Pryapo: il dio dei bordelli

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Pryapo: il dio dei bordelli
RUPERT SANTORO EX PAOLO
PRYAPO:
IL DIO DEI BORDELLI
RUPERT SANTORO EX PAOLO
PRYAPO: IL DIO DEI BORDELLI
Questo libro è da Guinness dei primati.
Non credo ci sia un testo con tante “parolacce”.
Parolacce in senso “piccoluccio-borghesuccio”.
Ma il vero Guinness non sono le parolacce.
Per me è un testo pieno d‟incommensurabile odio.
Ma purtroppo non esiste l‟odiatometro.
Non esiste uno strumento per misurate l‟odio.
Nel S.I. non c‟è un‟adeguata unità di misura.
Né il metro, né il kg, né la mole, né l‟ampere.
Né la candela, né il Kelvin e neanche il secondo vanno bene.
Eppure l‟odio è il sentimento che manda avanti il mondo.
Se la mole ( mol ) misura la quantità di sostanza.
Se la durezza della minkia ( durmink) misura l‟amore.
Perché la dilatazione dei koglioni (ΔK=VK f –VK i )non misura l‟odio?
R. Santoro
ΔK = Dilatazione koglioni
VK f = Volume finale dei koglioni
VK i = Volume iniziale dei koglioni
Ricetta:
Eran quattromila minkie. Ovvero ottomila koglioni.
Ma eran picca dinnanzi a quattro milioni. Ovvero otto milioni di koglioni.
Son diventate ottomila minkie. Ovvero sedicimila koglioni.
Ma eran picca dinnanzi a otto milioni. Ovvero sedici milioni di koglioni.
Potevo arrivare a quarantamila minkie. Ovvero ottantamila koglioni.
Ma eran picca dinnanzi a quaranta milioni. Ovvero ottanta milioni di koglioni.
E allora, minkia più minkia meno, vista l‟inflazione della minkia,
e viste le minkiate somme di tante somme teste di minkia,
mi sono limitato a condire a tutta minkia questo scritto.
Questa la ricetta della “kazzata siciliana”.
Prendi ottomila e passa minkie doc fatte ad hoc,
e poi kazzi e ciolle e cicie e piselli e mentule e falli.
Impasta il tutto dopo avere rotto koglioni a tinchitè.
Aggiungi fike, pakki, stikki, baccalari e Massari Paulu a iosa.
Aggiungi vino e marijuana alla sanfasò. Tout court e full time.
Inforna e buona fortuna a tia, alla tua minkia e alla sua controparte.
R. Santoro
Pour la laïcité, avec la laïcité, dans la laïcité en nom de la liberté.
R. Santorò-Voltaire
La liberté du monde est proportionnelle inversement à leur religiosità.
R. Santorò-Voltaire
Pryapo: il dio dei bordelli
Ovvero: L‟Olympo a Monakazzo
di Rupert Santoro, ex Paolo
Ovvero:
Dal Pattuallopolys di Karleonthynoy e Leonthynoy
al Terre d‟arance di Carlentini e Lentini,
dall‟Olympum di Olimpia all‟Olympum di Munypuzos,
dall‟era a. Z. all‟era d. Z. , dall‟era a. C. all‟era d. C. ,
dalle kazzate della realtà alle stronzate della fantasia,
dalle minkionerie della fantasia alle koglionate della realtà,
con tante minkiate, minkiatelle, minkiatone e minkiatazze
distribuite a iosa, alla sanfasò e a tinchitè,
e naturalmente con tanti parerghi e tanti paralipomeni,
ma comunque sempre con bordelli, casini, postriboli e lupanari vari compresi,
e soprattutto con tante teste di pisella, di pula, di minkia, di ciolla, di verga, di belin,
di marrugghiu, di pene, di mentula, di fallo,
in ogni caso con tante ma tantissime teste di kazzo,
teste di kazzo e non solo, ma sempre a iosa, alla sanfasò e a tinchitè.
Nessun kazzo è duro come la vita.
John Giorno
Nessuna minkia è dura come la minkia di Pryapo,
ma certe teste di kazzo hanno lu ciriveddu chiù duro della minkia di Pryapo.
Rupert Santoro
Un ozio senza lettere è la morte, è il funerale di un vivo.
Seneca
Forse tremate più voi nel pronunciare questa sentenza che io nell'ascoltarla.
Giordano Bruno ai giudici l‟8 febbraio 1600
La filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi a gli occhi
(io dico l'universo), ma non si può intendere se prima non s'impara a intender la lingua, e conoscer
i caratteri, ne' quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi,
ed altre figure geometriche, senza i quali mezi è impossibile a intenderne umanamente parola;
senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro laberinto. Galileo Galilei
Pregate, pregate Dio, o carissimi, se non siete ancora asini, che vi faccia dovenir asini.
Giordano Bruno
Pregate, pregate se l‟avete, il vostro Dio, o per niente carissimi, se non siete ancora asini, che vi
faccia dovenir asini. R. Santoro
A
B
C
D
 MUNYPUZOS
 BOSCO DI MYNKYALONYA
 LAGO DI MUNYPUZOS
 PURCEDDOPOLYS
Se la matematica e la scienza prendessero il posto della religione e della superstizione nelle scuole
e nei media, il mondo diventerebbe un luogo più sensato, e la vita più degna di essere vissuta. Che
ciascuno porti dunque il suo contributo, grande o piccino, affinché questo succeda, per la maggior
gloria dello Spirito Umano. Piergiorgio Odifreddi, Il matematico impertinente.
In fondo, la critica al Cristianesimo potrebbe dunque ridursi a questo: che essendo una religione
per letterali cretini, non si adatta a coloro che, forse per loro sfortuna, sono stati condannati a non
esserlo. Piergiorgio Odifreddi, Perché non possiamo essere cristiani.
Dedica d‟amore incommensurabile
Alla mia compagna Maria Concetta Fiducia
ribattezzata Marika com‟io Rupert mi ribattezzai
in nome della Dea Ragione di Illuministica memoria.
Rupert Santoro da Monakazzo
A idda…
Mi giru e mi rigiru na lu lettu
dispiratu, poi allongu na manu…
Trovu aria e vientu ; e sanu sanu
amminchiulisciu e na vuci iettu…
M‟arrispigghiu di bottu scantatu..
Stava sunnannu cosi ammalamenti..
Idda era dà e durmia pacifikamenti..
„U cori trimanti fu cunfurtatu…
Dormi figghia bedda, riposa..
Tu duni filicità alla vita mia..
Senza tia „a vita fossi brutta cosa…
Lu to ciauru m‟acchiappa la fantasia..
Taliu a tia e penso e ripensu a na cosa..
„U pitittu mi dici: pigghiala, è pi tia..
Rupert Santoro
Là dove si bruciano i libri, si finisce per bruciare anche gli uomini.
Heine
Il pericolo non è la censura ma l‟autocensura.
Dario Fo
Ho letto tanti di quei testi che stanno nell‟Indice dei Libri Proibiti che tutta la mia mente è
proibita. Rupert Santoro
In nome della scienza ripudio l‟odiato Paolo che imposto mi fu con la violenza del battesimo
per l‟autoscelto Rupert. R. Santoro
Quando la potenza civile si dichiara in favore di un'opinione religiosa, l'intolleranza è la
conseguenza necessaria. H. G. Riqueti di Mirabeau
Questo romanzo è solo e soltanto una sequenza di minkiate...
..anche se tra tante minkiate ci stanno troppe verità dichiarate..
Quando si parla di Zeus & company è solo immaginazione...
..le minkiate non le fanno gli dei inesistenti ma gli uomini koglioni..
Minkiate per minkiate, meglio le minkiate della minkia
che certe minkiate fatte da autentiche teste di minkia..
Rupert Santoro
Questo libro è volutamente e ossessivamente “osceno“,
perché l‟oscenità esiste solo nella mente dei moralisti.
Conteneva all‟inizio circa 4000 volte la parola “minkia”.
Ma dovrebbe contenerla alla fine circa 8000 volte..
Praticamente sempre meno delle minkiate di certi signori..
..delle minkiate che certi avvocati dicono in un giorno..
..delle minkiate che certi politici fanno in un giorno..
..delle minkiate che certi preti fanno in un giorno..
..delle minkiate che certi uomini e certe donne fanno ogni giorno..
.. degli ammuccaparticole e kakadiavoli che dopo aver chiesto
perdono per le 4000 o le 8000 minkiate del giorno prima
si apprestano a farne altre 4000 o 8000..
..perché il loro obiettivo primario è quello di fottere il prossimo..
tra le 4000 e le 8000 volte al giorno..
..e allora meglio dire 4000 o 8000 volte la parola “minkia”
che fare 4000 o 8000 minkiate..
Rupert Santoro
In una libera comunità dovrebbe essere lecito ad ognuno pensare quello che vuole e dire ciò che
pensa. Spinoza
Contra jogulatores obloquentes .
Federico II di Svezia
Contra scriptoris obloquentes .
Il potere
“Dio è fede, la fede è un dogma, un dogma non si spiega”.
Scusate, ma preferisco il metodo scientifico.
Rupert Santoro
I politici che si comportano con poca onestà
non sono degni di rappresentare il popolo.
Rupert Santoro
Auto-Prefazione
Con la nascita dell‟uomo nacque anche la satira. Ma in realtà la satira era già nata da tempo. Era
proprietà indiscussa degli Australopithecus. Che lo vogliate o no, i vostri nonni pelosi.
Le
scimmiette non potevano che ridere appena uscite dal ventre dello loro mamma. E mamma scimmia
rispondeva a quella risatuccia ironica con una risatona a bocca spalancata ancora più ironica.
Come dire “Benvenuto, scimmietto mio bello, nel mondo della satira, dello sberleffo, dell‟ironia”. E
le scimmie per fare facce e faccette avevano tutta la mimica possibile e immaginabile. E per ridere
di sé e degli altri avevano una bocca che aperta era veramente la porta, anzi il portone, dello
sberleffo. D‟altra parte non poteva essere diversamente. Ancora oggi ci sono tribù di scimmie che
fanno, per esempio, la satira della guerra. Lottano con munizioni di cacca e getti di piscio. Per il
resto se la godono sbucciando banane di carne e banane vegetali. Poi, purtroppo, arrivò la scimmia
nuda, la scimmia senza peli. E finì il tempo della “satira della guerra“ per far posto alla “guerra”
vera. Prometeo o Adamo sono solo simboli, ma l‟uomo che discende dalla scimmia è scienza. La
creazione, qualunque creazione, è una balla, mentre l‟evoluzione è un dato di fatto. Se la prima,
nonna scimmia, aveva la satira nel suo DNA, il secondo, l‟uomo insapiens, andò incontro ad una
“mutazione sfavorevole“.
Il gene della “satira della guerra” si perse e restò solo il gene della “guerra”.
E la storia c‟insegna che grande scannatoio è stato ed è il mondo dell‟uomo. A parte certi comici,
filosofi, letterati e scienziati e qualche rappresentante di qualche altra specie, il resto è messo male.
Solo ideologia e fanatismo. Un‟accoppiata pericolosissima. Naturalmente dimostrò ironia lo
scienziato che chiamò l‟uomo Homo sapiens. Forse si riferiva a se stesso o, in ogni caso, a qualche
minoranza. Non certamente all‟insieme, alla massa. Per il resto, l‟uomo, di “sapiente”, ha
dimostrato poco. E infatti, quando un bambino della specie Homo esce dal ventre materno non ride
ma piange. Sa cosa lo aspetta. E non ride neanche la madre. E generalmente neanche il padre.
Sanno che la vita è un macello. Che la storia è una macelleria. Che i potenti sono dei macellai.
Alcuni alla grande, altri in piccolo. E che l‟uomo è solo e soltanto una pedina nelle mani dei potenti
che gestiscono il macello. Ma per non prendersi colpa alcuna i gestori del macello dichiarano di
operare per conto di entità soprannaturali. Almeno in linea generale. E allora la fede e il fanatismo
fanno il resto. Il macello nel corso del tempo si è anche evoluto in maniera tecnologica e
scientifika. Ma se sappiamo tanto, anche se non sempre la verità, dei macelli passati e di quelli in
atto, per nostra fortuna non sappiamo niente su quelli futuri. E in molti temiamo che si preparino
grandi macelli. Se tutti ricordiamo la macelleria hitleriana, fascista, franchista o quella comunista
molti hanno dimenticato la macelleria napoleonica o quella della santa inquisizione. Che di santo
non aveva manco Santa Ciolla. Ma sono esistite anche la macelleria crociata o quella della Roma
imperiale. Quella di Alessandro il macedone o quella delle infinite guerre di religione. I grandi
“eroi” dei libri di storia sono anche stati dei grandi macellai. Soprattutto sono stati dei grandi
macellai. Cosa fare ?
Possiamo al massimo toccarci i testimoni o i simil testimoni. Ma i gesti scaramantici non hanno
valore né scientifico né legale. Sono solo un gesto popolare di grande koglioneria. È un credere alla
Koglionologia. Tale e quale l‟Astrologia. Balle e basta. E il potere poi se ne fotte di codeste
stronzate. Che fare allora? Visto che l‟uomo continua a macellare in nome di un ipotetico dio, anche
se in realtà lo fa solo e soltanto per i propri interessi, promettendo, come compenso alle pene
terrene, un paradiso artificiale che non è quello artificialissimo dell‟LSD e sostanze similari ma che
è falso come quello. È un‟illusione come quello. Ed è anche una brutta illusione. D‟altra parte, se
l‟anima non è negli atlanti di anatomia ( la ghiandola pituitaria serve ad altro), dobbiamo precisare
anche che i paradisi artificiali, e gli inferni altrettanto artificiali, non sono neanche loro negli atlanti
di astronomia. Sono solo nelle ideologie di tanti che però vogliono imporle a tutti. E sono poi nelle
pagine immortali di tanti autori. Ma quelle sono solo parole; e le parole sono solo fantasia, figlie
predilette della fantasia. Da Virgilio a Dante a Milton solo e soltanto fantasie. Come fantastiche
sono le storie di queste pagine. Fantastiche perché fantastiche sono le avventure del fantastico e
fantasioso Zeus e della sua fantastica e fantasiosa corte di dei viziosi e gioiosi come l‟uomo. Ma una
cosa è la mitologia, pagana o d‟altro genere, e una cosa diversa è la realtà. E nella realtà i macellai
non sono solo simbolici, sono purtroppo reali.
E fare satira, sbeffeggiare o ironizzare sui macellai di ogni ordine e grado, porta sfiga. Al
“satireggiatore” sempre, al macellaio delle volte. Per questo il potere dichiara da sempre guerra alla
satira. Perché il potere davanti alla satira è nudo.
E quando il potere resta senza mutande scatta la censura.
La satira è solo libertà. E come le scimmiette che lottano col piscio e la cacca. Ma il potere ha
paura di quelle armi biologiche. E censura. In modi diversi, che vanno dal rogo alla tortura, dal
silenzio all‟indice dei libri proibiti, dell‟elenco dei film da non vedere a quello delle cose da non
fare. Ma l‟elenco è lungo. Lunghissimo. Proibire e vietare e dire no è il lavoro preferito dal potere
liberticida. Il liberticida ha paura di tutto. Questo perché il potente rispecchia le parole di J. Swift
per il quale la satira “ è uno specchio nel quale vediamo ogni volto tranne il nostro”.
Oggi, anno 2008 della falsa kronologia cristiana, la satira è assai malvista e non soltanto dal potere.
Eppure la satira è direttamente proporzionale alla libertà. Perché un paese che non ha paura della
satira è terribilmente libero. E nel mondo classico, perché noi, diciamolo pure, abbiamo radici
gioviane o zeussiane, c‟era un bel po‟ di libertà. Perché certi dei, inventati a modello umano, erano
fin troppo simpatici. E gli scrittori greci giocavano con i loro dei perché erano dei a misura d‟uomo.
L‟ideale comunque è e resta l‟uomo-cittadino Dyceomynkyopoly, il cittadino giusto. Ma
Dyceomynkyopoly deve essere giusto non soltanto quando è un cittadino comune ma soprattutto
quando è un cittadino che occupa una carica, quando esercita un potere, quando svolge un ruolo.
Allora deve essere un Dyceomynkyopoly all‟ennesima potenza. Capace di portare il fallo in
processione e non di usare il fallo per fottere il popolo, la massa dei Dyceomynkyopoly, dei
cittadini giusti. Purtroppo, spesso, molto spesso, il potere sa solo imporre. E questo potere ha paura
della satira, ha paura dello sberleffo, ha paura dell‟ironia, ha paura della vignetta, ha paura della
libertà. Ha paura di guadarsi allo specchio e di vedere le proprie vergogne. Voglio concludere , e
concludere veramente, con le parole di Christopher Hitchens, “La religione disprezza la ragione,
l‟ateismo crede nell‟essere umano, non ha ricette per la moralità”.
Questo testo neanche. Non è immorale come sostengono i moralisti. Non propone una nuova
morale, perché questo sarebbe immorale. E‟ semplicemente amorale.
La moralità in fondo in fondo è solo un buco che ognuno allarga e restringe come vuole. Il
moralista, molto spesso immorale nel privato, vuole imporre la pubblica virtù e lasciare i vizi come
fatto privato. Perché il moralista ha spesso vizi abominevoli. Come il prete pedofilo che condanna
all‟inferno conviventi gay ed etero ma poi sotto la tonaca nera come la notte buia e scura nasconde
abomini innominabili. L‟amorale invece non ha nessuna colpa. E‟ il moralista che vede
l‟immoralità negli altri. Il cosiddetto amorale è solo la vittima del moralista che a sua volta vede
solo volgarità, oscenità, pornografia e indecenza in quasi tutto. E negli altri naturalmente. Pertanto
viva, e ancora viva, l‟amoralità. L‟amorale vive la sua vita, non da giudizi, non sputa sentenze, non
impone dogmi, non invoca la censura. L‟amorale è nudo dentro e fuori. È nudo tout court e full
time. Non mette la maschera e neanche il costume . Non fa il pupo e manco il puparo. Non indossa
il doppio petto e non si genuflette. E‟ solo suo, vive per sé e non per gli altri.
L‟amorale non è il cristiano ipocrita e manco l‟ipocrita cristiano che recita la parte del buono ed
onesto cittadino. Recita e basta però. Ma è buono ed onesto solo per recita. Non è manco
l‟avvocato bugiardo che trama per difendere i bugiardi ed imporre l‟illegalità. E non è neanche
l‟ingegnere tangentista che va avanti a tangenti. E naturalmente l‟amorale non è il politico che
prostituisce le istituzioni che rappresenta alle sue squallide e arroganti bugie. L‟amorale non ha
paura della sua nudità fisica e mentale. Non ha paura delle sue idee che sono soltanto sue. Non ha
paura dei suoi pensieri che sono soltanto suoi. Non ha paura dei suoi “scandali” che sono soltanto
suoi ma che in realtà non esistono. Sono gli stupidi e tonitruanti scandalizzati che mettono su lo
scandalo.
L‟amorale non ha “prigioni” ideologiche, religiose o politiche. È semplicemente e
draconianamente libero. E allora gridiamo pure “Libertè. Fraternitè. Ugualitè. Sexualitè. E
vaffankulo ai rompikoglionè”.
Ed io accetto gli amorali e me ne fotto dei moralisti. Non posso accettare per motivi prettamente
scientifici l‟idea di dio. E‟ contro, semplicemente contro tutte le leggi della chimica, della fisica e
della biologia. E non posso accettare per motivi storici, ma anche per un milione o un miliardo di
altri motivi, l‟idea di un dio che inventa stupide regolette come il non mangiar questo e il non
mangiar quello ma poi permette ai grandi criminali di diventare grandi governati. Non posso
accettare l‟idea di un dio che pensa a regole di natura sessuale e se ne frega di crimini impensabili e
innominabili. Dei crimini fatti da singoli ometti ma anche dei crimini di massa fatti dai grandi
ometti. I Cesari e i Napoleoni come i Carlo magno e gli Alessandro magno sono stati soprattutto
dei macellai. Più che grandi politici e insigni statisti sono stati grandi macellai. Se uno ammazza
una persona è un assassino, ma se ne ammazza un milione entra nella storia e diventa condottiero,
imperatore, re e finanche eroe popolare.
Dov‟era dio, un dio qualunque, uno dei tanti del pantheon delle mille e passa divinità, quando
Alessandro magna conquistava, Caligola pazziava, Attila attilava e Hitler itleriava? Dov‟era dio?
Dov‟erano gli dei? E quando il papa bandiva le crociate? Dov‟erano gli dei? Dov‟era dio? E quando
il papa si chiamava Alessandro VI? Dov‟era? Dov‟erano? E quando il papa firmava a favore della
Santa Inquisizione? Dov‟era? Dov‟erano? E io mi chiedo “è più grave mangiar carne il venerdì o
essere Hitler?”
E‟ meglio omettere la risposta. Astenermi. Non pronunciarmi.
Dov‟era o dov‟erano quando i roghi imperversavano? Quando i roghi bruciavano uomini e donne
libere di cervello dicendo che erano eretici o streghe? Dov‟era? Dov‟erano? Ma mi chiedo anche
dove kazzo è dio - o dove kazzo sono gli dei- mentre tanti uminicchi, tanti omuncoli, tanti ometti,
tanti uomini, tanti pupazzi e tanti pupari fanno teatro pieno e ragionato delle loro bugie che
spacciano per verità. Dove kazzo è dio - o dove kazzo sono gli dei - quando l„ingiustizia trionfa?
Quando le bugie diventano verità? Quando i falsi testimoni testimoniano le più squallide false
testimonianze? Dove kazzo è dio. Dove kazzo sono gli dei? Dov‟è? Dove kazzo è? Dove kazzo
sono?
Io lo so. In nessun luogo, in nessun posto, in nessun sito. Semplicemente non c‟è. Non ci sono. Non
c‟è mai stato. Non ci sono mai stati. Il concetto di dio è la satira stessa di dio. È l‟uomo, che con la
sua violenza, con la sua arroganza, con la sua voglia di potere , ha inventato il concetto di dio, per
poi usarlo e gestirlo secondo le sue intenzioni. È l‟uomo che ha trasformato il mondo in un grande
bordello. Pertanto non resta che aspettare il bis di quello che successe 65 milioni di anni fa. Meglio
altre vite, meglio altri essere viventi, meglio altri aggregati di cellule che quest‟uomo di merda detto
Homo sapiens. Meglio un vivente ateo che altro. Perché dio è anche contro ogni forma di ragione.
Dio e la ragione collidono violentemente. Dio è il buio, la ragione è la luce. Magari di tipo
illuminista ma luce. E poi, praticamente, non posso accettare l‟idea di un dio che si occupa dei fatti
sessuali delle persone, di un dio che richiama a sé i buoni e gli onesti ma lascia vivere e a lungo i
piccoli e i grandi criminali. Non posso accettare l‟dea di un dio che manda i suoi fantasiosi
rappresentanti a Sodoma. Li dovrebbe mandare nelle sale dei tribunali, nelle sedi delle banche, nelle
sedi del potere tout court e full time. Il vero dio che tutto può dovrebbe bloccare il violentatore ma
anche il prete pedofilo, l‟avvocato bugiardo, il politico falso, il banchiere ladro, e naturalmente
anche il ladro qualunque. Il buon dio dovrebbe bloccare costoro tout court e full time. Bloccali per
sempre , o con la morte o con gravi patologie. Invece ciò non succede. Dio o gli dei non bloccano la
ciolla al prete pedofilo o al violentatore, non paralizzano la lingua all‟avvocato bugiardo e ai falsi
testimoni, non ictizzano il politico falso, non bloccano le mani dei grandi e dei piccoli ladri. D‟altra
parte l‟inesistente non può fare niente. Dio non è impotente, è semplicemente inesistente. E come
l‟atomo di Rutherford. Uno spazio praticamente vuoto . Anzi, è di più. Una spazio realmente e
totalmente vuoto. Uno spazio però che ogni gestore della “parola di dio” riempie e sfrutta come
meglio gli pare e piace. A iosa, alla sanfasò e a tinchitè. Tout court e full time. E allora meglio una
estinzione di massa e l‟avvento di una nuova forma di vita. O semplicemente una devoluzione verso
nonno scimmia. Meglio, molto meglio un Australophitecus che certi Homo sapiens insapiens che
non capiscono una kazzo di ciolla del kazzo. Rupert Santoro
N.B. Questo testo, nato come un naturale inno d‟amore all‟ateismo, l‟unica condizione teologica
scientificamente possibile, matematicamente sostenibile, chimicamente ammissibile, e finanche
filosofikamente accettabile, è diventato, causa incontri sommissimamente disgraziati, un gioioso
inno all‟odio giusto e dovuto contro i suscitatori d‟odio di professione o per semplice casualità. E io
odierò justissimamente fino alla fine; e mai e poi mai maissimo un inutile rappresentante di qualche
astrusa forma di teologia potrà chiedermi un kazzo di perdono del kazzo o somministrare una
qualche kazzo di assoluzione del kazzo. Non mi serve dare l‟uno e manco ricevere l‟altra cosa.
Perché l‟uno e l‟altra cosa son sono ipocrite balle. Kazzismi e controkazzismi in questo ipocrita
mondo del kazzo e del controkazzo. Preferisco tenermi il dovuto odio che coltivo con più cura di
quella che Mendel aveva con i suoi piselli. E‟ bello alzarsi la mattina con la speranza che i nemici
l‟abbiano presa in kulo. Per caso, per coincidenza, per combinazione. E non per inutile giustizia
divina o umana. La prima è scientificamente, matematicamente e fisicamente inesistente, la
seconda, purtroppo, erra spesso e volentieri. Da apoteosi, panegirico e apologia dell‟ateismo ad
apoteosi, panegirico e apologia dell‟odio. In fondo questo romanzo l‟avrei potuto titolare “Dialogo
sui due massimi sistemi”. Tanto per citare Galileo. Naturalmente i due sono il sistema “‟Ateistico”
e il “Teistico”. I primo è nato con l‟uomo, naturalmente, il secondo è stato inventato dall‟uomo,
artificialmente. E se il primo ha validità scientifica e di libertà, il secondo è solo un insieme parole,
divieti e sottomissione al potere. Rupert Santoro
L‟amorale ha una sua morale ma non la vuole ficcare nel cervello
degli altri. La sua amorale morale è solo e soltanto sua.
I moralisti invece hanno una morale e la vogliono imporre a tutti.
Rupert Santoro
L‟impotenza di dio è infinita.
Anatole France
L‟impotenza degli dei che furono, sono o saranno, è infinita.
E‟ infinita a iosa, alla sanfasò e a tinchitè. E‟ infinita tout court e full time.
Rupert Santoro
Dedica di stima incommensurabile
Alla signora Fioretta Faeti Barbato
Unica certezza onesta nell‟entropico e bugiardo Kaos
del Terre d‟arance di Lentini e Carlentini
Rupert Santoro da Monakazzo
Nuova dedica di stima incommensurabile
A tutti quelli che del Terre d‟arance di Lentini e Carlentini
occupati si sono. Primi tra tutti Beha e Marrazzo.
Ma anche Buffa, La Fata, Frisone, Guzzardo e altri di cui mi sfugge il nome
Rupert Santoro da Monakazzo
Dedica di gioia infinitamente incontenibile
All‟UAAR che , tra le altre tante cose ,
a conoscenza della pratica dello sbattezzo mi pose.
E io mi autosbattezzai con amore sommo e gioia draconiana
per non essere più cristiano tra certa razza “ cristiana”.
Rupert Santoro da Monakazzo
Dedica di ringraziamento infinitamente gioiosa
Grazie a tutti gli elettori di Lentini e Carlentini,
e in generale della provincia di Siracusa,
che non hanno votato per i politici del Terre d‟arance.
Grazie di cuore a tutti loro.
Rupert Santoro da Monakazzo
<< La materia non può essere né creata né distrutta ma soltantotrasformata >>.
Questo dice la legge di Lavoisier. Di conseguenza le creazioni delle varie religioni sono solo e
soltanto una...una enorme balla. Tutt‟al più una stupenda favola.
Rupert Santoro, Pensieri stupendi
Odyssesthai signifika “ odiare “, e tu sarai odiato e odierai.
Perché l‟odio è il sentimento più bello del mondo.. non perdonare mai..
roba da ammuccaparticole è porgere l‟altra guancia.. odia…
meglio milioni di morti che amare.. odia che l‟odio ti farà grande,
ti darà vita e speranza.. per odiare ancora di più..
Autolico
Sbattezzo contro il Terre d‟arance di Carlentini e Lentini ( spedita dall‟Ufficio postale di Buscemi
il 30 / 08 / 2007 alle ore 9: 31 con raccomandata A/R n. 12259746220-8.
Al Parroco della parrocchia di San Michele
OGGETTO: istanza ai sensi dell'art. 7 del Decreto Legislativo n. 196/2003.
Io sottoscritto, nato a Palazzolo Acreide il 25/6/54, residente a Palazzolo Acreide , con la presente
istanza, presentata ai sensi dell‟art. 7, comma 3, del Decreto Legislativo n. 196/2003, mi rivolgo a
Lei in quanto responsabile dei registri parrocchiali. Essendo stato sottoposto a battesimo nella Sua
parrocchia, in una data a me non nota ma presumibilmente di poco successiva alla mia nascita,
desidero che venga rettifikato il dato in Suo possesso, tramite annotazione sul registro dei battezzati,
riconoscendo la mia inequivocabile volontà di non essere più considerato aderente alla confessione
religiosa denominata “Chiesa cattolica apostolica romana”. Chiedo inoltre che dell‟avvenuta
annotazione mi sia data conferma per lettera, debitamente sottoscritta. Si segnala che, in caso di
mancato o inidoneo riscontro alla presente istanza entro 15 giorni, il sottoscritto si riserva, ai sensi
dell‟art. 145 del Decreto Legislativo n. 196/2003, di rivolgersi all‟autorità giudiziaria o di
presentare ricorso al Garante per la protezione dei dati personali. Ciò, in ottemperanza del Decreto
Legislativo n. 196/2003 (che ha sostituito, a decorrere dall‟1/1/2004, la previgente Legge n.
675/1996), in ossequio al pronunciamento del Garante per la protezione dei dati personali del
9/9/1999 e alla sentenza del Tribunale di Padova depositata il 29/5/2000. Si allega fotocopia del
documento d'identità. Distintamente. Santoro Paolo
P. S. Il motivo dello sbattezzo, che desidero rendere pubblico, perché pubblico e contro la mia
volontà fu l'imposizione dello stesso, è il desiderio di non far parte della stessa comunità, quella dei
battezzati, che probabilmente comprende:
A)Tocco, coordinatore razzista del Terre d'arance ( ha diviso gli italiani in italiani d'Italia, che
andavano saldati, e italiani di Sicilia, che non andavano saldati e rivendicava dal sindaco di
Carlentini otto milioni di lire mentre quest‟ultimo sosteneva di averne promesso solo quattro). La
sua firma in calce al bando non è mai stata onorata.
B) Battaglia, ex sindaco di Carlentini, che ha minacciato il sottoscritto perchè ha osato richiedere il
premio vinto, ( tra l'altro uno dei due è un bugiardo patentato e mi auguro che il loro confessore
sappia chi sia, visto che in tv hanno sparato cifre diverse, quattro ed otto milioni).
C) Raiti, ex sindaco di Lentini, coinvolto in una storia di documenti che non si sa che fine abbiano
fatto ( spediti a pochi minuti dalla scadenza e ributtati indietro con l'invito ad integrali. Ma questa
integrazione non è stata mai fatta né da lui né dai suoi successori) .
D) Marino, presidente del Terre d'arance, che non ha mai voluto rispondere alla semplice domanda
" Ha ragione Tocco o Battaglia?".
E) Granata, ex onorevole dell'Ars, che intervenendo alla radio, da Oliviero Beha, disse " Si può
risolvere tutto in due mesi" ( e invece sono solo passati anni );
F) E ancora, i successori di Raiti e Battaglia, che non hanno fatto niente per risolvere e onorare
questo premio della vergogna.
G) E poi ancora, persone a me ignote che non hanno fatto il loro dovere in questa storia.
Ebbene, se cristiano battezzato vuol dire essere giusto, io preferisco non condividere il battesimo
con costoro. Che in questa storia sono stati incommensurabilmente ingiusti.
Chiedo anche che al momento della mia morte i miei resti non siano portati in chiesa e che nessun
simbolo religioso ingombri la mia bara e la mia tomba.
Sulla mia tomba desidero solo la frase “ Siamo solo atomi organizzati “. A parte il cognome che
felicemente ereditai , Santoro , e il nome che scelto mi sono, Rupert. Abiuro il Paolo che imposto
mi fu. E poi ancora desidero la dicitura “ Vittima del Terre d‟arance di Carlentini e Lentini”.
Grazie. Rupert Santoro
Siccome negli ultimi momenti della creatura umana, il prete, profittando dello stato spossato in cui
si trova il moribondo, e della confusione che sovente vi succede, s'inoltra, e mettendo in opera ogni
turpe stratagemma, propaga coll'impostura in cui è maestro, che il defunto compì, pentendosi delle
sue credenze passate, ai doveri di cattolico: in conseguenza io dichiaro, che trovandomi in piena
ragione oggi, non voglio accettare, in nessun tempo, il ministero odioso, disprezzevole e scellerato
d'un prete, che considero atroce nemico del genere umano e dell'Italia in particolare. E che solo in
stato di pazzia o di ben crassa ignoranza, io credo possa un individuo raccomandarsi ad un
discendente di Torquemada . Giuseppe Garibaldi, Testamento
Sottoscrivo al mille per mille le idee del grande grandissimo eroe Giuseppe Garibaldi.
Rupert Santoro
A.A.A. Zeus è mitologia, come le altre divinità... passate, presenti e future... I fatti raccontatati in
questo libro sono solo balle.. tutte balle.. solo balle... Magari balle belle.. balle divertenti.. balle
hard... balle porno.. balle erotiche... balle politiche... balle sociali.. ma sempre balle... balle
umane.. balle da uomini ...balle fantastiche o di fantasia come fantastica o di fantasia è l‟avventura
millenaria dell‟animale Homo sapiens.. tutte balle dunque.. di reale ci sono sole le minkiate del
Terre d‟arance di Lentini e Carlentini.. una storia di vergogna senza limiti... di merdosa
merdosissima merda tout court e full time. Rupert Santoro
La nostra fede non è una fede. Non intendiamo basarci esclusivamente sulla scienza e sulla
ragione, perché questi sono elementi necessari piuttosto che sufficienti, ma diffidiamo di qualsiasi
cosa contraddica la scienza o offenda la ragione. Possiamo non essere d'accordo su molte cose, ma
rispettiamo la libera ricerca, la spregiudicatezza e il perseguimento delle idee per il loro intrinseco
valore ... Crediamo senza titubanza che una vita etica possa essere vissuta senza religione. E diamo
per ovviamente vero il corollario: che la religione ha fatto sì che innumerevoli individui non solo
non si siano comportati meglio degli altri, ma ha concesso loro il permesso di comportarsi in modi
che farebbero sollevare il sopracciglio di una tenutaria di postriboli o di un appassionato di pulizia
etnica. Christopher Hitchens, Dio non è grande
Autoprivazione del certifikato elettorale per protesta contro il Terre d‟arance di Lentini Carlentini .
Il certifikato elettorale è stato spedito al Capo dello Stato dall‟ufficio postale di Buscemi alle ore
11:06 del 21 / 08 /2007 con raccomandata numero 12259746167-04
PALAZZOLO ACREIDE, 20 / 8 / 2007
PRESIDENZA DELLA REPUBBLICA
PIAZZA DEL QUIRINALE
00187 ROMA
Signor Presidente,
A Lei, faro di giustizia , di libertà e di laicità, invio la mia tessera elettorale N. 030183468 della V
Circoscrizione Collegio italia insulare, perché non me la sento di andare a votare in questa Sicilia
dove i politici che rappresentano le istituzioni non fanno il loro dovere. Le scrivo da una parte della
Sicilia dove i regolamenti e i bandi sono solo carta straccia. E i coordinatori possono stravolgere i
risultati della giuria invertendo l‟ordine di arrivo dei partecipanti. Almeno così è andata per quanto
riguarda la mia vicenda che va avanti dal giugno del 2001 e vede protagonisti tra l‟altro dei sindaci :
Battaglia (allora sindaco di Carlentini) e Raiti (allora sindaco di Lentini). Il primo ha pubblicamente
minacciato - da Marrazzo e da Beha - il sottoscritto, dicendo che sarebbe andato alla Procura della
Repubblica perché osavo richiedere il premio vinto. E così facendo facevo parlare male della
Sicilia. Il secondo doveva inviare dei documenti a Palermo per avere un finanziamento ma rinviava
la spedizione. Lo faceva poi a pochi minuti dalla scadenza ma si vedeva respingere il tutto, con
l‟invito ad integrarli, perché la documentazione era ritenuta incompleta. Ma né lui né i suoi
successori l‟hanno fatto. Mi sento anche vittima di una forma di razzismo quale è quella inventata
dal coordinatore del premio, Tocco, che con i soldi ricevuti a preferito pagare i non siciliani,
giustificandosi poi dicendo “che l‟aveva fatto per far fare bella figura alla Sicilia”. Questo signore
ha diviso gli Italiani in Italiani d‟Italia e Italiani di Sicilia. E ha deciso che i primi valgono di più e
vanno saldati. Nella mai chiarita vicenda compare anche l‟allora vicesindaco di Lentini, Marino,
presidente onorario del premio. E nella trasmissione di Beha intervenne anche l‟onorevole Granata,
che disse “tutto si può risolvere in due mesi”. Peccato che era l‟ottobre del 2003 e siamo già nel
2007. Nel sito della Rai si trova questa frase “Tuttavia, ora, alla luce della prima trasmissione
Battaglia assicura di voler trovare una soluzione per pagare i due vincitori non premiati e
salvaguardare il nome della città di Carlentini”. Né Battaglia né i suoi successori hanno
"salvaguardato" il nome della città di Carlentini, visto che non hanno risolto il problema.
