioso: << Ma la minkia mia, dimmillu chiaru e tunnu, almenu lu stutau lu focu ca ardia na lu to kunnu? >>. << Mancu di na stizza, lu kunnu ancora mi pruri e m‟attizza. Iddu assai m‟impazza e voli tutt‟autra minciazza>> rispose Helena andando verso l‟uscita. << N‟attimo, figghia, se lu maritu nun vali nu kazzu, e vuoi per il momento scurdariti la minkia di Paridazzu, cerca Pryapo e la sua minkia impertinente e gloriosa, e in un attimo fatti futtiri da quella cosa portentosa. Chidda è la cicia caput mundi, il non plus ultra di li kazzi, “Panem et circenses” di li kunna è chidda regina di li minciazzi. “Ubi maior minor cessat” dice un detto assai dotto di la gente antica. “Uniquique suum” dico. E la sua è giusta pi la bedda tua fika. Ma se anche la ciolla di Pryapo nun stuta stu kazzu di focu, allura è Paryde ca teni lu strumentu giustu pi chissu iocu >>. << No. Pryapo no. Voglio una minkia e no una bestia di minkia. Adesso ho bisogno di una minkia che sappia fare la minkia, ma non so di quale minkia? Credo che mi serva solo una minkia, una minkia efficiente, una minkia dotata del massimo possibile di deontologia professionale o minkialesca. Io voglio solo una minkia adesso. Una minkia ca mi kazzicatummulia a iosa, alla sanfasò e a tinchitè>> gridò Helena uscendo dalla camera di Zeus e addumannisi n‟autru minkiuni di minkiajuana. Era comunque contentissima Helena. Il teatro con papà era stato uno spettacolo bello. Un bel kazzicatummuliu. Una bella messa in scena. Superba, divina quasi. Anzi, divina senza dubbio. E con Leda a fare da spettatrice plaudente e consenziente. Da attori professionisti la performance dei protagonisti. A tutti i livelli. La ciolla di Zeus era saettante come un fulmine e portava luce e piacere sommo. Ma la “Luna“ però non era soddisfatta. Era semplicemente ammutolita. Forse impietrita. E piangeva, lacrime di dolore e non di piacere. Titolo plausibile, A letto con la ciolla fulminante di papà, esempio primario di Teatro divino. Uscendo Helena aveva un pensiero fisso: <<Che kazzo devo fare?>>. Anche Zeus e Leda si addumanu nu minkiuni di minkiajuana. Per calmarsi in attesa di riprendere il lavoro interrotto. Per darci di nuovo dentro a tutta ciolla in pakkio. Per raggiungere il piacere spezzato o interrotto da quella buttana di Helena. Per trovare la pace dei sensi. A ciolla tisa però. Sempre sperando che Pryapo, personalmente o tramite la sua voce, non ammosciasse il giocattolo di Zeus. Se Helena aveva ammosciato temporaneamente, Pryapo ammosciava pi nu tanticchia di tempo. <<Che mentula di ciolla di cicia del kazzo di una minkia devo fare?>> pinsava intanto Helena girando per i corridoi del palazzo reale. E pinsava anche che il kazzicatummulio con papà era stato un buon kazzicatummulio. Buono, ma non era quello che voleva lei. Altro era il suo kazzicatummulio ideale. Era un saltare di mentula in mentula che doveva concludersi sulla mentula di Paryde. Se Zeus, la prima minkia della nomenclatura, era stata la prima minkia del suo ”minkia tur”, l‟ultima doveva essere quella di Paryde. Ma nel mezzo, quante minkie ci dovevano stare? <<Ma il traguardo è vicino o lontano>> si chiese Helena. --Zeus, ciolla fulminante, vieni e fotti a minkia cina e penetrante. Zeus, ciolla tonante, vieni e fotti in maniera ridondante. Zeus, ciolla trombante, vieni e fotti in maniera divina. Zeus, ciolla capadia , divinizza pure la fika mia. Zeus, ciolla crisoelefantina, futtimi a minkia cina Zeus,anziché fulmini, lancia la tua ciolla. Pompeo Phallos --Due tizi originari di Leonthynoy e Karleonthynoy cercarono di valutare il numero delle ciolle di cui aveva bisogno Helena per non pensare alla ciolla dell‟amatissimo Paryde. E fecero calcoli su calcoli usando la mani, le dita, e finanche la ciolla, le palle, il pallottoliere e il pattualloliere. << Quattro milioni di ciolle “modello Zeus”. Quattro milioni di ciolle alla capodio. Quattro milioni di ciolle fulminanti e saettanti. Quattro milioni di ciolle della nomenclatura>> disse il tizio di Karleonthynoy che si era molto assai applicato nei calcoli. << Otto milioni. Otto milioni ci ni vogliono. Non una di più o una di meno. E tutte divine. O per lo meno, con capacità, abilità, conoscenze e applicabilità quasi divine>> replicò il tizio di Leonthynoy. Ma da Palermorum fecero sapere che la valutazione poteva arrivare al massimo a quaranta milioni di ciolle. Purtroppo un altro tizio perse i documenti e tutto finì a ciolla di topo morto. Ignoravano i suddetti che per il pakkio libero e indipendente di Helena qualsiasi ciolla valeva zero. Anche quella di Zeus. Mentre la ciolla di Paryde valeva più dell‟universo tutto sano sano. Ma loro purtroppo sapevano dare solo i numeri. Numeri a minkia però. La ciolla di Paryde per Helena era la capadia delle ciolle. La ciolla cesarea per eccellenza. --Quattro milioni.. otto milioni.. quaranta milioni.. senza documentazione che rottura di koglioni. Detto popolare --- Per tutto il palazzo reale di Munypuzos, e forse anche nei dintorni, risuonò di nuovo il lacerante e addolorato urlo della sempre più insoddisfatta Helena. Un urlo pieno di dolore e di insoddisfazione. Un urlo che muoveva a compassione l‟urbe e l‟orbe. Un urlo drammaticamente tonitruante. <<Voglio.. una minkia.. una minkia.. una minkia... una minkia.. una minkia... una minkia.. una minkia..>>. Per poi finire con un micidiale : <<Voglio una MINKIA >>. Pure il suo “Stikkio” urlò uno “Stikkio - tonitruante” urlo assai lapalissiano. <<Voglio una minkiaaaaaa...una minkia che sappia fare la minkiaaaaaa..>>. E non era un lapsus calami o un lapsus linguae. In vino veritas. O meglio, in kunnus veritas. Gutta cavat lapidem, mentula cavat kunnus. Il sogno di Helena, e del suo stikkio, era quello di gridare in faccia all‟urbe, all‟orbe e all‟Olympazzo tutto:<< Habemus mentula>>. Ma il problema era “Quale mentula?” Una mentula qualsiasi o la mentula di Paryde? “Melius abundare quam deficere” diceva un detto latino latinamente latinissimo. E allora meglio un‟overdose di mentuline, mentule, mentulone e mentulazze per dimenticare la mentulina di Mynkyalao e non pensare alla mentulona di Paryde. << E overdose sia.. con tanti parerghi e senza paralipomeni >> disse Helena. --Batti il ferro quando è caldo, usa la minkia quannu è tisa. Sona la campana quannu è ura, usa la minkia quannu è dura. Inforna il pane quannu è prontu lu furnu, inforna la minkia quannu è prontu lu kunnu. Lu giustu mangiari na lu munnu è pane pi la panza e minkia pi lu kunno. Detti popolari --A curtigghiari c‟erano i tre intellettuali della ciolla. I tre kakaparole del kazzo. E i tre, non avendo un kazzo da fare, pinsavano già di scrivere rispettivamente, secondo la propria specializzazione, il Poema Helena s‟inphalla il phallo paterno di Zeus, il Carmen Helena s‟immentula la genitrice mentula di Zeus, e il romanzo Cent‟anni della minkia paterna di Zeus per il filiale pakkio di Helena. Sokratynos, il filosofo della minkia, si chiese: << La vita è una, come la minkia, e se non è un piacere vivere e avere una minkia, a che minkia serve avere una minkia se poi non puoi imminkiare manco quella troia di Helena che invece si lascia imminkiare dall‟amato paparino Zeus mentre io potrei passarle draconianamente e finanche socraticamente, e volendo anche oralmente, la mia tonitruante minkia filosofikamente filosofika? >>. --- << Voglio una minkia. No, quella di Pryapo no. Voglio una minkia e no una bestia di minkia. Per adesso ho bisogno solo di una minkia, ma non so di quale minkia? Voglio solo una minkia che sappia kazzicatummuliare alla grande>> gridava in maniera quasi ossessiva la sposina novella. Helena non sapeva se andare da Paryde o dalla prima minkia che capitava dopo quella paterna, duci e divina di Zeus. Di Pryapo non se ne parlava completamente. Andare da Paryde voleva dire che era semplicemente innamorata, anche perché Paryde avia si un bell‟uccello ma non era certamente il massimo in fatto di misure. Ma lei avia il kunno innamorato: e l‟amore è capace di far teoricamente diventare un elefante magari una piccola mosca. << Vado a minkia e m‟imminkio sulla prima minkia per cercare di non pensare né alla minkia di Mynkyalao che mi fa schifo né a quella di Paryde che mi appititta. Ma se non troverò soddisfazione, gira e rigira, imminkia prima e imminkia appresso, è da Paryde che porterò il mio sesso. Perché per il mio kunnu chidda è la megghiu minkia di lu munnu>>. --- << Voglio una minkia, una minkia, una grande minkia e no una bestia di minkia. Insomma, se la ciolla maritale è un fallimento, la sposina deve andare direttamente da quella che è la ciolla già sperimentata dell‟amante o iniziare la ricerca della ciolla ideale, sperimentando minkie su minkie e ancora minkie e minkie e poi ancora minkie a iosa, alla sanfasò e a tinchitè tout court e full time? Oppure, per tagliare la testa al toro, correre da Pryapo e farsi somministrare la sua ciolla, praticamente la regina di tutte le minkie dell‟urbe, dell‟orbe e dell‟Olympazzo. Insomma insomma, il kazzo amato dell‟amato amante o il kazzone katholikos di Pryapo o semplicemente kazzi su kazzi scelti a kazzo ma che sappiano fare il kazzo? Insomma insomma insomma, con chi kazzo devo kazzicatummuliari? >> gridava Helena aggirandosi per i corridoi del palazzo reale come una pazza invasata desiderosa solo di essere imminkiata. E ad un certo punto s‟anfilau nella prima stanza ca ci capitau. All‟urbigna. Spirannu però di trovare una minkia da infilarsi nel giusto sito. Non una minkietta ma una signora minkia . Una minkia che sapesse fare la minkia. << Se “minkia tur” è, “minkia tur” deve essere>> pinsò Helena. Era la camera di Eros quella dove era entrata. Entrando interruppe la trummiata del dio dell‟amore con la legittima consorte, la bella e sensuale Psifika. << Coitus interruptus. Kazzo, come so rompere bene i koglioni e ben skassare la minkia>> scherzò Helena ridendo. << Coito finito male, cara la mia rompikoglioni>> rispose Eros inkazzato. << Filazza lassata a mità travagghiu, minkia, se ci ni voli di curaggiu>> aggiunse Psifika che vedeva il piacere finale momentaneamente sfumare. << Chi voi? Tieni problemi concreti d‟amore concreto?>> chiese Eros assai assaissimo professionale. << Tengo problemi di minkia. E minkia che problemi di cicia che tengo. Grossi, grossissimi, ipergrossi, ultragrossi, diciamo anche obesi>>. << E chi minkia addivintasti, ermafrodita?>> chiese quello con tanta ma tanta ironia molto ma molto professionale. << Voglio una minkia, testa di minkia che altro non sei. Voglio una minkia per addolcire la mia sofferente lei>>. E indico la lei in questione. Eros non rispose. << Eros beddu, chi minkia di kazzu di ciolla fazzu? Consolami la parte addolorata, altrimenti m‟ammazzu. Eros, tu si ca si nu beddu e sapiente diu, fai cu mia un bell‟assai kazzicatummuliu>> chiese al dio dell‟amore Helena. Eros la consolò ipso facto. Sotto gli occhi della bella moglie Psifika consenziente. D‟altra parte il suo ruolo istituzionale era quello di consolare chiunque si lamentasse, maskulo o fimmina ca fosse. Poi disse: << Un giorno si dirà: Va dove minkia ti porta il cuore. Ma saranno solo minkiate, balle e fesserie d‟amore. Io oggi ti dico: Va dove ti porta il kunnus o il kulus o la minkia. Vai dove il desiderio del piacere incomincia, finisce e ricomincia. A seconda dei casi. Vai comunque dalla minkia che assai ti appititta, corri a pakkio aperto, perché, a parte la minkia, tutto il resto è aria fritta>>. << Ciao, continuate pure. Io so dove mi porta il kunnus. E anche il resto. Però prima voglio sperimentare. Poi andrò dove mi porta il kunnus. Andrò a recitare la mia “Divina commedia”, a leggere i miei mentula e kunnus “Promessi sposi”, ad interpretare “Il piacere”, a fare il mio ciollesco “Decamerone“ al quadrato, ad anticipare “Giulietta e Romeo”, a comprendere cos‟è “La Gerusalemme liberata”, a vivere il mio scontro con “L‟Orlando furioso”, ed altro ancora farò. Ma non adesso. Adesso sono in tur. In “minkia tur”. E voglio vivere tutta “L‟insostenibile leggerezza della mio essere”, ovvero del mio essere kunnus spilato, kunnus glabro, kunnus glorioso >>. << Vaffankulo Helena, vai a rompere i koglioni a qualche altra persona, anzi, ad una certa persona. Io so che ti piace Paryde. Allura vaffanstikkio, vattilla a fari metteri nello stikkio da Paryde. Lassa il “tur della minkia”, e vai a farti un tur permanente con quella minkia>> dissero Eros e Psifika. E ci ficiro il segno di lu crignu. << Ma la minkia mia, dimmillu chiaru e tunnu, almenu lu stutau lu focu ca ardia na lu to kunnu? >> chiese curioso Eros, a cui, come a tutti i maschi, ci piacia sentirsi dire dalla fimmina ca era tutta ma proprio tutta soddisfatta. << Mancu di na stizza , lu kunnu mi pruri e m‟attizza. Iddu assai m‟impazza e voli tutt‟autra minciazza>> rispose Helena avviandosi verso l‟uscita. << Vox popolo, vox dei, corri da lui e non rompere i koglioni miei. Sai chi ti ricu? Per scordarti Paryde ci voli nu beddu ritu anticu. Ci voli na bedda minciazza veramente assai assai imponente. Prova a spurparti sana sana quella di Pryapo immediatamente>>. << No. Voglio una minkia, solo una minkia, e no una bestia di minkia. Voglio però una minkia. Una minkia assai kazzicatummuliante>> gridò Helena uscendo e accendendosi un nuovo e ben confezionato minkiuni di minkiajuana. Era comunque contenta Helena. Il teatro con Eros era stato uno spettacolo bello. Una bella messa in scena erotica. Un buon kazzicatummuliamiento. Psifika aveva addirittura applaudito. Da attori professionisti la performance dei protagonisti. Erotica senz‟altro la ciolla di Eros. Ma la “Luna“ non era per niente soddisfatta. Continuava a piangere lacrime di dolore e di insoddisfazione. La “Luna“ era di malumore. Titolo plausibile, A letto eroticamente con la ciolla erotica di Eros. Praticamente un esempio di Teatro erotico. In testa però Helena aveva un solo pinsero: <<Che kazzo di kazzo devo fare per risolvere questo problema del kazzo? Il kazzo di Paryde o un kazzo qualsiasi, magari quello di Pryapo:questo è il dilemma>>. Anche Eros e Psifika si addumanu nu beddu minkiuni di minkiajuana. Tanto per fare qualcosa. In attesa di dimenticare l‟imprevisto chiamato Helena. Solo che loro la minkiajuana la chiamavano minkiaerosiana. In onore di Eros. <<Che mentula di ciolla di cicia del kazzo di una minkia devo fare?>> pinsava intanto Helena aggirandosi di nuovo per i corridoi del palazzo reale. E passeggiando, faceva kazzicatummuli teoriche. Ia ideologicamente da un kazzo grosso a una minkia tisa, da un fallo eccellente a un marrugghiu duro, da una mentula eretta a una cicia in armi, da una ciolla allegra a un pupazzo scappellato , pinsannu però di approdare alla fine alla minkia ideale. In pratica, alla minkia di Paryde. Ma intanto ci stava il “minkia tur” da fare, in attesa del traguardo. --Erotico Eros, dammi eroticamente la tua erotizzante ciolla erotica. Erotizzami tutta, o erotico Eros dalla ciolla magicamente erotizzante. O Eros, scatena il mio eros e immergimi nell‟eros dell‟urbe, dell‟orbe e dell‟Olympazzo. O Eros, io non so stare senza kazzo. Lesbia da Munypuzos. --Due tizi originari di Leonthynoy e Karleonthynoy cercarono di valutare il numero delle ciolle “modello Eros” di cui aveva bisogno Helena per dimenticare la ciolla di Paryde. Fecero calcoli su calcoli e orarono anche. Consultarono oracoli e maghi. Lessero pure l‟oroscopo. Il kuloscopo e il minkioscopo. E taliarono assai le stelle. Le contarono e le ricontarono. Ma il conto non tornava mai. Ogni volta un numero diverso, l‟uno sempre il doppio dell‟altro. << Quattro milioni di ciolle “modello Eros” bastano e assupecchiano>> disse il tizio di Karleonthynoy. << Otto milioni di ciolle “modello Eros” è il numero deontologicamente giusto>> replicò il tizio di Leonthynoy. Ma da Palermorum fecero sapere che la valutazione poteva arrivare al massimo a quaranta milioni di ciolle “modello Eros”. Purtroppo un altro tizio perse i documenti e tutto finì a ciolla di babbu specializzato. Ignoravano i suddetti che per il pakkio libero di Helena qualsiasi ciolla valeva zero. Anche quella di Eros. Mentre la ciolla di Paryde valeva più dell‟universo tutto sano sano. Ma loro purtroppo sapevano dare solo i numeri. E numeri a kazzo di paramecio tra l‟altro. La ciolla dell‟amante era per Helena un gioiello divino. Era il diamante dei diamanti. Lo scettro dei scettri. La pietra preziosa per eccellenza. Il monolite dei monoliti. --Quattro milioni.. otto milioni.. quaranta milioni.. senza documentazione che rottura di koglioni. Detto popolare --Per tutto il palazzo reale di Munypuzos risuonò ancora il lacerante e addolorato urlo di Helena che rimaneva sempre più insoddisfatta sia di testa che di fika. Un urlo che ficcandosi nelle orecchie, e non solo in quelle, dava i brividi. E minkia che brividi. Da orripilazione tout court e full time. Era comunque un urlo angosciante, tormentante, torturante, rabbrividente e soprattutto tonitruante. <<Voglio.. una minkia.. una minkia.. una minkia... una minkia.. una minkia... una minkia.. una minkia..>>. Per poi finire con un micidiale : <<Voglio una MINKIA >>. Pure il suo “Baccalaru” urlò un “Baccalaru -tonitruante” urlo assai lapalissiano. <<Voglio una minkiaaaaaa...una minkia che sappia fare la minkiaaaaaa..>>. E non era un lapsus calami o un lapsus linguae. In vino veritas. O meglio, in kunnus veritas. Gutta cavat lapidem, mentula cavat kunnus. Il sogno di Helena, e del suo baccalaru, era quello di gridare in faccia all‟urbe, all‟orbe e all‟Olympazzo tutto: <<Habemus mentula.>> Ma il problema era “Quale mentula?” Una mentula qualsiasi o la mentula di Paryde? “Melius abundare quam deficere” diceva un detto latino latinamente latinissimo. E allora meglio un‟overdose di mentuline, mentule, mentulone e mentulazze per dimenticare la mentulina di Mynkyalao e non pensare alla mentulona di Paryde. << E overdose sia.. con tanti parerghi e senza paralipomeni >> disse Helena. --Chi si contenta gode, ma chi fikka gode di più. Al cuor non si comanda, alla minkia nemmeno. Chi mena per primo mena due volte, chi si la mena gode una volta, ma chi se la fa menare gode di più. Detti popolari --- A curtigghiari c‟erano i tre intellettuali della ciolla che pinsavano già di scrivere rispettivamente, secondo la propria specializzazione, il Poema Helena s‟inphalla il phallo erotico di Eros, il Carmen Helena s‟immentula la mentula erotizzante di Eros, e il romanzo Cent‟anni di minkia tisa di Eros per il pakkio di Helena. Sokratynos Phylologos, il filosofo della minkia, si chiese: << La vita è una, come la minkia, e se non è un piacere vivere e avere una minkia, a che minkia serve avere una minkia se poi non puoi imminkiare manco quella troia di Helena che invece si lascia imminkiare dall‟eroticissima ma poco soddisfacente minkia di Eros mentre io potrei passarle draconianamente e finanche socraticamente, e volendo anche oralmente, la mia tonitruante minkia filosofikamente filosofika? >>. --- << Voglio una minkia e no una bestia di minkia. Voglio una minkia. No, quella di Pryapo no. Voglio una minkia. Adesso ho bisogno di una minkia, ma non so di quale minkia? Ho bisogno di una minkia per kazzicatummuliari come una vera minkia. Voglio solo e soltanto kazzicatummuliare con una minkia >> continuava a gridare la bella sposina. Helena non sapeva se andare da Paryde o dalla prima minkia che capitava dopo quelle di papà Zeus e di Eros. Di andare da Pryapo non se ne parlava completamente. Andare da Paryde voleva dire che era semplicemente innamorata, anche perché Paryde avia si un bell‟uccello ma non era certamente il massimo in fatto di misure. Ma lei avia il kunno innamorato: e l‟amore è capace di far diventare teoricamente un elefante magari una piccola mosca . << Vado a minkia e m‟imminkio sulla prima minkia per cercare di non pensare né alla minkia di Mynkyalao che mi fa schifo né a quella di Paryde che mi appititta. Ma se non troverò soddisfazione, gira e rigira, imminkia prima e imminkia appresso, è da Paryde che porterò il mio sesso. Perché per il mio kunnu chidda è la megghiu minkia di lu munnu>>. --<< Voglio una minkia e no una bestia di minkia. Voglio una minkia, una minkia, una grande minkia. Insomma, se la ciolla maritale è un fallimento, la sposina deve andare direttamente da quella che è la ciolla già sperimentata dell‟amante o iniziare la ricerca della ciolla ideale, sperimentando minkie su minkie e ancora minkie e minkie e poi ancora minkie a iosa, alla sanfasò e a tinchitè tout court e full time? Oppure, per tagliare la testa al toro, correre da Pryapo e farsi somministrare la sua ciolla, praticamente la regina di tutte le minkie dell‟urbe, dell‟orbe e dell‟Olympazzo. Insomma insomma, il kazzo amato dell‟amato amante o il kazzone katholikos di Pryapo o semplicemente kazzi su kazzi scelti a kazzo ma che sappiano fare il kazzo? Insomma insomma insomma, con chi minkia devo kazzicatummuliari?>> gridava ancora la bella Helena. Indecisa com‟era trasiu in una stanza a caso e ci attruvau a lu beddu di Apollo ca si taliava na lu specchiu e recitava: << Specchio delle mie brame, chi è il più bel dio del reame?>> . << Tu sei. Bello e stronz‟anche. E mi vieni pure fratascio>> pinsò Helena. Apollo si la stava sunannu a manu. Altro che cetra, lira o liuto. Lo strumento musicale preferito da Apollo era la sua ciolla. Ma pochi lo sapevamo. Era anche il motivo per cui le sue storie d‟amore finivano male. Sia al femminile che al maschile. Troppo vanesio e narciso. Apollo riusciva anche in quell‟arte erotica che si chiama “Autosukaggio.” Riusciva a contorcersi al punto tale da sukarisi il suo stesso aceddu. << Specchiu delle mie brame, chi è il più bel citrolo del reame?>>. E si mise in posa per riuscire a sukarisilla da sé. Ma quannu fu con la sua stessa koppola in bocca Helena parlò: << Apollo, perché fare tutta quella ginnastica complicatissima quannu in tante e in tanti ti la sucherebbero volentieri?>>. <<Io la voglio essere sukata per amore e non per sesso>> rispose Apollo lassannu l‟impresa intrapresa. << Con amore o senza amore, sempre sukata è>> rispose Helena. << Sarà, ma io mi amo di più rispetto a quanto mi possano amare gli altri>>. << E amati quanto minkia vuoi, ma adesso ascoltami>>. << Helena, chi minkia di minkia vuoi?>>. << Vuoiu consolarmi cu tia. Ficchimilla a mia, e così sia? Fratasciu e puru diu, fammi nu beddu kazzicatummuliu>>. Apollo non si fece pregare. << Anche se mi vieni sorascia, tu la voi, e io te la metto nella cascia>>. L‟aggeggio era pronto e Apollo l‟usò. E ci la mise. Aggeggiò l‟aggeggio nell‟aggeggiera con una certa soddisfazione sia per l‟aggeggio che per il portaggeggio . In fondo Apollo era uno aperto a tutte le esperienze. Come Eros, anche Apollo sapeva fare il maskulo con le femmine ed entrambe le parti con i mascoli. << Ma la minkia mia, dimmillu chiaru e tunnu, almenu lu stutau lu focu ca ardia na lu to kunnu? >> chiese curioso Apollo, a cui, come a tutti i maschi, anche quelli doppio uso, ci piacia sentirsi dire dalla fimmina ca era tutta ma proprio tutta soddisfatta. << Mancu di na stizza, lu kunnu mi pruri e m‟attizza. Iddu assai m‟impazza e voli tutt‟autra minciazza>> rispose Helena avviandosi verso l‟uscita. << Minkia e kazzo e cicia. Primum vivere, deinde philosophari. Se vuoi la minkia di Paryde, vattilla in un amen a pigliari. Ma sai chi ti ricu? Se voi na minciazza veramenti assai imponente, vatti a spurpari sana sana quella di Pryapo immediatamente>> ripose Apollo con apollinea calma. << Voglio una minkia e no una bestia di minkia. Una minkia che sappia fare la minkia. Voglio una minkia>> gridò per tutta risposta Helena uscendo e addumannisi n‟autru minkiuni di minkiajuana. Era comunque contenta Helena. Ma non la sua “Luna” che continuava a piangere lacrime di stikkio addolorato. Complessivamente con Apollo era stato un buon kazzicatummuliu. Il teatro con Apollo era stato uno spettacolo bello. Una bella messa in scena. Apollinea al mille per mille. Da attori professionisti la performance dei protagonisti. Belli e sensuali com‟erano sarebbero piaciuti a tutti. Titolo plausibile dello spettacolo, A letto con la apollinea ciolla del bell‟ Apollo. Esempio di Teatro del bello. Ma Helena aveva il solito pinsero: <<Che kazzaccio devo fare?>>. Anche Apollo si addumò nu minkiuni di minkiajuana. Ma iddu la chiamava minkiaapolliana. In onore di se stesso. In onore di Apollo il bello. In onore di Apollo il bello e del suo magnifico uccello. <<Che mentula di ciolla di cicia del kazzo di una minkia devo fare?>> pinsava intanto Helena che era ritornata a girare, sempre più insoddisfatta di fika, ma soprattutto di testa, per i corridoi del palazzo reale. E kazzicatummuliava col pinsero in attesa di kazzicatummuliari ancora con un kazzo. In attesa di approdare alla minkia di Paryde. Il traguardo finale del suo “minkia tur”. --Apollineo Apollo, impollami la tua apollinea ciolla nella mia ampolla. Ciolla apollinea , datti da fare come solo tu sai fare. Apollo, fai il maschio tu che sai cosa vuoi da un maschio. Che tu, Apollo, sei bravo anche come femmina. Teofrasto. --- Due tizi originari di Leonthynoy e Karleonthynoy cercarono di valutare il numero delle ciolle “modello Apollo” di cui aveva bisogno Helena per dimenticare la ciolla di Paryde. << Quattro milioni di ciolle “modello Apollo”. Quattro milioni di ciolle apollinee. Quattro milioni di ciolle bellissime>> disse il tizio di Karleonthynoy. << Otto milioni, facciamo otto milioni. Mi pare la dose giusta. La giusta valutazione. Otto milioni di ciolle super bellissime “modello Apollo”>> replicò il tizio di Leonthynoy. Ma da Palermorum fecero sapere che la valutazione poteva arrivare al massimo a quaranta milioni di ciolle “modello Apollo”. Purtroppo un altro tizio perse i documenti e tutto finì a ciolla di paramecio con tanto di meccio. Ignoravano i suddetti che per il pakkio libero di Helena qualsiasi ciolla valeva zero. O meno di zero. Anche quella di Apollo. Mentre la ciolla di Paryde valeva più dell‟universo tutto sano sano. Ma loro purtroppo sapevano dare solo i numeri. Sparare minkiate e controminkiate. Dire kazzate e controkazzate. Kazzeggiare era la loro arte migliore, la loro specializzazione. In questo erano deontologicamente professionali. Loro non sapevano che la ciolla dell‟amante era per Helena lo scettro del comando. O meglio, del piacere. Era il segno dell‟amore totale. Del potere assoluto. Del sesso infinito. Del piacere universale. Del piacere come ricerca e fine di tutto. In fondo il fine giustifica i mezzi. Il piacere giustifica tutto e il contrario di tutto. --Quattro milioni.. otto milioni.. quaranta milioni.. senza documentazione che rottura di koglioni. Detto popolare --Per tutto il palazzo reale risuonò ancora una volta il lacerante e addolorato urlo di Helena che continuava a ricercare la sua minkia ideale. E di minkia in minkia, e di ciolla in ciolla, e di kazzo in kazzo, e di fallo in fallo, e di mentula in mentula, e di cicia in cicia, e di marrugghio in marrugghio, e di verga in verga, e di pene in pene, e di creapopoli in creapopoli, e di piripikkio in piripikkio, e di stuppagghiu in stuppagghiu, e di battagghiu in battagghiu, e di citrolo in citrolo, e di sasizza in sasizza, e di cannila in cannila, codesta donna non sapeva che minkia, o ciolla, o kazzo, o fallo, o mentula, o cicia, o marrugghio, o verga, o pene, o creapopoli, o piripikkio, o stuppagghiu, o battagghiu, o citrolo, o sasizza, o cannila prendere. O meglio, lo sapeva, ma tergiversava. Sapeva cos‟era e dov‟era il buon kazzicatummulio ma cercava altro kazzicatummulio. Sperimentava intanto altra kazzicatummuliazione. Continuava così a gridare il solito urlo tonitruante. <<Voglio.. una minkia.. una minkia.. una minkia... una minkia.. una minkia... una minkia.. una minkia..>>. Per poi finire con un micidiale : <<Voglio una MINKIA >>. Pure il suo “Portuso” urlò un “Portuso -tonitruante” urlo assai lapalissiano. <<Voglio una minkiaaaaaa...una minkia che sappia fare la minkiaaaaaa..>>. E non era un lapsus calami o un lapsus linguae. In vino veritas. O meglio, in kunnus veritas. Gutta cavat lapidem, mentula cavat kunnus. Il sogno di Helena, e del suo portuso, era quello di gridare in faccia all‟urbe, all‟orbe e all‟Olympazzo tutto: <<Habemus mentula>>. Ma il problema era “Quale mentula?” Una mentula qualsiasi o la mentula di Paryde? “Melius abundare quam deficere” diceva un detto latino latinamente latinissimo. E allora meglio un‟overdose di mentuline, mentule, mentulone e mentulazze per dimenticare la mentulina di Mynkyalao e non pensare alla mentulona di Paryde. << E overdose sia.. con tanti parerghi e senza paralipomeni >> disse Helena. --La corda troppo tesa si spezza, la minkia troppo tisa dura di più. Lu sicciu si vinci cu l‟acqua, lu stikkiu cu la ciolla. Detti popolari --A curtigghiari c‟erano i soliti tre intellettuali della ciolla che pinsavano già, non sapendo cosa minkia fare, di scrivere rispettivamente, secondo la propria specializzazione, il Poema Helena s‟inphalla il germano phallo di Apollo il bello, il Carmen Helena s‟immentula la fraterna mentula del bellissimo Apollo, e il romanzo Cent‟anni della fraterna minkia di Apollo per il pakkio di sua sorella Helena. Sokratynos Phylologos, il filosofo della minkia, si chiese: << La vita è una, come la minkia, e se non è un piacere vivere e avere una minkia, a che minkia serve avere una minkia se poi non puoi imminkiare manco quella troia di Helena che invece si lascia imminkiare dall‟amato fratellastro Apollo e dalla sua minkia musicale mentre io potrei passarle draconianamente e finanche socraticamente, e volendo anche oralmente, la mia tonitruante minkia filosofikamente filosofika?>>. --<< Voglio una minkia e no una bestia di minkia. Voglio una minkia. No, quella di Pryapo no. Voglio una minkia. Adesso ho bisogno solo di una minkia, ma non so di quale minkia. Voglio però una minkia per fare kazzicatummuli di minkia >> continuava a gridare la bella sposina. Helena non sapeva se andare da Paryde o dalla prima minkia che capitava dopo quelle di papà Zeus, di Eros e di Apollo. Di andare da Pryapo non se ne parlava completamente. Andare da Paryde voleva dire che era semplicemente innamorata, anche perché Paryde avia si un bell‟uccello ma non era certamente il massimo in fatto di misure. Ma lei avia il kunno innamorato: e l‟amore è capace di far diventare teoricamente un elefante magari una piccola mosca . << Vado a minkia e m‟imminkio sulla prima minkia per cercare di non pensare né alla minkia di Mynkyalao che mi fa schifo né a quella di Paryde che mi appititta. Ma se non troverò soddisfazione, gira e rigira, imminkia prima e imminkia appresso, è da Paryde che porterò il mio sesso. Perché per il mio kunnu chidda è la megghiu minkia di lu munnu>>. --<< Voglio una minkia e no una bestia di minkia. Voglio una minkia e no una bestia di minkia. Voglio una minkia che sappia fare la minkia. Voglio una minkia, una minkia, una grande minkia. Insomma, se la ciolla maritale è un fallimento, la sposina deve andare direttamente da quella che è la ciolla già sperimentata dell‟amante o iniziare la ricerca della ciolla ideale, sperimentando minkie su minkie e ancora minkie e minkie e poi ancora minkie a iosa, alla sanfasò e a tinchitè tout court e full time? Oppure, per tagliare la testa al toro, correre da Pryapo e farsi somministrare la sua ciolla, praticamente la regina di tutte le minkie dell‟urbe, dell‟orbe e dell‟Olympazzo. Insomma insomma, il kazzo amatissimo dell‟amatissimo amante o il kazzone katholikos di Pryapo o semplicemente kazzi su kazzi scelti a kazzo ma che sappiano fare professionalmente il lavoro del kazzo? Insomma insomma insomma, con chi kazzo devo kazzicatummuliari?>> gridava ancora la bella Helena. Allora, tanto per, trasiu nella prima camera da letto ca ci capitau. A caso. Per cercare una minkia e basta. Una ciolla tout court. << Minkia chi cauru>> disse entrando. Ma capì subito chi c‟era in camera. << Chiddu sdisanuratu di mio fratascio Efesto, fratascio da provare. Era dice che lo sfigò senza maschia collaborazione, ma la partenogenesi non esiste né tra gli dei né tra gli uomini. Pertanto, o Zeus o qualche altra minkia lo seminò. Comunque fu non so, ma ufficialmente mi viene fratascio>>. Efesto era nudo ma paria in fiamme. Emanava un calore infernale. E soprattutto la sua minkia paria un tizzone arroventato che trasia e scia da un forno. Efesto stava futtennu. E se era sciancatu di iamma non lo era certamente d‟aceddu. E tra l‟altro stava futtennu cu na specie di pupazza metallica ca paria in tutto e per tutto la bella Aphrodyte. << Efesto, chi minkia fai?>>. << Futtu il simulacro di mia moglie, imminkio la minkia ardente nel kunno ardente del simulacro. La buttana mi mette li corna ma io imminkio il suo simulacro. È di ferro e l‟ho costruito io. Certo, la minkia mia, a causa dell‟attrito, s‟infiamma un pochettino, ma io però godo alla sanfasò. La minkia si arroventa, poi mi arrovento io e alla fine mi si arroventa il ciriveddu. Allora godo e mi sentu sulu e soltanto aceddu>>. << Perchè imminkiare ancora la minkia dentro il pupazzo quando ci son qua io pronta per soddisfare il tuo kazzo? Si fratasciu e pure diu, fammi a mia un bel kazzicatummuliu>>. Efesto continuò a fottere il simulacro. << Efesto caro e beddu, fammi la festa, e passami subito quella minkia lesta lesta >> propose la bella Helena. << Bihhhh.. ma che minkiata ranni, a quest‟ora, tu che sei la sposina, a quest‟ora tu, con Mynkyalao, dovresti fottere a minkia cina>>. << Efesto, non fare lo stronzo e lo scemo. Se la minkia non funziona, il fotter vien meno. Vieni a fikkare cu mia e futtitinni del simulacro. E così sia>>. << Certo che sei mia sorascia, ma se proprio vuoi, io ti la ficco na la cascia>>. Ed Efesto fece. Dopo aver raffreddato la ciolla con tanta ma tanta acqua. << Minkia, ancora caura è la tua minkia>> disse Helena. Ma Efesto, una volta dintra, disse: << Minkia, la koppola della minkia mi scottai. Là dentro arde un fuoco portentoso assai assai>>. Comunque il trasi e nesci arrivò alla sua naturale fine. Una fine assai assaissimo calda. Toppo calda. Da squagliare ciolla e portaciolla. << Ma la minkia mia, dimmillu chiaru e tunnu, almenu lu stutau lu focu ca ardia na lu to kunnu? >> chiese curioso Efesto, a cui, come a tutti i maschi, ci piacia sentirsi dire dalla fimmina ca era tutta ma proprio tutta soddisfatta. << Mancu di na stizza, lu kunnu mi pruri e m‟attizza. Iddu assai m‟impazza e voli tutt‟autra minciazza>> rispose Helena avviandosi verso l‟uscita. << Sai chi ti ricu? Se voi na minciazza veramenti assai imponente, vatti a spurpari sana sana quella di Pryapo immediatamente. Ma se nun ti va di pigliarti quella minkia bestiale, io ti fazzu un simulacro di minkia, di minkia ideale. O meglio, un simulacro sano sano ti fazzu, del tuo bel Paryde, e con tanto di gran kazzu. “Mala tempa currunt” pi la to bedda filazza. Ma cu lu me pupu sarà sempre festa pazza>>. << No...ma però.. boh.. no.. ma però.. che minkia ne so.. lu simulacro di Paryde sì.. lu simulacro di Paryde no..>>. << Aspetta ca ti lu fazzu lu beddu pupazzu>>. E preso un manichino preesistente ci fici in un amen la faccia di Paryde. << Ci assomiglia? Pari iddu di faccia? O no?>> chiese Efesto. << Sì, ma senza ciolla che kazzo di minkia me ne fo>>. << Aspetta. Non correre, che la minkia arriva na secunnu. Basta fare la scelta. Kazzu longu, curtu quadrato o tunnu?>>. Efesto rapiu n‟armadio chinu di kazzi finti. Una kazzoteca davvero impressionante, un minkioteca di minkie di tutte le forme e misure e colori. << Scegliti la misura di Paryde, tu ca la canusci. Oppure, scegliti semplicemente la misura ca ti appititta. Qua ci sta di tutto e di più. Ci sta sì la miniminkia, ma c‟è anche il maxikazzo>>. Helena taliò curiosa. <<Tutto il repertorio delle umane e divine minkie sta in questo campionario>>. Helena alla fine scelse il massimo disponibile. << Kazzu.. accussì la teni Paryde. E chi minkia è, fratello gemello di Pryapo?>>. << No, ma mi piacissi ca accussì l‟avissi>>. Efesto comunque mise al pupazzo con la faccia di Paryde la ciolla finta scelta da Helena. << Se vuoi farti un bel giro di finta ciolla, monta a cavallo e non fare la stolla. Questo è un marchingegno divino, per dio. Divino perché, modestamente, l‟ho costruito io. E divino per le belle sensazioni che duna. Se vuoi accavallati e buona .. buona fortuna>>. Helena taliau il Paryde assemblato da Efesto e ci parse un Parydestain, un mostro mostruosamente mostruoso. Una cosa che il solo taliarla facia venire il rovescio anche ai forti di panza, bocca e kulo. Era un mostro con una minkia mostruosa. << Mancu pi la minkia e pi lu kazzu, vade retro tu e chissa minkia di pupazzu. No, non mi piace. Io voglio una minkia e no una bestia di minkia. E manco un simulacro di minkia. O il simulacro di Paryde sano sano. Solo una minkia voglio. Voglio solo una minkia che mi kazzicatummulia alla sanfasò>> gridò per tutta risposta Helena uscendo e addumannisi n‟autru minkiuni di minkiajuana. Era comunque contenta Helena. Era stato un bel kazzicatummuliu. Il teatro con Efesto era stato uno spettacolo quasi pirotecnico. Una bella messa in scena. Da attori professionisti la performance dei protagonisti. Al limite delle scintille. Ma la “Luna“ restava insoddisfatta. Titolo plausibile, A letto con la calda ciolla di Efesto. Esempio classico di Teatro arroventato. Ma in testa Helena aveva il solito tormentante pinsero: <<Che kazzo devo fare per risolvere i miei problemi di kazzo?>> Anche Efesto si addumò nu minkiuni di minkiajuana. Sulu ca iddu la chiamava minkiaefestiana. <<Che mentula di ciolla di cicia del kazzo di una minkia devo fare?>> pinsava intanto Helena aggirandosi nuovamente per i corridoi monumentali del monumentale palazzo reale di Agamynkyone e Mynkyalao. E kazzicatummuliava ideologicamente in attesa di kazzicatummuliari veramente. Con una vera, giusta, onesta ed efficiente minkia. Ma sempre in attesa di finire sulla minkia di Paryde. Quello era il naturale traguardo del suo “minkia tur”. --Efesto, minkia ardente per kunno ardente, abbrucia tutto in un istante. Efesto, infiamma quel che già brucia. Dai fuoco all‟incendio che è in me. Luciano da Munypuzos. --- Due tizi originari di Leonthynoy e Karleonthynoy cercarono di valutare il numero delle ciolle “modello Efesto” di cui aveva bisogno Helena per dimenticare la ciolla di Paryde. << Quattro milioni di ciolle “modello Efesto”. Quattro milioni di ciolle infuocate. Di minkie caure, di kazzi arrosto, di falli abbruciati, di cicie arroventate >> disse il tizio di Karleonthynoy. << Otto milioni, otto milioni di ciolle in fiamme. Di ciolle caldissime. Di ciolle bollenti e anche più>> replicò categorico il tizio di Leonthynoy. Ma da Palermorum fecero sapere che la valutazione poteva arrivare al massimo a quaranta milioni di ciolle “modello Efesto”. Purtroppo un altro tizio perse i documenti e tutto finì a ciolla di scimmia. Ignoravano i suddetti che per il pakkio libero di Helena qualsiasi ciolla valeva zero. Anche quella di Efesto. Mentre la ciolla di Paryde valeva più dell‟universo tutto sano sano. Ma loro purtroppo sapevano dare solo i numeri. La ciolla dell‟amante era per Helena il top delle ciolle. Il toppissimo. --Quattro milioni.. otto milioni.. quaranta milioni.. senza documentazione che rottura di koglioni. Detto popolare --Per tutto il palazzo reale di Munypuzos risuonò nuovamente il lacerante e addoloratissimo urlo di Helena. Addolorata per la fallimentare prestazione di Mynkyalao non aveva trovato ancora degna soddisfazione nel suo tur della minkia o delle minkie. Pertanto il suo era un urlo che usciva sicuramente dalla bocca, ma in realtà paria uscire pure dalla fika. Anzi, usciva pure dalla fika. Un urlo drammatico, insostenibile, incommensurabile, ma soprattutto catastroficamente tonitruante. <<Voglio.. una minkia.. una minkia.. una minkia... una minkia.. una minkia... una minkia.. una minkia..>>. Per poi finire con un micidiale : <<Voglio una MINKIA >>. In realtà codesto urlo usciva anche dalla fika. Dal suo buco spilato. Dalla sua filazza in amore. Dal suo buco mai contento. Dal suo buco che cercava la cosa perfetta. La minkia perfetta. La ciolla ad hoc. La ciolla doc. Pure il suo “Buco spilato” urlò infatti un “Buco spilato -tonitruante” urlo assai lapalissiano. <<Voglio una minkiaaaaaa...una minkia che sappia fare la minkiaaaaaa...>>. E non era un lapsus calami o un lapsus linguae. In vino veritas. O meglio, in kunnus veritas. Gutta cavat lapidem, mentula cavat kunnus. Il sogno di Helena, e del suo “Buco spilato”, era quello di gridare in faccia all‟urbe, all‟orbe e all‟Olympazzo tutto:<< Habemus mentula>>. Ma il problema era “Quale mentula?” Una mentula qualsiasi o la mentula di Paryde? “Melius abundare quam deficere” diceva un detto latino latinamente latinissimo. E allora meglio un‟overdose di mentuline, mentule, mentulone e mentulazze per dimenticare la mentulina di Mynkyalao e non pensare alla mentulona di Paryde. << E overdose sia.. con tanti parerghi e senza paralipomeni >> disse Helena. --Non c‟è pane senza pena, non ce pakkio senza pene. Non ce buttigghia senza stuppagghiu, nun ce stikkiu senza marrugghiu. Nun c‟è kulu ca nun kaka, nun c‟è ciolla ca nun veni. Detti popolari --- A curtigghiari c‟erano i tre intellettuali della ciolla che pinsavano già di scrivere rispettivamente, secondo la propria specializzazione, il Poema Helena s‟inphalla il phallo arroventato di Efesto e rifiuta il simulacro di Paryde come regalo, il Carmen Helena s‟immentula la mentula ardente di Efesto rifiutando di Paryde il simulacro, e il romanzo Cent‟anni di l‟addumata minkia di Efesto per il pakkio ardente di Helena ca rifiuta l‟‟idea della costruzione di un pupazzo con la faccia e la minkia di Paryde. Sokratynos Phylologos, il filosofo della minkia, si chiese: << La vita è una, come la minkia, e se non è un piacere vivere e avere una minkia, a che minkia serve avere una minkia se poi non puoi imminkiare manco quella troia di Helena che invece si lascia imminkiare dall‟amato fratascio Efesto e dalla sua minkia arroventata mentre io potrei passarle draconianamente e finanche socraticamente, e volendo anche oralmente, la mia tonitruante minkia filosofikamente filosofika? >>. --<< Voglio una minkia e no una bestia di minkia. Voglio una minkia e no una bestia di minkia. Una minkia che sappia fare la minkia. Voglio una minkia, una minkia, una grande minkia. Una minkia che sappia kazzicatummuliari tout court e full time >> litaniava gridando la sposa novella. Era una litania di dolore e di piacere. Era insomma una cosa da pazzi. Helena non sapeva se andare da Paryde o dalla prima minkia che capitava dopo quelle di Zeus, Eros, Apollo ed Efesto. Di andare da Pryapo non se ne parlava completamente. Andare da Paryde voleva dire che era semplicemente innamorata, anche perché Paryde avia si un bell‟uccello ma non era certamente il massimo in fatto di misure. Ma lei avia il kunno innamorato: e l‟amore è capace di far diventare teoricamente un elefante magari una piccola mosca. << Vado a minkia e m‟imminkio sulla prima minkia per cercare di non pensare né alla minkia di Mynkyalao che mi fa schifo né a quella di Paryde che mi appititta. Ma se non troverò soddisfazione, gira e rigira, imminkia prima e imminkia appresso, è da Paryde che porterò il mio sesso. Perché per il mio kunnu chidda è la megghiu minkia di lu munnu>>. --- << Voglio una minkia e no una bestia di minkia. Voglio una minkia e no una bestia di minkia. Una minkia che sappia fare la minkia. Voglio una minkia, una minkia, una grande minkia. Insomma, se la ciolla maritale è un fallimento, la sposina deve andare direttamente da quella che è la ciolla già sperimentata dell‟amante o iniziare la ricerca della ciolla ideale, sperimentando minkie su minkie e ancora minkie e minkie e poi ancora minkie a iosa, alla sanfasò e a tinchitè tout court e full time? Oppure, per tagliare la testa al toro, correre da Pryapo e farsi somministrare la sua ciolla, praticamente la regina di tutte le minkie dell‟urbe, dell‟orbe e dell‟Olympazzo. Insomma insomma, il kazzo amatissimo dell‟amatissimo amante o il kazzone katholikos di Pryapo o semplicemente kazzi su kazzi scelti a kazzo ma che sappiano fare professionalmente il lavoro del kazzo? Insomma insomma insomma, con chi kazzo devo kazzicatummuliari? Quale minkia mi dovrà kazzicatummuliari?>>gridava ora piano ora forte ma quasi litaniando Helena. E trasiu nella prima camera che ci capitò ancora alla disperata ricerca della minkia giusta per scopare e basta. Il ”minkia tur” non aveva un circuito prestabilito. Era affidato al caso, al destino. Le tappe erano casuali. Le minkie a sorpresa. Quasi una corsa ad ostacoli. E le minkie occasionali erano gli ostacoli. Voleva idda andare dall‟amato Paryde ma voleva anche salvare il matrimonio. Voleva salvare capra e cavoli. Voleva essere regina e moglie onorata di Mynkyalao e amante felice e soddisfatta del bel principe Paryde. Adesso però voleva solo scopare alla sanfasò. E in quella camera attruvau Ares, il potente dio della guerra. Dal marito cornuto di Aphrodyte era passata all‟amante storico ma anche lui cornuto della stessa. Era in lotta con il suo sesso. Armato di tutto punto nella parte superiore del corpo e con tanto di elmo sulla testa lottava manualmente con la sua ciolla armata solo di pititto una battaglia senza fine. << Minkia e kazzu. N‟autra minkia di fratascio beddu. Kazzu e minkia, n‟autru fratasciu cu tantu d‟aceddu>> pinsò Helena. << Giavellotto mio, ti spezzo e ti lancio na nu kunnu. Nel kunno chiù bellissimu di stu minkia di munnu. Hai fikkato e fottuto, trummiato, inkunnato e scopato. Però tu, caro mio, stai ancora tutto beddu arrapato. Lu sacciu, kazzu miu. Tu vorresti di Aphrodyte la fika. Perché quella è la tua segreta e bella passione antica. Chissà adesso unni minkia è? Unni ora Aphrodyte sta? E chissà cu minkia la minkia na lu stikkiu spilatu ci dà? Chissà chi minkia dice la sua spilata e bedda fika divina? Chissà cu minkia ci la fikka a minkia tisa e cina?>>. << Ares, lassa stare la buttana universale. Ci sono io che te la posso spezzare. Cu li manu, lu kulu, la ucca o lu sticciu. Luvaminillu stu kazzu di capricciu. Nun sugnu la dia cu la fregna antica. Ma la tiegnu senza pila pure io la fika>>. << Cara soru, ca tieni lu stikkiu preziosu comu l‟oru, nun mi pare il caso che io ti passi lu me tesoru. Mi pare na cosa assai di brutta malacreanza mittiriccilla a ma soru na lu suttapanza>>. << Futtitinni sanu sanu, si me fratasciu e puru diu, fammi a iosa nu beddu kazzicatummuliu>>. E così dicendo ci ammusciu la bedda fika spilata. Ares taliò, ritaliò e controtaliò. < <Minkia , quant‟è bedda>> pinsò. Taliò ancora e poi ancora taliò.<< Minkia, quant‟è biddazza>> pinsò. << Minkia, pari chidda da buttana di mo mugghieri, kazzu, nun c‟è mancu na minkia di pilu peri peri>> esclamò Ares. Che a quella visione si convinse subito, e dopo essersi tolto tutto subito, si mise subito tutto a disposizione della bella Helena. Ma a quella interessava la lancia, il giavellotto, la freccia, la spada dell‟amore. O meglio, del sesso. E fu piacevol machia. << Ti la misi na la cascia anche se sei la mia brava e bella sorascia>> disse Ares. << Minkiate, tutte minkiate. Le ciolle tise devono essere accontentate. >>. << Ma dimmi, dimmi se la minkia mia, dimmillu chiaru e tunnu, almenu lu stutau lu focu ca ardia na lu to kunnu? >> chiese curioso Ares , a cui, come a tutti i maschi, ci piacia sentirsi dire dalla fimmina ca era tutta ma proprio tutta soddisfatta. << Mancu di na stizza , lu kunnu mi pruri e m‟attizza. Iddu assai m‟impazza e voli tutt‟autra minciazza>> rispose Helena avviandosi verso l‟uscita. << “Spes ultima dea”.. mentula ultima dea.. minkia chi minkiata. A tia nun servi na minkia ma na minkia ranni e specializzata. Ma sai chi ti ricu? Se voi na minciazza veramenti assai imponente, vatti a spurpari sana sana quella di Pryapo immediatamente>>. << Voglio una minkia e no una bestia di minkia. E manco un simulacro di minkia. Voglio però una minkia>> gridò lei per tutta risposta addumannisi n‟autru minkiuni di minkiajuana. Era comunque contenta Helena. Ne era venuto fuori un bel kazzicatummulio. Il teatro con Ares era stato uno spettacolo bello. Una bella messa in scena. Quasi una piacevol machia. Una battaglia d‟amore. Una lotta per il piacere supremo, per l‟estasi da ciolla in kunno. Da attori professionisti la performance dei protagonisti. Con lei aperta di kunno e lui di lancia carnosa armato. Lei pronta a ricevere, lui a dare. Lui che cercava di infilzarla, e la infilzava, e lei che facia finta di lottare per non lasciarsi infilzare, e invece era pronta a farsi infilzare. Ma la “Luna“ non era per niente contenta. Titolo plausibile, A letto con la ciolla lanceolata di Ares. Esempio esemplare di Teatro combattente. Ma in testa pinsava alla solita domanda: <<Che kazzone devo fare?>>. Anche Ares si addumò nu minkiuni di minkiajuana. Paria un giavellotto o una lancia, tanto era ranni e longu. Sulu ca iddu questa erba la chiamava minkiaaresiana. Ogni dio dopotutto avia la sua erba. <<Che mentula di ciolla di cicia del kazzo di una minkia devo fare?>> pinsava intanto Helena rifirriando per i corridoi del maritale e cognatesco palazzo. E intanto col pensiero kazzicatummuliava di kazzo in kazzo, nell‟attesa di kazzicatummuliare realmente su qualche kazzo. Ma sempre in attesa del kazzo amato dell‟amatissimo Paryde. << Stu kazzu di “minkia tur” quante tappe prevede? E quanti sono gli ostacoli da superare per arrivare al traguardo finale? Quante minkie mi separano dalla minkia di Paryde?>>si chiese Helena. --Ciolla armata di Ares, lotta e vinci. Che la vittoria facil è se lei già la ciolla addesidera. Senofonte da Munypuzos. --Due tizi originari di Leonthynoy e Karleonthynoy cercarono di valutare il numero delle ciolle “modello Ares” di cui aveva bisogno Helena per dimenticare la ciolla di Paryde. << Quattro milioni di ciolle “modello Ares”. Quattro milioni sono la “condizione necessaria e sufficiente”. Quattro milioni di minkie armate di tutto punto. Quattro milioni di ciolle con tanto di elmo rosso e lancia tisa. Un esercito di quattro milioni di kazzi>> disse il tizio di Karleonthynoy. << Otto milioni. Otto milioni è la cifra esatta. Per il resto concordo, caro collega. Io penso già a un esercito di otto milioni di minkie tise. Minkia, che esercito di minkie>> replicò il tizio di Leonthynoy. Ma da Palermorum fecero sapere che la valutazione poteva arrivare al massimo a quaranta milioni di ciolle “modello Ares”. Purtroppo un altro tizio perse i documenti e tutto finì a ciolla di coniglio. Ignoravano i suddetti che per il pakkio libero di Helena qualsiasi ciolla valeva zero. Anche quella di Ares. Mentre la ciolla di Paryde valeva più dell‟universo tutto sano sano. Ma loro purtroppo sapevano dare solo i numeri. La ciolla dell‟amante era per Helena il giavellotto dei giavellotti. La lancia delle lance. L‟arma segreta delle armi segrete. --Quattro milioni.. otto milioni.. quaranta milioni.. senza documentazione che rottura di koglioni. Detto popolare --- Per tutto il palazzo reale, e forse non solo in quello, risuonò ancora una volta il consueto urlo. Il lacerante e addolorato urlo di Helena, la femmina che cercava la sua minkia ideale. Un urlo micidialmente tonitruante. <<Voglio.. una minkia.. una minkia.. una minkia... una minkia.. una minkia... una minkia.. una minkia..>>. Per poi finire con un micidiale : <<Voglio una MINKIA >>. Pure la sua “Spaccazza” urlò uno “Spaccazza -tonitruante” urlo assai lapalissiano. <<Voglio una minkiaaaaaa...una minkia che sappia fare la minkiaaaaaa...>>. E non era un lapsus calami o un lapsus linguae. In vino veritas. O meglio, in kunnus veritas. Gutta cavat lapidem, mentula cavat kunnus. Il sogno di Helena, e della sua “Spaccazza”, era quello di gridare in faccia all‟urbe, all‟orbe e all‟Olympazzo tutto:<<Habemus mentula>>. Ma il problema era “Quale mentula?” Una mentula qualsiasi o la mentula di Paryde? “Melius abundare quam deficere” diceva un detto latino latinamente latinissimo. E allora meglio un‟overdose di mentuline, mentule, mentulone e mentulazze per dimenticare la mentulina di Mynkyalao e non pensare alla mentulona di Paryde. << E overdose sia.. con tanti parerghi e senza paralipomeni >> disse Helena. --Tra moglie e marito non mettere il dito. Basta la minkia. Ma che sia migliore di quella del marito. Detto popolare --- A curtigghiari c‟erano i tre intellettuali della ciolla. Non sapevano fare altro. Scansafatiche e parolai erano. Solo quello erano. Infatti pinsavano già di scrivere rispettivamente, secondo la propria specializzazione, il Poema Helena s‟inphalla il phallo armato di Ares, il Carmen Helena s‟immentula la mentula armata di Ares, e il romanzo Cent‟anni della minkia armata di Ares per il pakkio disarmato di Helena. Sokratynos Phylologos, il filosofo della minkia, si chiese: << La vita è una, come la minkia, e se non è un piacere vivere e avere una minkia, a che minkia serve avere una minkia se poi non puoi imminkiare manco quella troia di Helena che invece si lascia imminkiare dal fratascio Ares e dalla sua minkia armata mentre io potrei passarle draconianamente e finanche socraticamente, e volendo anche oralmente, la mia tonitruante minkia filosofikamente filosofika? >>. --<< Voglio una minkia, una minkia voglio. Voglio una minkia e no una bestia di minkia. E manco un simulacro di minkia. Voglio una minkia esperta nel kazzicatummulio>> gridava ancora e ossessivamente la sposina . Helena non sapeva se andare da Paryde o dalla prima minkia che capitava dopo quelle di Zeus, Eros, Apollo, Efesto e Ares. Di andare da Pryapo non se ne parlava completamente. Andare da Paryde voleva dire che era semplicemente innamorata, anche perché Paryde avia si un bell‟uccello ma non era certamente il massimo in fatto di misure. Ma lei avia il kunno innamorato: e l‟amore è capace di far diventare teoricamente un elefante magari una piccola mosca. << Vado a minkia e m‟imminkio sulla prima minkia per cercare di non pensare né alla minkia di Mynkyalao che mi fa schifo né a quella di Paryde che mi appititta. Ma se non troverò soddisfazione, gira e rigira, imminkia prima e imminkia appresso, è da Paryde che porterò il mio sesso. Perché per il mio kunnu chidda è la megghiu minkia di lu munnu>>. --<< Voglio una minkia e no una bestiaccia di minkia. Voglio una minkia e no una bestiona di minkia. Una minkia che sappia fare la minkia. Voglio una minkia, una minkia, una grande minkia. Una minkia assai kazzicatummuliante. Insomma, se la ciolla maritale è un fallimento, la sposina deve andare direttamente da quella che è la ciolla già sperimentata dell‟amante o iniziare la ricerca della ciolla ideale, sperimentando minkie su minkie e ancora minkie e minkie e poi ancora minkie a iosa, alla sanfasò e a tinchitè tout court e full time? Oppure, per tagliare la testa al toro, correre da Pryapo e farsi somministrare la sua ciolla, praticamente la regina di tutte le minkie dell‟urbe, dell‟orbe e dell‟Olympazzo. Insomma insomma, il kazzo amatissimo dell‟amatissimo amante o il kazzone katholikos di Pryapo o semplicemente kazzi su kazzi scelti a kazzo ma che sappiano fare professionalmente il lavoro del kazzo? Insomma insomma insomma, con quale kazzo del kazzo io kazzicatummulierò>>gridava ancora e ossessivamente Helena. Trasiu ancora nella prima camera che capitò e trovò n‟autro fratascio, Ermete. Nudo, col suo bel ciollino o pisellino alato, ma anche con tanto di sandali ed elmo alati. Volava stanza stanza e si esibiva nel “Ballo del caduceo”. Era un amore, un amorino forse. Era biddittu e in passato era stato adorato come dio della fertilità. Agli angoli delle strade venivano posti, questa era l‟usanza antica, dei piccoli falli alati. I cosiddetti “falletti”. Poi , l‟arrivo del “fallone“ di Pryapo aveva fatto declinare il suo culto. Volava, come detto, intorno al caduceo ed era eccitatissimo. Per quello che era possibile. Le dimensioni non s‟inventano. Ma le ali lo rendevano fascinoso. Una ciolla volante era una ciolla con qualcosa di più. Una ciolla angelica. << E‟ nicuzzu nicuzzu ma è bidduzzu bidduzzu. Nun lu vinci lu purtusu ma è tantu amurusu. È biddittu assai assai e metti tantu tantu pitittu. E anche se sono sua sorascia lo voglio nella cascia. E poi, secunnu mia, chiddi beddi e duci aliceddi ni fanu na cosa troppu speciali tra li aceddi>> disse piano Helena. Ermete però la sentì. << Chi minkia vuoi? Magari la mia minkietta volanti? La mia minkietta cu l‟ali?>> << E è perchè no. Minkietta sì, ma minkietta assai speciali. Frati beddu, e puru beddu diu, fammi un bel kazzicatummuliu>>: E fu. E nella cascia l‟ebbe. E l‟ebbe con piacere. La cascia non si incia ma quelle ali vibranti le fecero vibrare il pakkio in modo incommensurabile. Ma successe anche un fatto strano. La minkia di Ermete non andava a sangue ma a mercurio, come poi lo chiamarono i romani. E con Helena si eccitò accussì assai che la minkia scoppiò e perse il prezioso metallo liquido che trasformò momentaneamente il pakkio di Helena in un pakkio argentato. Fu chiamato subito Asclepio che s‟arricosi di corsa, lassando la fottuta che si stava facendo a metà. Tinia un serpente al collo ca paria una collana d‟oro vivo. << Chi minkia successi?>> chiese. << Ci scoppio la minkia a mio fratello Ermete. Per colpa mia>>. << Minkia, dobbiamo recuperare il mercurio, altrimenti il pakkio s‟intossica. E poi intossica le ciolle in visita>>. << E come minkia lo recuperiamo?>> chiese Helena. << Con il mio serpente personale. Prima, con questo strumento, io lo suku dal tuo pakkio e poi, sempre con questo strumento, lo immetto nella ciolla di Ermete>>. Helena capì come l‟avrebbe sukato ma non come l‟avrebbe immesso. Ma non capì che il serpente personale di Asclepio non stava nel collo ma in mezzo alle cosce. Era una minkia speciale, molto flessibile e assai snodabile ma minkiforme come tutte le minkie. Asclepio sukò con la sua minkia aspirante, e poi immise, con la stessa, tutto nella bocca di Ermete, che poverino dovette sukare. Da qui il mercurio andò nella panza, poi passò nel sangue e da lì finì nei reni e quindi nella vescica e da quest‟ultima passò nella minkia. Così la ciolla riprese a rifunzionare. << Minkia chi mirakulu della minkia>> dissero Ermete ed Helena. Asclepio poi volle in kulo la ciolla di Ermete. << E pirchì? >> chiese questi. <<Devo controllare la pressione della ciolla. Il mio buco kulare è un minkia sfigmomanometro. Se la pressione è 760mmHg è tutto a posto. Altrimenti la dobbiamo regolare. Troppo alta rischia di far scoppiare la minkia, troppo bassa vuncia mali>>. La misurazione fu fatta. << Com‟è? >> chiese Ermete. << Altina.. la dobbiamo ridurre>>. << E come minkia si fa?>>. << Attraverso il kulo. Io ti la devo prima fikkare e poi, con la mia ciolla, devo sukare nu tanticchia di pressione>> << Minkia, e se mi la dovevi aumentare?>> chiese curioso Ermete. << Sempre attraverso il kulo, solo che anziché sukare dovevo pompare>>. << Minkia, sempre in kulo la dovevo pigliare. È questo il mio destino. Se di ciolla voglio guarire il kulo devo sacrificare>>. La prestazione medica fu svolta col massimo della deontologia professionale. Asclepio era il meglio del meglio in fatto di medicina classica, moderna e alternativa. E anche in fatto di medicina sperimentale. Asclepio era andrologo, kulologo, pompinologo, minalogo, stikkiologo e tanto altro. << Minkia, chi kazzicatummuliamiento generale>> pinsau Helena. << Ma dimmi, dimmi se la minkia mia, dimmillu chiaru e tunnu, almenu lu stutau lu focu ca ardia na lu to kunnu? >> chiesero curiosi Ermete e Asclepio, perché anche a loro, come a tutti i maschi, ci piacia sentirsi dire dalla fimmina ca era tutta ma proprio tutta soddisfatta. Lo chiesero in contemporanea. Anche se Ermete avia fikkato per piacere e Asclepio per semplice prestazione medica. Ma comunque con tanta deontologia professionale. Lo chiamavano”Dottoremetti- la- minkia - in- tutto”. << Mancu di na stizza, lu kunnu mi pruri e m‟attizza. Iddu assai m‟impazza e voli tutt‟autra minciazza>> rispose Helena avviandosi verso l‟uscita. << “Bellum omnium contra omnes”, questo fa la tua fika bedda. Guerra tra i kazzi per il kazzo che deve trasiri na la to vanedda. E allora sai chi ti ricu? Se voi na minciazza veramenti assai imponente, vatti a spurpari sana sana quella di Pryapo immediatamente>> risposero, sempre in contemporanea, i due. << Voglio una minkia e no una bestia di minkia. E manco un simulacro di minkia. Voglio una minkia>> gridò Helena che era già in corridoio impegnata a sukarisi n‟autru minkiuni di minkiajuana. Era comunque contenta Helena. Ne era venuto fuori un vario ed eterogeneo kazzicatummuliu. Il teatro con Ermete ed Asclepio era stato uno spettacolo bello. Una bella messa in scena. Quasi un balletto aereo con Ermete dalla ciolla alata, quasi un‟operazione chirurgica con la ciolla medicamentosa di Asclepio. Da attori professionisti la performance dei protagonisti. Deontologicamente ineccepibile il comportamento delle ciolle, ma la “Luna“ non era soddisfatta manco nu tanticchia. Titolo plausibile, A letto con due ciolle. Esempio chiarificatore di Teatro doppio. E in testa Helena si addomandava la solita domanda del kazzo: <<Che ciolla devo fare?>>. Anche Ermete ed Asclepio si erano addumati nu beddu minkiuni di minkiajuana. Ma Ermete la chiamava minkiaermetiana e Asclepio minkiaasclepiana. Il culto della personalità tra gli dei è naturale. Spesso lo è anche tra gli uomini. E c‟erano tanti detti in proposito. Uno è questo: “Basta na botta na la tistidda e puri lu babbu si criri Zeus cu lu cuppulidda”. <<Che mentula di ciolla di cicia del kazzo di una minkia devo fare?>> pinsava intanto Helena che ancora una volta firriava a vuoto, o a minkia, per i corridoi del palazzo reale. Però pinsava al kazzicatummulio in generale. E soprattutto al kazzicatummulio finale con Paryde. << Minkia, che bello il “minkia tur”, soprattutto se penso al traguardo finale>> pinsò. --Ciolla volatile di Ermete, vola dove tu sai. E con le ali stuzzica le doppie colonne di Ercole. Ciolla medicante di Asclepio, porta cura alla parte malata che tu sai. E con i tuoi medicamenti guariscila. Zenobio --Due tizi originari di Leonthynoy e Karleonthynoy cercarono di valutare il numero delle ciolle “modello Ermete ” e di quelle “modello Asclepio” di cui aveva bisogno Helena per dimenticare la ciolla di Paryde. << Due milioni di ciolle “modello Ermete” e due milioni di ciolle “modello Asclepio” per un totale di quattro milioni di ciolle>> disse il tizio di Karleonthynoy. << Quattro milioni di ciolle “modello Ermete” e quattro milioni di ciolle “modello Asclepio” per un totale di otto milioni di ciolle>> replicò il tizio di Leonthynoy. Ma da Palermorum fecero sapere che la valutazione poteva arrivare al massimo a quaranta milioni di ciolle tra “modello Ermete” e “modello Asclepio”. Purtroppo un altro tizio perse i documenti e tutto finì a ciolla di gallo impotente. Ignoravano i suddetti che per il pakkio libero di Helena qualsiasi ciolla valeva zero. Anche quelle di Ermete e Asclepio. Mentre la ciolla di Paryde, anche se senza ali, valeva più dell‟universo tutto sano sano. Ma loro purtroppo sapevano dare solo i numeri. La ciolla dell‟amante era per Helena la cura delle cure. Ed era capace di volare e far volare anche senza ali di nessun tipo. --Quattro milioni.. otto milioni.. quaranta milioni.. senza documentazione che rottura di koglioni. Detto popolare --Naturalmente per tutto il palazzo reale risuonò per l‟ennesima volta il lacerante e dolorosamente addolorato urlo di Helena. Sempre più ieratico e tonitruante. <<Voglio.. una minkia.. una minkia.. una minkia... una minkia.. una minkia... una minkia.. una minkia..>>. Per poi finire con un micidiale : <<Voglio una MINKIA >>. Pure la sua “Munidda” urlò un “Munidda -tonitruante” urlo assai lapalissiano. <<Voglio una minkiaaaaaa...una minkia che sappia fare la minkiaaaaaa...>>. E non era un lapsus calami o un lapsus linguae. In vino veritas. O meglio, in kunnus veritas. Gutta cavat lapidem, mentula cavat kunnus. Il sogno di Helena, e della sua “Munidda”, era quello di gridare in faccia all‟urbe, all‟orbe e all‟Olympazzo tutto: <<Habemus mentula>>. Ma il problema era “Quale mentula?” Una mentula qualsiasi o la mentula di Paryde? “Melius abundare quam deficere” diceva un detto latino latinamente latinissimo. E allora meglio un‟overdose di mentuline, mentule, mentulone e mentulazze per dimenticare la mentulina di Mynkyalao e non pensare alla mentulona di Paryde. << E overdose sia.. con tanti parerghi e senza paralipomeni >> disse Helena. --- Tutti i fiumi vanno al mare, tutte le fike vanno a minkia. Finché c‟è vita c‟è speranza. Finché c‟è la minkia tisa c‟è speranza di fikkare. Marzo pazzo, come il kazzo. Chi troppo e chi niente, disse una minkia inappetente. Detti popolari --- A curtigghiari c‟erano i tre intellettuali della ciolla che pinsavano già di scrivere rispettivamente, secondo la propria specializzazione, il Poema Helena s‟inphalla il phallo intossicante di Ermete prima e quello disintossicante di Asclepio poi, il Carmen Helena s‟immentula la mentula pisciamercurio di Ermete prima e quella sukamercurio di Asclepio poi, e il romanzo Cent‟anni di minkia al mercurio per il pakkio di Helena e altri cent‟anni di minkia sukamercurio per il medesimo pakkio. Sokratynos , il filosofo della minkia, si chiese: << La vita è una, come la minkia, e se non è un piacere vivere e avere una minkia, a che minkia serve avere una minkia se poi non puoi imminkiare manco quella troia di Helena che invece si lascia imminkiare dall‟amato fratascio Ermete e dalla sua minkia inquinante per poi lasciarsi disinquinare il pakkio dalla minkia disinquinante di Asclepio mentre io potrei passarle draconianamente e finanche socraticamente, e volendo anche oralmente, la mia tonitruante minkia filosofikamente filosofika? >>. --<< Voglio una minkia, voglio una minkia. Voglio una minkia e no una bestia di minkia. E manco un simulacro di minkia. Voglio una minkia che sappia ben kazzicatummuliari >> gridava ancora e ossessivamente la neosposa. Helena non sapeva se andare da Paryde o dalla prima minkia che capitava dopo quelle di Zeus , Eros, Apollo, Efesto, Ares, Ermete e Asclepio . Di andare da Pryapo non se ne parlava completamente. Andare da Paryde voleva dire che era semplicemente innamorata, anche perché Paryde avia si un bell‟uccello ma non era certamente il massimo in fatto di misure. Ma lei avia il kunno innamorato: e l‟amore è capace di far diventare teoricamente un elefante magari una piccola mosca . << Vado a minkia e m‟imminkio sulla prima minkia per cercare di non pensare né alla minkia di Mynkyalao che mi fa schifo né a quella di Paryde che mi appititta. Ma se non troverò soddisfazione , gira e rigira, imminkia prima e imminkia appresso, è da Paryde che porterò il mio sesso. Perché per il mio kunnu chidda è la megghiu minkia di lu munnu>>. --<< Voglio una minkia e no una bestia di minkia. Voglio una minkia e no una bestia di minkia. Una minkia che sappia fare la minkia. Voglio una minkia, una minkia, una grande minkia. Una minkia esperta nel kazzicatummuliu. Insomma, se la ciolla maritale è un fallimento, la sposina deve andare direttamente da quella che è la ciolla già sperimentata dell‟amante o iniziare la ricerca della ciolla ideale, sperimentando minkie su minkie e ancora minkie e minkie e poi ancora minkie a iosa, alla sanfasò e a tinchitè tout court e full time? Oppure, per tagliare la testa al toro, correre da Pryapo e farsi somministrare la sua ciolla, praticamente la regina di tutte le minkie dell‟urbe, dell‟orbe e dell‟Olympazzo. Insomma insomma, il kazzo amatissimo dell‟amatissimo amante o il kazzone katholikos di Pryapo o semplicemente kazzi su kazzi scelti a kazzo ma che sappiano fare professionalmente il lavoro del kazzo? Insomma insomma insomma, con quale kazzo kazzicatummulierò io?