Pertanto non me la sento di andare a votare in questa Sicilia, dove non vota, dati delle ultime
regionali, il 40 % degli elettori. Provo solo nausea per questi politici. Provo solo dolore nel pensare
che rappresentano le istituzioni in modo scorretto. La Sicilia merita altro, e invece viene
rappresentata anche da queste persone. Quindi rinuncio volontariamente a questo mio diritto di
cittadino elettore. Per queste elezione e per quelle future. Se questa è la Sicilia, se queste sono le
persone che la rappresentano, io rinuncio volontariamente al mio diritto-dovere di elettore. E
continuo a sentirmi italiano di serie B nella Sicilia dei politici senza onore e senza vergogna.
Cordiali saluti. Rupert Santoro
Ronco Cornelia 1 , 96010 Palazzolo Acreide, Siracusa
Tel. 0931- 883267 . Cell. 3387038736
In data 29-11-2007 i C.C. mi hanno riconsegnato il certifikato elettorale. Io non so cosa farmene
nella terra dei politici del Terre d‟arance, perciò lo spedirò al Presidente del Consiglio .
Lettera aperta ai santi Cirino, Filadelfio e Alfio in quanto responsabili del territorio di Lentini, una
città del Terre d‟arance .
Cari Santi Cirillo, Filadelfio e Alfio,
Vi scrivo da laico e per raccontarvi una storia che si è svolto nel territorio di vostra competenza.
Sono passati anni ma voi dovreste saperlo. Vi chiedo, sapete per caso che fine hanno fatto i
documenti che l‟ex sindaco Raiti doveva spedire a Palermo? E perchè non sono stati integrati?
Esistevano o meno? Vi chiedo anche se sapete il perché i successori del Raiti non hanno fatto
niente per risolvere l‟infame e infamante storia di malascilia? E ancora, sapete se Marino, allora
vicesindaco di Lentini, sapeva se Tocco doveva ricevere quattro o otto milioni dal sindaco di
Carlentini Battaglia , visto che aveva che fare, come presidente, con il premio della vergogna
denominato Terre d‟arance? E sapete, cari santi, del razzismo di Tocco che da diviso gli italiani in
italiani di sicilia che valgono di meno e non vanno saldati e italiani d‟italia che valgono di più e
vanno saldati. Mi piacerebbe sapere se questi signori sono credenti e se hanno raccontato codeste
fesserie ai loro confessori. Certo, voi come santi dovreste sapere tutto quello che succede in zona. Io
Vi scrivo da laico e Vi comunico che per non condividere il titolo di cristiano con questa gente mi
sono felicemente e gioiosamente sbattezzato. Meglio ateo che cristiano in compagnia di certa gente.
Certamente non è piacevole e bello fare i patroni o roba simile in una terra dove i rappresentanti
delle istituzioni combinano certe fesserie. Non dovrei chiedervi niente perché non credo a niente.
Ma una cosetta ve la chiedo? Vorrei tanto sapere chi sono i colpevoli in questa storia infame per
maledirli ventiquattro ore su ventiquattro. Vorrei tanto sapere la verità prima di morire, laicamente
però. Da ateo. In quanto da ateo ho chiesto di non avere nessun funerale religioso. E naturalmente
nessun simbolo religioso sulla bara e sulla tomba. D‟altra parte mi sono gioiosamente e felicemente
sbattezzato. Cordiali saluti con rispetto ma da laico, senza genuflessioni e preghiere e senza
confessione di peccati perché non ne ho.. ho solo da confessare il mio draconiano odio per i signori
del Terre d‟arance. Ma a queste condizioni odiare mi sembra doveroso. Lo ripeto, mi piacerebbe
sapere la verità per poter morire contento maledicendo solo il colpevole o i colpevoli.
Rupert Santoro
P.S. Per conoscenza anche alla patrona o al patrono di Carlentini.
Denunzia contro il coordinatore del Terre d‟arance ( e non solo..)
Dedica alla terra natia che della Magna Grecia faceva parte
A Palazzolo Acreide ,
patrimonio dell‟umanità, dell‟arte e di mille altre cose.
A Palazzolo Acreide , che con le sue millenarie storie
ispirommi Monakazzo e le sue storie curiose.
A Palazzolo Acreide e a tutti i suoi abitanti.
A quasi tutti per essere sincero e dire la verità,
perché tra tanti c‟è ne qualcuno che sul kazzo mi sta.
Rupert Santoro da Monakazzo
Controdedica alla terra natia che la Magna Grecia era..
Alla Sicilia, detta anche Trinacria,
che dagli dei era assai amata.
A tutta la Sicilia intera e alla sua kultura.
Alla Sicilia intera tranne Lentini e Carlentini
città “madrepatria” del Terre d‟arance e dei suoi casini.
Rupert Santoro da Monakazzo
Ricontrodedica all‟Europa e al Mare Nostrum
Senza polemiche ma in nome della verità.
A chi parla di radici cristiane dell‟Europa.
Vorrei ricordare che più a ritroso nel tempo.
Troverebbero radici pagane con mille e mille divinità.
Per cui la cosa più bella è dire che la vera radice è... la “ libertà”.
Rupert Santoro da Monakazzo
Devi sapere , figlio mio minkiuto, ca quannu si scopre una cosa
è solo e soltanto perché ci sta una minkia curiusa.
Sono le minkie curiuse che fanno evolvere lu munnu.
Le minkie curiuse non accontentandosi del regolare kunno d‟ordinanza
cercano sempre novità e accussì scoprono qualche cosa.
Il futuro è nelle mani delle minkie curiuse.
Dyonyso al figlio Pryapo , da Pryapo, il dio dei bordelli
Scoprii di non credere in dio a scuola , quando la maestra mi
disse che era stato dio a fare le foglie verdi. Pensai che era una
stupidaggine. La religione viene dall‟infanzia della nostra
specie, quando non sapevamo dell‟esistenza di microrganismi o
come si generavano tuoni e terremoti.
Christopher Hitchens
Cresci, uomo, cresci. Non è più tempo di essere bambino.
Rupert Santoro da Monakazzo
Je port en moi le tombeau de moi-même.
Io porto in me la tomba di me stesso.
Gautier
Pensiero stupendamente augurante
Io non vorrei trovarmi assiso in paradiso e all‟inferno manco.
Che già dell‟inferno chiamato Terre d‟arance sono stanco.
Premio Terre d‟arance di Lentini e Carlentini diceva la scritta.
Invece solo casini, documenti persi e minacce.. solo aria fritta.
Che schifo questa sicilia di merda.
Certa gente è meglio che politicamente si perda.
Non voterò mai più vita natural durante.
Meglio farsi una sega cha dar fiducia a certe gente arrogante.
Rupert Santoro da Monakazzo
Dedicato con tanta idiosincrasia a...
… a chi patto o parola o debito non mantiene..
... se omo è , un doloroso canchero gli pigli nel pene..
... se femmina invece fussi la maliritta issa
... un canchero doloroso le pigli nella fissa ..
...accussì la semenza maliritta non avrà discendenza..
... e se già c‟è, un canchero anche per codesta mal semenza….
Rupertynyum Santhokrysos da Munypuzos, ex Paulorum
Già prima di Helena la fika fu causa orrenda di guerra.
Orazio
Ad me respice, fur, et aestimato, quot pondo est tibi mentula kakanda..
Guardami , ladro, e pensa quanto grosso è il kazzo che dovrai cagare.
Carmina Priapea
La libertà letteraria è figlia della libertà politica.
Hugo
Lo spirito scientifico moderno non può ammettere il soprannaturale:
Non può concepire due regni.
Huxley
Ogni qualvolta odo i cristiani parlare di morale
mi sento quasi rivoltare lo stomaco.
Deschner
Troppo fiero per obbedire a qualcuno, persino a dio,
l‟ateo non prende ordini che dalla propria coscienza.
Maréchal
Un libro deve essere un‟ascia per penetrare nel mare ghiacciato
che è dentro di noi.
Kafka
La vita è una, come la minkia,
e se non è un piacere vivere e avere una minkia,
a che minkia serve vivere e avere una minkia?
Sokratynos da Munypuzos, secondo l‟Autore
Creati e kreatori si confondono e non si capisce se i creati hanno
kreato i kreatori o i kreatori hanno kreato i creati.
Zeus, secondo l‟Autore
Una mattina l‟uomo, non sapendo che kazzo fare, inventò dio.
Ma ogni uomo inventò il suo di dio.
Ogni uomo sosteneva che il suo dio era l‟unico dio.
Fu così che appena due uomini con due “dii “ diversi
S‟incontravano iniziavano a litigare.
“ Il mio dio è migliore del tuo “. “ No, il migliore è il mio”.
“ Il mio è l‟unico.” “ No, il mio è l‟unico”.
E se le davano di santa ragione. Pardon, di divina ragione.
La cosa piacque a qui parakuli che amano il potere.
Che giustamente pensarono di sfruttarla.
Nacquero così i creduti potenti e i credenti dipendenti.
Nacquero così re, imperatori e altri capi in generale.
Tutti manipolatori della parola di dio.
E della coscienza delle masse.
Nacquero così le guerre di religione.
E iniziò quello scannatoio secolare
Che ha fatto miliardi di vittime innocenti.
Solo per difendere troni, casseforti e il potere dei potenti.
“ Dio lo vuole” era il loro motto per scannare.
“ Io lo voglio “ il loro pensiero personale.
Grazie a dio, sono ateo, e non devo chiedere perdono a nessuno.
Amo i giusti e gli onesti e odio chi è giusto odiare
Non ho anima e solo un animale uomo sono.
Odio alla grande e non perdono.
Rupert Santoro da Monakazzo
Al divin marchese D.A.F. De Sade.
Hai sofferto giustamente per certe minkiate che hai combinato.
Ma resti comunque un martire della libertà..
Il carcere per le opere scritte è stato solo una misura
Della grande koglioneria del potere monarco -clericale.
Oggi tutti sanno chi sei. Grande ma vittima innocente.
Ma nessuno sa chi minkia furono le minkie anonime che ti perseguitarono.
Se tu sadico fosti i tuoi persecutori lo furono di più.
Rupert Santoro da Monakazzo
Odyssesthai signifika “ odiare “,
e tu sarai odiato e odierai.
Autolico, secondo l‟Autore
Gallo turpius est nihil Pryapo.
Nulla è più orrendo di un Pryapo senza orpelli.
Marziale
Chi compie imprese grandi ha molto da soffrire.
Eschilo
Scribimus indoctis doctisque Poemata nostra:
doctus et indoctus quod legat inde leget.
Scriviamo questo nostro Poema per dotti e non dotti:
il dotto e il non dotto è ciò che sceglie leggere.
Stolcius de Stolcenberg
Il problema dell'umanità è che gli stupidi sono sempre
molto sicuri mentre gli intelligenti sono pieni di dubbi.
B. Russell
E diu dissi “Fiat pilu”. E pilu fu.
L‟ Autore
Zeus è la mente, Eracle il corpo, Pryapo il fallo.
M. Mhaxymylyanorum da Munypuzos
Adesso il mio debito è saldato.
Ho mantenuto la mia parola.
Io sono un uomo.
Non un mezzuomo, un uminicchio,
un pigliankulo o un quaquaraquà.
Chi mantiene i patti, rispetta i regolamenti,
onora i bandi, è uomo.
Gli altri, per favore, si mettano in una delle altre
quattro categorie. Oppure vadano a farsi fottere.
Dyonyso, secondo l‟Autore
Obscurum per obscurius, ignotum per ignotius.
Sybylla Priaprica, secondo l‟Autore
Priapeum
In quel sentiero, dove son le querce, o capraio, svoltando,
troverai un simulacro di fico, appena sbozzato,
a tre gambe, con la scorza, senza orecchi, ma col membro
vitale capace di compier l'opre di Cipride.
Un sacro recinto vi corre, ed un perenne
rivo, dalle rocce, dovunque s'adorna
d'allori e di mirti e di cipresso odoroso,
e là si distende, datrice di grappoli, con le spire
una vite, e primaverili, con acute voci,
i merli emettono canti variegati.
E i canterini usignoli rispondono con cinguettii,
cantando dai becchi la voce di miele.
Fermati là, ed al grazioso Pryapo
chiedi ch'io smetta il desiderio di Dafni,
e subito immolerò un bel capretto. Se però rifiuta,
ottenendo lui voglio compier triplice sacrificio:
darò infatti una giovenca, un peloso capro, un agnello che tengo
chiuso. Ascolti benevolo il dio!
Teocrito
Pubblico mio, suvvia non deplorare questa poesia trovandola volgare, anche se non la potrebbe
declamare un maestro di scuola alle scolare;ma queste mie rimette da sollazzo, così come un
marito ad una moglie non possono piacere senza il kazzo. D‟altronde non si può dir cose audaci
senza citare dove le donne danno i baci. Questa e' la legge del poeta smaliziato: non può piacere
se non e' un po' sboccato. Perciò la serietà or deponete e questi versi sciolti orsù assolvete. Se poi
qualche parola e' impertinente non osate castrar le mie canzoni, che sarebbe l'esatto equivalente di
chi tagli ad un pene i suoi koglioni. Marziale
Le minkiate sono nate con l‟uomo...l‟uomo qualunque spara minkiate qualunque.... l‟uomo dotto
spara minkiate dotte... l‟uomo di potere spara minkiate potenti... l‟uomo di chiesa spara minkiate
ma pretende che siano verità.. l‟uomo di potere ipocrita spara minkiate e pretende che siano
legge... l‟uomo qualunque, quando si skassa la minkia per le troppe minkiate altrui, s‟inkazza e fa
tante e tante belle minkiate rivoluzionarie... solo così, certi koglioni, di pentono delle loro minkiate.
Marziale da Munypuzos
Ingiuriare i mascalzoni con la satira è cosa nobile: a ben vedere, significa
onorare gli onesti.
Ἀριστουάνης - Aristofane.
Inizio la scrittura di questo testo ascoltando Guccini. Meravigliosa e stupefacente ancora oggi la
sua”Avvelenata”. Non posso che cantare con lui.“Un kazzo in kulo e l‟accusa di qualunquismo”.
Me ne fotto dell‟accusa di qualunquismo, visto il koglionismo dilagante. Meglio ateo anarchico e
apolide documentato che credente in compagnia di certi credenti, politico in compagnia di certi
politici, e siciliano in compagnia di certi siciliani. E per quanto riguarda il “kazzo in kulo”, lo
auguro a tanti. Ma non un kazzo qualsiasi, come minimo un kazzo come quello di John Holmes e
amaro per giunta. R. Santoro.
Castigat ridendo mores
Nessun kazzo è duro come la vita
<ROMANZO>
---A--<<< L‟antefatto >>>
Giove, a cui era in aria lu carru
Comu „ntra mari la varchitta, o scarmu,
Era a „ddi tempi lu primu futtarru,
E avia la minkia chiù dura d‟un marmu.
Cuntava di diametro, si non sgarru,
Triccento ottanta canni e mezzu parmu;
Ed a Giunoni, ccu ddu kazzu santu,
cci l‟avia fattu addivintari tantu!
Futteva a longu, e pertichi e bubbuni
Pigghiava spissu alla diavulina:
E intantu ccu ddu grossu so minkiuni
Arruzzulava figghi a minkia cina:
Mircuriu, chi nasciu mentri Giununi
Cci avia „mmiscatu camurria divina:
E in diversi occurrenzi e varii parti
Fici a Baccu, Vulcanu , Apollu e Marti.
Micio Tempio, La minata di li dei
--Historia docuit quantum non iuvasse illa de Zeus fabula.
Pontifex Maximus Helios X al suo segretario.
--Non si sapi quannu fu, ma fu. E fu tanto tempo fa. Il fatto successe ed Esiodo
Phallokriso da Munypuzos ne parla e sparla nella sua Teogonia Sikula.
<< Perché se è vero che tutto è mito, che il mito è fantasia, che la fantasia dell‟uomo
è grande, quale fantasia è più grande dell‟idea di dio? >> si chiedevano i filosofi della
Grecia e della Magna Grecia.
Ed ecco nascere il mito. Il mito kreato dall‟uomo per darsi un kreatore da lui kreato.
E che da qualcuno viene accettato come realtà. Un mito che si perfeziona nel tempo
fino a confondere il fantastico mito con la reale realtà. D‟altra parte la religione
Zeussiana o Zeussismo non nasce all‟improvviso. E‟ una kreazione lenta che col
tempo si migliora automaticamente. Per opera di poeti e scrittori che lavorano di
fantasia. C‟è un mito peslagico della kreazione, con Eurimone, dea di tutte le cose,
che emerge nuda dal Kaos, trionfo dell‟entropia, che si accoppiò col serpente Ofione.
Eurimone depose poi l‟Uovo Universale e da quello nacque il tutto. Ofione è nel
ruolo del phallos lungo e fecondatore. Del phallos universale. Del phallos katholikos.
Il primo uomo di questa kreazione fu Peslago.
C‟è poi il mito omerico che vede in Teti la madre di tutte le cose, con la
collaborazione però di Oceano. Con Oceano nel ruolo del phallos in piena attività
fecondatrice. Phallos katholikos ancora, phallos universale.
E ancora troviamo il mito orfico in cui la Notte amata dal Vento depone nel grembo
di Oscurità un uovo d‟argento dal quale viene fuori l‟ermafrodito Eros che mette in
moto l‟universo. Come? Autofecondandosi col suo snodabile e flessibile phallos
universale. Phallos katholikos ancora una volta.
Troviamo poi il mito olimpico, con la madre Gea emersa dal Kaos e che nel sonno
generò Urano. E costei con Urano generò incestuosamente tante cose. Poi Urano
sposò la sorella e figlia Rea e altre cose ancora generò. Generato dalla madre con lei
generò la figlia per poi generare con costei. Incesto su incesto alla base di questa
kreazione. Il fallo del figlio prima per la madre e poi per la propria figlia. Il fallo di
Urano generato da Gea rientrò in Gea per fecondarla e generare Rea a sua volta figlia
da fecondare per rigenerare. Il fallo dei falli, il fallo plurigenerazionale, il fallo
universale ancora una volta. Phallos katholikos. Il primo uomo per codesto modello
di kreazione fu Prometeo che impastò creta e acqua per fare il genere umano.
Semplice lavoro manuale.
Ma se questi sono i miti greci, non dimentichiamo che altri popoli hanno altri miti.
Perché mille sono le fantasie e mille sono le creazioni. E forse anche più.
E anche i siciliani ebbero la loro kreazione. I siciliani ebbero in Esiodo il kreatore di
un kreatore di nome Zeus Trynakryensys, Zeus il siciliano. Ovvero la kreazione
siciliana. O il mito siciliano. La divina ciolla di Trinacria. La mitica minkia
universale. Solo che, gira e rigira, il protofallo per eccellenza, il veterofallo, il
“phallos katholikos” non fu più quello di Zeus, il dio degli dei, ma divenne a poco a
poco, per evoluzione mitologica, quello di Pryapo, il dio dal “grande palo rosso”. Il
protodio restò Zeus, ma il protofallo diventò Pryapo. Proprio Esiodo Phallokriso,
grande poeta tragico ma poco serio, storico documentato ma anche inventore di
favole molto poco credibili, teologo sparapalle ma ateo convinto e tante altre cose
ancora, scrive:
<<Fu e non fu che il grande e sommo Zeus litigò con i greci di Grecia perché a causa di troppa
democrazia avevano fatto una legge, sottoposta anche a referendum, che condannava le imprese
mentuliche terrestri del capodio che spesso faceva incursioni tra le cosce di onoratissime femmine
greche. E non solo. Anche tra le cosce delle disonoratissime andava a fikkarsi il sommo Zeus.
“Unni antappava antappava, l‟importante era ca la cosa ci appitittava”diceva la gente. Tanto che
la bestemmia prediletta dal maschio greco di Grecia era “Sia maledetto il fallo di Zeus”. Le donne
invece desideravano, consciamente o inconsciamente , una visita del protofallo.
Tante comunque le polemiche per questa legge.
“ Legge antizeusmentulamachia” l‟avevano chiamata i legislatori.
“ Legge per la Teodeminkiazione popolare” l‟aveva chiamata Zeus.
“ Legge pi firmari la minkia di dio” l‟aveva chiamata il popolo.
Purtroppo spesso, forse spessissimo, succedeva che qualche kunnus di femmina umana venisse
violato d‟autorità dalla mentula divina. I greci di Grecia non sopportavano più le corna, anche se
divine. E c‟era anche un detto popolare:
“ Zeus , con la sua mentula divina, un fatto è sicuro,
ci ha fatto a tutti cornuti; e presto ci farà pure rotti in kulo”.
I greci facevano riferimento alle troppe incursioni tra le cosce delle femmine terrestri da parte di
Zeus e di altre divinità. Ma, maschilisticamente parlando, ignoravano volutamente le fortunate
ciolle terrestri che inciollavano le divinità. Per quanto riguarda i loro kuli facevano riferimento al
ratto di Ganimede. Il picciotto bello dal kulo ancora più bello aveva ispirato il theophallos di Zeus.
Il capodio se l‟era portato nell‟Olympo per farlo suo “ amato” coppiere in tutti sensi. A dire il
vero qualcuno chiamava Ganimede il “ kuliere” di Zeus.
Qualcuno comunque accettava la cosa , qualcuno la condannava.
“ Pur di fare la bella vita darei il kulo pure all‟ultimo degli dei dell‟Olympo”.
“Manco a Zeus darei il kulu, sono uomo castus e purus” dicevano i puri di cuore e di spirito ma
soprattutto di carne. Preoccupati pertanto per il futuro dei loro kuli intanto si preoccupavano per
i kunni delle loro donne. Perché Zeus si pigliava sempre il meglio. E spesso il meglio delle vergini.
Se lo pigliava d‟autorità. Sempre. “Stupro divino” lo chiamava qualcuno. E stupro era a tutti gli
effetti.
Zeus tonante e trombante tuonava e trombava sia in cielo che in terra , e siccome era un po‟ assai
permaloso, appena seppe che i greci gradivano poco le sue divinissime corna, colto da improvviso
eroico ed erotico furore, decise di trasferire la sua corte divina. E tanto per non andare lontano,
per non tradire la sua terra, decise di passare dalla Grecia alla Magna Grecia. Convocato il
Consiglio dei Tredici diede loro la notizia. Poi la decisione fu comunicata alla corte Olimpica e
infine al popolo greco. Alla corte per semplice conoscenza, al popolo per divino e impertinente
sfregio. Con il suo solito incipit, il dio degli dei e degli uomini disse ai colleghi: “ Io , Zeus, mi
consento, se voi mi consentite, altrimenti mi autoconsento di trasferirmi nella nuova sede, di
trasferirmi e trasferirvi. Io e tutto l‟Olympo intero, dall‟Olympo di Olimpia al Munypuzosolympo,
detto anche Olympazzo. L‟Olympo di Monakazzo. E mi consento di adottare il siciliano come
lingua dell‟Olympazzo e di aggiungere al nostro abituale abbigliamento la koppola. Se consentite,
alzate le mani, se non consentite, fate lo stesso i bagagli perché io mi autoconsento codesto
trasferimento. Pertanto vasamu li manu e muvitivi lu kulu”.
Al popolo disse: “ Iti a farvi fottere, io mi trasferisco. Popolo ingrato”.
“ Dove, sommo Zeus? “ chiesero i greci.
“ Kazzi miei“ fu la risposta.
“ Ma se vogliamo farti una visita, dedicarti una preghiera, se vogliamo venire in pellegrinaggio ,
dove andiamo? “.
“ A fari in kulo, che fate meglio”.
“ Zeus, perdonaci, se puoi”.
“Io non perdono, condanno. Tout court e full time. In sekula sekulorummu. Io condanno e basta.
Condanno draconianamente, incommensurabilmente, homerynamente, mhaxymylyanamente,
dyceomynkyopolisamente, sokratynosamente e soprattutto santhokhrysosamente. Sono uomo di
parola e non un andropattuallopolys”.
“ Theopattuallopolys eventualmente”.
“ Non ha importanza. Andros o theos, bisogna rispettare la parola data. Io sono un uomo e un dio.
O se preferite un dio e un uomo. E non un uminicchio, un mezzuomo, un pigliankulo o un
quaquaraquà”.
“ Ragione tieni, sommo Zeus sempre più sommo. Sommo tutto, anche di fallo”.
“ Affankulo. Io sono Zeus, sono il dio egli dei, e pertanto fotto quando minkia voglio e chi minkia
voglio e naturalmente come minkia voglio e quanto minkia voglio e dove minkia voglio” rispose
Zeus. E dal monte Olympo, in un lampo, in un amen, in un fiat, Zeus trasferì tutto sul monte
Munypuzos. Attirato dalla bellezza del posto ma soprattutto dal nome che prometteva bene. “Muni”
uguale fika, “ puzos” uguale kazzo. E poi anche perché ai piedi del monte Munypuzos si estendeva
la cittadina omonima. Munypuzos, la città ermafrodita. Città bella assai, patrimonio dell‟umanità
della Grecia e della Magna Grecia , ma soprattutto abitata da femmine bellissime, gioiose e
sensuali, le famose donne munimorfe e phallofile. Mentre gli uomini erano phallomorfi e
kunnofili. A parte i tanti maschi phallofili e le tante femmine kunnofile. Perché a Munypuzos non
c‟era nessuno che cercava di regolamentare il piacere sessuale. A Munypuzos vigevano i “ Pacs”, i
patti d‟amore di civile solidarietà. Quelli che qualcuno chiamava “ patti d‟amore di kunnus e di
kazzo solidali”. Tutto era possibile a Munypuzos, polys per eccellenza della libertà, tutto e il
contrario di tutto. Per questo Zeus la scelse. Non fu un colpo di testa, forse fu un colpo di minkia.
Un colpo di minkia fortunatissimo per Zeus e per la corte olimpica, ma anche per la gloria eterna
di Munypuzos, l‟erede della celestiale Olimpia. E come fu e come non fu, anche se non si sa come
fu, il fatto fu. In un lampo,in un amen, in un fiat , Zeus e la sua corte, si trasferirono sul monte
Munypuzos. Parola di Esiodo Phallokriso da Munypuzos>>.
--Essere dio e fare quel che si vuole è il bello dell‟essere dio.
Attribuita a Zeus.
---
Altri personaggi del mondo della kultura hanno dato ampie testimonianze sulle
vicende dell‟Olympazzo e di Munypuzos, di Zeus e della sua corte. In particolare si
distinsero i tre intellettuali della ciolla e il filosofo della minkia. Ovvero, i quattro
studiosi del kazzo. Ma anche altri. Uomini si scienza, per esempio. Oppure cittadini
con particolari qualità. Tutti diedero il loro contributo per celebrare Zeus o per
contrastarlo. Soprattutto per contrastarlo, per annientare l‟idea del soprannaturale,
cioè dell‟impossibile. Per distinguere il mondo delle favole da quello reale. Per
affermare il semplice concetto che “il destino dell‟uomo è nelle mani dell‟uomo”.
Che “l‟uomo è padrone di se stesso”. Che Anemos non ha niente a che vedere con
l‟Anima. Anemos è solo soffio, è solo vento, è solo l‟aria che entra ed esce dai nostri
polmoni e ci porta l‟ossigeno, la fonte primaria della vita animale.
Ma anche per contrastare la Teocrazia che in fondo è solo al sevizio dell‟Aristocrazia,
dell‟Oligarchia, della Plutocrazia, della Tirannocrazia. Tutto, tranne che al servizio
della vera Democrazia. E allora ecco che delle volte trionfano l‟Anarchia, o
l‟Oclocrazia, e quindi succede nu tanticchia di burdellu, di casino. Che insomma, va
tutto a buttane. Ma gli intellettuali servono a questo, servono a spiegare, servono ad
illustrare, servono a dimostrare, servono ad illuminare, servono a dare alla ragione il
primo posto. Il posto che la ragione merita.
---
Primo tra tutti gli uomini di kultura, il sommo letterato di lingua greca Homeryno
Homokulum da Munypuzos , che come scriveva lui in greco manco Omero e le tante
altre “ teste di phallos” della letteratura greca. Altro che Iliade e Odissea. Se Omero
e altri crearono Zeus da kreatori creati, Homeryno Homokulum creò il mito dello
Zeus siciliano da kreatore e basta. Fece più di Apollonio Rodio e di mille altri
scrittori greci. Fu sommo al massimo nell‟arte di creare Poemi. E di dare vita agli dei
dell‟Olympazzo. E diede la vera immortalità alle cose di cui parlò. Compresa la sua
minkia che battezzata aveva Giasone. Perché se l‟altro Giasone conquistò il Vello
d‟oro, questo Giasone amava conquistare Stikki d‟oro.“Giasone mio, vivi le tue
Fikenautiche” era il suo slogan. Homeryno Homokulum, come tutti gli uomini di
kultura del suo tempo, tinia in casa un Homo pilusus. E come tutti gli altri uomini di
kultura lo chiamava semplicemente “cata-cata-nonno”.
Homeryno Homokulum fu il sommo kreatore dello Zeus con la koppola. Lo esaltò
nell‟esercizio del potere; ma curtigghiò assai assaissimo sulle faccende della ciolla di
Zeus. Che fu ciolla che assai assaissimo operò. Il tutto, in altre parole il mito, fu
kreato nei locali della sua domus che si trovava accanto alla porta principale di
Munypuzos. Taliando ora il Kolosso di Pryapo e la sua colossale ciolla, ora il suo
Giasone, scrisse, tra una sukata e l‟altra, la sua Zeusseide Munipuzica.
Memorabile resta la sua imprecazione contro il divino: <<Buttana di la ciolla
draconiana e buttanazza di quel buttaniere ciullavento di Zeus che buttaniò sia sulla
terra buttana che nell‟Olympazzo buttano e che governò solo buttaniando a tempo
pieno e a tempo perso>>.
--Pensare a phallo, scrivere a phallo e scrivere col phallo sono la stessa cosa.
Homeryno Homokulum
---
Poi troviamo il poeta di lingua, diciamo latina, Mhaxymylyanum Mhaxymylyanorum
da Munypuzos, a cui il latino stava sulla minkia come a Catullo stava nel cuore. Ed
aveva felicemente battezzato la sua minkia Lesbia. Come la donna di Catullo.
“Lesbia o cara, incatulliamo kunni” era il suo slogan. Ma nonostante l‟odio per il
latino Mhaxymylyanum Mhaxymylyanorum immortalò le storie di Zeus e soprattutto
quelle di Pryapo. Nella sua domus di via Scalillorum si dedicò al culto letterale di
Pryapo. La sua forma poetica preferita fu il Carmen. Il soggetto, come detto, fu
Pryapo. Nella sua totalità e nella sua particolarità. E tra una sukata e l‟autra, esaltò le
storie del dio dal rosso palo. E di fronte a lui gli altri scrittori latini, quelli della
famigerata letteratura latina, i plauti, i plautini, i plautoni e i plautokoglioni, sono solo
e soltanto delle autentiche “teste di mentula”.
Anche Mhaxymylyanum Mhaxymylyanorum, come tutti gli uomini di kultura, tinia
in casa un Homo pilusus, che come tutti gli uomini di kultura, chiamava
semplicemente “cata-cata-nonno”.
Memorabile anche la sua imprecazione contro il divino: <<Buttanazza di la ciollazza
„nbriaca e buttanazza di quel buttaniere analfabeta e ignorante ma anche ciullaniente
e ciullatutto di Zeus nullafacente, inkulante, inchiappetante e incunnante ma anche
scassapisellante e scassamulunante>>.
--Pensare a mentula, scrivere a mentula e scrivere con la mentula sono la stessa cosa.
Mhaxymylyanum Mhaxymylyanorum
---
Poi troviamo quell‟innominabile criminale della parola scritta e orale assai volgare,
ovvero lo scrittore dialettale, scrittore di pilo e basta, pilo magari filosofico, pilo
magari scientifico, ma solo pilo però, Paulorum Santhokhrysos da Munypuzos,
che non sapendo scrivere correttamene né in greco né in latino si mise a scrivere in
dialetto. Nato tra sikuli e sicani, fu dichiarato, per tradizione familiare, adepto dello
Zeussismo . E se da piccolo aveva battezzato Kerykeion prokroustes la sua minkia e
Scilla e Cariddi i suoi koglioni, successivamente chiamò Zeus la ciolla ed Era e
Ganimede le palle. Per ateismo sommo. Per odio verso gli dei inutili. Inutili ed
inesistenti. Ma ad un certo punto, tanto per, però aderì al Priaprismo Trinitario:
Pryapo, mamma Aphrodyte e papà Dyonyso. E se Pryapo divenne il nome
dell‟appendice, Aphrodyte e Dyonyso addivintanu li baddi. Ma da adulto,
consapevolmente e giustamente, fece l‟unica cosa giusta per un essere umano dotato
di ragione ragionante e non di ragione orante: divenne ateo militante.
E ancora una volta ribattezzò i gioielli di famiglia. In dispregio al potere chiamò
Pontifex Maximus la minkia e Mynkyalao e Agamynkyone i koglioni. Paulorum
Santhokhrysos aveva una visione atomistica del mondo, e abituato com‟era a
battezzare e sbattezzare per poi ribattezzare i suoi gioielli di famiglia, alla fine si
sbattezzò pure lui, nella sua totalità. Ateo ufficialmente. Soprattutto per non far parte
della stessa comunità religiosa che comprendeva potenti arroganti e bugiardi.
Pertanto si sbattezzò ufficialmente, con una bella cerimonia , in un amen o poco più.
Sostenitore sfegatato com‟era dell‟atomismo, che lui considerava “uno e trino”, in
quanto formato da elettroni, protoni e neutroni, il Santhokrysos negò tutto tranne la
libertà. Chiese di essere seppellito nella bella necropoli di Munypuzos senza alcuna
cerimonia religiosa e senza alcun simbolo religioso. Né Zeus né Ere e neanche
Priapi sul suo sarcofago. Eppure codeste rappresentazioni erano assai diffuse nella
necropoli di Munypuzos. Quasi una gara ad avere lo Zeus più grande, l‟Era più
immensa, l‟Aphrodyte più bella, il Dyonyso più brillo, il Pryapo più dotato.
Soprattutto il Pryapo più dotato. Lui chiese solo e soltanto l‟epitaffio “Siamo solo
atomi organizzati”. Era seguace di Leucippo, Democrito e Lucrezio. Era per
l‟atomos. L‟atomos era l‟inizio e la fine del tutto. “L‟atomos non può essere né kreato
né distrutto. Può solo essere legato ad altri atomi o slegato. Per formare le mille e
mille e ancora mille sostanze biotiche e abiotiche che compongono la miscela
eterogenea chiamata universo“. Questa era una legge scientifika partorita dalla Scuola
Atomistica di Munypuzos, e lui ne era un convinto sostenitore. Queste cose lui volle,
fortissimamente volle. Perché convinto dell‟atomo universale, dell‟atomos
katholikos. E l‟ottenne, perché Munypuzos era giusta, era una polys giusta. Una polys
piena di cittadini complessivamente giusti. E nella
necropoli della giusta
Munypuzos c‟era posto per tutto e per tutti. Anche per l‟anarchia libertaria e atea di
questo Santhokrysos manipolatore della parola che nella sua domus di Via Kornelya
elaborò strane teorie. Strane ma sempre libere. Sempre in nome della libertà. Inventò
pertanto, tra una sukata e l‟altra, storie plausibili e altre impossibili, ma disse sempre
la verità. In confronto a lui gli altri scrittori, greci o latini, ma finanche egizi,
babilonesi, assiri o altro ancora, sono solo e soltanto “teste di minkia”.
Anche il Santhokrysos, come tutti gli uomini di kultura, tinia in casa un Homo
pilusus, che come tutti gli uomini di kultura, chiamava semplicemente “cata-catanonno”. Memorabile la sua imprecazione contro il divino: <<Buttana di quella
buttanuna buttanissima e simbolica ciollona crisoelefantina e tonitruante di quel
simbolico buttaniere crisoelefantino e ciullatore di Zeus dalla ciolla crisoelefantina e
dal kulo fulminante e che è l‟apoteosi del sincretismo del buttanesimo sincronico e
diacronico>>.
--Pensare a minkia, scrivere a minkia e scrivere con la minkia sono la stessa cosa.
Paulorum Santhokhrysos
--E per concludere non bisogna dimenticare il notevole contributo filosofico di
domande senza risposta del filosofo Sokratynos Phylologos da Munypuzos, che era
un Socrate senza cicuta ma con cento e passa femmine che si contendevano il suo
Platone. E il suo Platone non era il filosofo, ma il fallo che teneva tra le gambe. E
quel Platone lì sapeva dialogare solo con le donne. O meglio, con certe aperture delle
donne. Lui era aperto a tutte le aperture. E i vari filosofi classici, tutti insieme
appassionatamente, valgono meno di un pelo della sua minkia. Sono solo e soltanto
una “mangiata di koglioni e un fascio di minkie inutili e impotenti”.
<< Platone? Un koglione plutoniano e platonico che tiene una minkia platonica.
Socrate? Un sukacicuta e un sukaminkia. Gorgia da Leonthynoy? Un perdidocumenti
del kazzo che non vale una ciolla. I presocratici? Dei pre-pigliankulo. Naturalmente
pigliano ciolle. Talete ? Un taliatore di minkie. Empedocle? Un uomo e una ciolla da
arrosto. Anassimene? Uno che la minkia nun la tiene. Anassimandro? Non trovando
la rima la piglia dove capita prima. Senofane? Uno che ragiona a minkia di cane.
Eraclito? Uno con la minkia quanto un dito. Aristotele? Una minkia a perdere>>
diceva sui nomi più grossi della nomenklatura filosofika.
Anche Sokratynos Phylologos, come tutti gli uomini di kultura, tinia in casa un Homo
pilusus. E lo chiamava semplicemente “cata-cata-nonno phylosophiykus”.
La sua scuola, quella dei Peripatetici Phalloperanti, tra una passeggiata e una
discussione, prevedeva l‟esercizio fisico. Non del corpo ma della minkia. E la minkia
fu al centro della sua filosofia. Domande e domande ma sempre con la minkia come
tematica centrale o secondaria. Comunque sempre presente. E secondaria solo
apparentemente. Infatti Sokratynos Phylologos, il padrone del suo Platone, sapeva
porsi solo domande. Domande su domande. Infinite domande che gli venivano su
come su veniva spessissimo la sua ciolla. Ed è impossibile dire se nella sua lunga
carriera di filosofo furono più le domande che si pose o le erezioni che ebbe. Ma se le
erezioni finirono sempre con una venuta alle domande non venne mai data risposta.
Venne sempre la sua filosofika ciolla in risposta all‟incipit erettivo, non venne mai la
sua filosofika mente in risposta alle filosofike domande. Tutte restarono senza
risposta. Eppure al centro delle domande c‟era sempre la minkia, il fallo. Il phallos
philosofhicus. Nella sua domus, situata nel quartiere dei lupanari, elaborò le sue
infinite domande che in realtà erano solo e soltanto delle varianti della stessa
domanda. E fino all‟ultimo respiro cercò di dare almeno una risposta ad una sua
domanda, convinto com‟era che dando una risposta precisa ad una sua domanda
qualunque avrebbe automaticamente risposto a tutte. Ma nonostante tutto non riuscì
nell‟impresa. Né quando era in sé né quando era fuori di sé. Né quando s‟ispirava
meditando né quando s‟ispirava inspirando i suoi fumi prediletti. O meglio sukava.
Proprio com‟era di moda in sicilia. Perché in sicilia tutti sukavano. E minkia come
sukavano. Alla sanfasò. Memorabile comunque la sua imprecazione contro il divino.
Tra una fumata e l‟altra il filosofo filosofeggiava: <<Buttana di la ciolla bestia e
frocia e buttana inkunnante e inkulante di quel buttaniere frocio e buttano e
ciullavento di Zeus o buttana di lu kulu bestia e frocio e buttano di quel buttaniere
frocio e buttano e ciullavento di Zeus?>>. Questo tra una fumata e l‟altra però.
--Pensare a minkia filosofika, scrivere a minkia filosofika, e scrivere con la minkia filosofika sono la
stessa cosa. Sokratynos Phylologos
---
Perché come detto, in sicilia, tutti, o quasi tutti, sukavano. Sukavano alla sanfasò. E a
Munypuzos in particolare sukavano doc. Minkia come sukavano. Infatti tutti
sukavano “minkiuna”.
Ovvero una foglia di “minkiasukana”
arrotolata
asimmetricamente
e quindi leggermente conica e piena di frammenti di
“minkiasukana”. Si trattava di una “erba” assai assaissimo bella esteticamente ma
ancora chiù bella e bellissima se sukata. Perché questa pianta conteneva THC,
ovvero il Teo-Hattizza-Ciolla. Ovvero, “Sukati sta minkia di erba che la tua minkia
attiserà come quella di Zeus”. Indubbiamente era stata chiamata così in onore del
sommo Zeus e della sua somma ciolla.
Questa erba era stata importata da un certo Filostrato Fhallophilos, detto Sukasuka,
grande viaggiatore, eccelso studioso, eminente scienziato e soprattutto scrupoloso
catalogatore. Amante del sesso in quanto tale, e soprattutto amante del sesso
mascolino, si era proposto di catalogare in modelli, misure ed espressioni le ciolle di
tutto l‟orbe allora conosciuto. Voleva mettere a punto un catalogo ragionato,
documentato e sperimentato di tutte le ciolle esistenti a qualsiasi latitudine e
longitudine. E lo fece. Lasciò ai posteri un Atlante illustrato dei molteplici
phallomorfismi umani. Una delle soste più importanti Filostrato la fece Egitto, ad
Alessandria, dove frequentò la famosa Biblioteca. Ma anche i bibliotecari, gli eruditi
e i bibliomani. E soprattutto frequentò le loro ciolle. Frequentò anche la corte e i
sacerdoti. Frequentò anche gli schiavi, soprattutto i Nubiani. E frequentò,
naturalmente, anche le loro ciolle. In particolare frequentò i culti di varie divinità:
Iside, Osiride, Horus, Seth e altro. Ma s‟innamorò del culto di Min, il dio itifallico, il
dio del Min-Suk-Min. E Filostrato era tornato dall‟Egitto con codesta bellissima
“nuova conoscenza” e con tanta tantissima simenta di Min-Suk-Min.
In terra egizia quest‟erba era dedicata al culto del dio Min, il dio itifallico, e si
chiamava Min-Suk-Min , che possiamo tradurre in “ Suka la minkia del dio Min”. In
onore di Min, in Egitto, tutto veniva incensato con i fumi di Min-Suk-Min . E tutti
avevano a casa una statuetta di terracotta raffigurante Min. Si trattava di una
statuetta vuota, praticamente un bruciatore, dentro cui si metteva l‟erba.
Poi naturalmente si sukava la parte tisa. E tra i tanti effetti, a parte l‟euforia,
provocava l‟attisamento della ciolla. Alle femmine invece ci addumava il portaciolla.
E Filostrato Sukasuka iniziò la coltivazione della stessa nel suo orticello. La offrì agli
amici e agli amici degli amici e agli amici degli amici degli amici. La offrì
arrotolandola in semplici foglie secche della stessa. E ribattezzò la Min-Suk-Min
solo e semplicemente “minkiasukana”. E il suo uso si diffuse rapidamente. Da
Munypuzos alla sicilia intera. Inizialmente tra le elite e poi nei riti misterici di certe
divinità. In primis nelle Zeusphallomachie. Da qui la dedica a Zeus. Pertanto
inizialmente sukavano sacerdoti e adepti che, tenendo conto del racconto di
Filostrato, reintrodussero la statuetta. Naturalmente quella di Zeus. Poi, lentamente o
forse rapidamente, per puro e semplice piacere tutti attaccarono sukare. O statuette o
semplici minkiuna di minkiasukana. Generalmente a casa sukavano statuette, fuori
sukavano minkiuna. In sicilia pertanto tutti, per l‟appunto, sukavano. Fumavano i
ricchi e i poveri. E fumavano gli uomini e le donne di religione. Per costoro la
“minkiasukana“ era solo e semplicemente la “minkiajuana”. La minkia di Giove.
Così chiamata in onore della ciolla di Zeus, Giove per i latini. Giustamente quindi la
statuetta di Min era stata sostituita da una di Zeus. Però con le stesse caratteristiche:
l‟essere itifallico. Ma Zeus in realtà non era itifallico. Era comunque ben messo. E
proprio quella parte tanto cara a Filostrato si sukava. Ma a dire il vero vero veramente
quella parte non era cara solo a Filostrato, essendo cara a tutte le donne praticanti e
anche a tanti mascoli che non contenti della propria appendice e soprattutto non
potendosela sukare, cercavano l‟appendice di qualche altro mascolo.
Comunque, ripuntualizzando la cosa, quasi tutti i siciliani sukavano. E Filostrato
Sukasuka oggi viene considerato il fondatore della Botanica o Bottanica classica.
Questo perché il maggior consumo di “minkiasukana” si registrava nei bordelli.
Fumare, o meglio sukare, incrementava il consumo di kunnus da parte dei portatori di
minkia. Ma Filostrato fece di più. Diede un nome scientifico al principio attivo della
minkiasukana. Scoprì il vero e sconosciuto e misterioso signifikato di THC.
Sperimentando su di sé, sui suoi amici, nelle relative compagne, nei bordelli, nelle
loro lavoratrici e nei loro affezionatissimi e soddisfattissimi clienti arrivò alla
semplice conclusione che THC stava per Tetra-Hattizza-Ciolla. Ovvero, la ciolla
diventava quattro volte chiù dura del normale mentre alle femmine aumentava di
quattro volte il pititto della ciolla. Questo fu il contributo ludico e scientifico di
Filostrato. Da tanti è considerato l‟inventore del metodo sperimentale o scientifico.
A Munypuzos divenne la norma salutarsi gridandosi un gioioso “ Ciao, sukaminkiuni
beddu”. Ma a Filostrato dobbiamo n‟autra importante novità. Sempre dall‟antico e
glorioso Egitto portò a Munypuzos una coppia di scimpanzé. La coppia si riprodusse
a iosa e tutti gli intellettuali e altra gente stramma pigliò l‟abitudine di tenere in casa
un “cata-cata-nonno”.
Pertanto Filostrato è ritenuto non solo l‟inventore della Botanica ma anche della
Zoologia. Lui spiegò a tutti che lo scimpanzé era un nostro antenato, un nonno del
nonno del nonno del nonno del nonno, e ancora chiù indietro andando, del nonno del
nonno del nonno del nonno.
--Fumare a minkia, scrivere a ciolla e scrivere con la cicia sono la stessa cosa.
Filostrato
--Questo comunque fu il contributo kulturale, filosofico, scientifico e ludico degli
uomini di kultura di Monakazzo. O meglio, di Munypuzos. Nati tutti Zeussiani
aderirono poi, da adulti, al Priaprismo Trinitario. Ma fondamentalmente furono tutti
quanti atei. Anche se solo il Santhokrysos lo dichiarò liberamente in quanto il
soprannaturale gli stava naturalmente e letteralmente sulla minkia.
<<Mentre la minkia è una cosa naturale, il soprannaturale è innaturale. È solo una
grande illusione, una minkiata megagalattica>> diceva il Santhokrysos.
--Munypuzos era dunque una polys di cittadini ideali. Di ideali Dyceomynkyopoly a
tutti i livelli. Cittadini giusti di testa e di minkia. Ma c‟era anche un
Dyceomynkyopoly più Dyceomynkyopoly degli altri. Un Dyceomynkyopoly di nome
e di fatto, che era amico assai assaissimo degli intellettuali in genere. Anche se non
capiva una minkia, era giustissimo a tutti i livelli. Il cittadino Dyceomynkyopoly fu
giusto oltre ogni giustizia. E giusti furono i suoi commenti giustissimi enunciati per
non giustifikare l‟ingiustifikabile giustifikazione di ingiustifikabili potenti arroganti
che da autentiche teste di minkia cercavano di giustifikare l‟ingiustifikabile esercizio
del loro potere attribuendone l‟ingiustifikabile possesso all‟ingiustifikabile volontà
di qualche ingiustifikabile e arrogante oltre che inesistente divinità che come tale era
priva di qualsiasi giustifikazione alla semplice esistenza perché il nulla è vuoto e nel
nulla non c‟è niente. Eppure costoro, i potenti, dicevano sempre “Dio lo volle, gli dei
lo vollero”. Dyceomynkyopoly passò dallo Zeussismo a adepto del Priaprismo
Trinitario per diventare poi manifestazione vivente dell‟ateismo.
Quando capitava una cosa storta a Munypuzos, si chiedeva: << Minkia, quante teste
di minkia ci sono in questa polis della minkia. E tu, Zeus della minkia impertinente,
perché non fai una amata minkia per fermare queste teste di minkia che combinano
solo minkiate? La tua grande e impotente impotenza è la manifestazione vivente della
tua magnifika inesistenza >>.
Quando capitava una cosa storta in sicilia, si chiedeva: << Minkia, quante teste di
minkia ci sono in questa sicilia della minkia. E tu, Zeus della minkia impertinente,
perché non fai una amata minkia per fermare queste teste di minkia che combinano
solo minkiate? La tua grande e impotente impotenza è la manifestazione vivente della
tua magnifika inesistenza>>.
Quando capitava una cosa storta nell‟orbe terracqueo si chiedeva: << Minkia, quante
teste di minkia ci sono in quest‟orbe terraqueo della minkia. E tu, Zeus della minkia
impertinente, perché non fai una amata minkia per fermare queste teste di minkia che
combinano solo minkiate? La tua grande e impotente impotenza è la manifestazione
vivente della tua magnifika inesistenza>>.
Quando capitava, o meglio, quando qualcuno raccontava di una cosa storta capitata
nell‟Olympazzo, iddu si chiedeva: << Minkia, quante teste di minkia ci sono in
quest‟Olympazzo della minkia. E tu, Zeus della minkia impertinente, perché non fai
una amata minkia per fermare queste teste di minkia che combinano solo minkiate
anche in quella sede ideale delle minkiate che è l‟Olympazzo? La tua grande e
impotente impotenza è la manifestazione vivente della tua magnifika inesistenza>>.
Naturalmente Dyceomynkyopoly sapeva che Zeus non esisteva. Che Zeus non era
materia ma fantasia. Che Zeus non aveva niente a che fare con ipocriti, bugiardi e
figli di peripatetica. Con le minkiate dei potenti e con le minkiate della gente comune.
Con le minkiate in genere. Per lui Zeus era una minkiata inventata da uomini a
minkia.
<< Zeus c‟è? Zeus non c‟è? Il problema non è di Zeus che non esiste. E neanche mio
che so che Zeus non c‟è. Il problema è di quelli che credono in Zeus. Quando
scopriranno che Zeus non c‟è. Quando moriranno e non andranno né nei Campi Elisi,
né nel Tartaro e neanche nella Prateria degli Asfodeli, sai che minkia di sorpresa a
minkia. Ma purtroppo non scopriranno niente. I morti non possono scoprire niente.
Pertanto moriranno con l‟illusione dell‟al di là, ma una volta morti non potranno più
scoprire la verità. La verità può essere appannaggio dei vivi e non dei morti.
Veniamo dal nulla per finire nel nulla. Il tutto e il contrario di tutto lo possiamo fare
solo nell‟intervallo tra la nascita e la morte, perché la nascita è solo l‟inizio della
morte. E allora in questo intervallo diamoci da fare, che dopo c‟è il nulla, il vuoto,
una minkia cina d‟aria, un kazzo di niente, il nihil chiù nihil del più grande nihil>>.
Dyceomynkyopoly finiva tutti i suoi discorsi con un sonoro “Anthegamisu..
vaffankulo... vaffankulum .. all‟urbe, all‟orbe e all‟Olympum.. mi state tutti sul pisum
sativum.. ”.
<< Unni minkia ti stanu?>> gli addomandava qualche uomo spiritoso.
<< Sul pisum sativum>>.
<< Unni?>> chieda l‟ignorante.
<< Sul pisello odoroso>>.
<< Sul pisello?>>.
<< Sì. Sul kazzo odorante. Sulla ciolla ciaurante>>.
<< Ahhh... Capiiiiiii. Sulla minkia profumata. Capiiiiiii, minkia come capiiiiiii>>.
Anche lui teneva a casa un “cata-cata-nonno”. Anche lui se lo portava a spasso come
gli altri. E ci dialogava. Anche perché il “cata-cata-nonno” rappresentava la storia
dell‟uomo prima della nascita dell‟uomo. Rappresentava l‟origine del tutto. Ma
proprio di tutto. Memorabile assai la sua imprecazione contro il divino: <<Buttana di
la inesistente ciolla capa e bestia e frocia e buttana e ingiusta di quell‟ingiusto e
inesistente buttaniere capo e frocio e buttano e ciullavento di Zeus>>.
--Fumare a minkia giusta, scrivere a ciolla corretta e scrivere correttamente con la cicia sono la
stessa cosa. Dyceomynkyopoly
---
Dyceomynkyopoly, onesto al mille per mille, in tutto e per tutto, per finire i suoi
discorsi, cosciente che “nessuna ciolla è dura come la vita”, gridava sempre un
sonorissimo:
<<
VaffanKuluM
U O O M
P S M
all‟
...
rbe , all‟
perché mi state tutti sul
rbe e all‟
isum
Il miserabile kazzo di Ottone,
le gambe sporche e rozze d'Erio, il peto
sinistramente lieve di Libone,
a te e a Sufficio, quel vecchio rifatto,
almeno questo dovrebbe spiacere.
E torna pure ad inkazzarti Cesare
generalissimo, contro i miei versi
innocenti. Catullo
lympu
ativu
...
... >>.
Castigat ridendo mores
Nessun kazzo è duro come la vita
--- B --<<< Il fatto >>>
I . Zeus, il capodio
Senza purtari a Giove ubbidienza
Picciotti privi di boni cunsigghi
Pinzaru un ghiornu senza la licenza
Iri a mangiari „n campagna sti figghi:
Subitu fu accurdata la dispenza:
si affirraru nna pocu di buttigghi;
Ed arrivati a lu locu signatu
„Ntra nenti fu lu pranzu priparatu.
Cuminciaru a manciari, e „tra un mumentu
Li buttigghi si vittiru agghiurnari;
Già dritti in pedi mi mettunu a stentu;
Già li testi cuminciunu a fumari;
Intantu di luntanu a passu lentu
La bellissima Veniri cumpari.
Ca nuda e sula pri li larghi strati
Va cugghiennu lu friscu pri la stati.
Micio Tempio, La minata di li dei
--Bello e imponente Zeus stava stinnicchiatu sul letto tutto d‟oro ma cu nu matrazzuni
cinu di pilu di kunnu di fimmina. Era il letto l‟unica cosa che si era portato
trasferendosi dalla Grecia alla Magna Grecia. Perché quella matrazza a tre piazze
l‟aveva riempita a pikka a pikka. Scippannu un pelo dal pakkio delle femmine con le
quali avia avuto una storia pilusa. Un pelo per ogni fottuta. Quella matrazza era la
summa teologica e filologica di tutte le sue divine fottute. L‟opera omnia della sua
minkia. L‟alfa e l‟omega della sua ciolla.
<< Mi consento, se mi consenti, altrimenti mi autoconsento. Per ricordo del piacere
avuto. E spero anche dato >> diceva loro al momento della spilatura.
Adesso stava sul letto e cu na punta di lenzuolo si antuppava le parti intime, degne
di un dio. Era nudo, a parte la koppola che portava in testa. Ma soprattutto si copriva
la panza di diu cinquantinu nell‟aspetto. Pirchì chista era l‟età ca si era stabilizzata pi
lu capo supremo di li dia in generali. In realtà era vecchio di mill‟anni e mill‟anni
ancora più altri mille e altri mille e altri mille ancora. E poi ancora mille e mille e
mille e altri mille. Lu diu di li dia era multimillenario, come altri suoi colleghi passati
e futuri. E anche contemporanei, naturalmente. E Zeus era anche il dio di l‟ommini,
nel bene e nel male, naturalmente. Dio degli dei e degli uomini.
Come dicevo Zeus si antuppava la panza e si grattava li cugghiuna. Questo era il suo
modo di fare quannu stava pinsannu. E Zeus pinsava spesso.
<< A chi stai pinsannu?>> ci addumannavanu i colleghi.
<<A come governare lu munnu>> rispondeva lui. In realtà pinsava a come
accaparrarsi nuovo kunno. Infatti chiddu ca era bello è ca pinsava sempre a fatti e
fattazzi di pilu. A chiddi cumminati nei secoli dei secoli ca furunu passati in Grecia.
E a chiddi ca stava cumminannu adesso, da nu tanticchia di tempo, nella Magna
Grecia. Pinsava anche a chiddi ca s‟avia fari in futuro. Per lo meno fino a quando il
mito non veniva sostituito da un altro mito. Iddu avia sempre in testa un elenco di
femmine da fottere. “Il catalogo delle donne“ lo chiamavano gli dei dell‟Olympazzo.
“U catalugu di li stikkia” lo chiamava lui.
E tra una pinsata e una ripinsata taliava il kulo bello e sorridente di soddisfazione e
piaciri della persona che gli stava accanto. Persona bella, giovane e nuda, a parte la
koppola. E grattannisi li palli pinsava mentre la sua minkia tisa stava stinnicchiata
lungo il braccio. Come un picciriddu in braccio alla mamma. Questo sembrava Zeus:
un uomo che tiene in braccio la sua ciolla e ci canta na bella ninna nanna.
<< Ciolla bella, ciolla pazza. Unni anfilu sta minciazza?
Ciolla bella, ciolla rossa. Unni anfilu sta cosa grossa?
Ciolla bella, ciolla bona. Unni voi fari lampi e trona?
Ciolla bella, ciolla mia. Vuoi pakkiu di terra o di dia?
Ciolla bella, ciolla rura. Vuoi stikki oppuru kula? >>.
Pinsava Zeus. Pinsava al trasloco fatto in un momento di divina inkazzatura e del
quale non si era pentito affatto. I siciliani erano ospitali. Seri. Precisi. Draconiani.
Liberi e liberali. Tutti. A parte quelli di Ortigia. Appena traseutu da la strada sbagliata
ti la mitteuno in kulu. Ovvero, ti faceunu una bella multa. E a parte quelli di
Leonthynoy e quelli di Karleonthynoy. A Leonthynoy si perdevano i papiri. A
Karleonthynoy si litigava sempre perché quello che per uno era otto pi n‟autro era
quattro. E a parte anche quelli di Palermorum. Qua si prometteva di risolvere tutto in
sessanta rotazioni terresti e invece non si faceva un kazzo manco in cinque
rivoluzioni terrestri. A parte queste quattro polys la sicilia era terra bedda. Terra di
pilu. Terra di minkia. Terra di pakkiu. Comunque i siciliani, sia sikuli che sicani,
erano gente di rispetto, di parola e di minkia. In generale. Poi c‟erano pure quelli che
non rispettavano i patti, i regolamenti e i bandi. E c‟erano quelli che non saldavano i
debiti. C‟erano falliti bugiardi e bugiardi falliti. C‟erano advocati, tutores, actores,
causidici e clamatores delinquenti e delinquenti advocati, tutores, actores, causidici e
clamatores. Insomma, c‟erano uomini e c‟erano mezzuommini, uminicchi,
pigliankulo e quaquaraquà. Ma nessuno è perfetto. E pertanto neanche la sicilia
poteva essere perfetta. Era bella, ma aveva pure le sue merde, le sue merducce e le
sue merdacce. Ma a parte questi “casus belli“ i siciliani erano gente allegra. Genti ca
amava i fatti di pilo. Che viveva per il pilo. Vestivano come i greci a parte il
copricapo locale: la koppola. Che piaceva molto anche a Zeus che sempre la usava. E
poi l‟Olympo a Munypuzos era stata una bella trovata. La città ermafrodita era la
sede ideale dei giochi di pilo. Dei fatti di pilo. Delle trame di pilo. Tanto che Zeus
pensava di istituire per decreto divino le Piliadi, le olimpiadi del pilo. Vuoi mettere
il “Lancio della minkia” al posto del “Lancio del giavellotto”? Vuoi mettere la “Lotta
greco-munipuzica“ al posto della “Lotta greco-romana”? Nella prima il vincitore
inchiappetta il perdente. E vuoi mettere la “Maratona a piedi” con la “Maratona del
coito”? E come gli piaceva a Zeus parlare il siciliano.
Com‟era bella questa lingua dalle infinite sfaccettature. Come si riempiva la bocca
quannu diceva: << Non mi skassati la koppola della minkia. Non mi rumpiti li
cugghiuna. Sukatimi l‟aceddu. Nun mi skassati li baddi. Attaccativi „o marrugghiu.
Facitivi na sunata cu lu me battagghiu. Nun mi faciti addivintari iacitu lu latti di lu
me brigghiu, altrimenti vi sbattu in kulu lu marrugghiu, vi fulmino l‟aceddu e vi lu
fazzu addivintari nu tizzuneddu. E poi saranno minki niuri da kakari>>.
L‟unica cosa che aveva imposto era di carattere ortografico. Ci paria chiù elegante.
Per il sommo e intelligentissimo Zeus il siciliano “minkia” doveva essere scritto con
la lettera “k“ al posto di “ch”. “Minkia“ al posto di “minchia “.
Ma la frase che lo faceva pazziare chiù assai era:<< Non fatemi diventare acido il
latte del kazzo. Nun mi faciti addivintari iacitu lu latti di lu brigghiu>>.
Altro che latino e greco: << Non mi rompete l‟acrofhallus. Non mi rompete la
cupolomentula. Non mi gonfiate i testikulos. Mentula kakanda, da pedicare.
Paedicare volo>>. E poi quel saluto referenziale, bello ed educato, tanto in voga
nella Magna Grecia: << Voscenzasabbinirica, vasamu li manu. La vostra conoscenza
sia benedetta, baciamo le mani>>. Frase bella che era addiventata ancora più bella
con l‟arrivo degli dei. << Voscenzasabbinirica, vasamu li manu e li peri >>.
Qualche ateo l‟aveva un po‟ cambiata: << Voscenzasabbinirica, vasamu li manu e li
peri. E nu fattu è sicuru, se vuliti, vi vasamu puru lu kulu>>.
Che poi, volendo, era una bella frase. Na cosa era vasare il kulo peloso di Zeus, na
cosa era vasare il kulo bello di Aphrodyte Kallipigia, Aphrodyte Bellenatiche.
Ragionando al maschile, sarebbe sicuramente stato un piacere per le femmine vasare
il kulo bello di Apollo. Pilo comunque. Pilo e sempre pilo. Pinsava spesso a questo
Zeus. Pinsava anche alla sua minkia tisa e a quel kulo da cui si la sarebbe fatta
skassare per davvero. Sorrideva quel kulo bianco e giovane. Al ritmo del respiro
quelle natiche si allontanavano e si riavvicinavano. Un sorriso naticale. O anale.
Parevano veramente due cassate siciliane allegre. E allegro era anche Zeus. Che di
quel kulo aveva goduto poco prima. Adesso la persona proprietaria di quelle natiche
dormiva. E lui pensava. Pensava taliannu. Pensava a quanti kuli e a quanti kunni avia
visitato dacché lui era stato lui, dacché Zeus era stato Zeus. O meglio, da quannu il
phallo divino si era messo a funzionare. Che a dire il vero verissimo veramente assai
presto aveva incominciato. Era stato nu picciriddu fottitore. Fors‟anche un neonato
fottitore. Ma il suo dolce andare di pensiero in pensiero, di kunnu in kunnu, di kulo in
kulo, di ucca in ucca, intanto che si taliava l‟ameno paesaggio bicollinare, fu
interrotto da una voce antipatica. Di quelle che trasunu dalle orecchie, vanno al
ciriveddu, si fanno un giro veloce dintra la scatola cranica, e non la potendo skassare
perché d‟osso è, scinninu al core facennulu inkazzare, quindi vanno alla panza e
all‟intistinu facennuli mettere in movimento, e pi finiri vannu a li cugghiuna ca
automaticamente uncinu come du muluna di ciauru. Mentre l‟aceddu, se gonfio era,
si svunciava in un amen.
<< Che fai? Sempre il solito panorama guardi? >> disse la voce maliritta di una
fimmina tutta allicchittiata e con tanto di koppola di seta in testa.
<< Senti, non ci skassare la koppola della minkia. Io mi consento di fare quel kazzo
che mi pare. Io taliu chiddu minkia ca mi pari e piaci. E fazzu chiddu minkia ca mi
pari e piaci. Sicuramente non devo dare conto a tia, signora skassaminkia
autorizzata>> rispose serio serissimo Zeus.
<< Ma come, sono tua moglie, Zeù.. >> rispose la donna che amava il parlare fino. E
utilizzando il diminutivo che usava nei momenti di abbandono al piacere.
<< E chi minkia mi ni futti.>>
<< Ricordati che sono pure tua collega. Sono una dea >> precisò Era.
<< Ma chi riminkia mi ni rifutti. Io sono il capo di li dia, quindi anche tuo. Suka e
porta a casa. >>
<< E sono pure tua sorella>>.
<< E chi triminkia mi ni tririfutti. Risuka e ririporta a casa>>.
<< Adesso ci lo conto alla mamma >> disse Era.
<< Vaffankulo a tia e a lei pure. Vaffankulo sia alla moglie che alla suocera >>.
Poi si rese conto che la suocera era anche sua madre.
<< Tu hai mandato a fare in kulo tua madre, tua mamma >> disse Era.
<< Vaffankulo non una ma due volte, sia come suocera che come mamma, buttana di
la buttanissima ca ti criau>> rispose Zeus.
<< Ma creò pure te>>.
<< E cu minkia ci lu fici fari? Mammà non ficcò pi fari a mia o a tia, ficcò per il suo
piacere o per quello di papà>> rispose ridendo Zeus. E rise pure la sua ciolla
abballando. Rise pure il kulo della persona dormiente con una allargatine di chiappe.
<< Sei volgare e arrogante più di nostro padre Krono, irrispettoso e prepotente. Non
rispetti neanche l‟età, neanche chi ti ha dato la vita >> rispose Era, ferma come una
statua di marmuru accanto al letto.
<<Vaffankulo, ca mi sta addivintannu iacitu lu latti di lu brigghiu. E non paragonarmi
al deminkiatore celeste. O forse tu vorresti fare lo stesso? A mia per caso vorresti
deminkiarmi? Attenta, perché io ti la cusu pi sempri la porta del pakkio. E poi su
kazzi tuoi. Ti la cusu accussì stritta ca mancu pisciari potrai. Pertanto attenta alle
minkiunate che dici>> rispose Zeus sentendosi sempre più sgonfiare l‟aceddu e
gonfiare li baddi.
<< Una volta mi amavi >>.
<< Da picciriddu, quannu nun capivo una minkia e pazziavo per un pakkio. Uno
qualunque, tanto per fare trasi e nesci >>.
<< Mi amavi allora>>.
<< Chiamalo amore ma era amore per il pakkio. Sì, ti amavo, ma poi ti fici li corna
presto. Con la sacerdotessa del tuo tempio, la sacerdotessa Io. La bella Io>>.
<< Ricordo. La bella Io dell‟Heraion. Bella e vergine>>.
<< Bella, vergine e amante della ciolla e ciollofila docchi>>.
<< E invece adesso corri appresso a un kulo di mascolo. Vergogna>>.
<< Un kulo è solo un kulo. I kuli non hanno sesso, possono essere solo belli o brutti.
E questo è bellissimo, è di un picciotto callipigio. Iddu tiene un kulo che parla, che
grida, che invoca soddisfazione>>.
<< Come il mio è>>.
<< Come il tuo una volta. Una volta sì, una volta forse. Ma per me tu un kulo così
bello non l‟hai mai avuto. Questo è bello come quello di Aphrodyte. Comunque una
volta ti la passavo la minkia, davanti e darreri. Mi piaceva fotterti. Mi consentivo di
chiavarti e non solo. Anche inkularti era un piacere, farti un kunnilingus. E a tia ti
piacia assai la fellatio. Come la sukavi alla grande la mia minkia..>>.
<< Non usare parolacce. Il nostro era amore>>.
<< Ma sukari l‟aceddu è.. è anche quello amore. Minkia. E tu lo sukavi in modo
divino. Minkia, tu sukavi e io ti la alliccavo con la mia lingua esperta>>.
<<Porco>>.
<<Porco sta minkia>>.
<<Porcazzo>>.
<<Porcazzo sto kazzo>>.
<<Porcazzozzone>>.
<< Porco o non porco, cara Era, ci sta pure il bassorilievo. Il bassorilievo del tempio
di Heraion a Mynkyalonya. Rappresenta a tia ca suki la minkia mia>>.
<< Porco.. porco tu e chi fece quel bassorilievo>> disse Era inkazzata.
<< E l‟amore che porta a fottere. E io godevo nel fotterti e rifotterti a mio piacimento.
Godevo io e godeva la mia minkia >>.
<< Amore, amore era. Ricordati che la nostra prima notte di nozze durò trecento
anni>>.
<< Un pilo nell‟eternità, anzi un piliddu nicu nicu. Ma la minkia mia lavorò assai
assaissimo>> puntualizzò Zeus.
<< Un piliddu piacevole però. Tu che fikkavi e io che mi bagnavo sempre nella fonte
di Kunnosanato per riacquistare la verginità >>.
<< Ma ricordati che non fottevo solo con te>>.
<< Lo so, ma il nostro era amore. Con le altre era solo sesso>>.
<< No, per me solo e sempre fottere è, fu e sarà. Io consento alla mia minkia di fare e
sfare come vuole lei e come voglio io>>.
<< Non essere volgare. Ancora adesso , in fondo, qualche volta mi cerchi>>.
<<Solo dovere coniugale, semplice prestazione maritale. Quasi dovere d‟ufficio,
dovere e basta. Come una pratica da sbrigare. Un colpo e via, possibilmente ad occhi
chiusi, pinsannu di fikkari con qualcosa di chiù bello, di più giovane, di più vivo. Tu
sei un pakkio da museo. Un pakkio morto. Uno stikkio giurassico>>.
<< Ti prego, non dire queste cose>>.
<< Senti, skassakazzu, ti sei taliata come sei arriddotta? Kulu carenti, minni sbunciati
e pakkiu sdillabbriatu. E tuttu il resto in rovina>>. Era scoppiò a piangere.
<< Anche tu sei in rovina, tieni la panza, ciai li minni ruossi, il kulo obeso>>
aggiunse la donna.
<< Sì, sì. Nel corpo sì, ma nell‟aceddu no. E l‟aceddu mio voli carni frisca, per
arrifriscarsi meglio. Carne fresca e variabile soprattutto>>.
<< Come quella che hai a portata di mano?>>
<<Certo, quel kulo è una casa del piacere. Domus mentula, casa della minkia è>>.
<< Sodomita>> gridò Era.
<< E che minkia. Questa è parola della concorrenza ebraica>> disse Zeus ridendo.
<< Iarruso>>.
<< E che minkia ancora. Iarruso è quello che riceve>> puntualizzò Zeus.
<< Bardascia>>.
<< Minkia ancora una volta. E la stessa cosa>> aggiunse il capodio.
<< Buggerone>>.
<< Questo va bene. E ora, signora Era, vaffankulo, che io devo buggerare. O vuoi
taliare la cerimonia della messa in kulo? >>
E si scoperchiò mettendo in evidenza lo zeussino in fase di rinascita. Presa da una
crisi isterica dovuta alla mancanza di kazzo Era si buttò su quel kulo dormiente e lo
prese a pugni e a mozziconi.
<< Ahi ….>> gridò Ganimede che ne era il proprietario. E girandosi mise in evidenza
un cicetto ch‟era un giocattolino nel vero senso della parola. Era e il coppiere di Zeus
litigarono alla grande. Le prime cose che abbularono furono le coppole. Poi si
acchiapparono per i capelli e rotolarono a terra. Lu carusu ci strappò la vistina e la
misi col paparaciannu di fora. Lei lo acchiappò per il ciollino gridano che glielo
scippava e glielo fikkava in quel posto . Intanto Zeus rideva. Una risata divina. Ma
nelle mani di Era il giocattolino fece il suo dovere e diventò uno strumento niente
male. Ganimede era bello sia di darreri che di davanti.
<<Uhm … Piccolo da moscio ma da sveglio è un bello e meraviglioso esemplare. Ma
io te lo strappo lo stesso e te lo ficco là. Là dove vuole fikkarsi quello iarruso di mio
marito>> disse Era che da parecchio stava all‟asciutto.
Ganimede gridava ed Era strillava. Alla fine intervenne Zeus.
<< Basta, femmina disobbediente. Lascia quello che desideri. Adesso pi minnitta
assisterai al mio gioioso buggerare. E non dire una minkia, ca lu latti di brigghiu è già
mezzo acido >>.
Piangendo Era fu costretta a taliare con dolore e pititto. Addossata alla parete fredda,
nuda com‟era, vide il ciollo divino trasiri tra quelle chiappe sorridenti. A cose fatte
Era implorò una dose di sasizza maritale anche per lei: << Dammilla nu tanticchia di
quella tua ciolla doc, a divinità d‟origine controllata. Dammilla qualche dose di
minkia. Dammilla, pi carità. Una tantum ma dammilla. Arrifriscami lu paparaciannu
che da tempo non vede alcuna grazia di dio. Ti prego, magari una botta e via ma
dammilla una botta. E via....>>.
<< No>> rispose Zeus.
<< Una dose soltanto, un assaggino, magari solo una sola trasuta e sciuta tanto per
levare le ragnatele >> implorò la moglie piangendo.
<< Certo, avere le filinie nel pakkio non è una cosa bella, ma io non sono una ciolla
pulisci stikkio, una minkia smantella filinie. Io non sono un fallo delle pulizie, non
faccio lo spazzino della fika>> rispose con serietà ironica Zeus.
<< Una botta, solo una botta>> implorò ancora la femmina.
Zeus la taliò seriamente autoironico.
<< Sì, si può fare. Ma col profilattico però, altrimenti rischiamo di fare nu diuzzu>>
rispose Zeus.
<< Come ti pare e piaci, basta che m‟insasizzi. Con uno, due , tre profilattici, non ha
importanza. Basta che mi fotti >>. Era si buttò sul letto e attese l‟arrivo del maritofratello a cosce spalancate. Invece arrivò Ganimede con la sua giovanile ciolla.
<< Ma …>> addumannò Era.
<< Niente ma, lui è il profilattico. Io l‟inkulo e lui t‟inkunna. I miei colpi di reni si
trasmetteranno a lui e lui li trasmetterà a te, lui ti fotterà ma io sarò il deus ex
machina di quella tua trombata tanto assai assaissimo desiderata>>.