>>gridava ancora e sempre più ossessivamente Helena. Pertanto trasiu in una camera a caso. Tanto per continuare il suo “minkia tur”. E minkia chi visti. Due femmine di Sosia armate che facevano un bel sessantanove. <<Minkia, ca la minkia vera e reale nun c‟è. Però c‟è la minkia finta ma mai stanca è>> pinsò. Idda non le riconobbe subito. Poi vide una civetta, un elmo, un‟egida, una lancia, un arco e tante ma proprio tante frecce. Erano due sue sorasce. Artemide, sorella di Apollo e figlia di Zeus, e Pallade Atena , figlia aploide di Zeus. Figlia sol di padre perché dal padre partorita senza usar buco femminino. << Minkia cu sunu, le verginelle buttane ma sukaminkia di Artemide e Pallade. Anzi, più che sukaminkia, sukacitrola. O , specifikando, sukasosia oltre che alliccapakkio. Sono proprio due buttane le mie, in fondo, sorellastre. Non kazzicatummulinu cu li ciolli veri, però kazzicatummulinu alla grande cu li ciolli finti>> pinsò Helena. Infatti visti Artemide e Pallade Atena ca si alliccavanu la filazza e intanto si fottevano con un Sosia. Ma la cosa sorprendente è che Pallade Atena chiamava Zeus il Sosia. Voleva la ciolla paterna la puttana verginella. Artemide invece chiamava il Sosia ora Zeus ora Apollo. Era innamorata della ciolla paterna e di quella fraterna e forse le avrebbe volute entrambe la puttanazza verginella. <<Vergine una minkia, anche se con una minkia artificiale, le signore scopano, e scopano in maniera eccezionale. Fanno le caste e le pure. Fanno le verginelline e le sante. E poi fottono a minkia cina minkie finte seduta stante >> pinsò la sposina delusa. La scena era bella e sorprendente. E lei si la taliò tutta. Fino alla fine. Ma dell‟omosessualità delle due dee si parlava da tempo. Come della bisessualità di Eros o di Apollo. E pure di quella di Zeus che per amore del kulo di Ganimede trascurava il pakkio di Era. O meglio, si chiacchierava. Si spettegolava dei fatti pilusi degli dei. Helena si eccitò assai, e mentre quelli s‟inkunnavano reciprocamente il Sosia, idda s‟inkunnò un dito. E gudiu un attimo dopo quelle due. Le dee sentirono il sospiro e si misero in piedi in un amen. E la videro. << Minkia, la sposina novella ci spia, ci talia, ci osserva, ci guarda. Anziché operar di ciolla vera, l‟opera talia della ciolla finta, la bastarda. Minkia. Non ti abbasta la ciolla minore di Mynkyalao re minore, visto che col tuo ditino medio bello cerchi di fare, diciamo, l‟amore. Vorresti un Sosia ? E di chi? Di Mynkyalao il babbo o di Paryde il bello? Dicci bella, di chi minkia vorresti un Sosia, di quale minkia d‟uccello?>> dissero le dee. Helena stava muta. Muta di ucca e muta di pakkio. << Dimmi, Helenuccia bella, se proprio vuoi una ciolla bedda, tisa e bona, anziché usare un dito, vai da Agamynkyone, che saranno lampi e trona>>. << No>> rispose Helena. << Allora, simulacro per simulacro, sia detto chiaru e tunnu, preparati a pigghiari sti kazzo di Sosia e non solo na lu kunnu>>. << No>> rispose Helena spaventata e circannu di scappare. Ma le dee l‟acchiapparono e fu quel che fu. A tutti parti li Sosia, buon simulacro della minkia per alcune e cattivo per altre, ficiru trasi e nesci. E in contemporanea alla fine l‟ebbe nel vaso ortodosso e in quello eterodosso. Nel vaso canonico e in quello non canonico. Helena si lasciò pigliare dal gioco, e dalla violenza iniziale si passò a poco a poco ad una machia sessuale a tre. Tre femmine di natural filazza dotate e di due falli finti armate. Helena li ebbe ma li mise. Ottenne ma diede. E fu tutto un do ut des. Un trio con sei buchi e due Sosia. << Ma il simulacro della ideale minkia mia, dimmillu chiaru e tunnu, almenu lu stutau lu focu ca ardia na lu to kunnu? >> chiese curiosa Artemide, anche a nome della compagna, perché, come a tutti i maschi, veri o finti, quindi comprese loro che erano femmine mascolinizzate, ci piacia sentirsi dire dalla vera fimmina ca era tutta ma proprio tutta soddisfatta. Anche se di ciolla finta. << Mancu di na stizza, lu kunnu mi pruri e m‟attizza. Iddu assai m‟impazza e voli tutt‟autra minciazza>> rispose Helena avviandosi verso l‟uscita. << “In cauda venenum” , ma non nella bella coda finta certamente. Per il nostro piacere noi usiamo la coda finta e non quella della gente. È anonima, sempre disponibile, non ingravida e mancu curtigghia. La minkia finta è capaci di fikkari in sekula sekulorummu e così sia. I masculi più che scopare e altro, amano vantarsi e raccontare a tinchitè. “Iu ci l‟haiu misa a chissa e a chidda” dicono. Ma la minkia orba è. La minkia, ad essere sincere, si dovrebbe solo usare. Usarla e tacere. Invece e tutto un chiacchiericcio. Parlarne forse duna loro chiù piacere. Li masculiddi, beati iddi, si sentono tutti la prima minkia di lu munnu, anche quannu nun sanu mancu chi minkia è chidda cosa chiama kunnu. Si sentono tutti minkia, tutti potenti, tutti altamente soddisfacenti, anche quando tra le gambe non hanno una minkia di kazzo di nenti. Poverini, non sanno che le donne sono quasi sempre scontente. Purtroppo la minkia non sempre sa fare la minkia veramente. Ma li masculiddi, quannu parrunu del loro aceddu, chistu è il bello, lo paragonano a chiddu di Pryapo, che è il massimo dell‟uccello. E allora sai chi ti ricu? Se voi na minciazza veramenti assai imponente, vatti a spurpari sana sana quella di Pryapo immediatamente>>. << No, io voglio solo una ciolla che mi sappia kazzicatummuliari. E adesso ho capito che pure il Sosia questo travaglio lo può fare. Bisogna solo saperlo maneggiare, e non usarlo alla sanfasò. Pertanto grazie della novità. Il Sosia è buono se la minkia non ho>>. Ma appena Helena arrivò davanti alla porta Pallade la chiamò. Ci facia pena quella carusa bedda rimasta senza cicia maritale la notte delle nozze. << E‟ tropp‟assai assaissimo l‟arroganza di lu maskulazzu nel lasciare la notte delle nozze la moglie senza kazzu. Non capiscono sti kazzo di koglioni con la minkia per pendaglio che la fika può sempre, mentre la minkia è spesso un abbaglio>> disse la dea. E intanto tirò fuori da un armadio, una Sosioteca, un Sosia. << Vieni qua, femmina sfortunata e assai assai disgraziata, che già la notte delle nozze senza minkia maritale sei restata. Vieni qua, e pigliati, da parte nostra , questo bel regalino. Un Sosia per tutte le evenienze, per ogni natural bisognino. Non è il Sosia maritale, bensì quello dell‟assai amato amante. E quando lo userai pensa pure al tuo bel Paryde bell‟e aitante. È proprio il Sosia di Paryde. Perché in questa nostra Sosioteca bedda, c‟è il Sosia del kazzo di dei e uomini, c‟è la copia di tutti i loro acedda. Come vedi, è appinnutu a una collana, e quannu sta sutta la tunichedda, batte, tuppulia e ribatte proprio alla porta di la santa vanedda. È una minkia finta ben fatta, né nica né ranni e manco mostruosa, ma bastevol comunque è a riempire il buco e tutto il resto della cosa. È nuovo, è anonimo, è kazzo finto e basta, e soprattutto è sempre duro. Chiamalo come vuoi, e usalo come vuoi, sia in kunno che in kulo. Solo tu sai di chi minkia è cotale minkia finta, di chi sto Sosia è copia. Usalo come minkia ti pare, usalo tout court e full time, usalo con gioia>>. << Grazie>> rispose Helena pigliandosi il regalino e mettendoselo al collo. Il Sosia batteva proprio al punto giusto. Proprio lì. E intanto taliava la Sosioteca restata aperta. Un mare impetuoso di kazzi finti, un‟orgia immemorabile di minkie anonime, una foresta vergine di falli tisi, un oceano immenso di cicie eterogenee, un esercito imponente di ciolle potenti in armi e senz‟armi, un esercito con ciolle generali, ciolle divine, ciolle reali, ciolle caporali, ciolle soldati, ciolle a cavallo e ciolle a piedi, ciolle bianche, nere e colorate, ciolle autoctone e alloctone, ciolle giovani e ciolle vecchie. E poi ancora ciolle e ciolle e ciolle in un mare di minkie e minkie e minkie in un amalgama di kazzi e kazzi e kazzi in un intreccio di falli, mentule, marrugghia, peni, verghe e piripicchi vari tout court e full time. << Dagli un nome, battezzalo questo Sosia di Paryde>> propose Pallade. << “Gioconda”>> rispose Helena estasiata dalla visione di quei sosia infiniti, << Io mi aspettavo Paryde, Pariduccio, Paridetto, Paridone, Pariduccio, Paridekazzaccio...>> replicò Pallade curiosa. << Io invece mi aspettavo Purceddopolys, Purceddopolino, Purceddopolone, Purcedopolazzo, Purcedopolokazzaccio...>> aggiunse Artemide altrettanto curiosa. << E io invece lo chiamo “Gioconda”. Perché io voglio soltanto la “Gioconda”>> rispose Helena. << Ma cu minkia è sta kazzo di “Gioconda“ del kazzo>> chiesero Pallade e Artemide. << E‟ il nome con cui ho battezzato la ..>>. << .. la..>> replicarono quelle a bocca aperta. << .. la minkia di Paryde >>. << Ahhh.. la ciolla di Paryde è “Gioconda”>> dissero Pallade e Artemide ammammacoccolute assai assaissimo. << Ehhhh… la cicia di Paryde è “Gioconda“ assai assaissimo gioconda. È gioconda a iosa, alla sanfasò e finanche a tinchitè>> rispose Helena. << E scommettiamo anche tout court e full time>> replicarono le dee. << Sempre “Gioconda” è>>. << Magari è “Gioconda” quattro milioni di volte. Come minimo quattro milioni di volte>> specificò Pallade Atena. << E perché no otto milioni di volte? Il doppio è meglio della metà>> aggiunse Artemide. << Se è per questo possiamo arrivare anche a quaranta milioni di volte. Ma per me lo è più e più e più del più grande numero possibile e immaginabile. E poi è una minkia sincera, niente a che vedere con le minkie modello Pattuallopolys>>. E risero. E persero il controllo. E ne fecero di tutti i colori. Tre fike e il Sosia di Paryde. Solo il Sosia di Paryde. E fu un gran bel kazzicatummulio. << Voglio una minkia e no una bestia di minkia. Voglio una minkia, una minkia. O forse voglio la “Gioconda”, oppure il Sosia di una minkia o il Sosia della “Gioconda”. Comunque intanto voglio una minkia. Voglio una minkia>> gridò ancora Helena, a cose finite, saltando e ballando con il Sosia che ci batteva proprio lì. A volte addirittura sciddicava tra le cosce, e paria quasi che vulissi trasiri. Sicuramente, in mancanza della collana, quel Sosia s‟avissa fikkatu sempre dintra il portuso. Intanto s‟era addumato n‟autru minkiuni di minkiajuana. Era comunque contenta Helena. Il novello modo di kazzicatummuliare le era piaciuto. Il teatro con Pallade Atena ed Artemide era stato uno spettacolo bello. Una bella messa in scena. Una femmina femmina, due femmine mascoline e due ciolle finte di ottima fattura. Da attori professionisti la performance dei protagonisti. Sia quelli vivi che quelli morti. Ma se le “Lune” delle dee erano felici, la sua era semplicemente insoddisfatta. Titolo plausibile, A letto con due madonne e due ciolle finte. Esempio primario di Teatro lesbo. Ma Helena in testa teneva il solito pinsero fisso:<<Che kazzo di minkia della ciolla devo fare?>>. Anche Pallade Atena e Artemide si erano addumate due bellissimi minkiuna di minkiajuana. Ma iddi la chiamavano minkiapalladiana e minkiaartemidiana. Tanto per. <<Che mentula di ciolla di cicia del kazzo di una minkia devo fare?>> pinsava intanto Helena aggirandosi, stravolta e sconvolta, per i corridoi del palazzo reale. Ma anche travolta dall‟idea di avere ancora tante minkie. Di dover affrontare una marea di minkie. E sentendo il Sosia di Paryde che bussava alla porta del piacere. E in cuor suo, o meglio, in fika sua, pensava di kazzicatummuliari con tutte le minkie dell‟universo. Con tutti i Sosia della Sosioteca ma anche con gli originali. Con tutte sì, ma in attesa di fare e strafare con Paryde. Prima col Sosia, e poi, in sekula sekulorummu, con l‟originale. Quello era e restava il traguardo del suo “minkia tur”. --Artemide e Pallade Atena, le vostre ciolle finte di femmine false, sono migliori delle ciolle vere di tanti uomini solo di forma. Artemide e Pallade Atena, meglio una femmina con ciolla finta che certi maschi inutili dalle ciolle incapaci. Elio sikulo --- Una ciolla finta fa della femmina la migliore amante, perché la femmina conosce i desideri della femmina. E sa come accendere e spegnere il fuoco nel focolare della passione. Pitagora da Munypuzos --- Due tizi originari di Leonthynoy e Karleonthynoy cercarono di valutare il numero delle ciolle finte di cui aveva bisogno Helena per dimenticare la vera e la finta ciolla di Paryde. << Quattro milioni di ciolle finte fatte ad hoc. Tutte identiche, tutte Sosia dello stesso Sosia, tutte modello perfetto, punto per punto, della “Minkia di Paryde” >> disse il tizio di Karleonthynoy. << Otto milioni di ciolle finte ma doc. E non necessariamente tutte simili. Secondo i miei calcoli è possibile una certa eterogeneità. Che se è bello mangiar cose diverse è altrettanto bello fotter con minkie diverse, anche se finte >> replicò il tizio di Leonthynoy. Ma da Palermorum fecero sapere che la valutazione poteva arrivare al massimo a quaranta milioni di ciolle finte. Purtroppo un altro tizio perse i documenti e tutto finì a ciolla di asino koglione. Ignoravano i suddetti che per il pakkio libero di Helena qualsiasi ciolla, vera o finta, valeva zero. Anche se il Sosia di Paryde poteva simulare o sublimare o sostituire la ciolla originale, la minkia vera di Paryde era insostituibile. La “Gioconda” era il miglior Sosia in assoluto. Mentre la ciolla di Paryde valeva più dell‟universo tutto sano sano. Ma loro purtroppo sapevano dare solo i numeri. La ciolla dell‟amante era per Helena il gioiello dei gioielli. --Quattro milioni.. otto milioni.. quaranta milioni.. senza documentazione che rottura di koglioni. Detto popolare --Per tutto il palazzo reale risuonò il solito lacerante e addolorato urlo di Helena, la fika più infelice dell‟universo. Drammaticamente tonitruante come sempre. E dolorosamente doloroso. <<Voglio... una minkia.. una minkia.. una minkia... una minkia.. una minkia... una minkia.. una minkia..>>. Per poi finire con un micidiale : <<Voglio una MINKIA >>. Pure il suo “Portaciolla” urlò un “Portaciolla -tonitruante” urlo assai lapalissiano. <<Voglio una minkiaaaaaa...una minkia che sappia fare la minkiaaaaaa...>>. E non era un lapsus calami o un lapsus linguae. In vino veritas. O meglio, in kunnus veritas. Gutta cavat lapidem, mentula cavat kunnus. Il sogno di Helena, e del suo “Portaciolla”, era quello di gridare in faccia all‟urbe, all‟orbe e all‟Olympazzo tutto: <<Habemus mentula>>. Ma il problema era “Quale mentula?” Una mentula qualsiasi o la mentula di Paryde? “Melius abundare quam deficere” diceva un detto latino latinamente latinissimo. E allora meglio un‟overdose di mentuline, mentule, mentulone e mentulazze per dimenticare la mentulina di Mynkyalao e non pensare alla mentulona di Paryde. << E overdose sia.. con tanti parerghi e senza paralipomeni >> disse Helena. --Non tutte le ciambelle vengono col buco, ma tutte le donne devono avere il buco. Ad ogni kulo il suo purtusu, ad ogni minkia anche. Lu maskulu senza pititto lu kazzu si lu poli fari sulu frittu. La fimmina, magari ca s‟annoia, può fare la fimmina e finanche la troia. La contentezza viene dalle budella, la felicità dalla minkia. Detti popolari --A curtigghiari c‟erano sempre i tre intellettuali della ciolla che pinsavano già di scrivere rispettivamente, secondo la propria specializzazione, il Poema Helena s‟inphalla i Sosia di Artemide e Pallade Atena e riceve in regalo un Sosia che lei battezza “ Gioconda” come l‟augello di Paryde, il Carmen Helena s‟immentula i Sosia di Artemide e Pallade Atena e riceve in dono un Sosia che lei chiama “Gioconda “ come il volatile di Paryde, e il romanzo Cent‟anni dei Sosia di Pallade Atena e Artemide per il pakkio appitittato di Helena che ha anche a disposizione una minkia finta che lei chiama la “ Gioconda” in quanto è il Sosia del kazzo di Paridazzo. Sokratynos, il filosofo della minkia, si chiese: << La vita è una, come la minkia, e se non è un piacere vivere e avere una minkia, a che minkia serve avere una minkia se poi non puoi imminkiare manco quella troia di Helena che invece si lascia imminkiare e inkulare dai Sosia delle sorasce Artemide e Pallade per poi ricambiare con i medesimi Sosia e ricevere infine in regalo un Sosia con cui imminkiarsi nel caso in cui le manchi una minkia mentre in realtà ci sarebbe la mia tonitruante minkia disponibilissima a imminkiarla finanche filosofikamente?>>. --<< Voglio una minkia e no una bestia di minkia. Voglio una minkia, una minkia. O voglio la “Gioconda”, oppure il Sosia di una minkia o il Sosia della “Gioconda“>> gridava esasperata la sposina bella. Lo gridava in faccia al mondo, forse anche all‟universo. Helena non sapeva se andare da Paryde o dalla prima minkia che capitava dopo quelle vere e genuine e reali di Zeus , Eros, Apollo, Efesto, Ares, Ermete e Asclepio e quelle artificiali di Pallade e Artemide, a cui aveva però ricambiato il favore, ricevendo in regalo un Sosia che lei aveva battezzato “Gioconda”. Di andare da Pryapo non se ne parlava completamente. Andare da Paryde voleva dire che era semplicemente innamorata, anche perché Paryde avia si un bell‟uccello ma non era certamente il massimo in fatto di misure. Ma lei avia il kunno innamorato: e l‟amore è capace di far diventare teoricamente un elefante magari una piccola mosca . << Vado a minkia e m‟imminkio sulla prima minkia per cercare di non pensare né alla minkia di Mynkyalao che mi fa schifo né a quella di Paryde che mi appititta. Ma se non troverò soddisfazione, gira e rigira, imminkia prima e imminkia appresso, è da Paryde che porterò il mio sesso. Perché per il mio kunnu chidda è la megghiu minkia di lu munnu>>. --<< Voglio una minkia e no una bestia di minkia. Voglio una minkia, una minkia. O voglio la “Gioconda”, oppure il Sosia di una minkia o il Sosia della “Gioconda”. Voglio una minkia e no una bestiaccia di minkia. Voglio una minkia e no una bestiona di minkia. Una minkia che sappia fare la minkia. Voglio una minkia, una minkia, una grande minkia. Una minkia che sappia kazzicatummuliare. Insomma, se la ciolla maritale è un fallimento, la sposina deve andare direttamente da quella che è la ciolla già sperimentata dell‟amante o iniziare la ricerca della ciolla ideale, sperimentando minkie su minkie e ancora minkie e minkie e poi ancora minkie a iosa, alla sanfasò e a tinchitè tout court e full time? Oppure, per tagliare la testa al toro, correre da Pryapo e farsi somministrare la sua ciolla, praticamente la regina di tutte le minkie dell‟urbe, dell‟orbe e dell‟Olympazzo. Insomma insomma, il kazzo amatissimo dell‟amatissimo amante o il kazzone katholikos di Pryapo o semplicemente kazzi su kazzi scelti a kazzo ma che sappiano fare professionalmente il lavoro del kazzo? Insomma insomma insomma, io voglio solo e soltanto una cosa. Io voglio solo un kazzo, un vero kazzo, un signor kazzo, per kazzicatummuliare a iosa, alla sanfasò e finanche a tinchitè>> gridava esasperata la bella sposina delusa dalla minkia maritale. Esasperata dalla sua minkiesca ricerca trasiu in una nuova camera. Una nuova tappa del suo “minkia tur”. C‟era un bel picciotto che piangeva. Era Ganimede. Bello e nudo e si la stava sunannu a manu in onore del suo amante Zeus. << Ihhhhh.. con chi minkia Zeus mi tradì.. Ihhhhh.. Ihhhhh.. cu quale portaciolla Zeus mi tradì.. Ihhhhh.. Ihhhhh.. cu quale portakazzu Zeus mi tradì.. Ihhhhh.. Ihhhh.. o forse con qualche kazzo o kulo mi tradì.. Ihhhhh..>>. << Non piangere bello, non torturare così il tuo uccello >> << Chi vuoi, cara Helenuccia biddazza tropp‟assai. A tuo papà, io l‟amo chiù d‟ogni cosa e tu lo sai>>. << Ma adesso, a colpi di minkia, consola a mia, bel picciotto. Sai come soffro. Dammi, con la tua cicia, qualche botto. Sei l‟amante assai amato di lu patri miu ranni e beddu. E allura kazzicatummulia na stu stikkiu lu to beddu aceddu>>. << Ma io nun dugnu ciolla, io la minkia la piglio solamente>>. << Ma io sono fimmina e non tengo na minkia di niente>>. E poi io vedo che la tua è tisa, che è pronta a fare la misa>>. << E‟ tisa, che vuoi che ti dica, ma non per la tua fika>>. << Minkiati ranni. Idda è pronta a trasiri a tutti banni. Detto tra noi, in segreto segretorummu, la minkia è orba tutta. Quannu è tisa, idda nun capisci se ci duni broru o pastasciutta. C‟interessa sulu nu purtusu unni fari lu so travagghiu immediatamente, o di maskulu o fimmina, perché in quel momento non capisce niente>>. Helena ci si ittau di supra e s‟impalò. Con tutta la tunica e quell‟aggeggio che ballava sotto la tunica, e che era il Sosia di Paryde. Il Sosia della “Gioconda”. << No...>> gridò Ganimede. Ma era già dentro. E kazzicatummuliava. << No...>> rigridò. Ma era già tutto dentro ed Helena facia forsennatamente su e giù. << E chista cosa chi minkia è?>> chiese il picciotto, che pacifikamente si lasciava cavalcare. Era la sua una fottuta passiva. Una fottuta automatica. Intanto iddu sentiva una cosa strana e fredda ma dalla forma riconoscibilissima. Una cosa minkiforme che ogni volta che lei andava su s‟insinuava tra la sua ciolla e il pakkio di Helena e ogni volta che lei andava giù scivolava via. E il tutto era anche fin troppo piacevole. << Un simulacro di minkia>>. << Ehhhh…..>>. << Un Sosia, una ciolla finta>>. << E di chi è?>> . << Mia. È il “Sosia “ di ..>>. << Di tuo marito, il Sosia di Mynkyalao>>. << No, è dell‟amore mio, del mio amante bello di corpo e d‟uccello>> precisò Helena continuando a cavalcare. << Minkia, minkia, di Paridazzo chista è la copia del kazzo. Fammillu taliari, fammillu vasari, fammillu pruvari>> rispose Ganimede venendo di colpo. << Si chiama “Gioconda”>> puntualizzò Helena contenta. Ganimede iucò con il Sosia. O meglio, con il Sosia della “Gioconda”. Alla fine chiese a Helena: << Fai finta ca si maskuliddu e trasimillu tuttu quantu. Trasimillu prima pianu e poi forti, fammi gudiri tantu>>. Helena ubbidì. << Ma la babba minkia mia, dimmillu chiaru e tunnu, almenu lu stutau lu focu ca ardia na lu to kunnu? >> chiese curioso Ganimede, a cui, come a tutti i maschi, anche se come maschio lui generalmente non operava, ci piacia sentirsi dire dalla fimmina ca era tutta ma proprio tutta soddisfatta. << Mancu di na stizza, lu kunnu mi pruri e m‟attizza. Iddu assai m‟impazza e voli tutt‟autra minciazza>> rispose Helena avviandosi verso l‟uscita. << “De gustibus non est dispuntandum”, ognuno si piglia ciò che l‟appititta. Noi abbiamo fatto un “do ut des, e non è stata certamente aria fritta. Ma sai chi ti ricu? Se voi na minciazza veramenti assai imponente. Vatti a spurpari sana sana quella di Pryapo immediatamente>>. << No. Ma dimmi tu, lu bellu Sosia mio, dimmillu chiaru e sicuru, almenu lu stutau lu focu ranni ca ardia na lu to kulu? >> chiese curiosa Helena, che, pensando come la pensano tutti i maschi, anche se femmina tutta lei era, ci piacia sentirsi dire da un mascolo ca facia la femmina ca era tutto ma proprio tutto soddisfatto. Anche se da una ciolla finta. << Mancu di na stizza, lu kulu mi pruri e m‟attizza. Iddu assai m‟impazza e voli tutt‟autra minciazza>> rispose Ganimede pinsannu a Zeus. Helena usci gridando: << Voglio una minkia, ma non so quale. Voglio una minkia e no una bestia di minkia. Voglio una minkia o voglio la “Gioconda“. Oppure il Sosia di una minkia o il Sosia della “Gioconda“. Intanto voglio una minkia. Voglio una minkia. Una minkia che mi kazzicatummulii assai assaissimo>>. Era comunque contenta Helena. Anche se il picciotto più che altro pigliava, quando dava, dava bene. Era stato nel complesso un discreto esercizio kazzicatummuliativo. Il teatro con Ganimede era stato uno spettacolo bello. Una bella messa in scena. Bellissima lei, bellissimo lui. Bellissimo pure il suo kulo. Da attori professionisti la performance dei protagonisti. Ganimede s‟era impegnato ma la “Luna“ di Helena era scontenta. Titolo plausibile, A letto con la ciolla e col kulo di Ganimede. Praticamente un esempio di Teatro bisex. Ma in testa alla bella Helena ronzava il solito pinsero:<<Che kazzo devo fare?>>. Intanto si stava sukannu n‟autru minkiuni di minkiajuana. E anche Ganimede si era addumatu nu minkiuni di minkiajuana. L‟erba dedicata al suo sommo amore, Zeus. Giove per i latini. <<Che mentula di ciolla di cicia del kazzo di una minkia devo fare?>> pinsava intanto Helena. E intanto che pinsava, firriava. Firriava come una pazza di minkia, o una minkia pazza, per i corridoi del palazzo reale. Che poi, il palazzo reale, da moglie di Mynkyalao, era casa sua. Ma idda firriava e pinsava. Pinsava soprattutto a come incrementare la velocità della kazzicatummuliazione. Per kazzicatummuliare a iosa, alla sanfasò e finanche a tinchitè. Per fare il pieno di kazzi prima della scelta finale. Ovvero, di correre a fika aperta dalla minkia di Paryde. Perchè quello era e restava il traguardo finale del suo “minkia tur”. --Ganimede è tanto bello che piace sia di kulo che d‟uccello. Ganimede è la femmina di Zeus ma anche il maschio di tante femmine. E ogni tanto è pure il maschio di Zeus. Democritino --- Due tizi originari di Leonthynoy e Karleonthynoy cercarono di valutare il numero delle ciolle “modello Ganimede” di cui aveva bisogno Helena per dimenticare la ciolla di Paryde. << Quattro milioni di ciolle “modello Ganimede”. E la ciolla di Ganimede è un modello esclusivo, un modello divino, nel vero senso della parola. Non per niente è cara al caro e sommo Zeus>> disse il tizio di Karleonthynoy. << Otto milioni di ciolle. Divino o no, per me sono otto milioni>> replicò il tizio di Leonthynoy. Ma da Palermorum fecero sapere che la valutazione poteva arrivare al massimo a quaranta milioni di ciolle “modello Ganimede”. Purtroppo un altro tizio perse i documenti e tutto finì a ciolla di stronzo autodidatta. Ignoravano i suddetti che per il pakkio libero di Helena qualsiasi ciolla valeva zero. Anche quella di Ganimede. Mentre la ciolla di Paryde valeva più dell‟universo tutto sano sano. Ma loro purtroppo sapevano dare solo i numeri. La ciolla dell‟amante era per Helena il dardo dei dardi. --Quattro milioni.. otto milioni.. quaranta milioni.. senza documentazione che rottura di koglioni. Detto popolare --- Per tutto il palazzo reale risuonò ancora il sempre più lacerante e sempre più addolorato urlo di Helena. Esasperatamente il solito tonitruante urlo. <<Voglio.. una minkia.. una minkia.. una minkia... una minkia.. una minkia... una minkia.. una minkia..>>. Per poi finire con un micidiale : <<Voglio una MINKIA >>. Pure il suo “Massaru Paulu” urlò un “Massaru Paulu -tonitruante” urlo assai lapalissiano. <<Voglio una minkiaaaaaa...una minkia che sappia fare la minkiaaaaaa...>>. E non era un lapsus calami o un lapsus linguae. In vino veritas. O meglio, in kunnus veritas. Gutta cavat lapidem, mentula cavat kunnus. Il sogno di Helena, e del suo “Massaru Paulu”, era quello di gridare in faccia all‟urbe, all‟orbe e all‟Olympazzo tutto :<<Habemus mentula>>. Ma il problema era “Quale mentula?” Una mentula qualsiasi o la mentula di Paryde? “Melius abundare quam deficere” diceva un detto latino latinamente latinissimo. E allora meglio un‟overdose di mentuline, mentule, mentulone e mentulazze per dimenticare la mentulina di Mynkyalao e non pensare alla mentulona di Paryde. << E overdose sia.. con tanti parerghi e senza paralipomeni >> disse Helena. --Tutti i nodi vengono al pettine, tutte le minkie vengono in kunno. Detto popolare --- A curtigghiari c‟erano i tre intellettuali della ciolla che pinsavano già di scrivere rispettivamente, secondo la propria specializzazione, il Poema Helena s‟inphalla il phallo novello di Ganimede e contraccambia col Sosia di Paryde , il Carmen Helena s‟immentula la mentula sincera di Ganimede e ringrazia somministrando il Sosia di Paryde, e il romanzo Cent‟anni della frisca minkia di Ganimede per il pakkio di Helena che contraccambia mittennici nel kulo la minkia finta di Paryde. Sokratynos, il filosofo della minkia, si chiese: << La vita è una, come la minkia, e se non è un piacere vivere e avere una minkia, a che minkia serve avere una minkia se poi non puoi imminkiare manco quella troia di Helena che invece si lascia imminkiare dalla minkia non tanto esperta di Ganimede a cui somministra anche il Sosia mentre ci sarebbe la mia tonitruante minkia disponibilissima a imminkiarla magari molto ma molto filosofikamente?>>. --- << Voglio una minkia e no una bestia di minkia. Voglio una minkia o voglio la “Gioconda”, Oppure il Sosia di una minkia o il Sosia della “Gioconda”. Voglio una minkia. Ho bisogno di una minkia ma non so di quale minkia>> gridava esasperata la sposina bella. Helena non sapeva se andare da Paryde o dalla prima minkia che capitava dopo quelle vere e genuine e reali di Zeus, Eros, Apollo, Efesto, Ares, Ermete, Asclepio e Ganimede e quelle artificiali di Pallade e Artemide, a cui aveva però ricambiato il favore, ricevendo in regalo un Sosia che lei aveva battezzato “Gioconda”. E la “Gioconda” era andata piacevolmente anche in kulo a Ganimede. Di andare da Pryapo non se ne parlava completamente. Andare da Paryde voleva dire che era semplicemente innamorata, anche perché Paryde avia si un bell‟uccello ma non era certamente il massimo in fatto di misure. Ma lei avia il kunno innamorato: e l‟amore è capace di far diventare teoricamente un elefante magari una piccola mosca << Vado a minkia e m‟imminkio sulla prima minkia per cercare di non pensare né alla minkia di Mynkyalao che mi fa schifo né a quella di Paryde che mi appititta. Ma se non troverò soddisfazione, gira e rigira, imminkia prima e imminkia appresso, è da Paryde che porterò il mio sesso. Perché per il mio kunnu chidda è la megghiu minkia di lu munnu>>. --<< Voglio una minkia e no un simulacro di minkia. Ho bisogno di una minkia ma non so di quale minkia? Voglio una minkia e no una bestiaccia di minkia. Voglio una minkia e no una bestiona di minkia. Una minkia che sappia fare la minkia. Voglio una minkia. Una minkia. Una grande minkia. Una minkia assai kazzicatummuliante. Insomma, se la ciolla maritale è un fallimento, la sposina deve andare direttamente da quella che è la ciolla già sperimentata dell‟amante o iniziare la ricerca della ciolla ideale, sperimentando minkie su minkie e ancora minkie e minkie e poi ancora minkie a iosa, alla sanfasò e a tinchitè tout court e full time? Oppure, per tagliare la testa al toro, correre da Pryapo e farsi somministrare la sua ciolla, praticamente la regina di tutte le minkie dell‟urbe, dell‟orbe e dell‟Olympazzo. Insomma insomma, il kazzo amatissimo dell‟amatissimo amante o il kazzone katholikos di Pryapo o semplicemente kazzi su kazzi scelti a kazzo ma che sappiano fare professionalmente il lavoro del kazzo? Insomma insomma insomma, qual è la minkia giusta per il mio giusto kazzicatummulio? >> gridava piano ma con ritmo Helena. Desiderosa di cercare per trovare e provare, idda trasiu in una nuova camera che era al buio quasi totale. Una nuova tappa del “minkia tur”. Mancu lu tempo di trasiri ca finiu per terra. Di kulo. << Chi minkia di minkia fu? Chi minkia succiriu? Inciampai in qualche minkia d‟eroi o di diu?>> si chiese Helena. << Cu minkia cariu? >> disse una voce. << Helena sugnu. Haihhh.. Minkia di vai. M‟ammaccai lu kulu. Minkia chi scuru. Nun si viri mancu na minkia a dire la verità>>. << Kazzu. Na minkia a dire il vero veramente ci sta>> rispose una voce ignota. << E cu si?>>. << Eolo sugnu. E stavo dormendo e ciusciavo vento, ma con tanto tantissimo amoroso sentimento>>. << Apposta finii col kulo su chista minkia di pavimento. Ciusciasti chiù forte proprio in quel preciso momento>>. << A dirti la cosa con grande sincerità, un pirito fu>>. << Diciamo allora ca.. ca fu ventu di kulu suppergiù>>. Intanto Eolo s‟era alzato dal letto e aveva acceso una cannila bella grossa cu lu cannilinu. La canniledda di la notte praticamente. E con quella fece nu tanticchia di allustru. Di luce praticamente. << Minkia chi panzuni, pari na minkia di palluni. Ma unni kazzu la teni la ciolla, stu cugghiuni?>> pinsò Helena. La carusa conosceva Eolo, ma vederlo vestito era una cosa, vederlo nudo facia impressione. La panza ci arrivava all‟altezza delle ginocchia e li minni a quella del biddico. Di ciolla e palle manco l‟ombra. << Sicuramente sono morte soffocate>> pinsò la bella Helena. << Ma come fai a pisciare? Non si vede manco lu stigghiolu. A minkia unnè? Io non vedo letteralmente una minkia a broru>>. << Kazzi miei. Comunque c‟è, cara rampolla. E io piscio come tutti, piscio con la ciolla>> rispose Eolo. << Ma come minkia fai soprattutto a scopare? A minkia unnè?>>. << Kazzi miei. Comunque fikko. Fikko bene e tanto e a tinchitè>>. << Mi fa piacere pi tia e per la tua ciolla. Io ti credo se dici che c‟è.>>. << Grazie. Grazie assai. Ma tu chi minkia di kazzo vuoi da me?>>. << Kazzi miei. Voglio minkie e minkie, e poi ancora minkie. E che cacchio. Minkie e minkie ancora e ancora minkie per il mio spilato pakkio>>. << Senti bedda, se sei venuta qua, a rompere i koglioni alla minkia mia, proprio la notte delle nozze, vuol dire ca ci su veramente kazzi amari pi tia>> rispose saggiamente Eolo. Ed Helena raccontò tutto. << Mischina. Mischinuna. Mischinedda. Mischinuzza. Mischinazza. La prima notti senza né minkietta, né minkia, né minkiazza>> aggiunse Eolo. << Consolami Eolo, ciusciami nu tanticchia di vento d‟amore. O vento di ciolla. Ghibli, bora o scirocco, ma fai, per favore. Fammi vedere come kazzicatummulì lu kazzu ca nu si viri lì. Fammi provare come l‟obeso sa fare dindirindò e dindirindì>>. Ed Eolo, tirannu fora da quella montagna di grasso l‟armamentario del caso, operò come il caso consolatorio prevedeva. Ma la ricerca prima e la tirata fuori poi, da quel mare di grasso, fu assai assaissimo laboriosa. Ma alla fine vinni fuori la sorpresa. << Minkia. Obeso pure di minkia è. Kazzè e kazzò. Obeso è pure di koglioni. Minkia chi minkia però>> disse Helena. La ciolla di Eolo era corta ma impressionante era il suo diametro. E impressionante era pure il volume dei testicoli. << Tutto mi lu sdillabbria. Ma sdillabbrimillu pure tuttu. Passami lu salami, la sasizza e pur‟anche il prosciutto>> aggiunse Helena. << Comunque, motivi tecnici, non posso fare tutte le posizioni minkiali. Cavalcami allora e annachiti sulla mia ciolla col tuo kunno riali>>. Fu complicato ma fu. Anche perchè in quel mare di grasso la ciolla paria na nanetta. Ma nanetta non era. Era lunga abbastanza. Ma era anche grossissima. Però trasiu con facilità. La fika di Helena era elasticissima. L‟orgasmo fu quasi una tromba d‟aria trombante. Eolo aveva naturalmente sentito pure quello strano aggeggio. Quell‟oggetto minkiforme che si perdeva nel suo grasso. Nelle pieghe della sua mostruosa obesità. E che una volta s‟insinuò pure tra le sua chiappe e ci mancava pikka ca ci trasia in kulo. Pertanto chiese: << Cosa esser quello?>>. << Un finto uccello. Una finta minkia. E‟ il Sosia di Paryde. La “Gioconda”. Lo vuoi provare?>>. Eolo non disse niente. Fece però capire, con uno sguardo strano, che non era interessato alla merce. Poi chiese curioso: << Ma la minkia mia, dimmillu chiaru e tunnu, almenu lu stutau lu focu ca ardia na lu to kunnu? >> . A Eolo, ca puru ca era un mascolo obeso la cui minkia si pirdia in un mare di grasso, come a tutti i maschi, ci piacia sentirsi dire dalla fimmina ca era tutta ma proprio tutta soddisfatta. << Mancu di na stizza, lu kunnu mi pruri e m‟attizza. Iddu assai m‟impazza e voli tutt‟autra minciazza>> rispose Helena avviandosi verso l‟uscita. << “Quod erat demonstrandum”, cara Helena bedda di vanedda, anche gli obesi sanno adoperare con piacere i loro acedda. Ma sai chi ti ricu? Se voi na minciazza veramenti assai imponente. Vatti a spurpari sana sana quella di Pryapo immediatamente>>. << Voglio una minkia e no un simulacro di minkia. E neanche la minkia di un obeso. Ho bisogno solo di una minkia, ma non so di quale minkia? Comunque voglio una minkia. Voglio una minkia. Solo una minkia che mi sappia kazzicatummuliari>> gridò con tutta la sua forza Helena uscendo dalla camera di Eolo. E intanto si era accesa un nuovo e grosso minkiuni. Era comunque contenta la picciotta. Era una cosa nuova per lei fikkare con un obeso, obeso in tutto però. Ne era venuto fuori un grosso kazzicatummulio, poco movimentato ma abbastanza soddisfacente. Il teatro con Eolo era stato uno spettacolo bello. Una bella messa in scena. Un contrasto i loro corpi. Bellissima lei, obesissimo lui. Di ciolla e di tutto. Leggermente complessi i movimenti. Delle volte quasi al rallentatore. Lei cavalcava e lui si faceva cavalcare. Lui immobile, ma lei scatenata. La minkia di Eolo scatenatissima. Da attori professionisti però la performance. Ma la “Luna” non era per niente contenta. Titolo plausibile, A letto con la ciolla ciusciante e obesa di Eolo. Esempio principale di Teatro grasso. Ma nella testa di Helena c‟era la solita ossessiva e ossessionante domanda:<< Che kazzo devo fare?>>. Anche Eolo si era addumatu nu minkiuni particolare di minkiajuana. Un minkiuni obeso come lui. Nu minkiuni che ne valeva cento. E inspirava con la potenza tipica di Eolo. Ed espirava con altrettanta potenza. Ma lui la minkiajuana la chiamava minkiaeoliana. <<Che mentula di ciolla di cicia del kazzo di una minkia devo fare?>> pinsava intanto Helena. E intanto firriava alla ricerca della sua minkia ideale. Pur sapendo che esisteva, e che Paryde ne era il proprietario, lei continuava a cercarla anche in altri uomini. Era il suo un desiderio di fare kazzicatummuli su kazzicatummuli, di sautare di kazzo in kazzo, di ciolla in ciolla, di minkia in minkia, in attesa di sautare sulla sua minkia sua preferita. E idda sapeva in cuor suo, o meglio, in kunnus suo, che la minkia preferita era quella di Paryde. Quello era il traguardo del suo “minkia tur”. --Eolo, minkia ciusciante, ciuscia piacere nel mio pakkio. Sconvolgine le isoipse, le isobare e le isoterme. Ma anche le isominkie, le isokazze e le isociolle. Fanne la sede di una tempesta permanente del piacere. L‟uragano degli uragani, la tromba d‟arie delle trombe d‟aria. Purché a trombare sia una minkia di carne e no una minkia cina d‟aria. Leucippo --Se le minkie unciassero, come le panze, minkia quanto minkia mangerebbero i maskuli. Leucippo Siciliano. --Obesità, che mostruosità. Obesità della ciolla, che fortuna. Astrolabio --Due tizi originari di Leonthynoy e Karleonthynoy cercarono di valutare il numero delle ciolle “modello Eolo” di cui aveva bisogno Helena per dimenticare la ciolla di Paryde. << Quattro milioni di ciolle “modello Eolo”. Quattro milioni di minkie obese>> disse il tizio di Karleonthynoy. << Otto milioni di ciolle, obesissimo però >> replicò il tizio di Leonthynoy. Ma da Palermorum fecero sapere che la valutazione poteva arrivare al massimo a quaranta milioni di ciolle “modello Eolo.” Purtroppo un altro tizio perse i documenti e tutto finì a ciolla di obeso ignorante. Ignoravano i suddetti che per il pakkio libero di Helena qualsiasi ciolla valeva zero. Anche quella di Eolo. Mentre la ciolla di Paryde valeva più dell‟universo tutto sano sano. Ma loro purtroppo sapevano dare solo i numeri. La ciolla dell‟amante era per Helena il vento dei venti. --Quattro milioni.. otto milioni.. quaranta milioni.. senza documentazione che rottura di koglioni. Detto popolare --- Per tutto il palazzo risuonò l‟ormai noto urlo. L‟assai lacerante e l‟assai addolorato urlo di Helena, che nonostante si fosse fatta una dose assai consistente di minkie, ciolle, cicie, kazzi mentule o falli dir si voglia, cercava ancora la minkia ideale. Ma gridava più tonitruante che mai il solito urlo. Il solito ossessionante e terrorifico urlo. <<Voglio.. una minkia.. una minkia.. una minkia.. una minkia.. una minkia... una minkia.. una minkia..>>. Per poi finire con un micidiale : <<Voglio una MINKIA >>. Pure il suo “Nido d‟aceddu” urlò un “Nido d‟aceddu -tonitruante” urlo assai lapalissiano. <<Voglio una minkiaaaaaa...una minkia che sappia fare la minkiaaaaaa..>>. E non era un lapsus calami o un lapsus linguae. In vino veritas. O meglio, in kunnus veritas. Gutta cavat lapidem, mentula cavat kunnus. Il sogno di Helena, e del suo “Nido d‟aceddu”, era quello di gridare in faccia all‟urbe, all‟orbe e all‟Olympazzo tutto: <<Habemus mentula>>. Ma il problema era “Quale mentula?” Una mentula qualsiasi o la mentula di Paryde? “Melius abundare quam deficere” diceva un detto latino latinamente latinissimo. E allora meglio un‟overdose di mentuline, mentule, mentulone e mentulazze per dimenticare la mentulina di Mynkyalao e non pensare alla mentulona di Paryde. << E overdose sia.. con tanti parerghi e senza paralipomeni >> disse Helena. --Buon sangue non mente, la minkia buona neanche. Detto popolare --A curtigghiari c‟erano i tre intellettuali della ciolla che pinsavano già di scrivere rispettivamente, secondo la propria specializzazione, il Poema Helena s‟inphalla il phallo ventoso di Eolo, il Carmen Helena s‟immentula la mentula tempestosa di Eolo, e il romanzo Cent‟anni della minkia sciroccosa di Eolo per il pakkio di Helena. Sokratynos, il filosofo della minkia, si chiese: << La vita è una, come la minkia, e se non è un piacere vivere e avere una minkia, a che minkia serve avere una minkia se poi non puoi imminkiare manco quella troia di Helena che invece si lascia imminkiare dalla minkia obesa di quell‟obeso di Eolo mentre ci sarebbe la mia tonitruante minkia filosofika disponibilissima a imminkiarla draconianamente assai e magari assai ma assai filosofikamente?>>. --<< Voglio una minkia e no una bestia di minkia. Voglio una minkia, una minkia, una signora minkia. Voglio la “Gioconda”, oppure il Sosia di una minkia o il Sosia della “Gioconda“. Una cosa è certa. Io, Helena, voglio e desidero il meglio del meglio tra tutte le minkie dell‟universo. Il meglio in fatto di kazzicatummulio>> gridava esasperata la sposina bella. Helena non sapeva se andare da Paryde o dalla prima minkia che capitava dopo quelle vere e genuine e reali di Zeus, Eros, Apollo, Efesto, Ares, Ermete, Asclepio, Ganimede e Eolo e quelle artificiali di Pallade e Artemide, a cui aveva però ricambiato il favore, ricevendo in regalo un Sosia che lei aveva battezzato “Gioconda”. E la “Gioconda “ era andata piacevolmente anche in kulo a Ganimede. Di andare da Pryapo non se ne parlava completamente. Andare da Paryde voleva dire che era semplicemente innamorata, anche perché Paryde avia si un bell‟uccello ma non era certamente il massimo in fatto di misure. Ma lei avia il kunno innamorato: e l‟amore è capace di far diventare teoricamente un elefante magari una piccola mosca << Vado a minkia e m‟imminkio sulla prima minkia per cercare di non pensare né alla minkia di Mynkyalao che mi fa schifo né a quella di Paryde che mi appititta. Ma se non troverò soddisfazione, gira e rigira, imminkia prima e imminkia appresso, è da Paryde che porterò il mio sesso. Perché per il mio kunnu chidda è la megghiu minkia di lu munnu>>. --<< Voglio una minkia e no una bestia di minkia. Voglio una minkia, una minkia. O voglio la “Gioconda” oppure il Sosia di una minkia o il Sosia della “Gioconda”. Voglio una minkia e no una bestiaccia di minkia. Voglio una minkia e no una bestiona di minkia, una minkia che sappia fare la minkia. Voglio una minkia, una minkia, una grande minkia. Un minkia imperiale che kazzicatummulizzi all‟imperiale. Insomma, se la ciolla maritale è un fallimento, la sposina deve andare direttamente da quella che è la ciolla già sperimentata dell‟amante o iniziare la ricerca della ciolla ideale, sperimentando minkie su minkie e ancora minkie e minkie e poi ancora minkie a iosa, alla sanfasò e a tinchitè tout court e full time? Oppure, per tagliare la testa al toro, correre da Pryapo e farsi somministrare la sua ciolla, praticamente la regina di tutte le minkie dell‟urbe, dell‟orbe e dell‟Olympazzo. Insomma insomma, il kazzo amatissimo dell‟amatissimo amante o il kazzone katholikos di Pryapo o semplicemente kazzi su kazzi scelti a kazzo ma che sappiano fare professionalmente il lavoro del kazzo? Insomma insomma insomma, ci sta una minkia capace di kazzicatummuliarmi tout court e full time?>> continuava a gridare in maniera quasi ossessiva la bella Helena. E appena fu in corridoio, intanto che pensava alla minkia come espressione personifikata della minkia, trasiu a minkia, nella prima minkia di camera ca ci ammattiu. E incontrò, o meglio si scontrò, con quel testa di minkia di Achylle. Bello e nudo, l‟eroe stava andando a pisciare. E cantava: << Ciolla mia, ciolla mia mortale, fammi godere in modo eccezionale >>. << Achylle, immortale a parte la ciolla, dimmi che devo fare io povera stolla?>>. << Livariti subito dai koglioni, che ho da fare. Ho fretta, mi veni con urgenza di pisciare>>. << Achylle, dimmi cosa minkia potrei fare?>>. << Accamarora fammi con gioia pisciare>>. Helena lo seguì fino al pisciatoio. E pigliata in mano la mortal ciolla lo aiutò a pisciare . Ma la ciolla, da buona ciolla, unciò. << Achylle, ma non eri nu minkia di iarruso? Non ti piaceva solo chi minkia tinia il fuso?>>. << Helena bella, io so fare il mascolo con il maschil sedere. E so fare la femmina con gli augelli che ispirommi piacere. Ma se la femmina, e capita, mi smove il ciriveddu, anche pi idda impazza il mio mortale e bell‟aceddu. Ma ricordati ch‟io il mascolo e la femmina posso fare. Tu invece la puoi sol prendere la minkia, ma non dare>>. << Minkiati?>> pinsò Helena sentendosi il Sosia battere all‟ingresso del sito giusto. Intanto Achylle tinia proprio un bel pollo in mezzo alle cosce. Dal lungo collo duro e con tanto di cresta. Se iddu era un eroe, pure il kazzo suo era un eroe. << Ci tiramu lu coddu a sta minkia bedda? La cucinamu dintra la me pignatedda?>>. << Helena, devi sapere che le mani non hanno sesso. Di fimmina o di mascolo iddi vanno bene lo stesso>> sparò Achylle. << Comunque, la tua minkia mi serve. E mi serve tutta sana sana. Che minkia devo fare per averla al più presto nella mia tana?>>. << Fattilla fikkari alla sanfasò da cu minkia o kazzu ti pari, basta ca a mia e a Patroclo ni lassi semplicemente stari>> rispose l‟eroe liberando la sua ciolla dalle mani elenine e rientrando nella sua stanza. Ma idda ci iu appriessu. E lo riacchiappò per il mortal manico. Nel letto c‟era Patroclo bello e nudo. Bellissimo e nudissimo. Bellissimo e di minkia armatissimo. << Vade retro, satanazza, non è per te codesta minkiazza>> disse Patroclo. << Due minkie e entrambe indisponili, non può essere la cosa. Picciotti, voi kazzicatummulierete entrambi cu mia, e a iosa>> pinsò Helena. << Achylle, chi fazzu? Consolami la parte addolora, altrimenti mi ammazzu>>. Achylle taliò Patroclo. Parlarono con gli occhi. Con occhi in amore però. << Chi dici, gioia beddu miu? Ci lu passu lu kazzu iu?>> paria chiedere Achylle. << Fai, tanto cu idda nun su corna e tu lo sai>>. << Ma se la minkia ci la passamu insieme nunn‟è chi bello? Prima in kunno e poi in kulo, sia il mio che il tuo uccello>>. << Bello. Troppo bello. Ci sto. In contemporanea però>>. Forse si dissero ciò. Forse. Sta di fatto che Achylle disse: << Sì, sì. Si poli fari... però.. però anche Patroclo deve partecipare>>. << Va bene, va bene. Anziché un singolo, avrò un doppio pene. Ci guadagno assai assaissimo, la cosa assai mi conviene. Organizziamo subito, seduta stante, la bella facenna, e passatemi immediatamente la vostra ottima strenna>>. E ci la misero tutti e due nel pakkio, in contemporanea. E mentre a tre s‟annacavano, Helena, tanto fici e tantu strafici, ca pigliau il Sosia e di botto ci lu fikkau in kulo ad Achylle. << Minkia, chi fu? Chi facisti? Chi mi dasti? Chi minkia mi fikkasti? Kazzo e minkia e cicia, comu minkia e straminkia mi inkulasti?>>. << Caro minkione, quel che non ho di naturale lo tengo artificiale>>. Lo volle poi pure Patroclo. Lo chiese, lo pretese. << Ma alla domanda “che kazzo devo fare?”, non hai risposto>> addumannò Helena a cose concluse. Ma restando con due tappi nel portuso. << Fikkaci la minkia di Paryde in questo kazzo di posto>>. << Lo farò, lo farò appena possibile, ma non adesso però. Adesso fikkate, che è bello avere due minkie inkunnate. Riempiono meglio e danno di più. Di tutto e tanto. E io voglio godermi tutto sano questo momento santo>> . << Noi però vogliamo finire in kulo e molto presto>> disse Achylle. << In kulo no. In kulo per due kazzi non c‟è posto>> disse preoccupata Helena che continuava però a godersi nella sua vanedda le ciolle in fase di ammosciamento. << Tu ci sei stata nel nostro? Sì. E noi andremo nel tuo, insieme però>>. << Nel kulo no. E in due specialmente. No e poi no. E ancora no. Mi ribello al doppio uccello. Di testa e di kulo mi ribello>>. << Ti ribelli? E chi minkia ci ni futti. Ti ribelli una mazza? Se non sei d‟accordo sarà stupro con doppia minciazza>>. << No, la violenza no>> disse Helena preoccupata e sentendo le ciolle amanti in fase di rinascita. << Tu mica mi l‟hai chiesto il permesso di darmi la ciolla finta nel kulo. Il mio bel Patroclo ti l‟avi chiesta lui, ma io no. Io no di sicuro. Tu mi hai osato violenza. Io invece ti ho semplicemente avvisata. Noi siamo gente, di testa e di ciolla, assai assai educata>> disse Achylle . << Dimentichiamo la facenna e amici come prima. Dimentichiamo. Chiedo perdono, chiedo comprensione, ma basta che la finiamo. E poi sento le vostre belle minkie in fase di rinascimento. E allora finite nel posto giusto e con tanto sentimento>> disse Helena. << Perdono un kazzo, oramai il danno è fatto. E col botto>>. << Dimentichiamo e basta. Cos‟è mai una minkia di kulo rotto? >> disse Helena pensando a un piano di fuga e sentendo anche le due minkie amanti al massimo della potenza. << Dimentichiamo sta minkia. Stupro doppio con minkia finta fu il tuo, stupro unico ma con due minkie sarà il nostro. La minkia mia e il kazzo suo. E per quanto riguarda il rinascimento dei nostri aceddi un fatto è sicuro. Non fu il desiderio del tuo bel pakkio ma il pititto del tuo bel kulo>>. << No.. in kulo no..>>. << Sì, in kulo sì..>>. << Allora facciamo uno alla volta>> propose Helena. << Insieme e basta, femmina stolta>> rispose Achylle. I due mascoli scienu le loro ciolle dal vaso canonico e si prepararono all‟impresa. Helena circau di scappare. Di fuggire nuda com‟era. Ma loro l‟acchiapparono in un amen. E in un fiat Achylle, che era forzuto, la impalò di botto sul kazzo di Patroclo che s‟era disteso su un tappeto persiano di valore. Helena gridò come un ossessa. Vedeva la faccia felice di Patroclo, ma sentiva le possenti braccia di Achylle che le facevano fare su e giù sul kazzo del suo amante. Gridò ancora. Ma il grido era diverso. Meno dolore, più piacere. E allora Achylle, per non sentirla, le tappò la bocca con la “Gioconda”. Poi, piegatola in avanti, verso Patroclo, pancia contro pancia, l‟inkulò pure lui. Idda gridò, ma in quel grido c‟era meno dolore e chiù piacere. Piacere novello ma assai assaissimo bello. E lì, in quel sito, conclusero insieme. E capirono anche che Helena era felice. La violenza era diventata piacere. Come la sorpresa per loro. << Ma la minkia di Patroclo e quella mia, dimmillu chiaru e tunnu, almenu lu stutanu lu focu ca ardia na lu to kunnu? >> chiese Achylle, a nome suo e di Patroclo, perché come a tutti i maschi, anche a loro, che operavano spesso tra loro, ci piacia sentirsi dire dalla fimmina ca era tutta ma proprio tutta soddisfatta. << Mancu di na stizza, lu kunnu mi pruri e m‟attizza. Iddu assai m‟impazza e voli tutt‟autra minciazza. Ma a dire il vero vero veramente, un fatto è sicuro. Adesso mi pruri e m‟attizza puru il kulo>> rispose Helena tra il serio e il semiserio. << “Semel in anno licet insanire”, ma ste follie non bastano alla tua vanedda. E adesso neanche al tuo kulo. Ci vuole altra minkia, cara Helena bedda. E sai chi ti ricu? Se voi na minciazza veramenti assai imponente. Vatti a spurpari sana sana quella di Pryapo immediatamente>>. << No>>. E poi, tra il serio e il semiserio, chiese ai due amanti: << Ma il Sosia della minkia di Paryde, ditelo chiaru e sicuru, almenu lu stutau lu focu ca ardia na lu vostru kulu? >>. << Mancu di na stizza, lu kulu mi pruri e m‟attizza. M‟impazza e voli solo dell‟amore mio la minciazza>> risposero Achylle e Patroclo taliandosi negli occhi come due uomini in amore. E il loro era un amore che durava da tempo. A parte tutto Achylle amava solo e soltanto Patroclo. Le storie con altri uomini o con donne erano solo dei diversivi. Delle pause. Degli intervalli sessuali. Helena uscì litaniando: << Voglio una minkia e no un simulacro di minkia. Ho bisogno di una minkia ma non so di quale minkia? Comunque voglio una minkia. Voglio una minkia che sappia kazzicatummuliari alla grande>>. Naturalmente Helena si addumò il solito minkiuni di minkiajuana. E siccome ci parse poca cosa uno, si ni addumò due contemporaneamente. Il doppio minkiuni da sukari era bello come la doppia ciolla in pakkio o in kulo. Era comunque contenta e felice. Il teatro con Achylle e Patroclo era stato uno spettacolo bello. Senza copione e aveva avuto diversi colpi di scena. Un eterogeneo kazzicatummulio. Aveva sfiorato l‟horror ma alla fine il piacere aveva vinto. Una bella messa in scena veramente. Bellissima lei, bellissimi loro. Da attori professionisti la performance. Ma la “Luna”, nonostante l‟impegno dei due focosissimo amanti, continuava ad essere insoddisfatta. Ma “l‟altra faccia della Luna” era nu tanticchia soddisfatta. Titolo plausibile, A letto con due ciolle contemporaneamente. Un indubbio esempio di Teatro triangolare. In testa però le girava il solo pinsero:<< Che pisello di ciolla devo fare per non pensare al pisello inciollante di Paryde?>>. Anche Achylle e Patroclo si addumanu nu minkiuni di minkiajuana. Uno ciascuno. Ma loro la chiamavano, giustamente, solo minkiaachylliana e minkiapatrocliana. <<Che mentula di ciolla di cicia del kazzo di una minkia devo fare?>>. E intanto s‟immaginava alle prese con tutte le minkie del globo terraqueo e non solo. Le pareva di nuotare in un oceano di minkie, di kazzi, di falli e mentule. Di essere fottuta da milioni e milioni di ciolle contemporaneamente. E di godere in maniera proporzionale. Pensò di essere la kazziacatummuliatrice universale. La fika ideale per tutti i kazzi del globo terracqueo. E non solo. Ma pensò anche che prima o poi sarebbe approdata alla minkia di Paryde. Perchè quella era e restava la sua minkia ideale. Lo strumento perfetto per la sua gnocca. E non solo per quella. Chidda minkia era il premio finale del suo “minkia tur”. Non sapeva a che punto era della sua gara. << Quante minkie mi devo fare prima del trofeo finale?>> --Achylle e Patroclo, ciolle in amore che amore danno quando insieme inciollano. Mirmidoni dell‟amore e del sesso. Mirmidoni della minkia in armi. E se da soli non valgono una ciolla di formica, insieme valgono un esercito di Mirmidoni. Aristarchetto. --Due tizi nu tanticchia strani, originari di Leonthynoy e Karleonthynoy, cercarono di valutare il numero delle ciolle “modello Achylle o Patroclo” di cui aveva bisogno Helena per dimenticare la ciolla di Paryde. Per non pensarci manco un secondo. Fecero calcoli e altro. Ragionarono e altro. Usarono strumenti e apparecchiature. Consultarono oracoli brilli e sibille pazze, sacerdoti sparapalle e generale perdenti. << Due milioni di ciolle “modello Achylle” e due milioni di ciolle “modello Patroclo” per un totale di quattro milioni di ciolle>> disse il tizio di Karleonthynoy. << Quattro milioni di ciolle “modello Achylle” e quattro milioni di ciolle “modello Patroclo” per un totale di otto milioni di ciolle>> replicò il tizio di Leonthynoy. Ma da Palermorum fecero sapere che la valutazione poteva arrivare al massimo a quaranta milioni di ciolle tra “modello Achylle” e “modello Patroclo”. Purtroppo un altro tizio perse i documenti e tutto finì a ciolla di testa di kazzo specializzato. Ignoravano i suddetti che per il pakkio libero di Helena qualsiasi ciolla valeva zero. Anche quelle di Achylle e Patroclo. Mentre la ciolla di Paryde valeva più dell‟universo tutto sano sano. Ma loro purtroppo sapevano dare solo i numeri. La ciolla dell‟amante era per Helena la più immortale tra le ciolle mortali e immortali. Era la ciolla del pititto, dell‟amore, del desiderio, di tutto e del contrario di tutto. Era la ciolla tout court e full time. Era la ciolla ciolla.Senza parerghi e paralipomeni. Anche se i parerghi son piacevoli e i paralipomeni no. Che se con le ciolle altrui il kazzicatummulio era una batracomiomachia, con Paryde era una psicomachia, na germanomachia, una gigantomachia, una orgasmomachia senza limiti e confini. --Quattro milioni.. otto milioni.. quaranta milioni.. senza documentazione che rottura di koglioni. Detto popolare --- Per tutto il palazzo reale risuonò ancora una volta il solito lacerante e addolorato urlo della bella Helena dalla fika sempre più insoddisfatta. Un urlo che faceva tremare i padiglioni auricolari della testa e il prepuzio della minkia. Un urlo che faceva orripilare il peli del buco del kulo. E no solo quelli. Un urlo che faceva accapponare la pelle tout court e full time e provocava una contrazione della sacca testicolare. Un urlo che diventava sempre più addolorato. Sempre più tonitruante. <<Voglio... una minkia.. una minkia.. una minkia... una minkia.. una minkia... una minkia.. una minkia..>>. Per poi finire con un micidiale : <<Voglio una MINKIA >>. E pure il suo “Forno”, mai sazio di cottura d‟aceddi e altri volatili e finanche di sasizze di ogni colore e sapore e forma e dimensione, urlò. Pure il suo “Forno” urlò. Urlò un “Forno -tonitruante” urlo assai lapalissiano. <<Voglio una minkiaaaaaa...una minkia che sappia fare la minkiaaaaaa...>>. E non era un lapsus calami o un lapsus linguae. In vino veritas. O meglio, in kunnus veritas. Gutta cavat lapidem, mentula cavat kunnus. Il sogno di Helena, e del suo “Forno”, era quello di gridare in faccia all‟urbe, all‟orbe e all‟Olympazzo tutto: <<Habemus mentula>>. Ma il problema era “Quale mentula?” Una mentula qualsiasi o la mentula di Paryde? “Melius abundare quam deficere” diceva un detto latino latinamente latinissimo. E allora meglio un‟overdose di mentuline, mentule, mentulone e mentulazze per dimenticare la mentulina di Mynkyalao e non pensare alla mentulona di Paryde. << E overdose sia.. con tanti parerghi e senza paralipomeni >> disse Helena. --Chi dorme non piglia pesci. E mancu fike. Uomo dormiente uomo nullafacente, minkia addormentata minkia ammosciata. La ucca mangia, la ciolla fikka. Lu panaru cinu di ficu, la fika cina d‟aceddi, lu kulu cinu di strunza di carni e la ucca di cannola beddi. Aprile dolce dormire, ma ad aprile la minkia è felice di venire. Detti popolari --A curtigghiari c‟erano i tre intellettuali della ciolla. Non sapevano fare altro che curtigghiari. E intanto pinsavano già di scrivere rispettivamente, secondo la propria specializzazione, il Poema Helena s‟inphalla i phalli amanti di Achylle e Patroclo, il Carmen Helena s‟immentula le mentule innamorate di Achylle e Patroclo, e il romanzo Cent‟anni delle minkie innamoratissime di Achylle e Patroclo per il pakkio di Helena. Sokratynos, il filosofo della minkia, si chiese: << La vita è una, come la minkia, e se non è un piacere vivere e avere una minkia, a che minkia serve avere una minkia se poi non puoi imminkiare manco quella troia di Helena che invece si lascia imminkiare dalle minkie innamorate di Achylle e Patroclo per poi ricambiare somministrando il Sosia di Paryde mentre ci sarebbe la mia tonitruante minkia filosofika disponibilissima a imminkiarla assai assaissimo filosofikamente ?>>. --- << Voglio una minkia e no un simulacro di minkia. Ho bisogno di una minkia, ma non so di quale minkia? Però deve essere un minkia assai assaissimo kazziacatummuliatrice >> litaniava in maniera sempre più ossessiva la sfortunata sposina. Helena non sapeva se andare da Paryde o dalla prima minkia che capitava dopo quelle vere e genuine e reali di Zeus, Eros, Apollo, Efesto, Ares, Ermete, Asclepio, Ganimede, Eolo, Achylle e Patroclo e quelle artificiali di Pallade e Artemide, a cui aveva però ricambiato il favore, ricevendo in regalo un Sosia che lei aveva gioiosamente battezzato “Gioconda”. E la “Gioconda” era andata anche in kulo a Ganimede, Achylle e Patroclo. Di andare da Pryapo non se ne parlava completamente. Andare da Paryde voleva dire che era semplicemente innamorata, anche perché Paryde avia si un bell‟uccello ma non era certamente il massimo in fatto di misure. Ma lei avia il kunno innamorato: e l‟amore è capace di far teoricamente diventare un elefante magari una piccola mosca. << Vado a minkia e m‟imminkio sulla prima minkia per cercare di non pensare né alla minkia di Mynkyalao che mi fa schifo né a quella di Paryde che mi appititta. Ma se non troverò soddisfazione, gira e rigira, imminkia prima e imminkia appresso, è da Paryde che porterò il mio sesso. Perché per il mio kunnu chidda è la megghiu minkia di lu munnu>>. --<< Voglio una minkia e no un simulacro di minkia. Ho bisogno di una minkia ma non so di quale minkia? Voglio una minkia e no una bestiaccia di minkia. Voglio una minkia e no una bestiona di minkia. Voglio una minkia che sappia fare la minkia. Voglio una minkia, una minkia, una grande minkia. Voglio una minkia espertissima nell‟arte del kazzicatummuliamiento. Insomma, se la ciolla maritale è un fallimento, la sposina deve andare direttamente da quella che è la ciolla già sperimentata dell‟amante o iniziare la ricerca della ciolla ideale, sperimentando minkie su minkie e ancora minkie e minkie e poi ancora minkie a iosa, alla sanfasò e a tinchitè tout court e full time? Oppure, per tagliare la testa al toro, correre da Pryapo e farsi somministrare la sua ciolla, praticamente la regina di tutte le minkie dell‟urbe, dell‟orbe e dell‟Olympazzo. Insomma insomma, il kazzo amatissimo dell‟amatissimo amante o il kazzone katholikos di Pryapo o semplicemente kazzi su kazzi scelti a kazzo ma che sappiano fare professionalmente il lavoro del kazzo? Insomma insomma insomma, unni minkia è un kazzo che sappia kazzicatummuliarmi a iosa, alla sanfasò e finanche a tinchitè?>> litaniava ancora e in maniera quasi ossessiva Helena. Era invasata dall‟idea della ciolla tout court e full time. Invasata a iosa, alla sanfasò e a tinchitè. Sciuta comunque dalla camera achillea, la bella Helena trasiu quasi subito nella prima camera disponibile. Tanto per continuare il suo folle “minkia tur”. Era naturalmente tutta presa dal firticchio sia nella testa che nello stikkio. Attruvau lu niputi Mynkyoreste che dormiva. Nudo e a pancia in giù. Dormiva ma si muoveva. Paria ca si stava futtennu il letto. Da come si muoveva, quello stava facendo. E parlava anche. Diceva “Zia.. zia.. zia..”. Helena cercò di svegliarlo buttandocisi di sopra. Ma niente, quello dormiva e fikkava col materasso. << Però tiene un bel kulo, il mio amato nipote >> disse piano piano. E con quel kulo, che faceva su e giù, perché il caruso fotteva col letto, lei giocò. Prima con le mani, poi con un ditino. E infine col Sosia di Paryde. Ma Mynkyoreste non si svegliò neanche con quello. Continuò a fare su e giù. E quannu ia giù, il Sosia scia. Quannu invece ia su, il Sosia trasia. Ci piacia al picciotto quella “Gioconda“ che trasia e scia dal suo kulo. << Acchiappa zia>> dicia andando giù. << Trasi Pilade>> diceva andando su. La zia sapeva che il caruso era innamorato di lei. E sapeva pure che si scambiava l‟augello con Pilade. Lo svegliò con un secchio d‟acqua. << Vinni quantu nu ciumi in piena, tracimai, esondai, di simenta lu munnu allagai>> gridò come un ossesso alzandosi e mettendosi a sautare sul letto. La minkia tisa e lo sguardo felice. Come il kulo che ancora ospitava il Sosia. Tra un salto e l‟altro il Sosia sciu di getto dal suo sito e finiu contro il muro. Allora si svegliò realmente e vide la zia. << Chi voi, zietta bona e bella assai?>> disse antuppandosi la ciolla. << Niente. Sono solo in mezzo a li vai. E tu della zia non ti vergognare mai>>. << Futtitinni zia; e futti a minkia cina cu cù minkia ti veni prima>> rispose speranzoso Mynkyoreste che era ancora vergine in fatto kunno. Le mani intanto coprivano sempre il fallo eretto. << Giustu e santo consiglio mi hai dato a mia. Ma adesso dammi la tua minkia e così sia? Tu sei il mio caro e amato niputeddu beddu. Allora kazzicatummulimmi unni voi lu to aceddu>>. << Lo vuoi vedere per il tuo visivo piacere?>>. Il picciotto non aveva capito. Era un coglioncino in certe cose. Tutte le libertà che si pigliava con Pilade o con altri maschi occasionali non se li pigliava con le femmine. Nemmeno con la zia che tanto amava e desiderava. << Più che vederlo, lo vorrei usare, vorrei poterci scopare. Ma intanto leva quelle minkia di mani dall‟augello, e fammi vedere quant‟è, com‟è e quant‟è bello>>. Mynkyoreste restò con le mani sul pakko. Poi disse: << Che bello, ti darò il mio uccello>>. Ma non scoprì il pakko. La zia si avvicinò e liberò l‟augello. Mynkyoreste non oppose resistenza. Poi la zia le somministrò un bacio proprio sulla koppola. Mynkyoreste incominciò a tremare. E trema e ritrema e trema ancora, Mynkyoreste svinni a pancia in giù. O forse si riaddormentò di colpo. Restando comunque con l‟aggeggio pronto per aggeggiare. Infatti la zia, esasperata, lo firriò e lo cavalcò. Senza capirlo, Mynkyoreste si fece l‟amata zia e per la prima volta trasiu in un kunno. Fece, ma dormendo. Si svegliò a cose fatte e pinsau ca la zia ci l‟avissa minatu. O forse sukato. La simenta c‟era e quindi qualche cosa era successo. Escludeva però la possibilità di aver fikkato. << Zia, ma la minkia mia, dimmillu chiaru e tunnu, pirchì nun ti appititta dintra lu kunnu?>> chiese Mynkyoreste, che pensava, come tutti i maskuli, che pure la sua minkia inesperta putia soddisfare il pakkio di una femmina esperta. La zia non rispose. Proprio allora arrivò Pilade. << Bihhhh.. La zia e lu niputi, ma chi è, tempo di futtuti? >> disse ironico Pilade. << Pilade, ma chi dici? Chi si babbu tunnu?>>. << No, ma sacciu ca la zia è caura di kunnu. Ma mi fido della ciolla tua intelligente. Idda è mia, mia tutta e mia solamente >> disse Pilade. << E tu si miu e basta, pirchì n‟autri semu di n‟autra pasta. Ma la zia mia a tia ti piaci. Idda ti fa sciri assai pazzu. E‟ roba bona pi qualsiasi ciolla e qualunque kazzu>> aggiunse Mynkyoreste. << A mia mi piacissi futtilla assai, a minkia cina scupalla >>. << Pure a mia mi piacissi assai assaissimo trapanalla >>. << Però preferisco passariti a tia l‟aceddu in kulo>>. << Anch‟io preferisco la stessa cosa di sicuro>>. << Io dico basta, impastate pure l‟autra pasta. Non sono un portuso buono per qualsiasi uso. Ho la fika, mi piace l‟amore e anche il ficcamento. Ma ho pure un cuore, e quello va a sentimento>>. La zia sciu facendo l‟offesa. Ma sciu pi finta. Fici appunto la finta offesa. Si ammucciò per vedere l‟evoluzione del caso. E quannu li picciotti si misero a letto, li taliò fottere e controfottere. Si inkulavano e strainkulavano a iosa, alla sanfasò a tinchitè. E sesssantanoveavano alla grande. Allora, nuda com‟era, ma di collana armata, si ci catafuttiu nel mezzo. Si fici a Pilade ma non riuscì a farsi il nipote. La ciolla di Mynkyoreste, che nel sonno si faceva la zia, e che dormendo la zia s‟era fatta, nella realtà calò li corna davanti alla porta del paradiso. Il nipote si fece la zia col Sosia. Ma il Sosia si fece sia il nipote che il suo amante. Kazzicatummuliarono per come fu possibile kazzicatummuliare. L‟impossibile era naturalmente impossibile. << Rispondo alla tua domanda, Mynkyoreste beddu. Mi hai chiesto “Zia, cara al mio caro aceddu, zia, ma la minkia mia, dimmillu chiaru e tunnu, pirchì nun ti appititta dintra lu to beddu kunnu?” Che ti devo dire? Mi appititta. Minkia, se mi appititta. Ma poi, al momento, la tua minkia è cina di aria fritta. Paria ca questa volta stava iennu finalmente in kunnu, tuppuliò ma nun trasiu, nun ci la fici a ghiri in funnu. Iu la vulia, anche se a mia , lu kunnu mi pruri e m‟attizza, e m‟impazza sì, ma pirchì voli tutt‟autra minciazza. Però, tutto sommato, quello che è successo è stato bello, anche se per qualcuno non è chiaro quel che fatt‟ha il suo uccello>> rispose << Ma la minkia mia, dimmillu chiaru e tunnu, almenu lu stutau lu focu ca ardia na lu to kunnu? >> chiese Pilade, perché come a tutti i maschi, anche a lui, che come maschio non operava, ci piacia sentirsi dire dalla fimmina ca era tutta ma proprio tutta soddisfatta. << Mancu di na stizza, lu kunnu mi pruri e m‟attizza. Iddu assai m‟impazza e voli tutt‟autra minciazza>> rispose Helena. << Ma la minkia mia però, dimmillu chiaru e tunnu, teoricamente lu putia stutari lu focu ca ardia na lu to kunnu? >> chiese Mynkyoreste, che come a tutti i maschi, anche a lui, che come maschio non operava, ci piacia sentirsi dire dalla fimmina ca era tutta ma proprio tutta soddisfatta. << Mancu di na stizza putia, lu kunnu a mia mi pruri e m‟attizza. Iddu assai m‟impazza e voli tutt‟autra minciazza>> rispose Helena preparandosi ad abbandonare la stanza. << “Acta est fabula”, cara e bella Helena, esempio magno di kazzotrofia. “Ab mentula condita”, lu kulu masculino è affetto da mentulatrofia. E sai chi ti ricu? Se voi na minciazza veramenti assai imponente. Vatti a spurpari sana sana quella di Pryapo immediatamente>> disse Pilade. << “Absit iniuria verbis”. Io speravo di ingignare lu kunnu, chistu è sicuro. “Summun ius, summa inuria”, l‟ho presa solo e soltanto in kulo. E sai chi ti ricu anch‟io? Se voi na minciazza assai imponente. Vatti a spurpari sana sana quella di Pryapo immediatamente>> aggiunse Paride. << Cari miei, vuolsi così la dove si puote, e di più non domandate. Ci sono cose certe e cose che nel mistero devono essere lasciate>> rispose Helena. I due fecero una faccia a minkia taliandosi reciprocamente la minkia. La zia andò via felice gridando: <<Voglio una minkia, ancora una minkia, una minkia ancora e poi una minkia ancora e ancora una minkia. Insomma, voglio una minkia che mi kazzicatummulia alla grande>>. Era comunque contenta la picciotta. Il teatro con Minkioreste e Pilade era stato uno spettacolo bello. Una bella messa in scena. Bellissima lei, belli loro. E poi, possedere un maschio che dorme, è bellissimo. Da attori professionisti la performance. Ma nonostante tutto, nonostante l‟amore per il nipote, la “Luna” era e restava scontentissima. Titolo plausibile, A letto con la ciolla del nipote e del suo amichetto. Un esempio di Teatro parentale. Helena comunque aveva in testa il solito pensiero:<<Che minkia devo fare?>>. Mynkyoreste maledisse la sua verginità e la zia buttana. Buttana per gli altri ma non per lui. Ma la colpa non era della zia, la colpa era sua, che non era riuscito a trasiri in quel kakatoio universale. Pilade invece aveva concluso, e felicemente, una bella misa in kunno. Ognuno si sukò il suo bel minkiuni di minkiajuana. Solo che Mynkyoreste la chiamava fikahelenina, Pilade invece la chiamava minkiorestiana. <<Che mentula di ciolla di cicia del kazzo di una minkia devo fare?>> pinsava intanto Helena. E pensando ciò riprese a firriari. E anche a pensare al kazzicatummulio generale o internazionale o addirittura universale. Ma con un pensiero particolare a Paryde e alla sua minkia. Al trofeo che l‟aspettava alla fine del suo ”minkia tur”. --O Minkioreste, perché la tua minkia sveglia vale meno di una minkia a perdere, mentre la tua minkia svenuta vale tanto quanto una minkia vera? E perchè quella di Pilade con chiunque fa la ciolla? O Minkioreste, sei o non sei padrone di una ciolla che sa fare la ciolla? Lucrezietto da Munypuzos --O Minkioreste, sei il puparo della tua ciolla o il pupo della tua minkia? O Minkioreste, sei il padrone o il servo della tua cicia? O Minkioreste, nun sai che la zia svezza sempre il nipote? O Minkioreste, non sai che farsi la zia è il sogno di ogni picciotto che zia ha? O Minkioreste, non sai che chi zia non ha, cerca di farsi la zia degli altri? O Minkioreste, perché non ti svegli sia di testa che di minkia? Cicio Micio della Cilicia --- Due tizi originari di Leonthynoy e Karleonthynoy cercarono di valutare il numero delle ciolle “modello Mynkyoreste o Pilade” di cui aveva bisogno Helena per dimenticare la ciolla di Paryde. << Due milioni di ciolle “modello Mynkyoreste” e due milioni di ciolle “modello Pilade” per un totale di quattro milioni di ciolle>> disse il tizio di Karleonthynoy. << Quattro milioni di ciolle “modello Mynkyoreste” e quattro milioni di ciolle “modello Pilade” per un totale di otto milioni di ciolle>> replicò il tizio di Leonthynoy. Ma da Palermorum fecero sapere che la valutazione poteva arrivare al massimo a quaranta milioni di ciolle tra “modello Mynkyoreste” e “modello Pilade”. Purtroppo un altro tizio perse i documenti e tutto finì a ciolla di koglione skoglionato. Ignoravano i suddetti che per il pakkio libero, autonomo e indipendente di Helena qualsiasi ciolla valeva zero. Anche quelle di Mynkyoreste e Pilade non valevano un kazzo. Mentre la ciolla di Paryde valeva più dell‟universo tutto sano sano. Ma loro purtroppo sapevano dare solo i numeri. La ciolla dell‟amante era per Helena la ciolla per eccellenza tra le ciolle eccellenti sia umane che divine. Era il non plus ultra delle ciolle del mondo animale. Era l‟anima della ciolla. O la ciolla dell‟anima. O l‟anima stessa. L‟anima tout court e full time. --Quattro milioni.. otto milioni.. quaranta milioni.. senza documentazione che rottura di koglioni. Detto popolare --- Per tutto il palazzo reale risuonò di nuovo il lacerante e addolorato urlo di Helena. Tonitruante come sempre. <<Voglio.. una minkia.. una minkia.. una minkia... una minkia.. una minkia... una minkia.. una minkia..>>. Per poi finire con un micidiale : <<Voglio una MINKIA >>. Pure il suo “Portacannila” urlò un “Portacannila -tonitruante” urlo assai lapalissiano. <<Voglio una minkiaaaaaa...una minkia che sappia fare la minkiaaaaaa...>>. E non era un lapsus calami o un lapsus linguae. In vino veritas. O meglio, in kunnus veritas. Gutta cavat lapidem, mentula cavat kunnus. Il sogno di Helena, e del suo “Portacannila”, era quello di gridare in faccia all‟urbe, all‟orbe e all‟Olympazzo tutto:<<Habemus mentula>>. Ma il problema era “Quale mentula?” Una mentula qualsiasi o la mentula di Paryde? “Melius abundare quam deficere” diceva un detto latino latinamente latinissimo. E allora meglio un‟overdose di mentuline, mentule, mentulone e mentulazze per dimenticare la mentulina di Mynkyalao e non pensare alla mentulona di Paryde. << E overdose sia.. con tanti parerghi e senza paralipomeni >> disse Helena. --Con niente non si fa niente, con la minkia si fanno tante cose. Ucca ca nun parra nunnu sgarra, minkia ca nun fikka vali picca. Chi la dura la vince, chi la tiene dura la fikka. La ciolla ca nun inciolla o è babba o è stolla. O ciolla di sceccu o ciolla di cavaddu, se lu stikkiu è cauru va beni qualsiasi piricuddu. Detti popolari --- A curtigghiari c‟erano i soliti tre intellettuali della ciolla che pinsavano già di scrivere rispettivamente, secondo la propria specializzazione, il Poema Helena s‟inphalla prima il phallo sveglio di Mynkyoreste dormiente e poi quello di Pilade sveglio e ricambia con il Sosia di Paryde , il Carmen Helena s‟immentula prima la mentula sveglia di Mynkyoreste addormentato e poi quella di Pilade sveglio e ricambia somministrando il Sosia di Paryde, e il romanzo Cent‟anni della minkia arrispigghiata dell‟addumisciutu Mynkyoreste per il pakkio di Helena che chiede di avere per cent‟anni anche la minkia sveglia di Pilade ricambiando però per cent‟anni con la minkia finta di Paryde. Sokratynos, il filosofo della minkia, si chiese: << La vita è una, come la minkia, e se non è un piacere vivere e avere una minkia, a che minkia serve avere una minkia se poi non puoi imminkiare manco quella troia di Helena che invece si lascia imminkiare dalla minkia tisa del dormiente Mynkyoreste prima e dalla minkia tisa dello sveglio Pilade poi contraccambiando però con una passata di minkia finta e tutto questo mentre, minkia d‟una minkia che sa fare la minkia, ci sarebbe la mia professionale, tonitruante e filosofika minkia disponibilissima a imminkiarla assai assaissimo filosofikamente?>>. --- << Voglio una minkia e no un simulacro di minkia. Ho bisogno di una minkia ma non so di quale minkia? Comunque una cosa è certa: a mia mi serve una minkia che sappia kazzicatummuliari>> litaniava in maniera semplicemente ossessiva Helena. Helena non sapeva se andare da Paryde o dalla prima minkia che capitava dopo quelle vere e genuine e reali di Zeus Eros, Apollo, Efesto, Ares, Ermete, Asclepio, Ganimede, Eolo, Achylle, Patroclo, Mynkyoreste e Pilade e quelle artificiali di Pallade e Artemide, a cui aveva però ricambiato il favore, ricevendo in regalo un Sosia che lei aveva battezzato “Gioconda”. E la “Gioconda” era andata anche in kulo a Ganimede, Achylle , Patroclo, Mynkyoreste e Pilade. Di andare da Pryapo non se ne parlava completamente. Andare da Paryde voleva dire che era semplicemente innamorata, anche perché Paryde avia si un bell‟uccello ma non era certamente il massimo in fatto di misure. Ma lei avia il kunno innamorato: e l‟amore è capace di far teoricamente diventare un elefante magari una piccola mosca . << Vado a minkia e m‟imminkio sulla prima minkia per cercare di non pensare né alla minkia di Mynkyalao che mi fa schifo né a quella di Paryde che mi appititta. Ma se non troverò soddisfazione, gira e rigira, imminkia prima e imminkia appresso, è da Paryde che porterò il mio sesso. Perché per il mio kunnu chidda è la megghiu minkia di lu munnu>>. --<< Voglio una minkia e no un simulacro di minkia. Ho bisogno di una minkia ma non so di quale minkia? Voglio una minkia e no una bestiaccia di minkia. Voglio una minkia e no una bestiona di minkia. Una minkia che sappia fare la minkia. Voglio una minkia, una minkia, una grande minkia. Una minkia che sappia assai assaissimo kazzicatummuliari. Insomma, se la ciolla maritale è un fallimento, la sposina deve andare direttamente da quella che è la ciolla già sperimentata dell‟amante o iniziare la ricerca della ciolla ideale, sperimentando minkie su minkie e ancora minkie e minkie e poi ancora minkie a iosa, alla sanfasò e a tinchitè tout court e full time? Oppure, per tagliare la testa al toro, correre da Pryapo e farsi somministrare la sua ciolla, praticamente la regina di tutte le minkie dell‟urbe, dell‟orbe e dell‟Olympazzo. Insomma insomma, il kazzo amatissimo dell‟amatissimo amante o il kazzone katholikos di Pryapo o semplicemente kazzi su kazzi scelti a kazzo ma che sappiano fare professionalmente il lavoro del kazzo? Insomma insomma insomma, unni minkia è la minkia per il mio kazzicatummuliamiento? >> litaniava ancora e in maniera quasi ossessiva Helena. Ed Helena, sempre gridando che voleva una minkia, curriu di nuovo per i corridoi del palazzo reale e poi trasiu ancora una volta in una camera scelta a caso. Tanto per andare all‟acchiappo. C‟erano i suoi cari fratelli Castore e Polluce alle prese, come al solito, con una sola femmina, una certa Properzia Biaves, detta Automedusa. << Fratelli miei belli, chiedo degli aiutini ai vostri uccelli>>. << Sei nei soliti casini? Kazzo. E vorresti i nostri uccellini?>>. << Sono indecisa, per modo di dire, tra due.. due kazzi>>. << Non i nostri, per fortuna. Comunque sono discorsi da pazzi>>. << Fai come è loro normale uso e abuso. Ficchitilli entrambi nello stesso portuso>> disse la donna che era con loro. << E chista facci di minkia, cu minkia eni?>> chiese la bella Helena. << E‟ la bella ed espertissima Automedusa, la femmina chiù assai di tutte iarrusa. Oltre che in bocca e nella mona, un fatto è sicuro, riesce a riceverci di minkia tutti e due in kulo>>. << Ahhh.. ma adesso lassa stare le due carnose ossa, che ci son qua io con le mie caldissime fossa. Anch‟io, cara mia, posso prenderne due in kulo. E se necessario anche tre, questo è sicuro. Fratelli, portatemi conforto, un conforto beddu. Se necessario kazzicatummuliatimi pure in kulo l‟aceddu>>. E si fici i fratelli in tutti i modi possibili e impossibili. Si li fici soprattutto nel kunnu , naturalmente contemporaneamente. Nuda a parte la collana. E quel pendaglio, quel ciondolo, giocò da solo tra i loro corpi. Paria una minkia autonoma. Sciddicava tra li minni di lei, tra le panze di tutti, tra le natiche di tutti e paria veramente la terza minkia oltre le due gemelle. << Il Sosia di chi?>> chiesero Castore e Polluce, che di cose erotiche erano esperti. << Di Paryde il Sosia è, e si chiama ”Gioconda”>>. << Hai detto che di minkie tre ne puoi pigliare. Mettici anche il sosia, tanto per provare, in contemporanea con i nostri kazzi però. E questo sia nel pakkio che nel tuo bel popò>>. Fecero. E ci fu posto per tre. Posto a iosa. Posto alla sanfasò. Posto a tinchitè. << Faccilla provare la minkia “Gioconda”?>> chiesero i gemelli poi. << No>>. << Avà.. noi ti l‟avemu data la nostra gioiosa minkia gemella. Daccilla pure tu na bella passata di questa “Gioconda” bella>>. << La “Gioconda” è mia, solo mia>>. << Anche la nostra minkia era nostra, solo nostra. Eppure..>>. << Eppure.. eppure ve la passerò. La minkia finta di Paryde, ma ad un patto>>. Allora Helena li convinse, in cambio della “Gioconda”, a fare quello che non avevano mai fatto. Mettersela, a turno, in kulo, davanti a lei. Ma prima se li possedette lei , con il suo Sosia. Con la “ Gioconda”. La minkia finta si fece prima a Castore intanto che Polluce imminkiava Helena, poi si fece a Polluce intanto che Castore imminkiava la neosposa. << Ma la minkia di Castore e la mia, dimmillu chiaru e tunnu, almenu lu stutanu lu focu ca ardia na lu to kunnu? >> chiese Polluce , a nome suo e di Castore, perché anche a loro, come a tutti i maschi, ci piacia sentirsi dire dalla fimmina ca era tutta ma proprio tutta soddisfatta. << Mancu di na stizza, lu kunnu mi pruri e m‟attizza. Iddu assai m‟impazza e voli tutt‟autra minciazza>> rispose Helena ridendo e gridando che voleva ancora una minkia. << Vaffankulo tu e la minkia finta del purceddopolita>>. << Ricambio il vostro sentitissimo vaffankulo, e mi chiedo: “ Ma il Sosia della minkia di Paryde, ditelo chiaru e sicuru, almenu lu stutau lu focu ca ardia na lu vostru kulu? “>>. << Mancu di na stizza, lu kulu mi pruri, m‟attizza e m‟impazza, e voli di lu me fratellino la minciazza>> risposero in contemporanea Castore e Polluce. << Vaffankulo, vaffanbocca e anche altrove..>> disse idda. << Altrove non possiamo. “Cui bono” però ti chiediamo. A noi giova il pakkio in comune, perché noi ci amiamo. E sai chi ti ricu? Se voi na minciazza veramenti assai imponente. Vatti a spurpari sana sana quella di Pryapo immediatamente>> disse Castore anche a nome di Polluce. Helena andò via per continuare la sua ricerca kronologica sincronica e diacronica della minkia ideale. Per arrivare al kazzicatummulio perfetto. Andò via sukando il solito minkiuni di minkiajuana e gridando sempre “ Voglio una minkia”. Era comunque contenta la neosposina. Il teatro con Castore e Polluce era stato uno spettacolo bello. Una bella messa in scena. Bellissima lei, belli loro. Da attori professionisti la performance. E bella Automedusa, la spettatrice plaudente, Ma insoddisfatta ancora era la “Luna”. Neanche le ciolle germane di Castore e Polluce l‟avevano soddisfatta. Titolo plausibile, A letto con le ciolle di due fratelli. In poche parole un esempio di Teatro familiare. E in testa la solita idea: <<Che marrugghio devo fare?>>. Anche Castore e Polluce si addumanu nu minkiuni di minkiajuana. Solo che la chiamavano minkiacastoriana e minkiapolluciana. <<Che mentula di ciolla di cicia del kazzo di una minkia devo fare?>> pinsava intanto Helena. E pinsando pinsando firriava per il palazzo. E pinsando pinsando pinsava al kazzicatummulio sincronico perfetto. E pinsando pinsando pinsava che il meglio del kazzicatummulio lo avrebbe fatto con la ciolla di Paryde. Ma quella minkia l‟aspettava al traguardo finale del suo “minkia tur”. << Quante minkie mi separano dalla minkia di Paryde? E quali minkie mi separano dalla minkia di Paryde?> si chiese Helena. Al momento non c‟era risposta. --O minkia fraterna di Polluce. O minkia fraterna di Castore. Kazzo, quanto kazzo siete brave in amore. Catulletto --Due tizi originari di Leonthynoy e Karleonthynoy cercarono di valutare il numero delle ciolle “modello Castore o Polluce” di cui aveva bisogno Helena per dimenticare la ciolla di Paryde. << Due milioni di ciolle “modello Castore” e due milioni di ciolle “modello Polluce”, per un totale di quattro milioni di ciolle>> disse il tizio di Karleonthynoy. << Quattro milioni di ciolle “modello Castore” e quattro milioni di ciolle “modello Polluce” , per un totale di otto milioni di ciolle>> replicò il tizio di Leonthynoy. Ma da Palermorum fecero sapere che la valutazione poteva arrivare al massimo a quaranta milioni di ciolle tra “modello Castore” e “modello Polluce”. Purtroppo un altro tizio perse i documenti e tutto finì a ciolla di sukaciolla babbu. Ignoravano i suddetti che per il pakkio libero di Helena qualsiasi ciolla valeva zero. Anche quelle germane di Castore e Polluce. Mentre la ciolla di Paryde valeva più dell‟universo tutto sano sano. Ma loro purtroppo sapevano dare solo i numeri. La ciolla dell‟amante era per Helena la più parentale tra tutte le ciolle parentali. --Quattro milioni.. otto milioni.. quaranta milioni.. senza documentazione che rottura di koglioni. Detto popolare --Per tutto il palazzo reale, purtroppo, risuonò per l‟ennesima volta il sempre più lacerante e sempre più addolorato urlo di Helena. O forse della sua fika insoddisfatta. Un urlo genere horror, un urlo disperatamente disperato. Un urlo di ricerca inconclusa. Praticamente il solito tonitruante urlo. <<Voglio.. una minkia.. una minkia.. una minkia... una minkia.. una minkia... una minkia.. una minkia..>>. Per poi finire con un micidiale : <<Voglio una MINKIA >>. Pure il suo “Portasasizza” urlò un “Portasasizza -tonitruante” urlo assai lapalissiano. <<Voglio una minkiaaaaaa...una minkia che sappia fare la minkiaaaaaa...>>. E non era un lapsus calami o un lapsus linguae. In vino veritas. O meglio, in kunnus veritas. Gutta cavat lapidem, mentula cavat kunnus. Il sogno di Helena, e del suo “Portasasizza”, era quello di gridare in faccia all‟urbe, all‟orbe e all‟Olympazzo tutto: <<Habemus mentula>>. Ma il problema era “Quale mentula?” Una mentula qualsiasi o la mentula di Paryde? “Melius abundare quam deficere” diceva un detto latino latinamente latinissimo. E allora meglio un‟overdose di mentuline, mentule, mentulone e mentulazze per dimenticare la mentulina di Mynkyalao e non pensare alla mentulona di Paryde. << E overdose sia.. con tanti parerghi e senza paralipomeni >> disse Helena. --Il diavolo fa le pentole ma non i coperchi, la minkia fa lu stuppagghiu. Ogni campana ha lu so battagghiu, ma lu stikkiu spissu teni chiù di nu marrugghiu. Vivi e lascia vivere, fikka e lascia fikkare. Giugno, la minkia in pugno. Detti popolari --- A curtigghiari c‟erano sempre i tre intellettuali della ciolla che pinsavano già di scrivere rispettivamente, secondo la propria specializzazione, il Poema Helena s‟inphalla sincronicamente i phalli gemelli di Castore e Polluce ricambiando con il Sosia di Paryde somministrato diacronicamente , il Carmen Helena s‟immentula le simultaneamente le mentule gemelle di Castore e Polluce e ricambia con la mentula finta di Paryde, e il romanzo Cent‟anni di imminkiamento sincronico delle gemelle minkie di Castore e Polluce per il pakkio di Helena che ricambia somministrando in sequenza la minkia finta di Paryde. Sokratynos, il filosofo della minkia, si chiese: << La vita è una, come la minkia, e se non è un piacere vivere e avere una minkia, a che minkia serve avere una minkia se poi non puoi imminkiare manco quella troia di Helena che invece si lascia imminkiare sincronicamente dalle minkie gemelle dei suoi fratelli Castore e Polluce contraccambiando però con una passata di minkia finta e tutto questo mentre, minkia d‟una minkia che vorrebbe imminkiare a minkia cina, ci sarebbe la mia tonitruante e filosofika minkia disponibilissima a imminkiarla filosofikamente?>>. --- << Voglio una minkia e no un simulacro di minkia. Ho bisogno di una minkia, ma non so di quale minkia? Però deve essere una signora minkia, una minkia che sappia kazzicatummuliari>> litaniava in maniera quasi ossessiva Helena. Helena non sapeva se andare da Paryde o dalla prima minkia che capitava dopo quelle vere e genuine e reali di Zeus, Eros, Apollo, Efesto, Ares, Ermete, Asclepio, Ganimede, Eolo, Achylle, Patroclo, Mynkyoreste, Pilade, Castore e Polluce e quelle artificiali di Pallade e Artemide, a cui aveva però ricambiato il favore, ricevendo in regalo un Sosia che lei aveva battezzato “Gioconda”. E la “Gioconda” era andata anche in kulo a Ganimede, Achylle, Patroclo, Mynkyoreste, Pilade, Castore e Polluce. Di andare da Pryapo non se ne parlava completamente. Andare da Paryde voleva dire che era semplicemente innamorata, anche perché Paryde avia si un bell‟uccello ma non era certamente il massimo in fatto di misure. Ma lei avia il kunno innamorato: e l‟amore è capace di far teoricamente diventare un elefante magari una piccola mosca. << Vado a minkia e m‟imminkio sulla prima minkia per cercare di non pensare né alla minkia di Mynkyalao che mi fa schifo né a quella di Paryde che mi appititta. Ma se non troverò soddisfazione, gira e rigira, imminkia prima e imminkia appresso, è da Paryde che porterò il mio sesso. Perché per il mio kunnu chidda è la megghiu minkia di lu munnu>>. --- << Voglio una minkia. Una minkia in grado di kazzicatummuliare alla grande>> continuava a gridare Helena. E dopo questa mentulica impresa con i fratelli gemelli, Helena riprese la ricerca della minkia ideale o della ideale minkia, invocando ancora una minkia e piangendo come una prefika a cui è morta la minkia amata o l‟amata minkia. <<Ihhh.. voglio una minkia...ihhh.. Ohhh.. voglio una minkia.. ohhh.. Ehhh.. voglio una minkia.. ehhh.. Uhhh.. voglio una minkia.. uhhh.. Ahhh.. voglio una minkia.. ahhh.. Una minkia kazzicatummuliante>>. << Kazzo, chi camurria. Come rumpi li koglioni e così sia. Se addipinnissi di mia, io ci la facissi passari a colpi di minkia a iosa sta fissazione del kazzicatummulio. Ci facissi ittari uci cu la ucca, cu la fika e pure col kulo. “Basta.. basta.. basta. basta.. non voglio essere chiù kazzicatummulizziata”. Minkia, come la addubbassi a minkia a iosa>> dicevano le guardie che assistevano a questo tur della ciolla. << Idda è buttana ranni. Io cu la minkia mia la sfunnassi tanto tanto ca ci la facissi scurdari sta minkia di frase. “Voglio una minkia” addiventerebbe “basta cu la minkia”. Ma gli dei e gli eroi sono minkie perse, minkie cine d‟aria, minkie che fanno le minkie tanto per. Ciullano ma ciullano al vento. Io invece, minkia io, io invece son tutto una minkia che sa ciullare a tutta ciolla con tanto di kazzo inkazzato che inkazza, inkunna e inkula a tutta ciolla, minkia e kazzo e mentula e fallo... E che kazzo>> disse Lucio, ca era un soldato della guardia reale che ogni tanto riusciva fottersi qualche femmina della corte reale con tanta soddisfazione della stessa. << Voglio una minkia e no un simulacro di minkia. Ho bisogno di una minkia ma non so di quale minkia? Voglio una minkia e no una bestiaccia di minkia. Voglio una minkia e no una bestiona di minkia. Una minkia che sappia fare la minkia. Voglio una minkia, una minkia, una grande minkia. Una minkia che sappia kazzicatummuliari. Insomma, se la ciolla maritale è un fallimento, la sposina deve andare direttamente da quella che è la ciolla già sperimentata dell‟amante o iniziare la ricerca della ciolla ideale, sperimentando minkie su minkie e ancora minkie e minkie e poi ancora minkie a iosa, alla sanfasò e a tinchitè tout court e full time? Oppure, per tagliare la testa al toro, correre da Pryapo e farsi somministrare la sua ciolla, praticamente la regina di tutte le minkie dell‟urbe, dell‟orbe e dell‟Olympazzo. Insomma insomma, il kazzo amatissimo dell‟amatissimo amante o il kazzone katholikos di Pryapo o semplicemente kazzi su kazzi scelti a kazzo ma che sappiano fare professionalmente il lavoro del kazzo? Insomma insomma insomma, quando arriverò ad avere il giusto kazzicatummuliamiento? >> litaniava ancora e in maniera quasi ossessiva Helena. E finiu, nel suo infinito “minkia tur”, nella stanza dell‟orbo Edipo. Il vecchio era sveglio ma accanto a lui dormiva una ragazza nuda e bellissima. << Attia, chi minkia di kazzu fazzu?>> chiese Helena. << Iu nun viru né na minkia né nu kazzu>> rispose Edipo che però sintia ciauru di pakkiu. << Scusa Edipo, sugnu di oggi la sposina>>. << Ma a chist‟ura non dovresti fottere a minkia cina. Come vedi, a pensarti bella e bona, soprattutto di sutta, la reale ed eroica minkia mia è già tisissima tutta>>. << Dovrei e vorrei assai assaissimo scopare. Ma la scopa purtroppo funzionò assai male>>. << Poverina assai e assai assai mischinedda. Già la prima notti di nozze vacanti di vanedda>>. << Dimmi, Edipo, chi minkia di kazzu fazzu?>>. << Se vuoi, pigliati lu me vecchiu marrugghiazzu >> rispose re Edipo che orbo era di vista ma non di minkia, perchè la sua minkia arriconosceva il pakkio di qualità. Detto fatto, Helena fici. Si mise nuda e lo montò. Lo montò come si fa con i cavalli. Edipo circò li minni e invece attruvò il pendaglio della collana. << Chi minkia è stu oggetto ca na minkia pari?>>. << E un Sosia, na minkia finta ca però si poli usare>>. Ma i rumori dei lavori pilusi arrispigghianu la fimmina che durmia. << Papa, chi minkia di minkia stai a fare?>>. << Ficco non per pititto ma per consolare>>. << Papà... Tu sei mio anche di minkia, e che kazzo. Esci la cicia da quel buco, altrimenti t‟ammazzo>> disse la figlia. << Io non ci riesco, è lei che mi cavalca con grande esperienza. È femmina minkiofila per summa summissima eccellenza>>. << Edipo caro, anche se nun viri na minkia di nenti, kazzicatummulii meglio di tanta autra genti>> ci disse Helena. << Esperienza e pacienza, pacienza ed esperienza, fanu di la minkia la stella polare di sta vita strunza>>. << Papà, e chi minkia, falla scinniri di cavaddu, altrimenti ci tiro lu coddu come a lu iaddu. E a tia ti strizzo la ciolla a minkia cina, comu si fa cu chidda minkia di buttana iaddina>>. << Io non vedo una minkia, tengo la minkia in galera>> disse Edipo. << E io che ci vedo a minkia doppia sminkio sta buttanera>> disse la figlia. E cu na bella botta la picciotta scavallò Helena. Fu come stappare la minkia paterna. Come levarle il piacevole coperchio. E ne prese il posto. Ma Helena scavallò Antigone. E le due lottarono un bel po‟. Lottarono alla grande per il possesso di una ciolla. E tra i loro corpi lottò, scivolò, s‟insinuò, si svincolò, s‟affacciò, sgusciò e altro fece il Sosia del bel Paryde, la finta “Gioconda”. Ma cosa fece non so. Alla fine le due raggiunsero un compromesso. Antigone acconsentiva a una fikkata lampo di Helena con Edipo in cambio di un giro col Sosia di Paryde. Così fu. << Ma la minkia mia, dimmillu chiaru e tunnu, almenu lu stutau lu focu ca ardia na lu to kunnu ?>> chiese Edipo, perché, come a tutti i maschi, anche a lui ci piacia sentirsi dire dalla fimmina ca era tutta ma proprio tutta soddisfatta. << Mancu di na stizza , lu kunnu mi pruri e m‟attizza. Iddu assai m‟impazza e voli tutt‟autra minciazza>> rispose Helena ridendo. Poi Helena chiese ad Antigone: << Ma la finta “Gioconda” mia, dimmillu chiaru e tunnu, almenu lu stutau lu focu ca ardia na lu to kunnu?>>. << Mancu di na stizza, lu kunnu mi pruri e m‟attizza. Iddu assai m‟impazza e voli tutt‟autra minciazza>> rispose Antigone ridendo e abbracciando la sposina sfortunata. L‟abbraccio degenerò poi in una lesbicata grandiosa. Lesbicata a cui partecipò, come atto finale, la finta “Gioconda.” E tutto questo sotto gli occhi, per modo di dire, di Edipo. <<”Fortuna caeca est” si dice, ma se la fortuna è cieca, la minkia non lo è. La mia, che orbo sono e una minkia non vedo, vede pakkio a tinchitè. Ma sai chi ti ricu? Se voi na minciazza veramenti assai imponente. Vatti a spurpari sana sana quella di Pryapo immediatamente>>. << No>> rispose Helena. << Magari potessi io>> ci scappò ad Antigone. << Perché, non t‟abbasta la mia?>> chiese papà. Alla fine comunque tutti si addumanu nu beddu minkiuni di minkiajuana. Ma Edipo la chiamava “erba degli orbi” o minkiaedipiana. E mentre Edipo tornò a letto con Antigone, Helena uscì gridando ancora: << Voglio una minkia per ben kazzicatummuliari>>. Era comunque contenta Helena. Il teatro con Edipo era stato uno spettacolo bello. Una bella messa in scena. Bellissima lei, vecchio, brutto, assassino, incestuoso e orbo, ma dotato ed esperto lui. Superba l‟interpretazione della ciolla reale del reale cieco. Se il proprietario non vedeva un kazzo, quella vedeva come un‟aquila. Vedeva soprattutto se il pakkio era degno di ricevere la simenta reale. Vedeva e sentiva, aveva non cinque ma sei sensi. I cinque di tutti e il sesto senso, il senso minchiesco. Un senso tutto suo. Da attori professionisti quindi la performance. E Antigone era stata sia spettatrice che attrice. Aveva dato e pigliato anche lei. La lotta per il possesso della ciolla era stata gioiosa. Un corpo a corpo magnifico. E lo scavalcamento dava i brividi. <<Perdere la ciolla che t‟inkunna di botto è fantasticamente doloroso e dolorosamente fantastico>> pinsò Helena. Ma nonostante tutto la “Luna “ restava scontenta. Titolo plausibile dello spettacolo, A letto con l‟orbo dalla ciolla vedente. Un evidente esempio di Teatro cieco. In testa teneva la solita pinsata: <<Che Kazzo devo fare per far finire questo tur del kazzo?>>. <<Che mentula di ciolla di cicia del kazzo di una minkia devo fare?>> pinsava Helena. Pinsava e firriava palazzo palazzo. E pinsando pinsava a come meglio kazzicatummuliari. Ma in fondo in fondo pinsava alla ciolla amorosa di Paryde. Era quello il trofeo carnoso che l‟aspettava al traguardo. << Ma unni minkia è stu minkia di traguardo della minkia?>> si chiese Helena. --O orbissimo Edipo, orbo di vista ma non di minkia sei, con quella ci vedi proprio assai e trovi la strada per entrare in lei. O orbissimo Edipo, con la tua ciolla vedente, vedi più degli altri uomini, che spesso non vedono oltre la loro ciolla. Tucididetto --La ciolla vidi, se lu padruni voli viriri, luntanu tantu. Ma se nun voli, mancu viri li cugghiuna ca teni accanto. Perseo. --La ciolla vidi chiddu ca l‟occhi nun vidunu. La ciolla senti chiddu ca l‟aricchi nun sentunu. La ciolla assapora chiddu ca la ucca nun sapi assaporare. La ciolla tocca chiddu ca li manu nun sanu tuccari. La ciolla nun parra ma dici chiddu ca li paroli nun sanu diri. La ciolla senti li ciaura ca lu nasu nun sapi capiri. La ciolla nun capisci na minkia, ma sapi fari la minkia. Cicio Kuli --La ciolla nun cumanna, ma lu so patruni è lu so servu. Pitio --Due tizi originari di Leonthynoy e Karleonthynoy cercarono di valutare il numero delle ciolle “modello Edipo” di cui aveva bisogno Helena per dimenticare la ciolla di Paryde. << Quattro milioni di ciolle “modello Edipo”>> disse il tizio di Karleonthynoy. << Otto milioni di ciolle >> replicò il tizio di Leonthynoy. Ma da Palermorum fecero sapere che la valutazione poteva arrivare al massimo a quaranta milioni di ciolle “modello Edipo.” Purtroppo un altro tizio perse i documenti e tutto finì a ciolla di orbo totale. Ignoravano i suddetti che per il pakkio libero di Helena qualsiasi ciolla valeva zero. Anche quella di Edipo. Mentre la ciolla di Paryde valeva più dell‟universo tutto sano sano. Ma loro purtroppo sapevano dare solo i numeri. La ciolla dell‟amante era per Helena la ciolla più orba d‟amore tra le ciolle orbe. --Quattro milioni.. otto milioni.. quaranta milioni.. senza documentazione che rottura di koglioni. Detto popolare --- E per tutto il palazzo reale risuonò ancora il lacerante e addolorato e notissimo urlo di Helena, la femmina dalla fika sofferente per eccellenza. Tonitruante come il solito. <<Voglio.. una minkia.. una minkia.. una minkia... una minkia.. una minkia... una minkia.. una minkia..>>. Per poi finire con un micidiale : <<Voglio una MINKIA >>. E pure la sua “Domus mentula”, urlò un “Domus mentula -tonitruante” urlo assai lapalissiano. <<Voglio una minkiaaaaaa...una minkia che sappia fare la minkiaaaaaa...>> E non era un lapsus calami o un lapsus linguae. In vino veritas. O meglio, in kunnus veritas. Gutta cavat lapidem, mentula cavat kunnus. Il sogno di Helena, e della sua “Domus mentula”, era quello di gridare in faccia all‟urbe, all‟orbe e all‟Olympazzo tutto :<<Habemus mentula>>. Ma il problema era “Quale mentula?” Una mentula qualsiasi o la mentula di Paryde? “Melius abundare quam deficere” diceva un detto latino latinamente latinissimo. E allora meglio un‟overdose di mentuline, mentule, mentulone e mentulazze per dimenticare la mentulina di Mynkyalao e non pensare alla mentulona di Paryde. << E overdose sia.. con tanti parerghi e senza paralipomeni >> disse Helena. --I panni sporchi si lavano in famiglia, le minkie tise si scaricano fuori. A padre avaro figliol prodigo assai, a minkia tisa pakkio più che mai. Detti popolari --- A curtigghiari c‟erano i tre intellettuali della ciolla che pinsavano già di scrivere rispettivamente, secondo la propria specializzazione, il Poema Helena s‟inphalla il phallo orbo dell‟orbo Edipo e poi cede al lesbismo di Antigone con tanto di partecipazione del Sosia di Paryde, il Carmen Helena s‟immentula la mentula cieca del cieco Edipo e poi si concede una storia con Antigone complice la mentula finta di Paryde, e il romanzo Cent‟anni della minkia orba dell‟orbo Edipo per il pakkio di Helena che sempre per cent‟anni si concede storie di fika con il pakkio di Antigone con però tanti intermezzi o imminkiamenti della finta minkia di Paryde che imminkia sia lei che Antigone. Sokratynos, il filosofo della minkia, si chiese: << La vita è una, come la minkia, e se non è un piacere vivere e avere una minkia, a che minkia serve avere una minkia se poi non puoi imminkiare manco quella troia di Helena che invece si lascia imminkiare dalla minkia orba di Edipo sotto gli occhi gelosi di Antigone che si considerava l‟unica autorizzata ad usarla come, dove e quando quella minkia l‟ispirava ma che una volta tanto l‟aveva concessa al pakkio insoddisfatto di Helena in cambio del Sosia di Paryde, e tutto questo mentre, minkia d‟una minkia che vorrebbe imminkiare a minkia cina, ci sarebbe sempre la mia tonitruante e filosofika minkia disponibilissima a imminkiarla filosofikamente?>>. --- << Voglio una minkia e no un simulacro di minkia. Ho bisogno di una minkia ma non so di quale minkia?comunque deve essere una minkia che sappia kazzicatummuliari>> litaniava in maniera sempre più ossessiva la sposina ninfomane. Helena non sapeva se andare da Paryde o dalla prima minkia che capitava dopo quelle vere e genuine e reali di Zeus, Eros, Apollo, Efesto, Ares, Ermete, Asclepio, Ganimede, Eolo, Achylle, Patroclo, Mynkyoreste, Pilade, Castore, Polluce e Edipo e quelle artificiali di Pallade e Artemide, a cui aveva però ricambiato il favore, ricevendo in regalo un Sosia che lei aveva battezzato “Gioconda”. E la “ Gioconda” era andata anche in kulo a Ganimede, Achylle, Patroclo, Mynkyoreste, Pilade, Castore, Polluce e Antigone. Di andare da Pryapo non se ne parlava completamente. Andare da Paryde voleva dire che era semplicemente innamorata, anche perché Paryde avia si un bell‟uccello ma non era certamente il massimo in fatto di misure. Ma lei avia il kunno innamorato: e l‟amore è capace di far teoricamente diventare un elefante magari una piccola mosca. << Vado a minkia e m‟imminkio sulla prima minkia per cercare di non pensare né alla minkia di Mynkyalao che mi fa schifo né a quella di Paryde che mi appititta. Ma se non troverò soddisfazione, gira e rigira, imminkia prima e imminkia appresso, è da Paryde che porterò il mio sesso. Perché per il mio kunnu chidda è la megghiu minkia di lu munnu>>. --<< Voglio una minkia. Voglio una minkia e no un simulacro di minkia. Ho bisogno di una minkia ma non so di quale minkia? Voglio una minkia e no una bestiaccia di minkia. Voglio una minkia e no una bestiona di minkia. Una minkia che sappia fare la minkia. Voglio una minkia. Una minkia. Una grande minkia. Una minkia kazzicatummuliatrice. Insomma, se la ciolla maritale è un fallimento, la sposina deve andare direttamente da quella che è la ciolla già sperimentata dell‟amante o iniziare la ricerca della ciolla ideale, sperimentando minkie su minkie e ancora minkie e minkie e poi ancora minkie a iosa, alla sanfasò e a tinchitè tout court e full time? Oppure, per tagliare la testa al toro, correre da Pryapo e farsi somministrare la sua ciolla, praticamente la regina di tutte le minkie dell‟urbe, dell‟orbe e dell‟Olympazzo. Insomma insomma, il kazzo amatissimo dell‟amatissimo amante o il kazzone katholikos di Pryapo o semplicemente kazzi su kazzi scelti a kazzo ma che sappiano fare professionalmente il lavoro del kazzo? Insomma insomma insomma, unni minkia sta na bella minkia kazzicatummuliante? >> continuava a gridare Helena. Era stanca Helena ma voleva ancora una minkia. Non la minkia innamorata di Paryde e neanche quella mostruosa di Pryapo. Naturalmente era da escludere quella fuori uso del marito minkialenta. Girando e piangendo come una prefika specializzata pinsava sempre alla minkia. Alla minkia come tale e non come appendice di un mascolo in particolare. E girando girando pi lu palazzu intisi nu lamento. Ci trasiu dintra lu cori da tutti li parti. Dalle orecchie come dal pakkio, dalla bocca come dal kulo. Trasiu na la camera e trovò il cognato Agamynkyone da solo. Si la stava minannu. << Cognato, chi kazzu di minkia stai facennu?>>. << Chiddu kazzu di minkia ca tu stai virennu>>. << Viru ca ti la mini a tutta minkia, assai inkazzato. E non ti vergogni di mia, carissimo cognato>>. << In privato, ognuno come gli pare fa sesso. E tu sei trasuta senza chiedere permesso>>. << Vero, scusami, e dammi il tuo perdono reale>>. << Vaffankulo, tu e la tua biddizza eccezionale>>. E intanto lavorava di mano a tinchitè. << Chi minkia successi, cognato mio beddu>>. << Litigai cu Fikennestra ca vulia lu me aceddu>>. << E tu pirchì la cicia nun ci lu davi alla sanfasò. Sai ca mia sorella quannu la cicia la vò la vò>>. << Ma iu tinia autri minkia di pinseri pi lu kazzu. Pinsavu a n‟autru minkia di kazzu di stikkiazzu>>. << Come io penso a n‟autru minkia di beddu kazzu>>. << Comunque ci dissi assai chiaru e tunnu: Vai a inkunnarti la minkia d‟oro in kunnu>>. E intanto lavorava. Sempre di mano. Lavorava a iosa. << Minkia, chi kazzu di curaggiu ranni, seduta stante, a mannalla ufficialmente dalla minkia dell‟amante>>. << Un buttano, na minkia di buttano da strapazzo. È sulu na testa di minkia e magari di kazzo>>. << A mia mi ni futti na cicia di nenti però. Lu me stikkiu purtroppo vacanti arristò>>. << Pirchì, Mynkyalao cu la so cicia nun ci sapi fari? Me frati forse nun ti la sapi la ciolla calari?>> chiese fintamente curioso Agamynkyone, sempre lavorando di mano e celermente anche. Praticamente alla sanfasò. << E‟ minkialenta perchè altrove va a scaricare. La teni d‟avorio, sempre dura e sempre tisa. Ma è sempre stancu e ci annoia a fari la misa. E se proprio la metti, lu fa senza entusiasmo. E io mi lo sogno di raggiungere l‟orgasmo. Pertanto non so chi minkia di minkia devo fare. Li stiddi nun li viru, sulu chiddi do celu pozzu contare>>. << E tu fai la stissa cosa. Minkia, fai li stissi fatti. Acchiappa subito la prima ciolla ca ti ammatti>>. E accelerò i lavori di minamento. Tout court e full time. << Adesso chi minkia mi piglio, la to mazza?>>. << E chi kazzu di mali c‟è, è di la stissa razza di lu beddu Mynkyalao dalla minkialenta. Inveci la mia ciolla, come vedi, attrenta>>. Accelerò ancora il ritmo dell‟operazione manuale. A iosa, alla sanfasò e a tinchitè. << Certo, ti la mini come un vero ossesso. Neanche davanti a mia hai smesso>>. << Tu non sai come soffre la mia bedda ciolla. E stai sicura che non è certamente stolla. Io so chi l‟attizza accussì assai fortemente. E smettere davanti a tanta biddizza è da deficiente>>. Incrementò la velocità tout court e full time. << Comunque la tua ciolla non la voglio certamente>>. << Ma io la me cicia vorrei tanto passartela ardentemente. E da tempo che la ciolla mia pi tia arde inutilmente. S‟adduma e s‟impenna inutilmente per la tua passera spilata. Ma la tua passera, col mio passero, non s‟è mai maritata>>. E rallentò i lavori manuali che erano comunque arrivati a buon punto. Più che a tinchitè, a tinchitetta. << Ma io non voglio lu to kazzu di minkia d‟aceddu. Io non voglio essere l‟amante di lu me cugnateddu>>. << Ma iu, figghia, sacciu ben kazzicatummuliari>>. << Pi mia, caro Agamynkyone, ti la poi assai minari. Minari in eternum, a iosa, alla sanfasò e a tinchitè. Minari finu a quannu nu tanticchia di minkia c‟è>>. << E allora dammi almeno una mano pi na minata. Per finire sta tragedia di sta kazzo di minkia arrapata>>. E lasciò libera la ciolla ardente chiù che mai. Ardente a iosa. << No e poi no. Minkia, a tia non ti dugnu nenti>>. << Minkia. Certu, tu la dai sulu all‟autra genti. A li frusteri, pi essere chiari chiaramente. Se arriva nu picciotto dalla cicia impertinente, tu ci allarghi li cosci subito e immediatamente. Magari ci dici “S‟accomodasse, principino beddu, mi mittissi dintra il suo simpaticissimo aceddu>>. E, inkazzato, riprese i lavori di rifinitura della colonna di carne. Inkazzato a tinchitazzo. << Cu lu pakkiu miu fazzu soccu minkia vuoiu iu>> << Ma na manu è sulu na manu. Na manu e poi niente>> disse Agamynkyone implorante. << Vaffankulo a tia e alla tua minkia deficiente>> rispose Helena. << Dammi la ucca pi na sukatedda, ca tu fari la sai>>. E s‟alliccau lu mussu. << No e poi no. Semmai autusukitilla se ci la fai>>. << Allura dammi lu kulu. Dammi su kulu beddu>>. Accelerò di nuovo i lavori. << Tu, caro mio, si fora di minkia e di ciriveddu. Gira se puoi, della minkia tua la cappella. Così t‟inkiappetti con la tua stessa ciolla bella>>. << Ma chi minkia dici, buttanazza di nome e di fatto. Non nel mio kulo, ma nei kuli altrui io la sbatto>>. A mia comunque mi attizzi la ciolla assai>>. Accelerò e con entrambe le mani. Inkazzatissimo a iosissimo. << Ma a mia non mi avrai mai e poi mai>>. << Ti desi in sposa a chiddu kazzu di mio fratello pinsanniti già inkoppolata sul mio uccello>>. Il ritmo aumentò inverosimilmente. << Mai.. mai e poi mai.. ti la poi fari a manu almeno per un secolo e mezzo sanu sanu>>. << Stronza sukaminkia e buttana assai ranni ca vai firriannu sempre senza mutanni. Cu lu pakkiu in fiamme e beddu spilatu ca d‟aceddu tout court eni appitittatu. Perché a me pare, che se solo potessi, del mondo intero ti faresti tutti i sessi>>. Accelerò ancora. Inkazzatissimo tout court e full time. << Che vuoi, ciolletta persa e grande koglione, una mia minkia di kazzo di confessione? In fondo hai na facci a minkiuni di sacerdotazzu. Di quelli che chiedono solo li fatti di pakkiu e kazzu. Ti dico ”Tutti li kazzi e li ciolli e li minki mi farei. Ma la tua cicidda, mai e poi mai maissimo la kakerei>>. Iddu rallentò la missione intrapresa. Offeso di minkia si sentì. Super ultra inkazzato era. Passò dalla minata full time a quella part time. << Ammettilo, tantu lu sapi tutta quanta Monakazzo, ca di chidda minkia di Paryde ti piace il kazzo>>. Rallentò ancora. Sempre più offeso. Adesso si la minava part time del part time. << Mi piace assai, chidda ciolla mi piace sì. Perché di minkie ni vali almeno trentatrì. Mi piace accussì assai chidda minkia del suo uccello, che porto con me il suo Sosia, il suo finto gemello. Lo porto appinnutu al collo, a chista minkia di collana. E iddu abballa davanti alla mia duci e bedda tana. S‟insinua tra li cosci e mi accarezza lu purtusu. Ma lo fa con dolcezza, da kazzu assai amurusu. E sai come si chiama questa ciolla finta sua che è mia? La “Gioconda”, perchè cu idda il pakkio sempre si arrigria. Anche se finta, chista ciolla di Paryde è eccezionale, e vale chiù assai assaissimo del tuo kazzo animale>>. E ci lu ammusciau. Per poi piazzarselo di botto nel pakkio. A queste parole, e soprattutto a questa visione, Agamynkyone ebbe un orgasmo. Vinni a iosa, e nonostante cercasse di dirigere la pompa, non riuscì a colpire quella cosa. << Invece la minkia tua, della quale iu mi ni futtu, se devo esser sincera, mi pare una minkia a luttu. Non la vorrei mai e poi mai chissa cosa fitusa. Megghiu l‟astinenza ca sa cosa assai mirdusa. Mancu se fossi l‟unica minkia di lu munnu e di l‟Olympazzu. Megghiu ficcari cu lu me itu, ca cu chissa minkia di kazzu>>. A queste parole la minkia di Agamynkyone si sminkiò. Di colpo. In un fiat. Ma tanto era venuta. Si sminkiò per modo di dire, visto che era di materiale speciale. << Buttana, troia e curnuta kuluruttu e pakkiu beddu>>. << Ma no di tia e di chissu minkia di kazzarieddu. Lu kunnu miu è duci, è beddu ed è tuttu spilatu, e dalla tua minkia nun sarà mai e poi mai visitato. E per quanto riguarda il bel kulo mio, rotto è. Lu ruppi l‟eroe, l‟eroe che adesso chiù nun c‟è. Chista roba mia è bella assai e anche preziosa. E naturalmente non è roba pi la tua babba cosa >>. E ci lu ammusciò a tutta vista. Quasi spalancato, dopo che il Sosia c‟era stato. << Talia chi cosa speciale. Chi filazza eccezionale. Pari un taglio perfetto. Fatto da qualche dio benedetto. E poi nun ci sta mancu nu pilu, niente. Niente di niente. E‟ na fika a giorno, è una fika a vista realmente>>. La ciolla reale si mise subito additta. A causa di quelle parole e di quella vista. Intanto il Sosia finiu ancora lì. A fare il gioco del chicchiricchì. << E alla faccia del tuo babbo uccello tiso. Adesso la mia fika ti farà pure un sorriso>> aggiunse Helena. E tirato fuori il Sosia lo mise accanto alla filazza che automaticamente sorrise. Un doppio sorriso. Con le labbra piccole e con quelle grandi. Un doppio sorriso ca ci fici vedere all‟arrapato Agamynkyone anche il bottoncino dell‟amore. Puru lu funnu di lu kunnu ci fici abbidiri. A questo punto il re Agamynkyone perse la pazienza. << Ti fazzu abbidiri iu cu minkia è ca è kazzarieddu. Ti la ficcu puri dintra sa minkia di cirivieddu. Ti kazzicatummulio la minkia mia assai, a iosa. Ti la ficcu a tutti parti sta bedda minkia di la me cosa>>. Si susiu e si ittau sulla cognata. Con la forza ci strazzau la vistina e poi la ittau na lu lettu. E ci si assittau supra la panza. << Porco, bastardo e testa di kazzo. Figlio di buttana iarrusazzu> gridava Helena cercando di liberarsi da quella folle violenza regale. Iddu ci stava assittatu sulla panza e tinia la so ciolla tisa tra li minni. << Zitta, buttana, ca ti la ficcu na la ucca sana sana >>. << Provaci, se si unu cu la minkia curaggiusa. Ti la staccu cu nu morsu da sukaminkia iarrusa>>. << Balle.. rapi sa minkia di ucca e ammucca>>. E ci la stricò na lu mussu. E lei, come promesso, ci la muzzicò. << Hai.. sukaminkia ca a mia sukari nun mi la voi. Ora ti la sbattu in kulu e poi su kazzi sulu toi>>. << E iu, nu fattu è sicuru, ti deminkio col mio kulo>>. La lotta riprese e andò avanti. Tantu fici e strafici Agamynkyone, ca la misi a panza in giù. Poi ci disse: << Allora, come Teseo, ti sodomizzerò>>. << E io col kulo l‟aceddu ti decapiterò>>. Ci lu appoggiau na li natichi, anzi, ci lu misi tra li natichi. Ma chidda quasi quasi ci lu stritolò. << Minkia, chi buttana lurda e fitusa, mancu lu kulo mi voli dari sta iarrusa>>. A quelle parole Helena diede un colpo di kulo e lo fece cadere. Praticamente rinkulò. << Lassamu stari pirtantu pure stu kulu tunnu, e come è giusto, iemu na lu beddu kunnu>>. E si buttò, come un animale, sulla donna. Le spalancò le cosce e mise la ciolla davanti a portuso. Lei allora cu li mani ci strizzò li cugghiuna. << Hai.. li cugghiuna mi scoppianu. Hai.. chi duluri sanu sanu>>. Per il dolore sautò come un atleta. Ma fu un sauto a caso. Pertanto iu a sbattiri cu la minkia per terra. << Ahi , la minkia mi ruppi. Hai, mi ruppi lu kazzu. La ciolla si sfasciò. Chi kazzu fazzu senza kazzu. E pure li baddi mi fanu mali, mi li scoppiau, mi li stritolau, mi li sbunciau>>. Helena andò a vedere. Glielo prese con due dita, come si piglia na cosa fitusa, e si avvicinò con la faccia per taliare. << Tutto sano è, poviru pazzu. Ammaccatu nu tanticchia ma bonu pi circari stikkia, e per quanto riguarda le palle, non è successo niente. Solo na strizzatina fu>>. Ma quello, oramai eccitatissimo, anche se dolorante, desi un colpo di kulo, e ci sbattiu la koppola della ciolla in faccia. Anzi, sul musso, per essere precisi, e siccome idda rapiu la ucca, la koppola un poco trasiu. Trasiu e vinni. Vinni in bocca e in faccia all‟amata cognata Helena. << Minnitta, minnitta ranni e infinita. Ti sfunnu lu kulu e ti levo la vita>> gridò la femmina orba di odio. Agamynkyone rise. Ma era bloccato a terra. Non poteva alzarsi. E lei pi minnita ci desi un calcio nei koglioni che quello rincoglionì per un bel po‟. Restò a pancia in giù e con le mani sulla parte addolorata. Restò così a taliare la cugnata. Come nu babbu. << Minnitta, minnitta rannazza. Minnitta a minkia pazza. Io ti lu sfunnu lu kulu, cu sta pseudominciazza. Ma prima, tanto per capire che significa godere, guarda cosa ci faccio col Sosia, stai a vedere>>. Helena si fici una fottuta col Sosia godendo alla sanfasò. Il re taliò come un koglione fuori uso. Taliò alliccandosi lu mussu. Ma tenendosi i koglioni e la ciolla. Il dolore era tanto. Poi purtroppo arrivò la promessa. Idda, preso il Sosia, glielo piazzò di botto nel kulo. Lui gridò per il dolore. Ma non poteva opporsi. Era come paralizzato. E lei sempre a fare trasi e nesci col Sosia da quel kulo reale. Fino ha trasformare il dolore in piacere. Agamynkyone infatti godette. Di kulo però. << Tu, re koglione dei koglioni, volevi fottermi alla sanfasò. Invece fu il Sosia di Paryde che ti kazzicatummuliò>>. Così dicendo lei si allontanò. Ma lui, che come tutti gli uomini era convinto di riuscire a soddisfare qualsiasi femmina, nonostante il dolore, ci disse: << Devi comunque sapere che la minkia mia, diciamolo chiaru e tunnu, avrebbe potuto stutari lu focu ca ardia na lu to kunnu>>. << Mancu putia di na stizza, lu kunnu a mia mi pruri e m‟attizza. Iddu assai m‟impazza e so che voli tutt‟autra minciazza. Comunque, a parte tutto, n‟autru fattu è sicuro. Fu il Sosia di Paryde, la sua finta minkia, ca iu nel tuo kulo. La finta “Gioconda”, bella , dura, risolente e bona, nel tuo lario e racchio kulo fici assai lampi e assai trona. E a dirla tutta, ma proprio tutta tutta veramente, il Sosia ancora nel tuo kulo se la gode divinamente>> rispose Helena. Agamynkyone piangeva per il dolore . Ma anche per il “No“ di Helena. E si rese conto che piangeva anche per quel Sosia che gli tappava il kulo. Eppure gli piaceva quel tappo. Poi lu sciu di botto e ci lu ittau alla cognata che al volo l‟acchiappò. E intanto gridava per il dolore. Ma anche per il piacere. << “Animus meminisse horret”, kulus anche , e mentula pure. Ma ricordati, chi di minkia ferisce di minkia perisce. Ma sai chi ti ricu? Se voi na minciazza veramenti assai imponente. Vatti a spurpari sana sana quella di Pryapo immediatamente>>. << No>>. E scappando verso la porta, idda ci disse: << Sai a chi, Mynkyalao ci la fikka?>>. << No, e mi ni futti na minkia sicca>>. << Tu ti ni futti, e inveci lu sanu tutti peri peri, ca a Ifikanya ci la fikka davanti e darreri>>. Ma Agamynkyone non sentì il nome della figlia, svenne prima, per il troppo dolore. Helena si desi na lavata a la facci, sputò la simenta odiata e si misi na vistina di so soru Fikennestra. E sciu di cursa pinsannu che voleva ancora minkie su minkie e poi ancora minkie. Per non pensare alla minkia amata di Paryde. Per non pensare alla minkia inutile del marito. Per non pensare alla minkia fitusa del cognato. Per non pensare neanche alla minkia mostruosa di Pryapo che addimorava in quel palazzo. E si accese nu minkiuni enorme di minkiajuana gridando sempre “Voglio una minkia”. Helena naturalmente era assai scontenta per quanto successo. Il teatro col minkione di Agamynkyone era stato uno spettacolo brutto. Il suo netto rifiuto aveva avuto delle conseguenze. Una quasi tragedia. Una tragedia piena di dolore e sofferenza. Ma anche piena di violenza. Praticamente un abuso di potere a tempo pieno. Se il marito aveva la ciolla stanca, questo aveva la ciolla impertinente. Una brutta messa in scena però. Da tutti i punti di vista. Bellissima comunque lei, drammatico il re. Ma anche inutile e meschino. La classica ciolla cretina al potere. Ma lei non avrebbe mai e poi mai maissimo kazzicatummuliato con cognato re. Comunque da attori professionisti la performance. Che tutto sommato era stata parecchio movimentata. E se un fottuto reale c‟era stato, era stato Agamynkyone. Però la sua “Luna” per principio non avrebbe mai concesso l‟allunaggio a quel fituso del cognato. Per scelta e principio. Magari a tutte le ciolle del mondo sì, ma ad Agamynkyone no. Titolo plausibile, A letto con la ciolla del cognato mai. Nel complesso un esempio di Teatro negazione. E in testa il solito pinsero: << Che kazzo devo fare?>>. Anche Agamynkyone, al risveglio, più tonto del solito, si addumò non uno ma ben tre minkiuna di minkiajuana. E contemporaneamente se li sukò. Ci parse di sukare la fika di Helena. Pinsò che quei tre minkiuna fossero di “erba fikina”. <<Che mentula di ciolla di cicia del kazzo di una minkia devo fare?>> pinsava intanto Helena. E intanto firriava. E firriando pinsava alla minkia ideale. Che era quella di Paryde. E pertanto, prima o poi, di kazzicatummila in kazzicatummila, era con quella che doveva kazzicatummuliari. E sentiva avvicinarsi il momento, man mano che la lunga “notte di nozze di Helena” andava via via trascorrendo. Man mano che il “minkia tur” procedeva, il trofeo posto al traguardo si avvicinava. --Minkione d‟un Agamynkyone, sei tu il più minkione dei viventi. Così come il tuo kazzo è il più minkione tra i kazzi dell‟orbe e dell‟urbe. E a dire il vero, un kazzo così scemo, non si trova manco nell‟Olympazzo. Io, Helena, padrona di fika indipendente, autonoma ed onesta, mi farei il mondo intero, ma mai e poi mai la tua mentula funesta. Non per qualcosa, ma è la fimmina che apre le porte del piacere alla ciolla che duna felicita alla sanfasò, a tinchitè e a iosa. Alcibiade --- Due tizi originari di Leonthynoy e Karleonthynoy cercarono di valutare il numero delle ciolle “modello Agamynkyone” di cui aveva bisogno Helena per dimenticare la ciolla di Paryde. << Manco quattro miliardi di miliardi di miliardi di ciolle “modello Agamynkyone” basterebbero. Mentre per dimenticare la ciolla di Agamynkyone basterebbe un piccolo pisello nel senso di pisello piccolo. Uno e basta. Uno ma piselliforme>> disse il tizio di Karleonthynoy. Ma nella sua testa pensò:<< A dire il vero veramente, secondo me, basterebbe il dito mignolo della stessa Helena>>. << Manco otto miliardi di miliardi di miliardi di ciolle basterebbero. Mentre per dimenticare la ciolla di Agamynkyone basterebbe una piccola fava nel senso di fava piccola. Una e basta. Una ma faviforme>> replicò il tizio di Leonthynoy. Ma nella sua testa pensò:<< A dire il vero veramente, secondo me, basterebbe il dito pollice della stessa Helena>>. Ma da Palermorum fecero sapere che la valutazione poteva arrivare al massimo a quaranta miliardi di ciolle “modello Agamynkyone”. Naturalmente per dimenticare la ciolla di Paryde. Per la ciolla di Agamynkyone non c‟erano problemi, la valutazione era zero. Purtroppo un altro tizio perse i documenti e tutto finì a ciolla rifiutata. Ignoravano i suddetti che per il pakkio libero di Helena qualsiasi ciolla valeva zero. Anche quella di Agamynkyone. Anzi, questa valeva meno di zero. Era una ciolla nulla. Mentre la ciolla di Paryde valeva più dell‟universo tutto sano sano. Ma loro purtroppo sapevano dare solo i numeri. La ciolla dell‟amante era per Helena la ciolla che valeva tutte le ciolle dell‟universo. Tutte, meno quella di Agamynkyone. La ciolla di Paryde pi lei era l‟apoteosi della ciolla. E il prototipo delle ciolle. Il modello delle minkie. La cicia delle cicie. La minkia del cognato invece era il nulla più nulla del nulla, il nulla totale e assoluto. Lo “zero assoluto ” disse uno scienziato, ma nessuno capiva questo semplice concetto scientifico. Meno che mai i due tizi in questione. Sapevano cos‟era lo zero, ma lo “zero assoluto” era fuori dal loro comprendonio. Era un concetto troppo astratto. --Quattro milioni.. otto milioni.. quaranta milioni.. senza documentazione che rottura di koglioni. Detto popolare --- Per tutto il palazzo reale, da nord a sud, e da est ad ovest, risuonò il solito lacerante e addolorato urlo di Helena. Un urlo come sempre tonitruante. Un urlo che faceva tremare i minkianeuroni della minkia e i neurokoglioni dei testicoli. Un urlo ca paria l‟annuncio dell‟apocalisse. Un urlo che annunciava tutta la disperazione della sua fika. Un urlo che chiamava la minkia tout court e full time. <<Voglio.. una minkia.. una minkia.. una minkia... una minkia.. una minkia... una minkia.. una minkia..>>. Per poi finire con un micidiale : <<Voglio una MINKIA >>. E pure la sua “Camera del tesoro” urlò un “Camera del tesoro - tonitruante” urlo assai lapalissiano. <<Voglio una minkiaaaaaa...una minkia che sappia fare la minkiaaaaaa..>>. E non era un lapsus calami o un lapsus linguae. In vino veritas. O meglio, in kunnus veritas. Gutta cavat lapidem, mentula cavat kunnus. Il sogno di Helena, e della sua “Camera del tesoro”, era quello di gridare in faccia all‟urbe, all‟orbe e all‟Olympazzo tutto:<< Habemus mentula>>. Ma il problema era “Quale mentula?” Una mentula qualsiasi o la mentula di Paryde? “Melius abundare quam deficere” diceva un detto latino latinamente latinissimo. E allora meglio un‟overdose di mentuline, mentule, mentulone e mentulazze per dimenticare la mentulina di Mynkyalao e non pensare alla mentulona di Paryde. << E overdose sia.. con tanti parerghi e senza paralipomeni >> disse Helena. --Una rondine non fa primavera na lu munnu, ma un aceddu la fa na lu kunnu. Un passero in aria è come una minkia al vento ca firria tunnu tunnu. un passero nella passera è come una minkia in kunnu. Non destar il can che dorme, ma cerca di svegliare la minkia che dorme. Moglie e buoi dai paesi tuoi, kulu e kunnu da tuttu lu munnu. Agosto, moglie mia non ti conosco. Agosto, per la mia minkia voglio un nuovo posto. Gente allegra il ciel l‟aiuta, minkie tise assicurata è la fottuta. Detti popolari --A curtigghiari c‟erano i tre intellettuali della ciolla che pinsavano già di scrivere rispettivamente, secondo la propria specializzazione, il Poema Helena non s‟inphalla il phallo di Agamynkyone però l‟inkula col Sosia di Paryde, il Carmen Helena non s‟immentula la mentula di Agamynkyone però gli piazza in kulo il Sosia di Paryde, e il romanzo Cent‟anni di “no” alla minkia di Agamynkyone da parte di Helena a nome del suo pakkio e cent‟anni di “sì“ alla somministrazione del Sosia di Paryde nel kulo del re di Munypuzos. Sokratynos, il filosofo della minkia, si chiese: << La vita è una, come la minkia, e se non è un piacere vivere e avere una minkia, a che minkia serve avere una minkia se poi non puoi imminkiare manco quella troia di Helena che invece si lascia imminkiare dalla prima minkia che capita purché quella minkia appartenga a qualche testa di minkia della nomenclatura divina o umana, ma che comunque, piacere grande per tutte le minkie del popolo che insieme formano una massa di minkie, non si lasciò imminkiare da quella testa di minkia del cognato Agamynkyone che aveva messo su quella minkia di matrimonio della minkia solo per potersi, prima o poi, imminkiare la fika attisaminkia di quella perfetta fika da minkia di Helena, e tutto questo mentre, minkia d‟una minkia che vorrebbe imminkiare a minkia cina, ci sarebbe la mia tonitruante e filosofika minkia disponibilissima a imminkiarla finanche filosofikamente?>>. --<< Voglio una minkia e no un simulacro di minkia. Ho bisogno di una minkia, ma non so di quale minkia? Però deve essere una minkia kazzicatummuliante assai>> litaniava in maniera oramai assai assaissimo ossessiva la delusissima sposina.. Helena non sapeva se andare da Paryde o dalla prima minkia che capitava dopo quelle vere e genuine e reali di Zeus, Eros, Apollo, Efesto, Ares, Ermete, Asclepio, Ganimede, Eolo, Achylle, Patroclo, Mynkyoreste, Pilade, Castore, Polluce e Edipo e quelle artificiali di Pallade e Artemide a cui aveva però ricambiato il favore ricevendo in regalo un Sosia che lei aveva battezzato “Gioconda”. E la “Gioconda” era andata in kulo a Ganimede, Achylle, Patroclo, Mynkyoreste, Pilade, Castore, Polluce e Antigone. E per minnitta e solo per quello era andata in kulo ad Agamynkyone che però non era andato in kunno alla cognata che aveva optato per il “gran rifiuto” . Di andare da Pryapo non se ne parlava completamente. Andare da Paryde voleva dire che era semplicemente innamorata, anche perché Paryde avia si un bell‟uccello ma non era certamente il massimo in fatto di misure. Ma lei avia il kunno innamorato: e l‟amore è capace di far teoricamente diventare un elefante magari una piccola mosca. << Vado a minkia e m‟imminkio sulla prima minkia per cercare di non pensare né alla minkia di Mynkyalao che mi fa schifo né a quella di Paryde che mi appititta. Ma se non troverò soddisfazione, gira e rigira, imminkia prima e imminkia appresso, è da Paryde che porterò il mio sesso. Perché per il mio kunnu chidda è la megghiu minkia di lu munnu>>. --<< Voglio una minkia. Voglio una minkia. Voglio una minkia e no un simulacro di minkia. Ho bisogno di una minkia ma non so di quale minkia? Voglio una minkia e no una bestiaccia di minkia. Voglio una minkia e no una bestiona di minkia. Voglio una minkia che sappia fare la minkia. Voglio una minkia, una minkia, una grande minkia. Voglio una minkia kazzicatummuliatrice. Insomma, se la ciolla maritale è un fallimento, la sposina deve andare direttamente da quella che è la ciolla già sperimentata dell‟amante o iniziare la ricerca della ciolla ideale, sperimentando minkie su minkie e ancora minkie e minkie e poi ancora minkie a iosa, alla sanfasò e a tinchitè tout court e full time? Oppure, per tagliare la testa al toro, correre da Pryapo e farsi somministrare la sua ciolla, praticamente la regina di tutte le minkie dell‟urbe, dell‟orbe e dell‟Olympazzo. Insomma insomma, il kazzo amatissimo dell‟amatissimo amante o il kazzone katholikos di Pryapo o semplicemente kazzi su kazzi scelti a kazzo ma che sappiano fare professionalmente il lavoro del kazzo? Insomma insomma insomma, anch‟io ho il diritto di ben kazzicatummuliare. O no?>> continuava a gridare Helena. E non sapendo cosa fare, sempre invocando e sognando e immaginando e desiderando minkie e ancora minkie, Helena curriu dal furbo Odisseo. Ma non entrò subito. Quello stava parlando. O meglio, recitando. Paria impegnato in un pezzo da teatro. Paria un politico serio ma sparapalle. Paria impegnato in un monologo tragico ma ironico. Helena si fermò e si mise ad ascoltare. Era suadente la voce di Odisseo. Paria il canto delle Sirene. Era sensualissima. Ci trasiu direttamente nel pakkio e non solo. << “ Furbizia”, “Furbizia “ personifikata ed eccezionale: Che devo fare per la mia situazione personale? Devo tornare dalla mia Penelope skassapiselli? O devo farmi un ventennale giro dei bordelli? Rispondimi, “Furbizia“, sii illuminante. Dammi un segnale chiaro, evidente, lampante. Ahhhhhhhhhhhhhhhhhhh.. dammelo qua. Se non attiserai da mia moglie subito tornerò. Ma se attiserai in giro per il mondo me ne andrò. Se verrai a nord verso sud mi dirigerò sano sano. Ma se verrai a nord a sud mi recherò piano piano. E se verrai a ponente io andrò giustamente a levante . Se verrai a levante dall‟altra parte andrò immediatamente. Rispondimi, “Furbizia” , sii chiara e illuminante. Dammi un segnale chiaro, evidente, lampante. Ihhhhhhhhhhhhhhhhhhh... dammelo sì. Ma se verrai verso l‟alto che minkia devo fare? Al centro della terra non posso mica andare. In montagna allora andrò e senza fare storie. In realtà altre dovrebbero essere le mie glorie. Perché tu sai, o “Furbizia” mia, che son uomo di mare. Ho una minkia, e tu lo sai, che nell‟acqua sa ben stare. E pisciforme, e come un pesce in fika idda sa nuotare. Ma sarebbe più giusto assai salire cu idda nell‟Olympazzo. Ma Zeus teme la mia “Furbizia”, il mio furbo kazzo. Rispondimi, “Furbizia”, sii chiara e illuminante. Dammi un segnale chiaro, evidente, lampante. Ahhhhhhhhhhhhhhhhhhh... dammelo qua>>. <<Minkia che attore, potrebbe recitare al teatro greco di Epidauro la bella, ma anche in quello di Taormina la bellissima, o di Akraj al bidduzza ma non in quello di Sarausa per motivi tecnici: le multazze e altro>> pinsò Helena che finalmente si decise a taliare. <<Minkia, minkia, che spettacolo della minkia>> pinsò Helena taliando. Odisseo era disteso nel letto con le gambe e le braccia a X e quattro femmine con una mano gli tenevano uno degli arti fermo e con l‟altra gliela minavano. Quattro mani per una minkia. E la povera ciolla, povera per modo di dire, era strapazzata alla sanfasò. Un colpo di qua e uno di là. Helena capì chiaramente le parole del monologo di Odisseo. E trasiu di botto. E di botto la ciolla si ammosciò. << O bedd‟aceddu, torni da tua moglie Penelope o no?>> chiese Helena. << No, perché per colpa tua la minkia mia s‟ammosciò>>. << Rinascerà, risorgerà, rifiorirà, ma lasciami però fare>>. << O beddu pakkiu, ma che minkia ti sei maritata a fare?>>. << Tanto per addivintari regina, regina potenti e ranni. Pinsannu ca Mynkyalao tinissi n‟eroe dintra li mutanni. Invece teni na cosa ca più che altro dorme e riposa. E idda, la minkia babba, lassa vacanti la mia vorace cosa. E se riposa è pirchì ci sta na gran figghia di buttana ca ci la sta spurpannu, tout court e full time, sana sana. Pertanto la mia fiketta bedda cerca kazzi alla sanfasò. A chi teni bona la minkia, io la fika subito gliela do‟. Paria bona la tua cicia bella, ma arrimuddò per niente. Non la devi chiamare “Furbizia” ma solo “Deficiente”>>. Odisseo la taliò di brutto. Sminkiato e inkazzato com‟era. << Io tornerei a letto e mi immolerei sulla minkia di mio marito all‟istante. Poi chiuderei gli occhi e sognerei di cavalcare il mio bell‟amante. E quannu proprio lu pitittu mi addivorerebbe lu pakkiu infuocato. Penserei all‟amante e cu lu itu darei aiutu a lu me stikkiu addolorato. E se propriu lu itu nun fosse per niente sufficiente a dare consolazione. M‟accatterei un Sosia della minkia del mio amatissimo minkione >> rispose Odisseo sempre più inkazzato. << Da mio marito non torno, no. Per carità. E il Sosia ci l‟haiu già>>. << Usalo allora, usalo a iosa e alla sanfasò, usalo se ti va?