Così, col permesso di Zeus, Ganimede si trombò la signora Era intanto che veniva
trombato dal capodio. Era godette col kunnus, ma pianse col cuore. Poi andò via
lasciando Ganimede tra le braccia del suo Zeus.
Nell‟uscire Era gridò disperata: << Porco Zeus. Guruni Zeus. Stronzo Zeus. Malaca
Zeus. Vaffankulo, Zeus, porco chiù porco del porco, praticamente purkazzu.
Purkazzu di testa e di kazzu>>.
<< Taci, troia. Tutte le onestà che predichi con la bocca di sopra si contrappongono
alle minkiate che fai o vorresti fare con la bocca di sotto. Taci pertanto>> rispose
calmo Zeus.
<<Pupazzu, purkazzu, purkazzu di kulu e di kazzu>> replicò l‟isterica moglie sorella.
Ma Zeus rise. Non era una novità. Tutti, da tempo immemorabile, lo consideravano
un “porco”. E “Porco Zeus” era l‟insulto preferito da tanti, sia tra gli dei che tra gli
uomini. Ma non sempre era un insulto. Il “porco” con cui l‟appellavano tante donne
dopo un fattaccio sessuale era un “porco“ pieno di erotismo e sessualità. Come dire
chiaro e tondo “Come sei bravo a fare le porcherie, sei un amabile porco, come fai le
porcate tu non le fa nessuno, porchiamo insieme”. Anche il “porco“ con cui
l‟appellava spesso Ganimede era un “porco“ pieno d‟amore e d‟affetto.
Era un grazie per il piacere che Zeus gli procurava.
<< Vattinni troia, e ringraziaci per la sfiliniatura. Per la livata delle filinie dal tuo sito
paleoarcheologico. Vaffankulo, che forse pure là ci stanno le filinie>>.
Poi, rivolgendosi a Ganimede: << A proposito, amore mio bellissimo, ci ni stavano
assai di filinie?>>.
<< Controlla, porcone mio>> rispose il picciotto. E Zeus, dopo averlo pigliato in
mano, taliò da vicino l‟aggeggio del suo amore.
<< Pare nu pisci dintra na riti, minkia, com‟era arriddotta la cosa di Era. Kazzo,
quante filinie sul kazzo>>. E chiamò due cameriere che accorsero con un vassoio
d‟oro pieno d‟acqua. E con quella Zeus ci lavò il pisello al suo coppiere. E tra una
sciacquata e l‟altra ci desi pure dei bacetti.
<< Cuntami una storia d‟amore>> chiese il picciotto intanto che Zeus ci lavava lo
strumento.
<< Di pilo. Una storia di pilo. L‟amore è fantasia, il pilo è realtà. L‟amore è religione,
il pilo è scienza>>.
<< Ma..>>.
<< Lo so>> riprese Zeus << non dovrei dirlo che l‟amore è religione. Io che sono un
dio ateo non dovrei dire certe cose. Ma tu si cosa mia e io ti dico la verità. L‟amore è
religione e il pilo è scienza. Poi ognuno l‟interpreta come minkia e cappella di minkia
vuole>>.
<< Va bene, ma cuntimilla. Pilo o amore, sempre fatto di minkia è>>.
<< Ti racconto quello che feci ieri. Andai al bordello di Munypuzos, quello di lusso,
quello della Munypuzos bene, il Krisomentulamachia.. e … e dopo aver preso le
sembianze del filosofo Mario Cicerone Acicero Gaudenzio Pisellosenza Amentulo
Sbaddatu Senzaceddu..>>.
<< Di chi? >> chiese Ganimede.
<<Di Mario Cicerone Acicero Gaudenzio Pisellosenza Amentulo Sbaddatu
Senzaceddu, quello che chiamano Catone il Censore di Munypuzos, quel malaca che
vorrebbe prendere provvedimenti draconiani contro gli immorali, compreso il
sottoscritto. Quello stronzo che vorrebbe chiudere i bordelli, quel ciullagalline che
vorrebbe cancellare il diritto al piacere e fare tante altre amene minkiate di
ciullavento. Ebbene, dopo aver pigliato le sue sembianze, mi sono fatto tutte le
signore del lupanare. Dopo essermi regolarmente presentato però. Tutte le ho
possedute e ripossedute facendomi un piacevole e soddisfacente doppio giro. Per il
piacere mio e il disonore del filosofo. Minkia, come mi sono divertito nel vedere le
facce delle lupe quando mi presentavo. Minkia, che divertimento>>. E Zeus attaccò
a raccontare tutti i particolari: << Lucilla lu teni accussì. Cinzia l‟avi accuddì.
Camilla fa questo. Berenice fa quello. Poppea sa suonare il piffero. Romoletta sa
ciullare la ciolla. Natichella sa usare le chiappe >>.
<< E io che so fare?>> chiese Ganimede che fibrillava d‟amore tutto sano sano, dalla
testa ai piedi, passando per il centro anteriore e soprattutto quello posteriore.
<< Tu sai fare il coppiere. Mettermi il vino nella coppa. O ricevere il mio vino
d‟amore nella tua coppa personale. E sai anche suonare il flauto in maniera divina.
Mai vista una suonatrice di flauto brava come a tia, kuliddu miu beddu, niru di lu me
aceddu>>.
<< A proposito, dopo avermi sfiliniato la ciolla dalle filinie di Era, perché non mi
sfilini dall‟altra parte con il tuo bellissimo e potente sfiliniatore? >>.
<< Immediatamente>> rispose Zeus che con la sua forza infinita mise in un attimo il
picciotto nella posizione giusta per poi acchianargli addosso. E stava per trasire là
dove era tanto atteso quannu successe quello che successe.
Infatti proprio allora, in fase di “anun penetratio” sentirono una bella voce cantare.
<< Minkia, lu skassaminkia ranni arrivau>> disse Zeus deponendo le armi
dell‟amore. O meglio, l‟arma dell‟amore.
<< Minkia, lu minkiaranni arrivau a skassare la minkia a tia e a lassari a mia chinu di
pitittu>> aggiunse Ganimede che sentiva già la ciolla divina arrimuddari tra le sue
chiappe e sciogliersi come neve al sole.
<< E iddu, ciriveddu nicu e minkia ranni. L‟esibizionista per eccellenza.
Fhallopompos. La guida de falli, la stella polare dei kazzi >> dissero in coro Zeus e
Ganimede. E infatti, ogni volta che Zeus sentiva quella voce potente, diventava
impotente. Che quello avesse una ciolla chiù grande della sua lo faceva inkazzare e se
era in fase di minkia nascente automaticamente passava a quella di minkia calante.
Così successe anche quella volta.
<< Bastardo minkiaranni, mi sminci sempre. Sei solo uno smontaminkia. Passami nu
minkiuni ca mi lu suku>> disse Zeus deluso ma ironico.
“Sminciare” voleva dire “sgonfiare la minkia”. Lo stesso signifikato di
smontaminkia. Ma era un odio amoroso quello di Zeus. Lui amava il picciotto che tra
l‟altro era un parente. Ma l‟effetto purtroppo era quello. Il picciotto lo sminkiava. Ma
Zeus s‟inkazzava solo un attimo, poi perdonava. Ganimede invece, anche se
devotamente innamorato di Zeus, avrebbe voluto avere una storia con quella bestia di
uomo-uomo per modo di dire - con tanto di bestia tra le gambe. Tanto per provare.
Per vivere una nuova emozione. Una emozione grande, particolarmente grande. Ma
intanto era saltato tutto. Per colpa di quello, quello che andava solo con le femmine.
Quello che era etero al miliardo per miliardo. Esclusi però i lavori d‟ufficio. O i
doveri d‟ufficio. Ovvero le pratiche di sfondamento dei kuli dei ladri. E non solo
quello.
--< < Fottiam nei lieti calici che la bellezza c‟infiora.
E la fuggevol ora s‟inebri a voluttà.
Fottiam coi dolci fremiti che suscita il kunnus a tutte l‟ore.
Poiché questa minkia in amore onnipotente o purtusu va>> cantava quello.
La voce potente del picciotto, potente come la sua minkia, si sentiva in tutto
l‟Olympazzo quando iddu attaccava a cantare. E ne sapeva di canzoni. Tutte a senso
unico, ma ne sapeva a iosa. Adesso la sua voce risuonava nei sacri palazzi. Il
picciotto stava andando dalla mamma. Per una visita lampo. Da Aphrodyte
Anadiomene e Kallipigia. Brutto di nascita, brutto era cresciuto e brutto era rimasto.
Piluso come una scimmia già da quannu sciu dal buco materno, chiù piluso ancora
era diventato quando era cresciuto. Piluso tutto tranne che nel kulo. Quello spilato era
e spilato era rimasto. Ed era nato talmente brutto che la bella mamma, dopo il parto,
l‟aveva rifiutato. Era stato cresciuto da altri. Ma da grande aveva riallacciato i
rapporti. La bella mamma adesso andava d‟amore e d‟accordo col figlio brutto, lario
e racchio ma minkiuto più di qualsiasi altro uomo, terrestre e no .
Lo amava più degli altri figli. Perché era brutto. E forse anche per altri motivi.
<< Brutto bruttazzu tranne ca di kulo e di kazzu>> ci diceva la bellissima Aphrodyte.
La sua bellezza stava altrove. Era bello d‟aceddu e di kulo. Se il primo era
spropositato, il secondo l‟aveva pigliato sano sanissimo dalla madre. Era sia itifallico
che callipigio. E la sua biddizza facia paura a tutti. Alle femmine, che pure la
desideravano, e ai maschi, che invece lo invidiavano.
Lui, Pryapo itifallico, era stato costretto da sempre a portare una tunica un po‟ più
lunga degli altri. Questo dai sei anni in poi, prima stava nudo. Anche se la cosa era
già spropositata e sempre tisa. Era nu picciriddu ciollaranni, da nicu tinia la ciolla
molto assai assaissimo chiù ranni di la ciolla di li uomini ranni. Poi, per nascondere la
ingombrante protuberanza eretta , aveva dovuto portare tuniche più lunghe. Ma la
cosa, sempre tisa sotto la tunica, sporgeva in avanti. Così come le donne incinte
compaiono prima con la pancia allo stesso modo Pryapo compariva con la sua famosa
protuberanza che faceva pressione contro la stoffa della tunica. Da grande si era
dovuto abituare a convivere con la sua specialità fallica. Sotto la tunica, cortissima
per scelta e moda, portava una sorta di imbracatura, detta “cingifhallus” , che gli
bloccava la minkia in verticale. Issa passava sopra l‟ombelico, poi tra le tette e infine
arrivava sotto il mento. Tanto che Pryapo portava sempre una sorta di sciarpa, una
primitiva gorgiera detta “Priapera“. Sia col caldo che col freddo. Per antuppare la
koppola dell‟aceddu, che spesso si affacciava. Tanto che questo accessorio era
diventato alla moda. Stava a signifikare “ Tengo n‟aceddu ca è na bestia.. tale e quale
quello del dio Pryapo..” In testa poi portava sempre due coppole. La koppola era una
invenzione di Munypuzos, ma la doppia koppola era una trovata di Pryapo.
A chi gli chiedeva il perché Pryapo rispondeva: << Una per la testa, l‟altra per la
minkia>>. Infatti, quannu la ciolla, al massimo della potenza, si affacciava e mittia la
testa accanto all‟autra testa, lui si levava una koppola e la mittia sopra la koppola
della minkia. “Uomo bicefalo” lo chiamava qualcuno. “Doppia testa di minkia“
qualcun altro. Ma a parte tutto Pryapo si sentiva castrato dagli abiti. Se le statue a lui
dedicate lo raffiguravano nudo e itifallico, c‟era un motivo. E lui avrebbe voluto
stare sempre nudo. Appena poteva, si denudava. Nudo si sentiva libero. Libero di
essere se stesso e di esibire la sua arma . La sua clava di carne. Ma quando andava in
giro si vestiva. Per buona creanza, per non scandalizzare, per la cosiddetta
educazione, la cosiddetta morale, per ordine della mamma, del papà e di altri
rompibaddi. Ma soprattutto per comodità. Il “cingiphallus“ gli teneva la minkia in
ordine.
<< Minkia. Perché Ermete poli stari nudo e io no?>> si chiedeva spesso.
Poi si dava la risposta. Quello aveva una minkietta, lui era più kazzo che altro. Ma
appena poteva si metteva minkia all‟aria e palle al vento. Arrivato davanti alle stanze
della mamma trasiu senza bussare.
<< Mammina Kulubeddu, vasamu li manu e lu kunnareddu>> disse trasennu nella
camera da letto di Aphrodyte.
<< Smettila, non dire parolacce. E non scherzare, megastronzone, malaca, malacone,
malakazzu>>.
<< Mammina, Kulubeddu è la traduzione in dialetto di Kallipigia>>.
<< Lu sacciu, ma lassamu stari. Piuttosto, figlio mio bello, che stai combinando di
bello adesso? Di questi tempi? Dimmi, che fai, bello di mamma>>.
<< Beddu a mia, no. Tutto mi puoi dire tranne quello. Bello non fui, bello non sono e
bello non sarò. Capito?>>
<< No. Tu si beddu, anzi biddazzu tuttu. Sulu ca la tua biddizza è nascosta. Ma è
chidda ca piaci a li fimmini. Fattillu diri di mia, sono la dea dell‟amore. Ho avuto
tanti maskuli, ma nessunu avia una biddizza come la tua. Ho solo avuto biddizzi chiù
nichi. E poi tu tieni pure il kulo bello come il mio, megamentulo e callipigio. Grande
ciolla e kulo bello>>.
<< Certo mammina. L‟aceddu appititta a tutti li fimmini, che però delle volte si
scantanu a farissullu infilare. E delle volte invece appititta pure a qualche maskulo.
Ma il kulo, mammina bella, appititta a troppi mascoli. E a dire il vero vero veramente
anche a li scecchi. O per lo meno, a uno scecco appitittò. Minkia che scantazzu quella
volta ca lu scikkazzu mi vulia sunari in kulu lu so kazzu. Se ci penso mi scanto
ancora>>.
Aphrodyte, conoscendo la storia, rise. E per la gioia si mise a saltare. La koppola volò
via, mentre la corta tunica, svolazzando, mise in evidenza il culetto bellissimo e il
paparaciannu senza pila. Senza pila di natura, e no spilato come facevano tante per
moda. Per avere il “pakkio all‟Aphrodyte”. Poi abbracciò il figlio. Pryapo la sollevò
da terra e ci fici fari na decina di giri a velocità elevatissima.
<< Che è sta cosa che si frappone tra noi?>> chiese ridendo la mamma.
<< Chidda ca mi facisti tu cu la collaborazione ciollesca di papà>>.
<< Speciali ti la fici? Ehhhh….. ammuccamu >> rispose la mamma.
<< Mammina, se vuoi, a disposizione>> disse Pryapo ridendo.
<< Vaffankulo, figlio beddu. Sugnu sì la buttana ranni, la buttana universale. Ma mi
la fazzu infilare da chi voglio io >>.
E ci desi una manata nella panza ma acchiappò n‟autra cosa. Pryapo la rimise a terra
e si mise a fare l‟addolorato d‟aceddu.
<< Ahhhh….Mammina, mi arruvinasti il rosso palo. Io dicevo per dire. Mi pare che
nella famiglia nostra è tutto un casino. E che casino. Un casino infinito e senza
confini>>.
<< Casino sì, ma casino divino. Io la buttana universale, tu la minkia universale, mio
marito il cornuto universale, tuo padre lu „nbriacu universale, lu nonno è si il capodio
ma è anche il capobuttaniere universale. È tutto un casino, un casino come quello che
c‟è nel mondo, come quello delle altre religioni, passate e future. È tutto e soltanto
un casino, perché è la vita che è un casino. L‟importante è farne un casino divertente
e no di ciangikunnu, minkieperse e ammuccaparticole nate e pasciute. L‟importante è
essere minkiallegra e kunnoridente >>.
<< Come a mia, minkiallegra e ciolla tisa>>.
<< Sì, figlio mio bello di kulo e d‟uccello. È meglio essere minkiallegra come a tia e
kunnoridente come a mia . Kunnoridente ma non pi tia comunque>>.
<< Mammina bella, ma lo sai che poi ci sta pure il proverbio “quannu è tempo di
necessità unu ci l‟avi a infilari pure a mammà”. Comunque io scherzavo, ma se
vuoi? Se è tempo di necessità?>>.
<< Necessità? Per me mai. Basta che alzi un dito e mille minkie di qualità si mettono
a disposizione. Ciolle doc e ciolle duc. Ciolle a divinità d‟origine controllata e ciolle
a divinità umana controllata >>.
<< Mammina, io scherzavo>>.
<< E io pure>>.
<< A parte gli scherzi, sappi che io una sonata di minkia non la nego a nessuna
femmina. Possono suonare a mano. Possono farne un flauto. O farsi suonare l‟arpa a
quattro corde. O eventualmente farsi sfondare il tamburo. Tutto per le femmine sono.
Tutto per il pelo femminino m‟arrapo e m‟arrabatto. E a tutte me le sbatto. Ma lungi
da me i maskuli cercakuli e i maskuli cercapiselli. Sol per le femmine io ci son. Sol
per loro la mia minkia è >>.
<< Io, Pryapo beddu, fazzu tutti sti cosi, e anche altro. Sono o non sono la buttana
universale? Ma decido io con chi, capito, Pryapuzzo mio. Ho detto “No” pure a Zeus,
ma dico “Sì“ a chi minkia voglio io. Perché io sono la proprietaria del mio pakkio e
me lo gestisco come voglio io. Capito, Pryapuzzo>>.
<< Non chiamarmi Pryapuzzo. Eventualmente Pryapazzo. Oppure Pryapuzos, kazzo
di Pryapo>>.
<< Ve bene. Io ti fici e adesso mi la suku, Priapazzu ca scisti da lu me stikkiazzu>>.
<< Almeno, mamma bella, mi facisti col metodo tradizionale? Cu la mamma che
riceveva e il papà che dava. Una bella sonata di campana col marrugghiu di carne.
Din don dan trasiam, din don din uscim, din don dan siminiam, din don din gudim>>.
<< Certo, una bella sonata fu. Perché papà tuo pazzo e brillo sempre è, ma quannu si
tratta di sunari il piripikkio nel pakkio ci mette sentimento, arte, possanza, prestanza e
tanta fantasia. Insomma, una fikkata di passione fu quella che ti stampò a tia. Come
pure le altre che s‟avi fatto con me. Tuo padre conosce l‟arte del fikkare. E un artista
della minkia e.. e del vino. Solo che non si capisce se è il vino che fa andare la minkia
o è la minkia che va a vino. Comunque la ciolla di papà va alla grande>> rispose la
mamma.
<< Invece la tua nascita fu nu tanticchia strana, vero, mammina cara>>.
<< Tanticchia, solo tanticchia, solo tanticchiella>>.
<< No mammina, nascere dalla spumazza del mare pirchì Krono avia tagghiatu li
cugghiuna e la minkia a suo padre Urano non è tanto normale>>.
<< Nascere cu na minkia tanta neanche>> rispose Aphrodyte, che nella Magna
Grecia chiamavano anche Venere.
<< Ma è sempre una minkia. Ma una minkia che si fotte il mare non s‟è più vista. E
dimmi, a cu chiami papà? Alla ciolla di Urano? E mamma , il mare?>>.
<< No. Io chiamo papà a Zeus. Sono sua figlia adottiva. E lo chiamo papà e a volte
anche mamma. A secondo dei casi. E può darsi che ricapiterà>>.
<< Va bene, ricapiterà. Forse sì. Forse no. In ogni caso tu sei figlia della
detesticolazione e della deminkiazione>>.
<< Zitto, perché altrimenti ricapiterà subito. Perché io ti deminkio seduta stante>>.
<< A mia no. Ma a proposito, mammina bella, accamora chi è che ti l‟arrifrisca?>>.
<< Cosa? >> chiese la mamma fingendo di non capire.
<< Cosa? La filazza dell‟amore, la funnacella per arrostire la sasizza, la gabbia pi
mittirici l‟aceddu, la vaschetta pi fikkaricci lu pisci, l‟ortu pi siminari la simenta, la
campana pi mittirici lu battagghiu, la pignata pi cociri li spaghetti, la biblioteca pi
mittirici lu volume unico, lu piripakkiu pi mittirici lu piripikkiu…>>.
<< Io. Io la inciollo, la imminkio, la inkazzo, la inkunno. E brindo sempre a
quest‟inciollamento>> rispose una voce .
<< Bihhhh … Papà. E chi ci fai qui? Tu che sei famoso come “lu diu giramunnu ca
sauta di kunnu in kunnu “. Ogni tanto ti veni la pinsata e ci veni a dare un colpetto
alla mammina? Tra un tour del pakkio e uno dello stikkio, ti piaci ancora il pakkio
spilato di mammà >>.
<< Ogni tanto, tra un kunnusgiro e n‟autro >> rispose Dyonyso affacciannisi nella
stanza nudo come si attruvava. Nudo, a parte la koppola in testa e la consueta coppa
di vino buono in mano. Dyonyso era sempre brillo, tanto che qualcuno lo considerava
pazzo. Ma la sua pazzia di chiamava e si chiama ebbrezza. Ebbrezza di ciriveddu e
d‟aceddu. Ebbrezza di pititto di stikkiareddu e di altro. Ebbrezza di piacere sessuale.
O meglio, come lo chiamano tutti, “spirito dionisiaco”. Lo spirito dionisiaco alla fin
fine è solo un ciriveddu e una ciolla tisa ca vanu a vinu. Lu vinu addiventa il
carburante dell‟uno e dell‟altro strumento. Del ciriveddu fallico e del fallo ciriveddu.
<< Bello il mio papà. E complimenti per la strumentazione. Si mantiene bene>>
rispose Pryapo.
<< Che fai? Mi pigli per il kulo? Per quanto bello il mio strumento nun poli fare
concorrenza al tuo. Se il mio è una bestia, il tuo è un bestione. Se il mio è un
obelisco, il tuo è un obeliscone. Se la mia è una koppola di minkia la tua è un
coppolone di minkiolone>>.
<< Papà, scherzavo>>.
<< Scherzi del kazzo, quando si ha una ciolla come la tua. D‟altra parte lo sai che ti
invidia pure Zeus>>.
<< Lu sacciu. Infatti mi chiama smontaminkia>>.
E rise del vecchio capodio. Risero pure Dyonyso e Aphrodyte.
<< Mio figlio invidiato da Zeus per la ciolla>> disse Dyonyso.
<< Nostro figlio>> aggiunse Aphrodyte.
<< Il figlio dell‟amore. Uno scherzo del mio kazzo e del tuo kunno >>.
<< Scherzo o no, ogni tanto ci metti ancora qualche cornetto al legittimo marito di
mammina, lo zio Efesto, il cornuto universale. E pare che l‟altra volta un corno ci
sciu dal cratere dell‟Etna. E mi sa che era un corno tuo. Il gran cornuto, che poi ti
viene fratellastro. E questo non è uno scherzo. Fikka papà, fikka, finu a quannu la
ciolla ti attisa>>.
<< Ogni tanto una rimpatriata fa piaceri. E mettere un altro corno a Efesto è un
doppio piaceri. E poi, fikkare è sempre bello. Con tua madre poi è addirittura
bellissimo. Quella tiene il pakkio col risucchio. Appena ci lo tocchi con la koppola la
sua forza kazzipeta si lu suka in automatico. È un pakkio turbo, un pakkio con
pompa aspirante incorporata. Ti suka non solo lu skulu dei koglioni ma anche la vita,
il core, l‟anima, lu ciriveddu. Tutto ti suka. Tu ti consumi a pikka a pikka sciennu
dalla tua stessa minkia. Ma però, consumarsi accussì è bello, anzi bellissimo. Viva il
pakkio e chi lo inventò>> rispose Dyonyso che era sempre allegro. E intanto il vino
gli stava rigonfiando lo strumento.
<< Viva il pakkio sì, ma viva anche chi mi fece una minkia accussì. Taliati, mamma
bedda e papà amatissimo. Taliati il frutto del vostro amore>> rispose il dio dal rosso
palo sempre eretto sciennisilla di fora in tutta la sua magnificenza.
<< Kazzu, chi kazzu>> dissero i genitori.
Papà Dyonyso comunque era sempre un bell‟esemplare di uomo. Ben dotato e
atletico, ma soprattutto sempre allegro. Posseduto da quello che è passato alla storia
come “spirito dionisiaco”, era sempre felice e pronto a celebrare qualche rito
orgiastico. Nelle vene aveva più vino che sangue. E anche la sua ciolla andava a vino.
Era in perenne stato di ebbrezza. Sempre pronta a fare il gioco del fikka-fikka. E lo
era anche adesso. Ma era poca cosa la sua cosa in confronto a quella bestia della cosa
del figlio.
--Figlio di Zeus e di Semele, la donna che il capodio con la sua potenza incenerì, dopo
un‟infanzia travagliata, Dyonyso, si era poi dato alla bella vita. Maritato per un po‟
ad Arianna, la figlia di Minosse e Pasife oltre che moglie abbandonata di Teseo,
essendo, come detto, gran viaggiatore, passava da un‟avventura a n‟autra.
E una di queste avventure era stata con la bella Aphrodyte. Il primo incontro, il primo
fikka-fikka, quello che aveva generato Pryapo, era avvenuto nella valle di Pantalika.
Nel punto in cui i due fiumi fottono da tempo immemorabile. “Vino, sesso e
polikunniecioll” era il motto di Dyonyso. Vino per l‟ebbrezza, sesso per il piacere, e
polikunniecioll i falli e i kunni impegnati in riti orgiastici. Accompagnato com‟era
sempre da Satiri assatirati, Seleni inseleniti e Menadi pronte a menarsi e a menarlo e
a darsi e a riceverlo.
Anche il rapporto di Pryapo col padre era stato riallacciato da grande. Successe
quando Pryapo si unì alle Menadi col desiderio di farsele tutte. E ci riuscì. In una sola
notte, nel bosco di Mynkyalonya Iblea, non solo se le passò tutte, ma se le ripassò e
riripassò. Con ognuna fece la tripletta nei tre siti canonici. Praticamente una
“nonetta” con ognuna delle Menadi. Dyonyso saputo dell‟espluà del picciotto lo
volle conoscere. E saputo della particolarità anatomica di Pryapo, ci vinni un
sospetto. E pinsò al figlio mai conosciuto. Pryapo invece sapeva che Dyonyso era suo
padre.
<< Voscenzasabbinirica, vasamu li manu e li peri>> disse Pryapo skoppolandosi la
koppola dalla testa . Poi taliannu le Menadi aggiunse:<< E a voi, voscenzasabbinirica
e poi na vasata di fika>>. Le Menadi risero sia con la bocca di sopra che con quella di
sotto. Risero pure di kulo.
<< Niente minkiate, beddu picciottu. Parra pikka e fai l‟uomo serio. Senti invece,
dimmi una cosa. Se vuoi. Se puoi. Se ti va. Diciamo che mi affido alla tua buona
volontà>> chiese Dyonyso.
<< A disposizione di voscenza … kulo, panza e presenza>> rispose Pryapo.
A Pryapo ci piacia parlare il dialetto di Munypuzos. Era chiù bello dire Monakazzo,
il nome dialettale del paese. Ma anche dire minkia, koppola di minkia e altro.
<< Senti, per caso, nei testimoni … tieni..….>> riprese Dyonyso.
<< I testimoni?>> rispose Pryapo che in realtà aveva capito.
<< I testikulos>>.
<< Ahhhh… Parla chiaro. I testimoni sunu li palli, i baddi, i cugghiuna, l‟ alivi da
canniscedda, l‟uvidda di l‟aceddu, i picciuli na lu borsellino, i du scuffati dintra la
scuffaredda, i du girasi, esatto? E allora parra comu minkia mangi>> disse il
picciotto.
<< Esatto. Tu per caso na li baddi tieni una voglia a forma di grappolo d‟uva?>>.
<< Sì, nu pitittu a forma di racina. E chi racina>>.
E Pryapo si scupirciò per far vedere a Dyonyso il grande pititto che si sviluppava
sulle sue grosse palle. Se c‟era da mettersi nudo, se c‟era da esibire il suo capitale, lo
faceva in un amen.
<<Minkia chi minkia. E minkia chi cugghiuna. Autru ca du scuffati dintra la
squffaredda, chista nun è na squffaredda. Non è una piccola borsa. Chista è una borsa
ranni. Una quffa. O koffa>> disse Dyonyso che era in fase contemplativa e creativa.
Ma il discorso piaciu alle Menadi che in seguito adottanu, per moda e per piacere,
una borsa di paglia bedda ranni e ci diedero il nome “koffa”. E la koffa diventerà poi
la borsa ufficiale di Munypuzos, diventerà un oggetto di culto tra le femmine. Esibire
una bella koffa equivaleva a dire “il mio maskulo tiene due koglioni ranni come
quelli di Pryapo”. Ma intanto taliavano il capitale di Pryapo. E pure Dyonyso taliava
quel gran capitale.
<< Ma tu chissa nun la devi taliari. Si maskulu cercapakkio o maskulu cercaceddi?
Ehhhh….. tu li baddi mi devi taliari>> chiese Pryapo. E si ittau a terra e allargau li
cosci.
<< Minkia chi baddi. Chissi nun su girasi, chissi su muluna. E chissa nunn‟è nu rappu
di racina, chissa è na vigna intera. Chissa nun è na koffa e na koffazza. E tu si chiddu
ca pinsava iu>> ci scappau a Dyonyso. E lu abbrazzau.
<< Figghiu miu, l‟haiu puru iu. Chiù nicu, ma l‟haiu. Tu sei il mio figlio perso, il
figlio ca fici cu Aphrodyte. Ma chidda quannu nascisti ti visti lariu e brutto, nicu
nicuzzu ma tutt‟aceddu e cu lu pitittu di racina na li cugghiunedda ca erunu già chiù
granni di chiddi di nu uomminu ranni, ti abbannunau. Ti mannau a fari in kulo. Che
poi tu tenevi pure il kulo bellissimo. Bello, figlio mio gran minkiuni di lu munnu
intero, terrestre e non. Brindamu, brindamu. E poi emu a futtiri. Brindamu e
fikkamu. E affankulu a cu nun fikka e cu nun bivi. Brindamu e fikkamu, ora e
sempre>>.
Dyonyso fece vedere al figlio il suo capitale, molto più modesto, ma cu lu pititto di
racina pure quello. Per festeggiare brindanu alla grande. Poi fecero, tanto per fare,
una bella orgetta . Padre, figlio e le Menadi tutte. Quindi, discorrendo discorrendo,
decisero di perfezionare la lingua di Monakazzo, che era già tanto bella, e di farla
diventare la lingua ufficiale della polys e dell‟Olympazzo, l‟Olympo di Monakazzo.
E di chiamarla non lingua siciliana o di trinacria ma monacazzese. Lingua di
Monakazzo. Di Munypuzos. Alla faccia del greco e del latino e anche del siciliano in
genere. Questa sarebbe stata la lingua ufficiale di Munypuzos, delle polys alleate e
dell‟Olympazzo. Da allora padre e figlio si erano visti spesso. Andavano d‟accordo.
Erano fatti della stessa pasta.
---Adesso Pryapo e Dyonyso si erano incontrati casualmente a casa di Aphrodyte.
Perché per Dyonyso, ogni tanto, dare un colpetto ad Aphrodyte dalle belle natiche
era un piacere. E poi , in fondo, avevano generato insieme un figlio.
<< Ora vado, vi lascio alla vostra kunnomentulamachia. Io vado a fare le mie>> disse
Pryapo antuppannisi la ciolla.
<< Trasi e nesci. O fikka-fikka, suona meglio. Ma prima brindiamo ancora, ca la
minkia allegra fotte meglio>> propose Dyonyso.
<< E il pakkio allegro gode di più>> aggiunse Aphrodyte.
Bevvero una bella coppa di “Fhallonero d‟Avolum ”.
<< Brindiamo alla salute della nostra minkia>> dissero i due uomini.
<< E di tutte le minkie in attività dell‟universo>> aggiunse la dea.
<< E di tutti li kunna >> replicarono quelli.
<< E soprattutto del mio, che se li possa fare tutte le ciolle del mondo. Quelle di mio
gradimento però>> precisò Aphrodyte. Brindarono alla sanfasò. Poi Pryapo offrì ai
genitori du beddi minkiuna. Due megaminkiuna.
<< Sukati ca vi passa, sukati ca alla fine tutta allegria è. Allegria di testa e allegria na
lu suttapanza... allegria.. allegria a tutta minkia e a tuttu kunnu>>.
E sukò pure lui. La minkiajuana ci piacia assai assaissimo. Anche se a rigore di
logica, secondo iddu, s‟avia a chiamari minkiapriapriana. Perché il miglior simulacro
itifallico da sukare non era quello di Zeus ma il suo. Lui era l‟itifallico come Min e
non Zeus. Lui era la minkia primaria del kreato a tutti i livelli e non Zeus che era solo
il capo del kreato. Poi andò via felice cantando come al solito. Forse era nu tanticchia
chiù allegro del solito.
<< Cinque.. dieci.. venti … trenta.. trentasei.. quarantatré ..
or sì, ch‟io son contento.. sembra in numero giusto per me..
guardare un po‟ mie care fike.. guardate adesso la mia cappella…
sì mia minkia.. ora sei più bella.. sembri fatta apposta per me..>>.
---
<< Quarantatré si ni voli fari, quarantatré lavori di minkia>> disse Dyonyso
accostandosi, da dietro, alla bella Aphrodyte e facennici sentire la potenza del suo
fallo tra quelle belle natiche.
<< E noi a quanto possiamo arrivare con questa minkietta ubriaca? >> chiese la dea
girannisi e acchiappandolo per il manico.
<< La mia minkietta non è>> rispose inkazzato e quasi offeso Dyonyso.
<< Rispetto a tanti no, ma rispetto quella di tuo figlio sì>> rispose la donna ridendo.
<< Vaffankulo, la porto altrove>>.
<< No. Io la voglio e la rivoglio e ancora la vorrò e rivorrò. E anche se non sono
quarantatre mi accontenterò lo stesso>>.
<< Tu , quante te ne vorresti fare? >> chiese l‟uomo.
<< Tutte quelle possibili, all‟infinito io fotterei. Sono o non sono la dea
dell‟amore?>>.
<< Ma io non sono una minkia d‟acciaio o di ferro. Sono una semplice minkia di
carne, carne divina ma carne. E di carne ho la minkia>>.
<< Ma io non intendevo tutte le fottute possibili con te. Io intendevo tutte le fottute
possibili con tutte le ciolle funzionanti del mondo. Almeno con quelle di mio
gradimento. A mia m‟interessa la minkia tout court, la minkia e basta. La minkia
come volontà e rappresentazione della minkia. La minkia come uno dei due elementi
del dialogo sui due massimi sistemi>>.
<< Ha ragione tuo marito Efesto >>.
<< Perché? Che minkia dice il cornutone?>>.
<< Dice che sei una buttanazza di prima qualità, la “protobuttana universalissima” ti
chiama. Mentre gli altri si accontentano di chiamarti buttana universale>>.
<< Buttana universale a mia?>> disse offesa Aphrodyte che in realtà sapeva tutto del
titolo in questione.
<<Sì, prima buttana del globo terracqueo e dell‟universo tutto, Olympazzo
compreso>>.
<< E lui , il mio caro marito, è solo na cosa fitusa e laria, lu curnutu universale.
Zoppo di iamma e di minkia. Anzi, è il primo cornutone dell‟Olympazzo e non solo.
Ma secondo te, Dyonyso beddu, ha ragione il curnutazzo? Ha ragione o no? E stai
attento a quello che dici, pirchì te lo affuco>> rispose la dea acchiappando Dyonyso
per la ciolla e stringendo la koppola della stessa con una certa forza.
<< Ahi.. ahiaia... ahiaiiii... No. Per me sei solo una femmina ciollofila.. ahiaiiii..
amica della ciolla al cento per cento … di tutte le ciolle .. ahiaiiii.. ma adesso amica
della mia … ahiaiiii.. o forse nemica? ahiaiiii.. ahiaiiii.. ahiaiiii.. >>.
<< Chi si accontenta gode. Dai Dyonyso, fai il tuo dovere di uomo ciolluto.
Inciollami.. riinciollami e poi inciollami ancora.. che con la tua minkia brilla fai
brillare il mio pakkio buttano>>. E ci desi na bella stringiuta pure ai koglioni.
<< Ahhhhhhhhhhhhhhiiiiiiiiiiiiiiii..... lu skulu sciu da li palli miei...chi ti voi fare na
spremuta di cugghiuna?>>.
<< No, semmai na sukata, na sukata di latti di brigghiu>> rispose la dea della
bellezza ammuccandosi il citrolo di Dyonyso. E rise la bella Aphrodyte. A bocca
piena ma rise. Rise pure Dyonyso. E ridendo ridendo attaccarono a inciollare. Era
un verbo che sapevano coniugare bene la buttana universale e lu „nbriacu universale.
<< Io inciollo.. tu inciolli.. noi inciolliamo…>> recitò la dea.
<< Io inciollo.. tu inciolli.. noi incolliamo .. ma a mia mi fa mali la minkia e pure le
palle, ma inciollo lo stesso. Sono o non sono un dio del.. del kazzo...>>.
E risero. A bocche spalancate, a kunno aperto e a minkia allegra.
Perché Dyonyso e Aphrodyte nei fatti di pilo davano il massimo.
--A Pryapo non ci poteva pace per il fatto che doveva andare in giro vestito. Vedeva la
cosa come una imposizione. Lo aveva scritto chiaramente il sommo poeta latino,
latino per modo di dire, Mhaxymylyanum Mhaxymylyanorum da Munypuzos,
l‟autore dei Carmina Priapea. L‟opera dedicata al dio dal palo rosso e sempre eretto.
E Pryapo si vantava di questa opera. Voleva farne il testo base del Priaprismo, la
religione del dio Pryapo . Quella religione che si stava diffondendo un po‟ in tutto il
bacino del Mediterraneo, il Mare nostrum del mondo classico. Una delle tante
correnti dello Zeussismo. Una religione che prevedeva al raggiungimento della
pubertà, con il menarca nelle femmine e con la prima polluzione nei maschi, la
cerimonia del Cunnesimo per le prime e quella del Mentulesimo per i secondi. Una
sorta di battesimo pagano. Una cerimonia in cui il sesso del nuovo adepto veniva
asperso di seme santo. Quel liquido, che poi non era altro che un derivato del latte,
stava a signifikare la benedizione di Pryapo. E Mhaxymylyanum Mhaxymylyanorum
da Munypuzos , che era il cantore di questo grande e immenso dio, aveva scritto:
<< Cur obscaena mihi pars sit sine veste, requires,
quaero, tegat nullus cur sua signa deus….
Mi chiedi perché sono scoperte le parti vergognose del mio corpo;
mi chiedo, perché nessun dio mai copre le proprie armi.
Il padrone del mondo ha il fulmine; lo porta senza nasconderlo,
né al dio marino è concesso tenere il tridente nascosto.
Né Marte cela quella famosa spade che lo rende potente;
né Pallade occulta l‟asta sotto il tiepido seno.
E forse Febo si vergogna di portare i dardi dorati?
E forse Diana suole portare la sua faretra di nascosti?
Forse Ercole cela la forza della nodosa clava.?
Forse il dio alato tiene la verga sotto la tunica.
Chi vide mai Bacco tendere la veste sul delicato tirso,
chi mai vide te, amore, nascondere la fiaccola?
Non mi si accusi di nulla, quindi,
se metto in bella mostra i miei genitali,
sono la mia arma, altrimenti sono inerme>>.
Il suo sommo autore preferito aveva ragione. Lui, per essere Pryapo, per essere
riconosciuto ed adorato, doveva stare con la ciolla al vento. Nudo e basta. Non solo
nelle statue ma anche nella realtà. Nel quotidiano. Lo scandalo non era la sua ciolla
esibita, lo scandalo stava nel fatto che gli altri, i moralisti, trovassero scandalosa
l‟esibizione di quella sua ciolla enorme. Eppure era un dono di madre natura e basta.
E la natura non è mai scandalosa.
<< Perché minkia deve stare nudo? >> poteva chiedere qualcuno. Ma la risposta era
semplice.
<< Perché io sono il dio della minkia, della minkia suprema. Il non plus ultra della
minkia. La minkia per eccellenza. La capaminikia di tutte le minkie>> avrebbe
risposto lui.
--In forma d'aquila Zeus venne a Ganimede,
in forma di cigno alla bionda madre di Helena.
Sono cose inconfrontabili;
c'è a chi sembra migliore l'una, a chi l'altra,
e quanto a me, tutt' e due.
Antologia Palatina
--Zeus si trovava benissimo nella nuova sede dell‟Olympo. In questa polys si inciollava
che era una meraviglia. Si coniugavano benissimo i verbi inciollare, inkunnare,
infilzare, fottere, fikkare, trummiare, scopare e altro. Si coniugavano e si praticavano.
E pensare che la scelta non era stata sua . Lui conosceva appena di nome Munypuzos.
<< Minkiate sono che un dio possa conoscere il tutto e il contrario di tutto. Io se
proprio lo volete sapere, sono un dio analfabeta. L‟unica cosa dotta che ho è la
minkia. E minkia se dotta è>> diceva Zeus.
Era solo inkazzato Zeus quannu convocò il Consiglio dei Tredici. Una volta detto dei
Dodici da poco avia avuto il tredicesimo membro. E che membro. Era entrato a far
parte del sommo consesso Pryapo con il suo mostruoso ma invidiato accessorio.
Zeus amava quel picciotto anche se gli smontava la minkia. Anche se la vista o la
sola voce lo rendevano impotente. Lo amava, a parte tutto, anche tenendo conto di
tutto quello che doveva succedere. Ma Pryapo era un predestinato. E il destino, il
fato, è superiore anche alla volontà degli dei, anche a quella del capodio, cioè, a
quella di Zeus. Pertanto lo aveva accolto volentieri come tredicesimo membro.
<< Io mi consento anche se voi non mi consentite di trasferire l‟Olympo altrove.
Questo referendum mi ha rotto i testimoni e la mentula. I miei sudditi fedeli o fedeli
sudditi che si permettono di imporre dei limiti alla mia volontà e soprattutto
all‟operato della mia mentula non mi va giù. Mai e poi mai, questa è impertinenza.
Via allora da questa kazzo di terra ingrata. Via. Non so dove a dire il vero, ma
comunque non in Grecia. In fondo, nella vicina Magna Grecia, ci sta già qualcuno dei
nostri. Il mio amatissimo Eolo con la sua signora Ciana si trova bene nelle sue isole.
Ciuscia e fikka, fikka e ciuscia. E minkia come ciuscia. Chiù ciuscia, chiù fikka. E
quannu piscia annaffia la rosa dei venti. Vive là in compagnia delle sue sei figlie che
si sono maritate con i suoi sei figli ed è contento e felice. In sicilia la mia figlia
adottiva Aphrodyte va spesso: è affezionata ad Erice. La adorano gli ericini e le
hanno dedicato un santuario che è una meraviglia. Kazzo, che tempio. Efesto, suo
marito, tiene casa dintra il vulcano Etna. Travaglia e suda e teni la minkia sempre
addumata e sudata. Travaglia alla grande con l‟aiuto dei Ciclopi. Lavorano tutti
come muli tranne quel figlio di buttana di Polifemo. Quello si passa il tempo a tirare
petri grossi verso il mare. Ha sensibilità artistica Polifemo, dice che un giorno quelle
pietre le sfrutteranno turisticamente. Efesto dici ca l‟Etna è grande e comoda e
capiente e che lavora felice. Polifemo dice che il panorama è bello e che lui si la
spassa felicemente senza fare un kazzo. Dice che vuole costruire una nuova Etna
tutta per sé. E quannu Efesto lo chiama lui risponde, lu babbu, “nun ci sta nessunu
qua … nessuno.. nessunissimo … nemmeno io” . Poi ci stava mia figlia Persefone ca
si la annacava spesso sulle rive del lago di Mynkyalonya finu a quannu mio fratello
Ade ci fici la festa. E la mia cara amante e sorella Demetra è sempre in sicilia, a
cercare la figlia persa. E ci sta Prometeo che io incatenai a Pantalika. Adesso è libero,
ma è rimasto a vivere da quelle parti. E poi ancora ci stava Ciane, amica del cuore di
Persefone, che per il dolore si fece fonte e adesso piscia acqua bona. E ci stava
Anapo, che innamorato di Ciane, per farsela in eterno, si trasformò nel fiume che
accoglie l‟amata fonte. E da allora fottono in eterno e a tempo pieno. E poi ancora ci
stanno Aretusetta ed Alfiuzzo. E Dafni che disperato si buttò nell‟Anapo. E ancora ci
stanno Aci e Galatea con Polifemo come terzo incomodo skassakoglioni. E pure
quelle due mostruose fikesse di Scilla e Cariddi. Una volta belle donne ma adesso
mostri con cento bocche e mille fike, sempre assetate di minkia. Pertanto si
contendono ogni mascolo che attraversa lo stretto. O l‟una o l‟altra si lo spurpano
vivo. Quindi come vedete la sicilia è frequentata. Per questo ho pensato alla mia
amata Magna Grecia. O sicilia. O Trinacria. Ma in generale, non a un posto preciso.
E voi amici , cosa mi consigliate? Consigliatemi un posto bello e felice, un posto non
minkiofobo né kunnofobo. Tutti i siti della Magna Grecia per me vanno bene, solo
due posti mi stanno sulle palle. Due paesi che insieme formano la Lega di
Pattuallopolys. Quelli li ho scartati perché ci sta gente che perde i documenti, gente
che non onora la parola data o la firma posta in calce a un documento. Pertanto
ovunque ma non lì. Forza, ditemi. Altrimenti mi consento di trasferire il tutto nel
primo posto che capita. Lo scelgo a “minkia e tocca”. E io questo posso
consentirmelo e autoconsentirmelo. A voi la parola comunque anche se so che ci
saranno almeno dodici proposte diverse più la mia che sarà la tredicesima e
diventerà quella effettiva>>.
Il “Minkia e tocca” era un gioco molto in voga tra dei e mortali. In questo caso,
usando una mappa della Trinacria, Zeus, a occhi bendati, avrebbe scelto a caso una
località toccandola con il suo divino augello. E quello, quel posto, quel sito, bello o
brutto, sarebbe stato la scelta di Zeus.
Ogni membro del sacro consesso disse la sua. Furono proposte Ortigia ( “Manco per
la minkia, quelli sono capaci che mi multano l‟aceddu per le troppe trasute e sciute.
Sia maledetta in eterno quell‟isola maledetta. Vaffankulo a Ortigia” commentò Zeus),
Henna ( “ Bel panorama ma minkia che noia per la mia minkia. E poi troppa nebbia.
La mia minkia potrebbe perdere l‟orientamento o prendersi i reumatismi. Potrei
anche finire con la cervicale al collo della minkia. Vaffankulo a Henna” commentò il
capodio ), Erice ( “ Bella posizione ma troppo attaccati ad Aphrodyte. E quella con la
luminosità trionfante del suo pakkio oscurerebbe la luminosità della mia ciolla. Tutti
correrebbero appresso al suo signor kulo. Kallipigia è. Minkia se è kallipigia.
Pertanto vaffankulo anche ad Erice” commentò il dio degli dei ), l‟Etna (“Troppo
cauro per la mia persona, troppo cauro per la mia minkia, troppo cauro per fikkare. Il
cauro smincia. Si deve sudare fikkando e non fikkare sudati. Vaffankulo anche
all‟Etna“ disse Zeus ), le Eolie (“ Posto bello ma troppo ventoso. E se poi mi piglia
un raffreddore alla minkia? O addirittura un colpo di vento mi stocca la minkia? Io la
minkia preferisco farmela spezzare in altro modo. Vaffankulo anche alle Eolie“
puntualizzò Zeus ).
Alla fine prese la parola il nuovo membro. Quello che Zeus chiava “smontaminkia”.
A parte quell‟effetto, forse gelosia e non certo per la gioventù, a Zeus quel
picciuttazzu ci piacia assaissimo. Gli smontava la minkia, ma gli era simpatico.
<< Scusate colleghi, io sono nuovo ma conosco un posto che è un amore, un amore
in tutti i sensi. Non è per interesse che lo sostengo, infatti la polys in questione mi ha
nominato suo protettore. Ma non è per questo, lo giuro col cuore in una mano e la
minkia nell‟altra. Perché anche la polys che la fronteggia mi ha nominato suo
protettore. Quindi non è per interesse personale. E che si tratta di un posto bellissimo,
una polys dove i cittadini hanno portato al massimo l‟arte della mentula e quella del
kunnus, strumenti che sono liberi di operare in tutti i modi possibili e possibilmente
anche, per chi ci riesce, in tutti i modi impossibili. Si va dalle monominkiomachie
alle multimentulamachie. In quella polys è nato il Munypuzosutra, il libro sacro
dell‟amore infinito. E non per niente la polys in questione si chiama Munypuzos.
Come dire kunnusmentula o kazzofika. Visto che Zeus vuole trasferire l‟Olympo
perché non accetta censure all‟attività della sua ciolla, mi pare giusto andare in una
polys che già nel nome rende omaggio alla ciolla e al portaciolla. Per quello che mi
risulta in questa polys vige la massima democrazia pilusa: tutti i kunni e tutte le
mentule sono uguali. Vi prometto, e giuro sulla salute del mio aceddu, che mi possa
seccare in un amen, che i vostri piselli e le vostre piselliere saranno liberi di fare
tutto, tutto veramente. Assolutamente tutto. Termino perché non ho altro da dire. Se
ci tenete alla gioia e alla felicità delle vostre ciolle e dei vostri kunni, Munypuzos è il
posto giusto, veramente giusto>>. Si fermò un attimo, poi riprese: << Ma no, non
termino, continuo ha perorare la causa di Munypuzos, il paese delle minkie allegre,
dei kazzi gioiosi, dei marugghi felici. E io vi consiglio di adottare anche la lingua
siciliana e soprattutto la koppola munipuzica. Quello è il paese del dolcissimo saluto,
del “Voscenzasabbinirica, vasamu li manu”, quello è il paese dove la minkia è
onorata e rispettata, quello è il paese che in dialetto si ciama Monakazzo, kazzo e
mona. È il paese adatto a fare cu la minkia lampi e trona. E tu, Zeus beddu, di lampi
e trona reali e minkiali sei esperto. Ma è anche il paese in cui la mona, il pakkio, lo
stikkio, la filazza, il piripikkio, lu baccalaru, la massaru Paulu, è libero di fare quel
che vuole. E lo dimostra sorridendo appena vede una minkia. Voi uomini siete esperti
di stikkio che ride ma non avete mai visto la risata gioiosa di un pakkio di
Monakazzo. Quello, quando ride, si spalanca tanto che si vede il fondo del pozzo di
carne. E adesso termino veramente. Vi dico solo fate pure come mentula o minkia
volete, tanto alla fine é Zeus che decide. Ma a voi tutti, e a lui in particolare, consiglio
codesta cittadina. Io, in fede, vi consiglio Munypuzos, la polys del sesso>>.
La proposta piaciu a tanti. Quasi a tutti. E tanti applaudirono. Quasi tutti. Ma Pryapo
riprese: << Ah...dimenticavo. A Munypuzos coltivano una bella pianticella che poi
usano per farsi li minkiuna. E sai, caro Zeus, come l‟hanno chiamata? L‟hanno
chiamata minkiajuana, in tuo onore naturalmente. La minkia Juana, la minkia di
Giove. E io ti consiglio di sukaritinni assai assaissimo. È bona e metti allegria. Altro
che nettare e ambrosia. Altro che birra, altro che vino, il vino tanto caro a Dyonyso.
La minkia Juana è veramente altro, veramente. Anzi, tieni chistu minkiuni e
sukitillu>>.
La cosa ci piaciu a Zeus. Ci piaciu l‟idea di Monakazzu e ci piaciu fumarisi lu
minkiuni di minkia Juana. E ci piaciu pure il fatto che non usavano solo il sukare li
minkiuna. Sukavano pure il simulacro della minkia del suo simulacro di terracotta.
<< A Munypuzos ti la sukunu sempri>> specificò Pryapo. Zeus rise.
Comunque la proposta piaciu a tanti. Soprattutto piaciu a Zeus e ad Aphrodyte.
Costei abbandonò la sponsorizzazione della sua Erice a favore della città tanto amata
dal figlio. Si opposero solo Artemide e Atena.
<< Andate a fare in kulo, voi avete il kunno solo per ornamento>> risposero in tanti.
<< Siti malati di minkiofobia>> disse Pryapo.
Quelle in effetti erano vergine antipiselliche. “No alla minkia in tutte le sue
espressioni” era il loro motto. Alla fine Zeus pronunciò la sentenza inappellabile.
<< Mi consento se voi mi consentite, altrimenti mi autoconsento, di trasferire
l‟Olympo a Munypuzos. E niente obiezioni, altrimenti mi si inacidisce lu latti di lu
brigghiu e poi sono kazzi amari per tutti>>.
Nessuno disse niente. Perché se si inacidiva il latte di brigghiu di Zeus quello si
lasciava pigliare una crisi isterica e cumminava un macello. Nu iocu focu di chiddi
mai visti. Lampi unni acchiappa acchiappa. Lampi a minkia cina e trona a kulo
aperto. Pertanto nessuno disse niente. E in un attimo tutto fu. Tutto l‟Olympo
diventò l‟Olympazzo. L‟Olympo di Munypuzos. L‟Olympo di Monakazzo.
Conservò comunque la sua natura di grande diamante dalla caratteristica struttura di
sfera cubica a forma di piramide infinitocircoliedrica con dentro il tutto e il contrario
di tutto. Con case di turchese, mobili di topazio, letti d‟ambra, tavoli di cristallo,
sedie di giada, divani di palissandro con cuscini di seta ripieni di piume d‟oca vergine
del Peloponneso. E poi, oggetti in oro, argento e platino. Tra l‟altro non bisogna
dimenticare che gli dei pisciavano oro liquido e kakavano diamanti e altre pietre
preziose. E che qualcuna di queste cose ogni tanto finiva sulla terra, e diventava
simbolo di ricchezza. I fondo i ricchi erano ricchi solo di merda e piscio divino.
Zeus e colleghi si trovavano bene anche dal punto di vista alimentare.
<< Minkia, qua uno si allicca i baffi, si li allicca e riallicca. Altro che nettare e
ambrosia. Sempre la solita musica. E chi cammuria. Nettare e ambrosia, ambrosia e
nettare. E poi stikkiosia e minkiosia per il bene di kunnu e mentula. Oramai ero
stanco del menù fisso ed eterno. Invece qua si mangia che è un meraviglia, qua ci
sono mille piatti e alcuni sono afrodisiaci. Stimolano il pititto. E poi ci sta il Divino
Oinos. Lo stesso gusto della bevanda usata nell‟Olympazzo, ma fatta in modo diverso
dall‟Olympazzo. Fu un regalo mio a Dyonyso per poi regalarlo agli uomini. Ma
insomma, che vi devo dire, qua si mangia da dio, parola di capodio. Uomini, sukate
Divino Oinos e fativillu sukari. Fimmini, sukativi nu cannolu e incannulativi quello
del mascolo. Addivertitevi di ciriveddu, kunnu e aceddu e naturalmente nun vi
scurdati li minkiuna>> diceva Zeus.
Lui personalmente scia pazzu pi la pasta cu li sardi, la sasizza di porcu arrostita e la
cassata siciliana. Il tutto annaffiato cu qualche abbondante bevuta del buon vino che
gli consigliava Dyonyso. Il Divino Oinos. E mangiava assai Zeus. Mangiava quanto
un porco. E a mangiata finita si faceva sempre nu beddu minkiuni . Poi consumava
l‟energia fikkando a destra e sinistra.
<< Sua divinità, quanta ni voi pasta?>> gli diceva la cammarera Olympokazzica.
<< Na scuredda.. quantu a lu kulu di Polifemo>>.
<< E sasizza?>>.
<< Na porzione quanto alla ciolla di Pryapo>>.
<< E cassata?>>.
<< Due porzioni quantu a li natichi di Aphrodyte>>.
<< E vino?>>.
<<Na decina di coppe grandi quantu li minni di la bedda Aphrodyte. Possibilmente
di Minciazzone Est Est Est>>.
<< E pi frutta?>>.
<< Fiku e fikupali, ca mi fanu pinsare a chiddu ca haiu a fari dopu. Mettere la mia
fikupala pirsunali dintra qualche fiku di fimmina>>.
<< E lu minkiuni di chi misura lu voli?>>.
<< Quantu alla ciolla di Pryapo>>.
Ma c‟erano tanti altri piatti che imperversavano. Veramente tanti. L‟arancini fatti a
misura di li palli di Pryapo, li cannola di ricotta fatti a misura dell‟aceddu di Pryapo..
ma anche altro. E la ricotta Zeus la usava anche per giocare il suo gioco preferito. Se
capitava che il ricottaro avia fatto la ricotta da poco iddu si ittava cu la commare di
turno su chidda cosa bianca e si facia na fottuta in mezzo alla ricotta. Quella ricotta
così piacevolmente usata addivintava poi un formaggio tipico dal forte odore
chiamato Minkianzola. Ci piacia a Zeus pure futtiri in un letto di fiku. Vinia
n‟impastu melodioso e il suo corpo s‟incollava a quello della fortunata.
Nasciu accussì la mostarda, allora chiamata “ minkiarda”.
<< In chistu mari di fiku dammi la tua fika>> gridava Zeus.
E alliccava fiku e fika. O fika alla fiku. Comunque la prima cosa che chiese appena
arrivato a Munypuzos fu nu beddu minkiuni cinu di minkiajuana. Ci ni purtanu na
coffa cina cina. Ma ci purtanu pure tanti simulacri di Zeus itifallico. Provò a sukari la
ciolla del simulacro e rise. Sukò nu minkiuni e rise di più. Alla fine si fece l‟intera
coffa. Sukava e rideva. Rideva e sukava. Era in estasi. Era in estasi sia di testa ca di
ciolla.
<< Come ti senti? >> ci chiese Ganimede.
<< Da dio>> rispose Zeus.
--Munypuzos, la città regina della Magna Grecia, la regina delle polys, quella dove
Dyonyso, il tiranno di Siracusa, vinni un giorno a riposarsi. Quella dove anche
Platone, il filosofo e non la ciolla di Sokratynos, vinni a passare un fine settimana
quannu vinni in sicilia e si visti nu bello spettacolo al teatro greco, la messa in scena,
da parte degli studenti del locale Liceo, di “Edipo a Munypuzos”. Teatro greco
dove si assittavano normalmente i kuli più intellettuali dell‟epoca. Kuli di scrittori,
poeti, filosofi. Ma a Munypuzos ci veniva anche tanta altra gente. Non solo
intellettuali. Venivano politici, plutocrati, sparapalle di regime. Tutti a passarisi le
ferie a Munypuzos, la polys del piacere. E c‟erano sempre conferenze e altro. Si
poteva accoppiare la kultura con il pilo. Sparare minkiate con la bocca di giorno, fare
minkiate con la minkia di notte, conferenziare di giorno e inciollare di notte.
L‟ultimo convegno era stato un successo. Titolo : “Pakkio impilato o spilato?”.
Era diventata una moda farsi spilare il pakkio per averlo come Aphrodyte. E a dire il
vero si facevano spilare pure gli uomini. Dalla testa ai piedi. Munypuzos quindi era
anche questo. Arte, kultura, sesso: tutto alla sanfasò. Munypuzos, la prima delle
prime della Magna Grecia, sempre in lotta con la rivale e frontaliera Purceddopolys.
Bella in modo esagerato, austera nella forma, ricca nella sostanza, lussuriosa al
massimo e religiosa quanto basta, cioè pikka e nenti. E carnale allo spasimo,
gemellata con Olimpia, famosa per la bellezza delle sue donne e per la virilità dei
suoi uomini, città alla moda. Questa era Munypuzos. A Munypuzos nasciu il tipico
cappello siciliano detto Koppola, portato tanto dagli uomini quanto dalle femmine. E
da quando era arrivato l‟Olympo pure dagli dei. Perché come disse Zeus “ La koppola
rende più coppuluti a tutti i livelli”.
La zona alta, ma veramente alta di Munypuzos, era 1‟Akropolys, un complesso
monumentale ispirato a quello di Atene. E contenente le sette meraviglie della
Trinacria. O sicilia. Dall‟Akropolys si vedeva in basso il lago di Munypuzos
circondato dal bosco di Mynkyalonya Iblea. Si vedeva poi mezza sicilia da lassù. Si
vedevano la ingiusta e multosa Siracusa, la bella ed elegante Etna, la freddolosa e
fantastica Henna, le isole dolci e ciusciose di Eolo, il bello ed erotico monte Erice.
Soprattutto si vedeva benissimo la vicina arrogante e potente, Purceddopolys. E
altro, tanto altro si vedeva. Si vedevano soprattutto le polys che erano alleate o
sottomesse a Munypuzos, in quanto vittime volontarie o involontarie della sua
egemonia politica, militare, kulturale e soprattutto economica. Perché il vero potere
lo danno i soldi, i piccioli, in dialetto. Si vedevano anche la nobile Akraj, la
rivoluzionaria Buscemopolys, la ribelle Bukkeropolys, la dolce Ferlopolys, la
cerimoniosa Kassaropolys e la gaudente Kanikattinopolys. E si vedevano ancora
Ciollopolys, Munipolys, Kunnopolys, Minkiapolys, Kazzopolys, Stikkiopolys,
Filazzopolys, Monapolys, Clitoridopolys , Belinopolys, Brigghiopolys, Ciciopolys,
Pakkiopolys.. e altre ancora … Tutte suddite di Munypuzos. Nel bene e nel male, ma
soprattutto libere nell‟esercitare il diritto supremo del vivente all‟universale piacere
universale. Il piacere katholikos. E purtroppo si vedevano anche le misteriose
Leonthynoy e Karleonthynoy, note come “polys affossaverità” ( ed era stato
costruito un muro per non vederle neanche da lontano. C‟era un detto ca dicia “ in
chiddi polys nun si capisci se ci su quattru o otto venta e poi si perdunu in sekula
sekulorummu li documenta” ).
<< La vita è una, come la minkia, e se non è un piacere vivere e avere una minkia, a
che minkia serve vivere e avere una minkia?>> era una delle tante domande per cui
era famoso il filosofo Sokratynos da Munypuzos. E che si facevamo tutti i possessori
d‟augello.
--A dominare l‟Akropolys era il tempio di Zeus Munipuzico o Partenonino, all‟interno
del quale si trovava una statua bellissima del capodio. Una statua crisoelefantina che
vedeva Zeus assittatu in trono con le parti nude in avorio e il resto d‟oro. Ma
soprattutto con la koppola in testa, una koppola d‟oro. Un coppolone a dire il vero.
Con una mano teneva lo scettro sormontato da un‟aquila con tanto di koppola e
pronta a spiccare il volo, e nell‟altra, distesa in avanti, portava la Munypuzosnike, la
vittoria alata di Munypuzos, una statuetta ermafrodita nuda ma alata. Molto bella la
Nike con le tette, il pisello e la koppola in testa. Il tempio di Zeus stava al centro di
una enorme agorà che a sua volta era circondata da una serie di edifici pubblici di
primo piano. Tra questi, la biblioteca col criptoportico di Eratostene, il palazzo reale
con la sala del trono di diamante, quello del collegio sacerdotale, il ginnasio e il
liceo. Del palazzo reale facevano parte i giardini pensili di Teseo Mynkyalonya col
suo elegante Labirinto del Piacere costruito da Dedalo. Questi giardini erano una vera
e propria meraviglia della natura canalizzata dall‟uomo. Ai margini dello sperone
roccioso dell‟Akropolys si trovavano il tempio di Pryapo Krisomentula, il protettore
della città, e il teatro greco con sullo sfondo l‟Etna, la sede dell‟officina dove il dio
Efesto costruiva, tra l‟altro, meravigliose armi e armature per vari tipi di eroi. Nel
tempio di Pryapo Krisomentula c‟era una statua crisoelefantina del dio come al solito
nudo ma con la koppola. D‟avorio il corpo, d‟oro i genitali. Nel sottosuolo ci stava
una sala dalla forma cubica chiamata Pryapo Pryaporum che era considerata la sede
della spirito di Pryapo. La Casa della Psiche di Pryapo. Ovvero la
Psichepryapodomus. Potevano accedere solo la Sybylla Priapica e i sacerdoti che
stavano più in alto nella scala gerarchica. Là c‟era la quintessenza di Pryapo. Ma
soprattutto c‟era la quintessenza della sua ciolla. Davanti al tempio c‟era la famosa
fontana di Pryapo Polimentula. Una statua con cento mentule che buttavano fuori
acqua, cento zampilli che erano uno spettacolo. E i visitatori, fedeli o turisti,
buttavano nella fontana una monetina. Era un gesto che stava signifikare “ Che la mia
mentula possa fare per cento”. Accanto al tempio si ergeva, tiso come una minkia che
volesse fottersi il cielo, il faro di Alessandro. Il faro, falliforme soprattutto nella sua
parte finale, illuminava la notte di Munypuzos e dintorni. Non doveva guidare i
naviganti del mare che non c‟era ma i naviganti del piacere. Era un simbolo fallico
che doveva indirizzare le minkie appitittate alla ricerca della fonte del pititto. Ma
anche i kunni alla ricerca del proprio strumento. Era stato costruito per volontà del
ricchissimo Alessandro Liborio Castronunzio Trimalkazzone. Per questo era
chiamato il faro di Alessandro. Era bello salire sul faro per godersi il panorama.
Intorno al faro e al tempio di Pryapo Krisomentula si trovava la zona dei lupanari.
Lupanari di tutti i tipi e per tutte le tasche. Prostitute e prostituti per tutti i gusti. E
davanti ad ogni bordello una statuetta di Pryapo. I clienti entrando gli accarezzavano
il fallo, uscendo il kulo. Da tutti Pryapo era riconosciuto come il dio dei bordelli, ma
questo era solo un titolo ufficioso anche se dovuto. A parte il fatto che spesso Pryapo
i bordelli li frequentava di persona, passandosi e ripassandosi l‟intera forza lavoro. E
i bordelli da lui visitati mettevano nell‟insegna un fallo, un fallo per ogni visita. Un
fallo d‟oro se il dio era andato via contentissimo e soddisfattissimo, un fallo
d‟argento se era andato via contento e soddisfatto, un fallo di bronzo se era andato via
solo felice di aver scaricato. I falli d‟oro erano i più ambiti. Se le puttane di un
bordello riuscivano ad accontentare il dio dalla grande minkia era chiaro che
potevano far felice qualsiasi mortale. E per rispetto del piacere in genere, in quella
zona tutto era permesso e concesso. Ogni prostituto o prostituta era libera di
specializzarsi in quello che voleva. E c‟erano anche, ricercatissimi, gli ermafroditi,
detti anche “Transi”, perché a secondo dei casi potevano transitare da un ruolo
all‟altro. Tutte le tecniche amatorie erano concesse. Non solo gli uomini
frequentavano i lupanari, ma pure le femmine. Il diritto alla voluttà, al piacere e
all‟estasi da minkia o da kunno a pagamento valeva per tutti. A Munypuzos il sesso
era democratico. Vigevano la Demominkiacrazia e la Demokunnocrazia. Tutti, se lo
volevano, potevano accedere al sesso a pagamento per soddisfare i loro bisogni
sessuali. Tutti ma veramente tutti. Tuttissimi.
<< La libertà sessuale è la prima forma di democrazia >> dicevano in tanti.
A parte che, annessa al tempio di Pryapo, c‟era la scuola Paneros. Si poteva studiare
fino alla “Licenza elementare”, che dava le nozioni sessuali di base. Oppure fino alla
“Licenza media”. O arrivare al “Diploma“, che dava la maturità sessuale. Ma c‟erano
anche la “Laurea “ e la “ Specializzazione”.
Per entrare nell‟Akropolys bisognava passare sotto le cosce spalancate del Kolosso di
Pryapo Rodio. Costruito per volontà di Apollonio Fidia Rodio stava a simboleggiare
la grandezza di Munypuzos. Era un omone gigantesco, nudo e con tanto di fallo tiso.
E naturalmente con la koppola in testa. Era alto cinquanta Pryapometri. Il
Pryapometro era l‟unità di misura della lunghezza adottata a Munypuzos e zone
limitrofe e si basava sulla reale lunghezza dell‟aceddu del dio Pryapo che era un
omone alto con la minkia che era la sua esatta metà. La ciolla del Kolosso era una
sorta di ammonimento ai forestieri, ai nemici, ai ladri, alla gente dotata di mala
volontà. Ma anche un monito ai potenti che venivano a Munypuzos.
<< O fate i bravi o vi rompiamo il kulo. Noi siamo la città più potente della sicilia.
Siamo la sede dell‟Olympazzo. E siamo protetti dagli dei, soprattutto da Pryapo, che
è pronto a sfondarvi il kulo se solo ci mancate di rispetto. Noi lo sfondiamo a tutti,
perché noi siamo sotto la protezione di Pryapo. E lui ci protegge con la sua arma
micidiale. Siamo tutti sotto la protezione di quella ciolla enorme. Quella è la nostra
arma vincente. Munypuzos è difesa dalla ciolla divina>>.
Lo “scudo minkiale” lo chiamavano i militari. Alla base del Kolosso era riportato il
Carme X di Mhaxymylyanum Mhaxymylyanorum da Munypuzos, il cantore ufficiale
delle gesta terrestri e olimpiche di Pryapo.
<< Ne prensere cave ; prenso nec fuste nocebo,
saeva nec incurva vulnera falce dabo:
traiectus conto sic extendere pedali.
ut kulum rugas non habuisse putes.
Non ti far prendere.
Se ti acchiappo, non ti farò male con il bastone,
né ti ferirò con il falcetto ricurvo,
ma trapassandoti con un verga larga un piede
ti aprirò tanto da pensare di non avere più le rughe del kulo>>.
Sempre sull‟Akropolys c‟erano: il tempio di Artemide Adiabatica Munipuzica, la
vergine delle vergini, raffigurata nuda ma con l‟elmo in testa e l‟ago in mano mentre
si cuce la filazza che nessuno avrebbe dovuto mai e poi mai penetrare; la piramide di
Kakkio Kazzeope, dov‟era sepolto il faraone Kazzeope, venuto qui in esilio per
dedicarsi al sesso in tutte le sue forme nel pieno rispetto del suo motto “Fottere è
meglio che comandare”; e infine il Mausoleo di Teseo Alicarnazza, il mitico
fondatore di Munypuzos. A dire il vero c‟era una quasi ottava meraviglia, non
considerata tale ufficialmente lo era nella realtà, erano le possenti mura in pietra
lavica costruite da Polifemo e dai suoi compagni. I Ciclopi, mascoloni enormi con un
solo occhio rotondo sulla fronte ma con due minkie enormi sutta lu biddicu anche se
con una sola enorme palla. Uomini sì, ma senza Ciclopesse. Non potevano
riprodursi, ma solo minarsela. Per ripagare la locale maga Circella, che ci avia kreato
le Ciclopesse , Polifemo e compagni costruirono a suo tempo queste mastodontiche
mura. Le Ciclopesse erano femmine enormi con un solo occhio e una sola tetta ma
in compenso avevano una fika con due buchi. Oramai Polifemo e compagni
fottevano allegri e contenti. Nella ciclopica fika con due purtusa delle Ciclopesse ci
stava posto per il loro doppio ciclopico aceddu. Ma queste mura avevano n‟autra
caratteristica. Lungo il suo perimetro erano dislocate sessantanove torri falliformi. Un
altro omaggio alla famosa appendice di Pryapo. Costruite anche queste da Polifemo e
compagni. Per questo Munypuzos era nota anche come la polys ciclominkiuta, la
polys dalle sessantanove minkie in pietra lavica. Ma ci sta una cosa da dire. Se in
Grecia le colonne erano in stile corinzio, ionico o dorico, qua avevano inventato lo
stile fallico. Per la precisione “ Mincico”. Le colonne terminavano tutte a koppola di
minkia. Per non parlare poi del Minkialisco. L‟obelisco a forma di minkia che si
trovava al centro di molte piazze. Questa era quindi l‟Akropolys di Munypuzos.
Questo e anche altro, tanto altro. L‟insieme delle vie e delle piazze era come un
intreccio di kazzi e pakki, di minkie e kunni. Era una sorta di orgia continua.
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E a Munypuzos il re maggiore Agamynkyone e il re minore Mynkyalao e la loro
corte facevano il bello e il cattivo tempo. Soprattutto si facevano i kazzi e i kazzetti
loro e lasciavano le kazzate al popolo. E anche i kazzoni li lasciavano in kulo alle
masse.
<< Io sono il re e faccio come minkia piace a me. Mi consento se gli altri consentono,
altrimenti mi autoconsento. L‟importante è illudere il popolo, mettergliela in kulo con
dolcezza facendogli credere che sia lui a metterla in kulo ai potenti. Inkulato e
bastuniatu ma senza saperlo. Questo è il bello dell‟esercizio del potere. E io so come
fottere il mio popolo facendogli credere d‟essere lui a fottere a mia. Il fine giustifika i
mezzi. Il mio fine è comandare, i mezzi consistono nell‟inkulare il popolo. E mi pare
giusto. Anzi, giustissimo. Perché io mi consento, e se non mi consentono mi
autoconsento, di fare come minkia mi pare e piace. Io sono esperto nel somministrare
la pruli agli occhi del popolo. Il popolo deve essere convinto di essere libero ma la
sola cosa che deve avere libera è la minkia e lo stikkio. Quannu un popolo è felice di
minkia e kunnu si ni futti do restu do munnu. Pensa a fare fikka-fika e del resto ci ni
futti picca. Parola di re ca sapi fari lu re>> diceva Agamynkyone.
Il temine “pruli “ sta ad indicare una polverina magica, non si sa se frutto di fantasia
o realtà, che buttata per aria, davanti agli occhi di una persona, ci facia abbidiri a
questa quello che non c‟era come se c‟era o ci fosse . O che ci sarà.
<< Il potere ha bisogno della pruli.. per alluciare il popolo... >>.
Ma in realtà non c‟era niente. Non c‟era mai stato niente. E forse non ci sarebbe mai
stato niente. Sicuramente niente è sinonimo di pruli.
<< Ma se il futuro è nelle mani di dio e se dio non c‟è allora il futuro è nelle mani
di nessuno e praticamente non c‟è futuro? Oppure il futuro è nelle mani degli uomini
e allora è l‟uomo che deve pensare al suo futuro? Ma siccome il futuro dell‟uomo è
nella sua minkia, allora il futuro è un fatto di minkia>> si chiedeva il filosofo
Sokratynos da Munypuzos, quello delle domande.