>>. << No. No e poi no. Il Sosia non va bene se c‟è la carnazza. Sì al Sosia, ma solo se manca la vera mazza>>. << Sofisticata babba come Mynkyalao e la so razza. Si scema tutta, ninfomane sicuro e fors‟anche pazza>>. << Pazza di minkia sono, pazza di kazzo, pazza di ciolla bona. Pazza di fallo, pazza di mentula ca sappia fare lampi e trona>>. << Pi mia solo pazza sei. E pazza finanche tropp‟assai. Penelope, in confronto a tia, è una santa e così sia. D‟altra parte la tua fika sarà solo portatrice di guai. Malirittu lu iornu ca nata sei in chistu kazzu di munnu. Maliritta tu, cu ti siminò e malirittu puru lu to kunnu>>. << Zeus mi siminò, malirittu bestemmiatore di li dia. Pi tia ci sarà solo lu Tartaro. Lu Tartaro e così sia>>. << Chi minkia dici? Io cu la me furbizia ca mi nesci da li capiddi avissa cririri a l‟Olympazzo e a li so minkia di pupi e pupiddi? Io ateo sono e dell‟Olympazzo mi ni futto a iosa e a tinchitè. Iu criru, a dire il vero, sulu a la me bedda minkia e a me. Se girerò lu munnu non è per destino o per volontà divina. E che a mia mi piaci circari kunna e futtilli a minkia cina. Mi piace girare pi paisi e terre sconosciute e misteriose, pi capiri la varietà di la fika e tutte le annesse e connesse cose. Tornare a casa da Penelope e Telemachetto scassapiselli? No. Meglio prendere in kulo del mondo tutti gli uccelli>> precisò il sempre inkazzatissimo Odisseo.. << Odisseo, uccello io non ho, mentre il tuo io vorrei. Per consolare la mia fika, la mia cara e delusa lei. E brutto cercar minkie e ciolle la notte del matrimonio. Ma il mio Tartaro vuole per forza il suo demonio. Odisseo, chi minkia di minkia di kazzu fazzu? Consolami la parte addolorata, altrimenti m‟ammazzu. Dammi la tua ciolla, ficchimilla tutta e assai assai. Kazzicatummulimmi a più non posso, come non mai>>. << Mancu pi lu kazzu... tu si assassina ranni di uccelli. Più assai assaissimo di Penelope tu sei skassapiselli>>. Le femmine non riuscivano a rimettere in sesto la “Furbizia”. E Odisseo vedeva crescere in maniera incommensurabile la sua inkazzatura. << Io li ammoscio l‟acedda, ma li metto anche additta. La mia arte erotica è vera, non è per niente aria fritta. Levatevi dalle balle femminazze senz‟arte ne parte, che con otto mani potete andare a giocare a carte. Se in quattro una minkia di ciolla non sapete risollevare, è meglio che come femmine smettete di operare. Andate via tutte e lassatimi a mia quella ciolla. In un fiat non sarà chiù minkia babba e mancu stolla. E poi, Odisseo caro, hai detto di esser minkia - pesce di mare. Ebbene, nel mio stikkio ci sta l‟oceano, datti da fare>>. Odisseo taliava come un koglione. La sua “Furbizia” giaceva come morta. Ma in un amen Helena la mise additta. Si avvicinò a quella ciolla e ci parrò. Poi la toccò con la punta della lingua, e quella si mise in piedi. Tisa assai. Anzi tisissima. << Minkia, Helena dei miracoli sei>>. E Odisseo, felice, si la fece la bella Helena, in quattro e quattrotto. La futtiu e rifuttiu col botto. La misi alla pecorina e la trummiau davanti e darreri a minkia cina. Poi ci fici cangiari posizioni e ci futtiu dintra magari i koglioni. A ammentri ca iucavanu a trasi e nesci il Sosia abballava per i fatti suoi. E ammentri sperimentavano una posizione acrobatica, che Odisseo era esperto in questo, la furbissima Helena pinsau furbescamente di farsi a Odisseo con il Sosia di Paryde. Ma Odisseo era furbissimo e capì la sceneggiata e furbescamente la lassau fare. Ma quannu capì che la furbissima mano di Helena avia misu la finta minkia davanti al furbissimo buco del suo furbissimo kulo, Odisseo, con una furbissima e acrobaticissima mossa, rovesciò tutte le posizioni, e da quella posizione acrobatica passò ad un'altra ancora più acrobatica, con il risultato che la finta minkia finì nel kulo della stessa Helena, che da inkulante che voleva essere, si trovò ad essere inkulata. Provò però tantissimo piacere. E piacere assai provò anche il furbissimo Odisseo e la sua furbissima minkia che s‟appellava “Furbizia”. Più che una fikkata tra Odisseo ed Helena quello era stato un duello tra due minkie, la “Furbizia” e la “Gioconda”. E aveva vinto la “Furbizia”. << Itu miu o ciolla d‟amante: questo è il dilemma mio? >> disse Helena. << Minkia. Meglio senz‟altro la ciolla, ti rispondo io>>. << Ma di chi? Di mio marito o di chi minkia voglio io?>>. << Se la minkia di lu maritu vali menu di na minkia di itu, lu kazzu di l‟amanti è senz‟altro il kazzo preferito. Ma se l‟amante non puoi avere per ben trombare, di quello che ti passa il mercato ti devi accontentare. E se proprio lu chiodu cu n‟autro vuoi scacciare, cerca la bestia di Pryapo e da chiddu fattilla passari. Anche se sono quasi sicuru, e dico veramente la verità, che neanche lui, cu chiddu gran kazzu, ti soddisferà. Perchè nonostante il suo potente armamentario, il problema non è la minkia ma il suo proprietario>>. << Andrò da Pryapo. Sì, io andrò dal dio dei bordelli. Il suo kazzo vale mille e mille e mille ancora uccelli>>. << Ma almeno dimmi se la minkia mia, e dimmillu chiaru e tunnu, se la furba minkia mia lu stutau lu focu ca ardia na lu to kunnu? >> chiese Odisseo, perché, come a tutti i maschi, anche a lui ci piacia sentirsi dire dalla fimmina ca era tutta ma proprio tutta soddisfatta. << Mancu di na stizza, lu kunnu mi pruri e m‟attizza. Iddu assai m‟impazza e voli tutt‟autra minciazza. Anche se devo dire, e sono sincera, ca a futtiri cu tia, sia lu kunnu ca lu ciriveddu assai assaissimo si arrigria. E poi il ribaltone assai assaissimo veramente m‟è piaciuto. Mi son trovata inkulata mentri eri tu che dovevi esser fottuto>> rispose Helena . << Che fai allora, bedda mangiacicia di la minkia mia? Pryapo, Mynkyalao o Paryde o autra minkia e così sia? >>. << Voglio la minkia di Mynkyalao? No, sono sicura. Non adesso. Voglio la minkia di Paryde? Sì. Sono sicura. Ma non adesso. Però, voglio provare la minkia di Pryapo? Certo. E adesso. E subito. Ma voglio anche minkie su minkie e poi ancora minkie e minkie e minkie e ancora minkie, perché io voglio sempre una minkia nel pakkio. Voglio solo e sempre una minkia. Voglio una minkia>> gridava adesso Helena. << “ Nosce te ipsum” dice un detto, ovvero “ conosci te stesso”, e per conoscere il tuo pakkio di Pryapo devi assaggiare il sesso. N‟autro detto dice “ omnia vincit amor, et nos cedamus amori”, ma prima dell‟amore è giusto provare Pryapo e i suoi erotici furori. E sai chi ti ricu? Se voi na minciazza veramenti assai imponente. Vatti a spurpari sana sana quella di Pryapo immediatamente>>. << Sì>> gridò. E gridando sukava. Non una minkia ma nu minkiuni di minkiajuana. Era comunque contenta Helena. Il teatro con Odisseo era stato uno spettacolo bello. Una bella messa in scena. Le quattro ragazze avevano addirittura applaudito. Bellissima lei, brutto ma bravo lui. Da attori professionisti la performance. E poi, come in un bel giallo, c‟era stato il colpo di scena finale. Ma nonostante le trovate del signor Odisseo, per la sua “Luna” era un signor Nessuno. Titolo plausibile, A letto con la furba ciolla di Odisseo. Un chiaro ed evidente esempio di Teatro nessuno. In testa la solita tortura ideologica: <<Che kazzo devo fare?>>. Anche Odisseo e le sue amiche si sukanu il loro minkiuni di minkiajuana. Ma Odisseo la chiamava minkiaodisseiana. <<Che mentula di ciolla di cicia del kazzo di una minkia devo fare?>> pinsava intanto Helena. E saltava, correva, capitombolava, s‟annacava, sculettava e faceva la smorfiosa. Tutto a tinchitè, alla sanfasò e a iosa. Tutto questo nei corridoi del palazzo reale di Munypuzos. Sapeva la bella Helena che l‟arte del kazzicatummuliamiento la stava portando sulla ciolla di Pryapo. Proprio “sulla”. Per provare l‟overdose dell‟overdose. Quella era la notte di li kazzicatummuli, visto che aveva solo e soltanto kazzicatummuliato da un kazzo all‟altro. Aveva rifiutato solo di kazzicatummuliare con Agamynkyone. Fuggiva dal fallito kazzicatummulio maritale e correva sicuramente verso il kazzicatummulio con Paryde, ma tra tanti kazzicatummulii con kazzi veri e kazzi finti, non poteva certo mancare un kazzicatummulio con la ciolla di Pryapo. Tanto per. Per provare l‟oversize dell‟oversize. La XXXLLL dell‟XXXLLL. Tanto per annoverare nella sua Minkioteca anche la ciolla delle ciolle. Ma sempre per finire con la ciolla dell‟amore. Era bello comunque questo “minkia tur” che la portava di cicia in cicia ad inciciare. E adesso si apprestava ad inciciare con il non plus ultra delle cicie. Questo era l‟ostacolo più grosso da superare. Dopo ci sarebbe stata la discesa verso il traguardo. Verso la minkia di Paryde. Verso la “Gioconda”. Perchè quella di Paryde era la sua cicia, la sua cicia tout court e full time. L‟imminkiamento con le tante minkie del “minkia tur” si era risolto sempre in una draconiana batracomiomachia. Ma la batracomiomachia più stupida, quella con la minkia di Agamynkyone, l‟aveva giustamente evitata. Ed era sicura che anche l‟imminkiamento con Pryapo si sarebbe risolto in una batracomiomachia. --O Odisseo, che con la testa pensi e con la ciolla fai. Ti stavano inkulando ma tu inkulasti chi inkularti voleva assai. Teogonio --La ciolla più furba diventa scema se la femmina sa come trattar la ciolla. Euclidetto --Tutte le ciolle hanno la loro Penelope. Ma non tutte le ciolle hanno un padrone come Odisseo. Lucio --Girare a vuoto lu munnu eni bellu sulu se fai magari gira di kunnu. Lucio --- Due tizi originari di Leonthynoy e Karleonthynoy cercarono di valutare il numero delle ciolle “modello Odisseo” di cui aveva bisogno Helena per dimenticare la ciolla di Paryde. << Quattro milioni di ciolle “modello Odisseo” posson bastare. Ma deve essere documentata la loro furbizia>> disse il tizio di Karleonthynoy. << Otto milioni di ciolle è la giusta quantità, otto milioni di ciolle furbe però>> replicò il tizio di Leonthynoy. Ma da Palermorum fecero sapere che la valutazione poteva arrivare al massimo a quaranta milioni di ciolle “modello Odisseo”. Purtroppo un altro tizio perse i documenti e tutto finì a ciolla di nessuno. A ciolla di kazzo di minkia di nessuno. Ignoravano i suddetti che per il pakkio libero di Helena qualsiasi ciolla valeva zero. Anche quella di Odisseo. Mentre la ciolla di Paryde valeva più dell‟universo tutto sano sano. Ma loro purtroppo sapevano dare solo i numeri. La ciolla dell‟amante era per Helena la ciolla più furba tra tutte le ciolle furbe. --Quattro milioni.. otto milioni.. quaranta milioni.. senza documentazione che rottura di koglioni. Detto popolare --Per tutto il palazzo reale risuonò sempre più violento il noto notissimo lacerante e addolorato urlo di Helena. Anche se questa volta c‟era un qualcosa di diverso. Un atonalità nuova. Una sonorità nu tanticchia assai diversa. Però l‟impressione generale faceva definire l‟urlo in questione un qualcosa di nettamente tonitruante. <<Voglio... una minkia.. una minkia.. una minkia... una minkia.. una minkia... una minkia.. una minkia..>>. Per poi finire con un micidiale: <<Voglio una MINKIA >>. E pure la sua “Ciolloteca” urlò un “Ciolloteca -tonitruante” urlo assai lapalissiano. <<Voglio una minkiaaaaaa...una minkia che sappia fare la minkiaaaaaa..>>. E non era un lapsus calami o un lapsus linguae. In vino veritas. O meglio, in kunnus veritas. Gutta cavat lapidem, mentula cavat kunnus. Il sogno di Helena, e della sua “Ciolloteca”, era quello di gridare in faccia all‟urbe, all‟orbe e all‟Olympazzo tutto:<< Habemus mentula>>. Ma il problema era “Quale mentula?” Una mentula qualsiasi o la mentula di Paryde? “Melius abundare quam deficere” diceva un detto latino latinamente latinissimo. E allora meglio un‟overdose di mentuline, mentule, mentulone e mentulazze per dimenticare la mentulina di Mynkyalao e non pensare alla mentulona di Paryde. << E overdose sia.. con tanti parerghi e senza paralipomeni>> disse Helena. --Tutto il mondo è paese, tutte le donne hanno un kunno, ma non tutti gli uomini hanno un kazzo funzionante. A gennaio la minkia caura, a luglio la minkia frisca. A nemico che fugge ponti d‟oro. A minkia che arriva anche. Detti popolari --- A curtigghiari c‟erano i tre intellettuali della ciolla che orami tenevano grossi e incommensurabile e diciamo pure incontenibili problemi di ciolla che richiedevano provvedimenti draconiani, ma intanto iddi pinsavano di scrivere rispettivamente, secondo la propria specializzazione, il Poema Helena s‟inphalla il phallo furbissimo di Odisseo e cerc‟anche di sodomizzarlo col Sosia di Paryde ma il furbissimo fa si che Helena si autosodomizzi, il Carmen Helena s‟immentula la mentula furbissima di Odisseo e prov‟anche a mettergli in kulus il Sosia di Paryde ma il furbissimo fa si che Helena si la metta da sé nel suo stesso kulus, e il romanzo Cent‟anni della minkia furbastra di Odisseo per il pakkio affamato di Helena ca cerca di sfunnarici lu kulu a Odisseo però il tutto finisce con una bella autoinkulatura. Sokratynos, il filosofo della minkia, anche lui con evidenti problemi di ciolla, si chiese: << La vita è una, come la minkia, e se non è un piacere vivere e avere una minkia, a che minkia serve avere una minkia se poi non puoi imminkiare manco quella troia di Helena che invece si lascia imminkiare dalla furbissima minkia di Odisseo che cerca però di inkulare col Sosia solo che poi finisce con una bella autoinkulatura e tutto questo mentre, minkia d‟una minkia che vorrebbe imminkiare a minkia cina, ci sarebbe la mia tonitruante e filosofika minkia disponibilissima a imminkiarla filosofikamente, e fors‟anche il mio filosofico kulo pronto a farsi inkulare dal Sosia intanto che, oltre che imminkiarla assai assaissimo, la inkulassi anche, sempre filosofikamente però, ma sempre assai assaissimo però?>>. --<< Voglio una minkia, ma non voglio la minkia di Mynkyalao. No, sono sicura. Voglio la minkia di Paryde. Sì. Sono sicura. Però, sono sicura, voglio provare la minkia di Pryapo. Prima di kazzicatummuliare in sekula sekulorummu cu Paryde, voglio provare il kazzicatummuliu cu lu kazzu di Pryapo>> gridava adesso la sposina cercaciolle. E forse gridava pure di pakkio. Helena non sapeva se andare da Paryde o dalla prima minkia che capitava dopo quelle vere e genuine e reali di Zeus, Eros, Apollo, Efesto, Ares, Ermete, Asclepio, Ganimede, Eolo, Achylle, Patroclo, Mynkyoreste, Pilade, Castore, Polluce, Edipo e Odisseo e quelle artificiali di Pallade e Artemide a cui aveva però ricambiato il favore ricevendo in regalo un Sosia che lei aveva battezzato “Gioconda”. E la “Gioconda” era andata anche in kulo a Ganimede, Achylle, Patroclo, Mynkyoreste, Pilade, Castore, Polluce e Antigone. E per minnitta e solo per quello era andata in kulo ad Agamynkyone che però non era andato in kunno alla cognata che aveva optato per il “gran rifiuto”. Il Sosia detto la “Gioconda” aveva tentato anche di andare il kulo a Odisseo ma Odisseo l‟aveva fatto finire in kulo a Helena. E adesso lei voleva Pryapo . Andare da Paryde voleva dire che era semplicemente innamorata, anche perché Paryde avia si un bell‟uccello ma non era certamente il massimo in fatto di misure. Ma lei avia il kunno innamorato: e l‟amore è capace di far teoricamente diventare un elefante magari una piccola mosca. Andare da Pryapo voleva semplicemente dire che voleva provare la minkia delle minkie. Solo sesso per il sesso. << Sono andata a minkia e mi sono imminkiata sulla prima minkia che ho trovato per cercare di non pensare né alla minkia di Mynkyalao che mi fa schifo né a quella di Paryde che mi appititta. Ma mi voglio togliere la soddisfazione, gira e rigira, imminkia prima e imminkia appresso, mi voglio togliere la soddisfazione di farmi trombare dalla ciolla delle ciolle, dalla ciolla di Pryapo. Anche perché, certifikato che per il mio kunnu la minkia di Paryde è la megghiu minkia, la ciolla ad hoc, voglio una volta tanto provare la minkia primaria del kreato>>. --<< Voglio una minkia. Voglio la minkia di Pryapo. Voglio una minkia. Voglio una minkia e no un simulacro di minkia. Ho bisogno di una minkia ma non so di quale minkia? Voglio una minkia e no una bestiaccia di minkia. Voglio una minkia e no una bestiona di minkia. Voglio una minkia che sappia fare la minkia. Voglio una minkia, una minkia, una grande minkia. A dire il vero so quale minkia voglio per kazzicatummuliari. Insomma, se la ciolla maritale è un fallimento, la sposina deve andare direttamente da quella che è la ciolla già sperimentata dell‟amante o iniziare la ricerca della ciolla ideale, sperimentando minkie su minkie e ancora minkie e minkie e poi ancora minkie a iosa, alla sanfasò e a tinchitè tout court e full time? Oppure, per tagliare la testa al toro, correre da Pryapo e farsi somministrare la sua ciolla, praticamente la regina di tutte le minkie dell‟urbe, dell‟orbe e dell‟Olympazzo. Insomma insomma, il kazzo amatissimo dell‟amatissimo amante o il kazzone katholikos di Pryapo o semplicemente kazzi su kazzi scelti a kazzo ma che sappiano fare professionalmente il lavoro del kazzo? Insomma insomma insomma, arriverò mai al giusto kazzicatummuliamiento? >> continuava a gridare Helena. Uscita dalla stanza di Odisseo Helena andò immediatamente da Pryapo. La tappa più importante, più sostanziosa del suo “minkia tur”. L‟ostacolo più grosso nel vero senso della parola. Ma per lei un nonnulla leggermente più impegnativo dei tanti nonnulla di quella notte. La ciolla delle ciolle, il terrore dei pakki, lo sventrapassere per eccellenza non la spaventava. E quello sventrava di tutto, non solo passere. Iddu era a letto con otto Menadi bellissime e nudissime. La prima si la facia rattari dal dito della mano sinistra, la seconda si la facia stimolare dal dito medio della mano destra, la terza dal ditone del piede sinistro, la quarta dal ditone del piede destro, la quinta dalla lingua, la sesta ci alliccava lu kulu e la settima li palli. E l‟ottava facia la trottola sulla minkia di Pryapo, e minkia come trottoliava. Erano insomma un bel quadretto. Un quadretto familiare. << Figlie mie belle, drogatevi a tinchitè e finanche a iosa. Insiringatevi nei buchi vostri la mia cosa portentosa. La dose, ben tagliata, è assai assaissimo consistente. Attenzione pertanto al coma da minkia allucinante>> diceva Pryapo. << Pryapo, Pryapo dalla ciolla potente e assai bella, Mynkyalao non ci la fa a stutari la mia funnacella >> disse Helena. << Ci la fa, minkia, se ci la fa, e comu se ci la fa. In fondo ci l‟avi di buona fattura e qualità. Solo che ci sta na sukaceddi specializzata ca ci suka finu all‟ultima stizza di spakkiata. Ma tu adesso addesideri, pi sunari la to campana, lu marrugghiu di n‟autru figghiu di buttana. Pirchì chistu è lu to pitittu, e nun fari la stolla, tu vuoi a Paryde, anzi, vuoi la sua ciolla>> rispose Pryapo continuando i suoi lavori multifikali. << Non è vero. No. Comunque adesso io voglio a tia. Pi na bella scupata consolatoria a tutta minkia e così sia. Manna queste otto minkia di troiette a fare in kulo, e pensa a mia, che più di queste otto valgo di sicuro. Voglio la tua minkia, che è la minkia più potente di lu munnu. Idda è la droga primaria pi qualsiasi, e non solo, kunnu. Insasizzami tutta, ma proprio tutta, la to bedda sasizza. Stuta lu focu ca arde in me, lu focu ca il pititto m‟attizza. Mannami in overdose, mannami in overdose di minkia a mia, fa ca cu l‟autri minki sia solo una batracomiomachia>>. << Posso, ma non prometto una minkia. So che idda lavora a tinchitè. A tutte piace la minkia mia, ma soprattutto piace quel che attaccato c‟è. Ed è vero, ma talmente vero, quello che adesso penso io, che non sono mica un fesso, perchè sono della minkia il dio, che io sono sicuro, assai assaissimo assai sicuro, che a tia, adesso, non ti abbasterebbe neanche la minkia mia>> rispose Pryapo. << Facciamo la prova, sono qua per questo. Prova. Tu mi la ficchi e io vedo come il mio pakkio si trova. E voi lassate stare quella cosa bedda e portentosa, che ci basto io e la mia insoddisfattissima cosa. “Chiodo schiaccia chiodo” dice un detto popolare. Un chiodo chiù grosso del tuo dove kazzo lo posso trovare?>>. << Non esiste, e non per vantarmi, mica sono un pazzo. Ma questa minkia mia del kreato è il più grande kazzo. E voi tutte lavorate, care le mie menadi innamorate>> rispose il ciolluto Pryapo. << La voglio, ma mi scanto adesso. Però la voglio tutta lo stesso>>. << Sukati stu minkiuni di erba mia ca lu scantu va via>>. << << << << Sugnu già cina assai, cina tutta sono di minkiajuana>>. Chista è n‟autra cosa.. chista è.. è minkiapriapriana>>. Cangia lu nomi, ma in funnu è la stissa identica cosa>>. Non è vero. Kazzo. La mia minkia si chiama minkia, come tutte le altre minkie, ma non è però la stessa minkia. Idda, la mia cicia, è n‟autra cosa, tutta ma tutta n‟autra cosa. Non per vantarmi, ma in chista facci di munnu forse creato, nu kazzu come il mio nun c‟è. E nun c‟e mai maissimo stato. E per dirla tutta e chiara la facenna, diciamo finu in funnu, manco in futuro ci sarà omino o armaru cu stu sfunnakunnu>>. << Lu nomi è sempri lu stissu, minkia, ma cangia la misura. L‟erba è la stissa, ma cangia lu nomi e non la sua natura>> replicò lei. << Prova, e non rompere li cugghiuna e lu beddu kazzu>>. << Io preferisco provare la to ciolla na lu me curtighiazzu. Addubbami di la ciolla tua a iosa e finanche a tinchitè. Fammi scurdari ca na lu munnu autru genere di minkia c‟è. Drogami, ubriacami, fammilla sciri da li naschi e da l‟occhi. Fammi scurdari minki tinti, minki normali e minki docchi. Fammi sulu gudiri, gudiri assai, gudiri a minkia cina. Passami e ripassami sta minkia tua, sta minkia assassina>>. << E va bene, facciamo un giro e basta. Un giro solamente. E voi smontate, care amiche, serve della mia ciolla ardente. Voglio provare, su sua richiesta, a kazzicatummuliare chista bedda signora che voli la mia bedda ciolla provare >>. Manco il tempo di dire questa frase che Helena era già nuda. Poi ci acchianau di supra e s‟impalau automaticamente su cotanta e cotale ciolla. << Minkia, chistu purtusu nun è nu kunnu. Minkiazza. Chista è na sterna senza funnu. Minkiuni. Chi filazza cunsuma sasizzuna. Minkiazzuna. Chi ucca spremi cugghiuna. Minkiaranni. Mischineddu cu ci la fikka. Minkiarossa. Là dintra la minkia s‟impikka. Minkiapotente. Quasi quasi nun ci la fazzu mancu iu. Minkiadivina, iu ca di la ciolla sugnu lu veru diu>> scherzò Pryapo. In effetti la fregna di Helena era una fregna mangiona. Mangiona di minkie naturalmente. Ciollofagia era. Ma la minkia di Pryapo era una cosa mostruosa. E da mostro agì. Ad un certo punto il dio della minkia prese la femmina e si la mise sulla cappella e con una spintarella la fici firriari a iosa e alla sanfasò e finanche a tinchitè. La fici firriari in senso orario e in senso antiorario. Quannu era orario idda sciddicava sulla ciolla, quannu era antiorario idda risaliva sulla ciolla. Paria na trottola la bella Helena. Firriava sulla minkia idda, ma firriava anche la sua testa. Firriava tutta a velocità variabile, tra un minino forte e un massimo lento. Tra apofallo e afallo. E descriveva una spirale detta epiminkiacicloide. Girava e non capiva una minkia, eppure firriava su una minkia. E che minkia. Gudiu assai di pakkio ma non di testa. Effettivamente Helena tinia una fika vorace, ma la ciolla di Pryapo era chiù vorace di quel pakkio. Senza misu no cuntu Pryapo si futtiu accussì la novella sposa proprio la notte del matrimonio. Dopo la sasizzedda inutile e scipita di Mynkyalao, e dopo tante sasizze doc e meno doc, comprese anche alcune sasizze finte, idda assaggiò lu sasizzuni oversize di Pryapo. Ma di tutte queste ciolle a Helena non importava niente. Neanche di quella di Pryapo. Era si una overdose ma nun la mannava in overdose. Cosa che riusciva all‟ipodose di Paryde. Infatti Helena in cuore, in ciriveddu e in kunnu vulia sulu chidda di Paryde. Non era pititto di ciolla in generale, era pititto di un certo proprietario di ciolla, più che di una ciolla. Comunque non fu un giro che fece sulla minkia di Pryapo, furono mille almeno. << Ti abbastau sta kazzu di minkia di la ciolla mia? Rispondi il vero veramente. Metti da parte l‟ipocrisia. Non fare, bedda mia, come certi politicanti o avvocati, che tutte le parole che dicono son solo minkiate >> chiese il dio itifallico dopo le molte prestazioni. << No, io voglio la “Gioconda” e così sia. Chidda è la giusta minkia pi mia>>. << Ehhh..>> fece Pryapo. << La “Gioconda“ è.. è la minkia di Paryde che è sempre allegra assai assai. Pur nicaredda rispetto alla tua, mi manna in overdose di minkia più che mai. Chistu è il suo Sosia. La minkia finta. E lavora megghiu di tanta minkia tinta>>. << Nun è problema di misura, è problema di proprietario, ciolla mia biniritta. Corri e vatti a fikkari na lu lettu di chiddu la cui ciolla ti appititta. Corri. Corri e vai, vai in un amen e in un fiat dal tuo bel Paridazzu. Sukici li beddi cugghiuna e consumaci tuttu ma proprio tuttu lu kazzu. Chissu minkia di Sosia, paragonato alla mia, eni na ciolla di picciriddu. Ma a tia ti smovi lu sintimientu. Ti smovi l‟amuri ca parti da lu kunniddu. Ti smovi tutta e ti adduma e ti fibrilla e sfribilla e t‟infiamma la filazza megghiu di qualsiasi megaminkia, compresa la mia super minciazza. La mia ti lu vinci tuttu, ti lu allaga a iosa, e tuttu ti lu sona e controsona. Ma chidda di Paryde, giustamente, ti fa fari lampi speciali e anche trona. E sulu e soltanto una questione d‟impressioni, di bell‟assai sensazioni. E voi Menadi belle datevi da fare col mio gran kazzo e i miei koglioni. Che io intanto, per piacere sommo, vi canto nu tanticchia di canzoni>>. << Non lo fare, Pryapo beddu, non lo fare. Che Zeus è ancora impegnato a scopare. Altrimenti, poverino, lo deminki all‟istante. E lui resta con la ciolla infelice e dolorante>>. << Sto muto e cambio immediatamente, seduta stante, programma. Tutte mi diano la fika da alliccare per evitare il minkiazeusdramma>>. E così fu. Ma prima Pryapo fece una considerazione. << Helena, la minkia mia bedda, e lu fattu era già chiaru e tunnu, nun lu putia stutari sta minkia di focu ca ardia na lu to kunnu. Iu ci l‟haiu misu tutta, t‟haia fattu firriari come na trottola pazza. Tu hai fatto cala, acchiana e scinni, firriannu sulla mia minciazza. Tu hai visto li stiddi, li stidduzzi, li stidduna e puru li stiddazzi, ma pi tia, a parti la minkia di Paryde, nun ci sunu autri validi kazzi. Tu nun vuoi n‟aceddu ranni e potente, nun vuoi robba di chidda bona. Tu vuoi sulu la minkia bedda e nica di una certa bedda persona. Cara Helena bedda e bona, basta adesso con l‟andare pieri pieri. La “Gioconda” è la tua pompa ad hoc e Paryde è lu to pompieri>>. << Parole sante e giuste. Paryde tiene lo strumento adattu, pi farimi godere come fa la iatta in amuri cu lu iattu >>. << Tu, beddu pakkiu spilatu, comu chiddu di la mamma mia, devi sapere ca lu stikkiu è sulu nu strumentu e così sia. Pi farla cutta e netta eni comu la bedda campana biniritta. Ognuna avi lu so battagghiu ca ci la sona a manca e a dritta. E pi sunari al meglio la tua bedda e picciotta campana, ci voli lu beddu spikkiu di Paryde cu la so ciolla buttana. La campana s‟allarga e si stringi ed è bona pi tutti li mingi. La minkia invece nun è lu battacchiu pi qualsiasi pakkiu. Pertanto nun fari ancora kazzicatummuli di kazzu in kazzu. Vai na sta ciolla di Paryde e acchiappiti lu so citrulazzu. Anche se la cosa non è tanto nota, a scatinari la fantasia, é la futura scienza detta chimica, ovvero l‟attuale alchimia. “Ubi maior, minor cessat”, e io e la mia ciolla ci ritiriamo. Idda vale di più, ma manca l‟amore. Idda non ti dice “ti amo”. Idda ti futti e strafutti e basta. Idda nun ti smovi la testa e il cuore. “Melius abundare quam deficere” nun vali se oltre la minkia c‟è l‟amore. Vai, corri e sauta sulla ciolla di Paryde, e ficchitilla tutta na lu purtusu. E se ci riesci, facci trasiri a iddu sanu sanu là, a lu beddu iarrusu>>. Pryapo sapeva che la misura è relativa. Che è il pititto che fa godere. E sì la voglia della minkia, ma soprattutto è la voglia di avere tra le braccia il proprietario di una certa minkia. E il proprietario che la femmina vuole. E siccome il proprietario è maschio, deve pur avere una minkia. Una ciolla funzionante però. Il resto non conta. La vera minkia e il vero pakkio stanno nella testa. << E infatti, la ciolla tua, mancu lu stutò di na stizza, pirchì lu kunnu a mia mi pruri e m‟attizza. Iddu assai m‟impazza e voli proprio tutt‟autra minciazza. E se la minciazza desiderata non posso adesso avere, con il Sosia di quella minkia intanto posso godere>> rispose Helena che oramai stava capendo che la vera minkia per lei era quella di Paryde. Quello era lo strumento ad hoc. La sua minkia ideale. Se manco Pryapo la mannava in estasi, non c‟erano veramente alternative. Alternative alla “Gioconda” naturalmente. A quella vera e a quella finta. << Grazie per il consiglio. Grazie. Iddu è giustissimo e bellissimo. Adesso mi fazzu subito il Sosia del mio Paryde amatissimo. Intanto che le otto Menadi con la tua ciolla si danno da fare. Io, su questo stesso letto, dal Sosia mi lascio inkunnare>>. Così fu. Helena si dava da fare con la ciolla finta, le otto Menadi con la megaciolla di Pryapo. E intanto che operavano si taliavano reciprocamente. Fu insomma una doppia esibizione sessuale. Una assolo per fika e minkia finta e una bella orgetta per sedici mani, otto bocche, sedici minni e otto kuli e naturalmente otto fike per una megaminkia. Ma a dire il vero l‟operato della minkia finta accese la fantasia delle otto Menadi. E a dire sempre il vero accese anche la curiosità del kulo di Pryapo. Infatti le Menadi chiesero un giro completo dei loro orifizi. Helena lo concesse . Le Menadi ne furono felici. Poi toccò a Pryapo chiedere. << Cara Helena bedda, tanto per, diciamo, curiosare, quel tuo bel Sosia in kulo me lo vorresti piazzare? Non si tratta di avere una qualunque minkia artificiale. Questa è del bel Paryde e come tale la vorrei provare. Una volta, ai tempi del Sosia d‟oro, mancai l‟occasione di sfondare, pi semplice minnitta, il kulo al bel Parydone. Non so quando né come, ma mi prometto, in futuro, di fargli ben assaggiare la mia megaciolla in kulo. Intanto, visto chiddu ca nun successi, e visto ca tu sto Sosia tieni, tanto per, mettimillu na lu postu unni ci sunu sia gioie ca peni. E una curiosità scientifica e sperimentale per il mio ano. Un giorno però si dirà ”Metodo Pryapo - Galileano”>>. Helena concesse. Anzi, somministrò personalmente. Poi chiese: << Ma almeno dimmi se il Sosia di Paryde, e dimmillu chiaru e sicuru, se codesta minkia finta lu stutau lu focu ca ardia na lu to kulu? >>. << No, fu solo una curiosità, una piacevol curiosità. Tanto per capire come il bel Paryde in kulo va>>. << Come la mia. Una curiosità di dimensione diversa, ma solo curiosità. Sol per capire che avere una minkia tanta non basta a dare la felicità>>. Helena rise, Pryapo anche. Lui la pensava diversamente. << Ma dimmi una cosa. Tu che sei ciollofila naturale. La mia grande ciolla quante ciolle normali vale? >> chiese curioso e ironico Pryapo. << Diciamo.. diciamo quattro milioni. Quattro milioni di cicie normali vale. Quattro milioni di normominkie. Questa la valutazione totale>> rispose Helena. << No. Facciamo otto milioni di ciolle normali. Otto milioni vale. Ci pare una giusta valutazione di questo monumento nazionale>> dissero in coro le Menadi. << No. No e poi no. Io.. io.. io pensavo di arrivare ad altro livello. Io pensavo a un massimo di quaranta milioni per il mio uccello. Quaranta milioni di minkie e di minkie tutte fuori misura. E che minkia. Io sono il non plus ultra del regno della natura>> . << Ognuno certifichi quello che vuole>> aggiunse Helena. << E poi i documenti a chi li diamo?>> chiesero in coro le Menadi. << A un tizio del Pattuallopolys. Accussì li perde e tutto finisce a minkia siciliana. O meglio, a cassata siciliana>> rispose Pryapo ridendo. Risero anche Helena e le Menadi. La storia del Pattuallopolys era oramai la barzelletta per eccellenza dell‟urbe, dell‟orbe e dell‟Olympazzo. << Senti, beddu pakkiu di beddu spikkiu di mennula amara, la tua droga di chiama Paryde, e non fare la scema e la somara. Iddu illumina lu to ciriveddu, iddu ti manna in estasi d‟aceddu. Pertanto lasciati insiringare la so minkia, iddu avi l‟aggeggiu beddu. Iddu, sulu iddu, è il parerga dalla minkia ca soddisfa la cosa tua, e a tia. Con o senza paralipomeni, cu l‟autri minki è solo una batracomiomachia. Forza, bedda mia, vai, curri, vola, sauta, e magari kazzicatummulia, ma catafuttiti al più presto su chidda minkia, ca chidda è la pasticca pi tia>> disse Pryapo con la sua faccia a minkia più della sua minkia. Ed Helena andò via pinsannu alla vera minkia di Paryde e gridando ancora “Voglio una minkia, ma non una minkiazza”. E pinsannu anche al fatto che Pryapo aveva voluto provare il Sosia di Paryde. E naturalmente andò via sukando. Naturalmente nu beddu minkiuni di minkiajuana. Era comunque contenta la bella Helena. Il teatro con Pryapo era stato uno spettacolo bello. Sontuoso. Corale. Una bella messa in scena. Monumentale in tutti i sensi. E con otto spettatrici prima e otto attrici secondarie poi. Bellissima lei, bello e kazzutissimo Pryapo. Da attori professionisti la performance. E su tutto, vera protagonista, la ciolla di Pryapo. Il colosso dei colossi, il kazzo dei kazzi, la ciolla delle ciolle, la mentula delle mentule. Colossale, gioiosa, extra, riempiente e capace e resistente. Ma la sua “Luna” non era contenta per niente. Soddisfatta lo era, ma contenta no. Neanche nu tanticchia. Forse quel monumento andava bene pi li stikkia in generale, ma non certamente per il suo. Era soddisfacente, operante, tonante, bombardante, ma mancava qualcosa. Mancava la scintilla del pititto che accende il pakkio e la mente di una donna. Kazzicatummuliu di ottima qualità, ma senza chidda cosa che adduma lu ciriveddu. Non c‟era nella ciolla di Pryapo la scintilla pi idda e pi la so “Luna”. Pertanto la “Luna“ restava insoddisfatta. O forse insoddisfattina. O forse soddisfatta o soddisfattissima . Ma mancava quel qualcosa che dà il tocco in più. Sapeva allunare Pryapo ma non dare il tocco in più. Titolo plausibile, A letto con la ciolla delle ciolle. Un chiaro esempio, tra tanti teatri a kazzo, di uno spettacolare e monumentale Teatro del kazzo. E lei a chiedersi la solita cosa: <<Che minkia devo fare?>>. Anche Pryapo e le otto Menadi si fecero e strafecero di minkiajuana. Le Menadi anche di minkia. Pryapo di tutto. Ma lui la minkiajuana la chiamava minkiapriapriana. <<Che mentula di ciolla di cicia del kazzo di una minkia devo fare?>> pinsava intanto Helena. E intanto firriava per il palazzo contenta di aver provato cotal e cotanto kazzo. Contenta ma infelice. Era altra la minkia su cui doveva fare la kazzicatummula finale. Era la minkia di Paryde che l‟aspettava. Non aveva senso farsi domande . Il suo destino era Paryde. O, se vogliamo, la minkia di Paryde. Anche la tappa più pericolosa del suo “minkia tur” era stata fatta. L‟ostacolo più grosso era stato superato. Il detto”chiodo scaccia chiodo” non aveva funzionato neanche con il chiodo più grosso di tutto il chiodame umano e divino. Adesso poteva iniziare la discesa verso la ciolla di Paryde. Se prima la strada era stata in salita, adesso era una discesa senza precedenti. Forse poche tappe, forse pochi ostacoli la separavano dal traguardo. Lo slalom stava per finire. Il “minkia tur” volgeva va al termine. O quasi. --O Pryapo Megakazzone, per quanto kazzutissimo e minkiuto, se la donna s‟accende per un pisellino, tu sei solo fottuto. Alla femmina non interessa lo strumento ma l‟operatore, lei non pensa alla ciolla bensì all‟amore. Per lo meno fino a quando non capisce la questione: Che la ciolla è una cosa e che n‟autra è il suo padrone. Lesbiketta --- Due tizi originari di Leonthynoy e Karleonthynoy cercarono di valutare il numero delle ciolle “modello Pryapo” di cui aveva bisogno Helena per dimenticare la ciolla di Paryde. << Quattro mila ciolle “modello Pryapo” potrebbero bastare. Date le dimensioni, quattromila ciolle di cotale e cotanta fattura fanno quattro milioni di ciolle normali. E il paragone mi sembra paragonabile. L‟elevazione a potenza pure. Non la radice quadrata o il logaritmo. E neanche il limite e l‟integrale>> disse il tizio di Karleonthynoy. << Otto mila, facciamo otto mila. Con ottomila la cosa è fattibilissima. Ottomila cotali ciolle fanno otto miliardi di ciolle normali. E la proporzione mi sembra proporzionale. La moltiplicazione pure. Andrebbe bene anche l‟addizione. Ma non la divisione o la sottrazione>> replicò il tizio di Leonthynoy. Ma da Palermorum fecero sapere che la valutazione poteva arrivare al massimo a quaranta mila ciolle “modello Pryapo.” Purtroppo un altro tizio perse i documenti e tutto finì a ciolla in kulo. Ignoravano i suddetti che per il pakkio libero di Helena qualsiasi ciolla valeva zero. Anche quella portentosa di Pryapo. Mentre la ciolla di Paryde, anche ciolla come tante nell‟urbe, nell‟orbe e nell‟Olympazzo, valeva più dell‟universo tutto sano sano. Ma loro purtroppo sapevano dare solo i numeri. Non erano ciollologi. Semmai kazzatologi. La ciolla dell‟amante era per Helena il lider massimo di tutte le ciolle lider. Era la ciolla primigenia. La veterociolla. La protociolla. La ciolla tout court e full time. La ciolla dei miracoli, la verga della felicità, la minkia del piacere, la mentula del paradiso, la cicia dell‟estasi, la droga giusta per il suo pakkio. --Quattro milioni.. otto milioni.. quaranta milioni.. senza documentazione che rottura di koglioni. Detto popolare --- Per tutto il palazzo reale risuonò puntualmente, come un appuntamento fisso, il lacerante e addolorato urlo di Helena, la cui fika era rimasta insoddisfatta anche dalla imponente ciolla di Pryapo. Ma anche quella minkia, pur avendola addubbata a iosa, alla sanfasò e finanche a tinchitè, l‟aveva lasciata infelice. Pertanto ci fu il solito urlo grandiosamente tonitruante. <<Voglio.. una minkia.. una minkia.. una minkia... una minkia.. una minkia... una minkia.. una minkia..>>. Per poi finire con un micidiale : <<Voglio una MINKIA >>. E pure il suo “Tritakazzi”, urlò un “Tritakazzi -tonitruante” urlo assai lapalissiano. <<Voglio una minkiaaaaaa...una minkia che sappia fare la minkiaaaaaa..>>. E non era un lapsus calami o un lapsus linguae. In vino veritas. O meglio, in kunnus veritas. Gutta cavat lapidem, mentula cavat kunnus. Il sogno di Helena, e del suo “Tritakazzi”, era quello di gridare in faccia all‟urbe, all‟orbe e all‟Olympazzo tutto:<< Habemus mentula>>. Ma il problema era “Quale mentula?” Una mentula qualsiasi o la mentula di Paryde? “Melius abundare quam deficere” diceva un detto latino latinamente latinissimo. E allora meglio un‟overdose di mentuline, mentule, mentulone e mentulazze per dimenticare la mentulina di Mynkyalao e non pensare alla mentulona di Paryde. Ma adesso le cose erano cambiate. L‟oversize non l‟aveva mandata in overdose. Non restava che Paryde. Non restava che la minkia di Paryde. << E overdose sia.. con tanti parerghi e senza paralipomeni. Ma se non mi manda in overdose manco la cicia di Pryapo vuol dire che non è un problema di qualità o quantità. Senza tanti parerghi, e soprattutto senza paralipomeni, il problema vero non è il tipo di droga, il tipo di siringa, ma l‟insiringatore. E il mio insiringatore doc è solo e soltanto Paryde. E allora corriamo da Paryde. Da Paryde ipso facto. Da Paryde seduta stante. Oppure quasi ipso facto? O quasi seduta stante?>> disse Helena. --Il pesce piccolo mangia il pesce grosso, la minkia grossa annulla la minkia piccola. Non sempre il problema è il pesce, spesso il problema è il pescivendolo. Pisci nicu, pisci ranni, nun si sapi mai chiddu ca si trova dintra li mutanni. Una parola tira l‟altra, una minkia tira un‟altra minkia. Il silenzio è d‟oro e la parola è d‟argento. Ma la minkia è di carne. Detti popolari --- A curtigghiari c‟erano sempre i tre intellettuali della ciolla, con sempre più evidenti problemi di ciolla, problemi dolorifici che sfioravano il priaprismo, inteso come patologia e non come caratteristiche somatiche, e che pinsavano già di scrivere rispettivamente, secondo la propria specializzazione, il Poema Helena s‟inphalla il megaphallo di Pryapo ma resta insoddisfatta anche da cotanto phallo mentre riesce ad incuriosire con il Sosia di Paryde gli orifizi delle Menadi e l‟ano di Pryapo che chiedono un giro con il finto phallo, il Carmen Helena s‟immentula la supermentula di Pryapo ma resta piena di desiderio perché la megamentula non la fa godere affatto e nello stesso tempo riesce ad incuriosire i buchi delle Menadi e il kulus di Pryapo sulle effettive prestazioni della mentula finta tanto che quelli chiedono tutti un giro di Gioconda, e il romanzo Cent‟anni della minkia della minkie di Pryapo per il pakkio di Helena che però resta appitittata di tutt‟altra minkia ritenendo insufficiente anche la megaminkia del dio dei bordelli che incuriosito chiede di essere inkulato da quella minkia di minkia finta. Sokratynos, il filosofo della minkia, anche lui con grossi ed evidenti problemi di ciolla, si chiese: << La vita è una, come la minkia, e se non è un piacere vivere e avere una minkia, a che minkia serve avere una minkia se poi non puoi imminkiare manco quella troia di Helena che invece si lascia imminkiare dalla megaminkia di Pryapo restando però insoddisfatta anche dall‟operato della prima minkia del kreato ma suscitando nello tesso tempo la curiosità kulare di Pryapo nei confronti della minkia finta di Paryde, e tutto questo mentre, minkia d‟una minkia che vorrebbe imminkiare a minkia cina, ci sarebbe la mia tonitruante e filosofika minkia disponibilissima a imminkiarla filosofikamente, e fors‟anche il mio filosofico kulo pronto a farsi inkulare dal Sosia, intanto che, oltre che imminkiarla, la inkulassi anche, sempre filosofikamente però ?>>. --<< Voglio una minkia per kazzicatummuliari>> litaniava ancora Helena. Nonostante il consiglio di Pryapo, Helena non sapeva se andare subito da Paryde o ancora dalla prima minkia che capitava dopo tutte quelle che s‟era possedute. Quelle vere e genuine e reali di Zeus, Eros, Apollo, Efesto, Ares, Ermete, Asclepio, Ganimede, Eolo, Achylle, Patroclo, Mynkyoreste, Pilade, Castore, Polluce, Edipo e Odisseo e quelle artificiali di Pallade e Artemide, a cui aveva però ricambiato il favore, ricevendo in regalo un Sosia che lei aveva battezzato “Gioconda”. E la “Gioconda” era andata anche in kulo a Ganimede, Achylle, Patroclo, Mynkyoreste, Pilade, Castore, Polluce e Antigone. E per minnitta, e solo per quello, era andata in kulo ad Agamynkyone che però non era andato in kunno alla cognata che aveva optato per il “gran rifiuto”. Il Sosia noto come la “Gioconda” aveva tentato anche di andare il kulo a Odisseo ma Odisseo l‟aveva fatto finire in kulo a Helena. E adesso aveva avuto anche la minkia di Pryapo . E Pryapo e le otto Menadi che giacevano con lui avevano avuto la finta minkia di Paryde. Ma Helena non era contenta. Voleva minkie su minkie e ancora minkie e minkie. Eppure sapeva anche che la minkia giusta per lei era quella di Paryde. Ma Helena non sapeva se andare da Paryde subito o a cercare ancora minkie alla sanfasò. Minkie tout court e full time. Andare da Paryde voleva dire che era semplicemente innamorata, anche perché Paryde avia si un bell‟uccello ma non era certamente il massimo in fatto di misure. Ma lei avia il kunno innamorato: e l‟amore è capace di far teoricamente diventare un elefante magari una piccola mosca. << Vado ancora a minkia e ancora m‟imminkio sulla prima minkia per cercare di non pensare né alla minkia di Mynkyalao che mi fa schifo né a tutte quelle che mi sono fatta, compresa quella portentosa, ma inutile per me, di Pryapo. In fondo è quella di Paryde che mi appititta. Diciamo la verità. Ed è da Paryde che devo portare, prima o poi, il mio sesso. Perché per il mio kunnu chidda è la megghiu minkia di lu munnu>>. --<< Voglio una minkia. Voglio una minkia. Voglio una minkia e no un simulacro di minkia. Ho bisogno di una minkia ma non so di quale minkia? Voglio una minkia e no una bestiaccia di minkia. Voglio una minkia e no una bestiona di minkia. Voglio una minkia che sappia fare la minkia. Voglio una minkia, una minkia, una “grande“ minkia. Una minkia grande in senso metaforico e non reale. Voglio una minkia assai assai kazzicatummuliante. Insomma, se la ciolla maritale è un fallimento, la sposina deve andare direttamente da quella che è la ciolla già sperimentata dell‟amante o iniziare la ricerca della ciolla ideale, sperimentando minkie su minkie e ancora minkie e minkie e poi ancora minkie a iosa, alla sanfasò e a tinchitè tout court e full time? Non serve, per tagliare la testa al toro, correre da Pryapo e farsi somministrare la sua ciolla, praticamente la regina di tutte le minkie dell‟urbe, dell‟orbe e dell‟Olympazzo. E‟ certamente un bel kazzo, ma per me non vale una ciolla. Insomma insomma, il dilemma era, è e resta: meglio il kazzo amatissimo dell‟amatissimo amante o meglio una serie di kazzi scelti a kazzo ma che sappiano fare professionalmente il lavoro del kazzo? Insomma insomma insomma, devo correre da subito Paryde per kazzicatummuliari col suo kazzo o no?>> era l‟ossessione reale e recitata di Helena. Helena comunque, uscendo dalla stanza di Pryapo, visti la sofferenza dei tre intellettuali della ciolla. Avevano problemi incommensurabili e draconianamente non rinviabili di kazzo. Intanto si stavano sukando, tout court e full time, minkiuna di minkiajuana a iosa, alla sanfasò e a tinchitè. << So quello che desiderate. O per lo meno, lo immagino. Ci vedo benissimo e vedo il problema. E non è un problema né matematico né geometrico. Non è un problema letterario e neanche filosofico. Non è una tragedia, ma può diventarlo. Non è una commedia, ma può diventarlo. Si risolve in ben altre maniere questo problema. E se io l‟ho generato, è giusto che io trovi una possibile soluzione. Non teorica ma pratica. Andatevene pertanto nelle vostre stanze, che io verrò a salutarvi a modo mio. Un saluto alla kultura sarà il mio. Verrò a portarvi consolazione. So che la mia immortalità sarà dovuta alle vostre opere. So questo di sicuro, come so che devo andare, prima o poi, da Paryde. Mynkyalao è l‟errore, Paryde la verità. Mynkyalao è il buio, Paryde la luce. Tutto il resto è un intermezzo. Un piacevole, in linea generale, intermezzo. Anche Pryapo è stato un intermezzo. Un intermezzo assai piacevole e ingombrante ma niente di più. Solo Agamynkyone non fa parte di questo intermezzo. Di questo mio piacevole e doloroso kazzicatummuliare di ciolla in ciolla. E se tante sono state le minkie dell‟intermezzo, tre in più o tre in meno, non fanno una minkia di differenza. Andate e aspettate. Voi, in fondo, intellettuali della ciolla, siete il verbo, il logos, la parola. E io devo fornirvi il materiale di cui parlare. Da buoni intellettuali della ciolla dovete inciollare per poi raccontare all‟urbe e all‟orbe. Aspettatemi dunque. Aspettatemi per un intellettual kazzicatummulio>>. E così fu. Se fu. O forse non fu. Se non fu. Ma nessuno può dire se fu. O se non fu. I tre intellettuali, che tanto amavano farsi i kazzi altrui, tacquero sui loro. Sta di fatto che ad un erto punto non avevano più problemi di minkia, di ciolla, di batacchio, di marrugghiu, di kazzo. Li avevano risolti. Come? Ai posteri l‟ardua sentenza. Se manualmente o a pagamento o con Helena questo è un segreto come la verità del Pattuallopolys. O meglio, mentre la verità del Pattuallopolys è morta e sepolta, la verità sui fatti della minkia dei tre intellettuali della ciolla è più verifikabile. Ci pensò, malalingua filosofika come malaminkia filosofika era, il filosofo della minkia Sokratynos Phylologos, nemico giurato del matrimonio in tutte le sue forme ed espressioni possibili, a commentare la cosa, nonostante i grossi problemi di minkia che aveva. Bravo a imitare anche lo stile altrui, scrisse, a cose avvenute, il Poema Ma Helena s‟inphallò veramente il phallo di Homeryno Homokulum o fu tutta una bella illusione a phallo di cane?, il Carmen Ma Helena s‟immentulò veramente la mentula di Mhaxymylyanum Mhaxymylyanorum o fu tutta una bella illusione a mentula di cane?, e il romanzo Ma per cent‟anni la minkia di Paulorum Santhokrysos andò veramente nel pakkio di Helena o si trattò veramente di una illusione a minkia di cane? Circolarono anche il Poema L‟intellettuale phallo di Homeryno Homokulum inphalla Helena, il Carmen L‟intellettuale mentula di Mhaxymylyanum Mhaxymylyanorum immentula Helena, e il romanzo dialettale L‟intellettuale ciolla di Paulorum Santhokrysos inciolla Helena. Il dubbio comunque si insinuò nella mente di tutti. Il fatto era successo o non era successo? Era storia o era mitologia? Era scienza o era religione? Era stato un “tre a una” o un “tre una a uno”? Boh? Comunque Helena era contenta. Così dicono. Lo spettacolo era stato bello. Così dicono. Ma in ogni caso la “Luna “ voleva altro. Così dicono. E in ogni caso, così era. E pertanto la “Luna” era scontenta. Nessuno può affermare con certezza che il kazzicatummulio ci sia stato. Ma Helena, che della cultura se ne fotteva una ciolla, teneva il solito pinsero:<<Che kazzo devo fare?>>. Titolo plausibile dello spettacolo , tre atti in contemporanea o tre atti in successione, A letto con la ciolla intellettuale spesso finisce bene e spesso finisce male. In ogni caso un esempio di Teatro cultura. <<Che mentula di ciolla di cicia del kazzo di una minkia devo fare?>> pinsava intanto Helena. E firriava per i soliti corridoi del palazzo reale. Voleva correre da Paryde ma pinsava anche ad altro. Pinsava al teatro sociale. Il teatro che fanno tutti per accontentare quella minkia inutile chiamato “occhio sociale. Occhio sociale sta minkia però. L‟arte antica di prendersi pubblicamente per il kulo in contemporanea, facendo la sceneggiata e kazzacatummuliando secondo regole e regolette, per poi in privato kazzacatummuliari come minkia ci pare e piace. Ovvero, il trionfo dell‟ipocrisia. --- Ma a dire il vero in seguito circolarono anche tre testi anonimi. Tutti li attribuirono ai tre intellettuali della ciolla, che in forma riservata avevano voluto far conoscere la realtà della storia, la quintessenza della vicenda. Circolarono un Poema di tale Ignotus Phallus intitolato La vera cronaca dell‟amplesso tra il pakkio spilato della bella Helena e il phallos coltissimo di Homeryno Homokulum, un Carmen di tale Ignotum Mentula intitolato Historia veritiera della inkunnata o immentulata della poetica mentula di Mhaxymylyanum Mhaxymylyanorum nel kunnus spilato della bella Helena, e un romanzo dialettale di tale Ignotus Ciolla intitolato Cent‟anni di cronaca della storica fikkata tra Helena dallo stikkio spilato e la minkia di Paulorum Santhokrysos. --Sokratynos Phylologos, il filosofo della minkia, con ancora grossi problemi di minkia, vedendo che i tre intellettuali della ciolla avevano risolto i loro problemi di ciolla, si chiese: << La vita è una, come la minkia, e se non è un piacere vivere e avere una minkia, a che minkia serve avere una minkia se poi non puoi imminkiare manco quella troia di Helena che invece si lasciò, forse, imminkiare dalla ciolla dei tre intellettuali della ciolla le cui opere non valgono una ciolla e tutto questo mentre, minkia d‟una minkia che vorrebbe imminkiare a minkia cina, ci sarebbe stata la mia filosofika minkia disponibilissima a imminkiarla filosofikamente, e fors‟anche il mio filosofico kulo pronto a farsi inkulare dal Sosia, intanto che, oltre che imminkiarla, la inkulassi anche, sempre filosofikamente però ?>>. Sempre Sokratynos Phylologos, che teneva ancora il grosso problema della minkia arrapata, si chiese: << La vita è una, come la minkia, e se non è un piacere vivere e avere una minkia, a che minkia serve avere una minkia se poi non puoi imminkiare manco quella troia di Helena che invece, a quanto pare, si lasciò, forse, imminkiare dalla ciolla dei tre intellettuali della ciolla le cui opere non valgono una ciolla, e allora io vorrei sapere, tanto per, se per caso la ciolla finta di Paryde ispirò finanche il kulo dei tre intellettuali della ciolla?>>. --Comunque pare che dopo che Helena uscisse dalla stanza degli intellettuali della ciolla, o dalle stanze degli intellettuali della ciolla, gridasse ancora: << Voglio una minkia. Voglio una minkia. Voglio una minkia e no un simulacro di minkia. Ho bisogno di una minkia, ma non so di quale minkia? Voglio una minkia e no una bestiaccia di minkia. Voglio una minkia e no una bestiona di minkia. Una minkia che sappia fare la minkia. Voglio una minkia, una minkia, una grande minkia. Ma non voglio megaminkie alla Pryapo o minkie intellettuali. A me interessa il kazzicatummulio e basta. Insomma, se la ciolla maritale è un fallimento, la sposina deve andare direttamente da quella che è la ciolla già sperimentata dell‟amante o iniziare la ricerca della ciolla ideale, sperimentando minkie su minkie e ancora minkie e minkie e poi ancora minkie a iosa, alla sanfasò e a tinchitè tout court e full time? Comunque non deve, per tagliare la testa al toro, correre da Pryapo e farsi somministrare la sua ciolla, praticamente la regina di tutte le minkie dell‟urbe, dell‟orbe e dell‟Olympazzo. Pryapo ha fallito. Insomma insomma, che faccio? Scelgo il kazzo amatissimo dell‟amatissimo amante o semplicemente mi faccio kazzi su kazzi scelti a kazzo ma che sappiano fare professionalmente il lavoro del kazzo? Insomma insomma insomma, approderò presto al felice kazzicatummuliamiento con il kazzo di Paryde o no? >> . Lo gridò, si dice, in greco purissimo, uscendo dalla stanza di Homeryno Homokulum. Lo gridò, si dice, in dialetto latino assai assaissimo latinissimo, uscendo dalla stanza di Mhaxymylyanum Mhaxymylyanorum. E lo gridò, si dice, in dialetto di Munypuzos, uscendo dalla stanza di Paulorum Santhokrysos. Si dice anche che lo gridò contemporaneamente nelle tre lingue uscendo dalla stanza in cui li aveva intrattenuti simultaneamente. Una sorta di chiara chiarissima cacofonia. E così come sukava minkiuna idda, pari che pure i tre intellettuali della ciolla sukassero minkiuna anche loro. Sukavano erba degli intellettuali. Ma ognuno la chiamava a sua modo. Erba homeryna, erba mhaxymylyanina, erba santhokrysonina. Helena invece gridava e sukava il solito minkiuni di minkiajuana. E pinsava:<<Che mentula di ciolla di cicia del kazzo di una minkia devo fare?>>. E intanto kazzicatummuliava, ora in stile greco, ora in stile latino, ora in stile dialettale. Ma questa tappa “una e trina” o “trina e una” non era altro che un ostacolo in più nel “minkia tur” che la proiettava verso il traguardo, verso la minkia di Pryapo. --Intellettuali della ciolla, ricordatevi che il pensare alla ciolla fa male. Come dicono a Neapolis, la ciolla nun voli pinseri se deve ben ciollare. Anonimo. --Il greco sarà pure il greco, ma la minkia è internazionale. E non è solo ionica, dorica o corinzia. E tutto e di più. Anonimo --Catullo scriveva in latino, ma la sua minkia scriveva come le altre minkie. Sapeva semmai solo qualche declinazione in più. E il più è sempre meglio del meno. Anonimo --Il siciliano è un dialetto con la coppola, come la minkia. Ma la minkia con la koppola è più siciliana delle altre minkie. Anonimo --Due tizi originari di Leonthynoy e Karleonthynoy cercarono di valutare il numero delle ciolle “modello intellettuale” di cui aveva bisogno Helena per dimenticare la ciolla di Paryde. Anche se non sapevano bene cosa si intendesse per minkia intellettuale, i due fecero i loro calcoli usando il pallottoliere e il minkialiere. << Quattro milioni di ciolle “modello Homeryno Homokulum”. Quattro milioni di ciolle “modello Mhaxymylyanum Mhaxymylyanorum”. Quattro milioni di ciolle “modello Paulorum Santhokrysos”. Il tutto per un totale di dodici milione di ciolle poeticamente pensanti, realmente trombanti e scientificamente ateanti >> disse il tizio di Karleonthynoy. << Facciamo otto. Otto milioni di ciolle “modello Homeryno Homokulum”. Otto milioni di ciolle “modello Mhaxymylyanum Mhaxymylyanorum”. Otto milioni di ciolle “modello Paulorum Santhokrysos”. Il tutto per un totale di ventiquattro milioni di ciolle intelligenti teoricamente e fors‟anche realmente zummanti >> replicò il tizio di Leonthynoy. Ma da Palermorum fecero sapere che la valutazione poteva arrivare al massimo a quaranta milioni di ciolle “modello intellettuale”. Purtroppo un altro tizio perse i documenti e tutto finì a ciolla ignorante di ignorante totale. Ignoravano i suddetti che per il pakkio libero di Helena qualsiasi ciolla valeva zero. Anche quella degli intellettuali. Mentre la ciolla di Paryde valeva più dell‟universo tutto sano sano. Ma loro purtroppo sapevano dare solo i numeri. La ciolla dell‟amante era per Helena la più colta delle ciolle colte e di quelle incolte. Era più della biblioteca di Alessandria e Munypuzos messe insieme. Se le altre ciolle erano dei volumi unici, con un numero diverso di pagine, quella di Paryde era una enciclopedia sana. Magari addirittura una Treggatti. In ogni caso era la summa della summa del sapere universale. Il condensato di tutte le conoscenze acconosciute. --Quattro milioni.. otto milioni.. quaranta milioni.. senza documentazione che rottura di koglioni. Detto popolare --- E naturalmente per tutto il palazzo reale risuonò, di volta in volta, così dicono alcuni, o simultaneamente, così dicono altri, il solito e notissimo oltre che lacerante e addolorato urlo di Helena. Il solo urlo terrificante e tonitruante. <<Voglio.. una minkia.. o una mentula... o un fallo... una minkia.. o una mentula... o un fallo... una minkia... o una mentula... o un fallo... una minkia.. o una mentula... o un fallo... una minkia... o una mentula... o un fallo... una minkia.. o una mentula... o un fallo... una minkia.. o una mentula... o un fallo>>. Per poi finire con un micidiale : MINKIA MENTULA <<Voglio una <<Voglio una >>. >>. <<Voglio un FALLO >>. E pure la sua “Haus von der Kultur des Minkionen”, urlò un “Haus von der Kultur des Minkionen -tonitruante” urlo assai lapalissiano. <<Voglio una minkiaaaaaa...una minkia che sappia fare la minkiaaaaaa.. Voglio una mentulaaaaaa...una mentula che sappia fare la mentulaaaaaa.. Voglio un falloooooo...un fallo che sappia fare la falloooooo..>>. E non era un lapsus calami o un lapsus linguae. In vino veritas. O meglio, in kunnus veritas. Gutta cavat lapidem, mentula cavat kunnus. Il sogno di Helena, e della sua “Haus von der Kultur des Minkionen” , era quello di gridare in faccia all‟urbe, all‟orbe e all‟Olympazzo: << Habemus minkia. Habemus mentula. Habemus fallo >>. Ma il problema era “Quale minkia? Quale mentula? Quale fallo? Una minkia qualsiasi o la minkia di Paryde? Una mentula qualsiasi o la mentula di Paryde? Un fallo qualsiasi o il fallo di Paryde?” “Melius abundare quam deficere” diceva un detto latino latinamente latinissimo. Ma l‟abbondanza di Pryapo non era stata sufficiente. E neanche l‟abbondanza di minkie. E allora idda si chiese: <<Meglio ancora un‟overdose di mentuline, mentule, mentulone e mentulazze per dimenticare la mentulina di Mynkyalao e non pensare alla mentulona di Paryde? >> <<“Sì” per Mynkyalao, “No” per Paryde”>> fu la risposta. << E overdose sia.. con tanti parerghi e senza paralipomeni. Overdose di minkie in attesa dell‟overdose di una certa minkia che sento draconianamente avvicinarsi>> disse Helena. --Il mondo è fatto a scale, c‟è chi scende e c‟è chi sale, ma dove sta la minkia intellettuale? Al contadino non far sapere quant‟è buono il formaggio con le pere, al kulo non far sapere quant‟è buono il kazzo nel sedere. Detti popolari --- << Voglio una minkia. Una minkia che kazzicatummulii cu mia>> continuava a gridare Helena. Infatti Helena, dopo la probabile ma fors‟anche improbabile visita ai tre intellettuali della ciolla, e nonostante il consiglio di Pryapo, non sapeva se andare da Paryde o dalla prima minkia che capitava dopo quelle vere e genuine e reali di Zeus, Eros, Apollo, Efesto, Ares, Ermete, Asclepio, Ganimede, Eolo, Achylle, Patroclo, Mynkyoreste, Pilade, Castore, Polluce, Edipo e Odisseo e quelle artificiali di Pallade e Artemide a cui aveva però ricambiato il favore ricevendo in regalo un Sosia che lei aveva battezzato “Gioconda”. E la “Gioconda” era andata anche in kulo a Ganimede, Achylle, Patroclo, Mynkyoreste, Pilade, Castore, Polluce e Antigone. E per minnitta e solo per quello era andata in kulo ad Agamynkyone che però non era andato in kunno alla cognata che aveva optato per il “gran rifiuto”. Il Sosia aveva tentato anche di andare il kulo a Odisseo ma Odisseo l‟aveva fatto finire in kulo a Helena. E adesso aveva avuto anche la minkia delle minkie, la minkia Pryapo . E Pryapo e le Menadi s‟erano fatte un giro col Sosia di Paryde. Ma Helena non era contenta. Voleva minkie su minkie e ancora minkie e minkie ancora, eppure sapeva anche che la minkia giusta per lei era quella di Paryde. Che questa ricerca della minkia portava a Paryde. Eppure Helena non sapeva se andare subito da Paryde. Forse era ancora indecisa tra la minkia come tale e la minkia innamorata del purceddopolita. Tra la minkia tale e quale e la vera “Gioconda”. E forse, ma dico forse, aveva avuto anche quelle di Homeryno Homokulum, Mhaxymylyanum Mhaxymylyanorum e Paulorum Santhokrysos. E forse, e dico sempre forse, il tre intellettuali avevano avuto la ciolla finta di Paryde. Helena comunque voleva ancora minkie su minkie. Eppure sapeva che la minkia giusta per lei era quella di Paryde. Ma Helena non sapeva se andare da Paryde. Andare da Paryde voleva dire che era semplicemente innamorata, anche perché Paryde avia si un bell‟uccello ma non era certamente il massimo in fatto di misure. Ma lei avia il kunno innamorato: e l‟amore è capace di far teoricamente diventare un elefante magari una piccola mosca. << Vado ancora a minkia e ancora m‟imminkio sulla prima minkia per cercare di non pensare né alla minkia di Mynkyalao che mi fa schifo né a tutte quelle che mi sono fatta. Compresa quella portentosa, ma inutile per me, di Pryapo. E‟ quella di Paryde che mi appititta. E‟ quella di Paryde che voglio. Diciamo la verità. Ed è da Paryde che devo portare il mio sesso. Prima o poi devo andare da lui. Perché per il mio kunnu chidda è la megghiu minkia di lu munnu>>. --<< Voglio una minkia. Una minkia assai kazzicatummuliante>> continuava a gridare Helena. Ed Helena, finita o non finita, fatta o non fatta questa escursione extra con i tre intellettuali della ciolla, indecisa ancora se andare alla cieca a cercare minkie su minkie o invece catafottersi nel letto dell‟amante, pinsò che poteva, per recita e buona creanza, tornare da quel minkialenta del marito per portare avanti una sceneggiata chiamata “famiglia”, un po‟ come fanno tutti gli ipocriti a minkia che stanno su questa minkia di terra. È di moda farsi una famiglia per poi tentare di farsi quella degli altri. Se la fika della propria signora è la fika istituzionale, la fika della vicina di casa attizza la ciolla chiù assai della fika di casa. Era di moda avere anche una famiglia primaria e poi quelle secondarie. La famiglia istituzionale e poi la famiglia due, la famiglia tre, la famiglia quattro, la famiglia cinque. E poi c‟erano le fike straniere che attizzavano le ciolle assai assai assaissimo. Le fike alloctone erano chiù attisaciolle delle fike autoctone. Insomma, la famiglia era la più bella commedia ma anche la più bella tragedia quotidiana. Una tragicommedia, per dirla con una un sola parola. Tra l‟altro la famiglia era uno scannatoio perenne quasi quotidiano. Il banditore annunciava quasi tutti i giorni tragedie familiari alla grande. Mogli che ammazzavano i mariti e mariti che scannavano le mogli. Ma anche figli che ammazzavano i genitori e altro. Le più grandi tragedie avvenivano in famiglia. Se le tragedie della minkia e del kunno avvenivano nella camera da letto, le tragedie che interessavano l‟uomo o la donna nella sua totalità avvenivano in famiglia. Anche se dietro il massacro c‟era sempre un fatto di kunno o di minkia. Di un kunno che s‟era appitittato d‟altra minkia o di una minkia che s‟era appitittata d‟altro kunno. E non mancavano i casi di un kunno che voleva n‟autru kunnu o di una minkia che voleva n‟autra minkia. Anche se in quest‟ultimi casi sarebbe da tirare il ballo il kulo. O anche la bocca. E mentre pinsava ciò, Helena vide Dyonyso tutto solo soletto. Era, tanto per cambiare, brill‟assai. Nudo come un verme e con due brocche in mano. Ora sukava da una, ora dall‟altra. E a volta versava nu tanticchia di vino sulla ciolla. << Suka ciolla mia, suka cicia bedda, che prima o poi sukata sarai. Suka ciolla mia, suka, che prima o poi sukata da Aphrodyte sarai>>. Helena pinsò che dopo aver sentito il figlio, poteva anche sentire il padre. In tutti i sensi. Anche in quello “in vino veritas”. Tra l‟altro Dyonyso era un altro suo fratascio. Perché le famiglie non era incasinate solo sulla terra. Lo erano anche nell‟Olympazzo. Anzi, alcune avevano una componente terrestre e una divina. Lei personalmente aveva parenti terrestri e parenti divini. Era insomma un bordello a tutti i livelli. Forse aveva ragione Pryapo, che da dio dei bordelli in pectore, si sentiva dio del mondo. Perché il mondo era tutto un bordello. << Dyonyso >> lo chiamò. << Embì... embè... embò.. cu minkia mi chiamò?>>. E giù un sorso. << Dyonyso. Sono io>>. << Embì.. embò.. embè.. cu minkia sei te?>>. E giù n‟autro sorso. << Sono Helena, e proprio da poco ho visto tuo figlio Pryapo>>. << Embì.. embè.. embò.. allora la minkia ti passò>>. E giù n‟autro sorso ancora. << Dyonyso, sei brillo assai assaissimo veramente>>. << Embì.. embè.. embò.. allora mio figlio te lo sdillabbriò?>>. E giù un sorso. << Cerca di ragionare. Vieni con me, che ti metto a letto>>. << Embì.. embò.. embè.. sposina sei ma non stai sulla minkia del marito, perché?>>. E giù n‟autro sorso. E un po‟ pure alla sua minkia. Raccontò tutto Helena. Raccontò del “minkia tur” tappa per tappa. Raccontò dell‟overdose di minkie. Raccontò del “No” ad Agamynkyone. Raccontò tutto il resto. Raccontò di siringhe e insiringatori. Raccontò di dosi minime e di dosi massime. E chiese consolazione. << Minkia. Intanto suka ca ti passa st‟aria stolla>> << Che devo sukare? Il tuo vino o la tua ciolla?>>. << Il vino, che il vino fa buon sangue. E il buon sangue fa buon pakkio. E il buon pakkio fa buona la minkia. E la buona minkia e il buon pakkio fanno bella la vita>>. << Suko.. suko.. suko.. ma poi, per il resto? Io vorrei provare il tuo kazzo presto presto>>. E sukò. Suko alla sanfasò. << Minkia che vino veramente assai assaissimo bello. Minkia.. mi mette il fuoco nel nido dell‟uccello. È un vino robusto, come la minkia che ha un buon fusto. Come minkia si chiama questo vino accussì assai divino?>> . Sukò pure Dyonyso. << Brunello, Brunello di Minkialcino. Ed è un vino assai fino. Io ci son stato per turismo in chistu paese assai assai bello. E penso di trasferirmi presto là, sia io che il mio divino uccello. Perché iddu, il caro ciciotto bello, va al meglio solo col Brunello. Non solo va al meglio l‟aceddu, ci va pure il mio ciriveddu. E anche se questo paese sarà un giorno ribattezzo Montalcino. Io mi ci vado lo stesso, perché il Brunello del creato è il miglior vino>>. << Capit‟ho. Delle cicie Pryapo è il miglior uccello, dei vini invece il migliore è senz‟altro il Brunello>>. << Ver‟è, come la minkia che sotto la mia panza c‟è>> disse iddu. << Ver‟‟è. Ma adesso passimilla tout court a me>> disse idda. << Embì.. embè.. embò.. la minkia io ce l‟ho. Embì.. embò.. embè.. ma lu purtusu unnè. Embò.. embè.. embì.. aiutami a metterlo lì>>. E giù n‟autro sorso ancora. E un po‟ pure sulla ciolla. Dyonyso si buttò addosso ad Helena ma non trovò la strada per il pertugio. <<Riempimi la brocca di “vino di minkia” a iosa. Alcolizzami il pakkio con la tua „nbriaca cosa. Rendilo assai ebbro di sommissimo piacere. Fammi alcolicamente assai assai godere >> gridava lei. << Non nel corridoio però. Andiamo almeno nella mia stanza. Per la privacy, per non far vedere come presento l‟istanza>> propose Dyonyso. << Per me è lo stesso, basta che minkia e kunno si facciano una bella ballata. Tuisti o lento, rocchenrolli o mazurca, l‟importante è che musica sia sonata >>. Ma una volta sul letto lui non trovava la strada per la sua minkia. Allora l‟annaffiò di vino. E il vino arrivò pure al suo pakkio. E il mix che ne venne fuori attirò l‟augello divino. Fecero e strafecero, strafatti com‟erano. Lei aveva l‟input di cercare minkie su minkie anche se sapeva che la minkia adatta a lei era quella di Paryde, lui aveva l‟imput del divino vino che gli teneva diritto l‟augello ma non gli indicava la retta via per annidarlo. E lei l‟aiutava. Ma il pakkio alcolico l‟attirava in automatico. << Col vino e la ciolla è da dio il kazzicatummulio>> disse Helena. << Con la ciolla che va a vino il kazzicatummulio è divino>>. Ma Dyonyso, ogni tanto, arriminando le tette di Helena, acchiappava il ciondolo appeso alla collana. Lu acchiappava e ci iucava. << Minkia, tengo due minkie. Una dintra di tia e una volante. Una attaccata al mio corpo e una libera e autonoma >> concluse Dyonyso. Lei cercava di spiegargli la cosa ma lui si intestardiva di chiù. << Ho due minkie, una per il pakkio e una per il kulo. Sono Dyonyso biminkia>>. E convinto di averne due piazzò il Sosia nel kulo di Helena. << Che bello, metterne uno davanti e unu darreri di uccello>>. Ma Helena, tanto per non smentirsi, si lu sciu e ci lu piazzau nel kulo a Dyonyso. << Minkia, dal tuo kulo sciu e nel mio andò. Sono anche capace di atoinkularmi però>>. A cose finite Dyonyso sminciò tutto. E si calmò pure il suo spirito dionisiaco. << Ma almeno dimmi se le minkie mie, e dimmillu chiaru e tunnu, se le brille minkie mie lu stutanu lu focu ca ardia, e non solo, na lu to kunnu? >> chiese curioso Dyonyso, a cui, come a tutti i maschi, ci piacia sentirsi dire dalla fimmina ca era tutta ma proprio tutta soddisfatta. Specialmente se il maschio aveva due minkie. << Mancu di na stizza, lu kunnu mi pruri e m‟attizza. Iddu assai m‟impazza e voli tutt‟autra minciazza. Però ti chiedo, in vino veritas, di darmi un consiglio. Voglio vedere se è lo stesso di chidda minkiazza di tuo figlio>> chiese Helena. << Lui ragiona con la minkia, io col cervello. Magari cino di vino, ma ragiono con quello. Lui ti avrà detto “corri dalla minkia dell‟amante”. Io ti dico “torna dal marito e futtitillu all‟istante”. Lu maritu è importante pi l‟occhio sociale, pi la società. L‟amante, se uno lu perde, n‟autro ne arriverà>> disse lu „nbriacu Dyonyso che all‟improvviso s‟era scoperto pedagogo. << Buon‟assai e ottim‟anche come consiglio. Ma non so se ascoltare te o tuo figlio>> rispose Helena accendendosi un bel minkiuni di minkiajuana. << Ascolta me, ascolta me, perché nel vino la verità c‟è>> continuò il pedagogo. E intanto facia un certo segnale col dito medio. << Chi voli dire stu minkia di itu tisu come na minkia?>>. << In kulo sempre alla verità, in kulo sempre all‟ipocrisia. In kulo a chista minkia di recita di la vita e così sia>>. << Non ci capisco una bene amatissima minkia>> disse Helena. << Meglio così. D‟altra parte tu capisci solo la minkia. Ed è già tanto il saper ben kazzicatummuliari. E pensare che ci sono delle femmine che non capiscono manco quella. E son kazzi da kakare>>. Helena si mise a cantare e a ballare. << Nun capisciu na minkia, ma capisciu la minkia. Nun capisciu nu kazzu, ma capisciu lu kazzu. Nun capisciu na ciolla, ma capisciu la ciolla. Nun capisciu na cicia, ma capisciu la cicia>>. Dyonyso, a questo punto, si addumò nu beddu minkiuni. E sukannu taliava la picciotta dal pakkio spilato. Ma lui in realtà preferiva il vino. Il divino vino. Eppure ogni tanto, tanto per, fumava. Tra l‟altro, i suoi seguaci, chiamavano la minkiajuana minkiadionysyana. Ma a lui ci ni futtia meno di un pirito fantasma. << Minkia, ho recitato la parte del moralista, del pedagogo moralista. Minkia, che sono bravo a fare l‟attore. Minkia, sono uno specialista. Gli ho detto “vai dal marito minkialenta”, kazzo d‟un kazzo fatto a kazzo. Ho ragionato malissimo assai e peggio di una minkia di pazzo. Avrei dovuto dirgli ”prima ca il tuo pakkio non venga più desiderato, se possibile, fatti tutte ma proprio tutte le belle minkie del creato>> pinsò Dyonyso sukannisi lu minkiuni ma pigliandosi anche na bella brocca di vinu. E alternando na sukata di fumu cu na sukata di vino. Helena fumava sdraiata sul letto. E sempre a cosce larghe. << Ma allora mi chiedo: il vino, il divino vino, libera la mente o la rende schiava dell‟occhio sociale buttano e deficiente?>> pinsò Dyonyso. E giù un sorso. E anche una taliata lampo all‟origine del mondo di Helena. << Ma allora mi chiedo anche: il fumo, il divino fumo, libera la mente o la rende schiava dell‟occhio sociale iarruso e deficiente?>> ripensò Dyonyso. E via con un altro tiro. E anche con un‟altra taliata lampo alla “Domus mentula” di Helena << Ma allora mi chiedo: il sesso, il divino sesso, libera la mente o la rende schiava dell‟occhio sociale buttano e deficiente?>> pensò ancora, in silenzio assoluto, Dyonyso. E giù un nuovo sorso e un nuovo tiro. Helena invece fumava e teneva sempre le cosce spalancate. << Né l‟una né l‟autra cosa. Iddi si ni futtunu dell‟occhio sociali. Lu vinu, lu fumu e il sesso, sunu piaciri assai assai personali. Lu vinu è pitittu, lu fumu è desiderio, il sesso è natura. Allura pirchì certa genti rumpi la minkia ad ogni ura? Io però ho solo voluto recitare da strunzu specializzato. Ma ho pigliato per il kulo Helena o mi sono autoinkulato?>> si chiese, in silenzio assoluto, Dyonyso, sukannu vino e minkiuni in contemporanea. Helena sukava adesso col kunno. Minkia, che spettacolo lu minkiuni nel kunno. Minkia, come sukava quel kunno. E minkia che spettacolo quannu scia lu fumo. << Idda si ni futti e strafutti na minkia dell‟intero universo. Idda è patruna assoluta e totale e unica di lu so sesso. E io, il libertario più libertario di sta minkia di munnu, io ci haiu dittu di portare a lu marito lu so beddu kunnu. Io!Ma idda, io lo saccio, nun la farà sta granni minkiata. La vita è una, e la gente libera nun fa mai la sceneggiata. La gente libera nun fa teatru, nun fa pubbliche rappresentazioni. La gente libera non si fa rompere dagli altri né le palle né i koglioni. Idda si ni futti tout court e full time della pubblica opinione. Idda è libera di minkia e stikkio, e si ni fitti della religione. In fondo sono i sacerdoti di certi riti che creano regole sull‟uso del corpo e del sesso. Creano regole per il meccio e per il portuso. Io invece, da dio saggio e amato, dico a tutti gli esseri umani del creato: “Fate come minkia vi pare finche il kunno, la minkia e il resto c‟è. Fikkate assai e godete altrettanto. Ma sempre a iosa, alla sanfasò e a tinchitè>> disse Dyonyso a se stesso. Accussì concluse iddu facennisi l‟ultima doppia sukata di vino e minkiuni. Idda lu taliava pensierosa, fumando ora col pakkio ora con la bocca. << Chi pensi, Dyonyso beddu, briacu di minkia e di ciriveddu>>. << Penso che la cosa chiù bella di chista minkia di vita è farne una lunghissima fikkata. Fikkata continua e infinita. D‟altra parte io, dio sommamente onesto e buono, sono contrario a chidda kakata chiamata “perdono”. Io ai miei nemici non auguro la morte chiù laita ca ci sia. Io auguro assai malattie di stikkio e di minkia. E così sia. A li fimmini bugiarde auguro lu stikkiu fracitu e dulenti. A li masculi ipocriti la minkia sempre modda e impotenti. Però, se devo essere sincero, e io di minkia e di testa son uomo d‟onore, auguro a tutti sti minkia di gente un tumore nell‟organo dell‟amore. Un tumore che lentamente se li porti nella tomba come soluzione finale. Un tumore che li faccia gridare assai assaissimo e soprattutto santiare. Tu, femmina libera di testa e di pakkio, te ne fotti del sacro e del profano, ma taliti attorno, e dimmi quanta ipocrisia vedi in chistu munnu ruffiano? Cririmi, parola di dio briaco, buttanieri, minkia tisa e finanche kulo rotto. Goditilla tutta sta minkia di vita, goditilla a tutta minkia e con tanto di botto. Goditilla tutta, minkia pi minkia. Goditilla tutta, finché minkia c‟è. Goditilla tutta. Goditi la minkia a iosa, alla sanfasò e finanche a tinchitè. << Sì, hai ragione, ragione a minkia cina, caro lu me diu>>. << La vita è bella solo se c‟è sempre del kazzicatummuliu>>. << Sempre?>> chiese idda. << Sempre semprissimo semprissimamente>> rispose Dyonyso taliandola là. << Accussì sarà, prometto>>. << “Non omnia possumus omnes”. Non tutti possiamo fare tutto, ma la minkia può fare di tutto. E tu, con quella cosa là, puoi avere tutte le minkie del mondo>>. Helena rise. << Il mio “minkia tur” volge al termine. Ho sperimentato sì minkie su minkie, ma adesso mi aspetta la minkia di Paryde>>. << Io invece sono sempre per il “pakkio tur”. Come mio figlio. Anche se lo strumento è diverso, il concetto di “pakkio tur” è lo stesso. Anche se ogni tanto mi piace fare una tappa nel pakkio di Aphrodyte. Una tappa per intappare il tappo nel portatappo della tappinara. Che poi, tu e Aphrodyte, avete lo stesso pakkio. Pakki gemelli siete. Ed entrambe amate il “minkia tur”. E io per quello di Aphrodyte pazzio a tutta minkia e kazzo e cicia e altro>>. << Pure a tutto kulo pazzii >> disse Aphrodyte entrando. Era bellissima. Era stupenda. Era il non plus ultra della femminilità divina, mentre Helena lo era di quella umana. La dea si stinnicchiò accanto a Helena, a cosce larghe anche lei. << Minkia, minkia chi coppia di pakki. Minkia, chi pakki beddi. Gemelli sono, uguali sono. Minkia, ma io non avevo due aceddi? Così faccio l‟uomo sanduicci e vi li mettu insieme na li vostri sticci>>, << No, uno era il Sosia di Paryde. E questo è un dato sicuro. Come vero è il fatto che tu lo pigliasti con amore in kulo>> disse Helena. << Ma ora come minkia fazzu, ci su du pakki e un solo kazzo. Se ci lu passu a Helena, Aphrodyte resta vacanti di vanedda. Se ci lu calu a Aphrodyte, Helena resta cu lu pitittu di l‟acedda. Minkia, chi minkia di dilemma. A cu dugnu sta minkia d‟antenna? Aiutu, come risolvo il problema? Due pakki e na minkia ca pari scema>>. Aphrodyte e Helena lo invitarono a letto. << Vieni caro, vieni a pisciare vino di brigghio nella nostra botte personale>>. << Minkia mia bella, iemu subito a camporella >>. Ma prima di stinnicchiarisi na lu iazzu si sukò vinu e vino ancora a tutto kazzo. Loro se lo piazzarono nel mezzo. << Minkia. A cu la calu? A cu la ficcu? A cu la sonu? A cu la dugno? A chidda ca m‟accarizza li palli o a chidda ca mi la teni in pugno? Pirchì lu maskulu teni due koglioni due e una minkia soltanto? Non sarebbe meglio una palla e due minkie, se tanto mi da tanto? Le palle sono un accessorio necessario, ma la minkia è uno strumento. E con due strumenti si lavora meglio, è maggiore il rendimento. E allora, Zeus cugghiunazzu, pirchi facisti lu masculu cu nu sulu kazzu? Aiuto, aiuto, Zeus beddu, soccorri ipso facto il mio unico aceddu>>. E si sukò autru vinu alla sanfasò. E tra un “oh” e un “eh” si skulò ancora vinu a tinchitè. E tra una “misa” pinsata e una pinsata “posa” si sukò vino finanche a iosa. Helena e Aphrodyte stavano quasi litigando. E litigando ci strapazzavano la cicia. << Aiuto addumannasti? E aiuto arrivò. E chi minkia di aiuto Zeus ti mannò. Papà, son Pryapo tuo bello. Tu hai difficoltà, eccoti qua il mio uccello. Minkia, la sposina e la mammina. Che coppia bella di pakki sopraffina. Qua non basta una minkia. Qua ci vuole una minkia che sia anche eroina. Du stikkia, tri minkie tra vere e finta, quattro bocche e quattro kuli beddi. Organizziamoci e vedrete che ci saranno puru li bummi e li „nzareddi>> << Pryapo, chi famu? Orgiamo?>> chiesero le donne e Dyonyso << Figghi beddi, scupamu. E orgiamo>> rispose il dio della ciolla. In quel momento un folata di vento stutò li cannili e iddi arristanu a lu scuro. Le uniche cannile addumate erano i loro mecci. E l‟orgia incominciò. Nun si capiu na minkia. Ma la minkia finta di Paryde a tutti li parti iu. << La minkia finta di lu me amante piaciu a tutti seduta stante>> pinsò Helena. Pryapo scopò pure con mammà. << Curaggiu, iu ti fici, iu ti riassaggiu>> pinsò mammà. << Di là scii sanu sanu tuttu, ora ci trasu sulu cu lu prosciuttu>> pinsò Pryapo. E in un attimo di confusione Pryapo si trovò in kulo la cicia brilla di papà. << Lu kulu, lu sacciu, lu tiegnu bellu come a mammà, però chista cosa si la poteva evitare lu beddu papà>> pinsò il dio dal rosso palo. << Minkia, la mia bedda minkia brilla e bona, fici in kulo a mio figlio lampi e trona>> pinsò Dyonyso. << Papà, attenzione a unni metti il pisello. Anche se a dire il vero il kulo lo tengo bello>> disse Pryapo. << Scusami, sbagliai, beddu dio di lu gran burdillazzu. Fici confusioni, non ci capii chiui né na minkia né nu kazzu. Nun ci capii chiui na cicia e na ciolla di burdillinu. Fici confusione tra purtuso fimmininu e masculinu >> rispose papà. Ma il figlio per rispetto non andò nel paterno kuletto. << Pi minnitta ci lu rassi, ma poi ci lu spaccassi>> pinsò il figlio. << Se mi ricambia il favore, saranno kazzi amari e non d‟amore>> pinsò papà. Successe anche altro, ma è meglio tacere. Fu orgia. Orgia fu. E non dico di più. Per esempio, la dea della bellezza si fici padre e figlio contemporaneamente. In contemporanea nel vaso ortodosso e nell‟eterodosso ma anche simultaneamente nello stesso fosso. Idda si fici l‟amante suo e suo figlio. E qua mi fermo perch‟io sono adesso assai vermiglio. << Qualis pater talius filius, a parte l‟aggeggio>> disse papà intanto che insieme la mettevano là. << Asinus asinum fricat. Un asino gratta l‟altro, ma non tutti gli asini hanno la stessa dotazione. Ci sta lo scecco major e lo scecco junior>> rispose il figlio. << Si parva licet componere magnis>>. << No. Uniquique suum. Tu quoque, Pryapo, fili mi>>. << Papà.. Hic manebimus optime>>. << Figlio.. Hic Rhodus, hic salta>>. << Papà.. Iacta alea est>>. << Figlio.. La minkia anche>>. << Veni.. veni.. veni.. veni , vidi, vici..>> gridarono entrambi. << Repetita iuvant>> dicevano le donne. Solo la minkia finta di Paryde stava muta. Alla fine Helena uscendo, gridò il solito: << Voglio una minkia kazzicatummuliante a modo mio>>. Era comunque contenta Helena. Il teatro con Dyonyso era stato uno spettacolo bello. Una bella messa in scena. Bellissima lei, bello e bravo lui. Lui che era posseduto dallo spirito dionisiaco e sapeva come esibirsi, come porsi, come mostrarsi, come evidenziarsi, come occupare la scena e dare spettacolo a iosa, alla sanfasò e a tinchitè. E lo aveva esibito tutto lo “spirito” ciollesco. Ma la “Luna” non era contenta. Voleva e desiderava altro “spirito” ciollesco. Da attori professionisti comunque la performance. Titolo plausibile, A letto con la ciolla brilla di Dyonyso. Un classico del Teatro alcolico. E poi erano arrivati anche gli ospiti. Prima la dea della bellezza e poi il dio della minkia. Nella testa di Helena la solita idea fissa: << Che minkia fo?>>. E kazzicatummuliava. Il solito pinsero attanagliava Helena: <<Che mentula di ciolla di cicia del kazzo di una minkia devo fare?>>. <<Ma chi kazzu fazzu? Kazzicatummulio verso lu maritu fitusu, come mi ha consigliato quel fitenti testa di kazzo di Dyonyso, e come mi consiglia ipocritamente anche la mia ipocrita ragione, o kazzicatummulio verso la minkia di Paryde, come mi ha consigliato quel minkia esuberante di Pryapo e come mi consiglia anche il mio naturale e biologico stikkio, ma anche il mio corpo, il mio cuore e soprattutto la mia libera mente?>>. Non sapeva che fare aggirandosi disperata per i corridoi del palazzo reale. Pinsava alla sceneggiata napoletana, o munipuzzese, col marito, ma pinsava anche al teatro verità con Paryde. E lei era per la verità. Idda era per la minkia veritiera di Paryde e non per la minkia impotente di Mynkyalao. In ogni caso il “minkia tur” volgeva al termine. Il traguardo era vicinissimo. Solo che non sapeva se correre subito dall‟amante per un “fiat lux” senza precedenti o fare una tappa extra col marito, una tappa per quella minkia d‟occhio chiamato occhio sociale. << Quo vadis?>> si chiese. << Dalla minkia di Paryde>> ci rispose emozionalmente parlando la sua bocca di sotto. << Quo vadis?>> si richiese Helena. << Unni minkia ti pari. Fiat voluntas tua>> ci ririspose quella. << Panta rei os potamos>> specificò Helena. << Tutto scorre, ma non come un fiume. Pi mia tutto scorre come una minkia. O meglio, come una successione di minkie>> ci ririspose ancora quella. << Panem et circenses. Pane e giochi circensi. Questa è la vita mia>> specificò Helena. << Panem et mentulensis. Pane a filoni per me, e giochi di minkia , sempre per me>> ci ririspose ancora quella. << Semei in anno licet insanire>> << Una volta l‟anno è lecito rinkoglionire>> ci ririspose ancora quella. << Ora et labora>>. << Meglio “labora et labora”>> ci ririspose ancora quella. << Nunc est bibendum, nunc pede libero pulsanda tellus>> disse Helena. << Concordo. Ma interpreto a modo mio. Ora è tempo di bere latte di brigghiu. Ora è tempo di danzare battendo la terra con piede libero. E io so quale danza voglio fare. E con chi la voglio fare. E io, che son la terra, so da quale piede voglio essere battuta. Io non desidero la minkialenta di Mynkyalao. Io voglio la minkia di Paryde. Quello è il mio piede. Quello e non altro>> ci disse, teoricamente, a Helena la sua vorace fika. --La ciolla è la ciolla, ma la ciolla brilla è più ciolla della ciolla astemia. La ciolla brilla, brilla di più. E quella di Dyonyso è sempre brilla. Distolico --La ciolla che va a vino ha un effetto divino. Perché è divinamente divina. Sia sul pakkio che sulla sua padroncina. Sistolico --La più bella coppa per bere il divino vino è il kunnus di una donna in amore. E dopo aver bevuto con passione dal pakkio il pakkio con passione va fottuto. Che il kunnus al vino fa del kazzo un kazzo divino. Socrate Brillino --Date da bere un po‟di vino alle ciolle assetate. E finanche ai pakki. Che il vino è miracoloso. Leonida --La Ciolla, ovvero la fontana del vino dell‟amore. Il Kunnus, ovvero la coppa del vino dell‟amore. Patroclino --- Due tizi originari di Leonthynoy e Karleonthynoy cercarono di valutare il numero delle ciolle “modello Dyonyso” di cui aveva bisogno Helena per dimenticare la ciolla di Paryde. << Quattro milioni di ciolle “modello Dyonyso”. Quattro milioni di ciolle brille assai assai per far brillare assi assai il pakkio>> disse il tizio di Karleonthynoy. E intanto sukava vino alla sanfasò. << Otto milioni di ciolle e per giunta assai assaissimo brille per fare giustamente brillare al massimo il pakkio divino della bellissima Helena>> replicò il tizio di Leonthynoy. E intanto sukava vino a tinchitè. Ma da Palermorum fecero sapere che la valutazione poteva arrivare al massimo a quaranta milioni di ciolle “modello Dyonyso”. Forse la sukavano vino a iosa. Purtroppo un altro tizio perse i documenti e tutto finì a ciolla „nbriaca . Forse costui sukava vino tout court e full time. Ignoravano i suddetti che per il pakkio libero di Helena qualsiasi ciolla valeva zero. Anche quella brilla di Dyonyso. Mentre la ciolla di Paryde valeva più dell‟universo tutto sano sano. Ma loro purtroppo sapevano dare solo i numeri. La ciolla dell‟amante era per Helena la ciolla più alcolica tra tutte le ciolle alcoliche e astemie. --Quattro milioni.. otto milioni.. quaranta milioni.. senza documentazione che rottura di koglioni. Detto popolare --E per tutto il palazzo reale risuonò purtroppo il solito lacerante e addolorato urlo di Helena. Lo stesso. Il solito. Ma era un urlo bifronte. Delle volte pareva rivolto a Mynkyalao, delle volte a Paryde. Nel primo caso era un urlo luttuoso, nel secondo un urlo gioioso. Ma comunque sempre orrendamente tonitruante. <<Voglio... una minkia.. una minkia.. una minkia... una minkia.. una minkia... una minkia.. una minkia..>>. Per poi finire con un micidiale : <<Voglio una MINKIA >>. E pure la sua “Botte del vino di ciolla” urlò un “Botte del vino di ciolla -tonitruante” urlo assai lapalissiano. <<Voglio una minkiaaaaaa...una minkia che sappia fare la minkiaaaaaa...quindi non può essere la minkia inutile di Mynkyalao, deve essere necessariamente quella amorosa di Paryde >>. E non era un lapsus calami o un lapsus linguae. In vino veritas. O meglio, in kunnus veritas. Gutta cavat lapidem, mentula cavat kunnus. Il sogno di Helena, e della sua “Botte del vino di ciolla” , era quello di gridare in faccia all‟urbe, all‟orbe e all‟Olympazzo tutto: << Habemus mentula>>. Ma il problema era “Quale mentula?” Una mentula qualsiasi o la mentula inutile di Mynkyalao o la mentula amante di Paryde? Una mentula deludente o una mentula incognita o una mentula capace? E allora idda si chiese: <<Meglio ancora un‟overdose di mentuline, mentule, mentulone e mentulazze per dimenticare la mentulina di Mynkyalao e non pensare alla mentulona di Paryde? >> <<“Sì” per il minkialenta di Mynkyalao, “No” per la “Gioconda” di Paryde”>> fu la risposta. “Melius abundare quam deficere” diceva un detto latino latinamente latinissimo. E allora meglio un‟overdose di mentuline, mentule, mentulone e mentulazze per dimenticare la mentulina di Mynkyalao. Ma non c‟erano kazzi da kakare che potevano farle scordare la mentulona, mentulona per modo di dire, di Paryde. << E overdose sia.. con tanti parerghi e senza paralipomeni >> disse Helena. << Ma della minkia di Paryde però>> aggiunse. --Botte buona fa buon vino, minkia dura fa buon pakkio. Detto popolare --A curtigghiari c‟erano i tre intellettuali della ciolla, che non avevano chiù problemi di ciolla. E pertanto pinsavano già di scrivere rispettivamente, secondo la propria specializzazione, il Poema Helena s‟inphalla il phallo brillo di Dyonyso che si convince di avere due phalli tanto che con il secondo può inkulare o inkularsi intanto che con il primo imminkia, il Carmen Helena s‟immentula la mentula brilla di Dyonyso che crede di avere due mentule tanto che con la seconda può andare in kulo a se stesso o ad altri mentre con la prima imminkia, e il romanzo Cent‟anni della minkia „nbriaca di Dyonyso per il pakkio di Helena ma siccome Dyonyso crede di avere una doppia minkia vorrebbe simultaneamente inkunnare e inkulare ma finisce inkulato. Sokratynos Phylologos, il filosofo della minkia, con problemi incommensurabili di minkia, si chiese: << La vita è una, come la minkia, e se non è un piacere vivere e avere una minkia, a che minkia serve avere una minkia arrapatissima e quasi sofferente se poi non puoi imminkiare manco quella troia di Helena che invece si lascia imminkiare da Dyonyso che, in vino veritas, si convince di avere non una minkia ma due minkie e pertanto piazza la seconda minkia nel kulo di Helena che per minnitta si leva la minkia finta dal suo kulo e la imminkia nel kulo di Dyonyso che sempre in vino veritas si convince di essere in grado di inkularsi con una delle sue due minkie e tutto questo mentre, minkia arrapata d‟una minkia arrapatissima che vorrebbe fortissimamente imminkiare a minkia cina, ci sarebbe stata la mia filosofika e arrapatissima minkia disponibilissima a imminkiarla filosofikamente, e fors‟anche il mio filosofico kulo pronto a farsi inkulare dal Sosia, intanto che, oltre che imminkiarla, la inkulassi anche, sempre filosofikamente però ?>>. --Helena, dopo la probabile ma fors‟anche improbabile visita ai tre intellettuali, non sapeva se andare da Paryde o dal marito. Di minkie ne aveva avute a iosa. Di minkie vere e genuine e reali come quelle di Zeus, Eros, Apollo, Efesto, Ares, Ermete, Asclepio, Ganimede, Eolo, Achylle, Patroclo, Mynkyoreste, Pilade, Castore, Polluce, Edipo, Odisseo e Dyonyso e quelle artificiali di Pallade e Artemide a cui aveva però ricambiato il favore ricevendo in regalo un Sosia che lei aveva battezzato “Gioconda”. E la “Gioconda” era andata anche in kulo a Ganimede, Achylle, Patroclo, Mynkyoreste, Pilade, Castore, Polluce, Antigone e Dyonyso. E per minnitta e solo per quello era andata in kulo ad Agamynkyone che però non era andato in kunno alla cognata che aveva optato per il “gran rifiuto”. Il Sosia aveva tentato anche di andare il kulo a Odisseo ma Odisseo l‟aveva fatto finire in kulo a Helena. E aveva avuto anche la minkia delle minkie, la minkia Pryapo . E Pryapo e le Menadi s‟erano fatte un giro col Sosia di Paryde. Ma Helena non era contenta. Voleva minkie su minkie e ancora minkie e minkie ancora, eppure sapeva anche che la minkia giusta per lei era quella di Paryde. Che questa ricerca della minkia portava a Paryde. Eppure Helena non sapeva se andare da Paryde. Forse era ancora indecisa tra la minkia come tale e la minkia innamorata del purceddopolita. Tra la minkia tale e quale e la “Gioconda”. E forse, ma dico forse, aveva avuto anche quelle di Homeryno Homokulum, Mhaxymylyanum Mhaxymylyanorum e Paulorum Santhokrysos. E forse, e dico sempre forse, il tre intellettuali avevano avuto la ciolla finta di Paryde. Ma Helena non era per niente contenta. Non sapeva se voleva ancora soltanto minkie su minkie e solo e soltanto ancora minkie. Tutto questo pur sapendo che la minkia giusta per lei era quella di Paryde. Eppure Helena non sapeva se andare da Paryde. Ma forse era ancora veramente e giustamente indecisa tra la minkia come tale e la minkia innamorata del purceddopolita. Comunque voleva anche tornare dal marito e fare la brava moglie come le tante altre mogli dell‟alta e della bassa società. Voleva recitare la sceneggiata della famiglia perfetta. Come tutte le moglie e come tutti i mariti. << Io voglio bene a mia moglie e alla sua fika, ma la ciolla me la lascio gestire da altre fike. E non solo>> dicevano i bravi ed esemplari mariti modello. << Io voglio bene a mio marito e alla sua ciolla, ma la fika me la lascio gestire da altre ciolle . E non solo>> dicevano le bravi ed esemplari mogli modello. Helena voleva comunque, questo è certo, minkie su minkie. Eppure sapeva con matematica certezza che la minkia giusta per lei era quella di Paryde. Eppure Helena non sapeva se andare immediatamente da Paryde. Poteva fare com‟era di moda. Il marito per il dovere e l‟amante per il piacere. In fondo quasi tutti i mariti, pur avendo il forno in casa, preferivano infornare fuori il loro filone, perchè il forno della vicina cuoce sempre meglio. E pertanto anche lei , che tinia un bel forno, perchè non doveva farsi infornare il modello di filone che le piaceva di più? Andare da Paryde, dopo tutto, voleva dire che era semplicemente innamorata, anche perché Paryde avia si un bell‟uccello ma non era certamente il massimo in fatto di misure. Ma lei avia il kunno innamorato: e l‟amore è capace di far teoricamente diventare un elefante magari una piccola mosca. Ma il marito era da salvare comunque . --<< Vado ancora a minkia e ancora m‟imminkio sulla prima minkia per cercare di non pensare né alla minkia di Mynkyalao che mi fa schifo né a tutte quelle che mi sono fatta, compresa naturalmente quella portentosa, ma inutile per me, di Pryapo. E quella di Paryde che però mi appititta. Diciamo la verità. Ed è da Paryde che devo portare il mio sesso. Perché per il mio kunnu chidda è la megghiu minkia di lu munnu. Ma solo per il piacere però. Il dovere istituzionale si chiama Mynkyalao. La minkia istituzionale è la minkia di Mynkyalao. Ufficialmente Mynkyalao minkialenta deve essere la mia minkia preferita. Ma solo ufficialmente. Perché così fanno tutte le femmine ufficiosamente oneste di pakkio>>. --<< Voglio una minkia per il mio kazzicatummulio>> gridava ancora Helena. Naturalmente doveva decidere la bella Helena. O il marito minkialenta o Paryde minkiattenta. Chiuse gli occhi e girò fin quasi a svenire su se stessa. Girò in senso orario e in senso antiorario. Girò e rigirò come una trottola sulla minkia. O una minkia di trottola. Girò in sincronia col Sosia. Ma anche in diacronia. Le sue minne abballarono ora sincronicamente ora diacronicamente. E pure il suo kulo vibrò a volte in sincronia col pakkio e a volte in diacronia. E finanche le labbra del pakkio tremarono a volte in sincronia e delle volte in diacronia. << Affidiamoci al destino>> pinsò. Quannu finalmente si fermò andò nella direzione voluta dal caso. E solo dopo un po‟ si accorse che portava al marito, a Mynkyalao minkialenta. << Così volle il fato. E se lo volle il fato, sia. Andiamo a kazzicatummuliare col cornuto di mio marito >>. Ma appena arrivò davanti alla porta si fermò di colpo. Sintia sospiri, ma non di un sol tipo. Erano in due a sospirare. Un uomo e una donna. Taliò da una filazza. Mynkyalao stava futtennu cu na fimmina. << Minkia, cornuta mi fece la prima notte di nozze. Cornutissima cornutissimamente cornuta il giorno delle nozze e cornutissima cornutissimamente cornuta la notte delle nozze. Stu sukakazzi di iarrusu, stu lurdu fitusu, stu ciolla vacanti di merda, sta minkietta inutile, stu marrugghiu di ricotta. Cu mia nun vosi fari na minkia, e a chista sukaminkia ignota della minkia sconosciuta ci passa la minkia sua a tinchitè >>. Poi si ricordò che lei personalmente era saltata da una minkia all‟altra. E di cicia in cicia ne aveva avuto di ciolle. Ma si assolse. Il suo teatro con minkie varie ed altro era stato solo una conseguenza del mancato teatro da parte della minkia di Mynkyalao. << Non sono andata dall‟amante mio bello. Con Paryde l‟avrei fatto cornuto. O solo cercato minkie a caso per il mio pakkio che voleva esser fottuto>>. Ma trasiu lo stesso inkazzata. E scoprì, scoprì per modo di dire, che Mynkyalao stava fottendo con sua nipote Ifikanya. In fondo si l‟aspettava. Ma la recita è la recita. Il dramma è il dramma. << Se la minkia sua non operò, mi è parso giusto cercare na minkia operante per il mio pakkio che operare voleva. E cercata io l‟ho. E per cercare quella giusta dovevo sperimentare. Fare prove e provini e provette. Ovvero, fikkate e fikkate e fikkate ancora. E che minkia, potevo mica kazzicatummuliari da sola?>>. Poi, rivolta ai fottenti, gridò: <<Curnutu tu e buttana idda, curnutazzu tu e grannissima ciucciakazzi idda>>. Ma chiddi travolti dalla passione manco la cagarono. Travolti dalla passione, dai sensi, dall‟eros, dal pititto, dal desiderio di fottersi e controfottersi, di scopare alla diavolina, si rotolavano pazzi di piacere in attesa del piacere supremo e a quella femmina manco ci fecero caso. Non la videro manco. Arrabbiatissima Helena pigliò il Sosia con tanta e tale rabbia che la collana si ruppe e sempre con rabbia infinita e crescente ci lu ficcò di botto in kulo al marito che pazzamente si dimenava sopra la nipote. Ma quello manco lo sentì. Ci parse un orgasmo kulare dovuto al piacere d‟inkunnare la sua bella e arrapante Ifikanya. << Che bello, che bello. Ifikanya mia bella, godo come nu iarrusazzo. Mi sento felice, mi sento di avere realmente in kulo il tuo pseudo kazzo. Il tuo kunno mi stringe d‟amore l‟aceddu, e questo è certo e sicuru. Ma a dire il vero pare che mi allarghi realmente magari lu kulu. Mi pare che tu abbia una minkia simbolica ma però anche ideale. E con quella, per amore, mi rompi il kulo in maniera assai speciale>>. Pertanto continuò a dimenarsi. E dimena dimena il Sosia sciu di getto. Helena lo prese al volo. Quelli continuavano a fottere alla diavulina. A minkia e kunnu cinu. Quannu funu girati, Mynkyalao di sotto e Ifikanya di sopra, Helena, sempre con draconiana rabbia infinita e crescente, ci lu fikkau in kulo a Ifikanya. << Che bello. Amore mio, godo come la più grande buttana di chistu munnu. Mi pare di avere una minkia na lu kulo e una minkia na lu kunnu. Forse la tua minkia ha il dono dell‟ubiquità, e sia lì che là>>. Ma il Sosia sciu anche da quel kulo. Capendo che non la kakavano Helena scappò. Li lasciò alla loro passione travolgente. Non restava che andare dal bel purceddopolita. E non sapendo cosa fare col Sosia di Paryde, visto che la collana si era rotta, si lu piazzò nel pakkio. La sceneggiata intitolata “Felice matrimonio” non era andata in porto. Uscì disperata e felice allo stesso tempo. Disperata per la missione fallita e felice per le sensazioni piacevoli che camminando ci dava il Sosia dintra al pakkio. Ma per sentirsi più felice si addumò un megaminkiuni di minkiajuana. Poi n‟autro e poi n‟autro ancora e alla fine gridò:<< Voglio una minkia solo pi mia. Voglio la minkia di Paryde>>. Era comunque scontenta Helena . Scontenta e inkazzatissima. Il teatro col marito era fallito sia in prima che in seconda visione. O edizione. O versione. Era stato un insuccesso totale. Una brutta messa in scena. Un flop. Lei era stata solo una spettatrice. O forse una coprotagonista. Secondaria però. In fondo la sua “Luna” non era stata manco presa in considerazione. Né lei né la “Luna”. Uno smacco per quel pakkio e il relativo contorno. Al massimo poteva considerarsi solo una assistente al Sosia. Titolo plausibile, A letto per un ciollesco dramma della gelosia. Nel complesso un esempio di Teatro quotidiano .O Teatro familiare. E in testa una domanda: <<Che kazzo faccio se il kazzo del marito inkazza altrove?>>. Ma anche il solito pinsero attanagliava Helena: <<Che mentula di ciolla di cicia del kazzo di una minkia devo fare?>>. Ma stavolta aveva la risposta.<<Dopo questa ricerca sperimentale della cicia ideale che mi ha portato a saltare di cicia in cicia, e poi ancora di ciolla in ciolla, e quindi anche di minkia in minkia e di kazzo in kazzo, e che mi ha portato pertanto ad esplorare la cicia in sé, passando attraverso cicie e cicie che mi hanno fatto capire l‟eterogeneità e la variabilità della cicia umana e divina e finanche di quella artificiale, posso, dopo aver avuto tante cicie, compresa quella di Pryapo, e dopo aver cercato di riconquistare, per l‟occhio sociale, la cicia maritale, e dopo aver rifiutato, per scelta personale, la cicia del cognato, e dopo aver, per dovere di cronaca, consultato le cicie intellettuali, posso draconianamente affermare che la mia cicia ideale è la cicia di Paryde. Pertanto non mi resta che correre a iosa, alla sanfasò e finanche a tinchitè dalla cicia di Paryde, che per me è la cicia tout court e full time. Quindi non mi resta che fare la kazzicatummula finali e kazzicatummuliarmi sul kazzo dell‟amatissimo Paryde, grande testa di kazzo e grande kazzo tout court e full time. E iddu a sua volta si kazzicatummulierà nel mio pakkio. Iddu è il trofeo del mio “minkia tur”. La corsa ad ostacoli sta finendo. Iddu è il premio mio. Iddu è l‟approdo, la scelta, il destino, il bastone mio. E altro è. E mi aspetta al traguardo che vicino è. Anzi, vicinissimo>>. --La cicia dell‟amante fa veder le stelle ad ogni istante. La cicia del marito non fa vedere manco il sole. La cicia occasionale è solo uno sfogo naturale. Leucippo --La famiglia, il porcile per eccellenza. La sede di tutte le porcherie istituzionali. Il kakatoio legale delle bassezze umane. Santhokrysos --Le famiglia? Che kazzo è mai la famiglia? Senz‟altro un rottura del kazzo. Ma se si rompe il kazzo, si rompe la vita. Allora meglio esser senza famiglia. E vivere solo e soltanto per il proprio uccello. Perché della vita “questo” è il bello. Anonimo --- Due tizi originari di Leonthynoy e Karleonthynoy cercarono di valutare il numero delle ciolle in generale di cui aveva bisogno Helena per dimenticare la ciolla di Paryde. E per scordare definitivamente la ciolla inutile del marito. << Quattro miliardi di miliardi di ciolle per dimenticare la “Gioconda”. Quattro ciolle qualsiasi per dimenticare la minkia di Mynkyalao >> disse il tizio di Karleonthynoy. << Otto miliardi di miliardi di ciolle per dimenticare la “Gioconda”. Otto ciolle qualsiasi per dimenticare la minkia di Mynkyalao>> replicò il tizio di Leonthynoy. Ma da Palermorum fecero sapere che la valutazione poteva arrivare al massimo a quaranta miliardi di miliardi di ciolle. Purtroppo un altro tizio perse i documenti e tutto finì a ciolla ciullavento. Ignoravano i suddetti che per il pakkio libero di Helena qualsiasi ciolla valeva zero. E quella del marito non valeva un kazzo. Era meno di zero. Mentre la ciolla di Paryde valeva più dell‟universo tutto sano sano. Ma loro purtroppo sapevano dare solo i numeri. La ciolla dell‟amante era per Helena l‟unica ciolla fikalmente sostenibile, kunnamente possibile e cerebralmente desiderabile. Pertanto una bastava e assupicchiava. Mentre quella del marito non valeva una minkia. Pertanto una minkia qualsiasi poteva farne le veci. E farle senz‟altro meglio. --Quattro milioni.. otto milioni.. quaranta milioni.. senza documentazione che rottura di koglioni. Detto popolare --- Per tutto il palazzo reale risuonò il disperato, lacerante e addolorato urlo di Helena. Paria l‟urlo di una fika sull‟orlo di una crisi di nervi fikali. O addirittura di una donna pronta al suicidio. Un urlo tonitruante ma anche chiarificante. Infatti le parole erano leggermente diverse, e poi c‟era finalmente un nome. Un nome atteso, ma adesso veniva fatto ufficialmente. Era quella la minkia finale del percorso minkiesco. Era quella il traguardo del suo naturale “minkia tur”. <<Voglio .. la minkia di.. la minkia di.. la minkia di... la minkia di.. la minkia di... la minkia di.. la minkia di..>>. Per poi finire con un micidiale : <<Voglio la MINKIA di Paryde>>. Infatti pure la sua “Cisterna” urlò un “Cisterna -tonitruante” urlo assai lapalissiano. <<Voglio la minkiaaaaaa...una minkia che sappia fare la minkiaaaaaa...voglio la minkia di Paryde.. perché la minkia di Paryde sa fare la minkia>>. E non era un lapsus calami o un lapsus linguae. In vino veritas. O meglio, in kunnus veritas. Gutta cavat lapidem, mentula cavat kunnus. Il sogno di Helena, e della sua Cisterna, era quello di gridare in faccia all‟urbe, all‟orbe e all‟Olympazzo:<<Habemus mentula. Habemus Paryde mentula o mentula Paryde>>. Il problema “Quale mentula?” non c‟era più. La mentula di Paryde era la risposta. “Melius abundare quam deficere” diceva un detto latino latinamente latinissimo. Ma era meglio abbondare con la minkia di Paryde e non con le altre minkie. E allora meglio un‟overdose di mentuline, mentule, mentulone e mentulazze per dimenticare la mentulina di Mynkyalao. Mentre non c‟erano minkie e kazzi e cicie che potevano farle dimenticare la minkia di Paryde. Era impossibile non pensare alla mentulona di Paryde. << E overdose sia.. con tanti parerghi e senza paralipomeni .. ma basta con l‟overdose di minkie e minkie e minkie in attesa di un‟overdose della minkia di Paryde.. adesso è arrivato il momento dell‟overdose di minkia paridea.. con tanti tantissimi parerghi e senza paralipomeni di sorta>> disse Helena. --Tra due litiganti il terzo gode. E il terzo è spesso un kazzo. O un portatore di kazzo. Mai litigare per un pakkio, un pakkio può ricevere di tutto e di più. È giusto litigare sempre per una minkia, perché una minkia può dare fino ad un certo punto . Una minkia può dare di tutto ma non di più. Detti popolari --- A curtigghiari c‟erano sempre i tre intellettuali della ciolla, che non avevano chiù problemi di ciolla, e che pinsavano già di scrivere rispettivamente, secondo la propria specializzazione, il Poema Andando alla ricerca delle fikkate perdute Helena ritrova il phallo maritale dintra il pakkio di Ifikanya e per vendetta sodomizza entrambi con il Sosia di Paryde, il Carmen Andando alla ricerca delle fottute perdute Helena ritrova la mentula maritale dintra il pakkio di Ifikanya e per la rabbia piglia il Sosia di Paryde e glielo sbatte in kulo prima al marito e poi all‟amante, e il romanzo Cent‟anni di ricerca da parte di Helena delle dosi perdute di minkia maritale per poi trovare la minkia del marito intenta a imminkiare il pakkio di Ifikanya e allora lei pi minnitta pigghia la minkia finta di Paryde e inkula per cent‟anni prima il marito e poi l‟amante. Sokratynos Phylologos, il filosofo della minkia, con la ciolla ardente come una minkia addumata, si chiese: << La vita è una, come la minkia, e se non è un piacere vivere e avere una minkia, a che minkia serve avere una minkia se poi non puoi imminkiare manco quella troia di Helena che invece avrebbe voluto farsi imminkiare dalla minkia di quel minkialenta di Mynkyalao solo che tornando a casa trovò il non tanto minkialenta di Mynkyalao che imminkiava con la sua minkia il kunno di Ifikanya e allora per minnitta gli imminkiò la minkia finta nel kulo prima a lui e poi a lei ma quelli presi dal reciproco imminkiamento non ci fecero manco caso a quella minkia finta e pertanto lei che cercava la minkia di quel minkialenta del marito lasciò la stanza con la minkia finta in mano e tutto questo mentre, minkia d‟una minkia che vorrebbe imminkiare a minkia cina, ci sarebbe stata la mia filosofika minkia disponibilissima a imminkiarla filosofikamente e fors‟anche il mio filosofico kulo pronto a farsi inkulare dal Sosia intanto che, oltre che imminkiarla , la inkulassi anche, sempre filosofikamente però?>>. --<< Voglio la minkia di Paryde. Quella è una vera minkia. Quella è una minkia che sa fare la minkia e non solo. Ed è anche una minkia innamorata, e io la voglio per kazzicatummuliari>> gridava adesso la bella Helena. Helena aveva seguito il consiglio “ironico e moralistico” di Dyonyso ma era andata male. Il marito stava imminkiando la nipote. Non restava che andare da Paryde e smetterla di andare dalla prima minkia che capitava. Di minkie ne aveva avute a iosa. Da quelle vere e genuine e reali come quelle di Zeus, Eros, Apollo, Efesto, Ares, Ermete, Asclepio, Ganimede, Eolo, Achylle, Patroclo, Mynkyoreste, Pilade, Castore, Polluce, Edipo, Odisseo e Dyonyso e quelle artificiali di Pallade e Artemide a cui aveva però ricambiato il favore ricevendo in regalo un Sosia che lei aveva battezzato “Gioconda”. E la “ Gioconda” era andata anche in kulo a Ganimede, Achylle, Patroclo, Mynkyoreste, Pilade, Castore, Polluce , Antigone e Dyonyso. E per minnitta e solo per quello era andata in kulo ad Agamynkyone che però non era andato in kunno alla cognata che aveva optato per il “gran rifiuto”. Il Sosia aveva tentato anche di andare il kulo a Odisseo ma Odisseo l‟aveva fatto finire in kulo a Helena. E aveva avuto anche la minkia di Pryapo. E Pryapo e le Menadi si erano appitittati al Sosia. Aveva anche avuto, forse, i tre intellettuali della ciolla. E forse, come Pryapo, i tre intellettuali si erano interessati al Sosia. Aveva cercato di riavere la minkia di Mynkyalao ma l‟aveva trovata impegnata a inkunnare Ifikanya. Pi minnitta li aveva sodomizzati col Sosia ma quelli non ci avevano fatto manco caso. Desiderava comunque minkie a minkia cina per il suo pakkio. E non solo per quello. Ma come diversivo. Come effetto placebo inutile. Come panacea altrettanto inutile. Alla fine , lei, la sua mente, autorità primaria su se stessa, si diede l‟autoplacet. Via libera per Paryde e il suo kazzo. << Paryde, voglio il tuo kazzo. Per resto il mondo può andare a rampazzo. Io sarò tutta tua e tu sarai tutto mio. Noi saremo tutti nostri e del resto del mondo ci ni fotterà un minkia cina d‟aria>> gridò felice di aver concluso la ricerca. Andare da Paryde voleva dire che era semplicemente innamorata, anche perché Paryde avia si un bell‟uccello ma non era certamente il massimo in fatto di misure. Ma lei avia il kunno innamorato: e l‟amore è capace di far teoricamente diventare un elefante magari una piccola mosca. << Non andrò più a minkia e non m‟imminkierò più sulla prima minkia per cercare di non pensare alla minkia di Paryde. Me ne fotto e rifotto della minkia di quel minkialenta di Mynkyalao che oramai mi fa solo infinito schifo. Me ne fotto e rifotto della minkia di Pryapo che mi appitittò sì ma indifferente mi lasciò. Me ne fotto e rifotto di tutte le altre minkie, di quelle che mi sono fatta e di quelle che avrei potuto farmi. Me ne fotto e rifotto della minkia come tale. Non trovando soddisfazione nelle altre minkie, gira e rigira, imminkia prima e imminkia appresso, è da Paryde che adesso porterò il mio sesso. Perché per il mio kunnu chidda è la megghiu minkia di lu munnu. Non voglio più una minkia qualsiasi. Adesso voglio la minkia di Paryde. Voglio solo la minkia di Paryde>>. --Per tutto il palazzo reale risuonò stavolta un nuovo, lacerante e per niente addolorato urlo di Helena. Era un urlo pieno di speranza. Magari speranza addolorata ma speranza. Speranza di avere quello che voleva. Speranza che prometteva piacere. Speranza da realizzare, concretizzare, costruire, mettere in atto tout court e full time. Helena oramai sapeva dove andare. Lo sapeva chiaramente. E pertanto modulò la sua voce su canoni nuovi, su lunghezze d‟onda che esprimevano la sua soddisfazione di donna che finalmente si era addecisa ad accettare la realtà. Né il marito né gli altri uomini avevano una ciolla ad hoc per lei. L‟unica ciolla ad hoc per lei l‟aveva Paryde. E lei adesso andava da Paryde. << Voglio MINKIA Paryde Voglio la Voglio la minkia di la minkia di Paryde. di Paryde. >>. Pure la bella “Gnocca” della bella “Gnocca” urlò un “Gnocca -tonitruante” urlo assai lapalissiano. <<Voglio la minkiaaaaaa di Paryde.. quella è una minkia che sa fare la minkiaaaaaa...>>. E non era un lapsus calami o un lapsus linguae. In vino veritas. O meglio, in kunnus veritas. Gutta cavat lapidem, mentula cavat kunnus. Il sogno di Helena, e della sua gnocca, era quello di gridare in faccia all‟urbe, all‟orbe e all‟Olympazzo tutto:<<Habemus mentula Paryde.>>. Il problema non c‟era più. La domanda “Quale mentula?” aveva avuto la sua risposta. Non era una mentula qualsiasi che voleva, ma la mentula di Paryde. << E overdose sia.. ma della minkia di Paryde.. overdose con tanti parerghi e senza paralipomeni>>. --Tutte le strade portano a Roma, tute le ciolle portano alla minkia amata. Tutte le strade portano a Monakazzo, tutte le minkie attisano per il kunno di Helena. Detti popolare --La minkia amata dell‟amante amato vale infinite minkie. Euclide --Per un kunno possono passare infinite ciolle, ma solo la ciolla voluta fa effetto. Euclide --Il volume del kunno è una funzione della minkia che l‟imminkia, il volume della minkia è una funzione del pititto. Pitagora --- Due tizi originari di Leonthynoy e Karleonthynoy cercarono di valutare il numero delle ciolle qualsiasi di cui aveva bisogno Helena per dimenticare, se possibile, la ciolla di Paryde. << Non bastano neanche quattro miliardi di ciolle>> disse il tizio di Karleonthynoy. << Non bastano neanche otto miliardi di ciolle>> replicò il tizio di Leonthynoy. << Basta solo la ciolla di Paryde>> puntualizzò il tizio di Karleonthynoy. << Basta solo la ciolla di Paryde>> replicò il tizio di Leonthynoy. Era la prima volta che concordavano. Ma subito litigarono ancora. << Oppure, per dimenticare la ciolla di Paryde, basterebbe la ciolla mia. Ho quattro coglioni che son pattualla tarocchi e un batacchio che ne vale quattro normali>> disse il tizio di Karleonthynoy . << Semmai la ciolla mia. Ho otto koglioni che son pattualla sanguigni e un batacchio che vale almeno otto ciolle normali>> rispose l‟altro. Poi si chiesero: << Ma a n‟autri pirchì nun ci l‟avi data?>>. E si diedero risposte diverse. << Io gliel‟ho chiesta quattro milioni di volte, pattuallazzo di un pattuallazzo del kazzo. Gliel‟ho chiesta documentando anche la richiesta>>. <<Io otto. Pattuallone di un pattuallone koglione. E tutto è documentato, kazzo d‟una minkia che vale un kazzo e anche più>>. <<Ma a Helena non bisogna chiedere. Bisogna dare, dare, dare e dare ancora e ancora. Dare la minkia almeno quattro milioni di volte. Dare la minkia. Dare e basta>>. << No, ma non quattro milioni di volte. Dare, ma otto milioni di volte>>. Comunque da Palermorum fecero sapere che la valutazione poteva arrivare al massimo a quaranta milioni di ciolle qualsiasi. Purtroppo un altro tizio perse i documenti e tutto finì a ciolla persa. Ignoravano i suddetti che per il pakkio libero di Helena la ciolla parydea era tutto. E che tutte le ciolle dell‟universo non valevano un kazzo. Anche la loro era una ciolla inutile. Almeno per Helena. La ciolla di Paryde valeva più dell‟universo tutto sano sano. Era più di tutte le ciolle divine, umane e animali che ci sono state da che mondo e mondo. Ma loro purtroppo sapevano dare solo i numeri. La ciolla dell‟amante era per Helena la ciolla più ciolla tra tutte le ciolle che furono, sono e saranno. --Quattro milioni.. otto milioni.. quaranta milioni.. senza documentazione che rottura di koglioni. Detto popolare --- Helena curriu di cursa verso la stanza di Paryde. Voleva un‟overdose di quella ciolla per il suo pakkio in fiamme. Voleva la ciolla dell‟amante seduta stante. Ma incontrò i due tizi, strani stranicchi, di Leonthynoy e Karleonthynoy. Iddi faceunu cunta a minkia, cunta a pattualla, cunta a kazzu di cani e non solo. Cunti a iosa, alla sanfasò e finanche a tinchitè. << Possiamo spiegarle il “Teorema della ciolla variabile”, cara signora?>> chiesero i due piripitolli di regime. << Ditemi, ma sbrigatevi. Fate presto, che devo completare il percorso intrapreso. Pertanto non ho tempo da perdere. Io sono come “I cavalieri che fecero l‟impresa”, solo che io la devo ancora fare. Se è una cosa veloce, vi ascolto. Non più di quattro minuti. Altrimenti da me sarete fottuti. Massimo otto. Altrimenti vi ritroverete col kulo rotto. Non certo quaranta. Altrimenti.. ma lasciamo perdere. Pertanto raccontatemi le vostre pattuallate, ovvero le vostre kazzate a pattuallo. Fate subito, che ho prescia di una certa cosa nella cascia>>. << Il teorema della ciolla varabile è semplicissimo e lapalissiano. Iddu dice ciò draconianamente: “Se sei uno stikkio italiano o straniero riceverai tutte le minkie promesse, minkia più o minkia meno, per far fare bella figura ai somministratori di minkia siciliana. Se invece sei uno stikkio siciliano non riceverai manco una minkia”. Capito?>>. << Andate a farvi fottere e rifottere che è meglio. Capito? A me serve solo una ciolla. Capito? Non importa se autoctona o alloctona. Capito? Del resto me ne fotto una minkia. Capito? Per me quattro minkie non fa otto ciolle. Capito? Ma una vera minkia ne può fare quattro o otto o quaranta milioni di n‟autra. Capito? E quella di Paryde per me fa tutte le minkie del mondo. Capito? E non solo dell‟umana specie. Capito? Comprende anche le cicie animali e vegetali. Le cicie volanti e le cicie marine. E a dire il vero vero veramente, anche le cicie divine. Capito? Manco Pryapo ci poli con la minkia di Paryde. Capito?>>. << Se vuole però, potremmo però passarle la nostra. Tanto per consolarla. Capito?>> dissero i due bellimbusti. << Andate a farvi rifottere che è meglio. Capito? Io oramai ho fatto la mia scelta. Capito? E la mia scelta si chiama Paryde? Capito? O meglio, ciolla di Paryde. Capito?>>. << Guardi che la mia vale quattro ciolle normali. Ben quattro ciolle di normodotati. Capito?>> disse il tizio di Karleonthynoy. << Ma la mia otto. Ben otto ciolle vale la mia, ma di superdotati. Capito?>> replicò il tizio di Leonthynoy. << Andate a farvi rispettivamente quattro milioni di seghe e otto milioni di seghe. Sia seghe normale che seghe potenziate. Capito?>>. << Ma lei non sa cosa si perde? Capito?>> disse i kakaparole del kazzo. Helena si sciu il Sosia. << Questo vale più delle vostre minkie pattuallate e spattuallate. Capito?>>. << Chi minkiata ranni?>> dissero i due con la faccia a pattuallo sfatto. << Questo vale quattro milioni più della tua ciolla merdosa. Capito? E se non la smetti, te lo sbatto in kulo quattro milioni di volte in un amen. Capito?>> disse Helena rivolgendosi al tizio di Leonthynoy. Quello per lo scanto scappò. E si kakò quattro milioni di volte. Poi rivolgendosi al tizio di Karleonthynoy disse:<< Ma sempre questo Sosia vale otto milioni più della inutile ciolla tua. Capito? E se non la smetti, te lo fikko in kulo otto milioni di volte in un fiat. Capito?>> . Quello per lo scanto scappò. E si kakò otto milioni di volte. In seguito si seppe che da Palermorum avevano dato un tetto al numero di seghe “pro Helena”: massimo quaranta milioni . Purtroppo un altro tizio perse i documenti e tutto finì in una minata inconcludente. Si seppe anche che da Palermorum avevano dato un tetto al numero di messe in kulo del Sosia: massimo quaranta milioni . Purtroppo un altro tizio perse i documenti e tutto finì in una inkulata inconcludente. E sempre da Palermorum si seppe che avevano dato un tetto anche al numero delle kakate: massimo quaranta milioni. Purtroppo un altro tizio perse i documenti e tutto finì in una kakata incontenibile ma inconcludente. P.S. In seguito si seppe che scappando erano finiti in un deposito di pattualla, e che s‟erano nascosti tra i pattualla. Li trovarono con, rispettivamente, quattro e otto pattualla in kulo. -Quattro milioni.. otto milioni.. quaranta milioni.. senza documentazione che rottura di koglioni. Detto popolare --E finalmente Helena arrivò nella stanza di Paryde. Ma chiddu non c‟era. C‟era Sokratynos Phylologos che taliava un aggeggio. Lo taliava e si lu mittia sulla minkia. Perché Sokratynos era nudo dall‟ombelico in giù. E con l‟aggeggio tiso. Era na specie di tubo cu nu purtusu. E lui circava di trasiri la sua minkia in quel purtusu. E a dire il vero ci dialogava. In realtà era un monologo. Iddu parrava e iddu si sentiva. <<Minkia, Paryde non c‟è. Filosofo della minkia con tanto di ciolla arrapata, Paryde unni kazzu è?>>. << Chi ni sacciu iu unni minkia è>> rispose il filosofo calandosi la tunica per coprire la ciolla tisa. << E su kazzu di stigghiolu chi minkia è?>>. << Na cosa personale assai assaissimo personalissima. E chi minkia>>. << Ma di cu kazzu è? Tua o di Paryde?>>. << Minkia chi dumanna. Veramente è.. è.. è di Paryde>>. << Minkia, dell‟amore mio è. E allura dammillu>>. Il filosofo della minkia ci lu desi. Sull‟oggetto misterioso, quasi un tubo con una sola apertura, stava scritto “Simulacro della fika di Helena”. << Minkia, il simulacro s‟era fatto fare, il simulacro della mia fika. Così, quannu nun avia a mia, mittia la “Gioconda” nel simulacro, lu gioia miu, gioia di lu me cori e di la me fika, l‟amuri miu beddu. Chissà come ci vinia a fikkari la minkia dintra nu tubu anonimo ma dedicato a mia. Anzi, alla mia fika. Minkia, chi pinseru d‟amuri. Io con il Sosia della sua ciolla e lui con il simulacro della mia fika. Ma cumu minkia imminkiava la sua gioiosa ciolla in questo minkia di portaciolla?>> disse Helena. Sokratynos la taliava con la ciolla tisa sotto la tunica. La taliava e si la mangiava con gli occhi ma l‟avrebbe voluta assaggiare con la ciolla. Lui che stava cercando di fikkare con un simulacro di fika, adesso aveva lì l‟originale. Ed era davvero bellissimo, era il meglio del meglio in fatto di pakkio. << Minkia di una minkia filosofika. Sicuramente come stava facendo poco fa il qui presente filosofo della minkia>> disse piano pianissimo. << Senti, Sokratynos, io so che tu fai sempre domande sulla minkia. Sei un domandificio vivente specializzato nella minkia, sulla minkia e con la minkia, ma posso farti una minkia di domanda io?>>. << E che minkia ti devo dire? E fai, anche se non puoi aspettarti una minkia di risposta ma semmai una nuova domanda a minkia>>. << Più che una minkia di risposta mi serve una minkia di dimostrazione a base di minkia. La tua minkia però>>. << Dimmi: che minkia posso fare per te con la mia minkia?>> chiese il filosofo a nome suo e della sua minkia. << Mi fai vedere come minkia si usa questo minkia di portaminkia artificiale?>> chiese Helena. << Ehhh.. Minkia, la mia minkia in quel portaminkia?>>. << Sì. Vorrei vedere come si usa questo minkia di aggeggio della minkia. L‟aggeggio c‟è, e lo strumento per usarlo mi pare pronto, e allora imminkia la minkia in questo minkia di portaminkia. Fallo per me>>. << Ehhh.. minkia, non mi pare il caso. Io sono una minkia di filosofo quasi serio, non uno filosofo a minkia. Ho una dignità filosofika, una deontologia filosofika>>. << Ihhh.. anche i filosofi hanno una minkia. Sarà pure una minkia filosofika ma sempre minkia è. E la minkia vuole solo fare la minkia, filosofika o meno che sia. La minkia, prima di tutto, è una minkia. Pertanto idda vuole fare le cose che fanno le minkie in genere. Cose da minkia naturalmente. Belle ma da minkia>>. << Ragione tieni. Sono una minkia di filosofo con una minkia che in questo momento ha seri problemi di minkia. Però mi vergogno nu tanticchia. Sono un filosofo serio io. Un filosofo della minkia, ma della minkia seria>>. << Ihhh.. tanto la ciolla vista te l‟ho, di che minkia ti vergogni? >> << Di fikkare con una fika finta>>. << Ma se ti ho visto in fase operativa o quasi. Infatti cercavi di catafotterlo nel simulacro della mia fika. Era con me che volevi fottere, ficcare, trombare e altro. O no? >>. << Ma ero solo. O così credevo. Adesso mi vergogno>>. << Minkiate. Adesso la vergogna te la faccio passare io>>. E ci desi nu minkiuni beddu ranni di minkiajuana da sukari. E sukò pure lei naturalmente. << Ancora ti affronti? Ancora ti vergogni? Il THC libera sia il corpo che la mente, e pertanto anche la minkia>> disse Helena. << Adesso non tanto, ma nu tanticchia sì. Tu mi hai visto la minkia e io sono geloso dell‟immagine visiva della mia minkia>> rispose il filosofo che aveva in testa una domanda fissa e dirompente che lo ossessionava. << Ma na ciolla è sulu na ciolla>>. << Non è vero. Ci sunu ciolle e ciolle. Ci sono ciolle belle e ciolle brutte. Ci sono ciolle aristocratiche e ciolle popolari. Ci sono ciolle colte e ciolle ignoranti. Ci sono ciolle apollinee e ciolle dionisiache Ciolle platoniane e ciolle socratiche. Ciolle domandanti e ciolli rispondenti. Ciolle alla Mynkyalao e ciolle alla Pryapo. Così come ci sono fike e fike>>. << E la tua ciolla com‟è?>> chiese Helena. << L‟hai vista e pertanto lo sai. E una ciolla filosofika assai assai. Una ciolla che sa dialogare con la controparte assai assai. E una ciolla domandante che chiede aiuto alle fike rispondenti. Invece io so solo..>>. E si fermò. << Sai solo?>>. << So solo domandare>>. << Io invece so solo rispondere. Con la bocca e con la fika. Io non ho peli, né nella bocca né nella fika. Lo sai o no?>>. << Sì. Per voce popolare so che la tua fika è spilata naturale. Che è un miracolo della natura. Lo so per sentito dire e non per..>>. << Non per?>> chiese Helena. << Non per..>>. << Non per conoscenza diretta da parte della tua minkia?>> disse Helena. << No, non mi permetterei mai. Parlavo eventualmente di conoscenza diretta per semplice visione personale. Conoscenza visiva. Telescopia, non minkioscopia>>. Senza dire niente Helena si tolse tutto e allargò le cosce. << Minkiaaaaaa.. che bellaaaa.. minkiaaaaaa.. che portaminkia di lusso.. minkia.. come minkia c‟infilerei la mia minkia..>> riuscì a dire piano pianissimo Sokratynos a cui la minkia ci aumentò di pressione, lunghezza e circonferenza in un fiat. << E allora? Adesso che quella vera l‟hai vista chiudi gli occhi e fai finta che quella cosa che tieni nelle mani sia un vera fika. Forza. Imminkia la minkia nel portaminkia, fammi vedere. Così risolvi la tua emergenza di minkia e io apprendo come minkia s‟imminkia questo portaminkia. Un filosofo deve saper filosofeggiare anche con la minkia. In mentula veritas, dice un detto latino>>. << Sì, accetto, e che minkia. Ma ad un patto...>> disse il filosofo riprendendo coraggio e continuando a taliare quel pakkio speciale. << Dimmi? Per la ciolla amata di Paryde. Dimmi?>>. << Voglio farti una minkia di domanda>>. << Minkia .. ricominciamo?>>. << Una minkia di domanda secca>>. << E fammilla>>. << Mi vergogno nu tanticchia>>. << Tieni, sukati st‟autru minkiuni, ca la vergogna la pigghia in kulo. E mettiti nudo. Fammi godere della visione della tua minkia filosofika come tu godi della visione della mia fika spilata>>. E così fu. Il filosofò si denudò tutto. Mise a nudo la sua filosofia più intima. Mise a nudo il suo Platone. << E allora, mi la fai stu kazzu di domanda del kazzo ?>> chiese Helena. << Sì, minkia sì>>. << Forza>>. << Dimmi, minkia di una minkia appitittata come la mia. Dimmi perché l‟hai data a tutti e a me no? O meglio, perché l‟hai data ai tre intellettuali della ciolla, che è un sinonimo della minkia, e a me, che sono, diciamolo pure, il filosofo della minkia, no? Perché alle loro ciolle sì e alla mia minkia no?>>. << Sokratynos caro. Caro Sokratynos, e cara anche la tua minkia, non è capitato. Ma adesso, una minkia in meno, una minkia in più, anche se ho deciso già quale minkia scegliere, prima di correre dalla mia minkia amata, un colpetto lo posso far fare pure a te. Tanto, una minkia in meno, una minkia in più, in questo “minkia tur”, non cambierà certamente la mia opinione sulla minkia. Io ho scelto, ho scelto Paryde e il suo augello. Ho scelto la minkia di Paryde, però. Però, prima del colpetto, mi devi far vedere come funziona il simulacro della fika, della mia fika. Prima fatti il simulacro della mia fika, poi ti farai la mia fika. Imminkia prima la minkia nel simulacro che poi imminkierai la minkia nel mio pakkio>>. << E se poi la mia minkia non ci la fa ad imminkiare?>>. << Minkia. Ci penserò io con le mie arti erotiche a risollevare il morale al filosofo e soprattutto a risollevare le sorti della minkia del filosofo. Platone rinascerà>>. Sokratynos si esibì con ansia e piacere allo stesso tempo. Se da solo non era riuscito a penetrare l‟aggeggio, adesso, sotto lo sguardo erotizzante di Helena, tutto andò liscio come l‟olio. La minkia trasiu nel simulacro e fici la minkia con onore. Gudiu lu filosofo. E al filosofo ci parse che pure la fika finta gudiu. Magari pikka, ma gudiu pure idda. << Fici na bella cumpassa però. Grazie, minkia filosofika mia>> disse piano piano il filosofo. Ma lei lo sentì. << E adesso fai una bella cumpassa dentro la mia fika, cara minkia filosofika>>. Non ci fu bisogno di nessun aiuto. Il pititto del pakkio di Helena si concretizzò nella più dura minkia filosofika a minkia che s‟era mai vista dacché minkia è minkia. Pertanto il filosofo puntò la filosofika cappella della sua minkia contro il portuso desiderato. << Trasi, trasi e onora questa real fika con la tua minkia>>. Ma la koppola non trasia. << Trasi, trasi, imminkia la tua minkia. Fammi sentire come tromba la minkia di un filosofo della minkia>> invocava Helena. Ma la koppola della minkia filosofika nun trasia. C‟era come un ostacolo. << Ma a mia, e alla mia minkia, ci pare che ci sia qualcosa dentro la tua fika>>. << Minkia, ver‟è. Minkia, occupat‟è. Minkia, pien‟è>>. << E cu minkia c‟è?>>. Helena si sciu il Sosia. << Minkia, vai firriannu cu lu pakkiu cinu di na minkia finta?>>. << E‟ di Paryde. È il Sosia della sua minkia. È il Sosia della stupenda “Gioconda” sua. È la mia consolazione, in attesa di avere per sempre quella vera>>. Sokratynos a questo punto trasiu e sciu come un ossesso. Trasiu di botto e si mosse come un pazzo. Aventi e indietro a velocità impressionante. << Trasi Platone.. esci Platone.. trasi Platone .. esci Platone.. resisti Platone.. fai i tuoi dialoghi.. fai il tuo simposio.. il tuo kazzosio.. il tuo stikkiosio.. il tuo minkiosio...>>. Platone, come detto già ho, era il nome della sua minkia. E a ogni trasuta sparava un titolo nobiliare, in senso culturale, per la sua minkia. Per il suo incommensurabile e intelligentissimo Platone. << Minkia, il candelaio.. Minkia, dell‟infinito universo e mondi.. Minkia, de la causa, principio et uno.. Minkia, degl‟heroici furori.. Minkia, de triplici, minimo et mensura.. Minkia, de monade, numero et figura.. Minkia, de immenso et innumerabilibus .. Minkia, la cena de le ceneri.. Minkia, lo spaccio de la bestia trionfante...>>. Finì gridando: << Minkia, minkia, Platone vinni.. iacta alea est ..>>. Vinni ma riprese. Rivinni e riprese ancora. Se ne fece parecchie. Forse troppe. Una vera successione di fikkate. Ma finendo gridò sempre : << Minkia, minkia, Platone vinni.. iacta alea est ..>>. Helena, alla fine di tutto, disse semplicemente : << Grazie, grazie per questa serie di dialoghi della minkia. Sono stati trentacinque, come i dialoghi di quell‟altro Platone>>. << No, sono stati ventisei. E che minkia>>. << Io ho avuto trentacinqu orgasmi, giuro sulla tua minkia. Trentasei contati uno per uno. Che io in matematica fikale e geometri kazziale sono bravissima>>. <<Io sono venuto ventisei volte. Lo vuoi sapere meglio di me che sono il proprietario della minkia? Ventisei volte e nonna di più o di meno. Ventisei versamenti di latti di minkia. Ventisei, e che minkia>>. <<Sarà che sono poliorgasmica. Allora facciamo una cosa, lasciamo nove dialoghi della minkia come dubbi o non autentici>>. <<Va bene, a mia tanto chi minkia me ne fotte>> rispose Sokratynos. Che ringraziò anche. << Grazie , Helena, grazie di tutto a nome mio e della mia minkia, a nome mio e di Platone>>. << Ihhh.. Na minkia in più, na minkia in meno, sempre dalla minkia di Paryde devo andare>>. E baciò il Sosia. << Bello, una vera copia della minkia, della minkia di Paryde però>> disse il filosofo. <<Bello a taliarlo e bello ad usarlo. Minkia inesauribile è. E soprattutto minkia portatile è. Questo Sosia della minkia di Paryde>> rispose Helena. << Ma chi minkia si prova con una minkia finta nella fika? >> chiese il filosofo. <<Cos‟è? Una minkia di curiosità scientifika o una minkia di curiosità filosofika?>>. << Entrambe le cose. E che minkia>>. << Ma anche se te lo conto, tu capire non puoi. Chiamale se vuoi emozioni della fika causate da una finta minkia. Ti dico solo “è bellissimo”. Ma tu non puoi sperimentare, per mancanza di fika, cosa vuol dire avere una minkia finta, o finanche vera, nella fika>>. << Non posso no. E che minkia. La mia curiosità filosofika sulla minkia finta resterà tale>>. << Pi mia la tua è una curiosità di kulo, di minkia finta in kulo>>. << Anche quello, anche quello. Curiosità di una minkia finta in kulo. O meglio, del Sosia di Paryde nel kulo>>. << Voi provare la minkia finta?>>. << Ho provato il simulacro della tua fika, perché non debbo provare il simulacro della minkia di Paryde? >>. << Però poi hai avuto la mia fika. Allora vorrai anche la ciolla di Paryde?>>. << No, no, solo il Sosia, solo la minkia finta>> . << Te l‟avevo detto che il THC liberava la mente e il corpo. E liberando il corpo libera anche la minkia, e naturalmente anche il kulo. E il tuo kulo adesso liberato è. Ora desideri il Sosia, poi desidererai una vera minkia. Desidererai una minkia qualsiasi prima o poi>>. << No, mai e poi mai. Una cosa è la minkia finta, una cosa è la minkia vera>>. << Caro mio, come l‟appetito vien mangiando, la storia della minkia in kulo inizia desiderando >>. << Una volta è uno sfizio, sempre è un vizio>>. << Sarà. Io nel tuo futuro vedo minkie a iosa>>. << No. Desidero il Sosia però>>. << Per adesso. Eccoti il Sosia per adesso>>. Ed Helena glielo somministrò. Il filosofo godette a iosa, alla sanfasò e finanche a tinchitè. Godette tout court e full time. Godette come mai aveva goduto di minkia. Ma non disse niente. Godette in silenzio. Ma Helena capì. Sokratynos tacque sulla faccenda. Tacque sull‟imminkiamento finto e su quello vero. E tacque sull‟inkulamento. Tacque sul fatto che s‟era fatto il simulacro della fika di Helena prima e la fika di Helena poi, e tacque anche sul fatto che s‟era fatto il Sosia di Paryde. A cose finite Sokratynos chiese: << Ma almeno dimmi se le minkia mia, e dimmillu chiaru e tunnu, se la minkia mia lu stutau lu focu ca ardia na lu to kunnu? >> A Sokratynos, curioso assai, come a tutti i maschi, ci piacia sentirsi dire dalla fimmina ca era tutta ma proprio tutta soddisfatta. << Mancu di na stizza, lu kunnu mi pruri e m‟attizza. Iddu assai m‟impazza e voli tutt‟autra minciazza. Ti l‟haia datu sulu e pirchì mi facevi tanta pena. Oramai so qual è la minkia pi fari pranzo e cena. Invece dimmi tu se il Sosia di Paryde, e dimmillu chiaru e sicuru, se la ciolla finta di Paryde lu stutau lu focu ca ardia na lu to kulu? >>. << Sì. Sì. Sì>> rispose inaspettatamente il kunnofilo Sokratynos che aveva scoperto il piacere di ricevere una bella minkia, magari finta, nel suo kulo. << Ohhh.. finalmente uno ca è cuntentu di pigghialla in kulo cu sentimento. Nu maskulu ca nun si scanta di diri ca la minkia in kulu ci fa piaciri. Tanti di nascosto cu li citrola si la fanu ma kunnannunu stu piaciri come stranu. La notti è cina di padri di famigghia ca cercunu pi lu kulu beddi marrugghia. La notti è cina di ucchi maskulini spalancati ca cercunu kazzi pi farisi beddi sukati. Però, sti maskulazzi, fanu tuttu a lu scuru. Si fa ma nun si dice, d‟avilla pigliata in kulo. Perchè se uno è un bravo padre di famiglia, la minkia sulu alla moglie la duna, però non la piglia. Ufficialmente è sanu di kulu, ma in verità, lu teni ruttu e cu la ucca suk‟aceddi in quantità. Bravo, Sokratynos assai assaissimo beddu. Sono sicura che presto acchiapperai un vero aceddu>>. << So che capiterà presto, presto assai. È bello darla, ma giuro che è pure piacevole assai pigliarla. E un giorno per certi dialoghi tra ciolla e kulo si parlerà di amore socratico, ne sono sicuro. Avevi ragione, il THC, un fatto è sicuro, libera oltre alla minkia finanche il kulo>>. << Ma intanto dimmi, dove minkia può essere andato Paryde?