<< La vita è una, come la minkia, e se non è un piacere vivere liberi anche da dio e
avere una minkia atea, a che minkia serve vivere liberi e avere una minkia atea se poi
il kunno è controllato da dio? >> era una delle tante domande per cui era famoso il
filosofo Sokratynos da Munypuzos.
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Dyceomynkyopoly commentò: << Agamynkyone non è un uomo con due koglioni. È
solo un grande koglione. Anthegamisu... vaffankulo... vaffankulum.. all‟urbe, all‟orbe
e all‟Olympum.. perché mi state tutti sul pisum sativum...>>.
--Questo e nient'altro è la vita: la vita è piacere.
Alla malora le angosce. È breve il tempo per vivere.
Presto, il vino, le danze, le corone di fiori, le donne.
Voglio star bene oggi, giacché è oscuro il domani.
Antologia Palatina
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A Munypuzos avevano ideato un sistema di pesi e misure che faceva riferimento al
dio Pryapo. O meglio, alla sua specialità. Dicono che il tutto fosse stato ispirato dal
dio in persona a una sua Sybylla molto amata, la Sybylla Kunnana o Priapica. Detta
dal popolo Sybylmynkya. Questo sistema comprendeva il Pryapometro, detto anche
Minkiometro, come unità di misura di base. Un Pryapometro corrispondeva alla
lunghezza dell‟aceddu di Pryapo. Suppergiù novanta dei nostri centimetri. Per i
volumi, oltre al Pryapometro cubo, c‟era anche il Koglionometro, la capacità di un
testicolo del dio. Pare fosse di circa un litro. Anche la moneta corrente era stata
dedicata al dio dal rosso palo. L‟Erosminkia, divisa in cento Minkiesimi. Aveva
sostituita la vecchia Minkiadracma o Minkialira. Sull‟agorà principale ci stava una
struttura particolare detta Homo Priapicus Vitruvianus. Costruita , o meglio ideata,
dal grande architetto, scultore e studioso delle proporzioni umane e divine, Marcus
Vitruvianus. L‟Homo Priapicus Vitruvianus consisteva in un uomo nudo con le
gambe divaricate, le braccia volte verso l‟alto e la ciolla tisa. In tutto inserito
perfettamente dentro una sfera. La ciolla tisa pertanto era il raggio di questa “sfera
delle giuste proporzioni divine”. Secondo Marcus Vitruvianus, che si occupava anche
di biologia, è infatti l‟autore del “De rerum naturae“, in futuro l‟uomo si sarebbe
evoluto verso quella forma, la sua ciolla si sarebbe allungata sempre più, fino a
raggiungere la lunghezza di un Pryapometro. La minkiazza, attualmente specialità di
Pryapo, un giorno sarebbe stata di tutti. Quando , naturalmente non si sa.
<< Un giorno verrà che ogni uomo questa minkia avrà>> diceva la Sybylla Priapica.
<< La vita è una, come la minkia, e se non è un piacere vivere e avere una minkia, a
che minkia serve vivere e avere una minkia come quella di Pryapo?>> era un'altra
delle domande per cui era famoso il filosofo Sokratynos da Munypuzos.
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Dall‟Akropolys, come detto, si vedeva benissimo l‟altra polys, quella che sorgeva sul
monte gemello a quello di Munypuzos. Si trattava della bella Purceddopolys, il regno
di Pryamo Scopantassai e di sua moglie Ekuba Kallifiketta. La coppia reale aveva
generato cinquanta figli e cinquanta figlie, tra cui il bellissimo Paryde, detto
Vogliounafikabella, Ettore, detto Minkiaresistente, e Kassandra, nota come la
Sparaminkiate. Ma c‟erano anche Heleno, Deifobo, Troilo, Polite, Polyssena, Creusa
e tanti altri. Una grande famiglia, e non solo numericamente parlando. Protettore
della polys era il Palladio, una enorme minkia con un sola palla. Città antica e
lussuosa la bella Purceddopolys, detta la superba, che si affidava direttamente al
potere della minkia visto che come protettore aveva scelto il Palladio. In realtà il
Palladio era la personifikazione dell‟uccello di Pryapo. E visto che questo dio aveva
concentrato tutta la sua potenza e sapienza nell‟organo sessuale, loro si erano affidati
direttamente a quello. Il Palladio sorgeva sull‟agorà principale ed era veramente
monumentale. In realtà il Palladio era semplicemente un contenitore. Il vero Palladio
era una piccola Minkia “Acheropita“ , non fatta da mano umana ma caduta dal cielo,
detta anche Minkia Pantocrator. D‟altra parte Pryamo e la sua signora sapevano ben
usare la ciolla e il pakkio maritale. Cento figli erano stati senz‟altro un bella impresa.
Eppure Pryamo andava a fikkare pure altrove. E pure Ekuba.
<< Mai tenere la ciolla disoccupata. La minkia che non lavora diventa scema. Ci
vuole allenamento continuo>> diceva Pryamo.
<< Se non inforna la minkia del marito, fai infornare la minkia all‟amico>> diceva
Ekuba.
--Paryde ,il più grande dei figli di Pryamo, e quindi l‟erede al trono, dopo varie
vicissitudini legate a delle profezie intorno alla sua nascita, era stato riconosciuto
dalla sorella Kassandra ed era rientrato in famiglia. Paryde infatti era stato
abbandonato dopo la nascita perché la mamma nel darlo alla luce si era sentita
bruciare. Il fuoco, partito da quel picciriddu che stava venendo al mondo, si era esteso
al pakkio regale e poi all‟intero corpo della regina che per il dolore aveva chiuso gli
occhi un attimo. E a occhi chiusi aveva avuto un visione: l‟incendio si estendeva
all‟intera Purceddopolys. Un oracolo interpretò il sogno:
<< Lu picciriddu deve morire altrimenti morirà Purceddopolys intera.
Fai di tutto, Regina bella, ma fallu cripari prima che sia primavera>>.
Per amore fu abbandonato e non fatto morire, ma il destino riportò Paryde in
famiglia. Sposato alla ninfa Enone, gli piaceva passare il suo tempo nel bosco di
Mynkyalonya a minkiolare nel minkialiere della moglie. E tra una minkiolata e l‟altra
dava una taliata agli armenti del padre che custodiva. Gli animali taliavano il padrone
minkiolare e minkiolavano pure loro. Pertanto gli armenti crescevano assai
assaissimo numericamente parlando e tutti esaltavano la bravura di Paryde nel suo
lavoro. << Duna all‟animale lu stimulu di fikkari>> dicevano.
<< E come fa? E come fa? >> chiedeva qualcuno.
<< Con una dimostrazione pratica. Iddu fikka cu la so fimmina. E a lu toru ci veni lu
pitittu di fikkari cu la vacca. A lu crastuni di farisi la crastuna. E a lu sceccu di farisi
la scecca. E lu cavaddu si fa la cavadda. Lu succi la succia. Lu iattu la iatta. Lu
puorcu la puorca. Lu pecuru la pecura. La iaddina lu iaddinu. Lu iaddu la iadda. Lu
scimpanzè la scimpanzà. Lu lumacu la lumaca. E così via. E un fikka-fikka generale,
universale. Tutto un travaglio di minkia>>.
Ma un giorno Paryde, intanto che si stava facendo una bella pecorina con Enone,
sentì una cosa nel kulo. Una cosa che trasiu di botto. << Ahi .… chi minkia è sta
cosa fridda ca si fikkau nel mio culetto sano … ahi... ahi.. ahiai.. ahiai.. >>.
Per il contraccolpo le coppole di Paryde e Enone abbularono via. E Paryde trasiu in
Enone come non mai. Se putia trasia lì dentro tutto sano sano.
<< Ihhhh.. che bellu... che bellu..>> sospirò Enone.
Paryde sciu la sua cosa dalla cosa di Enone e poi si sciu la cosa misteriosa dal kulo.
Praticamente interruppe il loro gioioso kazzicatummulio. Ovvero l‟arte del
kazzicatummuliare. Del seppellire la minkia in un portuso. Storpiatura ottenuta dalle
parole “kazzo” e “tumulo”. Parola che Paryde amava tantissimo usare, e soprattutto
mettere in atto.
<< Ahiai.. ahiai.. taliamu sta minkia di sorpresa>> disse . La sciu e la taliau. Brillava
quella cosa sotto i raggi del sole. Era un “crisofhallo”, un fallo d‟oro di buone e
grandi proporzioni.
<< Bihhhh. Che bidditto, l‟ideale pi quannu na fimminitta è senza sasizzitta. E ci
pruri assai assaissimo la fikitta>> puntualizzò Enone che era di Buccheropolys.
Era uso comune per le femmine senza citrolu consolarsi con falli lignei. Ma questo
era d‟oro. Questi falli artificiali venivano chiamati olisbos e venivano usati dalle
vedove che non riuscivano a trovare un sostituto del defunto. Oppure dalla maritate a
cui la dose maritale non bastava e non avevano il coraggio di farsi il ganzo. O ancora
dalle signorine che aspettavano il buon partito che non arrivava e intanto per non
diventare zitelle dal kunno acido usavano l‟aggeggio in questione. Ma anche dalle
ragazze in caldo che prima di arrivare a fare esperienza col vero facevano esperienza
col finto. E naturalmente anche dai finocchi in pectore che non potendosi cercare una
vera minkia si accontentavano di un sostituto artificiale. Ma soprattutto era usato
dalle sacerdotesse condannate alla verginità. Sapendo che per loro non ci sarebbe mai
stato un fallo di carme, per lo meno ufficialmente, si accontentavano di quello che tra
l‟altro era inconsumabile, instancabile e sempre pronto all‟uso. Da cui il detto “Chi
trova una minkia d‟oro, trova un tesoro”. In realtà si trattava del primo verso di una
bella filastrocca: <<Chi trova una minkia d‟oro trova un tesoro. Chi trova una minkia
d‟argento è sempre contento. Chi trova una minkia di bronzo non è certo uno stronzo.
Chi trova una minkia di legno ha sempre un bel congegno>>. Ma questa era d‟oro.
<< Questo è sicuramente l‟olisbos di qualche regina. Una finta minkia d‟oro. So che
mia madre lo tiene d‟oro, ma è personalizzato col suo stemma. E pure il nome ci sta
scritto. Le mie sorelle l‟hanno d‟argento. E personalizzato anche loro. Quindi questo
non è quello di mia madre e neanche delle mie sorelle>> sentenziò Paryde.
Generalmente erano di legno o di cuoio e prima dell‟uso venivano unti d‟olio.
<< Solo che sbagliò purtusittu e andò in kulittu al figlio del reittu>>.
<< Uomo inkulato, uomo fortunato. Però.. ahiai.. ahiai .. Il kulo mi fa male assai>>
rispose ridendo Paryde. Si lo mise accanto al suo e parevano gimelli. Quello di carne
e quello d‟oro.
<< Bidditto questo Sosia. Regalimillittu pi quannu non ci sei>> chiese Enone.
“Sosia“ era il nome con cui familiarmente le femmine chiamavano il fallo artificiale.
<< Te lo regalo, ma se poi lo preferirai al mio?>>.
<< Mai. La minkitta di carnitta è tutta n‟autra cositta>>.
<< Lo vuoi provare?>> chiese Paryde.
<< Sì. Ma ficchimillittu tu, biddittu miu>>.
Paryde avvicinò lo strumento alla filazza di Enone e ci infilau piano pianissimo la
cappella del Sosia. Ma quannu stava pi catafuttillu tuttu dintra qualcuno lo chiamò.
<< Fermati, quello è uno strumento divino>>.
Paryde si bloccò. Il Sosia restò mezzo dintra e mezzo fora la cosa di Enone.
<< Chi è che parla? >> chiese Paryde un po‟ spaventato.
<< Sono Zeus. E quello è il mio Sosia. Non che lo utilizzi io. Se lo contendono le
donne dell‟Olympazzo. Quando non possono avere l‟originale si accontentano del
Sosia. Oggi in tre stavano litigando per pigliarselo, ma il Sosia ci scappò di mano e
finì dove tu sai>>.
<< Nel mio kulo, divino Zeus. Ma sono onorato di aver ricevuto il tuo Sosia, e
onorato è pure il mio kulo. Voscenzasabbinirica, vasamu li manu e li peri. Però..
ahiai.. ahiai .. Il kulo mi fa male assai. Comunque onorato resto dall‟onore che il tuo
Sosia mi fici>>.
<< Onoratitta anch‟io sono di aver assaggiatitto il Sosia tuo. Vasamu li manitti e li
peritti e se voi puru l‟autri cositti >> disse Enone.
<< Adesso, Paryde bello, farai quello che ti ordino. Se consenti, altrimenti mi
autoconsento. E pertanto lo fai lo stesso. O ti la suki volontariamente o ti la suki
involontariamente>>.
<< Consento, consento. Mi la suko volontariamente. Basta che non c‟entri il mio
sedere>>.
<<Ho detto “suki” voce del verbo “sukare” e con “inkuli” voce del verbo
“inkulare”>> puntualizzò Zeus.
<< Ragione tieni, ma mi confusi. Perché.. ahiai.. ahiai .. Il kulo mi fa male assai >>
rispose Paryde ca pi lu scantu vide afflosciarsi l‟aceddu suo di botto.
<< Consentitte, consentitte>> aggiunse Enone, felice di averlo assaggiato.
<< Allora, mio bel picciotto, da solo, senza la tua bella fiketta, andrai al lago di
Munypuzos, in quel ramo del lago di Munypuzos riservato ai vip, e a un certo punto
troverai le tre litiganti. Tre dee sono e si stanno ancora azzuffando. Si sentono le tre
grazie dell‟Olympazzo, ma secondo me sono solo le tre disgrazie, tre rompikoglioni,
tre skassakazzi. Quindi cercale e appena le troverai osservale bene. Devi dare il Sosia
a quella che tu giudicherai la più bella. A te che sei il più bello di Purceddopolys, e
non solo, dugnu questo incarico. Dicono addirittura che sei il più bel picciotto del
mondo, dicono anche che sei chiù bello del mio Ganimede, e in effetti bello sei,
spilato, con ciolla d‟ordinanza perfetta in riposo e in attività. E soprattutto tieni un
bellissimo culetto, un culetto che io ho taliato con interesse tante volte. E adesso lo
taliavo dimenarsi intanto che minkiolavi con la tua bella fiketta Enone. Quannu
trasivi le natiche si avvicinavano, quannu uscivi si allontanavano. E io vedevo
brillare il tuo fiorellino, e quel fiorellino vergine, perché io sapevo che eri vergine,
attirò il mio Soia quannu scappò alle mani delle tre litiganti. Iu fui che là lo guidai. E,
come dicevo, vedevo anche le tue palle ballare il ballo del fikka-fikka. Che
spettacolo, Paryde bello, che spettacolo di kulo che sei. E non solo di kulo, ma
complimenti comunque per il tuo kulo>>
<< Grazie. Grazie. Però.. ahiai.. ahiai .. Il kulo mi fa male assai. Comunque sempre a
disposizione, sia del Sosia che dell‟originale>> rispose Paryde temendo nu tanticchia
che dopo la visita del Sosia arrivasse pure l‟originale. Temendo sì, ma anche
sperando. Poteva diventare il novello Ganimede e far carriera. Dare il kulo a Zeus e
usare la ciolla sua come minkia voleva, con chi voleva e quando voleva.
<< Comunque è stato un piacere per il mio Sosia. D‟altra parte il mio Sosia non
poteva mica andarsi a fikkare in un kulo qualsiasi. A te dunque l‟onore di decidere
chi deve essere la più bella dell‟Olympazzo, la protofika dell‟Olympazzo. Anch‟io mi
consento di consentire all‟accettazione del tuo verdetto. Qui si tratta solo di dire chi è
la più bella, non la più buttana, la più santa o la più skassakazzi. A te, bello dei belli,
decidere chi deve essere la bella delle tre belle, la kallimuni, la fikabella, lu
stikkiubeddu, lu beddupakkiu, la filazzabona. A te il verdetto. Io mi consento di
acconsentire qualunque esso sia. Vai, kulo bello, lassa la tua fiketta e vai>>.
<< Non posso, sono nudo. E poi.. ahiai.. ahiai .. Il kulo mi fa male assai>> rispose
Paryde , temendo anche che Zeus si inzeussasse la sua Enone.
<< Senti, caro signor “ahiai.. ahiai .. Il kulo mi fa male assai”, anche a mia mi stanno
per fare male l‟aceddu e pure i koglioni. Li palli si stanno gonfiando assai
assaissimo, ma io non dico però “ahiai.. ahiai .. Le palle mi fanno male assai”.
Pertanto mi consento di ordinarti, e se tu non consenti io mi autoconsento di ordinarti
lo stesso di fare questo travaglio. O con le buone o con le cattive. Pertanto alzati,
lascia il pakkio di Enone e non mi skassare ancora la minkia. Soprattutto non far
diventare acido il mio latte di brigghiu. Alzati e sbrigati, per Zeus e i suoi divini
zeussoni. Altrimenti ti rompo il kulo. Poi però lo dirai con sommo piacere “ahiai..
ahiai .. Il kulo mi fa male assai” >>.
<< Già fatto col Sosia. In ogni caso sarebbe quasi meglio assai assaissimo n‟autra
rottura di kulo che inimicarsi due dee scegliendo la terza>>.
<< Basta, esegui gli ordini e non mi skassare la koppola della minkia. Fai
subitissimo>>.
<< Consento, consento>>.
<< Gli ordini sono ordini. Vai, che forse la tua ciolla, lasciandosi ispirare dai tre
kunni, ti ispirerà la sentenza>>.
Non avendo alternative Paryde si avviò verso la zona del litigio. Naturalmente dopo
aver recuperato la koppola che si piazzò sui riccioli biondi di picciuttazzu in amore. E
prese pure il suo lussuoso tascapane fatto di fili d‟oro e firmato “Minkibeddi”, il più
famoso stilista di Purceddopolys. Non tanto per il valore dell‟oggetto ma perché
ripieno di minkiuna già belli e confezionati. Fatti con amore dalla sua Enone.
<<Chi sono le tre grazie?>> chiese partendo.
<< Lo vedrei quando arriverai in loco. Sono lì, nude , che si azzuffano come commari
al mercato>> rispose burbero Zeus. E per farsi ancora chiù coraggio il bel Paryde si
addumò nu beddu minkiuni di minkiajuana.
<< Damminni uno a mia>> chiese Enone. Paryde ci lu addumò. Si scambiano nu
vasuni, e cu lu vasuni lu fumu ca tineunu na la ucca. Enone ci desi na manata sulla
ciolla. <<Ciao, amore mio. Stai attento a quelle tre femmine che sicuramente saranno
stikkia di prima qualità>>.
<< E tu stai attenta a Zeus>> rispose lui piano piano. E partì cantando , per farsi
coraggio. Nudo, a parte la koppola in testa e il tascapane che ci abballava davanti alla
minkia che tranquillamente pinnia. In una mano tinia il Sosia e nell‟altra lu minkiuni
addumatu.
<< Ciolla mia amurusa, ciolla mia bedda,
andiamo a vedere chi tiene chiù bedda la vanedda.
Aiutami in chista maliritta sintenza
a diri cu iavi chiù beddu lu portasimenza.
Intanto Zeus, nu fattu è certu e sicuru,
a chisti tri ci la misu in pakkiu e in kulu.
Mentri iu ca lu iurici haiu a fari seduta stanti
m‟attruvai lu kulu ruttu in un istanti.
Ora, tu, ciolla mia bedda, mi devi aiutari,
attisa, talia, ca poi ci la putemu sulu minari>>.
Tenendo il Sosia in una mano e sukannu sukati su sukati, tanto girò e rigirò, che trovò
le tre femmine impegnate a litigare. Nude e belle ma con la koppola. Litigavano
solo a parole e gesti. Soprattutto a parole. E kazzo che parole del kazzo.
<< Buttana cauriata... buttana di pititto... buttana curnuta...>>.
Ma appena lo videro, smisero. E lu talianu come delle assatanate di minkia, delle
cannibali di minkia. Lui si scantò e si premette forte il tascapane davanti al pisello
continuando però a tenere in una mano il Sosia divino. Il minkiuni invece stava tra le
labbra. E si consumava rapidamente. Il ritmo delle sukate era impressionante. Come
la takicardia. Quindi si potrebbe parlare di takisukata.
<<Minkia chi sunu beddi, tri stikkia paradisu d‟aceddu>> pinsò Paryde sukannu
ancora chiù forte lu minkiuni ca tinia tra le labbra. <<Minkia comu ci la fikkassi.
Leviti sti minkia di manu e fammi taliari megghiu. Soprattutto leva sta minkia di
tascapane della minkia che io sento ciauro di stikkio. Ciauro di stikkio al cubo>>
pinsò il suo aceddu ca era quattro volte chiù duro del normale. Effetto del THC.
Le tre belle lo guardarono con lo sguardo inkazzato e ingrifato. Da autentiche
spurpaminkia. Vedendo cosa aveva in mano il picciotto, le donne dissero all‟unisono:
<< Dammelo… Dammillu… E mio … >>.
Paryde per lo spaventò non comprese bene e alzò le mani al cielo lasciando libera di
brillare la ciolla d‟oro. Il Sosia infatti brillò superbamente sotto i raggi del sole.
Come stordito Paryde rispose: << Cosa? La minkia, lu minkiuni o la borsa china i
minkiuna?>>. Non sapeva se quelle volevano la borsa, la ciolla o lu minkiuni. Intanto
il tascapane, a causa della minkia che attisava sempre più, si stava sollevando.
<< Il Sosia vogliamo, non l‟autre cose>>.
<< Cosa ?>> richiese il giovane che era nu tanticchia confuso da cotanta bellezza in
esposizione.
<< Il Sosia di Zeus, non la ciolla tua>>.
<< Ahhhh…. mi paria>>.
<< Ehhhh… chi ti paria?>>.
Intanto la minkia si era affacciata in tutta la sua magnificenza. Scostando
lateralmente, a colpi di testa di minkia, il tascapane. E con un colpo finale aveva
spedito il tascapane a coprire il kulo.
<< Però..>> dissero le dee.
<< Però cosa?>> chiese Paryde che non sapeva dell‟affaccio ma sentiva di avere la
minkia tisa.
<< Però la minkia tua bella è. Bellaciolla sei>>.
<< Cosa?>>.
<<Testa di minkia che altro non sei, tieni comunque una bella minkia>>.
<< Grazie. Me l‟ha detto anche Zeus. E mi ha fatto pure i complimenti per il bel
kuletto>>.
<< E ti paria. Quello è capace che prima o poi t‟inchiappetta>> risposero
automaticamente le tre dee.
<< L‟ha già fatto col Sosia>>.
<<E forse in futuro lo farà con l‟originale. Magari si appititterà a quel bell‟esemplare
di minkia tisa. Ma intanto dacci il Sosia>>.
Solo allora Paryde si rese conto che la sua minkia s‟era fatta strada . E se la coprì con
le mani e col Sosia.
<< Non posso. Zeus mi ha detto di darlo a una soltanto>> disse.
Intanto la ciolla del picciotto, che a vedere quei tre pakki s‟era da tempo messa
sull‟attenti, si affacciava con la testa insinuandosi tra le mani e il Sosia. E taliava ora
l‟una, ora l‟altra.
<< E allora fai? Esegui gli ordini, fai quel kazzo che ti ha ordinato Zeus. Assittamini
sulla sabbia e discurremu la facenna. E poi deciditi, che noi non siamo al tuo servizio,
signor Bellaminkia- e - tutto-il-resto>> risposero le tre donne.
<< Ma chi siete, se è lecito saperlo? Tanto per farmi un‟idea>> chiese Paryde
assittannisi col tascapane misu davanti all‟aggeggio tiso che però continuava a
sbirciare. Ora a destra ora sinistra.
<< Chi sei tu, incaricato di fare il giudice, di decidere chi è la più bella. Sei bello ma
babbu. Sei scimunito, visto che non ci riconosci. Bello babbu o babbu bellu sia tu ca
il tuo uccello. Decidi ipso facto, ma intanto dacci nu beddu minkiuni pure a noi.
Daccillu personalmente, metticcillu in bocca personalmente e adduminillu
personalmente. Fai tutto, ma proprio tutto, personalmente>> risposero le tre donne
sedendosi in maniera molto delicata. Ma ognuna a suo modo. Paryde fece ciò. Scelse
tre bei minkiuna e ci li misi in bocca alle tre dee. Poi li addumò col suo. Stricannu
minkiuni contro minkiuni.
<<Come vorrei essere al posto di sti minkiuna>> pinsò la minkia di Paryde, che
durante l‟operazione di addumamientu si era trovata a distanza ravvicinata di li tri
stikkia. O meglio, delle loro bocche. Tiso e sempre dietro il tascapane, in realtà si era
affacciato continuamente. A cose fatte Paryde tornò a sedersi. Il tascapane adesso
poggiava sul fianco. E la ciolla era libera di taliare e manifestarsi. E se necessario di
esprimersi.
<< Chi sei, bellaciolla inutile ? Parla e non ti spaventare>>.
<< Sono.. sono .. sono Paryde, il figlio del re di Purceddopolys. E saluto tutte voi, o
belle tra le belle. Voscenzasabbinirica , vasamu li manu e li peri>>. Nella sua testa
aggiunse “E se possibile anche la fika”. Poi concluse: <<E voi chi siete ? Chi siete
voi, belle in tutto e dappertutto? >>.
<< Io sono Era, la moglie universale>> esordì la prima , intanto che si sukava
tranquillamente, come normalmente fa una moglie con l‟aceddu del marito, il suo
minkiuni, comodamente assittata col kulo sulla sabbia, in una posa che possiamo
definire matrimoniale. E continuò: << Io sono Era, e sono la più bella. Sono la moglie
sorella di Zeus. Se Zeus mi ha fatto sua moglie è perché sono la più bella. La sua
minkia poi mi rende sempre più bella. Se lo darai a me, a parte il fatto che mi
appartiene per diritto maritale, sia il Sosia che l‟originale, a parte questo, io ti farò
diventare il padrone del mondo, il re del mondo. Tu sarai lo Zeus terreno. E vedo che
anche il tuo fallo mi guarda interessato, anche lui mi giudica la più bella. Perché io
sona la chiù bedda, sono il protopakkio dell‟Olympazzo, il pakkio legale consorte del
capodio. E il mio pakkio ride sempre. Risata di pakkio di moglie onesta. Ride
pertanto onestamente, perché si concede solo a Zeus, solo alla ciolla di Zeus, solo alla
minkia di Zeus>>.
Era si susiu, si avvicinò a Paryde e allargò le cosce all‟altezza del suo viso; e ci fici
abbidiri come rideva un pakkio onesto. E poi piano piano ci disse: << Se non lo dai a
me, pi minnitta ti deminkio ipso facto>>.
Era un pakkio assai peloso ma rideva. Purtroppo la risata era rovinata da quel pelame
esagerato. E a Paryde ci parse un pakkio deminkiatore. E nu tanticchia si scantò.
<<Pakkiu troppu pilusu, l‟aceddu nun trova lu purtusu>> pinsò Paryde.
Era lo taliava ancora. Dall‟alto verso il basso. Era una taliata minacciosa. E Paryde
comunque taliava Era. Dal basso verso l‟alto, con sguardo pauroso. O meglio, taliava
il pakkio di Era. E la sua ciolla pure. Infatti puntava verso Era. O meglio, verso il
pakkio di Era. E vinni in quella direzione. Ma la simenta non raggiunse Era.
<<Vinuta scantata fu, effetto possibile deminkiazione>> pinsau lu picciottu.
<< Io sono la dea Pallade Atena, la vergine universale>> esordì la seconda , intanto
che si sukava delicatamente, con fare inesperto, il suo minkiuni, praticamente come
na carusa la prima volta ca si trova cu la prima ciolla da sukari. Ed era anche non
tanto comodamente assittata col kulo sulla sabbia, pertanto in una posa che possiamo
definire di vergine titubante, di vergine che non sa se restare vergine o farisilla prima
o poi sfunnari da qualche ciolla. E continuò: << Io sono Pallade Atena, io sono la
figlia di Zeus. Solo di Zeus, senza la collaborazione fikale della signora Era. Sono la
più giovane e sono io la più bella. Sono bella perché vergine, la verginità mi
abbellisce. Sono incestuosa idealmente, ideologicamente, perché io ho dedicato la
mia verginità a mio padre. Pertanto solo lui la potrebbe cogliere, ma lui non la vuole.
E naturalmente non voglio neanche io. Lo voglio e lo desidero ma platonicamente.
Allora potrei farla raccogliere al suo Sosia, ma sempre formalmente. Vergine sono e
vergine devo e voglio rimanere. Se me lo darai ti farò vincere tutte le battaglie, tutte
tranne quelle d‟amore che non mi competono. Perché sono ignorante in materia per
mia scelta. E poi vedo che la tua ciolla mi giudica la più bella. Infatti guarda me,
attirata dalla mia verginità. Sicuramente la vorrebbe raccogliere, la mia verginità, ma
non si può, essa è dedicata a Zeus, alla sua ciolla o al suo Sosia. Formalmente però.
Ma io, sappilo comunque, sono la chiù bedda. Perché giovane e vergine. La verginità
fa risplendere la mia bellezza. Il mio kunnus vergine ride felice più degli altri perché
vergine, perché illibato, perché puro, perché innocente, perché felice di essere casto,
puro e innocente>>.
Atena si susiu e si avvicinau. Poi allargò delicatamente le cosce e ci fici abbidiri a
Paryde come rideva un pakkio vergine. E intanto che c‟era ci disse:<< Se non lo dai
a me, pi minnitta ti rendo impotente seduta stante>>.
Era un pakkio poco piluso e piccolo piccolo, più che ridere sorrideva, ma in
compenso tinia nu clitoride ca paria na ciolla di picciriddu.
<<Stikkiu strittu e clitoridi attisatu, si parti pi fikkari ma si veni inkulatu>> pinsò lu
carusu. Pallade Atena lu taliava. Dall‟alto verso il basso. Era una taliata pulita ma
pericolosa. E Paryde taliava Atena. Dal basso verso l‟alto. Era una taliata timorosa. O
meglio, taliava il pakkio di Atena. E la sua ciolla pure. Infatti puntava verso Atena.
O meglio, verso il pakkio di Atena. E vinni in quella direzione. Ma la simenta non
raggiunse Atena.
<<Vinuta scantatissima fu. Deminkiato, nun la teni chiù e non ci pensi. Ma
impotente, ci l‟hai ma nun funziona. Minkia, che belle prospettive>> pinsò lu carusu.
<< Io sono Aphrodyte, la buttana universale>> esordì la terza , intanto che si sukava
voracemente, come normalmente fa una femmina di ciolla appitittata, il suo
minkiuni, nervosamente assittata col kulo sulla sabbia, in una posa che possiamo
definire di “attesa della ciolla”. E continuò:<<Io sono Aphrodyte, io sono la dea
dell‟amore, io sono la più bella, io ho detto di “No“ a Zeus ma dico “ Sì “ a chi voglio
io. Sono maritata ad Efesto ma non m‟interessa niente di lui, gliela dugnu solo per
dovere, solo per quello. Perché se un mascolo mi piace me lo faccio, in un amen, in
un fiat. Ero curiosa di provare il Sosia di Zeus, il mio papà adottivo. Solo questo. Io
che nella mia vita ho sperimentato più minkie di qualsiasi altra donna, tanto che ho
generato la minkia per eccellenza, quella di mio figlio Pryapo. Io non ti prometto
regni, non ti prometto vittorie negli affari, in politica, nelle guerre e neanche in
amore, perché l‟amore non esiste. Esiste solo il pititto. Noi chiamiamo amore solo il
desiderio di fikkare. Io da parte mia preferisco dire che sono la dea del sesso, dell‟arte
di usare il kunnus e il phallus. E io ti prometto, a te, il più bello dei belli dell‟orbe, la
donna più bella del mondo, per la felicità della tua minkia e del tuo cervello. Il tuo
cervello sì, perché devi sapere che la ciolla è solo lo strumento, in realtà il vero
organo sessuale è il cervello. Parola mia, parola
della donna più bella
dell‟Olympazzo. Perché devi sapere che fikkare fa bene, più si fikka meglio ci si
sente. Guarda pure il mio pakkio senza pila. E nato accussì perché non ha niente da
nascondere, è puro, è adamantino, è limpido, è gioioso, è ironico, è solo un pakkio
che sa fare il pakkio, che sa fare il suo lavoro e lo ama. Deontologia professionale. È
un pakkio a trecentosessanta gradi, un pakkio che adora fare il pakkio. E tu devi
sapere che fikkare rende sempre più belli. La mia fika fikka sempre. Basta che una
ciolla la ispiri ca idda la fa accomodare. Pertanto è sempre più bella, sempre più
felice, sempre più soddisfatta. E ride per la troppa bellezza, felice e soddisfatta
com‟è>>.
Aphrodyte si susiu e si avvicinau. Poi allargò le cosce e ci fici abbidiri a Paryde
come rideva un pakkio bello. E intanto che c‟era ci disse:<< Ti prometto potenza di
minkia assai assaissimo e pakkio a iosa, alla sanfasò e a tinchitè tout court e full
time>>.
Era un pakkio senza pila, che rideva libero e felice, a labbra spalancate, sia le piccole
che le grandi. Era un pakkio che invitava ad essere visitato e teneva un clitoride che
era un terzo capezzolo, lu capicciu nascosto. E come quelli delle tette invitava ad
essere alliccato, sukato, mozzicato. Fece di più Aphrodyte. Si portò lì lu minkiuni e
mostrò come si poteva sukare con la fika. Con quella Aphrodyte inspirò, o meglio,
infikò, una bella quantità di fumo e lo trattenne tutto dentro.
Aphrodyte taliava Paryde. Dall‟alto verso il basso. Era una taliata erotica e non solo.
E Paryde taliava Aphrodyte. O meglio, il pakkio di Aphrodyte. E aspettava la
fuoriuscita del fumo. E la sua ciolla pure. Infatti puntava verso Aphrodyte. O meglio,
verso il pakkio di Aphrodyte. E vinni in quella direzione. E la simenta raggiunse
Aphrodyte. La raggiunse là. O meglio, anche là. E in quel momento Aphrodyte espirò
il fumo. Un fumo impregnato di profumo fikale. Ma anche altrove la raggiunse la
simenta di Paryde. Praticamente la inondò. A dire il vero vero veramente, la inondò
perché la venuta non fu normale ma super super super assai assaissimo assai. Fu una
vinuta ispirata da Zeus in persona. E non solo. Aphrodyte espirò un mix quasi
allucinogeno. E quella nuvola di fumo per un attimo avvolse Paryde. E lu picciotto lo
respirò col naso, con la bocca, col kulo e finanche con i koglioni e la ciolla. E quando
il fumo raggiunse lu ciriveddu di Paryde, la sua ciolla siminò ancora di chiù. Simenta
su simenta e ancora simenta. Sempre in direzione di Aphrodyte .
La dea dell‟amore si avvicinò al picciotto e piano piano ci disse: << Grazie per la
doccia di simenta mascolina. E bravo per la mira precisa. Hai fatto centro. Io in fondo
ti ho fatto attrintari la minkia più delle altre, la potenza dello schizzo è stata
maggiore. Le altre non ti hanno manco fatto venire granché. Le altre la fanno attisare
ma poi lasciano il lavoro a metà. O non lo iniziano neanche. E non ci sta cosa chiù
brutta di una minkia arrapata senza soddisfazione lassata. Invece io l‟ho fatta venire
alla grande. Io, con la forza del mio pakkio spilato. E lo schizzo mi ha raggiunto.
Grazie per l‟onore. E stato un tele- kazzicatummuliari. Un kazzicatummuliari da
lontano. Se mi eleggerai la più bella, caro il mio Paryde, avrai anche me per una
notte, in tutti i modi possibili e anche in quelli impossibili che saprai mettere in atto.
E quello sarà kazzicatummuliamiento vero. E dopo di me sarà un diluvio di pakkio a
minkia cina. Un kazzicatummulio continuo. Oppure, a scelta, avrei il pakkio più bello
del mondo per kazzicatummuliare. Un pakkio che farà storia. Un pakkio che lascerà il
segno. D‟altra parte io so che ti chiamano Paride Vogliounafikabella. E io ti prometto
la più bella fika del mondo, dopo di me naturalmente, la più bella fika terrestre
comunque. So che espertuccio sei in fatto di stikkio. So che con Enone fai scintille a
iosa e ci fai veniri il pititto pure agli animali. Ma con me sarà il “non plus ultra” del
piacere. E con quel pakkio promesso sarà in “non plus ultra” del “non pus ultra” del
piacere totale e assoluto. Ogni volta sarà una “super nova”, una “nouvelle vogue”.
Sarà solo e sempre Orgasmo bum.. bum.. bum.. ad libitum.. >>.
Si fermò un attimo la dea tutta incilippiata di simenta. Fissò negli occhi Paryde, che
invece taliava ora la faccia ora il pakkio della dea, e riprese:<< E se invece mi farai
perdere, ti manderò mio figlio Pryapo a romperti il kulo per una notte intera. Sarai
kazzicatummuliato da mio figlio Pryapo e sarà rottura di kulo bum.. bum.. bum .. ad
libitum..>>.
E prima di allontanarsi si levò la koppola e gliela buttò sulla ciolla che era di nuovo
tisa. Tisa in maniera eclatante.
<<Minkia, minkia di vai .. ahiai.. ahiai .. Il kulo mi fa male assai..>> pinsò Paryde
pinsannu alla ciolla di Pryapo. Ma il doloroso pinsero non ammosciò la sua ciolla.
<< Decidi, principino Paryde>> dissero le tre donne.
Paryde non sapeva cosa fare. Taliava ora l‟una ora l‟altra. Lo stesso faceva il suo
aceddu tiso. Puntava ora una, ora l‟altra. Poi Paryde si consultò col suo Pariduccio.
Una taliata profonda ed esaustiva. Due occhi contro uno. E la decisione fu presa
insieme. Paryde, seduta stante, prese il Sosia e lo consegnò alla più bella.
<< Voscenzasabbinirica a tutte quante, vasamu li manu e li peri all‟istante. Il pakkio
più bello secondo me è quello che ride più contento perché è felice, perché è allegro.
Tieni il fallo d‟oro. Il Sosia di Zeus è tuo, Aphrodyte, bella tutta. Anzi, bellissima. Io
mi scappello tutto davanti a tia, mi scappello la testa e la minkia, mi scappello di
sopra e di sotto, mi scappello tutto davanti alla bella chiù bella della terra e
dell‟Olympazzo. E se vuoi mi scappello anche di kulo, perché tu meriti questo e
altro>>.
Atena ed Era scapparono minacciando vendetta e sukannu minkiuna.
<< Malirittu iarrusu ca nun capisci ca io sono il miglior portuso. Ti deminkierò>>
disse Era che come moglie del capo, anche se plurimulticornuta, spirava di essere
scelta.
<< Buttaniere partenofobo e zoccolofilo, ti renderò impotente>> disse invece Pallade
Atena. La dea e il caruso risero.
<< Perché hai scelto me?>> chiese Aphrodyte.
<< Per quattro motivi, a parte che bella delle belle lo sei. Bella tutta tuttissima.
Primo: il mio kulo mi ordinò perentorio ”Salvami”. Secondo: il mio cervello mi disse
“Avrai per una notte il kunnus più bello dell‟universo tutto. Anzi, dell‟Olympazzo”.
Terzo: la mia ciolla mi disse ”Ci la ficcherò alla dea dell‟amore per una notte intera e
poi a li kunna di tuttu lu munnu oppure a lu kunnu chiù bellu di lu munnu per tutta la
vita. O almeno, fino a quando ci la farò a fikkare”. Quarto: “Tu usi la stessa parola
che uso io. Kazzicatummuliare”. Perciò , Aphrodyte bella, la tua conoscenza sia
benedetta. Toscenzasabbinirica, e vasamu li manu, li peri e..>>.
<<... e..>> disse la dea felicissima per essere stata scelta.
< .. e la fika..>> concluse Paryde.
<< Grazie. Grazie di cuore e di fika. Beddu Paryde, toscenzasabbinirica. E vasamu li
manu, li peri e la minkia>> rispose la dea inginocchiandosi davanti al picciotto. Nella
bocca divina iniziò la notte divina di Paryde e della sua eroica ed erotica ciolla. Era
quasi l‟alba e i due fikkavano ancora. Ficcavano a tinchitè.
<< L‟ultima>> disse Aphrodyte.
<< Sì, ma dimmi, chi è la donna più bella del mondo, quella destinata a me.
Dimmillu, bedda fika spilata ca la minkia mia fai sempre più arrapata>>.
<< Helena Kalliste, Helena di Munypuzos>>.
<< Minkia, ver‟è>> rispose Paryde. E si fece l‟ultima e la post-ultima e la post -postultima. Inkunnava Aphrodyte pinsannu a Helena. Poi fece una piccola riflessione e
disse: << Ma non è promessa sposa a chiddu babbu di Mynkyalao?>>
<< Sì. Ma quello sarà solo amore dovere, amore fallimento. Quello vostro sarà amore
carnale, sesso animale, sesso sfrenato, fottimento continuo, trionfo della carne. Solo e
sempre gloriosa kunnomentulamachia. Voi due sarete l‟apoteosi del fottimento
terreno, l‟estasi della minkia trionfante e del pakkio gaudente. Sarete l‟uno il
completamento dell‟altro>>.
A quelle parole Paryde si fece l‟ultima, l‟ultimissima e l‟ultimissimissima. E
chiedeva ancora l‟ultima e l‟ultimissima. E la dea si apprestava a dargliela per
l‟ultima e l‟ultimissima volta e magari ancora per una nuova ultima e ultimissima
volta perché Paryde ci sapeva fare. Ma avevano appena finito una delle tante
ultimissimissime quando arrivò Pryapo cantando:
<<Andrò a cacciarmi in quel bel culetto. Cosa mai Paryde ha in quel fosso.
Che mi piace tanto tanto. Se lo penso, in lui m‟incantò.
Se lo vedo, lui si fa grosso. E che caldo esso mi fa>>.
A quelle parole Paryde tremò di paura: << Minkia, però Pryapo lu stissu vinni.
Ahiai.. ahiai .. Al solo pensiero il kulo però mi fa male ancora chiù assai>>.
<< Non ti preoccupare. I patti sono patti. La tua ciolla ha avuto me e avrà Helena, ma
il tuo kulo è salvo. Parola di Aphrodyte>>.
<< Mammina, che faccio? L‟inkulo?>> disse Pryapo arrivando.
<< No. Mi ha proclamato vincitrice. Io sono la più bella dell‟Olympazzo>>.
<< Ahhhh.. E te lo sei pure fatto. E io resto con la ciolla tisa. Pensavo di farimilla
sukare e poi di dariccilla tante e tante volte in kulo, in quel suo bel kuletto. E invece
niente, resto con la minkia tisa e affisa>>.
<< Tanto è sempre tisa>> rispose Aphrodyte.
<< Ma non affisa>>.
< Troveremo una soluzione. Qualche pakkio o altro si troverà, caro il mio Pryapo>>.
<< Ma io volevo un kulo maschile, un kulo masculino bello però>> disse ironico
Pryapo accennando a Paryde. Paryde per lo spavento stava per kakarsi sotto.
<< Troveremo, troveremo. Ma Paryde non si tocca>>.
<< Cosa scegli per la tua ciolla, Paryde bello?Kunnu a tutta minkia o Helena?>>.
<< Helena>>> rispose senza pensarci.
<< Scegli me>> intervenne ironico Pryapo.
<< Vai Paryde, e pensa ad Helena. Sarà presto tua. Lasciaci però nu tanticchia di
minkiuna e tieni questo vasetto. Contiene un certo Unguento, il Sacro Unguento, il
Venerina diasatirion, ricavato dal Satyrium hircinum e dall‟Amanita muscaria. Prima
della prima fikkata con Helena mettitinni nu tanticchia sulla ciolla, serve a veder le
stelle e finanche l‟origine delle stelle. E non solo per la prima ficcata comunque. Ma
per la prima non te lo scordare. Porta al massimo l‟arte del kazzicatummuliare. Droga
la minkia, ma droga soprattutto lo stikkio e la padrona dello stikkio>> disse
Aphrodyte.
<< Sì. La prima? Le stelle? Ne vedrò chiù assai di quelle che ho visto con te?>>.
<< Chiù assai assaissimo assai assaissimamente assai>>.
<< Kazzo.. kazzo.. kazzo.. Grazie, a nome mio e del mio kazzo. Grazie di tutto
veramente>>.
<< Vai Paryde. Vai e pensa a quella che ti sei fatto, ma anche a quella che ti farai. E
naturalmente pensa anche a quello che ti sei perso. Ma se vuoi, a disposizione>>
aggiunse Pryapo tenendosi il palo rosso con entrambi le mani.
Paryde diede loro na manciata di minkiuna e si allontanò tenendo una mano davanti
e l‟altra dietro. Per salvarsi il kulo. Ma poi tornò un attimo indietro. Per risalutare la
dea. E le disse piano all‟aricchia: << Mi dispiace per l‟ultima e l‟ultimissima che
stata non c‟è. È mancato il kazzicatummulio dell‟addio>>.
<< Aspettami dietro quel roseto, così raccoglierai ancora la mia rosa. Un‟ultima o
ultimissima volta>>.
Paryde si allontanò contento di minkia e di kulo scantato. La dea lo raggiunse e fu un
trionfo di ultime e ultimissime e ancora ultime e ultimissime ancora. Pryapo intanto si
annoiava. Sentiva gemiti a iosa, alla sanfasò e a tinchitè. A un certo punto pinsò di
taliare. E da dietro il roseto taliò. Taliò mamma e Paryde. E decise di dare una lezione
simbolica a Paryde. Per interrompere questa serie di ultime e ultimissime che non
finivano più. Pertanto, non visto, si avvicinò di ciolla al kulo di Paryde. Lu carusu
appena intisi quella bestia che tuppuliava al suo kulo per lo scanto svinni. Svinni
dintra il pakkio della dea, ma anche vinni. E fu l‟ultima. L‟ultimo kazzicatummulio
con la dea della bellezza.
La dea e Pryapo lo lasciarono là. Pryapo attaccò a ridere come un pazzo. Rise a iosa,
alla sanfasò e a tinchitè. E per il troppo ridere finiu in mezzo al roseto. E si vinciu di
spine tutto quanto. Anche la ciolla si spinò. E fu la volta della mamma di ridere a
iosa, alla sanfasò e a tinchitè. Paryde invece, svenuto era e svenuto restava. Quando si
svegliò era tutto solo soletto. E per prima cosa si toccò il kulo.
<<Ma. Già mi lu ruppi il Sosia di Zeus. E passi. Ma se c‟è stato l‟originale di Pryapo
mi sa che mi lu allargau bonu.. ahiai.. ahiai.. Comunque mi sa di no. Pryapo fece solo
finta. O forse mi salvai svenendo. Il kulo però mi fa male ancora assai, ma mi fa
male per colpa di Zeus. Il dolore causato da Pryapo sarebbe stato incommensurabile.
Però c‟è un però: la minkia mia è contenta, contenta assai assai, contenta a iosa, alla
sanfasò e a tinchitè, contenta tout court e full time>> pinsò Paryde allontanandosi.
--Madre e figlio invece parlarono assai. E intanto che parlavano la mamma lo spinò.
Idda pure la minkia le spinò. E nella sola minkia di spine ne aveva ventitrè. Ventitrè
spinate. Ventitrè piccole coltellate. Pryapo, pinsannu agli eredi di mammà, ci scherzo
su: << Giulio Cesare si chiama la minkia mia>>.
<< Non offendere la mia discendenza>> precisò la dea. Fu la madre che ad un certo
punto accese il primo minkiuni e lo offrì al figlio: << Tiè, sukati nu tanticchia di
minkiajuana>>.
<< No, io non uso mai la minkiajuana. Io uso..>>.
<< Scusami >> disse Aphrodyte ricordandosi la stikkiosità a volte esasperante del
figlio << Tieni chistu minkiuni di minkiapriapriana>>.
<< Adesso sì>> rispose Pryapo accettando il regalo. E si sukarono , tra na parrata e
n‟autra, tanti minkiuna di minkiajuana idda e tanti di minkiapriapriana iddu. Erano la
stissa cosa ma cangiava il nome. E la nomenclatura è importante a tutti i livelli.
Comunque fumarono assai assaissimo. Lei col Sosia in mano e lui col suo capitale tra
le mani. Pensieri lussuriosi circolavano in quelle menti sessualizzate al massimo. Lei
si accarezzava la cosa col Sosia, lui si accarezzava lo strumento con le mani.
<< E‟ mio finalmente, ma non m‟interessa l‟oggetto, m‟interessa il simbolo. Il Sosia
di Zeus è mio, il Sosia del mio caro papà adottivo è mio. E io sono, cosa buona e
giusta, la più bella dell‟Olympazzo>>.
<< E io che speravo di fare la festa a quel bellimbusto di Paryduccio. Invece mi tocca
autofesteggiarmi. Meno male che Zeus inventò la minata. E meno male che prima ho
festeggiato a lungo con la bella Enone>>.
<< La fimmina di Paryde?>>.
<< Sì. La trovai impegnata con Zeus; e quannu Zeus si ni iu, io pigliai il suo posto.
Ma adesso mi la posso solo minare. Grazie Zeus, che la minata inventasti per le
urgenze e le necessità indelebili e non procrastinabili o non rinviabili della minkia.
Anche della minkia affisa da ventitrè spine>>.
<< Meno male che l‟inventò. L‟assolo di kazzo o l‟assolo di fika delle volte è l‟unica
possibilità di fare sesso. Noi femmine comunque possiamo usare il Sosia. Per voi
invece non ci sta un Sosia della fika >>.
E intanto Pryapo si accarezzava con sempre più ardore .
<< Alla faccia del kulo di Paryde che sfunnato non ho>>.
<< Ma il picciotto però si scantò>>.
<< Iddu però fikkò e io no>>. E fici una sorta di sproloquio. Aphrodyte invece stava
in silenzio e si strofinava il Sosia contro la filazza. Con ardore però. Pryapo, per
spezzare quella strana tensione, cercò nella sua memoria un motivetto adatto. Lo
trovò:
<< A questa tua cosa oggi non son sordo. Ella mi vuole e io vorrei.
Sconveniente è e non si può. Quando son vicino a lei.
Vale a dire: solus cum sola. Basta un‟occhiata e resto senza parola.
Mi riscaldo, lui si fa grosso. Mi par ch‟abbia il fuoco addosso.
Sento il sangue in ogni vena. Che ribolle e fa blo, blo>>.
E continuava a maneggiare l‟aggeggio. Con una smania manuale da manuale del
perfetto minatore. Aphrodyte rise e ci resi na mano.
<< Mano di mamma allevia il dramma>> disse ridendo di bocca e di pakkio.
<< Attenta a dove metti le dita, la minkia mia è ferita>>.
Invece la mamma ci desi l‟altra. Lui non parlò. Ma cantò ancora piano pianissimo:
<< Ma l‟amor non finisce poi. Con la gabbia con dentro l‟uccello.
Ed il seme già sul più bello. Disse “ O là o là”. E si fermò>>.
La mamma capì e disse:
<< Se la mano non basta damu il resto, l‟importante è fare presto.
Per il bene di mio figlio io ci dugnu pure il pakkio vermiglio>>.
Senza dir niente si distese sull‟erba . E sempre senza dire niente allargò le gambe. Lui
taliò quel pakkio spilato e cantò ancora.
<< E son come un can koglione. Guardo il kunnus e il bastone.
Vorrei stender lo zampino. E il bastone ti avvicino.
E abbaiando, mugolando. Piglio il kazzo e te lo do>>.
E così fece. L‟incesto, uno dei tanti dell‟Olympazzo, fu consumato quella notte. Fu
la prima volta tra madre e figlio. Tra la madre dal pakkio spilato e il figlio dalla
minkia spropositata. Tra la mamma bella e il figlio laitu e bruttu tranne che di minkia
e di kulo. L‟orgasmo tra quei due simboli viventi e divini della lussuria fu quasi una
reazione termonucleare. Uno scontro di atomi, di neuroni, di neurotrasmettitori che
per poco non annichilì pure loro. Perché il sesso, quello vero, sapiente e cosciente, è a
tutti i livelli la cosa più dirompente che ci sia nell‟universo intero. Come dice tra
l‟altro anche un detto popolare. “Tira chiù un pilo di kunnu ca l‟oro di tuttu lu
munnu”. Ma ci sta anche la versione maschile. “Tira chiù assai un pilo di kazzu ca
tuttu l‟oro di stu munnu pazzu”. Per dovere di cronaca debbo precisare che nel
momento culminante, e per due dei il momento culminante fu incommensurabile, la
dea dell‟amore ci piazzò il Sosia in kulo al figlio, ma questi non ci fece manco caso.
Continuò a imminkiare la sua cara e bella mamma con tanto di Sosia nel kulo.
<< Ma io volevo un kulo>> disse Pryapo a cose fatte. La mamma rise, si alzò, e gli
ammusciò il suo.
<< E invece l‟hai avuta in kulo>>.
<< Minkiate, minkiate di mamma>>.
<< E allora talia, varda, vidi>>. In effetti Pryapo trovò il Sosia proprio lì.
<< Io volevo un kulo, non la volevo in kulo. Un kulo di mascolo volevo>>.
La dea allora si mise il recuperato Sosia là dove realmente sta la ciolla nei maschi.
Poi si appoggiò ad un albero e si mise a simulare un accoppiamento. Paria ca ci la
stava fikkannu al tronco della pianta. Il Sosia facia trasi e nesci da un buco mentre il
kulo della dea ia avanti e annareri. E Pryapo immediatamente si buttò su quel kulo. E
intanto che inchiappettava mamma, ci la minava al Sosia di mamma.
Quel che successe poi lo sanno solo loro.
--E salvi i naufraghi in mare, Aphrodyte benigna,
salva anche me che sto morendo, naufrago in terra.
Antologia Palatina
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La prima volta che Pryapo e Dyonyso vennero a Munypuzos successe un casino
generale. Ficiru una processione erotizzate ed euforizzante intanto che tutti mascoli
erano riuniti in assemblea. Ammuscianu ciolli al massimo dello splendore e kunna
sorridenti a tutte. E annaffianu tutte con del vino intanto che fumavano minkiuna su
minkiuna. Provocarono accussì l‟ascensione del pititto ai massimi livelli. Gli occhi
di tutte videro ciolle eccezionali, il vino arrivò nelle bocche di tutte e tutte aspirano
tanto ma proprio tanto fumo. E pigliate dal pititto tutte si unirono all‟insolito e
festante corteo. Il fatto successe dopo che padre e figlio si erano incontrati nel
bosco di Mynkyalonya. Briachi sia loro che le Menadi, scatenarono una “follia
erotica” in tutte le femmine della città. Fino ad allora le donne di Munypuzos era
famose per la loro castità e fedeltà. Almeno ufficialmente.
“Mai cu l‟occhi taliari quello che il kunnus o la ciolla possono fare” diceva un detto
popolare. E facevano tutte di tutto con tutti. Ma senza commenti o esibizioni. Al
massimo qualche curtigghiamientu. Ma con delicatezza. Nel rispetto del detto “Se ti
appititta na ciolla strana stuppiti lu kunnu ma antuppiti la facci sana sana”. Ma quel
giorno, sentendo un spirito strano ma divino che penetrava nella loro muni per poi
impadronirsi del cervello, corsero felici dietro i due sconosciuti e il loro seguito.
Corsero verso il bosco di Mynkyalonya e qui iniziarono a strofinarsi contro qualsiasi
cosa avesse un aspetto falliforme. Tra le donne c‟erano anche la madre, la moglie e le
cinque figlie del re Pentesileo, il re di allora.
Il re, non riuscendo a riportare a casa le sue e le altrui femmine, fece imprigionare
Dyonyso e Pryapo, non sapendo chi fossero. Padre e figlio stettero al gioco. Durante
la notte passata nella regia galera, sotto stretta osservanza, Pryapo e suo padre
decisero, per non farsi capire dagli altri, di parlare una nuova lingua. Che chiamarono
Monacazzese. Perché Munypuzos per loro era solo e soltanto Monakazzo. Quella
notte praticamente non nasciu la lingua siciliana e neanche quella Trinacrica. Nasciu
la lingua Monacazzese. L‟indomani mattina il re si recò a visitare i prigionieri. E
assistette subito a un miracolo. Le catene di ferro dei due prigionieri si sciolsero e si
ricomposero intorno ai polsi e alle caviglie del re. Poi loro lo convinsero a vestirsi da
donna e ad unirsi al gruppo per capire le reali esigenze delle donne. Pentesileo, non
avendo alternative, accettò. Fece un bel discorso alle femmine. Da finta femmina a
vere femmine. Ma queste sembravano non capire. Nude ballavano e si strofinavano
tra di loro. E fumavano.
<< Tornate a casa, dai vostri padri, dai vostri mariti. Ritornate alla famiglia, alla gioia
del focolare domestico. Ritornate ad ubbidire al padre, al marito, al figlio. Insomma,
all‟uomo di casa>> diceva il re.
Lo disse sia in greco che in latino. Ma le donne non sentirono. O meglio , non
capirono. Dyonyso e Pryapo avevano loro trasmesso la lingua Monacazzese.
<< Datici na minkia quanto a chista, ca notte e iornu ci l‟arrifrisca, notte e giorno
daticilla una minkia ranni e brilla, sira e matina vulemu fikkari a minkia cina>>
gridavano in siciliano le donne scoperchiando il dio Pryapo.
Pentesileo capì. E arrossì. Proprio allora arrivano i Satiri e i Sileni e iniziò l‟orgia.
Orgia spaventosa fu. Pentesileo fu costretto ad assistere ai focosi amplessi tra Pryapo
e le sue donne. Voleva gridare o intervenire. Ma una forza misteriosa lo rendeva
muto e lo bloccava. L‟unica cosa che sentiva era il suo fallo che stava attisando. Con
la mente in angoscia e il cuore dolorante assistette muto al trionfo della carne. Poi
vide il misterioso megantrofallo avvicinarsi a lui. Pryapo, con violenza, lo
sodomizzò, trasmettendogli un pititto incommensurabile. Pentesileo si spogliò e si
vide anche lui un fallo enorme. Paria gemello di quello che gli era andato in kulo. Ma
era solo una allucinazione. Intanto tutte le donne lo taliavano.
<< E‟ mascolo>> gridò la moglie non riconoscendolo.
<< E‟ mascolo >> risposero le figlie.
<< E‟ mascolo>> disse la madre.
<< E‟ mascolo>> aggiunsero le altre.
<< Voglio fikkare>> gridò lui.
E si fici le figlie, poi la moglie e infine la madre. E venendo dentro il pakkio che ci
avia dato la vita spirò. Questa è la storia che poi Euripide da Munypuzos mise in
scena nelle sue Monakazzobaccanti, le Baccanti di Monakazzo. Le baccanti che col
loro fumo avevano fatto perdere la testa alle femmine del paisieddu.
Grazie all‟appoggio determinante delle femmine poi Munypuzos si innamorò di
Pryapo e Pryapo di Munypuzos. Pryapo fu nominato protettore della città e i mascoli
concordarono. Pryapo aveva reso le donne di Munypuzos abili nell‟ars amandi. Da
protettore per scelta politica si era ritrovato ad essere protettore per scelta popolare.
I mascoli felici ringraziavano e onoravano il maestro di pakkio e minkia.
Pryapo, Dyonyso, le Menadi, i Satiri e i Sileni avevano fatto diventare esperte
nell‟arte del “dare piacere” le loro femmine. Da minkiofobe erano diventate
minkiofile. E adesso loro godevano che era una meraviglia. E gli adepti di
Munypuzos formarono i Monakazzokazzoni e le Monakazzofikine.
Da allora Munypuzos divenne la polys più liberarle e moderna della sicilia. La città
dove tutte le unioni erano ammesse. Mascolo cu mascolo, fimmina cu fimmina, e
naturalmente la tradizionale mascolo cu fimmina. La polys dove il filo conduttore era
il piacere. Il piacere e basta. E divenne anche la patria del siciliano. O meglio, del
Monacazzese. “Minkia, non mi skassare la koppola della minkia” divenne la frase
più famosa dell‟orbe di allora. E pure dell‟Olympazzo.
---
A contrastare la libertà sessuale a trecentosessanta gradi ci stavano solo nu tanticchia
di emeriti koglioni. Sopratutti vecchi impotenti e vergini mai annincate. Oltre a certi
sacerdoti della dea Kasta.
<< Tutti nel Tartaro finirete, peccatori siete anche se non lo sapete. Pentitevi fimmini
e uomini pazzi, cusitivi li stikkia e tagghiativi li kazzi. Se proprio dovete fikkare,
fatelo solo per figliare. Della ciolla gli altri usi saranno considerati solo abusi >> era
il loro motto terroristico. Ma la gente li considerava meno di un pirito fantasma.
Perché la migliore risposta al terrorismo ideologico è e resta l‟indifferenza. E inutile
replicare “ E‟vietato vietare”. C‟è gente che vive di soli divieti. Che gode nel vietare.
Ma la gente libera vive la sua vita e se ne fotte e strafotte dei divieti. Si ni sbatti e se
ni risbatti. Usa la ragione sia per il ciriveddu che per la minkia e il portaminkia.
---Celio, la mia Lesbia, quella Lesbia,
quella sola Lesbia che amavo più di ogni cosa e di me stesso,
ora all'angolo dei vicoli spreme questa gioventù dorata di Remo.
Catullo
---
Tra Purceddopolys e Munypuzos si trovava il lago che portava il nome di
quest‟ultima città. E tutt‟intorno il bosco di Mynkyalonya. Un bosco particolare. Un
bosco formato al cento per cento da piante di fico. Ma non il solito fico, bensì una
variante particolare. Non il comune Fikus carica, con un solo frutto carnoso con tanto
di purtusiddu, ma una varietà, oramai estinta, che cresceva solo qua. La fiku di
Monakazzo oggi, allora Fikus mentulakunnus. Una pianta con due frutti diversi,
ovvero fiku maskuli e fiku fimmini. Li fiku fimmini come quelle che conosciamo
tutti, piriformi con purtusiddu. E li fiku maskuli con piccola escrescenza che andava a
fikkarsi nel portuso di li fiku fimmini. Da cui i nomi popolari di fikazza e fikazzu. In
questo bosco dove fikkavano anche li fiku, di storie d‟amore se ne sono sempre viste,
allora come oggi, ma allora erano gli dei i protagonisti. Zeus in primo luogo. Il
theophallus era sempre alla ricerca di un kunnus terrestre. In questo bosco caro a
Pryapo Zeus si fece la bella Leto che poi fu costretta a vagare per mari e monti alla
ricerca di un posto dove sfornare i gemelli che abballavano nella sua panza. Perché
c‟era una profezia che diceva che i nascituri non dovevano nascere in alcuna terra
ferma. Dovevano nascere in una terra ballerina. E Leto questo posto lo trovò nel
posto dove li aveva concepiti, nel bosco di Mynkyalonya.
Si narra infatti che la Trinacria, famosa per l‟intensa attività sismica, fosse un isola
vagante nel Mediterraneo. Praticamente se la giocavano, tra un terremoto e l‟altro,
l‟africa e l‟europa. Ma in quell‟occasione Zeus l‟ancorò al fondo con tre colonne. Per
dare una terra natale fissa ai suoi figli. Per dare loro una patria. Ma per uno sbaglio
involontario una colonna fu sistemata sotto l‟Etna. Ed è quella che si sta infracicando,
consumando, carbonizzando, ma allora tutto filava liscio.
Zeus scendeva spesso nel bosco di Mynkyalonya per farsi la bella Leto e vedere i
suoi figli, ma anche per cercare altro pakkio. E fu correndo appresso a Leto che
conobbe Leda e ci appitittò. E incominciò a pinsare a come fare per inkunnarsela .
In questo suo firriari alla ricerca di pilo Zeus spesso incontrava la sua cara capra
Amaltea, la capra che l‟aveva nutrito da picciriddu a forza di pisciari dalle sue corna
ambrosia e nettare mentre dalle tette pisciava un latte che faceva crescere in fretta.
Ma in realtà la capra Amaltea in mezzo al pelo folto nascondeva una bella sorpresa,
era una capra ermafrodita. Tinia na bella ciolla e pisciava pure abbondante latti di
brigghiu. E a chi riusciva a berselo in un amen ci si sviluppava l‟aceddu.
E se a causa di un corno rotto riempito di frutta nasciu il nome “cornucopia“, da una
minkia nascosta che molti ignoravano nasciu il termine “phallocopia”.
--Pryapo andava spesso nel suo tempio. Gli piaceva vedere le femmine e gli uomini che
lo adoravano. E se c‟era qualche femmina che lo ispirava cercava di fargli assaggiare
la sua ispirazione. Gli piaceva vedere le sue sacerdotesse pregare e scatenarsi in riti
orgiastici a cui lui partecipava con piacere. Ma soprattutto non mancava mai, nella
ricorrenza della sua nascita, quindi una volta l‟anno , di assistere alla liquefazione del
suo “Sangue potente”. Il cosiddetto “Risveglio del sangue”.
Si racconta che Pallade Atena, la dea vergine per scelta, odiasse Pryapo e tutti i
maskuli portatori di ciolla sana. Lei si sentiva più virile di tutti. Aveva le palle nel
cervello. Per il resto era una bella donna con due piccole tettine, una boccuccia
piccola e un kunnus piccolissimo. In compenso aveva un grosso clitoride.
La virilità era per lei una condizione mentale, non fisica. Una volta ci mancò poco
che Efesto la infilzasse. Proprio all‟ultimo lei riuscì a sfuggire alla violenta
penetrazione. Diciamo che si salvò per un pilo. Almeno in quell‟occasione. Non si sa
se pilo di kazzo o di fika. Forse per la difficoltà di Efesto di trasiri in quel portuso
stretto la simenta divina cadde accussì per terra generando Erittonio. Dopo che per
un pelo era sfuggita alla dolorosa penetrazione da parte di un aggeggio di mascolo, il
suo odio per l‟uomo in generale, ma soprattutto per la sua appendice, si incrementò. E
decise di colpire il simbolo dei simboli della virilità. Il palo rosso ed eretto di Pryapo.
Si allicchittiò come una zoccola di lusso e partì alla ricerca di Pryapo. Lo trovò
subito. Lui viveva quasi sempre nei bordelli, a portata di pakkio in quantità
industriale. Dormiva stanco e affaticato per le cento e passa trummiate della notte
prima. Stanco lui ma non il suo palo rosso sempre eretto. La sua ciolla era ciolla a
tempo pieno e non a tempo parziale.
<<Clitoridazzo mio, se mi faccio il kulo di Pryapo col mio clitoridazzo, lui si sveglia
e m‟infilza col suo palo rosso. Meglio allora deminkiarlo a morsi, meglio staccargli
la ciolla con un morso. Ma non tutta, anche perché tutta sarebbe impossibile. Mi
accontento di staccargli solo la punta rossa, la cappella, quella che qui chiamano la
koppola della minkia>> pinsò Atena. Si avvicinò a bocca spalancata, ma si accorse
che la cappella era troppo grande per staccarla con un mozzicone. Come facia facia,
come si mittia mittia, la koppola della minkia di Pryapo non entrava nella sua
boccuccia in miniatura. Atena si rese conto che quella estremità rossa non sarebbe
mai trasuta nella sua bocca. Pryapo, che sentiva odore di femmine già a distanza,
rispose a quella falsa fellatio venendo in bocca alla dea. O meglio, indirizzando lo
schizzo potente verso la gola della dea che continuava a fare dei tentativi per
ammuccarisi la koppola. Venne dormendo a causa di quella che tutto era tranne che
una fellatio. E la dea, per la rabbia di aver dovuto assaggiare il latte di brigghiu, lu
muzzicau e scappau. Un bel mozzicone dato con tutta la forza della sua dentatura
divina sulla divina cappella. La koppola iniziò a sanguinare. Pryapo per il dolore si
svegliò e attaccau a gridare e a santiari ca paria lu scrittore Santhokrysos quannu
s‟inkazza col mondo intero.
<< Per Zeus e i suoi zeussoni folgoranti. Per Krono e i suoi krononi antichi. Per
Efesto e i suoi efestioni ardenti. Per Dyonyso e i suo dionosoni briachi. Per Apollo e
suoi apolloni musicanti. Per Poseidone e i suoi poseidononi acquatici. Per Elio e i
suoi elioni brillanti. Per Ares e i suoi aresioni combattenti. Per Urano e i suoi uranoni
inesistenti. Per Ermete e i suoi ermetoni volanti. Per Ade e i suoi adoni sotterranei>>
E continuava. Ma fu interrotto da una voce fimminina: << Per Pryapo e i suoi
Pryaponi ca stanu scoppiannu. Se nun ci la finisci ti staiu deminkiannu>>.
<< Mamma.. mamma... mi fa mali la minkia>> disse il picciotto.
<< Fammi vedere>>.
<< Mi affruntu>>.
<< Nun fari lu iarrusu>>.
<< Mi affruntu assai ma ti l‟ammusciu volentieri >> scherzò Pryapo, che era un
esibizionista nato. La mamma la taliò da vicino.
<< Nun fari lu iarrusu, nenti è. Chidda buttana in spirito nun sapi mancu usari li
denti. Appena appena li segnali ci lassò>>.
<< Cu fu? L‟hai vista ? Dimmi cu fu?>> chiese Pryapo.
<< Chidda kunnucusutu di Pallade Atena, la lesbica ca si la strufinia sempre con
Artemide. Zia e nipote. Le leccatrici di fika, le strusciatrici di pakkio, le manovratici
di mirto>>.
<< Mirto?>>.
<< Il clitoride. Ca in loro è quasi una ciolla >>.
<< Mi ni futtu di idda. La minkia mi rovinò. La sua estetica. E poi che dolore, che
dolore, che dolore. La mia minkia è ipersensibile. Ma io mi devo vendicare, ci l‟haia
catafuttiri nel pakkio. Ci lo devo sfondare d‟autorità, cu lu me aceddu ci la fazzu
quantu lu crateri di Mungibeddu>>.
<< Sta minkia. Chidda si l‟avi cusutu>>.
<< E io ci lu scusu, ci lu sfunnu, quant‟è vero ca sugnu la prima minkia di lu
munnu>>.
<< Che skassamientu di ovaie, pi nu muzzicunieddu ca pari di picciriddu>>.
<< Mi fa male la koppola. Che dolore quando si skoppola. Minkia, che male di
koppola>> cantava Pryapo, tra l‟addolorato e l‟ironico. Aphrodyte raccolse quelle
poche gocce di sangue in un ampolla di vetro e poi ci cummigghiau la koppola
dell‟aceddu e tutto il resto con una fascia di lino bianco. Alla fine la ciolla di Pryapo
paria una mummia.
<<Mammina, non stringere, ca pari ca mi l‟affuchi. Accussì l‟aceddu mio soffoca. Io
vivo ma cu l‟aceddu morto impikkato, che kazzo campo a fare?>>.
<< Senti, ciolla delle ciolle, non è niente. La ciolla è sana e in ottime condizioni>>.
<< E ora comu fazzu cu sta minkia impacchettata?>>.
<< La pigghi in kulo, quella degli altri. Per il resto aspetta almeno una settimana,
almeno una settimana. Poi veni ni mia ca ti levo la benda. Dopodiché potrai suonare
fike e pakki e stikki e altro a volontà>>.
<< Mi la levo io. E che kazzo>>.
<< Non puoi, ho fatto un nodo particolare. Il nodo gordiano afroditiano, e solo io lo
so sciogliere>>.
<< E io pure>>.
<< No>>.
<< E come faccio a pisciare?>>.
<< Ora ci fazzu nu purtusiddu na la cima dell‟impacchettatura. Nu purtusiddu nicu
nicuzzu>>.
<< E come fotto?>>.
<< Pi na simana nenti.. astinenza.. castità … e basta..>>.
<< Na simana senza fikkari?>>.
<< Sì, poi recuperi e in una notte ti fai tutte le buttane della Trinacria>>.
<< Consiglio buono, lo seguirò. Ma con quelle gocce di sangu mise nell‟ampolla che
kazzo ci devi fare?>>.
<< Na reliquia. Vanno tanto di moda. E non solo con l‟ampolla. Anche con la benda
di lino. Tra una settimana io ti la levo e ne faccio n‟autra reliquia. Il Sacro
Lenzuolino di Pryapyno>>.
<< E chi sarebbe Pryapyno?>> addumannò Pryapo che invece aveva capito
benissimo
<< Tu sei Pryapo, quindi Pryapyno è la tua ciolla>> rispose la mamma.
<< Semmai Pryapone è>>.
<< Senti, fai tu. Pi mia è lo stesso. O Sacro Lenzuolino di Pryapyno o Sacro
Lenzuolino di Pryapone, non cambia niente>>.
<< Mi fa male la koppola, che dolore quando si skoppola. Minkia, che male di
koppola>> riprese a cantare Pryapo, tra l‟addolorato e l‟ironico.
<< Vaffankulo>> concluse la mamma.
Aphrodyte donò al tempio di Munypuzos l‟ampolla e la benda.
E ogni anno, intanto che i fedeli recitavano la litania di Pryapo, intanto che la
Sybylla Priapica annacava l‟ampolla, il sangue si scioglieva lentamente. Era per tutti
un miracolazzo. Un miracolo del kazzo. Anche quell‟anno Pryapo partecipò. Come
gli piaceva cantare la sua litania: <<Pryapo Polieus.. Ora pro nobis.. Pryapo Xenios..
Ora pro nobis.. Pryapo Katachthonios.. Ora pro nobis.. Pryapo Meilichios.. Ora pro
nobis..>>. Come gli piaceva pregare per se stesso. Intanto che la Sybylla Priapica
alzava per aria l‟ampolla e ci la annacava. In attesa del risveglio. E intanto fumi
odorosi uscivano da ben precise filazze. E le adepte inalavano il fumo e partivano.
Partivano di testa e di corpo. Partivano verso Campi Elisi artificiali. << Pryapo
ktesios.. Ora pro nobis.. Pryapo Herkeios.. Ora pro nobis.. Pryapo Hikesios.. Ora pro
nobis.. Pryapo Soter.. Ora pro nobis.. Pryapo Plouton.. Ora pro nobis.. Pryapo
Eubouleus.. Ora pro nobis.. Pryapo Klymenos.. Ora pro nobis.. Pryapo Polydegmon..
Ora pro nobis.. Pryapo Oanoptes.. Ora pro nobis.. Pryapo Pankunnus.. Ora pro
nobis.. Pryapo Panphallus.. Ora pro nobis.. Pryapo Itiphallicus.. Ora pro nobis..>>.
Gli ultimi tre appellativi erano quelli più amati da Pryapo. E venivano ripetuti fino al
“Risveglio del sangue”. Erano una sorta di droga sonora, parole quasi allucinogene,
che mandavano i fedeli, per la maggior parte donne, in estasi da orgasmo metaforico.
E non solo metaforico. Una cacofonia che stimolava il kunno e le altre parti erogene.