>> chiese Helena. << Non so, non ne ho una minkia di idea della minkia>>. Poi trovarono una pergamena con una frase e un disegno. << Chi kazzu ci sta scrittu?>> chiese Helena . << “Mors tua mors mea”. Ci sta poi un omino che si tiene la minkia e che sta sulla koppola di una grande minkia e pare che si sta..>>. << .. che si sta buttando giù dalla minkia..>>gridò Helena. << Esatto... un minkiasuicidio.. un suicidio a minkia..>>. Helena, nuda com‟era, scappò sulla torre del palazzo per taliare. S‟affacciau e lu visti. E guardò Paryde che si allontanava. Stava andando verso il Kolosso di Pryapo, quello nuovo, quello con la minkia dalla koppola d‟oro. Stava andando verso il Kolosso Minkiaurea. Sciu di corsa per rincorrerlo, nuda com‟era. Di corsa ma con un bel minkiuni di minkiajuana tra le labbra e il Sosia dentro il pakkio. E tra un sukata e l‟altra gridava “Voglio la minkia di Paryde”. Era sia contenta che scontenta la bella Helena. Il teatro con Sokratynos era stato uno spettacolo bello. Una bella messa in scena. Bellissima lei, brutto ma bravo lui. Da attori professionisti la performance. Simulacri compresi. E poi, come in un bel giallo, c‟era stato il colpo di scena finale. Il filosofo aveva scoperta che la filosofia, oltre che con la minkia, si può fare anche col kulo. Ma la “Luna” non aveva partecipato emotivamente. Solo fisicamente, per volontà della proprietaria. Era dunque scontenta. Filosofikamente scontenta. Ma adesso la bella gnocca di Helena era preoccupata. Per Paryde. Sarebbe riuscito a salvarlo o lo avrebbe perso? Avrebbe trovato ancora viva e vegeta l‟amata ciolla dell‟amato Paryde o sarebbe restata con il Sosia dell‟amata ciolla dell‟amato Paryde? Boh? Titolo plausibile della messa inscena con Sokratynos, A letto con la ciolla filosofika. Un draconiano esempio di Teatro filosofiko. In testa tinia la scelta fatta. <<La ciolla ideale per me è la ciolla di Paryde>>. Ma si chiese anche se sarebbe riuscita a mettere in scena lo spettacolo A letto vita natural durante con la ciolla amata di Paryde. << Lo troverò vivo di ciolla e di corpo?>>. C‟era però il rischio che avrebbe dovuto mettere in scena la tragedia A letto con il Sosia di Paryde dopo aver partecipato ai funerali della ciolla di Paryde. <<Boh? Comunque speriamo di no>> pinsò. Perché semplicemente non lo sapeva come sarebbe finita. << Ma se lui si suiciderà per la mia gnocca, allora io mi suiciderò per la sua cicia. Ma prima gliela taglierò e me la metterò là. La mia gnocca sarà il tabuto della sua minkia. Sarà quel che sarà, comunque sarà l‟impero dei sensi, o vivi o morti >>. E gridò. << Paride , non fare la kazzicatummula dalla minkia di Pryapo, che ci son io pronta a fare tutte le kazzicatummuli possibili e impossibili sulla minkia tua. Non kazzicatummuliare da solo, kazzicatummuliamo insieme>>. Il filosofo della minkia, rimasto solo, pinsò al piacere provato col Sosia in kulo. Pertanto pinsò al piacere che poteva provare con una minkia vera in kulo. E cercava di commensurarlo ai piaceri di sua conoscenza, ma non ci riusciva. Il Sosia il kulo era al momento il piacere più grande fino ad allora provato. Pertanto il piacere dato dalla minkia vera in kulo poteva solo essere maggiore o minore del piacere provato con la minkia finta. E per saperlo, non restava che provare. Ma da quale minkia doveva partite? Da una minkia qualsiasi o da una minkia in particolare. Questo al momento non lo sapeva, era troppo preso dalla piacevol novità. << La vita è una, come il buco del kulo, ma per il mio buco del kulo basta una minkia finta o ci vuole una minkia vera? E se ci vuole una minkia vera, quale minkia vera ci vuole? Una qualunque o una ben precisa minkia?>>. --Dalla REPUBBLICA: Domanda numero uno: Meglio un filosofo a minkia o un filosofo a kulo? Domanda numero due: Meglio una filosofia a minkia o una filosofia a kulo? Domanda numero tre: Meglio una filosofia della minkia o una filosofia del kulo? Domanda numero quattro: Meglio una filosofia minorenne o una filosofia maggiorenne? Domanda numero cinque: Meglio una filosofia a minkia per tutti o una filosofia a kulo per tutti? Domanda numero sei: Meglio un filosofo con la minkia filosofika o un filosofo con la minkia afilosofika? Domanda numero sette : Meglio un filosofo con una minkia vera in kulo o un filosofo con un simulacro di minkia in kulo? Domanda numero otto: Meglio un filosofo con la minkia dentro un simulacro di pakkio o un filosofo con la minkia dentro un vero stikkio? Domanda numero nove: Meglio un filosofo col kulo rotto o un filosofo col kulo sano? Domanda numero dieci: Meglio fare 10 domande a minkia o a kulo sull‟attività della minkia e del kulo o meglio non fare domande a minkia o a kulo sull‟attività della minkia e del kulo? Sokratynos --Due tizi originari di Leonthynoy e Karleonthynoy, ancora incilippiati di skulo di pattuallo, cercarono di valutare il numero delle ciolle “modello Sokratynos” di cui aveva bisogno Helena per dimenticare la ciolla di Paryde. << Quattro milioni di ciolle “modello Sokratynos”. Quattro milioni di ciolle più o meno filosofiche ma tutte assai assaissimo filosofeggianti >> disse il tizio di Karleonthynoy. << Otto milioni. Otto milioni, e solo e soltanto di ciolle filosofe. Anche le ciolle pseudofilosofiche, le protofilosofiche e le ciolle sparakazzate a iosa, alla sanfasò e a tinchitè >> replicò il tizio di Leonthynoy. Ma da Palermorum fecero sapere che la valutazione poteva arrivare al massimo a quaranta milioni di ciolle “modello Sokratynos”. Purtroppo un altro tizio perse i documenti e tutto finì a ciolla filosofika che filosofeggia a kazzo. Ignoravano i suddetti che per il pakkio libero di Helena qualsiasi ciolla valeva zero. Anche quella filosofika di Sokratynos . Mentre la ciolla di Paryde valeva più dell‟universo tutto sano sano. Ma loro purtroppo sapevano dare solo i numeri. La ciolla dell‟amante era per Helena la ciolla più filosofika tra tutte le ciolle filosofike dell‟intera storia della filosofia. Era Platone e Socrate e altro ancora. Era la summa di tutto il pensiero filosofico a minkia, minkia compresa. --Quattro milioni.. otto milioni.. quaranta milioni.. senza documentazione che rottura di koglioni. Detto popolare --- Per tutte le strade di Munypuzos intanto risuonò il nuovo e lacerante e addolorato urlo di Helena. Addolorato assai assaissimo ma chinu di speranza di minkia. Di speranza di ciolla. Di una ciolla specifica. Di una ciolla con tanto di nome e cognome. Un urlo tonitruante ma chinu assai assaissimo di speranza. Speranza di minkia. Speranza di una certa e ben definita minkia. speranza di averla al più presto. Speranza di averla ipso facto quella minkia ad hoc altamente doc. << Voglio MINKIA Paryde Voglio la Voglio la minkia di la minkia di Paryde. di Paryde. >>. Infatti pure la sua “Macelleria delle minkie” urlò un “Macelleria delle minkie tonitruante” urlo assai lapalissiano. <<Voglio la minkiaaaaaa di Paryde. Ma la voglio viva. Quella è una minkia che sa fare la minkiaaaaaa, con me naturalmente>>. E non era un lapsus calami o un lapsus linguae. In vino veritas. O meglio, in kunnus veritas. Gutta cavat lapidem, mentula cavat kunnus. Il sogno di Helena e della sua “Macellerie delle minkie” era quello di gridare in faccia all‟urbe, all‟orbe e all‟Olympazzo tutto:<<Habemus mentula Paryde>>. “Melius abundare quam deficere” diceva un detto latino latinamente latinissimo. E allora basta con l‟overdose di mentuline, mentule, mentulone e mentulazze per dimenticare la mentulina di Mynkyalao e non pensare, momentaneamente, alla mentulona di Paryde. Basta pensare al marito minkialenta. Doveva pensare solo a Paryde e al suo meccio. Ma adesso la mentula di Paryde era a portata di mano. << E overdose sia.. con tanti parerghi e senza paralipomeni. In attesa della ciolla di Paryde, naturalmente con tanti parerghi e senza paralipomeni>> disse Helena. --Vedere e non toccare è una cosa da crepare. Avere la minkia dura e non fikkare è cosa da minare. Detto popolare --- Su questa storia della fikkata con Helena e con il simulacro della sua fika, Sokratynos tacque. Tacque anche sul Sosia di Paryde in kulo. Ma non tacquero i tre intellettuali della ciolla. Che, una volta saputa la cosa, la presero per vera, e pertanto scrissero, tanto per. Homeryno Homokulum scrisse il Poema Sokratynos riesce nell‟impresa di avere Helena in originale passando attraverso il suo simulacro e per concludere in bellezza riesce ad avere in kulo pure il Sosia di Paryde. Mhaxymylyanum Mhaxymylyanorum elaborò il Carmen Il viaggio della mentula di Sokratynos dal simulacro della fika di Helena alla fika della stessa con arrivo finale del Sosia di Paryde nel suo kulo. Paulorum Santhokrysos mise su papiro il romanzo Cent‟anni di attesa da parte della minkia di Sokratynos per trasiri nel pakkio di Helena pagando prima l‟obolo di trasiri con la minkia nel simulacro della stessa per poi ricevere come premio finale la minkia finta di Paryde in kulo. Sokratynos, il filosofo della minkia, si chiese: << La vita è una, come la minkia, e se non è un piacere vivere e avere una minkia, a che minkia serve avere una minkia se poi non puoi imminkiare manco quella bella fika di Helena perchè poi la bella fika di Helena è capace di...? >>. E lasciò così. Omise qualcosa. Omise il fatto. Forse per pudore. O forse per non parlare della parte finale della storia. Tutti comunque concordano nel dire che doveva solo avere il coraggio di scrivere che aveva avuto in kulo il Sosia di Paryde . Ma circolò, anche se anonima, questa domanda: << La vita è una, come il buco del kulo, e se non è un piacere vivere e avere un buco del kulo, a che minkia serve avere un buco del kulo, se poi non puoi farti imminkiare da una minkia vera o finta che sia?>>. --Anche se è nikaredda, la fika voli chidda ca ci pari chiù bedda . Ma se a mangiari è lu kulu, allura ci vonu kazzi ranni di sicuro. Strabonio --- Helena, come detto, nuda com‟era, scese dalla torre e corse dietro a Paryde. E correndo sentiva il Sosia che trasia e scia dalla sua fika. Il Sosia che addimorava tra le sue cosce. << Minkia che piacere col Sosia di Paryde, kazzo>>. Correva e godeva. Godeva e taliava. E intanto si sukava nu minkiuni di minkiajuana. << Minkia, sta trasennu na lu Kolosso dalla minkia d‟oro. Chi voli fari, soccu minkiata a minkia?>>. Ma per caso, vicino al Kolosso, incontrò il bellimbusto di Enea, il dardanazzo principe dei Dardani, che facia trasi e nesci da una delle porte secondarie di Munypuzos. Era nudo e in mano tinia un falcetto. E nudo facia impressione. La minkia tisa era nu tanticchia fuori dall‟ordinario, un vero “dardanazzo”, ma i koglioni facevano impressione. Non erano ancora due meloni ma ci mancava picca. Erano quasi meloncini. Minkia, che impressione che facevano. La minkia puntava al cielo e si annacava nell‟aria, ma i koglioni abballavano a tinchitè. Enea usciva e dicia:<< Scappo o no?>>. Rientrava e dicia :<< Resto o no?>>. Si pigghiava la ciolla in manu e dicia:<< Mi la tagghiu o no? Oppure mi la mino al vento, per alleggerire su pisu che nelle palle sento?>>. Si pigghiava li palli na li manu, in mano per modo di dire, e dicia:<< Mi li tagghiu o no? Mi lu levu stu pisu da li cugghiuna o no?>>. Nu picciriddi beddu e nuru lu taliava. Era biddazzu, e prometteva di addivintari beddu pure in fattu di kazzu. E di fare battaglie su battaglie, sessuali naturalmente. Kazzicatummuli d‟amore quindi. O di sesso. Lu carusu gridava e ciancia. << No, papà, nun lu fari. La cicia nun ti tagghiari>>. Era Ascanio Julio. E lu taliava puru nu vecchiu, lariu e nuru, ma cu tanto di kazzu che sicuramente battaglie su battaglie gloriose avia combattuto. Era storto iddu, e storto era il suo vecchio augello. Storti erano l‟uno e l‟altra cosa, storti per la minnitta di Zeus. Taliava e santiava. << Pi la minkia crisoelefantina di Zeus e lu pakkio di Aphrodyte ca è d‟oru, figghiu beddu, nun ti tagghiari lu tesoru>>. Era Anchise, che con Aphrodyte fatto Enea avia. Helena lu taliò e s‟ammammaluccò. << Ma chistu è scemu ranni o no?>> disse piano piano. Ma Enea l‟intisi. << Io non sono scemo, ma tu buttana ranni sì. Tu porterai la guerra, una guerra ranni, una guerra fatta sulu pi nu stikkiu buttanu. Beddu biddazzu, ma buttanu buttanazzu. E io, prima o poi, devo scappare dalla mia terra. Così vorrà il fato e la fikazza buttana tua. Così vorrà, a causa della fikazza buttanazza tua. E come se non bastasse, il fato mi fici lu scherzetto ca mi fici. E minkia, chi minkia di scherzo della minkia ca mi fici quella facci di minkia del fato. Eroe per forza, eroe contro voglia, padre della patria e del resto, ma non per mia scelta. Chi minkia mi ni futti della patria? Un kazzo e una cicia. A mia interessava sistemare bene la mia minkia. E c‟ero riuscito. Che io a Purceddopolys mi la passo bene. Bene mi sono accasato. E bene si è accasata la mia minkia. A parte la moglie, con cui ficco per dovere, per il piacere ho le sorelle di mia moglie, una in particolare, oltre al resto. Sono in fondo una minkia della casa reale, una minkia della nomenclatura, ed sono anche, tutto sommato, una bella minkia, una minkia spilata come il pakkio di mamma mia. Ho qualcosa di divino io. Nella testa, nel corpo e finanche nella minkia. Ma tu, buttana pi scelta, mi hai rovinato la festa. Buttana, buttanuna, sukaminkia d‟aceddi universale, spurpatrice di minkie di tutte le forge e fatture. Tu, assassina del mio benessere fisico, mentale e minkiale. Tu, figlia di buttana tu, assassina. Tu che sei una mia quasi “gemella di minkia”. Come vedi, e io nudo son come a tia, la mia ciolla è spilata naturale, come il tuo pakkio. Ma io mi la taglio, la dugnu ai cani, ma mai a una buttanazza comu a tia. Mai e poi mai, io trasirei in quel kakatoio universale. La sputacchiera della storia quella è. Il cesso della grecia e della magna grecia. E finanche il cesso di Purceddopolys diventerà. Mai e poi mai la minkia mia a tia. Meglio tagliare e dire basta. Basta al mondo, basta all‟Olympazzo iarruso, basta al fato koglione, ma soprattutto basta alla buttana di Helena e alla sua fika spilata e fitenti . Tu, troia delle troie di quel troiaio che è chistu troia di munnu, tu hai sconvolto il mio piano di diventare re di Purceddopolys, alla morte, naturale o meno, di Pryamo >>. E fici per tagliare. A quelle parole Helena nun ci visti chiù. E non ci visti chiù quannu iddu ancuminciau a scendere il braccio, che terminava col falcetto in mano, verso la ciolla e li baddi ca tinia cu l‟autra manu. Helena lu scaranventau verso il muro, poi dintra un portuso che in quella mura portentose c‟era, e infine per terra. E ci livau pure il falcetto. Lui, a dire il vero, lasciò fare. Sapia chi era quella femmina esperta nell‟arte del kazzicatummuliare. Era, anche se non legalmente, sua cognata. Ma soprattutto Enea sapia che quella femmina tinia il pakkio spilato come mamma sua. E come la sua minkia. Helena era tale e quale Aphrodyte. Idda ci si assittau sulla panza. E dico sulla panza per non dire sulla minkia. Che era a tiro di kulo. Anzi, la cappella, toccava le chiappe della kallipigia. << Tu vorresti metterla là. Il mio kulo è bello, per carità. Ma io la voglio lì. La idda deve fare chicchiricchì>> disse Helena che sentiva la punta puntare al suo kulo. E ci si mise a cavallo. Con la punta contro la fika aperta. << No e poi no. Io la minkia non te la do>>. Infatti la minkia si ammosciò. << Koglione gonfio e minkia impotente. Tu offendi il mio pakkio veramente. Scappo o resto? Tagghiu o nun tagghiu? Eroi sta minkia, unni minkia è lu to curaggiu? Ora stu minkia di pisu da li baddi ti lu levu iu. Ora, in un amen, a iddi tu dirai finalmente addiu. Chista minkia tua è sia spilata ca malatedda. Ma ora sarà sulu spilata e.. e murticedda. Sarà comu na minkia di iaddazzu spinnatu, a cui lu cudduzzu tisu ha statu tiratu. Se non mi spieghi sta kazzu di storia, sta minkia e sti palli finiranno in gloria. Se non altro, almeno per giusta minnitta. Perché mai minkia si negò a li me pititta. Sti palli unciati chi su? Qual è lu significatu? Fu nu pumpinu all‟incontrario, povero disgraziatu? Ma l‟aria nun pisa, semmai rende leggeri e volanti. Tu inveci parri di nu pisu assai assaissimo pisanti>> disse Helena che sentiva la minkia modda circondata dalle pieghe del suo sesso. E la acchiappò con una mano. La minkia, le palle non poteva. Questioni di volume. << Lassa stare la ciolla mia. Lasciala riposare>>. Ma Enea era cosciente che la sua cicia stava per attisare. Causa pakkio elenino. << Mai ciolla riposò se Helena la bella pi lu so kunnu la circò. Mai e poi mai maissimamente mai na minkia a Helena disse no.>>. Helena era cosciente che la cicia di Enea stava per attisare. Effetto del suo pakkio. << La mia non è pi tia, la mia è proiettata nel futuro>>. Ma Enea sentiva che la cicia stava per proiettarsi altrove. << Adesso la proietterai nel mio pakkio, questo è sicuro>>. Helena era sicura della sua femminilità. << Mai e poi mai la cicidda mia là andrà>>. Ma la cicidda era già ciciazza. << Mai e poi mai la tua minkia resistermi saprà>>. E infatti puntava già là. << Confessa?>> << Con la ucca o con la minkia?>>. << Prima con la bocca, poi con la minkia>>. Enea rise alla sanfasò. Helena a tinchitè. << Bedda Helena, beddu pakkiuni tuttu spilatu. Tu nun sai di stu kazzu di pisu disgraziatu. Na li baddi tiegnu ”Romakazzo”, na città assai ranni. Idda in futuro sarà l‟urbe caput mundi di tutti banni. E io non sacciu se tagliare la testa al toro, o siminari sta polys in qualche stikkio d‟oro? Pari ca in italia, e non sacciu mancu unni minkia sta, c‟è Lavinia ca aspetta, vergini e pura, chista minkia qua. Ma li palli stanu troppo assai assaissimo vunciannu. E io non so come minkia sopportare stu minkia di malannu. Prima erano quantu a du cipudduzzi di Santalfana. Ora sunu quantu a li cipudduna di Giarratana. Ma mi sentu ca quantu prima sarannu du muluna di Minkiacina. A allura pi mia caminari sarannu sulu kazzi niuri e amari. Cu ci arriva in italia cu sti cugghiuna accussì pisanti? Prima o poi mi li tagghiu, e vaffankulo a tutti quanti. Vaffankulo a “Romakazzo” e al suo futuro imperiale. Vaffankulo a re e imperatori e a tuttu stu casinu reale. Li palli mi fanu mali assai, in una c‟è“Roma” e nell‟altra “Kazzo”, insieme daranno la grande urbe per eccellenza, “Romakazzo” >> rispose Enea la cui ciolla era adesso pronta ma proprio pronta a siminari “Romakazzo”. Ma chiddu beddu pakkiu spilatu a portata della sua minkia spilata non era di Lavinia, ma di Helena. Poteva siminari “Romakazzo” senza aspittari i lidi italici e la Lavinia misteriosa? No. Poteva solo fottere ma non seminare. Helena ci piacia ma iddu era troppo orgoglioso pi farisilla. Anche se la sua minkia adesso era pronta. S‟avia infatti sognato na vota, il principe dei Dardani, la sibilla cumana, ca ci avia dittu il futuro. E al risveglio da quel sogno iddu avia incominciato a sentire un certo peso ai koglioni. Era stato pure da un oracolo. E l‟oraculu ci l‟avia cantatu chiaru e tunnu. E ora iddu era pronto a scaricare un po‟ di quel peso nell‟amatissimo e odiatissimo pakkio di Helena. Ma non voleva. Per orgoglio. Idda ci avia sconvolto la comoda vita di “minkia della nomenclatura” della casa reale. Di testa di minkia che al posto della koppola sulla koppola della minkia voleva mettersi la corona. La corona di re. Ci ni avia dittu tanti anche pirchì iddu la desiderava, e sapendo che quella notte idda si era data a tutte le minkie di una certa lista, e sapendo che lui non era in questa lista dal fato allestita, l‟aveva presa in odio. Ma ora idda era lì, a portata della sua minkia. Ma non era Lavinia idda, pertanto iddu non poteva siminari “Romakazzo”. Il tutto era solo un imprevisto, un non previsto del caso. O del kazzo. << Nu peccato è tagghiari codesto gran capitale. Che contiene in sé na vera futura capitale. Io direi di alleggerire stu pisu pisanti dai koglioni. Livannici solamente nu tanticchia di pirsoni. Facemu na contrada, nu paisi o nu villaggiu. Tieniti pure “Roma”, ca mi pare nu nome assai beddu. Nu nomi ca sa d‟aquila potenti e no di semplice aceddu. A mia dammi sulu lu “Kazzo”, ca lu kazzu beddu tu lu teni. “Roma” cos‟è nun sacciu, ma lu “Kazzo” lu vogghiu beni. Ficchimillu sanu dintra la fika, che quarcunu chiama “Mona”. Ca io tra novi misi scaricherò, così è scritto, na bedda pirsona. Scarichimilla sta genti nel mio pakkio, curaggiu beddu. Futtitinni di tutto e calami sanu sanu lu beddu aceddu. Non solo “Roma”, ma anche la futura “Monakazzo”, sarà sciuta dal tuo eroico, combattente e nobile kazzo. Non fare il timoroso, Enea, non fare il gran rifiuto. Qua c‟è solo uno stikkio bello che vuol essere fottuto. Forza, beddu ed eroico Enea, forza, beddu minkiuni miu. Ficcami in “Mona” lu “Kazzo” con un bel kazzicatummuliu>> propose Helena. Intanto Ascanio e Anchise s„erano affacciati per taliare. Curiosità filiale e paterna. Quello in fondo per Helena era stato un incontro casuale, e casuale per casuale, si poteva fare una bella fikkata casuale. Che poi era anche una cicia parente, la minkia di Enea. Una bella e prestante ciolla parentale. E se “Romakazzo” non poteva essere seminata, perché idda Lavinia non era, e “Romakazzo” da una vergine discendere doveva, si poteva però siminari casualmente nu paiseddu. Ed Enea felice felicemente kazzicatummuliò. Felice e contento per la realizzazione di un evento non pronosticato dal destino. Iddu sutta e idda supra, come a governare quel timone che la intimonava. Era un bel timone, capace, possente, duro, resistente. Ma anche eroico era il pisello del dardanazzo principe dei Dardani. << Intimonami.. metti il timone nella mona e va.. fikka cà >> gridava lei. << Minkia, tu si n‟amazzone della cicia. Fikku dà>>. Alla fini Enea vinni. << Ecco siminata nu tanticchia di gente dintra il tuo pakkio assai impertinente. Il mio timone è come un folle. E sì pazzo. Mai aveva goduto tanto il mio eroico kazzo. Grazie Helena, grazie Helena bedda. Grazie per avermi offerto la tua vanedda. Capisco Paryde e la sua voglia infinta d‟averti sulla minkia per tutta la vita>>. E ci fici capire che era ora di smontare, di scendere da cavallo. << Stai, stai sotto, che mi serve qualche altro botto. Anche se la cicia sta arrimuddannu, lasciala stare dov‟è. Che tra pikka idda sarà pronta pi siminari a tinchitè. Pirchì è picca assai la genti ca tu hai seminatu. Simina ancora, ca lu tirrinu a siri ben travagghiatu. Cu la minkia zappa e simina, simina e zappa. Zappa e simina. E a minkia cina zappa e antappa Tieniti, te l‟ho già detto, “ Roma”, e semina il resto. “Roma” mi spaventa, ma simina il “Kazzo” lesto lesto. “Hic Rhodus, hic salta”. Hic “Mona”, hic salta. O no? Fikka, fikka beddu, e non pensare al futuro però>> disse Helena nu tanticchia contenta. << “Hic sunt leones”. Hic sunt kogliones. Qui ci sono i koglioni. Uno l‟ho svacantato, l‟altro me lo tengo cino per altre occasioni. “Faber est suae quisque fortunae”. Qual è il mio destino? Ho rinunciato alla grande “Romakazzo” per il tuo bel fikino. “Fiat voluntas tua”. Fiat voluntas mea. Gnothi seauton. Son contento però. Anche se scaricato ho solo un koglion>>. Insomma, ni ficiru assai di siminati. Veramente assai. Iddu siminau a dritta e siminau a manca, siminau in funnu a lu kunno e pure altrove, siminò e controsiminò veramente nu tanticchia di gente. << Ma la eroica minkia mia, dimmillu chiaru e tunnu, almenu lu stutau lu focu ca ardia na lu to kunnu? >> chiese curioso Enea, a cui, come a tutti i maschi, ci piacia sentirsi dire dalla fimmina ca era tutta ma proprio tutta soddisfatta. << Mancu di na stizza, lu kunnu mi pruri e m‟attizza. Iddi assai m‟impazza e voli tutt‟autra minciazza. E da quella stavo iennu iu quannu visti a tia. Chista è solo una bella avventura e così sia. Però resterà segreto questo kazzicatummuliu. Un segreto tra noi, beddu eroi di minkia miu>> disse Helena restando sempre dov‟era. << Come vuoi, io non parlo mai delle storie del mio pisello. Comunque mi sento chiù leggero, grazie, Helena dal pakkio bello. A dire il vero mi hai liberato da una dolce e magnifica ossessione. Desidero da sempre fikkari cu la mamma mia, che è un bel pakkione. E siccome tu tieni il pakkio, diciamo pure, del suo gemello, io ho realizzato il sogno di metter lì, alla mamma, l‟uccello. È stato quasi un incesto, un incesto virtuale e non reale, ma io mi sento meglio e una palla non mi fa chiù male. Grazie Helena, grazie di cuore e di ciolla, grazie. In verità, futtiri cu tia è stato, penso, come futtiri cu la me mammà. Su chista facenna calerà il segreto di stato, il segreto totali. Nessun mai saprà che altro era il peso che portavo nei genitali. Nessuno saprà mai che “Roma” doveva chiamarsi “Romakazzo”. Nessuno saprà mai che idda è gemella di “Monakazzo”>> rispose Enea che stava sotto e con lo stuppagghiu ancora nel posto giusto. << Ti dico un mio segreto. Stanotte io concepirò Erminestrone, una figlia bedda che sarà chiù bedda di mia, un vero pakkione. E tra la simenta che in me ancora trasirà, e tra tanta ca m‟è già trasuta, sarà la tua ca darà l‟imput a l‟ovo mio. Idda sarà figghia di la to futtuta>>. << Sarà falso o sarà vero? Mi ni futti na minkia di na cicia veramente. Là dentro c‟è il mare nostrum di la simenta, a dire le cose sinceramente. La minkia mia paria in alto mare, più che fikkare paria nuotare. In quella miscela di latte di brigghiu di minki e kazzi che altro poteva fare? Però se devo essere sincero, e io lo sono di cicia e di ciriveddu, Erminestrone è un nome lario e longu. Ermione mi pare chiù beddu. Piccatu però ca fimmina idda eni, ca se maskulu inveci vinissi, iddu accanto a li cugghiuna sta minkia di dardanazzu tinissi. Io invece , quannu “Roma” na lu pakkiu promesso di Lavinia seminerò, per ordine divino, al mio erede di cotanta e cotale semenza, Silvio lo chiamerò. E Silvio mio, na li baddi portentosi, porterà carusi dardanazzi a iosa. Ogni Silvio darà un Silvio e poi un Silvio ancora, tutti fruttu di la me cosa. Accussì sarà la successione di li kazzi a “Roma”. Di kazzo in kazzo, di minkia in minkia, di cicia in cicia, andrà così nel futuro il mio dardanazzo>>. << Bello, ma sarebbe chiù bello se Ermione, tanto pi fare na cosa bella da fare, si facissi nu viaggiu a “Roma” e casualmente si la facissi da Silvio calare. Non per avventura o piaciri. L‟incesto è da sempre il punto di partenza per fare la storia, o delle religione o delle case reali, con la propria semenza>>. << Il futuro è il futuro, il futuro è nelle mani degli dei e del fato pazzo. Ma sta anche dentro i nostri koglioni e viene fuori dal nostro kazzo. Cosa farà o non farà la bella Ermione con suo pakkio beddu non m‟interessa una minkia sicca . Prima o poi avrà n‟aceddu. O di Silvio o d‟autru maskulazzu, a mia mi ni rifutti nu kazzu. Ora scinni bedda. Lu “Kazzo” lu siminai na la to “Mona”, na lu to sticcio. Scinni, pi carità scinni, prima ca siminu “Roma” e finisci tutto a pasticcio>>. Scinniu Helena. E iddu si susiu col proposito di non tagliarsi niente e di adempiere al destino cui era destinato. Il fato lo voleva padre di “Romakazzo”, e padre di “Romakazzo” sarebbe stato. Solo che per questioni tecniche “Romakazzo” era addivintata semplicemente “Roma”. Una parte di “Romakazzo” era finita a “Monakazzo”. Enea sarebbe stato il padre segreto di “Monakazzo”. Ma questa è n‟autra storia. Comunque Enea aveva adesso un koglione grosso assai e uno normale. In uno, quello grosso, c‟era ancora “Roma”, che aspettava di essere seminata in Lavinia. Nell‟altro, quello piccolo, non c‟era chiù “Kazzo”. Adesso “Kazzo” stava nella “Mona” di Helena. Una storia segreta questa. E tutto era avvenuto sotto gli occhi innocenti di Ascanio e quelli lussuriosi di Anchise. E lì, taliando quello spettacolo, Ascanio si era fatto le prima minata. E pure Anchise si l‟era minata. Quel pakkio le ricordava il pakkio della dea da lui amata. Ma proprio alla fine, quando Helena stava scendendo da cavallo, era arrivata la moglie purceddopolita di Enea. Ed era successo un casino. Era arrivata nel momento che Ascanio e Anchise stavano concludendo i lavori. E s‟era scandalizzata. << Figghiu lurdu e suocero ingrasciato. Chi minkia di spettacolo disgraziato. Anchise, vergognati di quel che fai. Scannaliato l‟innocente Ascanio hai. E tu, figghiu miu, a farti sta minata sutta l‟occhi di la mamma amata?>>. Anchise e Ascanio non smisero. Erano altre il punto di arresto. Dovevano venire. Venire e basta. Cascasse il mondo, loro dovevano finire. E finienu. Poi indicarono alla donna scandalizzata di andare dentro. << Mamma, “historia magistra vitae”, dirà Cicerone un giorno. Ma io ti dico, mentula magistra vitae. E ora levati di torno>>. E la femmina scandalizzata trasiu per vedere la causa di chidda minata. E trovò il marito ancora accavallato da Helena. << Buttana dal pakkio spilato. Troia chiù troia di qualsiasi troia di questo troiaio ca lu munnu è >> aveva gridato la moglie. << Cognata, non rompere le ovaie. Tuttu stu burdellu pi na fikkata lampo. Minkia, chi kakakazzo del kazzo che sei, come minkia ti sopporta Enea? >> aveva risposto Helena. E s‟erano acchiappate con le mani. <<Te lo scippo. Ti lu deformo. Ti li sfregio. Con questo stikkio buttano tu porterai all‟anarchia i kazzi di Purceddopolys. E naturalmente anche i relativi proprietari>> aveva gridato la moglie. E l‟aveva acchiappato per il pakkio << E io te lo spilo. Te lo faccio come il mio, che come il mio a tuo marito ci piace assai assaissimo. E assai assaissimo piace alla sua minkia>> aveva risposto Helena, che con forza disumana, avia tirato come una pazza, e s‟era portata buona parte della pelliccia di idda. A questo punto erano intervenuti Enea, Ascanio e Anchise, e le due donne erano state separate. Helena comunque era contenta di questo kazzicatummulio. Ma naturalmente il kazzo di Enea non era lo strumento adatto a lei. Era stato un imprevisto non previsto. Un imprevisto che la faceva diventare la madre della futura Monakazzo. Se quella buttanissima fika spilata divina di Aphrodyte sarebbe stata la madre di “Roma”, secondo tradizione, idda, buttanissima pure e fika spilata altrettanto, sarebbe stata la madre di “Monakazzo”. E siccome erano entrambe figlie della minkia di Zeus, Zeus in persona sarebbe stato il nonno dell‟una e dell‟altra polys. E per padre, nell‟uno e nell‟altro caso, ci sarebbe stato Enea. Se da una parte, a sentire le profezie, sarebbe stata la causa della guerra di Purceddopolys e della sua naturale distruzione, dall‟altra sarebbe stata fonte di vita per “Monakazzo”. Pertanto anche la sua fika era nu tanticchia contenta. La sua “Luna” era nu tanticchia felice, ma solo nu tanticchia. Per un fatto storico che la interessava tanto, solo per questo. Quindi, quello che era successo, era stato solo una bella improvvisazione. Senza copione o altro. Teatro comunque. Teatro vario ed eterogeneo. Teatro storico con Enea. Teatro futurista per Ascanio. Teatro dei ricordi per Anchise. E Teatro gelosia per la moglie di Enea. Titolo possibile, A letto con la minkia dell‟eroe per Enea, poi A letto con la minkia dell‟eroe per acculturarne il figlio per Ascanio, e poi ancora A letto con la minkia dell‟eroe per ricordare cose belle al vecchio Anchise, e per finire, A letto con la ciolla dell‟eroe per ingelosire la moglie dello stesso. Poi pensò che tutto doveva restare segreto, quindi il giusto titolo sarebbe stato A letto con una ciolla fantasma ma tanto fantasma che nenti visti, nenti „ntisi e soprattutto nenti sacciu. Teatro segreto quindi, anche se la sua “Luna” aveva trovato un buon lunanauta con tanto di minkianauta. Lei doveva correre verso la ciolla di Paryde e kazzicatummuliare con quella in sekula sekulorummu. Si ricordò che forse Paryde era in pericolo. E se era in pericolo Paryde, lo era anche la sua ciolla. L‟ultima tappa, tappa imprevista , del suo “minkia tur”, si era conclusa. L‟ultimo ostacolo, ostacolo non previsto, era stato superato. Adesso c‟era solo il traguardo. In cima al kolosso l‟aspettava quello che metaforicamente era il suo kolosso. Il kolosso Paryde nella sua totalità e nella sua particolarità. Quello che la mandava in estasi continua e permanente. Quello che la mandava sulle stelle e oltre. Kolosso non fisico ma teorico. Quello era il suo trofeo, non gli restava che salire le scale e ... --La sorpresa è sempre ben accettata, come la minkia non aspettata. Detto popolare --Comunque Helena, finta la sessual - machia con Enea, gridò in silenzio, nella sua testa: <<Ho avuto... la minkia di Enea.. la minkia di Enea.. la minkia di Enea.. la minkia di Enea.. la minkia di Enea.. la minkia di Enea.. la minkia di Enea..>>. Per poi finire con un micidiale : <<Ho avuto la MINKIA di Enea>>. Pure il suo “Pozzo dei segreti” urlò un silenzioso “Pozzo dei segreti -tonitruante” urlo assai lapalissiano. <<Ho avuto la minkiaaaaaa di Enea.. è una minkia che sa fare la minkiaaaaaa...>>. E non era un lapsus calami o un lapsus linguae. In vino veritas. O meglio, in kunnus veritas. Gutta cavat lapidem, mentula cavat kunnus. Il sogno di Helena, e del suo “Pozzo dei segreti”, era quello di gridare in faccia all‟urbe, all‟orbe e all‟Olympazzo tutto: <<Habemus mentula Enea>>. Ma aveva deciso che doveva restare un segreto. Era stato risolto il problema “Quale mentula? Una mentula qualsiasi o la mentula di Paryde?” “Melius abundare quam deficere” diceva un detto latino latinamente latinissimo. E lei aveva abbondato, aveva avuto un‟overdose di mentuline, mentule, mentulone e mentulazze. Tutto per dimenticare la mentulina di Mynkyalao e non pensare alla mentulona di Paryde. E in segreto aveva avuto la minkia di Enea. E adesso covava Monakazzo. << Basta con l‟overdose di minkia. Overdose sia solo della minkia di Paryde, con tanti parerghi e senza paralipomeni>>> disse Helena. --Minkia, scaricai per caso lu pisu assai pisanti di nu pisanti cugghiuni. Ma non dico unni, ne a chi, dico solo che fu dintra nu beddu pakkiuni. Attribuita a Enea. --- Nessuno vide l‟incontro tra Enea ed Helena. A parte Ascanio ed Anchise. E la moglie, arrivata a cose concluse. Né gente di passaggio né i soliti intellettuali. Ascanio promise il segreto, e pure Anchise, ma la moglie cornuta non promise una minkia. E siccome la cosa col tempo si seppe, non è difficile dire chi parlò. Non è difficile, ma non è sicuro. --- “Nessuno lo vide” è un falso. Come la “Donazione di Costantino” e le “Decretali di Isodoro”. Come le dichiarazioni di certi avvocati e le testimonianze di certi testimoni che più che koglioni sommi non sono. La moglie non parlò. Minacciò, ma non parlò. A parlare furono due strani tizi. Due tizi originari di Leonthynoy e Karleonthynoy, polis della “lega del pattuallo”, che si trovarono lì per caso. E per caso stavano cercando di valutare i koglioni di Enea. << Per me valgono quattro milioni di koglioni normali>> dicia uno. << Per me otto>> dicia l‟altro. E intanto che c‟erano, cercavano di valutare il numero delle ciolle “modello Enea” di cui aveva bisogno Helena per non pensare a quella amatissima dell‟amatissimo Paryde. << Quattromila ciolle alla Enea per seminare quattromila Monakazzo>> disse il tizio di Karleonthynoy. << Ottomila ciolle alla Enea per seminare ottomila Monakazzo >> disse il tizio di Leonthynoy. << Ma non potrei seminarla io ad Helena? Io la seminerei volentieri. Tanto per seminare una nuova Karleonthynoy. Una polys dove quattro è quattro e non otto.>> disse il tizio di Karleonthynoy. << Però potrei seminarla pure io, tanto per seminare una nuova Leonthynoy. Una polys dove otto è otto e non quattro. E dove i documenti non si perdono>> disse il tizio di Leonthynoy Ma da Palermorum fecero sapere che la valutazione poteva arrivare al massimo a quaranta milioni di ciolle alla Enea. E che anche da lì poteva venire qualcuno a seminare Helena, tanto per seminare una nuova Magna grecia. Quindi non era da escludere la loro partecipazione attiva. “Quaranta milioni di cicie” era il tetto massimo per non pensare alla cicia di Paryde. Mentre bastava una cicia qualsiasi per dimenticare la cicia maritale. Magari bastava un cicetta, una minkietta, una ciolletta, un falletto, un kazzetto, un piselletto. Purtroppo un altro tizio perse i documenti e tutto finì a ciolla di cane rognoso. Ma costoro ignoravano che per Helena la ciolla di Mynkyalao valeva meno di zero mentre quella di Paryde era tutto. Era il summa della summa delle ciolle di tutti gli eroi del mondo classico. I due tizi naturalmente non s‟erano accordati sulla valutazione, come al solito, quannu era arrivata Helena. E s‟erano visti la “missione segreta”. O la “misa segreta”. E intanto se l‟erano minata. Uno quattro e l‟altro otto volte. Ma senza certificare la cosa per la storia, che poi i documenti si sarebbero persi. A cose fatte questi erano stati i commenti. << Un koglione è tornato alla normalità ma l‟altro vale quattro milioni di koglioni normali e contiene quattro miliardi si spermatozoi>> disse il tizio di Karleonthynoy. << Un koglione è tornato alla normalità ma l‟altro vale otto milioni di koglioni normali e contiene otto miliardi si spermatozoi>> disse il tizio di Leonthynoy. Nessuno rise delle loro balle. Risero solo loro. Delle loro stesse balle. --Occhio non vede cuore non duole, minkia che non trasi piacere non vuole. Detto popolare --Helena pigliò l‟acchianata per il kolosso. Praticamente ci curriu appriessu, appriessu per modo di dire, visto l‟intervallo trascorso con Enea. Ci curriu comunque appriessu, in silenzio, al suo bel Paryde. Senza farsi vedere. Quello in fondo era già sulla punta della minkia del Kolosso. Sul terrazzo panoramico che stava sulla koppola della ciolla del Kolosso. Ma idda però era pronta a correre e a raggiungerlo. Ma che poteva fare se le cose si fossero messe male? Paryde era già in cima al Kolosso Minkiaurea e sminciuliava a minkia. Ma poteva anche, in un amen, buttarsi giù dalla minkia. << Minkia, chi si voli ittari dal Kolosso per amore mio? O si voli immolare sulla minkia del Kolosso?>>. Acchianò le scale piano pianissimo per non disturbare il fato. O meglio, lo “spirito di Pryapo” che aleggiava nei suoi Kolossi. Poi, per non farsi vedere, trasiu nel cunicolo interno alla minkia, il cunicolo che portava verso la koppola. Questo per non usare la scala esterna ed arrivare pertanto di nascosto, non vista. E quando arrivò in prossimità della koppola sentì le sue parole. Erano parole musicali come una minkia in amore assai assaissimo innamorata. Era parole orgasmiche. << Eolo caro, ciuscimilla assai e portane na stizza all‟amore mio. E se non ci poi portare la simenta portaci almeno lu ciauru di la me minkia. Eolo, ascoltami e non fare lo stronzo. Ciuscia, ciuscia chiù forti, e chi kazzu. Sei o non sei il dio del venti. Ciuscia, per la miseria. O sei diventato impotente di ciolla e di ciusciu. Ciuscia, testa di kazzo di Eolo. Ciuscia, testa di minkia obesa. Non vedi che sto diventando tutta minkia. Minkia di ferro sono, minkia in ebollizione, minkia che s‟attrenta e cresce. Questo è quello che sento. E magari la minkia mia criscissi tanto da arrivare al pakkio amoroso dell‟amore mio assai assaissimamente amato col cuore, con la testa e soprattutto con la minkia. Perché è lei che m‟ispira la minkia. È lei che mi l‟attrenta e mi l‟allonga e mi l‟ingrassa. Minkia, come minkia bolle la minkia mia . Chi mai la farà sbollire se manca si felice kazzicatummuliu. Flangar non flectar >>. Ci fu una pausa nel minkiolesco monologo. Pausa dovuto a un venticello amoroso che soffiava perpendicolarmente alla sua minkia. Un venticello spuntato all‟improvviso. Uno scirocchello caldo che faceva sentire chiù caldo ancora. Forse Eolo l‟aveva ascoltato. Poi Paryde riprese: << Ahhh.. nu tanticchia si arrifriscò, ma è sempre caura. E cresce, e s‟indurisce, e s‟ingrossa, e s‟allonga. E tra poco bollirà di nuovo. Ma per il momento si arrifriscò. Ahhhh. Flangar non flectar>>. Helena salì ancora e taliau. Paryde ci dava le spalle. Anzi, lu kulu. Pirchì era nuru a parte la koppola. Era assittau sulla punta della ciolla e recitava parole d‟amore a minkia crescente. Ma si capia anche chiddu ca stava faciennu. Si la stava minannu in suo onore. Si la stava minannu al vento. Per affidare la sua simenta a Eolo. Cu na manu si la minava e con l‟altra tinia un minkiuni enorme di minkiajuana. E il vento soffiava. Anzi, lo scirocco soffiava. E soffiava sempre più forte. Sempre più caldo. Forse vinia dall‟Etna. E ad Helena ci arrivava l‟odore cauro della minkiajuana e della minkia. Un miscuglio di fumo di minkiajuana e di sudore di minkia. Un miscuglio strano con un odore che non era né di minkia né di minkiajuana. << Odore di minkia alla minkiajuana o di minkiajuana alla minkia?>> si chiese Helena. Non riuscì però a darsi una risposta. Comunque era un bel mix, l‟ideale profumo erotico per una femmina femmina al mille per mille. Pure la sua “Luna” recepì quel profumo. Ma c‟era in quella miscela un odore misterioso che la picciotta non riusciva a decifrare. Un odore che aveva già sentito. << Forza Eolo, ciuscia sempre più forte. Distruggi tutto ma portaci il ciauru del mio aceddu. E a mia portami il ciauru frisco del suo kunno dilaniato da quel fitente di Mynkyalao. Scatenati Eolo e stocchiccilla a Mynkyalao. Stocchiccilla magari al mondo intero ma portaci il ciauru della ciolla mia. Stocchimilla puri a mia, basta ca ci la vai a piazzare nel pakkio. Per un ultimo kazzicatummuliu. In quel pakkio che addesidero da tempo, quel pakkio che mi fa pakkiare la notte, quel pakkio che mi accende di desiderio, di pititto, che mi mette il fuoco nel cuore, nel corpo, nel ciriveddu, e soprattutto nell‟aceddu. Eolo, varda la minkia mia ardente e capirai quanto soffro. Ciuscia Eolo, ciuscia. Tu non sai che signifika fikkare con Helena, credo. Io che lo so, minkia come la addesidero. E se non ci posso andare io, che ci vada la mia ciolla. Stocchimilla e porticcilla, ficchiccilla per sempre, in sekula e sekulorummu. Stocchimilla. Lassimi senza ma ficchiccilla a idda per l‟eternità. Perché io l‟amo. Per amore sono pronto a deminkiarmi. Per amore suo questo e altro. Forza Eolo, ciuscia, testa di kazzo. Stocchimilla e porticcilla sana sana e tisa tisa, come una freccia d‟amore ardente. Porta la mia “Gioconda” sulla sua “Luna”. Solo così la “Luna “ sarà gioconda. Non vedi quant‟è e com‟è la ciolla mia. Lunga lunga, grossa grossa e dura dura. E s‟ingrossa, s‟indurisce e s‟allonga sempre più. E soprattutto bolle. Son tutto minkia, tutto ciolla, tutto marrugghiu, tutto cicia, tutto kazzo. Sono minkia tout court e full time. Sono la minkia tout court e full time. Flangar non flectar>> recitava l‟amato Paryde. E lo scirocco ciusciava sempre più forte e caldo. Arrifriscava e cauriava allo stesso tempo. E ogni tanto Paryde lasciava la ciolla e infilava un dito in un vasetto. Poi strofinava il contenuto del vasetto sulla ciolla. Lo faceva con ardore. << Ahhh.. nu tanticchia si arrifriscò, ma è sempre caurissima. E cresce ancora. E s‟indurisce ancora. E s‟ingrossa ancora. E s‟allonga ancora. E tra poco bollirà di nuovo. Saranno ancora 100°C o 273K, gradi Cazzici o Kazzici. O forse Cunnuci o Kunnuci. Ma per il momento si arrifriscò. Ahhh.. come s‟arrifriscò. Flangar non flectar >> disse Paryde dopo aver usato il contenuto del vasetto. Helena taliava esterrefatta. Ci vinni pititto infinito della vera “Gioconda”. Intanto Paryde si la minava in modo sempre più forsennato. E delirava. Aveva finito lu minkiuni e adesso si la minava con entrambe le mani. Ma alle narici di Helena arrivava ancora il solito mix erotico. Ciauro di minkia, ciauro di minkiajuana e poi un ciauro che non riusciva a riconoscere. Intanto lo scirocco faceva effetto anche su di lei. Sudava per il caldo e per l‟eccitazione. Sudava tutta, anche tra le cosce, anche nella fika. Là dove addimorava la finta “Gioconda”. Comunque lo scirocco soffiava sempre più forte. << Zeus, scatena li tuoi amati fulmini e fulminicci la minkia a Mynkyalao. Manna un fulmine che acchiappi la mia minkia e poi corra veloce al pakkio di Helena e ci porti l‟odore della minkia mia arrostita. Fallo, Zeus. O sei testa di kazzo pure tu. Vedi che allora divento ateo e mi sbattezzo. Tanto è di moda. E tu, Efesto, si o nun si il proprietario dell‟Etna, di Mungibeddu? E allora scatena sa kazzo di Etna e arrusticci la minkia a Mynkyalao, altrimenti si testa di kazzo pure tu. E tu, Ade, che stai sutta la terra, e chi minkia si? Ci la fai a fare un terremoto del kazzo che sconquassi sta kazzo di sicilia? Tanto in sicilia, fare una minkia di terremoto non dovrebbe essere difficile. La sicilia è già predisposta, è predestinata. E allora, lu fai o nun lu fai? Si testa di kazzu pure tu? Fallu sta minkia di terremoto e fai in modo che il mio corpo rotoli assai assaissimo fino a catafottersi su quello di idda. E sono sicuro che la mia minkia ancora tisa troverà il suo pakkio pronto ad accogliermi tutto sano sano. E poi tu, Pryapo, beddu spikkiu di minkia che non vali forse una minkia, se sei veramente il dio più minkiuto e non quello chiù fottuto, sbattici in kulo la tua cosa a Mynkyalao accussì l‟autra ci arrrimodda. Sbatticcilla in kulo tutta sana, accussì iddu lassa stare il pakkio della mia Helena. Fallo, altrimenti sei doppio testa di kazzo e triplo testa di minkia. E voi tutti, dei dell‟Olympazzo, facitici arrimuddari a Mynkyalao lu kazzu. Fati, se necessario, un kazzo di cataclisma, una minkia di palingenesi totale, ma fatela. Se siete dei, fate trionfare la giustizia. Se siete solo dei pupazzi, andate a fare in kulo e non ci skassate più il kazzo. Fate affunnari pure tutta la Trinacria, ma fate crepare il mio rivale. Fate pure come facistru con Atlantide, ma fate crepare quella minkia di Mynkyalao e pure la sua minkia. Un milione di morti purché muoia il mio rivale. A mia tantu, chi minkia mi ni futti. Pi mia ponu cripari tutti. Quattro o otto milioni di morti, a mia mi fanu un baffo. E finanche quaranta milioni, certifikati o meno, per dirla alla Pattuallopolys, a mia mi fanu un baffo alla minkia. Morte al mondo tutto purché arrimoddi la ciolla di Mynkyalao. Povera “Luna” pallida e tremante senza “Gioconda” consolante. E povera “Gioconda” sofferente senza “Luna” consolatoria. Minkia, tutto minkia mi sento. Mi sento più minkia di Pryapo, più minkia di tutte le minkie di Munypuzos, più ciolla di tutte le ciolle della grecia e della magna grecia. Ma a dire il vero vero veramente mi sento più kazzo di tutti i kazzi dell‟Olympazzo. Pi falla cutta e netta, mi sento di aviri na minkia quanto all‟universo sano sano. Minkia, quantu sugnu minkia. Tra poco, lo sento, ci sarà un nuovo diluvio universale. Non acqua ma simenta di minkia, non acqua ma latti di brigghiu. Latte di ciolla mio, perché io “mentula ergo sum”. Flangar non flectar >>. Intanto Paryde continuava a minarisilla. E lo scirocco, che soffiava sempre più potente, paria ca lu aiutassi nell‟arte minatoria. Ci dava praticamente la spinta sia nell‟andare in su che nell‟andare in giù. Helena sentì un nuovo mix. Era una miscela di minkiajuana e di pakkio. Lo emanava lei. Ma a dire il vero nell‟aria c‟era anche quell‟ odore misterioso che Helena non riusciva a decifrare. << Chissà se arriverà al naso sensibile di Paryde? O alla sensibilissima sua minkia? E chissà se lui la arriconoscerà? Ha il naso fino in certe faccende. Pi mia sentirà e capirà >> si addumannò. Helena salì ancora. E nura com‟era si avvicinò all‟amato portatore sano dell‟amata “Gioconda”. In silenzio si avvicinò. Fu alle sue spalle in un fiat ma Paryde non se ne accorse. Invece sentì un certo odore. Un ciauro di pakkio alla minkiajuana. E lo riconobbe immediatamente. << Grazie Eolo, grazie per avermi portato il ciauro della “Luna”. Della vera “Luna” e non di quella buttana che sta in cielo e ora svuncia e ora vuncia e ora scompare e ora è piena e ora è calante e ora è crescente e ora è rompikogliona e ora è kakakazzi e ora è sukaminkia e ora è strunza e troia e fitusa e nemica di tutta la mia felicità. Perché la “Luna” di Helena sempre piena è. Mi sa che la conosci pure tu. Comunque grazie, a nome mio e della mia minkia. Grazie per avermi portato il cianuro del pakkio di Helena, lo riconosco perchè tante volte l‟ho ciaurato, tante volte l‟ho toccato, tante volte me lo sono mangiato. Io, Paryde il kunnofago, l‟ho avuta come anello prematrimoniale della mia ciolla. È lui, è iddu, è issu, è il suo ciauru di gelsomino tiso alla rosa piacerosa cu na tanticchia di menta piperita e na pammina di prezzemolo abbasilicato e di basilico prezzemolatu e na spolverata di pipi russu, niuru, giallo e arancione. È lui. Grazie Eolo per avermi riempito le narici di quell‟odore benedetto. Sento che il cianuro mi manda in estasi, s‟impossessa del mio ciriveddu e corre veloce alla minkia mia. Sto per venire. Sarà il mio un felice kazzicatummulio con il ciauro del pakkio helenino. E tu Eolo bello, portaci la simenta mia in quel pakkio. Porticcilla per carità. Ma se proprio mi vuoi fare un piacere, stocchimilla e porticcilla sana e tisa. E ficchiccilla con tutto l‟amore di chistu munnu. Perchè merita quel kunno. Stocchimilla e fammi morire pure a mia. Ma portaci il mio aceddu. Là dintra voglio andare e stare nei secoli dei secoli. Uno stuppagghio eterno per il suo eterno piacere. L‟ultimo kazzicatummuliu. Metter la minkia nel tummulo. Seppellire la minkia mia nel suo pakkio. Sempre nei secoli dei secoli. Fatelo, divinità del kazzo, altrimenti mi ammazzo, mi butto giù da questo kazzo d‟oro del kazzo, mi butto giù dopo aver esalato l‟ultima simenta. E così esalerò anche l‟ultimo respiro. Ma soprattutto lo farò dopo aver pronunciato il nome di lei a iosa, alla sanfasò e a tinchitè. Il suo nome tout court e full time. Helena.. Helena.. Helena.. Helena.. Flangar non flectar. Paryde si spezza ma non si piega>>. E lo scirocco ciusciava chiù forte. Quasi quasi fortissimo. Eolo lo stava veramente ascoltando. Gli altri dei invece si ni futteunu. Lo stronzo buttaniere di Zeus nun lanciava fulmini a minkia cina, lu kakakazzi di Ade nun facia na minkia di terremoto e lu sciancatu claudicante di Efesto non usava quella minkia di Etna. Dei a kazzo e a minkia e a ciolla erano. Solo Eolo si stava addimostrando un dio serio. E stava veramente per venire Paryde quannu lei parlò: << Nun serve fartela stoccare da Eolo, ti la stocco io direttamente la minkia. E non serve buttarti giù, buttati invece tra le mie braccia, buttati tra le mie cosce, e buttami la ciolla nel mio portaciolla. Imminkiami con tutta la tua minkia sana sana, inciollami e insementami e fammi tutto e il contrario di tutto. Sono tua tutta. Alluna sulla “Luna” e dove minkia ti pare. Alluna, akkula, abbocca, ascella, ambillica, annasa, aricchia. Fai e rifai e controfai con la tua bella “Gioconda”. Forza, amore mio immenso, kazzicatummulia in mia che io kazzicatummulierò su di tia. Kazzicatummuliamo a iosa, alla sanfasò e a tinchitè. Kazzicatummuliamo tout court e full time>>. E si buttò, aiutata da una raffica potentissima di scirocco, a terra, a cosce larghe. Con la “Luna“ piena a tutta vista e piena del Sosia. Paryde si girò. Aiutato anche lui dallo scirocco potente che paria ci stesse scippannu la minkia per portarla a Helena. << Minkia, tu, stikkio mio bello, gloria del mio uccello. Minkia, come ti voglio. Minkia, come ti desidero. Minkia, minkia. Dammi la “Luna”. Voglio la “Luna”>>. E venne come un ossesso addosso al suo amore. Venne senza entrare . Venne al vento potente, con l‟aiuto del potente vento che faceva vibrare la sua ciolla. E quel vento potente e caldo fece ballare in un vortice ora dilatatorio ora concentratario la simenta del picciotto. Simenta che poi atterrò alla sanfasò sul corpo di Helena. Venne così su quelle tette gioiose. Venne così sul resto. Venne felicemente venne su tutto. Venne sull‟ombelico. Venne a iosa. Venne alla sanfasò. Venne a tinchitè. Venne tout court e full time. Venne su tutto, ma venne anche sulla “Luna”. Soprattutto sulla “Luna”. << Minkia.. io.. e voglio la tua minkia.. la tua “ Gioconda“ >>. Venne anche lei. Si pisciò e contropisciò dal piacere. E si sciu il Sosia. << E la falsa “Gioconda”. La tua minkia finta, ma adesso mettici quella vera. Imminkia la tua minkia nel mio portaminkia>> << Sì>>. Iddu si catafuttiu su idda. Aiutato da una raffica di scirocco potentissima precipitò su idda. Su di idda cadde, e ci catafuttiu la “Gioconda” sulla “Luna”. Poi stuccanu e controstuccanu pi tutta la notti. Lì, sulla koppola della minkia del nuovo Kolosso di Pryapo, sotto lo sguardo del cielo intero. Lì, su un letto d‟oro sospeso nel vuoto, tra cielo e terra, salirono veramente all‟ultimo cielo non so quante volte. Perché nell‟ultimo cielo dimorava il massimo del piacere. Mynkyalao fu fatto cornuto un sacco di volte nell‟arco della nottata. Ogni volta che Paryde vinia idda si mittia al lavoro oralmente per risollevare la questione. Poi diceva: << Stuccamu n‟autra vota..>>. << Stuccamu..>> rispondeva lui. E lui venne. Rivenne e venne ancora per poi rivenire e venire ancora. E lei venne. Rivenne e venne ancora per poi rivenire e venire ancora. Lui venne nella “Luna”. E con la “Luna”. E sempre con la “Luna” rivenne e venne ancora. Un sincretismo sincretico sincronico sinergico che faceva dei loro corpi un tutt‟uno. E tra una stoccata e l‟autra si sukavano un bel minkiuni partaimmi. Dopo tante stuccate lui si ricordò del Sosia. Non ci aveva pensato chiù a quella cosa strana che lei s‟era tirata fuori dal pakkio. Quella cosa che spesso si insinuava come un pisci tra le loro panze. << Chi faceutu cu sta minkia finta?>>chiese Paryde. << E‟ il tuo Sosia. Mi lo mettevo nel pakkio al posto dell‟originale>>. << Ma se io ho l‟originale, non è meglio l‟originale?>>. << Certamente e sicuramente e indubbiamente e giustamente. L‟originale meglio è. La minkia di carne è la minkia di carne.>>. << E allora che minkia te ne fai di una minkia finta?>>. << E‟ un regalo tra l‟altro. Me l‟hanno dato Pallade Atena e Artemide. Se l‟originale è assente, il Sosia è sempre presente>>. << Ver‟è, ma non serve più a te, adesso la mia minkia c‟è>> disse Paryde. << E chi lo sa, potrei usarlo su du te. In fondo il tuo Sosia è>>. << Mi vuoi possedere? Ma mi possiedi quannu sono dintra di tia. Sei la prigione felice della minkia mia>> disse Paryde. << Ma è diverso stare dintra e entrare dintra; e io voglio entrare dintra..>>. << Dintra?>> disse Paryde. Paryde la taliò, ma Helena oramai s‟era messa in testa una certa idea. Lui pinsava al Sosia di Zeus. Ma quello era arrivato dall‟alto e d‟autorità. Questo arrivava per amore e sarebbe stato accolto con amore. E fu, come fu, ma fu. Helena col Sosia trasì in Paryde. E Paryde fu contento assai assaissimo. Poi stuccarono ancora. Più che altro stuccavano la vera “Gioconda”. Ma ogni tanto stuccavano pure il Sosia nelle reciproche aperture. Era un completare il reciproco prendersi, il reciproco possedersi, il reciproco esplorarsi. Il reciproco amarsi. Il reciproco kazzicatummuliari. --Ricevere in kulo il sosia del proprio uccello è il solo mezzo per fare l‟amore con se stesso. Strabonio --E tra na stuccata e l‟autra stava quasi albeggiando quando si sentirono chiamare. << Helenuccia bona.. beddu Paryduccio. Minkia. E solo na questione di meccio. Non fate succeriri nu granni burdilicchio. È solo na questione di minkia e stikkio. Fate li bravi, basta stu trasi e nesci a iosa. Turnati a palazzu prima ca Elio vi viri cu la so cosa. Lu burdellu purtroppo è scrittu na lu distinu. Ma ritardamu almenu di nu pilu di minkia stu casinu. Ho capito che vi piace kazzicatummuliari. Ma adesso basta, ci n‟è di tempo per scopare>>. << Minkia e minkia ancora, ni scuprenu in fragranza di reato. Tu sarai sicuramente esiliata e io di minkia decapitato. Saremo messi alla berlina, esposti al pubblico ludibrio. Un fatto è certissimo, in nostro amore finiu a schifiu>> disse Paryde, che recuperò subito la koppola e si la mise sulla ciolla. Non pudore ma semplice automatismo fu. O forse paura della deminkiazione. << No, è un mio caro amico e caro parente. È Pryapo, il dio dalla minkia potente>> disse idda. << Ah, quello della megaminkia. Quello detto Ciollamagna. Lo riconosco dalla minkia, che pare una vera montagna>>. << Iddu è>> disse idda. << Iddu è>> aggiunse iddu. << Io sono>> replicò Pryapo. Pryapo, per non vedere i due pupi innamorati amoreggiare in amore, iu sul punto più estremo del terrazzo pi farisi na bella pisciata en plein air. Nudo e di minkia armato, ma con la koppola in testa. E tra le labbra un bel minkiuni di minkiajuana. Che lui però chiamava in altro modo. E pisciò a iosa, alla sanfasò e finanche a tinchitè. Helena e Paryde restarono dov‟erano. << Sai, vulia passarimilla pi minnitta. Se io non davo il Sosia d‟oro alla sua mammina. Ma io ci l‟avia dato e iddu restò fottuto. Vulia darmela in kulo ma ci restò la minkia tisa in mano. Anche se tanto per farmi scantare mi l‟appoggiò al deretano>> disse piano iddu a idda. Rise idda a lu cuntu di iddu. Rise di bocca e di kunno. << Sai, poco fa, nel mio “di ciolla in ciolla in ciolla ” iri, prima di approdare a sta minkia tua ca mi fa assai muriri, iddu, Pryapo, la sua realissima e maestosa torre carnosa, mi la piazzò tutta sana sana nella mia iarrusissima cosa. E io, curaggiusa, ci dissi in faccia, chiaru e tunnu, ca la so minkia non avia felicitatu lu me kunnu. Ma lu bellu vinni appriessu, caru miu beddu ciciddu, e fu quannu la to minkia finta iu in kulu a iddu>>. Rise iddu a lu cuntu di idda. Rise di bocca e di kulo. <<Minkia, Pryapo nel mio kulo non ci andò, la misa a lui fallì. Minkia, ma io , anche se col Sosia, nel suo andai. Io ci la misi lì>>. Rise idda a la battuta di iddu. Rise di bocca, di kulo e di pakkio. Ma Pryapo intisi tutto. E pinsò alla minnitta seduta stante. << Alzatevi, vestitevi e correte a palazzo. Non fate casini per una questione di kazzo. Di giorno date l‟esempio alla gente. La notte fate quello che vi passa per la mente. Ma siccome la cosa non può tanto durare. Trovate una soluzione prima che finisca male. Vi l‟haiu cantatu ciaru e tunnu ed anche in rima. Ma pinsatici a truvari na soluzione quantu prima. Perchè se bello è, e assai, il vostro kazzicatummuliu. Pinzataci, e assai, prima ca finisci tutto a schifiu. Curriti a palazzo immediatamente, e faciti finta di nenti. Non ascoltate i pettegolezzi di minkia di certa gente. Iu mi riposo un po‟ alla base della ciolla di stu pupazzu. Adiè, e attenzione a cosa fate cu lu stikkio e cu lu kazzu>>. Paryde si rivestì in un amen, ma Helena non aveva niente da mettersi. Allora Paryde ci desi la sua tunica. << Ma accussì tu resti nudo? Con la minkia al vento>> ci disse Helena. << No, ho trovato la soluzione seduta stante >>. E si rimise la koppola sulla koppola della minkia che sempre tisa era. E in quella tenuta, preso il tascapane, diede il braccio alla sua bella fika spilata. << Scinnemu lentamente, come sposi novelli ca scinnunu la scalinata del tempio>>. E iniziarono a scendere piano piano per la ciolla del kolosso, che Elio si stava già addumannu a tutta minkia. Minkia gialla però. Pryapo invece, spakkioso com‟era, di sciddicata si fici la scalunata che correva sul dorso della minkia del suo Kolosso. E lì, alla base della minkia, si stinnicchiò minkia al vento. O meglio, minkia tisa al cielo puntata. Appoggiata di schiena al suo sottopanza, diciamo sotto l‟ombelico, si assise tranquillamente la ciolla tisa. E in quella posizione si apprestò a taliarsi la scinnuta dei due amanti assai assaissimo innamorati. A taliarsi la scinnuta e non solo. Paryde, scinniennu con la sua bella al braccio, come minkia fu e come minkia non fu, sciddicau. E pertanto pigliò la calata di kulo. E nel pigliare la calata si tirò appresso a idda. << Minkia e kazzo, tutto tutto mi sfracello. Minkia e cicia, finì tutto tutto a bordello. Minkia e kazzo, mors‟io e finanche il mio uccello>> gridò Paryde. << Minkia e mentula, tutta tutta mi sfracello. Minkia e phallo, finì tutto tutto a bordello. Minkia e ciolla, spero di cadere sul suo uccello>> gridò Helena. Lui, chiù assai di massa, atterrò per primo. E santiau assai assaissimo, pirchì atterrò di kulo sulla minkia tisa di Pryapo. Gridò e santiò iddu, mentre Pryapo non disse una minkia. << Minkia, la minkia di Pryapo il kulo mi sfunnò. Minkia che dolore. Minkia che dolorissimo. Minkia, però sono vivo. Minkia, kulo rotto ma vivo..>> gridò tra le altre cose. Invece idda, Helena, di massa corporea inferiore, per seconda atterrò. E atterrò di kulo sulla minkia di Paryde. Che gridò ancora. Gridò di piacere e dolore. << Minkia, la minkia mi stuccò. Altro che “flangar non flectar”. Io mi spezzo piuttosto che piegarmi. Comunque la vita le salvai all‟amore mio >> gridò tra le altre cose. Idda gridò di solo di piacere. Quindi, come una molla, tra un su e giù, portarono tutto al clou. Iddu facia su e giù sulla minkia di Pryapo, e idda, di conseguenza, facia su e giù sulla minkia di Paryde. Smontò idda dalla cosa di iddu, smontò iddu dalla cosa di lu diu. << Grazie, grazie per averci avvisato che stava albeggiando. E grazie per il consiglio. E soprattutto grazie per averci salvato la vita, potevamo sfracellarci al suolo>> dissero gli amanti. << Io però mi sono sfracellato piacevolmente la minkia, e soprattutto mi sono sfracellato il kulo. Però mi sono salvato la vita>> disse Paryde. << E io mi sono piacevolmente sfracellata il kulo. E naturalmente ho salvato la vita>> puntualizzò Helena. <<E io sono contento assai assai di aver salvato la vita a voi due. In fondo la mia minkia, oltre ad essere una dispensatrice di piaceri e una somministratrice di giustizia, è anche, bontà sua, una minkia salvavita. Certo, acchiappa per il kulo, o per qualche altro pertugio, ma acchiappa. E quando la vita è in pericolo, l‟importante è essere salvati. Essere acchiappati. Anche da una minkia in kulo. Perché io si che posso dire “Flangar non flectar”. Anche se a dire il vero io non mi piego e neanche mi spezzo>> << Parole sante>> risposero i due amanti. Idda adesso avia la tunica con un portuso all‟altezza del kulo. Iddu invece non aveva né tascapane né koppola. << Buona sukata di minkiajuana>> disse Helena prima di partire. << Chista non è minkiajuana, e chi minkia>> rispose Pryapo. << “Chista non è minkiajuana”, e chi minkia è?>> replicò la donna ironicamente. << Chista pi mia è minkiapriapriana. E un giorno accussì si chiamerà. Ora andate a fare in kulo. Tutto stu casino pi na minkia, quannu in realtà lu munnu è cinu di minki disponibili. E se funzionano, una minkia vale l‟altra. Il pakkio è orbo e ci basta siri zappuliato per andare il brodo di giuggiole>>. << E chi minkia è stu brodo di giuggiole?>> chiesero i felicissimi Paryde ed Helena. << Chiddu che avete prodotto voi due stanotte è il brodo di giuggiole ideale, perfetto di sale e di cottura, un mix ad hoc, cinquanta per cento mascolino e cinquanta per cento fimminino. E soprattutto il mix dev‟essere, come è stato per voi, simultaneo. Sulu allora il brodo di giuggiole è perfetto>>. Solo allora Helena e Paryde compresero cos‟era il brodo di giuggiole. E si avviarono verso l‟uscita. << Testa di kazzu, ti scurdasti l‟arrifriscaminkia. Tiè, ca miracoloso è>> ci disse Pryapo, porgendogli il vasetto. Il dio aveva riconosciuto l‟Unguento. Il vasetto, nel funambolico volo, era sgusciato fuori dal tascapane ed era atterrato tra i koglioni di Pryapo. << Minkia, chi volo della minkia per atterrare felicemente di kulo sulla tua minkia>> disse idda. << Minkia, chi volo di merda per atterrare di kulo sulla minkia di Pryapo. Minkia, che dolore di kulo a causa di quella minkia in kulo di botto. Meno male che poi arrivasti tu sulla minkia mia. Doloroso fu l‟arrivo, ma il piacere poi cancellò tutto l‟immenso e incommensurabile dolore kulare e in parte minkiale>>. Risero insieme. Risero Helena e Paryde, e corsero a palazzo con l‟intenzione di fare altro brodo di giuggiole. Nessuno li vide, ma già tutti spettegolavano sulla strana “notte di nozze” di Helena. Era contentissima e felicissima la bella Helena. Il teatro con Paryde, con la sua ciolla e il Sosia della sua ciolla, era stato uno spettacolo bello e superbo. Tonitruante la sua fika, tonitruante la minkia. Draconiani e irreprensibili ma soprattutto autonomi. Una bella messa in scena. Bellissima lei, bellissimo lui. Da attori professionisti la performance. Ma non avevano recitato per gli altri. Avevano recitato per loro stessi. O meglio, interpretato. Anche se sarebbe meglio dire che avevano semplicemente esternato quello che sentivano dentro. La voglia di fare sesso con amore. Di fare sesso per amore. Con desiderio. Con pititto. E lo avevano esternato al meglio. Erano stati i registi di se stessi. Erano stati i pupari dei loro sessi e i pupi degli stessi. La passione aveva guidato i loro gesti, le loro mani, le loro bocche, i loro genitali. Erano stati posseduti dallo spirito vitale, lo spirito dell‟amore. Era felicissima e soddisfatta la “Luna”, era felicissima e soddisfatta la “Gioconda”. Erano felicissimi e soddisfattissimi soprattutto la vera “Luna” e la vera “Gioconda”, ovvero li cirivedda dei due innamorati. Titolo plausibile, A letto con l‟amore per amore dell‟amore. Ma anche A letto con la Gioconda sulla Luna. In ogni caso il più sommo esempio di Teatro dell‟illusione. Una bella illusione però. Una illusione a scadenza, ma bella ed eccitante finché dura. Finché dura la cosa, finché la cosa recepisce la cosa, e finché la cosa resta dura al punto tale da accontentare la cosa. Questa cosa è la cosa misteriosa che si chiama amore. Praticamente la cosa chiù dirompente che ci sia dentro di noi. Ma definire l‟amore è un problema della minkia. E del kunno naturalmente. Ed ognuno lo definisce a suo modo. Perché se è vero che futtiri è come na sunata di campana, è anche vero che li campani non suonano sempre allo stesso modo. Pertanto il problema non è il sunari, ma il suono. E cu senti li campani è davvero fortunato. --Se la fimmina voli, poli. Se la fimmina voli na minkia, prima o poi si la pigghia. La minkia addesidera, lu pakkio addecide. La ciolla propone, lu paparaciannu dispone. La ciolla si criri nu generali cumannanti, ma è sulu nu surdatu sottostanti. Paese che vai usanza che trovi,uomo che hai minkia che provi. Detti popolari --Acchianai scuntentu e scinnii felici, anche se lu kulu ci rimisi. Attribuita a Paryde --Acchianai cu lu cori ca era nu cutugnu, scinnii cu la minkia di l‟amore mio na nu pugnu. Attribuita a Helena --Acchianai pi fari na comunicazioni, ma ci la misi in kulo al bel Paridone. Attribuita a Pryapo --Tra lu muriri cu lu kulu sanu e salvarsi cu lu kulu sfunnatu, a dire la verità, è meglio salvarsi e basta, che tantu lu kulu lu purtusu di suo lu teni già. Platone da Munypuzos --- Per tutta Munypuzos risuonò l‟urlo soddisfatto di Helena che finalmente aveva trovato la minkia ideale. In fondo Helena sapeva chi era il portatore di questo modello di ciolla ad hoc per la sua fiketta ma aveva voluto sperimentare. Ma alla fine la sua fika era approdata alla giusta minkia. Giusta tanto per dire. Perchè non è la minkia che si cerca, bensì un certo portatore. E il portare giusto, quello che illuminava d‟immenso la testa di Helena, e di conseguenza la sua fika, era solo e soltanto Paryde. E in quel porto di mare che era il pakkio di Helena, e dove di navi ne erano transitate a iosa, finalmente aveva gettato l‟ancora la minkia giusta. Per questo, e solo per questo, Helena finalmente gridò: << La MINKIA di Paryde è mia>>. Pure la sua fika gridò: <<La minkia di Paryde è mia>>. E risuonò anche quello soddisfatto di Paryde. Paryde era felicissimo di minkia, di cervello e di corpo. Era felice assai assaissimo tutto. << La FIKA di Helena è mia>>. Pure la sua ciolla gridò :<<La fika di Helena è mia>>. Gli abitanti di Munypuzos risposero in coro, soddisfatti assai assaissimo per la fine di questa ricerca della minkia ideale. Per la probabile e sicura fine di quel grido lancinante che ci skassava i koglioni e le ovaie a tutti. In coro, un coro felice però, risposero: << Mynkyalao è CORNUTO >>. Tutte le fike e le ciolle di Munypuzos gridarono: << Mynkyalao è cornuto>>. Anche la ciolla di Paryde e la fika di Helena si unirono al coro. <<Mynkyalao è cornuto>>. --Minkia, fika e cornuto erano stati gridati col massimo della potenza possibile. I nomi erano stati appena appena sussurrati. Pochi compresero di chi era la minkia, e chi di questa minkia s‟era impadronita. Pochi capirono di chi era la fika, e chi di questa fika s‟era appropriato. Ma sentendo la parola cornuto tutti l‟associarono a Mynkyalao. Praticamente dire “Mynkyalao” e dire “cornuto” era la stessa cosa. I due termini erano due sinonimi. Come dire “bugie” e “Pattuallopolys”. Come dire “Karleonthynoy” e “4 o 8 milioni”. Come dire “Leonthynoy” e “documenti non integrati”. Come dire “terre d‟arance” e ”minkiate di sicilia”. --- Tutti sentirono la parola “minkia”, la parola “fika” e la parola “cornuto”. Tutti, tranne Mynkyalao e Ifikanya. Erano impegnati in una fikkata full time. Erano l‟uno per l‟altra ma non erano per il resto dell‟universo. Erano immersi nel loro mondo e se ne fottevano del resto del mondo. --A curtigghiari c‟erano i soliti tre intellettuali della ciolla, o del kazzo, che a quanto pare avevano risolto i loro problemi di minkia. Pertanto pinsavano già di scrivere rispettivamente, secondo la propria specializzazione, il Poema Helena per immenso amore s‟inphallò nella sua dolce e innamorata fika l‟amato phallo innamorato dell‟innamoratissimo Paryde e contraccambiò inkulandolo col Sosia , il Carmen Helena per amore s‟immentulò nella sua dolce e innamoratissima fika la mentula innamorata dell‟innamoratissimo Paryde che ricevette in kulo il suo Sosia, e il romanzo Cent‟anni e poi ancora cent‟anni di imminkiamento della minkia innamorata dell‟innamoratissimo Paryde nel pakkio innamorato dell‟innamoratissima Helena che ricambiava spesso piazzandogli nel kulo il Sosia che altro non era che un pezzo di minkia finta. Sokratynos, il filosofo della minkia, risolti anche lui, e con Helena, i suoi problemi di minkia, si chiese: << La vita è una, come la minkia, e se non è un piacere vivere e avere una minkia che imminkia alla sanfasò, a che minkia serve vivere solo per imminkiare Helena che da tutti s‟è fatta imminkiare, se poi Helena in cambio dell‟imminkiamento vuole imminkiarti in kulo il Sosia di ..>>. E lasciò così. Qualcuno dice che voleva scrivere il nome dei tre intellettuali. Ma si autocensurò. In realtà doveva scrivere solo e soltanto “Paryde”. Ma circolò, anche se anonima, questa domanda: << La vita è una, come il buco del kulo, e se non è un piacere vivere e avere un buco del kulo, a che minkia serve avere un buco del kulo se poi non puoi farti felicemente imminkiare da una minkia vera o finta che sia?>>. --Circolarono però tre scritti anonimi attribuiti ai tre intellettuali della ciolla. Un Poema intitolato Curiosità filosofike, e non solo, dell‟altro stoma di Sokratynos. Un Carmen intitolato Curiosità filosofike, e non solo, del kulum di Sokratynos. Un romanzo intitolato Cent‟anni di curiosità filosofike, e non solo, del purtuso del kulo di Sokratynos. --Appena arrivati a palazzo Paryde chiese : << Helena, ma la minkia mia, parra chiaru e tunnu, lu stutau lu focu ca ardia na lu to kunnu>>. << Lu stutò, lu stutò, pirchì lu kunnu miu pruri pi tia e sulu pi tia s‟attizza. E poi ancora impazza, però sulu e soltanto per la tua bella minciazza>> rispose Helena. << E menu male, menu mali ca si stutò. Pirchì la minkia mia quasi quasi si consumò>>. << Veramente lu kunnu mio è sempre addumatu. E da tia, dalla tua minkia, vulissi siri sempre stutatu Pirchì lu pakkiu miu a siri la casa di la to minkia. Infatti io vorrei gridarti assai assaissimo “Ricomincia”. Mettere il kazzo nel tumulo, questo è il significato della parola “kazzicatummula”, bel cicio mio amato>>. << Ma ca purtroppo semu na lu to kazzu di palazzu. E se ci vidi Mynkyalao, lu granni curnutazzu?>>. << Mi ni frego e mi ni futtu di chiddu curnutu ranni. E la to minkia bedda ca vuoiu, e la vuoiu a tutti banni. Io ti amo assai assaissimo, e pure la tua ciolla amo. Pertanto che posso dirti, se non, kazzicatummuliamo. Fiat mentula, fiat lux. Illumina l‟antro. Fikka beddu. Io aspetto. Dura lex, sed lex. Trasi pertanto lu to aceddu >>. << Ave kunnus, morituri te salutant. Ma muoio assai contento. Muoio felice perché per amore ho la minkia in esaurimento>>. Ricominciarono sotto il tetto coniugale. E andò tutto bene. Compresa la partecipazione del Sosia. E l‟azione di tanta ma proprio tanta minkiajuana. Oltre a una stizza di Unguento. Ma proprio na stizza. Fu un kazzicatummulio divino, fu un kazzicatummulio degno dei Campi Elisi, fu un kazzicatummulio degno dell‟Olympazzo. --Il famoso filosofo della minkia Sokratynos da Munypuzos si chiese: << La vita è una, come la minkia, e se non è un piacere vivere e avere una minkia e scrivere sui fatti della minkia, a che minkia serve avere una minkia filosofika e non poter filosofikamente fikkare, senza dare niente cambio, codesta minkia a...>>. E lasciò così. Omise ancora un nome. Il solito nome. E taliò il “cata – cata – nonno”. Lo scimpanzè ci sorrise. La sua risata comprendeva tutta la filosofia di chistu minkia di munnu, come a dire “Ma chi minkia di dumanni della minkia ti fai? Tanto lu munnu va a minkia pirchì a cumannari quasi sempri ci sta genti ca cumanna a minkia. E cu cumanna a minkia, caro il mio filosofo della minkia, poli cumminari sulu minkiati”. Ma il filosofo si chiese anche: << Perché ai tre intellettuali della minkia sì, e senza pre e dopo, e a mia che sono il filosofo della minkia, chiese il prima e soprattutto il...?>>. E lasciò così. Per consolarsi si fece nu minkiuni di minkiajuana, ma lui la chiamava “erba dei filosofi.” La desi pure al “cata - cata – nonno”. E all‟uno e all‟altro ci attisò la ciolla. Perchè anche al “cata - cata- nonno” ci attisava la ciolla. E l‟uno e l‟altro presero a minarsela. Perchè anche il “cata- cata- nonno” sapeva minarsela. Prima se la minarono personalmente e poi reciprocamente. Perchè anche il “cata –cata - nonno” sapeva menarsela e menarla. Ma a Sokratynos ci pruriu lu kulu. Al “cata- cata- nonno” forse anche. E il filosofo si chiese: << La vita è una, come il buco del kulo, e se non è un piacere vivere e avere un buco del kulo, a che minkia serve avere un buco del kulo se poi non puoi farti imminkiare dalla minkia del “cata - cata- nonno”?>>. Ma si chiese anche: << La vita è una, come il buco del kulo, e se non è un piacere vivere e avere un buco del kulo, come minkia devo fare per farmi imminkiare dalla minkia del “cata- cata- nonno”?>>. Ma andò oltre con le domande: << La vita è una, come il buco del kulo, e se non è un piacere vivere e avere un buco del kulo, forse, per farmi imminkiare dalla minkia del “cata- cata- nonno”, potrei prima io imminkiarmi io il “cata - cata- nonno”?>>, Non si diede una risposta a parola, non lo sapeva fare, ma si diede una risposta coi fatti. E il “cata - cata - nonno” capì. E ricambiò il favore. Così si dice, ma nessuno sa la verità. Se fu o se non fu. Sokratynos comunque restò vita natural durante contento assai di quel “dopo” con Helena. Quel “dopo” gli aveva aperto nuove frontiere, quel “dopo” gli aveva fatto superare certe barriere.. quel “dopo” prometteva piaceri futuri inimmaginabili da aggiungere ai piaceri passati. Quel “dopo” gli faceva capire che essere uomo non voleva solo dire “dare” ma anche “ricevere”. --Ad incrementare il pettegolezzo ci pensarono tre scritti anonimi che tutti attribuirono ai tre intellettuali della ciolla. Il Poema Interscambio kultural-phallico tra Sokratynos e il cata- cata- nonno. Il Carmen Interscambio kultural-mentulico tra Sokratynos e il cata-cata-nonno. Il romanzo Cent‟anni di interscambio kultural-mincico tra Sokratynos e il cata-cata-nonno. --Pryapo restò solo soletto. Si fici una discussione cu Eolo ca era già volato alle Eolie. << Ciau, minkia ciusciante>>. Poi n‟autra cu Efesto ca stava già dintra l‟Etna. << Ciau, minkia caura>>. Iddu mannava signali con la minkia. Eolo ci arrispunnia cu lu vento. Ed Efesto cu lu fumu ca scia dal vulcano. Fu na bella discussione. Chiara, limpida ed esaustiva. Per loro almeno. Ma tutto questo non l‟acquietò. Scinniu e curriu al primo lupanare. Si fici tutte le lavoratici ancora disponibili. Poi cantò felice, facendosi e strafacendosi di quella che lui chiamava minkiapriapriana: << Le stikkiose...Che son famose... In la, mi, re... Son tutte state sotto di me.. Il kazzo eterno le ha fulminate .. Trillate, scopate... Arcifottute.. Tutto avete potuto da me imparar... E quelle ancora che già san l‟arte... Ad ogni chiavata inver mi chiamano... La loro parte io devo infilzar..>>. A sentire quella voce, Zeus, ancora impegnato a fottere cu Leda, si sminkiò in un amen. Per consolarsi si fece e strafece di minkiajuana. << Pryapo, se ti vedo, ti fulmino. E che kazzo>>. --Il famoso filosofo della minkia Sokratynos da Munypuzos si chiese: << La vita è una, come la minkia, e se non è un piacere vivere e avere una minkia per fikkare, a che minkia serve vivere senza fikkare se Helena nel suo tur della ciolla nun passa a farsi somministrare anche la tua minkia senza chiedere niente in cambio?>>. Si chiese anche. << Pirchì la buttana a mia chiese quello che chiese, ovvero un prima a base di minkia vera in portaminkia finto, un secondo a base di minkia vera in portaminkia vero e un terzo a base di minkia finta in...?>>. Ma si fermò . Doveva scrivere solo e soltanto “ in kulo vero” ma non lo scrisse. Si fece però tanta ma proprio tanta “erba dei filosofi”. Poi si addumannò: << La vita è una, come il buco del kulo, e se non è un piacere vivere e avere un buco del kulo, a che minkia serve avere un buco del kulo?>>. --- Andava avanti, e praticamente volgeva al termine, la notte del matrimonio. Quella notte comunque fu seminata Erminestrone, detta semplicemente Ermione, la figlia di Helena e non si sa di chi. Ufficialmente fu attribuita al legittimo marito, ma Paryde ne rivendicò la paternità. E, cosa assurda, pure quel minkione di Agamynkyone, che era stato rifiutato, ne rivendicò la paternità. Ma siccome la notte delle nozze Helena si era trummiata tanta gente, nel suo pakkio si era formato un minestrone. È pertanto difficile dire chi sia stato il padre biologico di Erminestrone. Anche se la cosa, per volontà del fato, era nota. Enea, cu la so minkia eroica, avia siminato lu “Kazzo” nella “Mona” di Helena per dar vita alla futura Monakazzo --E arrivò il giorno dopo. Dopo il matrimonio naturalmente. L‟indomani. Munypuzos era avvolta nella nebbia. Una nebbia artificiale. Si trattava del fumo prodotto nel corso della festa di nozze. Perché per dare più euforia alla cosa si erano consumate, in appositi bruciatori, quantità industriali di minkiajuana. Comunque tutta Munypuzos e dintorni sapevano già delle corna di Mynkyalao. Tutti, tranne il cornuto. Uno dei primi ad essere informato fu Agamynkyone. << Corna pi corna, ci li putia fari cu mia? Poteva farsi imminkiare la minkia reale dal sottoscritto. Almeno le corna restavano in famiglia, in fondo la mia minkia eccezionale è. Ma il fatto è che Helena buttanissima è. Sarebbe capace di dichiararsi insoddisfatta anche dopo essersi fatta tutte le minkie dell‟universo>> disse lu re Agamynkyone. Il re maggiore si ricordava quasi tutto della notte delle nozze. Si ricordava che non era riuscito a convincerla a concedersi. Che aveva tentato anche con la violenza. Ma non era riuscito a violentarla. Si ricordava solo che era finito per terra, sbattendo dolorosamente la minkia tisa, e che lei, avvicinandosi per constatare i danni, l‟avia presa con due dita, come si fa con una minkia appestata, e ci la stava taliannu da vicinu quannu iddu , eccitatissimo come un mandrillo, ci avia sburratu na la facci. Anzi, forse ci l‟avia trasuta un po‟ in bocca. E anche lì aveva seminato. Comunque quella buttana avia assaggiato la sua reale semenza. Poi ci avia ditto cu era l‟amante di suo fratello. Ma iddu era svenuto. Non aveva sentito il fatal nome. << A mia chi mi ni futti di chidda minkia di mio fratello? Di unni minkia iddu scarica il suo reale uccello? Chi minkia m‟interessa da chi iddu si la fa sukari? A chi na lu kulu iddu la minkia ci la va a sunari? Mica iddu ci la fikka alla mia signora regina? E magari ca iddu la minkia ci la fikkassi a idda, chi minkia mi ni futti di idda e di iddu e di la so cicidda? Mica alle mie figlie iddu ci la fikka a minkia cina? E se fosse, chi minkia m‟interessa? Chi posso diri? Sunu ranni, e prima o poi na minkia l‟ana aviri. O forse a Mynkyoreste iddu ci la sbatte in kulo? Ma tra mascoli, a quell‟età, è nu iocu di sicuro. Mio fratello, cicia amante, mio figlio, kulo amato? È il solito vecchio gioco dall‟uomo inventato. Di mio fratello mi ni futti meno di un pirito fitenti. A mia in fondo solo il potere m‟interessa veramenti. È solo come segno del mio potente potere eccezionale che volevo Helena assisa sulla mia minkia reale. Solo per quello, solo per pubblica dimostrazione, volevo la fika di Helena sua mia ciolla in eruzione. Perché la miglior donna del mondo è il potere assoluto. Con quello, tutto e il contrario di tutto può esser fottuto. E solo e soltanto per questo, anche se la storia è antica, solo per questo scatenerò una “grande guerra” per una “grande fika”. L‟avrò. Con le buone o con le cattive, chidda fika spilata sarà mia. Così si volle cola dà dove si puote. Ovvero, nella mia testa. E così sia>>. Concluse iddu che non ci importava un kazzo dell‟amante di Mynkyalao. Che gliene importava un kazzo e mezzo della moglie. Che gliene importava un kazzo e tre quarti del figlio. Che gliene importava appena mezzo kazzo delle figlie. Ma in pubblico ci tinia alla sanità di pakkio delle figlie. Come alla sanità di kulo del figlio. Come all‟onestà della moglie. << Chi ci sfunna il portone senza autorizzazione è un uomo già senza minkia e senza koglioni>> concluse il re maggiore. << Me soru è buttana di matri natura e ci piaci troppo assai assaissimo la minkia, chiù assai assaissimo di mia. Me soru tanto per dire. Io sono figlia di mio padre, della minkia di mio padre. Lei è figlia di Zeus, di quella minkia buttana del buttaniere capo. Buttanieri lu patri, buttana la figlia. Anzi, assai assaissimo buttanissima Helena è>> disse Fikennestra. Mynkyoreste, che era innamorato della zia, disse: << Mi la poteva dari a mia. Alla mia minkia novella. Che sono ancora vergine, per quanto riguarda il kunno. Aviri na zia buttana pi tutti, ma non per il nipote, cosa brutta è. La mia minkia la poteva benissimo ingignari lei, ma idda purtroppo troppo assai buttanissima è>>. Non si era reso conto che la zia se l‟era fatto intanto che lui dormiva. Ma d‟altra parte, chi dorme non capisce quel ciolla che fa. << Chissà chi kazzu di minkia pritenni sta buttana ranni ca misi li corna a lu ziu beddu. Magari lu putissimu aviri n‟autri lu so aceddu. Helena buttanissima è>> dissero le tre figlie di Agamynkyone. Che erano tutte e tre innamorate dello zio. Ma Ifikanya sorrideva col kunno. Sorrideva col cervello e col cuore. E sorrideva anche con la bocca. Ma a bocca chiusa. Lei lo zio se lo faceva davvero. Se lo faceva in esclusiva. O quasi. Prima veniva lei, poi la moglie. --Tanti altri pinsanu ca Helena era na buttana ranni. Anzi, na buttanissima. Praticamente la protobuttana di Munypuzos. O anche la veterobuttana, sempre di Munypuzos. << Cu tanti kazzi nostrani ci stava il bisogno di darla a uno di fuori, almeno le corna restavano in paese. Minkia pi minkia, a Munypuzos ci ni sunu di minki di qualità. Accussì la buttana sbriogna li maskuli di Munypuzos, sbriogna le loro minkie. Lo stikkio più bello del paese ca si innamora di uno di fora? E chi, non ci ni stavano qua aceddi a misura del suo bellissimo pakkio infuocato? Purtroppo Helena è buttanissima assai assaissimo, buttanissima e basta. Rifiuta le minkie autoctone per quelle alloctone, accussì fa parlare male di Munypuzos. Quasi quasi facciano un esposto al tribunale pirchì idda fa parlare male di lu paisi. Sbriogna le minkie autoctone in favore di quelle alloctone.>> commentarono al Plutocircolo. Dyceomynkyopoly, giusto di testa e di minkia, propose: << Per giusta democrazia, la notte delle nozze, Helena doveva darla a tutte le ciolle di Monakazzo. Se tur della minkia doveva essere, completo doveva farlo. Casa per casa, mascolo per mascolo. A tutti i portatori di minkia in grado di attisare la minkia lei doveva far imminkiare la minkia. Tutto questo doveva fare Helena prima di approdare all‟amata ciolla di Paryde. Quasi quasi penso che idda ragiona come il teorico del Pattuallopolys. Chiddu ha pagato i frusteri per far fare bella figura alla nostra terra. Idda ci l‟avi dato a li minki frusteri per far fare bella figura ai nostri stikki>>. I plutocircolini si dichiarano d‟accordo. << Io voglio andare a letto. Il membro ce l‟ho eretto. Vorrei andare a letto con Helena. Helena è in debito con me di una fikkata, ma per stavolta mi accontenterò di un pakkio spilato a pagamento>> concluse Dyceomynkyopoly. << Anche noi, anche noi l‟abbiamo tiso, anche noi vorremmo imminkiare Helena. Ma per stavolta ci accontenteremo di un pakkio spilato a pagamento>> risposero i plutocircolini. Ci fu un tizio, originario del Pattuallopolys, e che di mestiere faceva il kakastrunzate, che disse:<< Helena ha scelto una minkia alloctona per far fare bella figura ai pakki di Munypuzos. Il valore del suo pakkio varia tra quattro milioni e otto milioni di pakki normali. E la cosa era anche documentata. Solo che i documenti si persero>>. --La notte successiva a quella delle nozze i due amanti scapparono. Fecero la classica fuitina. Direzione Purceddopolys. Ma non subito. Prima ienu a casa d‟amici in un'altra polys della zona. E se Paryde si purtau a Helena Helena si purtau parte del tesoro. Solo allora Mynkyalao capì che sua moglie ci preferiva ufficialmente un altro marrugghiu. E si chiese perché? << Sono bello, lo tengo duro permanentemente, lo tengo lungo abbastanza e più di tanti, lo tengo grosso e più di tanti, lo tengo capace di fare il bis e il tris e il quadris, e di bissare il bis e il tris e il quadris, e se necessario di triplicare e quadruplicare il bis e il tris e il quadris. E allora pirchì mi fici cornuto, quella grandissima buttana del kazzo?>>. Poi si desi la risposa: << Il bis e il tris e il quadris solo con Ifikanya. Bissare, triplicare e quadruplicare il bis e il tris e il quadris solo e sempre con Ifikanya. Con lei, con mia moglie, solo il minimo legale. Una e basta, tre volte al mese e non di più. Perchè io sono il mascolo, e pertanto comando io. Io stabilisco quando fikkare e quanto e come. L‟importante è non scendere sotto il minimo legale. “Una ogni dieci giorni” dice la lex. La colpa non è mia pertanto, ma sua che buttanissima è>>. Fu allora che si mise davanti a un grande specchio di bronzo e si la minò in onore di sua moglie. Così lo trovò la nipote Ifikanya venuta a consolarlo. E lo seppe ben consolare. Ufficialmente, da quel momento in poi, la sua vita sessuale fu quella del “re minatore” in onore della moglie fedifraga. Ufficialmente però. Questa la storiella assemblata per le masse popolari in quell‟era di buttanesimo trionfante. Questo il resoconto scritto negli Annali di Munypuzos. La nipotina ingenua, la bella e dolce Ifikanya, era trasuta per caso nella camera dello zio, perchè spaventata dai lamenti dello stesso. “E chi sta male lo zietto mio bello?” s‟era addomandata la ragazza. Ed era trasuta preoccupatissima, scordandosi di addomandare “è permesso, zio caro”. E una volta dentro aveva trovato lo zio nudo, davanti allo specchio, che giocava con la sua ciolla, come si fa con il burattini. “ Zio caro, ti scappa per caso la pipì”. E innocentemente gli aveva dato una mano. Con somma innocenza. E lo zio aveva fatto la pipì, una pipì strana, direttamente contro lo specchio. E non nel “vaso pisciatore”. Poi la carusa era uscita come se niente fosse. Non aveva capito una ciolla sull‟uso della ciolla che lo zio faceva, era convinta di averle solo dato una mano per pisciare. Tanto ma proprio tanto era innocente la bella e casta Ifikanya. Questa la versione ufficiale. La realtà era altra. E quasi tutti la conoscevano. Forse tutti. Non la conosceva però Agamynkyone. << Mynkyalao vive di “minkialismo”>> dicevano tutti. Minkialismo: la nuova parola fu coniata da Homeryno e sta ad indicare uno che si la minava e versava il suo sacro seme pi terra. Anche se in seguito la parola della concorrenza, “Onanismo”, avrà più successo, questa nasciu prima. E per Mynkyalao addivintò una vera abitudine ufficiale. Si chiudeva in casa per praticare ufficialmente il “minkialismo”. In realtà fikkava con Ifikanya. Una la mattina, dopo colazione; una a mezzogiorno, dopo pranzo; una la sera, dopo la cena; e infine l‟ultima prima di addormentarsi. E se una non bastava, si facia la seconda e se necessario la terza. Continuava così fino a quando il sonno lo vinceva e lo faceva crollava nelle braccia di Morfeo. O meglio, di Ifikanya. Stanco di corpo ed esaurito d‟aceddu. Il bis e il tris e il quadris erano la norma. Le pluriminate erano in realtà una plurifikkata. Ma quello che contava era la verità ufficiale. E ufficialmente lui soffriva per la moglie. Si la minava per la moglie. E siccome era stato disonorato doveva vendicare l‟onore offeso e lavarlo con tanto sangue. Con un mare di sangue. Perché lui era il re. Uno dei due re. Il re minore. In ogni caso le sue corna non erano solo sue. Erano corna anche di Agamynkyone e dell‟intera Munypuzos. E non solo, erano corna anche di tutte le polys alleate con Munypuzos. <<Mynkyalao rende omaggio manualmente al simulacro della moglie>> diceva la gente taliannu le finestre illuminate della sua stanza a palazzo. In realtà stava solo fottendo e controfottendo con Ifikanya. Rendeva gioioso omaggio al pakkio della nipote, la vergine Ifikanya. Vergine ufficialmente. --- Homeryno Homokulum, grecista del fallo, decise di scrivere il Poema Helena, una fika cha va da un phallo all‟altro fino ad approdare al phallo di Paryde. Mhaxymylyanum Mhaxymylyanorum, poeta della mentula, scrisse il Carmen Helena, un kunnus che va da una mentula all‟altra fino ad acchiappare la mentula di Paryde. Lo scrittore Paulorum Santhokrysos, scrittore della minkia, da parte sua pinsò di scrivere subito il romanzo Cent‟anni di promessa di sposalizio ma poi appena i promessi sposi si maritanu subito si strarrianu pirchì lu stikkiu di Helena si addumava sulu pi la minkia di Paryde. Pinsau anche di scrivere una commedia, Mynkyalao, cent‟anni di phallus ingloriosus. E anche una tragedia: Helena, cent‟anni di kunnus antropomentulaphagos. Il famoso filosofo della minkia Sokratynos da Munypuzos si chiese: << La vita è una, come la minkia, e se non è un piacere vivere e avere una minkia e scrivere sui fatti della minkia, a che minkia serve avere una minkia se poi questa minkia la devi imminkiare nello stesso portaminkia dove n‟autra minkia imminkia così come la minkia tua, e magari il portaminkia fa la differenza tra minkie autoctone e minkie alloctone? >>. Ma si chiese anche: << La vita è una, come il buco del kulo, e se non è un piacere vivere e avere un buco del kulo, a che minkia serve il buco del kulo se il buco del kulo non è in grado di distinguere tra minkie autoctone e minkie alloctone ?>>. --Pryapo a vedere tutto quel casino rise. Rise come un ossesso. Dal suo Kolosso Minkiaurea s‟era taliato la fuitina. Non era Paryde che tirava Helena pi la manina, era Helena che trascinava Paryde tirannulu pi l‟aceddu. Helena era caura di puntiddu come suo padre Zeus e come Aphrodyte. Solo lui forse, ci l‟avrebbe potuta sfamare la fame di minkia che quella possedeva. Forse. Ma sarebbe stato un lavoro lungo. << Per un pakkio che va, ci ni stanu cento a disposizione. E pi nu marrugghiu persu, di minkie è cinu l‟universu>>. Poi aggiunse. << Ma lu distinu è lu distinu. E manco gli dei ci ponu cu lu distinu. È scritto ca pi la fika di Helena, e così sarà, sarà granni lu casinu>>. E ancora: << Fimmini esperte nell‟arte di kazzicatummuliari. Na lu munnu ci ni sunu a tonnellate e no a chilati. Ma di fimmini ca st‟arte bella ci l‟hanno nel kunno. Ci ne picca, forse na decina in tutto na lu munnu. Ma che dannu all‟aceddu il massimo della gioia. Ci sunu sulu iddi: Aphrodyte ed Helena la Troia. Una, la divina divinità kallipigia, mi veni mamma. E l‟incestu cu idda non è stato per niente un dramma. Helena mi veni parenti assai, ma è difficile da spiegare. Ma la sua fika è la più vorace ch‟io abbia fikkato mai. E scusate se mi intrometto in questa kazzo di storia. Ma son troppe e tropp‟assai le minkie ite in gloria. Io sono Pryapo il Minkiatanta, ma non ho sfamato. L‟elenino pakkio di minkie e minkie affamato. Auguro a tutti una fimmina bell‟assai e bona. Ca alla vostra minkia faccia fare lampi e trona. Non vi auguro né Aphrodyte né Helena la buttana. Una è dia, e idda non è roba pi la minkia umana. Ma pi giustissima e correttissima democrazia. Vi auguro a tutti na fikkata cu Helena e così sia. C‟è chi ce la farà, altri no, c‟è chi perderà la ragione. M‟interessa niente della vostra cicia e del vostro esser koglione. Io son la minkia per eccellenza, e per questo lottai, lotterò e lotto. Paryde m‟offese, e pi minnitta gli ruppi il kulo di botto. Son Pryapo, per tanti son dio, per qualcuno un pupazzo. Oggi ci sono, ma un giorno io non sarò più un kazzo>>. Poi rise. Rise alla sanfasò. E poi si fici nu tanticchia di sveltine cu la bedda pakkiaredda che s‟era portato per compagnia. Si trattava di Pandora, la prima femmina creata da Zeus. Impastata col fango da Efesto, fatta bedda assai da Aphrodyte mentre Atena con un soffiu ci desi la vita e la vistiu a suo modo: con una armatura di ferro per nascondere tutte quelle bellezze. Ma Ermete la fici furba e ci insegnau l‟arte dell‟inganno. Ovvero “Come usari lu kunnu pi siri padrona di lu munnu”. Pi fatti e accordi vari fu fatta maritari a Epimeteo, fratello di Prometeo. Lu babbu non la sapia accontentare e idda si promise di cornifikarlo. E lo cornifikava alla grande. In occasione del matrimonio di Helena e Mynkyalao canusciu a Pryapo e ci s‟amicò. Quella sera il potente dio l‟aveva convinta a salire sul faro per farle taliare un altro faro. Gli amplessi furono accussì furiosi ca Pryapo, sciennu l‟aceddu da lu purtusu di davanti pi mittillu na chiddu di darreri, diede involontariamente una botta di minkia alla quattara che la femmina portava sempre con sé. La quattara di Pandora. Il vaso di Pandora purtroppo abbulò. E si ruppe cadendo sul tetto di un lupanare. Accussì li mali scienu e si diffusero pi lu munnu. Tanto che un giorno un poeta scriverà. << Erano animaletti nichi nichi ca traseunu da li biddichi. Poi scuprenu autri vie d‟ingressu pi futtiri l‟omminu, la fimmina e lu sessu. Lu primu ca sciu da lu vasu si chiamava spirocheta palliduzza.. E lu curnutazzu na la minkia e na lu pakkiu attruvau casuzza. D‟altra parte fu na minkia appitittata di pakkiu ca ruppi la quattara. E proprio li minki funu li primi a paiari sta minkia di novità amara>>. Ma allora Pryapo non ci fece quasi caso. Disse solo: << Mi ni futtu, meglio continuare a futtiri. Tantu li malanni sono per gli uomini e non per gli dei. Gli uomini si la sukunu, punto e basta>>. Pandora ci pinsò un attimo: <<Lassari futtiri st‟aceddu ca mi voli futtiri per cercare di rimettere in un vaso li malanni o futtiriminni?>>. Decise di futtirisinni. << Mi dispiace per l‟umanità, ma adesso ho di meglio da fare. Dopotutto su kazzi di la genti e a mia nun mi ni futti nenti. Ho a disposizione la minkia più minkia ca nell‟universo ci sta. E chi sugnu cretina ca mi lassu scappare sta minkia di occasione qua >>. Per una fikkata l‟umanità si attruvò fottuta e alla grande. Se prima aveva vissuto nu tanticchia ammalamenti adesso si prospettavano kazzi niuri a non finire. Il futuro era niuru già sulla carta. “Guerra e guerra e guerra” era il progetto degli uomini a minkia del momento chiù assai di quelli del passato ma meno di quelli del futuro. A parte questo, adesso ci sarebbero state chiù malattie, chiù terremoti, chiù alluvioni, chiù disgrazie, chiù teste di kazzu documentate. Insomma, ci sarebbero stati chiù kazzi niuri pi tutti. << Ma n‟autri dei siamo immortali e dei mortali ce ne fottiamo, anche se prima o poi loro se ne fotteranno di noi>> pinsò Pryapo intanto che scopava. Pandora invece pinsò solo a godere. Alla faccia del mondo intero. Pryapo , finiti i lavori di minkia, cantò placido, sukannisi nu beddu minkiuni: << Zeffiretti lusinghieri. Deh! volate al mio tesoro. E ditegli ch‟io l‟adoro. Che mi si serbi ogni kunno fedel. Omuncoletti per niente veri. Avete perso ogni vostro tesoro. Adesso son kazzi amari e non d‟oro. Il vaso si ruppe e n‟usci il fiel>>. Sukò, e non solo minkiuna, anche la bedda Pandora. --Quella notte, vedendo il casino che può succedere per un pakkio, ad un certo punto Zeus si la minò con pititto grande e gioia infinita. Disse solo: << Cu la minata nun succeri nessuna minkia di dannu. Cu la minata godo comu e quannu minkia vuoiu tuttu l‟annu. Cu la minata non litigo na minkia con la proprietaria di lu stikkiazzu. Cu la minata non mi ritrovo cu na minkia di figghiu ca mi rumpi lu kazzu. Cu la minata non corro na minkia appresso a nessun essere vivente. Cu la minata, pi gudiri a tutta minkia, abbasto io e idda solamente. Cu la minata non serve na minkia darsi un appuntamento. Cu la minata basta na minkia di manu p‟acchiappare lo strumento. Cu la minata fazzu comu minkia e straminkia mi pari a mia. Cu la minata della minkia che imminkia faccio l‟apologia. Cu la minata della minkia faccio il panegirico e l‟apoteosi. Cu la minata cu la minkia faccio, senza chiedere, tanti cosi. Cu la minata ho il massimo di autonomia per la minkia mia. Cu la minata non cerco na minkia di pakkio per fikkare. Cu la minata non cerco na minkia di kulo per inkulare. Cu la minata non cerco na minkia di ucca disposta a sukari. Cu la minata non cerco na minkia di collaborazione alcuna. Cu la minata chidda minkia di la me manu è ogni cosa e nessuna. Cu la minata godo a tutta minkia assai assai e.. e così sia>>. A cosi finuti pinsò a Pryapo: << Menu mali ca Minkiaranni nun s‟è fattu né vedere né sentire. Perché porta sfiga alla ciolla in modo che non riesco a capire. Perché un fatto al cento per cento è veramente sicuro. Se vinia iddu pure la mia bedda minata ia a fari in kulo>> disse calmo e tranquillo sukandosi nu minkiuni enorme di minkiajuana. Solo allora sentì Pryapo cantare. Ma ci ni futtia una ciolla cina d‟aria. Oramai aveva goduto. Ma pinsò alla minata femminile. << Lu itu sarà nicuzzu ma certe voti è megghiu di nu veru kazzu ca nun sapi capiri. Lu itu teni l‟osso, eni a portata di manu, e porta sempre con gioia a lu piaciri. Ma se lu itu non basta ci sta la minkia finta ca eni sempre disponibile a fare. Nunn‟arrimodda, non si lamenta e si lascia sempre e soltanto comandare>>. --Homeryno Homokulum mise in cantiere il Poema Corna sostegno del mondo. Un omaggio alla liberta sessuale. Mhaxymylyanum Mhaxymylyanorum il Carmen Corona cornu felix. Anche questo un omaggio alla libertà sessuale. Lo scrittore Paulorum Santhokrysos portò avanti la stesura di Cent‟anni da Priapazzu. Un omaggio all‟unico dio che parla chiaru e tunnu. Anzi, non parla, si esibisce. Al vero e unico dio ca avissa siri il capo di li dia e degli uomini, perchè dotato del vero scettro del comando: la minkia. Lo scrisse di corsa e lu mannau al Pattuallopolys . Era un supremo omaggio alla libertà in tutti i sensi. Libertà e basta. Il famoso filosofo della minkia Sokratynos da Munypuzos si chiese: << La vita è una, come la minkia, e se non è un piacere vivere e avere una minkia per minarisilla, a che minkia serve vivere senza minarisilla e avere una minkia solo da somministrare agli altri per poi magari litigarci per fatti di minkia e non solo di minkia?>> . Ma si chiese anche: << La vita è una, come il buco del kulo, e se non è un piacere vivere e avere un buco del kulo, in mancanza di una cosa vera o finta da mettere nel kulo come minkia si fa a minarisilla di kulo? >>. --- Per il popolo fu dato lo spettacolo gli Acarnesi. Un successo di pubblico, a parte i soliti koglioni che si scantano anche a vedere una minkia di legno. Anzi, a volte certuni si scantano solo a nominarla. Quelli che dicono : << Minkia, na minkia visti>>. Oppure: << Minkia, cu minkia rissi minkia>>. Eppure la processione fallica in segno di pace tra i popoli di Munypuzos e di Purceddopolys era stato un bel gesto. Anche il ricordo dello scempio del corpo di Dyonyso era stato un fatto positivo. Salvare il fallo come simbolo di vita era un gesto gioioso di felicità. Un gesto beneaugurante. Ma gli acarnesi, nella commedia, non comprendevano il gesto. E bruciavano il fallo. Ma Dyceomynkyopoly, cittadino giusto, ne salvava un pezzo. E da quel pezzo il fallo rinasceva più grande e potente di prima. Rinasceva e si moltiplicava ad un ritmo pazzesco. Alla fine tutto la scena si riempiva di falli. E gli acarnesi alla fine si convincevano a deporre le armi e le loro stolte idee. A rinunciare alla guerra con le armi che danno la morte per guerreggiare con le armi dell‟amore. Il fallo in primis. Il fallo che può essere, oltre che oggetto di piacere, anche fonte di zoè. Di vita. Il momento centrale dello spettacolo fu quello in cui Dyceomynkyopoly cantava gioioso: <<Fallo, di Bacco amico, di notturni trastulli compagno e d'orge, vago di spose e di fanciulli, dopo sei anni, oh giubilo!, t'ho alfin nelle mie terre, sto in pace, e mando al diavolo Lamachi, affari e guerre. Fallo, Fallo, quant'è meglio ristoro trovare una vezzosa boscaiola, serva di Strimodoro, che in una balza aride legna invola, prenderla a mezzo il seno, sul terreno gittarla, e far con lei giocondo ballo! O Fallo, Fallo, bevi con noi, ché del notturno vino ebbro ancor, sul mattino di pace gusterai colmo un catino, e penderà lo scudo sul camino>>. Ma i moralisti uscivano all‟improvviso gridando: <<Proprio lui, proprio lui, guarda! Scaglia, scaglia, scaglia! Lapidiam quella canaglia! Che si tarda, che si tarda? >>. Seguiva il falò. Con segmento salvato e il resto. La miracolosa rinascita o ricrescita. Un caso di rigenerazione, come quello della coda della lucertola dal corpo della stessa, solo che questa volta è dalla coda del maskulo, dalla sua minkia praticamente, che si autogenerò il corpo sano sano. In fondo la minkia è l‟organo della riproduzione, niente di strano pertanto. Si partiu dal punto giusto, dalla cosa giusta, per ottenere il resto. Per questo Dyonyso veniva anche detto “Nato due volte”. Nato una volta in modo tradizionale, nato una seconda volta partendo da un segmento corporeo. --- Il vero Dyceomynkyopoly si chiese: << Ma pirchì il Dyceomynkyopoly finto di quel kulorotto di Aristofane assomiglia al Dyceomynkyopoly vero che poi sarei io, minkia e testa compresa? Per caso Aristofane mi vuole pigliare per il kulo? Per caso Aristofane mi la vuole mettere in kulo? Per caso Aristofane vuole in kulo la mia minkia? >>. --Poco tempo dopo lo scrittore piluso Paulorum Santhokrysos, adepto prima dello Zeussismo e poi del Priaprismo Trinitario, vinciu il primo premio al Pattuallopolys di Karleonthynoy con Leonthynoy polys referente. Ci desinu na targa, una sera prossima al solstizio d‟estate, ma si scurdanu lu premiu in piccioli. Iddu, passato nu tanticchia di tempo, ci lu chiese. Ma chiddi ci dissero solo parole a kazzo di cane. <<Quattro.. otto.. mi ni frego.. me ne fotto... Li papiri unni minkia su? Chi kazzu ni sacciu iu >>. Il principe di Karleonthynoy, Aristogitone, e l‟organizzatore, Armodio, litigarono. La scrittore incominciò a perdere la fiducia nelle istituzioni e negli dei. <<Questi signori hanno prostituito le istituzioni, le hanno trasformate in proistituzioni. E gli dei del kazzo che non hanno impedito il fattaccio son solo koglioni inesistenti e basta.. pupazzi e basta>>: << Minkia chi premio di minkia. E chi figura di minkia per certa gente. Minkia chi kazzu di sicilia a minkia sta minkia di sicilia della minkia>> dicia la gente. E iddu invocava la minnitta divina. S‟avia imparato una nuova litania:<< Zeus, lancia fulmini a minkia cina. Ares, scatena na minkia di guerra. Efesto, metti in moto sa minkia di Etna. Polifemo, tira petri alla sanfasò. Eolo, scatena venti assai potenti. Ade, fai abballare sta minkia di terra ca forsi nesciunu li documenti. Dei, fate qualche minkiata. Altrimenti mi faccio ateo. E la iti tutti a pigliare nel kulo, cari dei. Che io, a dire il vero, credo nell‟atomos. E anche voi, se veramente ci foste, sareste solo una massa di atomos. Ma io, a dire il vero, simbolicamente, vi rispetto, ma se voi non fate il vostro dovere, io dichiaro ufficialmente e pubblicamente il mio ateismo scientifico. Anziché farne solo una cosa privata. Capito, Zeus sparaminkiate e Pryapo skoppolaminkia. E naturalmente il discorso vale anche per tutti l‟autri sparabaddi dell‟Olympazzo del kazzo>>. --- Il famoso filosofo della minkia Sokratynos da Munypuzos si chiese: << La vita è una, come la minkia, e se non è un piacere vivere e avere una minkia e scrivere sui fatti della minkia, a che minkia serve vincere un premio della minkia con un libro che parla di minkia? Non era meglio scrivere un libro che parlava di minkiate, visto che questo premio alla fine si è dimostrato una grande minkiata che faceva cagare pure gli stitici a forza di ridere di certe minkiate del Pattuallopolys perché un premio più a minkia non si poteva proprio organizzarlo?>>. --Lu munnu è cinu di minkiati, la trinacria di più. È il Pattuallopolys è il non plus ultra delle minkiate. Solo un secondo Pattuallopolys può fare meglio del primo. Anonimo. --Se volete imparare come si organizzano le minkiate, studiate il Pattuallopolys di Karleonthynoy e Leonthynoy. Ovvero il prototipo delle minkiate dell‟universo. Attribuita a Zeus --Le minkiate della mia minkia sunu ranni ma commensurabili, le minkiate del Pattuallopolys sunu ranni ma incommensurabili. Attribuita a Pryapo --Le minkie siciliane valgono meno delle minkie italiane. Le prime possono aspettare soddisfazione, le seconde devono essere subitissimamente soddisfatte. Per non far parlare male delle fike siciliane. Dalla “Prima lettera alle fike siciliane”. Lettera attribuita ad un noto ideologo della zona del Pattuallopolys --Munypuzos si chiese: << Il Pattuallopolys di Leonthynoy e Karleonthynoy è la storia di un premio a minkia?>>. << Sì, yes, oui, ja, da, da, da..>> fu la risposta plebiscitaria. E per festeggiare la minkiata doc tutti gli abitanti di Munypuzos si sukarono nu minkiuni doc di minkiajuana doc. La Trinacria si chiese: << Il Pattuallopolys di Leonthynoy e Karleonthynoy è la storia di un premio a minkia?>>. << Sì, yes, oui, ja, da, da, da..>> fu la risposta plebiscitaria. E per festeggiare la minkiata doc tutti gli abitanti della Trinacria si sukarono nu minkiuni doc di minkiajuana doc. La Grecia si chiese: << Il Pattuallopolys di Leonthynoy e Karleonthynoy è la storia di un premio a minkia?>>. << Sì, yes, oui, ja, da, da, da..>> fu la risposta plebiscitaria. E per festeggiare la minkiata doc tutti gli abitanti della Grecia si sukarono nu minkiuni doc di minkiajuana doc. Roma e il suo impero si chiesero: << Il Pattuallopolys di Leonthynoy e Karleonthynoy è la storia di un premio a minkia?>>. << Sì, yes, oui, ja, da, da, da..>> fu la risposta plebiscitaria. E per festeggiare la minkiata doc tutti gli abitanti di Roma e dell‟impero si sukarono nu minkiuni doc di minkiajuana doc. L‟orbe si chiese: << Il Pattuallopolys di Leonthynoy e Karleonthynoy è la storia di un premio a minkia?>>. << Sì, yes, oui, ja, da, da, da..>> fu la risposta plebiscitaria. E per festeggiare la minkiata doc tutti gli abitanti dell‟orbe si sukarono nu minkiuni doc di minkiajuana doc. Zeus e tutto l‟Olympazzo si chiesero: << Il Pattuallopolys di Leonthynoy e Karleonthynoy è la storia di un premio a minkia?>>. << Sì, yes, oui, ja, da, da, da..>> fu la risposta divina ma plebiscitaria. E per festeggiare la minkiata doc Zeus e tutto l‟Olympazzo si sukarono nu minkiuni doc di minkiajuana doc. Nell‟Ade, i felici e contenti morti, si chiesero, felici e contenti : << Il Pattuallopolys di Leonthynoy e Karleonthynoy è la storia di un premio a minkia?>>. << Sì, yes, oui, ja, da, da, da..>> fu la risposta necrofila e plebiscitaria. E per festeggiare la minkiata doc tutti gli abitanti dell‟Ade si sukarono nu minkiuni doc di minkiajuana doc. Pryapo, da solo e intanto che si la minava, si chiese: << Il Pattuallopolys di Leonthynoy e Karleonthynoy è la storia di un premio a minkia?>>. << Sì, yes, oui, ja, da, da, da..>> fu la risposta doppia. Nel senso che il cervello disse “Sì, yes, oui, ja, da, da, da..” col pensiero e la minkia fece lo stesso venendo. Un “Sì, yes, oui, ja, da, da, da..” doppio, chiaro e draconianamente tonitruante. Poi aggiunse : << Ma la minkia mia è più grande delle minkiate a minkia di quel minkia di premio della minkia del Pattuallopolys ? >>. Lasciò la risposta in sospeso. E per festeggiare la minkiata doc Pryapo si sukò nu minkiuni doc di minkiajuana doc grande quanto la sua minkia doc. Naturalmente lui la chiamava minkiapriapriana. --Due signori strani in tutto e per tutto cercarono di calcolare quanti minkiuna di minkiajuana erano stati consumati in quella notte di “nozze andate a male.” Uno sostenne categorico: <<Quattro milioni di minkiuna>>. L‟altro disse:<<Otto milioni di minkiuna>>. La documentazione, con relative motivazioni e calcoli, purtroppo s‟è persa dalle parti di Leonthynoy . Non si sa che ciolla di fine abbia fatto. Comunque pare che Palermorum, polys stramma pure idda, e stramma assai assaissimo assaissimamente, avesse deliberato un consumo massimo di quaranta milioni di minkiuna di minkiajuana. Pertanto, quattro o otto, il consumo rientrava nelle previsioni. Ma per consegnare il materiale Palermorum voleva le carte, i papiri. E i papiri furono, dopo molte insistenze, mandati. Ma erano papiretti inconcludenti e insufficienti, pertanto furono rimandati al mittente. Con l‟invito a mandare i papiri veri, i papiri che documentavano la faccenda. Ma nessuno mandò questi papiri. Forse non esistevano sti kazzo di papiri? E se non esistevano, che kazzo di minkia di ciolla di papiri del kazzo si dovevano mandare? Pertanto non si sapeva che kazzo di ciolla di minkia fare. L‟unica cosa certa comunque era la seguente: la verità, la giustizia e l‟onore l‟avevano presa letteralmente e realmente in kulo. Draconianamente in kulo. In kulo a iosa, alla sanfasò e a tinchitè. In kulo tout court e full time. In kulo in sekula sekulorummu. --E io dovrei cefalochinarmi e phallocalarmi davanti a simulacri di dei inutili e impotenti che permettono simili minkiate? Mai e poi mai e ancora mai maissimamente mai. Meglio ateo che “servo servorum dei”. Mai servo di dei inesistenti e impotenti che permettono minkiate tipo il Pattuallopolys di Leonthynoy e Karleonthynoy . E purtroppo non solo quello, visto che il mondo è un gran bordello. E non mi riferisco alle peripatetiche e ai loro clienti. Perché se il peripatetico ha a che fare con Aristotele, la peripatetica ha a che fare con la minkia di Aristotele, ma il “bordello” ha a che fare solo e soltanto con il premio Pattuallopolys di Leonthynoy e Karleonthynoy. È questo il bordello a cui mi riferisco. Bordello bordellamente bordellante di bordellismi ad libitum. Homeryno --E io dovrei genuflettermi e mentulachinarmi davanti a simulacri di dei impotenti e inutili che permettono simili minkiate? Mai e poi mai e ancora mai maissimo. Meglio ateo documentato che “servo servorum dei”. Mai e poi mai servo di dei inesistenti e impotenti che permettono minkiate tipo il Pattuallopolys di Leonthynoy e Karleonthynoy . E purtroppo non solo quello, visto che il mondo è un gran lupanare. E non mi riferisco alle lupe e ai loro clienti. È altro il lupanare a cui mi riferisco. E‟ il lupanare denominato premio Pattuallopolys di Leonthynoy e Karleonthynoy. Lupanare lupanarescamente lupanarante ad libitum. Mhaxymylyanum --E io dovrei calare le corna e la minkia davanti a simulacri di dei che permettono simili minkiate? Mai e poi mai e ancora mai maissimo maissimamente mai. Meglio ateo documentato e specializzato che “servo servorum dei”. Mai e poi mai maissimo servo di dei inesistenti e impotenti che permettono minkiate tipo il Pattuallopolys di Leonthynoy e Karleonthynoy . E purtroppo non solo quello, visto che il mondo è un gran postribolo. E non mi riferisco alle zoccole e ai loro clienti. È altro il postribolo a cui mi riferisco. E‟ il postribolo denominato premio Pattuallopolys di Leonthynoy e Karleonthynoy. Un postribolo postribolosissimamente postribolante di postribolismi postribolanti all‟infinito. Santhokrysos --E io dovrei orare di testa e di minkia davanti a simulacri di dei che permettono simili minkiate? Draconianamente mai e poi mai e ancora mai maissimo maissimamente mai. Meglio ateo documentato e scientifikamente specializzato che “servo servorum dei”. Mai e poi maissimamente mai maissimo servo di dei inesistenti e impotenti che permettono minkiate tipo il Pattuallopolys di Leonthynoy e Karleonthynoy . E purtroppo non solo quello, visto che il mondo è un gran casotto. E non mi riferisco alle prostitute e ai loro clienti. È altro il casotto a cui mi riferisco. E‟ il casotto denominato premio Pattuallopolys di Leonthynoy e Karleonthynoy. Un casotto casottante di casottamenti casottinanti in libertà. Sokratynos --E io dovrei forse credere e obbedire con la testa, col corpo e finanche con la minkia, a simulacri di dei che permettono simili minkiate? Mai e poi mai e ancora mai maissimo maissimamente mai. Meglio ateo documentato e specializzato e illuminato dalla ragione che “servo servorum dei”. Mai servo di dei inesistenti e impotenti che permettono le minkiate tipo il Pattuallopolys di Leonthynoy e Karleonthynoy. E purtroppo non solo quello, visto che il mondo è un grande troiaio a cielo aperto. E non mi riferisco a chi vende o compra sesso. È altro il troiaio a cielo aperto a cui mi riferisco. Si tratta del troiaio denominato premio Pattuallopolys di Leonthynoy e Karleonthynoy. Un troiaio troiaissimamente troiante di troismi troianti tout court e full time. Dyceomynkyopoly --Homeryno Homokulum, il massimo rappresentante della forma letteraria detta Poema, sukannu erba degli intellettuali alla sanfasò, e non solo quella, e per giunta in compagnia del suo “cata-cata-nonno”, commentò, in purissimo stile greco, la “Prima notte di nozze di Helena a Munypuzos” e il “Premio Pattuallopolys di Leonthynoy e Karleonthynoy ”, ovvero il “tur delle minkie“ e il “tur delle minkiate”. Commentò acidamente anche i membri dell‟Olympum, “le teste di minkia insistenti delle minkiate altrui”. E commentò anche tutto il resto, dall‟alfa all‟omega, con una sola, dottissima, civilissima, draconiana, incommensurabile e tonitruante parola: << AntheGamisU >>. Il “cata-cata-nonno” non aveva il dono della parola, ma la sua espressione facciale voleva dire soltanto”Anthegamisu”. Homeryno Homokulum salvò solo il suo fallo da quel generale “Anthegamisu”. Ma al suo fallo comunque augurò un felice ma diverso “Anthegamisu”. E non solo quello. Gli augurò anche di finire nello stoma e nel deuterostoma oltre che in mona. Ma si accorse che il “deuterostoma” coincideva con la bocca di dietro. Ma lasciò perdere, mettere due volte il phallo in quel sito poteva anche essere piacevole. --Anthegamisu a Helena e al suo “minkia tur” in cerca di na minkia pi lu so sticciu Mi ni futti un fallo se stu kazzu di munnu finirà in un gran mortal pasticciu. Anthegamisu al Pattuallopolys di Leonthynoy e Karleonthynoy ca la giustizia affisi, maliritti tutti e che un terremoto faccia piazza pulita, ca io mi ruppi li cabasisi. Anthegamisu puru a li dii ca stanu na l‟Olympazzu, pirchì iddi m‟hana ruttu lu kazzu. Anthegamisu a tuttu lu munnu ca sia piatto o sia tunnu. Homeryno Homokulum --- Mhaxymylyanum Mhaxymylyanorum, il massimo rappresentante della forma letteraria detta Carmen, sukannu erba degli intellettuali alla sanfasò, e non solo quella, e per giunta in compagnia del suo “cata-cata-nonno”, commentò in puro, puro per modo di dire, stile latino, la “Prima notte di nozze di Helena” e il “Premio Pattuallopolys di Leonthynoy Karleonthynoy”, ovvero, il “tur dei kazzi” e il “tur delle kazzate”. Commentò anche i membri dell‟Olympum, “le teste di kazzo simboliche delle reali kazzate altrui”. E commentò anche tutto il resto, dall‟A alla Z, con una sola dottissima, civilissima, draconiana e incommensurabile parola: << VaffainAnuM >>. Il “cata-cata-nonno” non aveva il dono della parola, ma la sua espressione facciale voleva dire soltanto”Vaffainanum”. Mhaxymylyanum Mhaxymylyanorum salvò solo la suo mentula da quel generale “Vaffainanum”. Ma alla sua mentula comunque augurò un felice ma diverso “Vaffainanum”. E non solo quello. Gli augurò anche di finire nello stoma e nel deuterostoma oltre che in mona. Ma si accorse che il “deuterostoma” coincideva con la bocca di dietro. Ma lasciò perdere, mettere due volte la mentula in quel sito poteva anche essere piacevole. --Vaffainanum a Helena e al suo “minkia tur” in cerca di na minkia pi lu so purtusazzu. Mi ni futti un kazzo se stu kazzu di munnu finirà cu l‟autoinkularsi a tuttu kazzu. Vaffainanum al Pattuallopolys di Leonthynoy e Karleonthynoy, magari cu lu bottu. Maliritti matematicamente tutti se non capiscono la differenza tra quattru e uottu. Vaffainanum a li dii ca in celu si la stanu a minari e ca li malommini nun fanu cripari Vaffainanum a tuttu lu munnu ca sia piatto o sia tunnu. Mhaxymylyanum Mhaxymylyanorum --- Lo scrittore Paulorum Santhokrysos, il massimo rappresentante della forma letteraria detta Romanzo dialettale, sukannu erba degli intellettuali alla sanfasò, e non solo quella, e in compagnia del suo “cata-cata-nonno”, commentò in puro dialetto, la “Prima notte di nozze di Helena” e il “Premio Pattuallopolys di Leonthynoy Karleonthynoy”, ovvero, il “tur delle minkie, delle minkiette e delle minkiazze” e il “tur delle minkiate, delle minkiatelle e delle minkiatazze più le minkiatissime e le minkiatissimissime”. Commentò anche i membri dell‟Olympum, “le teste di ciolla irreali delle reali ciollate altrui”. E commentò anche tutto il resto, dall‟affankulo al vaffankulo, passando per il baffankulo, il caffankulo, il daffankulo, eccetera, eccetera, con una sola, dottissima, civilissima, draconiana e incommensurabile parola: << VaffanKulU >>. Il “cata-cata-nonno” non aveva il dono della parola, ma la sua espressione facciale voleva dire soltanto”vaffankulu”. Lo scrittore Paulorum Santhokrysos salvò solo la sua ciolla da quel generale “Vaffankulu”. Ma alla sua ciolla comunque augurò un felice ma diverso “Vaffankulu”. E non solo quello. Gli augurò anche di finire nello stoma e nel deuterostoma oltre che in mona. Ma si accorse che il “deuterostoma” coincideva con la bocca di dietro. Ma lasciò perdere, mettere due volte la ciolla in quel sito poteva anche essere piacevole. --Vaffankulu a Helena e al suo “minkia tur” in cerca di la minkia ideale. Mi ni futti na ciolla se lu munnu, pi culpa di idda, farà na guerra universle. Vaffankulu al Pattuallopolys di Leonthynoy e Karleonthynoy, di cultura assassini. Maliritti in sekula sekulorummu iddi e tutti li granni e infiniti casini. Vaffankulu a li dii ca in nessuna parte stanu pirchì sunu sulu pupi criati dal pinseru umanu. Vaffankulo a tuttu lu munnu ca sia piatto o sia tunnu. Paulorum Santhokrysos --- Sokratynos, il massimo rappresentante della filosofia a minkia, sukannu erba degli intellettuali alla sanfasò, e non solo quella, e per giunta in compagnia del suo “catacata-nonno”, commentò in pura essenza filosofika, la “Prima notte di nozze di Helena” e il “Premio Pattuallopolys di Leonthynoy e Karleonthynoy”, ovvero, il “tur della filosofia della minkia” e il “tur della filosofia delle minkiate”. Commentò anche i membri dell‟Olympum, “le teste di pisello simboliche delle vere pisellate altrui”. E commentò anche tutto il resto, dall‟animus al kulus, con una sola, dottissima, civilissima, draconiana e incommensurabile domanda: << VaffanKulU? >>. Il “cata - cata - nonno” non aveva il dono della parola, ma la sua espressione facciale voleva dire soltanto”Vaffankulo?”. Il filosofo Sokratynos salvò solo la sua minkia da quel generale “Vaffankulo?”. Ma alla sua minkia comunque augurò un felice ma diverso “Vaffankulo?” E non solo quello. Gli augurò anche di finire nello stoma e nel deuterostoma oltre che in mona. Ma si accorse che il “deuterostoma” coincideva con la bocca di dietro. Ma lasciò perdere, mettere due volte la minkia in quel sito poteva anche essere piacevole. --Vaffankulu a Helena e al suo “minkia tur” in cerca di lu giusto uccello? Vaffankulu al Pattuallopolys di Leonthynoy e Karleonthynoy e al suo bordello? Vaffankulu a li dii inesistenti ca nun cumminunu mai na minkia di nenti? Vaffankulu a tuttu lu munnu ca sia piatto o sia tunnu. Sokratynos --- Dyceomynkyopoly, il giusto per eccellenza, sukannu erba dei giusti alla sanfasò, e non solo quella, e per giunta in compagnia del suo giustissimo “cata-cata-nonno”, commentò la “Prima notte di nozze di Helena” e il “Premio Pattuallopolys di Leonthynoy e Karleonthynoy”, ovvero, il “tur delle minkie istituzionali” e il “tur delle minkiate istituzionali”. Commentò anche i membri dell‟Olympum, “le teste di kazzo per eccellenza sfruttate dai potenti”. E commentò anche tutto il resto, dallo zenit all‟azimut, con una sola, dottissima, civilissima, draconiana e incommensurabile parola, naturalmente taliando e ritaliando il tutto, pinsando e ripensando il tutto, meditando e rimeritando il tutto, maledicendo e stramaledicendo il tutto, concluse VaffanKuluM gridando: << >>. Il “cata-cata-nonno” non aveva il dono della parola, ma la sua espressione facciale voleva dire soltanto”Vaffankulum”. Dyceomynkyopoly salvò solo la sua cicia da quel generale “Vaffankulum”. Ma alla sua cicia comunque augurò un felice ma diverso “Vaffankulum”. E non solo quello. Gli augurò anche di finire nello stoma e nel deuterostoma oltre che in mona. Ma si accorse che il “deuterostoma” coincideva con la bocca di dietro. Ma lasciò perdere, mettere due volte la cicia in quel sito poteva anche essere piacevole. Per concludere, sempre più cosciente che “nessun fallo è duro come la vita”, gridò il solito: << VaffanKuluM U O O M P S M all‟ ... rbe , all‟ perché mi state tutti sul rbe e all‟ isum Aviti vistu un cavaddu di razza Vidennu la jumenta „ntra lu chianu Sbrugghiari dda terribili minkiazza, E poi currirci supra a manu a manu? Ccussì viditi la lussuria pazza, La turba di li dei, ca di luntanu In vidiri la dia ccu faccia accisa, Subitu a tutti la minkia ci attisa. Cci vannu tostu tutti cinqu in fila Cu l‟occhi russi e li kazzi arrittati; Saziu ognuno non è, si non la „nfila Si non po‟ tutta, almeno nna mitati; Cui cci afferra lu kulu , cui li pila, Cui procura di darci minkiati; Cui ci afferra li minni e lu capicchiu; Cui cci appunta la minkia „ntra lu stikkiu. Micio Tempio, La minata di li dei. lympu ativu ... ... >> III . Pryapogenesi ed altre nascite, Munypuzos compresa Chi c‟è, picciotti? Chi su sti cusazzi. Ad unu ad unu idda cci dicia: Ma chiddi peju assai di li crastazzi, Assai di chiui truzzavanu la Dia: Diu nni scanza di furia di kazzi! Veniri unni guardari non sapia; Cci arrinesci alla fini di scappari E si metti in disparti a taliari. Marti, ch‟era smargiazzu e „nghirriusu, Non suleva suffriri musca a nasu; Vaia , dicia, cc‟è cca qualchi garrusu, Ca pritenni „nfilari unni iu trasu? Niscissi fora, ca cc‟è lu rifusu; Niscissi, ca lu fazzu pirsuasu; A futtirivi tutti bastu iu sulu, Non sugnu Marti, si non vaju „nkulo. Micio Tempio, La minata di li dei. Zeus, il capo degli dei e degli uomini ma anche il grande buttaniere Canterò Zeus, il migliore e il più grande degli dèi, onniveggente signore, che ha in pugno il destino: con Temi, seduta al suo fianco, scambia parole di saggezza. Siimi propizio, Cronide onniveggente, grande e glorioso. Inno a Zeus, Inni omerici --- In principio era il Kaos. In principio era un bordello. In principio era un casino. Oggi si nasce in un certo modo. Almeno a livello di uomini. Ma in passato si nasceva in tanti modi. Venire al mondo non voleva solo dire uscire dal portuoso di una femmina unni qualche minkia di mascolo avia depositato, per suo piacere e godimento, nu tanticchia di spakkiu. E chiaro quindi che all‟inizio ci fu solo l‟inizio. << L‟atomo di Hydrogeno futtiu cu n‟autru atomo d‟Hydrogeno e diede origine a n‟atomo di Helios. Chistu è lu principiu. E accussì incominciò l‟incominciamento che diede inizio a tutte le cose viventi e non viventi>> dicevano Democritino e altri uomini di scienza. << Ma Hydrogeno cu Hydrogeno era fratelli gemelli? Tutti e due maskuli o uno maskulu e unu fimmina? Fu n‟amplesso incestuoso omo o etero? >> si chiedevano i curiosi antidogmatici per natura. << Ed Helios di che sesso era? E chi generò l‟Hydrogeno? >> << L‟Hydrogeno si autogenerò cu nu scrusciu enorme. L‟universo non kreato fici e bum e bignhi e benghi e banghi. Protoni, neutroni, elettroni e altri koglioni si assemblanu e ficiro l‟Hydrogeno>> diceva qualcuno che cercava di ragionare democriticamente. Cioè, alla Democrito. << Praticamente l‟Hydrogeno si la minò. All‟origine originaria originariamente ci sta sempre una minata. Il resto viene dopo. Il resto è tutto post - minata>> precisò qualche altro studioso. Ma questo vale per la scienza. La scienzia degli scienziati. E per la religione? Per la religione niente è dovuto al caso. Per la religione ci sta sempre un dio, magari poco sapiente di quello che ha kreato, che si mette a fare il kreatore, e con criteri scientifici che non conosce, crea e ordina tutto come un ragioniere. Magari a minkia di cane, ma ordina. << Quale religione? >> si chiese qualcuno curioso. << La mia, solo la mia dice il giusto>> rispondono sempre gli adepti. “Ognuno tira l‟acqua a li so mulina. Anche se poi la farina è sempre farina” dice un detto popolare. Ancora oggi, certi scienziati locali, della moderna Munypuzos, cioè Monakazzo, parlando del bum e bignhi e benghi e banghi dicunu : << Paria la festa di san Paolo e Sammastianu misi „nsemula>>. Ma ogni religione l‟inizio lo inizia come minkia gli pare e conviene. Ma come incominciò? Ogni religione ci ha raccontato le sue minkiate. L‟uomo impastato cu lu fangu è minkiata comune. E pure il diluvio universale, la partenogenesi, e altro. Cu nasci accussì e cu nasci accuddì. Il primo uomo fu chiddu, la prima fimmina fu chidda. Balle. Baddi. Minkiati ranni e grossi. Ma siccome siamo in democrazia ognuno è libero di credere a qualsiasi minkiata, o di non credere. Libertà insomma di passari pi fissa specializzato o pi sperto studioso. Pi adepto o pi ateo. Ma vediamo le minkiate relative all‟Olympazzo, alla religione detta “pagana”. Allo Zeussismo o Zeussesimo. All‟inizio c‟era solo il Kaos. Ovvero il nulla. E come il nulla possa dare il tutto non si capisci, su kazzi amari. Tutte le religione partono dal nulla pi dari il tutto e mittilla in kulo a tutti. Così fece pure lo Zeussismo o Olimpismo o Olympokazzismo. Comunque, nun si sapi comu fu e come nun fu, ma il Kaos generau, motu proprio, Gea, Tartaro, Erebo e la Notte. “Motu proprio” vuol dire semplicemente che si masturbò. Una sorta di partenogenesi al maschile. Non si sapi mancu chi forma avia Kaos, sicuramente era informe, il kaos totale, il massimo dell‟entropia. Si ignora la forma del suo organo sessuale: ciolla o spakkazza o altro. Magari un misto delle due cose o qualche cosa di completamente diverso, oppure era tutto un sesso caotico, informe, mostruoso, indefinibile, onnipotente e onnipresente e soprattutto arrapato. Comunque Kaos si masturbò. Se uno è solo nell‟universo la masturbazione è la sola forma di sessualità sostenibile e possibile. Gea, per partenogenesi vera e propria, fici a Urano, e siccome ci vinni beddu, si lu maritò. Idda tinia nu purtusu, iddu nu stuppagghiu. E si misero a fari lu travagghiu di mettere il tappo nel buco. Mamma e figlio inventarono il sesso. Incestuoso ma sesso. E anche l‟incesto è comune ad altre religioni. Ma siccome Gea e Urano erano inesperti nell‟arte del fikka-fikka, fikkanu mali e ficinu figghi nu tanticchia strani. Il meccanismo della riproduzione sessuale andava perfezionato. Infatti nascenu Titani e Titanesse, i ciclopi Bronte, Sterope e Arge e i giganti centimani Cotto, Briareo e Gige. Titani e Titanesse erano rannazzi ma normali. L‟autri erano strani assai. I giganti centimani avevano cento mani, cinquanta teste e cento aceddi. I ciclopi erano enormi e tenevano un occhio rotondo sulla testa e una minkia doppia. Urano a vidilli si scantò. E li rifuttiu dintra la panza di la madre. Urano comunque era un tipo assai assaissimo autoritario e Gea non lo sopportava chiù. Si era rotta assai assai le ovaie. Pertanto desi un falcetto al figlio Krono dicennici: << Chista sira, dopo che io avrò sfiancato tuo padre con la forza e la possanza del mio pakkio, tu trasi nella stanza da letto e ci la tagghi. Poi butti la ciolla e li baddi unni capita capita>>. Krono evirò il padre e buttò i genitali per aria. Dalle gocce di sangue cadute sulla terra nascenu Melie, Erinni e altri Giganti. Dalla ciolla, l‟organo dell‟amore, caduta in mare, nasciu già bella grande Aphrodyte, la dea dell‟amore. Bella, grande, bona e pronta per fikkare. Questo gesto è ricordato come “La deminkiazione e la detesticolazione primaria”. Aphrodyte comunque pigghiau la ciolla e la mise sott‟aceto, tanto per conservarla. Nun sapennu di chi kazzo era figlia la chiamava ora “mamma” ora “papà.” Da una minkia assassinata era nata una assassina di minkie. Aphrodyte l‟aceddi mascolini si li spurpava alla sanfasò ma in cambio facia godere il proprietario dell‟aceddu spurpato. Ma la cosa non si accapa qua. Questo è solo l‟inizio di questa religione. Ma anche le altre hanno le loro amorevoli minkiate. Krono, il tagliaminkia dell‟Olympo, si dimostrò chiù testa di kazzo del padre. Autoritario assai e cumannero ancora chiù assai. Intanto pi fari fikka-fikka si scelse la sorella Rea. E quannu due titani fikkaunu era na titaniata. Solo che qualcuno disse a Krono che prima o poi un suo figlio amatissimo lo avrebbe detronizzato. << Tu futtisti a to patri e to figghiu fotterà a tia. Senza deminkiazione però>>. <<Minkia, per Krono e i suoi krononi qua mi vogliono tagliare uccello e koglioni. A mia sti babbi di la me simenta nun mi futtunu. Soprattutto non mi taglieranno il mio caro e amato uccello, perché la deminkiazione fa parte della vendetta. E che kazzo>> pinsò Krono. Pertanto, via via che Rea partoriva, lui si li ammuccava. Si ammuccò il primo, il secondo, il terzo, il quarto e il quinto.. ma col sesto la pigliò in kulo. Il sesto nato fu Zeus. La madre lu ammucciò e al padre antrofago, o meglio teofago, diede un sasso tutto bello infasciato come un neonato. Krono tranquillo si l‟ammuccò. Zeus crebbe ammucciatu, all‟ummira come si usa dire; ma una volta grande decise di prendere dei provvedimenti draconiani. << Detronizzare papà e pigliarmi il potere. Questo è il mio programma. Solo detronizzazione, niente deminkiazione. Tranne che quel testa di minkia non faccia opposizione>> disse a se stesso. Si mise d‟accordo con parte dei Titani e dei Ciclopi. Ma prima convinse la smorfiosa e sfuggente Meti a dare un emetico a Krono. A Zeus piaceva sta iarrusedda dalla testa montata. E piaceva pure a Krono. Meti era una che voleva usare il pakkio per fare carriera. Gli sfuggiva perchè Zeus al momento non era nessuno. Si smurfiava ma non gliela dava. << Se mi aiuti in questo colpo di stato io ti marito, io diventerò il capodio e tu la capadia. Diventerai la capa dell‟Olympo >>. Meti, per il potere, si addecise. E collaborò. La cosa però non gliela diede subito. Prima il potere, poi il piacere. Meti, con le sue smorfie che pigliavano per il kulo chiunque, convinse Krono a bersi quello che lei ci dava. << Non lo voglio>> diceva Krono. << Bevi, se bevi questa, poi io ti dugnu quella>>. << Minkia.. dammi, che bevo subito>> precisò il dio. Krono arrovesciò l‟anima e tutti li figli. I sei figli, o meglio, i cinque in carne e ossa e il sesto di pietra. Questa pietra oggi si trova nel Tempio di Zeus a Munypuzos. E il cosiddetto Omphalos. L‟ombelico del mondo. Dopo, intanto che Krono giaceva a letto tutto sminkiato, fu detronizzato, e con i parenti a lui favorevoli, rinchiuso nell‟Oltretomba. Che comprendeva tre parti, come altre religioni. La Prateria degli Asfodeli, il Tartaro e i Campi Elisi. Come dire Purgatorio, Inferno e Paradiso. Zeus divenne il dio degli dei e degli uomini. Si maritò cu Meti e la fici quasi morire dal piacere. Tutte le fikkate che quella gli aveva negato ci li fici fari in una notte. La mannò in overdose di sasizza. Tanto che poi a Meti, appena ci parraunu di sesso, ci vinia il voltastomaco. Avia fatto il pieno e nun ni putia chiù. Ma Zeus, vendicativo come pochi, ci la passava e ripassava a forza. La vulia fare morire pi troppo aceddu, ma quella non moriva perché non poteva morire. Restò invece incinta. E siccome le profezie annunciavano sempre e solo sciagure, venne fuori che un figlio nato da quel congiungimento carnale prima o poi doveva futtiri a Zeus. Per evitare complicazione lu capudiu si ammuccò la moglie e quello che stava dintra la sua panza. Zeus aveva avuto problemi anche con la mamma. La mammina Rea era stata una tipica esponente del potere matriarcale. E quannu Zeus avia espresso l‟intenzione di pigliare moglie ci l‟avia sconsigliato. << A che ti serve? Puoi impakkiare come minkia ti pare e con chi minkia ti piace. Le femmine non fanno altro che cercare nu tizzuni addumato per la loro funnacella.. perché la funnacella po‟ bruciare mille e poi mille tizzuna ma lu tizzuni na vota bruciato s‟accapa>> ci disse Rea. Zeus visti in queste parole una offesa al suo essere maskulo e dio. << No. Io scelgo la funnacella per il mio tizzuni. Io scelgo, e non certo la funnacella di qualche buttanella>>. La mamma rise. << Certo … e allora se ti appititto io, mi la insasizzi pure a mia?>> << Certo, anzi, te la insasizzo solo e soltanto per addimostrarti chi è che tiene il potere. Basta col comando fimminino. A comandare dobbiamo essere noi mascoli>>. << Sta minkia, figlio mio>>. << Mamma, “sta minkia” lo posso dire solo io. Perché io la minkia la tengo>> rispose Zeus ammusciannici la ciolla. << Sta minkia lo stesso >> rispose la donna ridendo. << Ti la fazzu abbidiri io adesso sta minkia, e chi kazzu. Anzi, ti la fazzu sentiri>>. Fu così che Zeus stuprò la madre. Quello stupro segna il passaggio ideale dal potere matriarcale a quello patriarcale. Prima della violenza Zeus aveva meditato per un secondo e mezzo. Poi aveva sciolto il suo atroce dilemma . << Stupro la mamma o no?>>. Una delle tante varianti della domanda per cui era famoso il filosofo Sokratynos da Munypuzos riguarda questa storia. << La vita è una, come la minkia, e se non è un piacere vivere da dio e avere una minkia da dio, a che minkia serve essere dio e avere una minkia divina?>> --- Al momento dell‟intronizzazione Zeus fici un bel discorso a tutto l‟Olympo. Discorso, che nun si sapi come fu e come non fu, vinni a conoscenza di Esiodo da Munypuzos, che lo riportò nella sua Teogonia Sikula. << Fratelli cari e sorelle carissime. Estia, Demetra, Era, Ade, Poseidone, e mi rivolgo pure a te, cara mammina Rea. E a te Krono, papà poco caro, che vedo in catene. E anche a nonno Urano deminkiato e alla sua cara moglie e madre Gea. Mi rivolgo pure ai sui testicoli e al suo fallo che oggi, in via eccezionale, stanno qua. E mi rivolgo pure a mia stissu. Io mi consento di nominarmi capodio. Se volete acconsentire, fate. Altrimenti mi autoconsento. Fratelli e sorelle, mi dovete la vita. Io, con la mia abilità, con la mia furbizia, e fors‟anche con un pizzico di fortuna, vi ho tirato tutti fuori dalla panza del padre padrone teofago e mangiafigli. Io ho guidato la rivolta contro il padre. Io ero pronto anche a deminkiarlo e detesticolalo, ma la cosa non è stata necessaria. E sono contento di non averlo dovuto fare>>. Si fermò un attimo e sospirò. Poi riprese calmo e tranquillo come un capodio che sa quello che deve fare e dire. Si allisciò la barba e si toccò i santissimi come semplice gesto scaramantico. << Però non tutto è andato liscio. Ci sono voluti dieci anni di guerra, kazzo di un kazzo a forma di kazzo kazziforme. Non per essere maschilista, perché verranno religioni più phallocentriche e misogine, ma solo per un fatto di palle, di testicoli, di testimoni. Io mi sono giocato le palle e ho vinto. E allora io mi consento e vi consento, e se non volete consentirmi vi obbligo a consentire, io mi consento di dividere in mondo in tre parti tra i tre fratelli mascoli. Io, Ade e Poseidone saremo la Divinissima Trinità. E io sarò il vertice di questo triangolo. Trinità perchè tre è il numero perfetto. Anche i colleghi egiziani hanno come capi Iside, Osiride e Seth. E ci sta la trimurti vedica, con Mitra, Veruna e Indra. Ma ne arriverà una dove l‟uno sarà trino e tre saranno uno, e la cosa sarà chiù difficile da comprendere. Ma adesso pensiamo alla nostra Divinissima Trinità. Io mi consento di pigliarmi la terra. Tu, Poseidone, ti acchiappi il mare, che so che ti piace stare ammollo, sciacquariariti l‟aceddu. Ma stai attento che qualche pisci non s‟infili dall‟altra parte. Tu, Ade, ti piglierai l‟oltretomba. So che ti piace stare allo scuro. Quello sarà il tuo regno. Là, se l‟acchiappi nel posto sbagliato, non ti vede nessuno. Questa mi pare la giusta divisione. Io invece, come detto, mi piglio la terra, perché a mia la luce non da fastidio. Io non ho paura del giudizio, quello che faccio lo faccio alla luce del sole. Corro appresso a un pakkio divino, e che si sappia in giro me ne fotte un kazzo. Corro appresso a un pakkio terreste, e che si sappia in giro me ne fotte un kazzo e mezzo. Mi appititta un culetto bello di maskulo, non temo giudizi e condanne. Non temo i moralisti, faccio tutto alla luce del sole. Sono o non sono il capodio e il capo degli uomini? E allora me ne fotto due kazzi sani sani e fors‟anche di più. E allora cosa fate, consentite o mi autoconsento?>>. << Consentiamo.. consentiamo..>> risposero tutti, anche quelli che avevano voglia di sconsentire. Ma non si potevano permettere questo sconsentimento. << Agli altri naturalmente altre cose. A tia Estia, e io so che vuoi restare vergine, ti fazzu cummattiri cu sacerdotesse e minkiate simili. A tia Era, anche se semu frati e soru non fa nenti, io ti piglierò come moglie fissa e definitiva, con diritti e doveri ben precisi, ma senza l‟esclusività del mio aceddu. Sarai la capadia ma obbedirai al tuo capodio. In fondo fikkamu insieme da tempo immemorabile. A tia Demetra so che ti piace passare il tempo a passeggiare sulla terra. Io te lo consento, ma tu mi consentirai a mia di diventare il tuo amante occasionale. Io voglio da te una figlia che ti darà kazzi a pilare. Questa figlia mi serve per una doppia cosa che spiegarti adesso non posso. Ti do pure l‟incarico di istituire i Misteri sikuli, e non solo. Sei libera di istituire tutti i misteri che vuoi. Non so cosa siano esattamente, e non voglio neanche saperlo. Ma tu astrummenta qualcosa, dai sfogo alla tua fantasia, inventa qualche bella minkiata da sbattere in faccia al popolo, che il popolo è sempre contento quando ha a che fare con cose misteriose. È sempre contento quando non ci capisce una mazza. In fondo noi dei siamo figli delle minkiate popolari, figli delle minkiate siamo ed andiamo avanti a minkiate. I nostri concorrenti naturalmente hanno fatto, fanno e faranno le loro, non so se più grandi o più piccole. Io che so il passato, il presente e il futuro vi dico che vedo kazzi amari. Verranno dei e rappresentanti degli dei assai assaissimo liberticidi, ma questo non diciamolo al popolo. Noi un giorno saremo solo sulle pagine dei libri, come tanti altri. Mito e basta saremo. Saremo sulle pagine immortali di Homeryno Homokulum, di Mhaxymylyanum Mhaxymylyanorum, di Paulorum Santhokrysos, saremo finanche nella filosofia di Sokratynos. Saremo in tanti poemi, poesie, epigrammi e altro. Per questo saremo immortali. Quando non ci saranno più nemmeno i resti archeologici dei nostri tempi, noi ci saremo ancora. Quelle pagine ci renderanno eterni, infiniti come l‟infinito più infinito. Eppure non siamo stati un kazzo. Ma i nuovi non si illudano, verrà anche per loro il tempo della fine. Così come ci sarà stato quello dell‟inizio, anche per loro ci sarà la fine. E ci saranno sempre più miti. Perché andando a ritroso nel tempo storia e fantasia si confonderanno, si fotteranno a vicenda, e non si capirà più niente. Non si capirà chiù un kazzo. L‟ideale per raccontarle sempre più grosse. Noi antichi pertanto saremo i migliori miti. Comunque un giorno ci sarà un imperatore che ci metterà da parte e un altro che cercherà di rimetterci sull‟altare. Poi finiremo di governare gli uomini. O forse gli uomini finiranno di gestire noi per gestire altro. Ma in ogni caso ricordatevi che noi siamo liberali, noi siamo tale e quale gli uomini, noi abbiamo gli stessi vizi degli uomini. Creati e kreatori si confondono e non si capisce se i creati hanno kreato i kreatori o i kreatori hanno kreato i creati. Il bello nostro è che siamo dei con gli stessi vizi e stravizi degli uomini. E se gli uomini hanno delle virtù sono le stesse nostre virtù, anche se non ho ben capito cosa siano le virtù e neanche i vizi. Godere della minkia o del kunno non è né un vizio né una virtù, è la natura. Qualcuno dice che la purezza, per esempio, è una virtù. Altri dicono che non è una virtù. Ognuno faccia quel minkia che vuole, l‟importante è non imporre un principio proprio agli altri. Per me la purezza è innaturale. Se il kreatore ha kreato certi strumenti questi devono essere usati. Non usarli è innaturale. La castità pertanto è contro natura sia per gli uomini che per gli dei. Ma comunque io rispetto chi vuole essere casto per sua scelta. Il fatto è che i casti rompono i koglioni ai non casti e li considerano per giunta peccatori e canditati naturali al Tartaro. Scusate, ma non si va a finire nel Tartaro per i fatti della mentula e del kunnus. Al sottoscritto Zeus, capo degli dei e degli uomini, non ci ni fotte un kazzo di quello che fate per il vostro piacere personale, l‟importante è vivere e lasciar vivere senza rompere i koglioni agli altri. Basta rispettare solo una regola fondamentale: non fare o arrecare danno agli altri. Amare il prossimo come se stessi, ma senza rompergli i koglioni. E io non capisco, come detto, se siamo noi che ci siamo creati a immagine e somiglianza dell‟uomo o è l‟uomo che s‟é kreato gli dei a sua immagine e somiglianza. Non so. Io adesso sono al potere ma ho dovuto lottare dieci anni, e so che in futuro dovrò sostenere n‟autra furiosa battaglia. Il pericolo più grosso lo tengo in famiglia. Parenti serpenti. Questo vale per gli uomini e per gli dei, ma so anche come batterlo. E che devo trovare la donna giusta per avere il figlio giusto che mi darà la vittoria finale, ma questo non è l‟oggi e neanche il domani. La nostra avventura sta solo iniziando. Vi dico che l‟uomo bestia non riuscirà a mettersi d‟accordo neanche sul posto dove sono nato. Per i fedeli di rito arcadico io sarei nato in una grotta del monte Licia, secondo quelli di rito cretese o sul monte Ida o sul monte Ditte, sempre in una grotta però. E non sarò l‟unico a nascere in una grotta. E non chiedo neanche a mammina dove mi fece nascere e dove mi generò. Non m‟interessa la verità, m‟interessa quello che crede il popolo. A mia personalmente mi piace il rito Munipuzico. Deve ancora venire, ma è quello che mi farà nascere in una grotta del monte Munypuzos. Non so cosa succederà, ma noi avremo a che fare con questo monte, con la città omonima e con la gente del posto. Ma di tutto questo non dite parola alcuna. La verità, meno la si conosce, meglio è. Lasciamo che ad estrinsecare il pensiero divino siano gli oracoli, che con il loro linguaggio astruso sono quasi sempre incomprensibili. O forse sono incomprensibili per noi che comprendiamo troppo e sappiamo troppo. Ma gli uomini magari ci vedono del comprensibile in quell‟incomprensibile. A volte non si capisce neanche se dicono che bisogna andare a destra o a sinistra. Ma a parte questo sappiate, colleghi cari, che a noi liberofili succederanno dei liberticidi, tutti regole e niente arrosto. Vi dico solo che cercheranno di regolamentare il kunnus e l‟aceddu, e questo vi basti per capire che gente sarà. Poveri noi abitanti di questo Olympo. In particolare penso alla cara Aphrodyte, la dea dell‟amore carnale. A lei tapperanno il portuoso. A suo figlio Pryapo dalla lunga ciolla taglieranno tutto, come a Urano. A Eros leveranno le frecce. Ermafrodito e simili saranno solo peccatori. A mia mi daranno del buttaniere fimminaru e altro. Ma adesso lasciamo perdere di pensare al futuro, pinsamu al presente e divertiamoci. Che inizi la festa. Avanti con la musica. Falli e kunni suonate la musica del piacere, suonate la musica dell‟amore, fatelo senza restrizioni o limitazioni. Fatelo fin quando lo potete fare. Fatelo. Habemus phallus.. habemus kunnus.. Travagliamo. E tu, Era, vieni qua che dobbiamo maritarci subito e consumare subitissimo, anzi riconsumare, perché a dire il vero tutti lo sanno che io e te è da millenni che facciamo il fikka-fikka insieme. Tu sei stato il mio primo pakkio e io la tua prima ciolla, poi io ho avuto altri interessi, ma adesso intendo farti diventare la capadia, la moglie del capodio. Pertanto vieni che te la ficco come segno del nostro matrimonio. Io Zeus, mi consento di autosposarmi con la qui presente Era e di essergli infedele nella buona e nella cattiva sorte, perchè quando mi piglia il firticchio nell‟aceddu, che addesidera qualche altro stikkio, non mi so trattenere. E se tu non consenti, cara Era, io mi autoconsento di obbligarti a consentire. Consenti pertanto con le buone o con le cattive?>>. << Consento, con le buone consento. A parte che è un onore addivintare la moglie onorata del capodio. Consento con tutta me stessa>> rispose Era che era felicissima. Finalmente diventava la moglie ufficiale del capodio. Tutti applaudirono ed ebbero un brividino per le amare previsioni. Ma quella sera si addivertirono tutti. Anche Urano, seppure in catene, per una sera riebbe la ciolla e i testicoli. Che ritornarono nel suo sottopanza. In fondo il regno di Zeus era solo all‟inizio, perché pensare alla fine. Anche se la nascita è l‟inizio della morte, il detto “Ricordati che devi morire” non era ancora molto utilizzato. Quella notte Zeus festeggiò l‟intronizzazione e consumò centocinquanta miliardi di volte il matrimonio. Anche perchè quella notte duro trecento anni. --Due strani figuri originari di Karleonthynoy e di Leonthynoy cercarono di calcolare il numero di li kunna imminkiati da Zeus prima della lunga notte di nozze con Era. << Quattro milioni di kunna, però elevati alla quarta. Naturalmente kunna di prima scelta. E a dire il vero anche di kula codesto è il numero. E anche per le bocche codesto resta>> disse il tizio Karleonthynoy che aveva calcolato solo la componente etero. << Otto milioni di kunna, però elevati all‟ottava. Indubbiamente kunna di prima qualità. Ma doppio è il numero dei kuli e delle bocche>> disse il tizio di Leonthynoy che non aveva separato l‟etero dall‟omo. Un terzo tizio, originario di Leonthynoy, che prese in consegna i documenti, li perse. Ma da Palermorum fecero sapere che il numero massimo dei kunni inciollati da Zeus prima della notte delle nozze poteva arrivare a quaranta milioni. Eventualmente levati alla quarantesima. E naturalmente tutti kunna di prima scelta. Tutti kunna di qualità. Si poteva raddoppiare però per i kuli e le bocche. Ma alla fine non se ne fece niente. Solo parole a minkia. La verità restò ancora una volta sconosciuta. --<< La vita è una, come la minkia, e se non è un piacere vivere da capodio e avere una minkia capa di li kunna, a che minkia serve vivere da Zeus e avere una minkia che non può fare quello che vuole?>> era la variante, dedicata a Zeus, della domanda per cui era famoso il filosofo della minkia Sokratynos da Munypuzos. --Il grecista Homeryno Homokulum, in greco, scrisse il Poema Zeusseide, il poeta latinista Mhaxymylyanum Mhaxymylyanorum, in latino, il Carmen Zeus aves felix, e lo scrittore siciliano Paulorum Santhokrysos il romanzo Cent‟anni con il capodio Zeus e la sua minkia folgorante e saettante. Naturalmente lo scrittore aspettava ancora quella minkia di premio a minkia del premio Pattuallopolys di Leonthynoy e Karleonthynoy. Gli oligarchi delle due Tirrannopolys litigavano e facevano ridere non solo la Magna Grecia e la Grecia, ma anche i paesi che si affacciavano sul Mare Nostrum. Tutti ridevano, dalle Alpi alle Piramidi, dal Manzanarre al Reno. Ridevano divinamente anche gli dei dell‟Olympazzo. Ridevano a minkia cina. In particolare Zeus si skassava dalle risate e poi per divertimento lanciava folgori alla sanfasò sulle due polys, tanto per fare nu tanticchia di spettacolo luminoso. Eolo ciusciava forte ma tanto per fare nu spettacolo assai ventoso. Ares scatenava qualche lite di quartiere tanto per fare nu tanticchia di spettacolo litigioso. Anche Ade annacava la Trinacria tanto per fare spettacolo sismico. E Polifemo lanciava dei sassolini tanto per fare solo e soltanto la sua parte di litologico spettacolo. Efesto mittia in moto l‟Etna e facia sciri nu tanticchia di materiali piroclastici tanto per fare uno spettacolo pirotecnico. Solo Pryapo si mittia d‟impegno e si la minava in direzione delle due polys, tanto per fare anche lui spettacolo sì, ma spettacolo serio. Uno spettacolo di pulizia morale. Lui pinsava di inseminare tutta la popolazione con la speranza di creare un nuova stirpe, una stirpe di uomini onesti in tutto e per tutto. Niente più bugiardi, ma solo e soprattutto degli uomini di parola. << Otto, quattro.. quattro, otto... Ma chi minkia me ne fotto... Quattro o otto milioni... Mi sono rotto i koglioni.. E li carti unni minkia stanu? E nu casinu sanu sanu... Otto, quattro.. quattro, otto... Ma chi minkia me ne fotto... Otto, quattro.. quattro, otto... Una minkia me ne fotto...>> Le due polys avevano pertanto sempre tempeste furiose con tanto di tuoni e fulmini. Ma anche pioggia abbondante. Ma non pioggia di acqua. La pioggia che arrivava era la simenta di Pryapo. La simenta della nuova razza. Poi c‟erano gli altri materiali. Mancava solo la merda. Ma comunque tutto era uno spettacolo. Uno spettacolo, ovvero una illusione, come una illusione era stato il Pattuallopolys. Una premio a minkia cina, un premio di merda. Scatologia pura sperando nell‟escatologia vera. --Dyceomynkyopoly si chiese: << Ma in questa kazzo di Trinacria del kazzo ci sta un kazzo di giustizia o una giustizia del kazzo?>>. E si diede, nel suo essere giusto di testa e di ciolla, la risposta: << Pi mia ci sta solo una giustizia a minkia che ragiona a minkia e che viene gestita da uomini a minkia. Anzi, da uminicchi, mezzomini, pigliankulo e quaquaraquà, sempre a minkia però. Perché purtroppo mancano gli uomini di minkia con tanto di koglioni..>>. In tanti lo applaudirono. Ma lui si chiese altro: << E voi, dei del kazzo, che minkia guardate? Siete guardoni o siete koglioni? Se ci siete, intervenite, altrimenti andate pure a fare in kulo almeno una volta. Ma anche quattro, otto o quaranta milioni volte. Con o senza pattualla. Non lasciate che i grandi koglioni schiavizzino i piccoli koglioni a loro uso e consumo. Il vostro silenzio è solo e soltanto il segno manifesto della vostra dichiarata inesistenza. È la vostra negazione tout court e full time >>. E ancora si addumannò: << E se c‟è un dio della merda, un teoscatà, che faccia la sua draconiana rivoluzione diacronicamente escatologica e sincronicamente scatologica per una tonitruante palingenesi totale con un nuovo ed originale diluvio universale, di merda però. Il vostro silenzio assenso, cari dei, è una nuova negazione della vostra esistenza. Perché, cari dei a minkia che mi state sulla minkia, come dice il Primo Principio dell‟Ateismo Geometrico, Se una retta contiene infiniti punti, una mente libera contiene zero dei>>. --Zeus, unni kazzu si?A circari kunna o a circari kula? Sokratynos --Zeus cercò di risolvere il mistero del Pattuallopolys di Leonthynoy e Karleonthynoy ma fallì. Pi minnitta maledisse le polys suddette gridando “Fulmini su fulmini in eterno avrete. E il parafulmine sarà la vostra ciolla”. Gorgia Megacephalomentula da Munypuzos, L‟Olympum e il mistero della batracomiomachia del Pattuallopolys di Leonthynoy e Karleonthynoy con i paralipomeni di Palermorum. Aphrodyte, dea della bellezza e buttana universale Canterò la bella, veneranda Aphrodyte dalla corona d'oro, che protegge le mura dell'intera Munypuzos circondata dalle colline, dove l'umido soffio di Zefiro la portò sopra l'onda del lago risonante, nella morbida spuma. Le Ore dall'aureo diadema la accolsero con gioia e le fecero indossare vesti divine; sul capo immortale le posero una bella corona d'oro, ben lavorata, e ai lobi forati appesero fiori d'oricalco e d'oro prezioso; le ornarono il collo delicato e il petto bianchissimo con collane d'oro, che le stesse Ore dall'aureo diadema indossano quando si uniscono all'amabile danza degli dèi, nella casa del padre. Quando terminarono di ornare le sue membra, la presentarono agli immortali: vedendola, essi le davano il benvenuto, le tendevano le mani, e ciascuno desiderava portarla a casa sua come legittima sposa, poiché ammiravano l'aspetto di Citerea coronata di viole. Salve, dea dolcissima dagli occhi brillanti: concedimi la vittoria in questo concorso, e ispira il mio canto. E io canterò te e anche un'altra canzone. Inno ad Aphrodyte, Inni omerici --La dea dell‟amore a cui tanto piace fare all‟amore nasciu senza un gesto d‟amore. Semmai di violenza fu l‟atto che la fece nascere. La famosa “Deminkiazione“ di Krono nei confronti del padre. La minkia divina cariu nel mare ca era ancora tisa e si muvia come un serpente d‟acqua. Come un pisci inkazzato. Vulia farsi l‟ultima fottuta prima di esalare l‟ultimo respiro. Era pronta ad andare pure in kulo a una balena pur di fikkare. Ma non trovò niente e si futtiu lu mari. Da cui l‟espressione siciliana “minkia-di-mari” a proposito di chi si fotterebbe qualsiasi cosa. Ma lu mari naturalmente non poteva sciri incinto, e allora fu la spumazza ca si misi a pazziari sutta lu stimulu di la ciolla divina e pigghiau forma di una fimmina bona, la fimmina chiù bona che si fosse mai vista sull‟orbe terracqueo e non solo. La spumazza fici prima due colonne perfette che poi la ciolla modellò a dovere. E funu li cosci, due cosce che a vidilli vinia il pititto di scalarle, se non altro per vedere cosa c‟era in cima, cosa c‟era in mezzo. Poi ci fici li natichi e qua lu brigghiu divino lavorò d‟artista, perché un kulo come quello non s‟era mai visto. Kallipigia doveva essere. Natiche belle, kulo bello, chiappe dorate. Kulo etereo, kulo kuliforme, cioè a forma di kulo. Kallipigia in fondo voleva solo dire dalle belle natiche, ma quella era bella tutta. Davanti la spumazza ci fici una panza ca lu marrugghiu di carni rifinì alla bella, e poi, cu la punta, la ciolla di Urano, ci fici nu putusiddu che si addimostrò veramente l‟ombelico della gioia. Quel purtusiddu chiamato ombelico era la forma esatta della koppola della minkia di Urano. E chiù supra la spumazza ingrifata dalla divina sasizza ci piazzò due minne grandi che stavano su da sole, che sfidavano la forza di gravità, che puntavano al cielo con due capiccia che facevano venire il desiderio di sukari a tutti. Ai picciriddi per il latte e ai ranni tanto per sukare e alliccari cosi belli. I capiccia non erano capiccia, erano due kazzetti in miniatura. Poi lu citrolu divino ci fici na testa perfetta di nasu, aricchi, ucca e occhi. La ucca era perfetta e facia venire il pititto di vasalla, divoralla e altro. Chiddi labbra appena si muvevano mitteuno lu pititto a tutte le ciolle del mondo, ciolle divine e umane. Lo stesso Zeus quannu viria ad Aphrodyte avia una erezione istantanea micidiale ca se non trovava un purtuso disponibile nel giro di trenta secondi si la doveva minare. Ma tutti li avrebbero voluto vasare, a parte che Aphrodyte meritava di essere vasata comunque e ovunque. Gli occhi invece erano di un colore ca non si sapia come chiamare. Ci sono occhi azzurri, verdi, accussì e accuddì, ma questo era particolare, particolarissimo. Colore di minkia tisa forse, o colore di kazzo eretto, colore di mentula diritta, colore di fallo ardente, colore di fottere sempre e comunque alla sanfasò. Pirchì bastava talialli ca uno si pirdia nell‟estasi della carne. Là dentro c‟era l‟inferno e il paradiso, ma solo del sesso. Piaceri e piaceri la dintra ci stavano. Mille posizioni e altro, tutto perso o immerso nella spumazza del piacere in tempesta. Ma la cosa chiù bella lu piripikkio divinu ci la fici in mezzo alle cosce: lo stikkio più bello del mondo. Una spakkazza speciale, rifinita nei minimissimi particolari che manco Fidia o altro artista ci avissa rinisciuto. Una filazza circondata da quattro piegoline di carne che vibravano in automatico appena sinteunu cianuro di ciolla. E a sovrastare chista struttura ci stava nu buttuneddu ca quannu attrintava mittia lu focu alla proprietaria e all‟amico di la proprietaria. Ma come se non abbastasse la minciazza divina ci desi na spruzzata di acqua di mari e simenta divina na lu purtusiddu, pi dari lu giustu sapuri, lu giustu sali allo stikkio, pi fallu na cosa saporita assai e no scipita. E tutti sanu chi sapuri avi chidda cosa bella. Ma lu sapuri di chidda di Aphrodyte era davvero speciale, l‟avia salatu nu diu, o meglio, la minkia di un dio. Era il giusto sapore del pakkio, perché penso che un dio sappia come salare le cose. Ma oltre al sapore ci stava pure la forma: perfetta, stikkiforme al cento per cento. E poi una particolarità veramente particolare, lo stikkio di Aphrodyte aveva il dono della risata, una risata soddisfatta e soddisfacente. E quella risata non era nascosta da pilo alcuno. Perché il pakkio di Aphrodyte era spilato al cento per cento, al mille per mille. Neanche un pilo c‟era, era tutto a vista, e quannu quelle quattro labbra, due piccole e due grandi , sorridevano, si poteva pure taliare il fondo di quel pozzo del piacere. Era il pakkio di Aphrodyte un pakkio a vista, era uno stikkio che non aveva nulla da nascondere. Se vulia na minkia, lo faceva capire. Se vulia na lingua, la chiedeva. Se vulia nu itu, lo addomandava. In genere vulia tutti sti tri cosi.. lingue.. ita.. kazzi.... ma soprattutto vulia kazzi.. kazzi alla sanfasò. Solo potendo si avissa fatto tutti li kazzi dell‟orbe terracqueo. Zeus la trovò accussì bella che, come detto, l‟avrebbe voluta come gioiello per il suo aceddu. Non potendo, ma pur pensandoci in base al detto ”mai dire mai“, pinsau che ci avissa piaciuto avere una figlia così. Ma non potendola più generare perché un altro l‟aveva generata, Zeus la nominò sua figlia adottiva. Ma senza escludere un eventuale incesto, perché Aphrodyte era la quintessenza della minkia, era la dea della minkia, era la dea buttana per eccellenza, e lui, Zeus, era si il capodio ma era anche il capo dei capi dei buttanieri. << Afroditina, beato cu ti la fikka a minkia cina>> diceva sempre nella sua testa. Ma unni nasciu la dea buttana? Cipro, hanno detto. Hanno detto! Per questo era chiamata “Ciprigna”. In realtà “Ciprigna” è una deformazione di “Citrigna “. Perché Aphrodyte era citrigna in tutto e per tutto. Citrigna di manu, di minni, di natichi e anche di pakkio. Citrigna perché la sua fika era citrigna. Si contraeva spasmodicamente e quelle contrazioni si trasmettevano all‟aceddu. Con conseguenze assai felici per idda e per iddu. Quel pakkio spremeva gli aceddi. E come li spremeva. Lo sapeva bene Anchise che della cosa vantannu si ia. << Fikkato haiu assai, e pakki di tuttu lu munnu. Ma mi ricordo come fosse ora di Aphrodyte lu kunnu>>. A parte questo, ripeto: Ma unni nasciu allora la dea buttana? Nasciu nella zona di Eloro, vicino all‟attuale Noto. Ci sta lì ancora oggi uno scoglio molto grande dalla forma particolare, praticamente uno skoglione falliforme che da sempre i siciliani chiamano la “minciazza di petra”. Lì, davanti a quella struttura litologica, cariu l‟aceddu di Krono. E nasciu accussì Aphrodyte. Ca la sira stissi incominciò a fottere. Tutti li dia si la ficinu, a parte Zeus. Poi si la ficinu tutti li maskuli di la zona. Alla fine si maritò con Efesto ma si fici come amante fisso il bellimbusto di Ares. Ma tra una fottuta maritale fatta per dovere e cu nu tanticchia di passione e tante fottute fatte con Ares solo e soltanto per piacere, Aphrodyte attruvava lu tempo pi farisilla fikkare da questo o da quello. Con Dyonyso il filinghi era perfetto, ma si la fici fikkari anche da Poseidone e da Ermete. Con Adone , non potendo avere la ciolla dentro si sé, si accuntintava di manu e lingua, perché a dire il vero la lingua di Adone era chiù esperta di una minkia specializzata in sofisticati kunni di alta classe. Ma Aphrodyte, tra una fottuta e l‟autra , trovava anche il tempo di fare le minnitta. E minkia se ne fece. Per esempio, a Pasife la fici innamorare di un toro, alle donne di Lemno che non l‟onoravano li puniu in modo originale. << Adesso farete accussì assai puzza da lu pakkiu ca li mariti vostri andranno via, andranno a cercare purtusa altrove..>>. << No.. perdonaci..>> gridarono quelle. << Sta minkia, chi prima non pensa poi solo in kulo la poli pigliare>>. A Ippolito, che disdegnava le cose erotiche, lo fece cadere nelle mire sessuali della matrigna Ippolita. Con tutto quel che successe. Ma era anche molto assai protettiva con chi la amava. Protesse Paryde, fici si che Didone s‟addumassi di pakkio per suo figlio Enea, aiutò Giasone a fare cicchiti e ciacchiti con Medea. A proposito, con l‟amante Ares, figlio di Zeus, la figlia adottiva di Zeus, fici tra l‟altro Armonia. Armonia si maritò con Cadmo, e a Cadmo ci cacò tra l‟autru Semele. Semele la bella e ritrosa ca nun si capia chi minkia vulia. E Semele poi a Zeus ci cacò Dyonyso. E Dyonyso addivintò amante di Aphrodyte. La simenta si ricicla e si riincontra in un ciclo eterno e senza fine. <<Minkia, chi casinu, peggio di biutifullo. Meglio di Monypuzifullo. Meglio di Purciddopolifullo>> diceva la gente. --- Due strani figuri originari di Karleonthynoy e di Leonthynoy cercarono di calcolare teoricamente il numero teorico dei pila che avrebbe teoricamente potuto avere il pakkio spilato di Aphrodyte se spilato non fosse stato. << Quattro milioni di pila, teoricamente>> disse il tizio Karleonthynoy. << Otto milioni di pila, teoricamente>> disse il tizio di Leonthynoy. Un terzo tizio di Leonthynoy, che prese realmente in consegna i documenti, li perse realmente. Ma da Palermorum fecero sapere che teoricamente il numero massimo di li pila del pakkio di Aphrodyte poteva arrivare a quaranta milioni. Ma alla fine non se ne fece niente. Né teoricamente né realmente. Solo parole a minkia. La verità restò ancora una volta sconosciuta. Sia teoricamente che realmente. --<< La vita è una, come la minkia, e se non è un piacere vivere con la speranza di fikkariccilla ad Aphrodyte e di avere una bella minkia da donarle, a che minkia serve vivere e avere una bella minkia senza poterla almeno ideologicamente destinare alla bella Aphrodyte?>> era la variante, dedicata ad Aphrodyte, della domanda per cui era famoso il filosofo della minkia Sokratynos da Munypuzos. Homeryno Homokulum scrisse il Poema Afroditiade, Mhaxymylyanum Mhaxymylyanorum il Carmen Aphrodyte kunnus felix, e lo scrittore Paulorum Santhokrysos il romanzo Cent‟anni con Aphrodyte Kallipigia dal pakkio spilatu. Naturalmente lo scrittore aspettava ancora quella minkia di premio a minkia del Pattuallopolys di Leonthynoy e Karleonthynoy. Gli oligarchi delle due Tirrannopolys litigavano e facevano ridere non solo la Magna Grecia e la Grecia, ma anche i paesi che si affacciavano sul Mare Nostrum. Tutti ridevano, dalle Alpi alle Piramidi, dal Manzanarre al Reno. Ridevano divinamente anche gli dei dell‟Olympazzo. Ridevano a minkia cina. In particolare Zeus si skassava dalle risate e poi per divertimento lanciava folgori alla sanfasò sulle due polys, tanto per fare nu tanticchia di spettacolo illuminante. Eolo ciusciava forte ma tanto per fare nu spettacolo assai ventoso. Ares scatenava qualche lite di quartiere tanto per fare nu tanticchia di spettacolo litigioso. Anche Ade annacava la Trinacria tanto per fare spettacolo sismico. E Polifemo lanciava dei sassolini tanto per fare solo e soltanto la sua parte di litologico spettacolo. Efesto mittia in moto l‟Etna e facia sciri nu tanticchia di materiali piroclastici tanto per fare uno spettacolo pirotecnico. Solo Pryapo si mittia d‟impegno e si la minava in direzione delle due polys, tanto per fare anche lui spettacolo sì, ma spettacolo serio. Uno spettacolo di pulizia morale. Lui pinsava di inseminare tutta la popolazione con la speranza di creare un nuova stirpe, una stirpe di uomini onesti in tutto e per tutto. Niente più bugiardi ma solo e soprattutto degli uomini di parola. << Otto, quattro.. quattro, otto... Ma chi minkia me ne fotto... Quattro o otto milioni... Mi sono rotto i koglioni.. E li carti unni minkia stanu? E nu casinu sanu sanu.. Otto, quattro.. quattro, otto... Ma chi minkia me ne fotto... Otto, quattro.. quattro, otto... Una minkia al quadrato me ne fotto… >>. Le due polys avevano pertanto sempre tempeste furiose con tanto di tuoni e fulmini. Ma anche pioggia abbondante. Ma non pioggia di acqua. La pioggia che arrivava era la simenta di Pryapo. La simenta della nuova razza. Poi c‟erano gli altri materiali. Mancava solo la merda. Ma comunque tutto era uno spettacolo. Uno spettacolo, ovvero una illusione, come una illusione era stato il Pattuallopolys . Una premio a minkia cina al quadrato, un premio di merda al quadrato. Scatologia pura sperando nell‟escatologia vera. --Dyceomynkyopoly si chiese: << Ma in questa kazzo di Trinacria del kazzo ci sta un kazzo di giustizia o una giustizia del kazzo?>>. E si diede, nel suo essere giusto di testa e di ciolla, la risposta: << Pi mia ci sta solo una giustizia a minkia che ragiona a minkia e che viene gestita da uomini a minkia. Anzi, da uminicchi, mezzomini, pigliankulo e quaquaraquà, sempre a minkia però, perché purtroppo mancano gli uomini di minkia con tanto di koglioni..>>. In tanti lo applaudirono. Ma lui si chiese altro: << E voi, dei del kazzo, che minkia guardate? Siete guardoni o siete koglioni? Se ci siete, intervenite, altrimenti andate pure a fare in kulo almeno una volta. Ma anche quattro, otto o quaranta milioni volte. Non lasciate che i grandi koglioni schiavizzino i piccoli koglioni a loro uso e consumo. Il vostro silenzio è solo e soltanto il segno manifesto della vostra dichiarata inesistenza. È la vostra negazione tout court e full time >>. E ancora si addumannò: << E se c‟è un dio della merda, un teoscatà, che faccia la sua draconiana rivoluzione diacronicamente escatologica e sincronicamente scatologica per una tonitruante palingenesi totale con un nuovo ed originale diluvio universale, di merda però. Il vostro silenzio assenso, cari dei, è una nuova negazione della vostra esistenza. Perchè, cari dei a minkia che mi state sulla minkia, come dice il Secondo Principio dell‟Ateismo Geometrico, Se per un punto passano infinite rette, per una mente libera passano zero dei>>. --Aphrodyte , unni kazzu si? A circari mecci e kazzi e minkie? Sokratynos --Aphrodyte cercò di risolvere il mistero del Pattuallopolys di Leonthynoy e Karleonthynoy ma fallì. Pi minnitta maledisse le polys suddette gridando “Che le vostre mentule diventino sempre più piccole, inutili e sfatte”. Gorgia Megacephalomentula da Munypuzos, L‟Olympum e il mistero della batracomiomachia del Pattuallopolys di Leonthynoy e Karleonthynoy con i paralipomeni di Palermorum. Dyonyso, spirito e minkia dionisiaca Figlio di Zeus, dio dalla minkia di toro: alcuni dicono che a Dracano Semele ti concepì e ti partorì a Zeus signore del fulmine, altri a Icaro battuta dai venti, altri a Nasso, altri lungo il fiume Alfeo dai gorghi profondi; altri affermano che tu sei nato a Tebe, signore. Mentono tutti: il padre degli uomini e degli dèi ti generò lontano dalla gente, nascondendoti a Era dalle bianche braccia. C'è un altissimo monte chiamato come so io, fiorente di boschi, al di là del mare, vicino alle correnti di Trinacria .. a lei offriranno molte statue nei templi. E poiché ti tagliarono in tre parti, ogni tre anni gli uomini ti sacrifikeranno perfette ecatombi, per sempre.. Così dicendo, il Cronide accennò con le sopracciglia scure: i capelli divini ondeggiarono sul capo immortale del sovrano, che fece tremare il vasto Olympo. Così parlò il saggio Zeus, e diede un ordine con il capo. Siimi propizio, dio dalla minkia di toro, che dai la follia alle donne: noi aedi ti cantiamo all'inizio e alla fine, e chi ti dimentica non può intonare una sacra canzone. Così ti saluto, Dyonyso dalla minkia di toro, e saluto tua madre Semele, che è chiamata Thyone. Inno a Dyonyso, Inno omerico --Zeus appena viria nu bellu pakkiu si facia pigliare il firticchio nel piripikkio. E non si calmava se non a missione compiuta. Un giorno ci appitittò Semele detta la ritrosa. Bona, bella ma cu nu tanticchia di puzza sotto il naso. Mirava in alto. Mirava a qualche kazzo con la corona sulla koppola della minkia.. << Dammilla… che sono il capodio, e quindi anche il capominkia>>. << Sì.. certamente.. lu capustrunza sei..>>. << Sono Zeus, credimi. E che minkia devo fare per farmi arriconoscere? >>. << Vai a fare un giro, imitatore di Zeus e della sua minkia saettante>>. << Minkia, lu latti di brigghiu iacitu mi sta addivintannu>>. << No. E smettila, isozeus. E non mi pigliare per il kulo>>. << Sono Zeus, te lo giuro su mia stissu e sulla mia minkia>>. << Smettila. E vai a vedere se trovi n‟autru purtuso per sistemare la tua minkia. Oppure vai a fari lu iarrusu. A cercare una minkia per il tuo kulo>>. << Bella.. io voglio il tuo di portuso. Parola di Zeus..>>. << Vai bello.. vai a cercare altrove dove piazzare il tuo uccello>>. << Avà … dammilla>>. << No … manco a Zeus vero io la dugnu>>. << Senti, tu lo sai come la penso io. Io sono quello che o si consente o altrimenti io mi autoconsento>>. << Io non consento, autoconsentiti pure, se sei Zeus. Altrimenti vai a fare in kulo, tu e la tua minkia pure>>. Zeus, vecchio marpione kunnofilo, la ubriacò cu na bevanda divina e poi si la fici. Fu quasi uno stupro. O meglio, fu il solito stupro. Ma Zeus operava accussì. La sua simenta fecondò un uovo brillo. Poi la lassò incinta. Ma ogni volta che si la voleva fare prima la faceva ubriacare. Pertanto il picciriddu si nutriu di chista cosa. Una cosa che s‟usava nell‟Olympazzo. Oltre al nettare e all‟ambrosia, alla minkiosia e alla stikkiosia, si usava il “Divino Oinos“. Il nettare e l‟ambrosia erano il nutrimento corporeo, la minkiosia e la stikkiosia il nutrimento per gli organi sessuali, infine il “Divino Oinos” era lo stimolante cerebrale. Era una bevanda a contenuto alcolico di colore generalmente rosso che produceva Estia per i suoi misteri. Ed era un mistero come la faceva, ma tutti gli dei si la sukavano alla sanfasò e diventavano allegri. Allegri di testa e di minkia. << Ubriaca di “Divino Oinos“ idda, ubriaco di “Divino Oinos“ lu picciriddu, e naturalmente ubriaco di “Divino Oinos“ io. E io mi la trummiu da dio>> diceva Zeus. Semele era incinta ed era anche contenta. Aveva fatto la preziosa ma quel signore di mezza età si era assai inkazzato. A un certo punto ci aveva fatto bere una bevanda misteriosa, poi ci avia dato da bere lu latti di brigghiu e infine ci l‟avia fikkata d‟autorità. E ci avia addimostrato di essere Zeus. << Guardami la koppola della minkia>> ci avia dittu. Su quella koppola stava la Z di Zeus. E quella “zeta“ al fosforo, cu lu scuru, addivintata fosforescente. Tutti conoscevano questa caratteristica di Zeus. Adesso la conosceva anche Semele, la figlia di Cadmo e Armonia, la nipote di Aphrodyte. << Minkia, la minkia di Zeus hai>>. << Zeus sono>>. << Ragione hai. Se hai la minkia di Zeus non puoi che essere Zeus>>. Allora la ritrosa Semele era iuta in brodo di giuggiole; avissa vulutu gridare al mondo interro che quell‟uomo che si abbandonava tra le sue cosce era Zeus in persona. E che quel figlio che portava nella panza era figlio di Zeus. Simenta divina stava criscennu dintra la sua panza. << Non fare pubblicità, il figlio di Zeus non ha bisogno della pubblicità. E già destinato ad essere una grande divinità, come tua nonna Aphrodyte e tuo nonno Ares. Che Ares poi è figlio mio e di Era, pertanto tu sei mia nipote. E la simenta della mia simenta non ha bisogno di pubblicità>> ci disse Zeus a Semele. La moglie di Zeus, sospettosa e gelosa delle avventure ciollesche del marito, nelle vesti della nutrice della picciotta, si fici confessare il nome dell‟amante. <<Voglio la conferma. La buttana di mia nipote me lo deve confessare. Idda, con la sua boccuccia di sukaminkia specializzata, me lo deve dire automaticamente perchè come una fissa deve cadere nel mio tranello. Pertanto ora ti sistemo io, buttanella ranni>> pinsò Era. << Bella bella, dillo a mia cu minkia fu? Cu fu? Quale testa di minkia fu? Quale minkia fu?>>. << Zeus>>. << Non ci credo. Cu minkia fu?>>. << Zeus>>. << Senti, io non ci criru che fu Zeus a fikkariti la ciolla nel portaciolla. Qualche mascolo furbastro ti pigliò per il kulo e si approfittò di te. Zeus è una persona seria e poi tu sei sua parente>>. << E chi kazzu ci fa. Lu kazzu putenti si ni futti se la fika è parenti>>. << Allora, per vedere se è veramente lui, addomandagli di manifestarsi in tutta la sua potenza, possanza e prestanza, non solo minkiolesca. Dicci “Se si tu veramenti, pi carità, fammi abbidiri la tua luminosità”>>. <<Lo farò>>. Semele lo fece. Zeus cercò di evitare la manifestazione della suo potenza. Ma quella insistette. << Allora non sei Zeus>>. << Ti accontenterò, ma non ti lamentare poi per le conseguenze>>. E l‟accontentò. Ma la femmina, a causa di quella luminosità spendente e radiante, si ridusse in cenere. Allora Zeus, per salvare suo figlio, prese il feto e, fattosi un taglio nella coscia, ci lu fikkau dintra. In questo nuovo ambiente Dyonyso completò lo sviluppo corporeo. Accussì nasciu il piccolo cornuto e anguicrinito Dyonyso. E Dyonyso vuol dire “nato due volte”. Qualcuno dice “nato tre volte”. Dyonyso. Nato due o tre volte? Nato dalla panza della madre. E una. Nato dalla coscia di Zeus. E fu la sekunna. Ma la terza qual è? In realtà ci sta la protoprima nasciuta. Ma qual è? Dyonyso s‟era già chiamato Zagreo. Ed era il figlio che Zeus aveva fatto fare a sua figlia Persefone, figlia fatta con la sorella Demetra. E quel figlio fatto con la figlia doveva essere anche l‟erede riconosciuto di Zeus, il capodio di un futuro lontanissimo. Ma Era lo odiava questo diuzzo futuro capodio. << Io sono la moglie legittima. Un figlio mio deve diventare l‟erede, e non quel figlio di buttana di Zagreo, figlio di quella buttana di mia nipote Persefone, a sua volta figlia di quella buttanazza di mia sorella Demetra che si la fece a suo tempo infilare nel pakkio da mio marito Zeus. Nun poli questo strunzo illegittimo di Zagreo pigliare il posto della prole legittima, nun poli. Pertanto Zagreo deve morire, e che kazzo. Deve morire, morire e basta>>. E per un suo ordine perentorio i Titani lo fecero a pezzi. << Smembratelo, che poi vi faccio fare una fikkata titanica, una fikkata titanica per la vostra titanica minkia>>. Si salvarono solo il cuore e la ciolla. Qualcuno dice solo il cuore. I più propendono per la sola minkia. Che Pallade Atena recuperò e portò a suo padre Zeus. Questi due pezzi, o forse uno solo, furono poi riutilizzati per generare Dyonyso. Prima della prima fottuta Zeus pigliò la ciolla e il cuore di Zagreo e li catafuttiu dintra la filazza di Semele. E poi, a forza di spingere con la minkia, ci li fikkau dintra assai assai. E quei due pezzi unici furono usati per assembrare Dyonyso. In nuovo figlio di Zeus aveva la ciolla e il cuore di Zagreo. Probabilmente aveva solo la ciolla. Pertanto Zagreo fu la prima nascita, la sciuta dalla panza di Semele la seconda, e infine la sciuta dalla coscia divina la terza e definitiva. Ma il picciriddu avia assunto troppo alcol. Nelle sue vene aveva poco sangue ma assai “Divino Oinos”. E quannu sciu dalla coscia del padre anziché ciangiri riria. La tipica risata dei brilli, la specifika risata dello “spirito dionisiaco”. << Portatemi del nettare>> disse Zeus. Ma lu picciriddu nun lu vosi. << Portatemi dell‟ambrosia>> . Ma Dyonyso non la volle. << E chi minkia ciama dari? >> si chiese Zeus. << Ihhhh.. ahhhh.. uhhhh.. ihhhh.. >> rideva Dyonyso. << Portemi nu tanticchia di stikkiosia e di minkiosia>>. Dyonyso rifiutò anche quel cibo. Mise solo una manina nella minkiosia e si la incilippiò alla grande. Poi, anziché sulla bocca, si stricau la sostanza sulla ciollina. << Chi minkia ci devo dare? >> si chiese Zeus, nu tanticchia disperato. Dyonyso col ditino indicò la coppa che Zeus teneva in mano per brindare. << Minkia, voli il “ Divino Oinos” >>. Lu picciriddu fu pertanto nutrito con questa che era la quinta fonte alimentare dell‟Olympazzo. Pertanto era sempre brillo e sautava come nu pazzarieddu. Ma ci stava na fimminazza ca nun lu putia viriri. << Lu scannu.. l‟ammazzu.. lo devo levare dalla circolazione.. >> Per evitare complicazioni il nuovo nato fu affidato ai parenti della moglie affinché lo crescessero. Queste, per proteggerlo meglio da Era, le vestirono a fimminedda. E per nutrirlo, piuttosto che latte, che il picciriddu rifiutava, gli davano “Tragos” e miele, ovvero birra e miele. << Suka, suka lu meli. Suka ca è duci e pure tu addiventi duci. Suka, ca prima o poi sarai sukatu. E chiù duci sarai, chiù assai sarai sukato. E suka, suka, suka lu “Tragos” ca ti fa bene alla testa e al pene>>. Ma in realtà il picciriddu ricercava il sapore perduto del “Divino Oinos”. Ma Era, non trovando il piccolo Dyonyso, fece impazzire i parenti. << Io proteggerò mio figlio Dyonyso dalla minnitta di Era, e farò in modo che faccia un bel regalo agli uomini. Per quanto riguarda l‟eredità si vedrà. Diamo tempo al tempo. Se lo meriterà, addiventerà il novello Zeus quannu iu me ne andrò in pensione>>. In seguito, sempre per proteggerlo dai nemici, Dyonyso fu trasformato in capretto, un capretto strano. E il capretto si facia tutte le caprette possibili. Le prime esperienze amorose di Dyonyso furono esperienze zoofile. E anche da capretto vulia non latte ma “Tragos” e miele. Era pertanto sempre brillo e dolce assai assaissimo. Ma in realtà l‟armaruzzu ricercava ancora una volta il sapore perduto del “Divino Oinos”. Ma Era fece impazzire tutti i pastori di capre. A Dyonyso lo salvò Sileno. Lo salvò per ordine di Zeus. Tornato caruseddu Dyonyso fu ancora vestito da femminuccia e cresciuto con le ragazze. Sotto lo sguardo finto severo di Sileno. E sukava sempre meli e “Tragos”. Sperannu di ritrovare il sapore perduto del “Divino Oinos”. Dyonyso era dunque sempre più dolce e sempre più brillo. Sia di ciriveddu che d‟aceddu. Il caruseddu criscia molliccio, come una ragazzina. Sempre più effeminato addiventava, più duci, ma anche chiù bello o bella dir si voglia. E Dyonyso, nelle sue vesti femminili, fece innamorare tutte le compagne. << Iucamu a lu ammuccia ammuccia>> proponeva Teofrasta. Giocavano un po‟. Poi cambiavamo gioco. << Giochiamo a mosca cieca>> proponeva Lesbia. E giocavano pi nu tanticchia. E la benda gira e rigira vinia messa sempre a Dyonyso che vestito da fimminedda facia la sua bella cumparsa. Ma in realtà tutte le compagne sapevano che quello era un mascolo. L‟avevano scoperto a suo tempo, quannu avevano notato il diverso modo di pisciare. E giocando giocando ne avevano fatto un gioco. << Vediamo chi piscia più distante>> diceva una delle ragazze. E mente le femmine si mettevamo kulo a ponte per lanciare lo schizzo il più lontano possibile, Dyonyso si la scia, la mittia in posizione, e pisciava a suo modo . Con le sue capacità e le sue abilità. La ragazzine avevano anche notato che il minkiolino non era sempre lo stesso. A volte era chiù nicu, a volte più grande, a volte siccu, a volte più grosso, a volte mollo e a volte duro. Ma il gioco che amavano di più era la Caccia Cieca al Tesoro Nascosto. Le ragazze erano le cacciatrici, Dyonyso il cacciatore e il tesoro era la ciolletta. Giocavano nelle campagne, in mezzo all‟erba verde, in mezzo al grano, e se c‟era caldo, nelle piscine del Palazzicchio Realicchio. A volte, nei giardini, tra fiori e arbusti delicati, col solo ciauru tutti andavano in estasi. Se invece c‟era freddo giocavano negli appartamenti dei bambini. Le ragazzine bendate cercavano Dyonyso bendato, e una volta che lo acchiappavano, per capire se era lui o una ragazzina, andavano a controllare. Naturalmente, con tempi diversi, Dyonyso veniva intercettato da tutti. E allora era uno scorrere di mani femminili alla ricerca del tesoro. Che poi, una volta trovato, sottoposto a tutte quelle manipolazione, finia per versare il latte di brigghiu. Con quelle compagne Dyonyso sperimentò il sesso etero in tutte le sue forme. Sotto l‟estasi birresca era bello trasiri il suo spirito dionisiaco nell„antro del piacere. Che avia un bel sapore, una sapore a cui però mancava qualche cosa. Iddu personalmente l‟avrebbe condito con un po‟ di “Divino Oinos”. Quella bevanda si la sunnava notte e giorno , giorno e notte; e avissa vulutu addivintari iddu stissu una sorgente di “Divino Oinos”. Anziché pisciare latti di brigghiu o cangiarici l‟acqua alle olive avrebbe voluto diventare una fontana vivente di “Divino Oinos”. Sicuro e convinto com‟era che quella bevanda divina sarebbe diventata quella preferita dagli uomini. Ma intanto non sapeva dove reperirla. E andava avanti a “Tragos” e miele. Era si brillo ma anche dolce, dolce, dolce.. anzi, dolcissimo. --Dyonyso, sotto forma di ragazzina, fece innamorare perdutamente Ampelo. O s‟innamorò di Ampelo. Un mascolo con un altro mascolo ma con Dyonyso vestito da femminuccia. Impossibile dire quel che passò nelle teste dei due mentre sukavano “Tragos“ e meli alla sanfasò. La birra ci mittia allegria in testa, nel cori e nell‟augello. Il miele addolciva tutto. Impossibile dire se Ampelo, nel momento in cui perse testa, core a aceddu per Dyonyso, sapeva che quello era senza filazza ma con una bella ciolla come la sua. Impossibile dire se Ampelo quannu allungau la mano era cosciente o era sotto l‟ebbrezza data dal “Tragos”. Impossibile dire se Dyonyso quannu lassau ca la manu dell‟amicu scinnissi verso il basso era cosciente o sotto l‟effetto del “Tragos”. Impossibile dire se Ampelo circava un mascolo o una fimmina. Impossibile dire se Ampelo quannu attruvò una ciolla si l‟aspettava o s‟aspettava altro. Sta di fatto ca quannu cu la manu scinniu a circari la fonti della verità si attruvò na bedda corda di sasizza. Ma non disse un kazzo. Come dire “chistu attruvai e chistu mi suku”. Impossibile dire se era contento oppure no. Sta di fatto che continua ad operare con quel citrolo carnoso. E si dissetò a quella fonte come già facevano le ragazze. Impossibile dire se Ampelo lo fece per scelta o per convinzione o perchè tanto che c‟era era meglio pigliarsi quello che passava il convento. E tra una sukata di birra e l‟altra, tra una sukata di meli e l‟autra, Ampelo che faceva il mascolo della situazione ci la sukò all‟amico e poi ci la piazzò nel kulo. Toccò a Dyonyso fare altrettanto. E qui successe il miracolo. Minkia chi miracolo. Impossibile sapere la verità ma secondo tanti mitologi ci trasi Zeus in persona che astrummintò questo espediente per fare un regalo a suo figlio pur sapendo che quello era generoso e l‟avissa dato in regalo agli uomini. Impossibile sapere perchè il maschiò Ampelo sukò per primo e il femmineo Dyonyso per secondo. Impossibile sapere se Ampelo circava una filazza da alliccare e trovò una fontana che pisciava latte di brigghiu. Dyonyso era timido e Ampelo ci disse: << Sukimilla.. sukimilla..>>. Dyonyso fece, con calma e passione. E intanto che la passione cresceva la calma vinni meno, il ritmo divenne ossessivo. Pare che da quella fontana si aspettasse la vita, il miracolo, la sorpresa, la felicità. E così fu. Quannu la simenta impetuosa dai testikulos di Ampelo si riversò nella bocca di Dyonyso quello sukò fino all‟ultimo. E poi, quannu non ne usciva più una stizza, si mise a sautare. A sautare come un pazzo. << L‟ho trovato, l‟ho trovato, il “Divino Oinos“ l‟ho trovato. Il “Divino Oinos”>>. E in preda allo spirito dionisiaco si ittau addosso al caruso e ci la sbattiu con impeto nel kulo. Né timidezza né paura era rimasta in Dyonyso, ma solo voglia di dimostrare, di esibire, di fare. E Dyonyso fece, dimostrò, esibì. Ampelo non disse niente. Lasciò fare, aveva conosciuto un altro Dyonyso, ma quello dopo aver assaggiato il suo latte di brigghiu, era come sciutu pazzo. Altro che effetto del “Tragos”. Quello era in uno stato di ebbrezza allucinante, tanto che lui si chiese: <<Ma per caso il latte di brigghiu mio è allucinogeno?>>. Dagli effetti paria di si. Poi, con calma , Dyonyso ci spiegò che il suo latte personale avia lo stesso sapore e colore del “Divino Oinos” dell‟Olympazzo. << Minkia, la mia ciolla piscia la bevanda divina>>, << La tua ciolla piscia il “Divino Oinos” >> rispose Dyonyso. Nessuno si rese conto che quello era un miracolo, un miracolo fatto da Zeus. << Sukaminilla.. sukaminilla..>> si dicevano spesso i due amanti. Il latte di brigghiu di Ampelo era diverso, era rossastro e dava euforia. Era diverso dal suo. Riceverlo nel protostoma o nel deuterostoma gli dava euforia, ebbrezza, gioia, felicità. E quest‟amore sukante e sukato andava a gonfie vele, ma era anche inchiappettante. Poi l‟amichetto di cervello e uccello morì, scaraventato a terra da un toro. Tutto successe nel bosco di Mynkyalonya per i soliti casi del kazzo. Per le solite gelosie sessuali.. amorose.. pelose ... e robba del genere. << Noooo.. >> gridò Dyonyso. E voleva morire anche lui. Ma non c‟era niente da fare. Ampelo era un mortale. Dyonyso lo seppellì e basta. Lo seppellì ai piedi del monte Munypuzos. Per il resto Dyonyso era un dio e non poteva piangere. Ma si sforzò tanto che pianse. Non le solite lacrime. Erano rossastre e quannu ci arrivanu na la ucca si accorse che avevano lo stesso sapore del latte di brigghiu di Ampelo. Da quella sera Dyonyso piangeva spesso, piangeva per il dolore, piangeva per bersi le sue lacrime. I suoi occhi pisciavano lacrime di “Divino Oinos”. --- Zeus per consolarlo gli assegnò un precettore molto simpatico. Quel Sileno che già aveva avuto a che fare con Dyonyso. Ma il dio non se lo ricordava più. Piccolo, obeso, ciolluto e che girava sempre su un asino. Ma soprattutto metteva allegria a tutti. Sileno, come detto, il suo nome. E Sileno tinia appresso sempre una grande quantità di picciriddi, i Sileni, i figli che lui facia solo con donne grasse come lui. Al solo vederlo Dyonyso rise. Stava piangendo come una femminuccia sulla tomba del suo amato Ampelo, quannu intisi risate di picciriddi. Si girò e vide l‟insolito corteo. E passò dal pianto al riso. Sileno lo fece sorridere subito all‟addolorato Dyonyso con la sua semplice apparizione. Un uomo obeso, nudo, con una panza spaventosa, una ciolla eretta, a cavallo di nu sciccareddu che forse ragliava di dolore per il troppo peso che portava. E l‟asino trasportava pure due grossi otri. E intorno tanti picciriddi nudi, obesi e col loro piccolo otre. < <Chi minkia sei?>> gli chiese Dyonyso ridendo. << Il tuo panzapedagogo, il tuo pallaprecettore. Mi chiamo Sileno , la mia panza si chiama Silenpanza, il mio ciollo si chiama Silenminkia, le mie palle si chiamano i gemelli di Sileno e questa borraccia è il “Tragos” di Sileno. E io la suku sempre. Idda mi mette allegria assai assai. E questo è il mio asino, Silenscecco. E tutti questi picciriddi sono i miei figli. i Sileni. Lu sceccu e i picciriddi sukunu anche loro “Tragos” a tutta minkia. A minkia di sceccu lu sceccu e a cicidda i picciriddi>>. << E come si chiamano i picciriddi?>>. << Ognuno ha il suo nome, ma io li chiamo Rompikoglionisilenici>>. << Rompiamo i koglioni a papà.. rompiamo i koglioni a papà.. papà ci ha chiamato.. rompiamogli i koglioni.>> gridarono i picciriddi. Dyonyso rise. Sileno scese dallo scecco e muovendosi come si muovono gli obesi iniziò a gridare: << Rompikoglionisilenici sciò.. scio.. sciò>>. << Io sono Dy…>> << Lo so chi sei>> rispose Sileno che ad ogni passo ci abballava la panza << E Zeus che mi manda. Io non volevo accettare, ma Zeus mi disse che tu inventerai una bevanda chiù bella del “Tragos”, e allora io vinni di corsa. A parte che Zeus mi aveva detto “io mi consento e se non consenti mi autoconsento. Tu ti devi sukare a mio figlio, ma mio figlio si deve sukare a tia e a tutti li to figghi e non so per chi la cosa sarà vantaggiosa. Non so se sarà lui a romperti i koglioni a te o sarai tu a romperli a lui. I tuoi figli comunque li romperanno a tutti e due”. E quindi, come vedi, sono qui per ordine di tuo padre, per romperti i koglioni assai. E pure loro sono qui per la stessa cosa. Su, Rompikoglionisilenici, rompeteci li baddi a questo picciutteddu addolorato dalla morte dell‟amante amato dalla ciolla bella e stolla che pisciava un latte particolare>>. << Rompiamo i koglioni a Dyonyso.. rompiamo i koglioni a Dyonyso..>>. Dyonyso rise ancora nel vedersi addosso tutti quei piccoli Sileni obesi e brilli. E brillo era pure lu sceccu. << Minkia chi su simpatici. Skassano la minkia ma su simpatici>>. Quella notte Dyonyso dormì tranquillo. E fece un bel sogno. Sono Ampelo.. sono morto io ma non il mio succo d‟amore … quello che tu chiamavi “Divino Oinos” veniva fuori dai miei testicoli.. che non erano più i soliti testimoni.. erano diventati i miei due chicchi personali .. per volontà e mistero di cui solo Zeus è a conoscenza.. da questi chicchi nascerà una pianta nuova … grappoli di testicoli o koglioni a grappolo.. non importa il nome.. e quando i frutti saranno maturi tu ne estrarrai il succo e lo farai fermentare.. ci penseranno i saccarominkiceti... sono armaruzzu nichi nichi ca nun si vidunu ma ca stanu sui chicchi.. ci penseranno loro a fare il miracolo... quello che otterrai avrà il sapore del mio succo d‟amore.. chiama la pianta come vuoi.. e lo stesso il succo finale che otterrai.. e ubriacati del mio succo estatico.. dionisiaco.. ampelico.. minkionino.. sii sempre ebbro di me.. e dona questo regalo agli uomini affinché anche loro siano sempre ebbri di me.. il mondo ebbro sarà chiù bello del mondo astemio.. le ciolle ebbre e i kunni ebbri lavoreranno meglio.. l‟ebbrezza abbasserà la soglia inibitoria... e tutti faranno l‟amore.. come noi o in altra maniera.. viva le mie palle e il mio succo.. viva Dyonyso … viva chiù assai ancora Dyonyso brillo.. viva l‟ebbrezza.. viva il succo dell‟ebbrezza.. viva il succo dei miei koglioni.. parola di Ampelo e dei suoi testicoli alcolici. --Dyonyso ogni giorno lo passava accanto alla tomba. Poco distante, senza perderlo di vista, ci stava Sileno. Gli era stato dato come precettore. Seguito dai suoi picciriddi, i Sileni. Sileno cummattia con somma pazienza pure col dio. Ca era chiù casinista e rumpibaddi di tutti i Sileni mesi insieme. Dyonyso vide nascere e crescere la pianta. Vide i grappoli di testicoli, li raccolse e li schiacciò. Il succo fermentato aveva qual sapore mai dimenticato, e dava la stessa ebbrezza. <<“Divino Oinos”.“Divino Oinos”. Lo chiamerò “skulo divino” >> disse Dyonyso. Lo spirito ampelico era diventato lo spirito dionisiaco. << Skulo divino.. skulo divino..>> gridava Sileno << Skulo divino.. skulo divino..>> gridavano i sileni. << Ihhhhhhh… ihhhhhhh…ihhhhhhh…>> ragliava lu sceccu di Sileno. Anche lui voleva dire “skulo divino”. Ma ai Sileni ci vinia chiù facile chiamarlo “Vino”. Dyonyso col tempo perfezionò l‟arte della viticoltura e il meccanismo della vinifikazione. Sulle sponde del monte Munypuzos, con l‟aiuto di Sileno, dei suoi figli e delle donne dei suoi figli, che erano diventate sue seguaci e si facevano chiamare Menadi anche loro. Col loro aiuto nasciu la coltivazione dell‟uva, dei grappoli di testicoli di Ampelo. E nasciu pure la fermentazione di lu “skulu divino“. Per ottenere quello che alla fine fu chiamato semplicemente “vino” ma che in realtà era “divino”. Divino per gli effetti. Divino per piacere. Divino per tutto e in tutto. Era semplicemente divino. E Dyonyso, nella sua somma e incommensurabile bontà, fici chistu regalo agli uomini. Ma soprattutto Dyonyso scoprì che il vino aiuta a fare sesso, che il vino abbassa la soglia dell‟inibizione, che libera la ciolla e il kunno che è in noi, che li fa operare meglio e con libertà infinita. La prova la ebbe dalle sue compagne più ritrose, quelle che mai avevano giocato alla Caccia al Tesoro con lui, quelle che si erano limitate a guardare e che adesso, sotto l‟ebbrezza delle spirito dionisiaco, si erano scatenate al mille per mille. Menadi di nome e di fatto, donne invasare di nome e di fatto, invasate di vino.. di minkia.. di tutto.. ma invasate e belle proprio per quell‟invasamento. << Grazie, Dyonyso, la nostre vita è cambiata in meglio>> dicevano. Dyonyso si convinse che il sesso era la cosa più divertente del mondo, che bisognava farlo a iosa, alla sanfasò e finanche a tinchitè. E sempre allegro com‟era facia amicizia con tutti. Restò legatissimo a suo precettore Sileno che con i suoi figli, i Sileni, fu tra i primi suoi seguaci. Poi arrivarono i Satiri. E soprattutto arrivò la materia prima per fare fikka-fikka. Diventò abbondante, numerosissima. Le prime Menadi, le sue compagne di giochi, fecero discepole alla sanfasò. Le donne invasate suonavano, bevevano e fikkavano. Il corteo che seguiva Dyonyso era uno spettacolo. Vestiti di pelle lacerata, truccatissimi, ma anche mezzi nudi. Si vedeva tutto e non si vedeva un kazzo. Da quelle pelli lacerate uscivano braccia, cosce, seni, natiche, ciolle e pakki. E intanto che ballavano invasati dallo spirito dionisiaco agitavano il tirso. Un bastone con stralci d‟edera e di vite e con una pigna falliforme in cima. La gente taliava il corteo aspettando di vedere qualcosa. Soprattutto volevano vedere la sede dello spirito dionisiaco che stava tra le cosce dei mascoli e delle femmine. La gente purtroppo era materiale assai e non capiva che lo spirito dionisiaco stava nella testa. Tutti loro avevano una ciolla o un pakkio come i seguaci di Dyonyso, ma non li sapevamo usare come loro. Avevano gi strumenti di Dyonyso ma non il suo spirito. Pertanto i libertari applaudivano sia Dyonyso che i suoi seguaci, i moralisti invece lo volevano bloccare, distruggere, eliminare. Che spettacolo comunque le processioni dionisiache, che finivano sempre con una bella orgia. << Sukate e risukate “skulo di vino”, vi sentirete dii in terra. Sukate e risukate e poi sukate ancora, questo è lo skulo delle palle del mio amato Ampelo.. sukate.. sukate orsù …>>. Era, gelosa di Dyonyso come di tanti altri figli di Zeus, lo fece pure impazzire. Ma lui, che capì la cosa, fece il finto pazzo. La sua pazzia era lo spirito dionisiaco, era l‟ebbrezza del suo divino vino, era il suo ciriveddu brillo e la sua ciolla briaca. Girò il mondo da “pazzo” e visse tante avventure sempre da “pazzo”. E da “pazzo” cantava insieme ai Satiri, ai Sileni e alle Menadi. << Iu sugnu pazzu … vuoiu nu sticciazzu ..>>. Le Menadi rispondevano: << Iu sugnu pazza … datemi na minciazza..>>. La pazzia alcolica di Dyonyso e la follia erotica della sua ciolla non furono accettati da tanti. Lo spirito dionisiaco non piaceva ai moralisti del kazzo. Licurgo, re degli Edoglioni, cercò di ammazzare il dio, ma lui riuscì a scappare, trovando rifugio tra le accoglienti cosce di Teti. Licurgo poco dopo impazzì e poi fece una malissima fine. Si scontrò col cugino-re Penteo, re di Tebicchio. Non riconosciuto come dio, Dyonyso arrivò nella polys sotto forma di un bel fanciullo alla guida di invasate, assatanate e minkiadesideranti Menadi e di stikkiocercanti Satiri e Sileni. E tutte le donne della polys, invasate dalla ciolla divina, corsero sul monte Citerokazzone per una divertente orgia. Poi Agave, in preda alla possessione alcolica, scambiò il figlio Penteo per un leone e si lu mangiau. Dyonyso fu anche fatto prigioniero da alcuni marinai che prima volevano violentarlo ma poi decisero di venderlo come schiavo. << Nu maskulu accussì beddu vali assai sia col kulo rotto che col kulo sano. Ma col kulo sano vale di più>> si erano detti. E lo tenevano nudo, legato a un albero della nave. Ma Dyonyso fece un miracolo. Il mare divento vino, la nave si ubriacò, le vele si strapparono, gli alberi misero grappoli su grappoli d‟uva e i marinai, pazzi, si buttarono a mare. Pure Dyonyso si buttò a mare e salvò il timoniere Acoete, l‟unico che si era opposto sia all‟idea delle violenze che a quella della vendita come schiavo. << Aggrappati alla mia ciolla>> ci disse. E a nuoto lo portò in salvo fino alla prima isola. Acoete divenne sacerdote dei riti dionisiaci. Se lui era pazzo per volere di Era, poteva pazziare. Invece era solo brillo per sua spontanea volontà. Quindi poteva fare minkiate alla sanfasò. Le figlie di Minia non vollero partecipare all‟orgia. Dyonyso le fece impazzire; e quelle divorarono i propri figli iniziando dalla ciolla. Le figlie di re Preto non vollero festeggiare in suo onore. Persero la ragione e credendosi vacche carnivore mangiarono i loro figli incominciando dalla minkia. In Etolia Dyonyso fu accolto benissimo da re Eneo che gli offrì anche la propria moglie Altea per dare un po‟ di ristoro al suo divino augello. E quella gli sfigò Deianira. Dyonyso sposò Arianna e ci fece cagare tanti figli. Andò in Egitto, in Siria, in Frigia. Arrivò sul fiume Eufrate e con un ponte di edera e viti passò in India; arrivò fino al sacro Gange. Dovunque fu onorato e incontrò finanche i colleghi. Democraticamente, da dio a dio. E intanto fikkava a tinchitè, con donne terresti e con divinità. Una delle più belle avventure fu con Aphrodyte che gli cacò chiddu beddu spikkiu di minkia impertinente di Pryapo. Era comunque sempre allegro Dyonyso . E si facia fimmini a iosa e alla sanfasò. Le ubriacava e poi si li trummiava. Generalmente facia accussì, ma con Aphrodyte fu amore … passione.. Come con Arianna... come con altre .. ma se amore non fu sempre, lo spirito dionisiaco sempre lui fu. << Briacatevi di vino sia lu ciriveddu ca la ciolla, e futtiti. Ca la vita è chiù bella se la ciolla è brilla>>. Dyonyso aveva regalato all‟umanità il “Divino Oinos”. --Ma nella sua testa ebbra Dyonyso decise di fare un figlio speciale con una femmina speciale, magari cu na dia. L‟unica dia degna di ricevere il suo spirito dionisiaco era Aphrodyte. Pertanto decise che con lei prima o poi doveva fare un figlio, un figlio speciale. Doveva fare un figlio con la dea dal pakkio spilato, un figlio che doveva essere la quintessenza dello spirito dionisiaco. Doveva non solo possederlo ma anche dimostrarlo al mondo. E per dimostrarlo doveva avere un grande aceddu. Una grande minkia. In fondo lui era il figlio di Zeus, probabilmente il suo erede al trono dell‟Olympazzo. Solo che Zeus, il primo dei buttanieri, censurava le sue troppe ebbrezze, anzi, la sua ebbrezza continua. Forse fare un figlio con certe caratteristiche, lo scettro di carne, poteva essere positivo. Lui poteva restare libero di dedicarsi alla sua ebbrezza e pertanto continuare a mittilla in kulo al potere reale, e il potere reale, a cui lui non aspirava, per non essere prigioniero del ruolo, sarebbe passato dal nonno al nipote. E fare quel figlio con Aphrodyte, che era la figlia adottiva di Zeus e la sua musafika ispiratrice, era la migliore delle soluzioni possibili. L‟erede al trono dell‟Olympazzo sarebbe stato figlio del figlio di Zeus e della sua figlia adottiva. Un nipote biologico e adottivo. Un quasi incesto per farlo. Ma nell‟Olympazzo l‟incesto era la norma, anche perché Zeus, qual pakkione spilato di Aphrodyte, si lo sarebbe fatto da sempre. Minkia, se se lo sarebbe fatto. Alla sanfasò e a tempo pieno . Potenza dell‟aceddu divino permettendo. Un giorno Dyonyso convocò la sua corte allegra e ebbra e diede loro la notizia. << Brindiamo al futuro re dell‟Olympazzo, a mio figlio, a quel figlio bello e minkiuto che io farò con Aphrodyte. Sarà bello come a mia ma avrà un aceddu più grande>>. Brindarono tutti alla sanfasò. --Due strani figuri originari di Karleonthynoy e di Leonthynoy cercarono di calcolare il numero dei Koglionometri di “Divino oinos” sukati da Dyonyso prima di inciollare il kunno spilato di Aphrodyte e di seminare Pryapo. Tanto per capacitarsi sullo stato alcolico del dio. Sul “punto ebbrezza”. Ebbrezza di testa e ebbrezza di minkia naturalmente. << Quattro milioni di koglionometri di “Divino oinos” doc. Quattro milioni ben distillati. Quasi goccia a goccia >> disse il tizio Karleonthynoy. << Otto milioni di koglionometri di “Divino oinos” doc e fatto ad hoc. E distillati con somma capacità distillatoria. Koglionometro su koglionometro>> disse il tizio di Leonthynoy. Un terzo tizio di Leonthynoy, che prese in consegna i documenti, li perse. Ma da Palermorum fecero sapere che il numero massimo dei koglionometri di “Divino oinos” sukati da Dyonyso poteva arrivare a quaranta milioni di koglionometri. Ma alla fine non se ne fece niente. Solo parole a minkia. La verità restò ancora una volta sconosciuta. --<< La vita è una, come la minkia, e se non è un piacere vivere in stato di ebbrezza e avere una minkia sempre ebbra da infilare dove capita, a che minkia serve vivere sukando “Divino Oinos” e avere una minkia sempre allegra?>> era la variante, dedicata a Dyonyso, della domanda per cui era famoso il filosofo della minkia Sokratynos da Munypuzos. --Homeryno Homokulum scrisse il Poema Dionisiade, Mhaxymylyanum Mhaxymylyanorum il Carmen Dionysyus aves ebrius, e lo scrittore Paulorum Santhokrysos il romanzo Cent‟anni con Dyonyso e la sua minkia brilla. Naturalmente lo scrittore aspettava ancora quella minkia di premio a minkia del Pattuallopolys . Gli oligarchi delle due Tirrannopolys litigavano e facevano ridere non solo la Magna Grecia e la Grecia, ma anche i paesi che si affacciavano sul Mare Nostrum. Ridevano tutti, dalle Alpi alle Piramide, dal Manzanarre al Reno. Ridevano divinamente anche gli dei dell‟Olympazzo. Ridevano a minkia cina. In particolare Zeus si skassava dalle risate e poi per divertimento lanciava folgori alla sanfasò sulle due polys, tanto per fare nu tanticchia di spettacolo brillante. Eolo ciusciava forte ma tanto per fare nu spettacolo assai ventoso. Ares scatenava qualche lite di quartiere tanto per fare nu tanticchia di spettacolo guerresco. Anche Ade annacava la Trinacria tanto per fare spettacolo sismico. E Polifemo lanciava dei sassolini tanto per fare solo e soltanto la sua parte di petrografico spettacolo. Efesto mittia in moto l‟Etna e facia sciri nu tanticchia di materiali piroclastici tanto per fare uno spettacolo pirotecnico. Solo Pryapo si mittia d‟impegno e si la minava in direzione delle due polys, tanto per fare anche lui spettacolo sì, ma spettacolo serio. Uno spettacolo di pulizia morale. Lui pinsava di inseminare tutta la popolazione con la speranza di creare un nuova stirpe, una stirpe di uomini onesti in tutto e per tutto. Niente più bugiardi ma solo e soprattutto degli uomini di paro