Alla fine, quando il sangue si scioglieva, tutti gridavano al miracolo. A quel punto il
tempio era pieno di fumo, una sorta di nebbia odorosa che tutti inalavano. Erano fumi
di minkiajuana. O meglio, di minkiapriapriana. E quella nebbia mandava in estasi
tutti e tutto.
<< La minkia è viva.. viva la minkia..
La ciolla è viva.. viva la ciolla..
Lu kazzu è vivu.. viva lu kazzu..
Lu brigghiu è vivu.. viva lu brigghiu..
Lu piripikkiu è vivu.. viva lu piripikkiu..
Lu marrugghiu è vivu.. viva lu marrugghiu..
Lu battagghiu è vivu .. viva lu battagghiu..>>.
E lui felice, dopo il miracolo che avveniva sempre a mezzodì, quando il sole
culminava sul meridiano munipuzico, correva nel bosco di Mynkyalonya e si faceva
tutte le Menadi. La sera invece si faceva il giro di tutti o quasi tutti i lupanari di
Munypuzos. E all‟alba andava a fottere, senza limiti di tempo e di atti, la sua Sybylla.
Anche quell‟anno si recò nel bosco di Mynkyalonya. E si fece tutte le Menadi. Poi si
fece il giro dei postriboli e quindi partì per andare dalla sua Sybylla. Invece incontrò,
per caso, Kassandra, che andava vaticinando sventure su sventure. Diceva il vero ma
non era creduta. Per maledizione divina di Apollo che era stato rifiutato carnalmente.
Doppia era la maledizione. Con la bocca sparava profezie che venivano ignorate, col
kunno desiderava kazzi che non poteva avere. E Kassandra, appena visti a Pryapo, ci
mangiò lu paparaciannu. Veniva da Purceddopolys unni avia profetizzato sventure
ranni, ma era di Purceddopolys. Era figlia di Pryamo.
<< Attenti a lu pupu cu la minciazza. Sarà la fini di tutta la nostra razza>> gridava
come una forsennata. E intanto sukava minkiuna di minkiajuana.
<< Ci l‟hai cu mia, sparaminkiate autorizzata che altro non sei>>.
<< No, non parlavo di un dio. Parlavo di un pupo cu la minciazza come a tia però. Un
pupone ranni e tutto minkia>>.
<< Perché piangi? >> chiese Pryapo.
<< Tu lo sai perché. Ma se i miei occhi piangono, il mio kunno ride. Piangerà dopo,
se qualcuno non piangerà in lui, ma tanto è abituato a piangere. A piangere da
solo>>.
Pryapo, essendo dio, non doveva rispettare le maledizioni divine. E siccome aveva
ancora pititto di fikkare, ficcò. Una volta tanto il kunno di Kassandra rise. E rise alla
grande. Lui di meno.
<<Kassandra non è buona neanche di pakkio, è proprio una femmina andata a male.
Annuncia il piacere ma non lo sa dare, si sente femmina solo perché ha il kunno, ma
se questa è una condizione necessaria non è però sufficiente per fare di una donna una
femmina. Il suo kunno è freddo, gelido, mortuario>> pensò Pryapo.
Rimasto solo e ancora pieno di desiderio Pryapo cantò, tra una sukata e l‟altra , di un
bel minkiuni di minkiajuana. Cantò com‟era solito fare.
<< Non so più cosa sono, cosa faccio. Or è di fuoco, or è di ghiaccio.
Ogni donna il fallo cangiar mi fa di color. Ogni donna il kazzo mi fa palpitar.
Solo ai nomi di kunnus o di stikkio. Mi si turba e s‟alza il piripikkio.
E a trombare mi porta con amore. E‟ un desio che so ben spiegar.
Voglio scopar vegliando. Voglio fottere sognando.
Nell‟acqua, all‟ombra, sui monti. Tra i fiori, nell‟erba, nelle fonti.
All‟eco, nell‟aria, nel vento. Che il suon della mia minkia potente.
Portano via con sé. E se non c‟è chi si piglia la mia coda.
Faccio l‟amore con me >>. E attaccò a minarisilla.
<< E‟ meglio una bella e sana minata che farsi Kassandra dalla fika disgraziata>>.
<< No, non sprecare il rosso palo>> disse una voce femminina.
Taliò. Era una bella ragazza. Tutta nuda e bagnata.
<< Chi sei ?>>.
<< Sono, sono la bella Aretusetta. Scappo da quello stronzo del mago Alfiuzzo.
Arrivo adesso dal mio paese. Ho attraversato il mare a nuoto, ma lui mi sta
inseguendo. S‟è trasformato in fiume sotterraneo per inseguirmi e ha detto che mi
travolgerà, mi annegherà, mi farà diventare una sorgente. Accussì farà l‟amore
sempre cu mia, ma io non voglio, divino Pryapo. Non lo voglio né in carne né in
acqua, né in minkia di carne né in minkia di acqua>>.
<< Mi conosci?>>.
<< No. O meglio sì. Solo Pryapo può avere quella cosa. E io mi voglio sacrifikare su
quella cosa. Subito. Prima che arriva Alfiuzzo. Meglio la cosona bedda tua che la
cosetta brutta di quello>>.
<< Subito, Aretusetta bella>>. In un amen la pigliò e si l‟impalò sul suo rosso palo. E
con la sua possanza l‟aiutava anche a fare su e giù. Stava quasi vinennu quannu si
intisi una vuci.
<< Noooo … buttana..>>. Era Alfiuzzo che arrivava sotto forma di fiume.
<< Buttana ranni, ma diventerai acqua lo stesso, acqua buttana ma acqua. E io mi
ammischerò continuamente cu tia in un amplesso infinito e buttano>>.
Aretusetta invece, proprio nel momento che Pryapo la stava annaciando di simenta, si
sciolse in un mare di acqua. Pryapo vide solo la sua ciolla emergere dal liquido e
sputare verso il cielo la sua simenta. Nasciu accussì la via lattea.. lattea perché
formata dal latte di brigghiu di lu diu ciollaranni. Aretusetta invece addivintau una
sorgente di acqua dal sapore di fika ma impregnata però dalla divin sementa, acqua
che si ammiscava col fiume Alfiuzzo, che a sua volta alimentava il lago di
Munypuzos. E divenne usanza andare a bere a quella fonte. Tutti andavano a bere,
bevevano anche quando non avevano sete, bevevano tanto per bere, per gustare il
sapore particolare di quell‟acqua. L‟acqua alla fika con essenza di sementa divina.
<< Chi sapi bella l‟acqua di pakkio alla divin semenza>>. E si alliccavanu lu mussu.
Questa pertanto è la vera e originale fonte Aretusetta, e non quella dell‟isola di
Ortigia. Quella è sola la storiella della sorellastra laita e brutta di Aretusetta che si
chiamava, guarda caso, Aretusa ed era una grandissima iarrusa e facia la buttana.
Tinia un amante lario di nome Alfeo, che era fratello di Alfiuzzo. Alfiuzzo e Alfeo
erano due fiumi ma se in Alfiuzzo si lavavano li stikki più belli della Grecia e
pertantu iddu era sempre profumato e ingrifato, Alfeo facia sempre na puzza di merda
ranni in quanto per volontà altrui avia lavatu li staddi di Augia. Ma Aretusa, quannu
si stancau di fari la vita, inventau un sistema di multe. Un sistema pi fari sordi e
futtiri la genti ca nun vulia o putia futtiri. Cu trasia a Ortigia e nun futtia, vinia
futtutu. Vinia multato. Poi si inventau la storia della fonte. Sempri pi futtiri soldi.
Questa Aretusa è pertanto un evidente falso storico, ideologico e mitologico.
D‟altra parte quella è una isola dove hanno astrummintato un sistema per spennare i
cittadini a forza di multe se solo trasino dalla porta sbagliata. Ma torniamo al nostro
bel Pryapo. Praticamente era giorno fatto quannu Pryapo raggiunse la sua Sybylla e si
sfogò alla sanfasò. Kassandra prima e Aretusetta poi erano state solo e soltanto due
diversivi. La sua Sybylla era una femmina al mille per mille, una femmina che dava
il meglio sotto l‟azione della ciolla del dio delle ciolle. Nel giardino del suo tempio fu
quella una notte di piacere puro. Per lui e per la sua sacerdotessa. Finito ch‟ebbe si
stinnicchiò, con la Sybylla addosso, taliannu il Kolosso gemello che era in
costruzione accanto al suo tempio. Taliò e fumò assai però.
--Infatti, ultimamente, accanto al tempio di Pryapo si stava edifikando un secondo
Kolosso di Pryapo, un Kolosso gemello di quello che ci stava all‟ingresso principale
della polys. La koppola della minkia di questo secondo Kolosso doveva fare
concorrenza al faro di Alessandro. E l‟opera era arrivata attualmente all‟altezza delle
cosce, della parte alta delle cosce, la dove queste si congiungono per sostenere il
resto. Adesso c‟era da costruire il kulo e la panza ma soprattutto c‟era il problema di
piazzare l‟ingombrante, maestosa e incommensurabile ciolla tisa del Kolosso. E
quindi si dovevano risolvere problemi di ordine tecnico. Complessi ma fattibili. Se in
passato era stato possibile costruire il primo perché adesso non si doveva riuscire a
costruire il secondo? Erano in fondo le stesse misure. Ma il primo, per tradizione,
veniva attribuito ai Ciclopi. Il problema principale praticamente era quello di
sollevare il monoblocco formato da bacino, panza e kulo con tanto di minkia tisa. Era
il sollevamento prima e la stabilità di quel monoblocco dopo a creare problemi che
impegnavano una corte di tecnici assai tecnici. Ma adesso la soluzione era vicina.
L‟architetto Mega Lhitos aveva messo a punto una macchina solleva blocchi
grandissima. E quanto prima quella cosa enorme sarebbe stata sollevata. La koppola
della ciolla, rivestita d‟oro, di giorno sarebbe stata un punto luce di grandissima
importanza. Tra l‟altro poi, la direzione della stessa, avrebbe indicato il
“minkiadano“ principale, ovvero il “minkiadano“ di Munypuzos. Si trattava di un
sistema di riferimento messo a punto dall‟astronomo Eratostene da Munypuzos che
aveva ideato una sorta di reticolato geografico ante litteram che vedeva un insieme di
“minkiadani“ e di “minkialleli“ che nella base del Kolosso avevano il punto alfa e
omega. Ovvero l‟inizio e la fine di tutto. E Pryapo era arcicontentissimo di questo
omaggio scientifico alla sua ciolla.
<< La mia ciolla è l‟inizio e la fine di tutto. Sono la protominkia, la minkia madre
dell‟universo. La minkia che tutto imminkia, straminkia e riimminkia>>.
--Kassandra, bella ma inutile figlia di Pryamo, aveva avuto il dono della profezia e la
maledizione di non essere creduta. Questo perchè la prima volta che profetizzò si
incasinò nu tanticchia.
<< Dimmi bedda, se vado in guerra torno o moru? >> ci disse un pezzo grosso della
nomenclatura di Purceddopolys, tale Asterione.
Idda ci arrispunniu in latino: << Ibis redibis non morieris in bello>>.
Quello capì e felice partì. Ma crepò. Il padre, più intellettuale del figlio, curriu da
Kassandra per diriccinni quattro e forse anche cinque.
<< Chi cappella di mentula ci dicisti al figlio mio ca cripò?>>.
<< Ibis redibis non morieris in bello>> rispose Kassandra.
Il padre capì come il figlio. << Peripatetica regale, quello morì>>.
<< E io detto ci l‟avia, babbo scimunito di lusso. Ibis, redibis non, morieris in bello.
Andrai, non tornerai, morirai in guerra>>.
<<No. Tu ci dicisti ibis, redibis, non morieris in bello. Andrai, tornerai, non morirai
in guerra>> precisò il padre.
<< Io ci dissi quello che pensavo>>.
<< Lui capì quello che voleva>>.
<< La virgola scassò tutto il ragionamento>>.
<< E scassò la vita di mio figlio, ma io arrovinerò la tua reputazione. Tu non devi
solo parlare. Deve specifikare unni mettiri la virgola, unni mettiri lu punto e virgola e
unni mettiri lu punto>>.
<< Certo. E magari unni la devi andare a pigliare in kulo>> rispose Kassandra.
E così fu. Kassandra parlava ma nessuno le credeva. Per volere di Apollo. Era solo
una ciulla vento, anche se diceva il vero.
--Adesso Munypuzos era una monarchia plutocratica. O meglio, una diarchia
plutocratica. Da secoli i cento capifamiglia più ricchi governavano la polys
effettivamente, anche se a rappresentarli c‟era un re vero e proprio. O meglio due. Un
re maggiore e un re minore. E a comandare era il maggiore. Attualmente il re
maggiore era Agamynkyone. Uomo forte e potente. Devoto a Zeus e a tutti gli dei
dell‟Olympazzo, ovvero dell‟Olympo di Monakazzo, si sentiva il capodio terreno. E
pinsava di fare di Munypuzos la nuova caput mundi. Facia progetti eccezionali per
rilanciare la polys e spirava accussì di entrare nella storia. Sposatosi d‟autorità alla
superba Fikennestra aveva generato tre figlie e un figlio: Ifikanya, Elettrakunnus,
Kunnotemi e Mynkyoreste. Ifikanya era una bella fika sempre corteggiata ma che
automaticamente ripudiava i corteggiatori. Diceva che voleva diventare sacerdotessa
di Artemide Adiabatica. Artemide l‟impenetrabile. Elettrakunnus era bella ma
emanava scariche elettriche che facevano spaventare l‟aceddi e li faceunu
naturalmente arrimuddari. Kunnotemi mittia timore. Pertanto le due ultime sorelle
erano gelose di Ifikanya e la maledicevano in continuazione.
<< Accussì come addumi la minkia a li picciotti per poi lassariccilla addumata allo
stesso modo devi addumare tu. Noi che tanto vorremmo addumalla a qualcuno per
poi stutariccilla non la addumiamo a nessunu. Buttana ranni fortunata , tu sei la nostra
sfortuna. Ifikanya, tu porti sfiga. Per questo ti hanno sempre chiamata Sfigania>>.
Mynkyoreste invece si ni futtia delle sue sorelle e di tutto il resto, e pinsava al suo
caro cugino Pilade con cui spesso s‟impiladava.
Agamynkyone teneva pure un fratello, il re minore Mynkyalao, che era il promesso
sposo della bella Helena, la sorelle di Fikennestra. Agamynkyone, non avendola
potuta ottenere in moglie, aveva ottenuto di darla al fratello. Tutto questo sperando
di farne poi la sua amante, perché Helena era il più bel pakkio terrestre così come
Aphrodyte lo era dell‟Olympazzo. Ma c‟era un imbroglio nascosto. E che imbroglio.
Nascosto e incestuoso. Mynkyalao infatti era innamorato perso di sua nipote Ifikanya
che lo ricambiava. E non di amore platonico, bensì carnale carnalissimo assai
assaissimo. E il bello è che nessuno lo sapeva. Quelli fottevano alla sanfasò, ma
nessuno se ne rendeva conto. Ifikanya era impenetrabile agli altri ma non a
Mynkyalao.
Comunque Agamynkyone governava benino. A parte la megalomania. Facia bene
soprattutto i suoi interessi ma pure quelli dei plutocrati in genere. Qualcosa faceva
anche per il popolo. Che con grande savuarfer sapia illudere. Il popolo era convinto
che in fondo in fondo si la passava benissimo. A dire il vero il popolo bene si la
passava veramente. E se non bene, benino senz‟altro. Il motto ufficiale di
Agamynkyone era “Panemmi e circensemmi”. Quello ufficioso “Mentula, fumu e
kunnu pi tuttu quantu lu munnu”. U re sapia che se l‟uomo è felice a livello d‟aceddu
non usa il ciriveddu, e se il ciriveddu è cinu di fumu o di vinu nun pensa a fare
casinu, mentre la fimmina se teni lu kunnu cinu di na bedda minkiazza nun pensa a
fari la pazza. Poi, naturalmente, ci stava chi usava li strumenta del piacere in modo
diverso. Ma a Munypuzos c‟era libertà di ciolla e di kunno. Tra l‟altro il re era il
proprietario di tre teatri, il Penta, il Mono e il Tetra; e gestiva anche i tre teatri
pubblici. E la gente si divertiva.
<< Minkia chi risati, minkia come mi addiverto, puru li baddi mi rirunu e la minkia
mi abballa di cuntintizza. Minkia comu riru a tutti li livelli>> dicevano tutti fumannu
minkiuna su minkiuna e pinsannu a immettere la minkia in un portaminkia. E magari
di trincare vino e altro. E lo stesso facevano e dicevano le donne.<< Kunnu cinu e
menti brilla la me vita è tutta na scintilla>>.
Il re maggiore adesso era impegnato nella costruzione dell‟anfiteatro Agamynkyone.
Grande e capiente e con accanto una sua megastatua crisoelefantina , detta il Kolosso
di Agamynkyone o il Kolossominkione. Tutto questo accanto alla sua lussuosissima
villa fuori le mura che aveva chiamato Domus aurea. Sull‟esempio di Zeus usava
sempre l‟espressione “Mi consento”. Anzi, andava oltre: << Mi consento se voi,
carissimi, mi consentite. Altrimenti mi autoconsento di consentirmi>>.
L‟ultima trovata pubblicitaria era stata quella di costruire un ponte tra Munypuzos e
la sua dirimpettaia Purceddopolys. Il ponte
doveva passare sul bosco di
Mynkyalonya e sul lago di Munypuzos. I tecnici erano al lavoro da tempo. Ma i
lavori non erano ancora iniziati. La progettazione era stata difficile. L‟architetto
Dedalo, ateniese di origine ma monacazzese di adozione e adesso libero cittadino di
questa polys, si era impegnato assai assaissimo nella faccenda che progettualmente
parlando era stata veramente molto ma molto complicata. Si trattava di un ponte in
pietra lavica con sette ordini di archi che così grandi non se n‟erano mai visti prima.
E alle due estremità due megastatue di Pryapo rivolte l‟una contro l‟altra e con le
minkie che si toccavano nel cielo, a formare una sorta di arco della pace del tutto
particolare. O di arco della minkia o dell‟amore. Un arco particolare insomma. Le
statue erano previste in pietra, i falli in legno e praticabili. Ovvero, si poteva entrare
nelle statue, percorrere la galleria che stava dentro il pene e poi affacciarsi dalla
terrazza panoramica che stava nel punto in cui le due coppole si toccavano. Cappella
contro cappella, koppola contro koppola.
Comunque ci mancava poco per l‟inizio dei lavori. Il ponte doveva avere una duplice
funzione. Secondo Agamynkyone doveva diventare l‟ottava meraviglia ufficiale
della sicilia e celebrare il matrimonio tra suo figlio Mynkyoreste e una figlia
qualsiasi di Pryamo. Una qualsiasi della cinquanta. Non contava il pakkio e il
contorno, contava solo chi era il papà del pakkio. E Agamynkyone per suo figlio
voleva una figlia di Pryamo. In quel modo lui avrebbe messo una mano o un piede sul
trono di Purceddopolys. Era un modo per conquistare pacifikamente la superba polys
vicina. Senza guerra, senza morti. Solo con la minkia di suo figlio come arma
conquista kunni. E la prima pietra sarebbe stata “posata” in occasione del matrimonio
tra suo fratello Mynkyalao e la bella Helena. Sarebbe poi stato inaugurato in
occasione del matrimonio tra suo figlio e una principessa nata dalla simenta di
Pryamo.
<< Due minkie che si salutano.
Che si danno la cappella in cielo.
Novella e bella forma di saluto.
Ciolla contro ciolla per amore e amicizia.
“ Salve, minkia bedda di Purceddopolys”.
“ Salve, ciolla bona di Munypuzos”.
Due popoli amici e nemici che si pacifikano.
Quest‟arco di minkie sia la gloria del pakkio.
E della pace tra le due polys.
Basta guerre di spade, lance, scudi.
Basta morti, vedove , orfani.
D‟ora in poi solo battaglie di minkie.
Per la conquista dei kunni.
Solo guerre di piacere. Solo guerre di pilu.
E anch‟io che son poeta dico:
“Datemi un pakkiu quantu ci l‟infilu” >>.
Questo scrisse il sommo poeta Mhaxymylyanum Mhaxymylyanorum da Munypuzos
per celebrare il futuro ponte. Quando la lingua latina lu facia inkazzare lui scriveva
direttamente in italiano.
<< Sta minkia di latinu nu fatto è sicuro, si la poli iri a pigliare nel kulo. Ma
purtroppo il mio destino è scrivere in latino, latino poco latino ma latino. E se io non
capisco quello che scrivo è perché la gente non capisce quello che legge. È ignorante
chi legge e non capisce e non chi scrive anche se non sa quello che scrive. Per
interpretare le cose che uno scrive ci stanno gli studiosi, altrimenti, a che kazzo
servono gli studiosi? O no?>> diceva chiaro e tondo.
Poi pensava all‟importanza di quella lingua, il latino, come d‟altra parte era
importantissimo il greco, lingua parlata e scritta correttissimamente dal sommo
Homeryno da Munypuzos. E allora si correggeva. Tornava al suo amatissimo e
straamatissimo latino. Perché lui ufficialmente viveva, studiava e lavorava solo e
soltanto per il latino. Ufficialmente però. Ufficiosamente lo mandava amorosamente
a farsi fottere, catafottere e strafottere da quando si svegliava la mattina fino a quando
andava a dormire a tarda notte. Ma durante la notte sognava altro. E in quell‟altro il
latino non ci trasia una amata ciolla.
<< Mentula.. mentula.. mentula.. fhallus.. fhallus.. fhallus.. mi si sono rotti i
testikulos... >> diceva spesso il sommo scrittore latino del latino.
--Per Agamynkyone Dedalo aveva già costruito molte cose. La più amata dal re e dalla
corte era il Labirinto del Piacere, una struttura a più piani con un solo accesso e poi
corridoi su corridoi e tante stanze dove si faceva sesso a lu scuru. Qui le femmine
traseunu per prime e poi andavano a chiudersi in qualche stanza buia. Poi arrivavano
li mascoli e s‟infilavano nella prima stanza che capitava. E la coppia di sconosciuti
facia sesso alla sanfasò. La disgrazia, matematicamente possibile, era quella di finire
tra le cosce di una sconosciuta che poi altri non era che la moglie.
Questo ed altro aveva costruito Dedalo. Quest‟uomo era l‟ingegno fatta pirsuna.
Orami era vecchio assai ma ancora impegnassimo. Molte costruzioni di Munypuzos
portavano, come detto, la sua firma. Scultore, poeta, pittore, architetto, inventore e
tante altre cose. Dedalo era di tutto e di più. Si era fatto pure un autobassorilievo.
Paria lu papà del futuro Leonardo. Stissa faccia, stissu nasu, stissa barba. Nato ad
Atene avia ittatu giù dall‟Acropoli il nipote che prometteva di superarlo in tutto e per
tutto. Giudicato colpevole dalla corte dell‟Areopago si nu iu a Creta. E Minosse
l‟accolse a braccia e portafoglio aperto, la sua signora Pasife a braccia e a cosce
aperte.
<< Le minkie scienziate ci piacinu assai. La buttana spera sempre di provare qualche
nuovo piacere. Pensa che la minkia astronomica ci faccia vedere le stelle, che la
minkia matematica ci moltiplichi gli orgasmi, che la minkia filosofika ci faccia
ragionamenti perfetti per la sua fika>> dicevano i cretesi.
La prima opera la fece per lei. Costruì una vacca di legno accussì bella che quella
riuscì a soddisfare il suo desiderio di congiungersi al Torobianco. Nasciu na cosa
strana. Mezzo uomo e mezzo animale. Da picciriddu il Minotauro era stato cresciuto
all‟interno del palazzo reale; e l‟unica che giocava con lui era Arianna. C‟era del
filinghi tra i due. Minosse invece se ne vergognava assai: pertanto appena quello fu
cresciuto diede ordine a Dedalo di costruire il Labirinto. E Arianna cianciu siccia e
siccia di lacrimi amari. Una struttura così complessa che una volta trasuti non si
riusciva più ad uscire. Arianna pianse assai per la perdita del compagno di giochi.
Dedalo, per non vederla soffrire, costruì allora il Filo di Arianna, un filo magico che
la riportava all‟uscita. Quando Dedalo litigò con Minosse, questi lo rinchiuse nel
Labirinto, insieme al figlio Icaro. Sapendo che non c‟erano vie di fuga, Dedalo
costruì delle ali artificiali, con penne e cera, per sé e per il suo caruso. E prendendo il
volo scapparono da Creta. Come uccelli in fuga.
<< Minosse, voscenzamalirittassai, pigliala in kulo tu e tutta l‟isola che hai>> gridò
Dedalo in fase di decollo. << Non volare in alto che il troppo sole scioglie la cera e
non volare in basso che la troppa acqua di mare appesantisce le penne>> consigliò al
figlio.
<< Sì, papà, stai tranquillo. Né alto né basso>>.
Ma Icaro volò in alto assai. Voleva scoprire la sede dell‟Olympazzo. Invece precipitò
cripannu seduta stante. Il padre atterrò in sicilia, a Kassaropolys, dove re Cocalo lo
ospitò volentieri. Ma Minosse , accompagnato da Pasife, si mise a cercarlo ipso facto.
<< Lo scanno, lo ammazzo, lo deminkio e lo detesticolo. E mi mangio tutto fritto. Stu
bastardo traditore. Costruì l‟armaru fintu per farmi diventare cornuto. Io fatto cornuto
dal Torobianco. Io considerato padre legale di quel mostro del Minotauro. E quella
mocciosa di Arianna che ci giocava. E ci va ancora a trovarlo nel Labirinto. Chi fa?
S‟innamurau del fratellastro mezzo uomo e mezzo armaru. Ma io lo ammazzo a
Dedalo, lo scanno, lo deminkio>> gridava come un ossesso Minosse. E continuava a
cercarlo.
<< Lu ammazzu ma prima lu kulu ci sfunnu. Giuro su mia moglie e su lu so kunnu.
Se lo piglio faccio una grande macelleria. Mi fazzu nu beddu spezzatino e cosi sia >>.
---
A Pryapo piaceva anche andare nella grotta dove profetizzava la sua Sybylla. La
Sybylla Priapica. Sempre immersa nei fumi odorosi e odoranti e penetranti della
minkiajuana. Che però veniva polemicamente chiamata minkiapriapriana. Questa
Sybylla era creduta e onorata da tutti. Nella grotta, accanto alla statua di Pryapo
Acheropita, era riportato il suo quadrato magico. Il quadrato palindromo di Pryapo.
Quello che poteva essere letto in tutti i sensi e aveva lo stesso signifikato. Quello
dove veniva ricordato l‟altro suo nome: Arepo. E questo nome lo conoscevano solo
Aphrodyte, Dyonyso, e naturalmente Pryapo. Neanche la Sybylla sapeva il vero
signifikato di quelle parole.
S A T O R
A R E P O
T E N E T
O P E R A
R O T A S
AREPO TENET
Letta in originale dice: S A T O R
O P E R A R O T A S. La
traduzione letterale della frase è la seguente “Il seminatore Arepo adopera le ruote”.
<< Ma cu minkia è Arepo? E che vuol dire il tutto? >> si chiedevano tutti.
Pryapo invece sapeva il vero signifikato di quelle parole. Erano una profezia. Solo
una profezia che lo riguardava personalmente. D‟altra parte anche il motto della
Sybylla Priapica, quello con cui iniziava le sue divinazioni, lasciava poco alla
conoscenza. << Obscurum per obscurius, ignotum per ignotius, rivelo l‟ignoto con
cose ancora assai più ignote, rilevo l‟oscuro con cose ancora assai più oscure>>
diceva sempre la Sybylla. Quando quella profetizzava era invasa dal dio e dal THC.
Ed essere invase dal dio Pryapo signifikava solo una cosa: essere possedute dalla sua
ciolla. In spirito generalmente, ma delle volte la possessione era reale. Essere invase
dal THC signifikava solo una cosa: navigare a vista immersa nei fumi. Pryapo si
divertiva a farsi la sua Sybylla, più la inkunnava, più quella profetizzava. Il dio si
piazzava alle spalle della donna e le metteva la ciolla in mezzo alle cosce. Poi
puntava al portuoso e l‟infilzava. Anche il pakkio era pieno di fumo. Quando la ciolla
trasia questo usciva. Ma non era chiù fumo di minkiapriapriana. Era minkiapriapriana
all‟essenza di stikkio.
<< Ahhhh.. Obscurum per obscurius, ignotum per ignotius>> facia lei. E vaticinava.
E lui la inciuciava. E insieme inspiravano.
<< Ahhhh.. Obscurum per obscurius, ignotum per ignotius>> continuava lei. E
profetizzava. E lui la trapanava. Insieme inalavano.
<< L‟amore di la bella cu lu bellu porterà solo burdellu>>. E lui l‟inkunnava.
Insieme sukavano.
<< Zinghi zì, zinghi zà, la freccia va proprio là>>. E Pryapo fikkava. E inspiravano.
<< Tri ni trasinu e tri ni nesciunu>>. E facevano.
<< Accamora una ni trasi e una ni nesci>> pinsò Pryapo. E intanto scopava. E come
lei respirava.
<< Attenziuna. Attenziuna. Lu pupu è cinu di maskuluna>>. E lui insiringava. E
come lei sukava aria. Aria per modo di dire.
<< Premio Pattuallopolys finisce a bordellopolys>>. E lavoravano.
<< Chista non l‟ho capita>> disse a se stesso Pryapo. E intanto chiavava. Ma nello
stesso tempo respirava che era una meraviglia. Lei pure.
<< Dite a lu scritturi ca nun manni l‟opira di kazzi e kuli>>. E trummiavano.
<< Boh.. meglio che penso a fottere>>. E intanto zummiava e inspirava.
<< Ottomila erosminkia o la metà? Chi kazzo dice la verità?>>. E ciullavano.
<< Ma a mia chi mi futti? E‟ meglio futtiri>> pinsò Pryapo. E facevano trasi e nesci.
<< Non siciliano ti pagherò, siciliano no>>. E intanto scampaniavano.
<< Sta minkia>> disse Pryapo. E intanto insasizzava e immetteva aria nei polmoni.
<< Risolverò tutto in due mesi o in dieci anni e due mesi o in dieci secoli e due
mesi>>. E minkiolavano.
<< Minkiati>> pinsò Pryapo. E intanto infornava la minkia nel pakkio e l‟aria nelle
vie aeree.
<< I carti ci sunu pi carità, ma unni kazzu sunu nessunu lo sa>>. E mentulavano.
<< Minkiati ranni rannazzi, minkiati assai assaissimo ranni. Se Poseidone fa un
terremoto nesciunu fora da tutti li banni>> disse Pryapo. E marrugghiava.
E intanto vinia. Vinia di ciolla ma inalava ancora THC.
<< Questo succederà>> pinsò Pryapo << Prima o poi succederà. La sicilia è sismica e
ogni vota ca Poseidone si annaca lu kulu succedi da qualche parte nu terremoto. E
siccome Poseidone teni la camera da letto sutta la sicilia e dà ci la fikka alla sua assai
bellissima consorte Persefassa, ecco che spesso la sicilia abballa. “Terra ballerina,
terra ca s‟annaca a minkia cina” dice un proverbio. Ed è vero>> disse Pryapo sciennu
la cosa soddisfatta dall‟altra cosa altrettanto soddisfatta. Se la fikkata era finuta la
sukata d‟aria andava avanti.
<< Palli. Pallini. Pallazzi. Megghiu li loti ca li pattuallazzi. Li loti sunu rosella comu
la fika, li pattuallazzi sunu russi di vergogna>> disse infine inspirando con la
massima potenza un bel volume di aria affumata.
A cose fatte si fici la sua consueta cantata. Generalmente Pryapo cantava arie tratte
dalle opere di un certo Amazeus Volfangum Mozarteum Fallophilus . Ogni tanto ne
cantava anche qualcuna di Jiosepha Verdorum. Ma Amazeus era il suo preferito.
<< Sarò volubile. Sarò incostante.
Ma non so vivere senza amante.
E se qualcun porco mi chiamerà.
Con tutta flemma gli dirò tondo.
La fika è la cosa più bella del mondo>>.
---
Proprio in quei giorni, tale Minkia Cinadaria, un vucittieri , un banditore, girava per
le strade di Munypuzos e annunciava una “Gara di parole“, ovvero una minkia di
concorso per scrittori di minkia, commedianti di ciolla e altri kakastrunzati di
marrugghiu. Si trattava del premio Pattuallopolys, in quanto bandito dalle polys di
Leonthynoy e di Karleonthynoy. Con tanto di garanzie. Garantivano i re in persona e
poi tanti della nomenclatura locale e non solo. Patrocinato, come detto, dai re delle
due polys e da altri rappresentanti del potere, paria una cosa seria. Insomma, una cosa
alla grande. Una cosa in cui credere. Paria però. In realtà era una minkiatuna ranni.
<< Scriviti, scriviti, scrittori beddi. Scriviti di kunna e d‟aceddi.
Scriviti ca lu fattu è sicuru. Gara seria è e no a kazz‟in kulu.
Mannati li vostri opiri di parola. Ca chidda ca vinci si cunsola.
Mannati li papiri cini cini. Di paroli purcigni e fini.
Scriviti, scriviti, scrittori beddi. Scriviti magari di kunna e d‟aceddi>> gridava il
banditore. Tanti intellettuali pinsanu di mannari il loro lavoro. Tra questi lo scrittore
Paulorum Santhokrysos. Ma non sapia quale inviare. Ne aveva scritti tanti ma
parlavano di una cosa sola: il pilo.
Qualcuno disse:<< Minkiat‟è>>.
<< Il romanzo piluso mio?>> chiese lo scrittore “Purceddu”, come lo appellavano i
moralisti del kazzo e i kakakazzi della minkia.
<< No, minkiat‟è il premio>>.
Altri dissero: << Merd‟è>>.
<< Il romanzo piluso mio?>> chiese lo scrittore “ Ingrasciato”, come lo appellavano i
moralisti del pisello e i kakapiselli della ciolla.
<< No, merd‟è il premio >>.
Allora pinsò di scrivere una nuova opera. N‟opera a minkia e di mannaricilla.
Un‟opera a minkia che praticamente contenesse un mare di minkie e altro. Una cosa
eccezionale, ma a minkia. Una grande minkiata per un premio ca, secondo certa
gente, era na minkiata megagalattica. A troppi il Pattuallopolys
ci paria una
minkiata. Una emerita minkiata targata Pattuallopolys Leonthynoy e Karleonthynoy .
Pertanto disse:<<Scriverò un romanzo a minkia che parli solo di minkia e che sia una
minkiata come il premio in questione. Secondo il detto “Occhio per occhio, dente per
dente, minkia per minkia, minkiata per minkiata”>>.
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Dyceomynkyopoly commentò: << Per me questo premio è una grandissima minkiata,
anzi, è un insieme di minkiate. Da un minimo di quattro milioni a una massimo di
otto milioni.. anthegamisu ..vaffankulum.. vaffankulo... un vaffankulo variabile da un
minimo di quattro milioni a un massimo di otto milioni>>.
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In testa venivano portati un'anfora piena di vino e un ramo di vite, poi c'era un uomo che
trascinava un caprone per il sacrificio, seguito da uno con un cesto di fichi e infine qualcuno
portava un fallo. Plutarco , De cupiditate divitiarum.
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Sempre in quei giorni al teatro greco di Munypuzos si stavano facendo le prove di
uno spettacolo nuovissimo scritto da un commediante locale, tale Aristofane da
Munypuzos. Aristofane, bello e dalla parola facile, non tinia mancu un pilu nel suo
corpo. E a dire il vero nun tinia pila mancu sulla lingua. Se doveva mandare a fare in
kulu a qualcuno, lu facia senza mezzi termini, senza giri di parole. Praticamente ci lu
dicia chiaru e tunnu. Chiunque fosse il tizio da mannare a fare in kulo. Dall‟ultimo
dei Monacazzesi al re in persona, dall‟ultima delle buttane popolari alla buttana chiù
aristocratica, che gira e rigira, era sempre la regina. Dall‟ultimo dei cornuti di massa
al primo cornuto della polys, che gira e rigira, era sempre il re. Ma, ateo com‟era, se
c‟era da mannari a fare in kulo Zeus o qualche altra divinità, non c‟era problema.
Mannava a fare in kulo pure loro. Non diceva, come certi uomini colti “Per favore,
gentilmente le chiedo di andare a prenderla nel deuterostoma”. Aristofane no, lui
diceva “Levati dalla mia minciazza. Vaffankulo tu e la tua razza”.
Aristofane da Munypuzos era uno esperto nell‟arte della satira, dello sberleffo del
potente, divinità comprese. Stavolta avia deciso di dedicare la sua opera al dio Pryapo
e di cercare di smussare l‟odio tra Munypuzos e Purceddopolys. Attraverso la satira
naturalmente. Acarnesi si intitolava la commedia, e prendeva spunto dal quartiere di
Acarne, il quartiere dei vegetariani di Munypuzos, situato nei pressi del Kolosso ma
fuori le mura anche se entro i muretti. Costoro, gli acarnesi, rifiutavano sia la carne
intesa come cibo, sia la carne intesa come mentula e kunnus. Erano puri di panza, di
minkia e di stikkio. Erano casti ma volevano assurdamente imporre la loro castità agli
altri. L‟opera celebrava non Pryapo ma direttamente il fallo di Pryapo. E ispirandosi
ai riti di Dyonyso, di Aphrodyte e di Pryapo, riti nei quali veniva portato in
processione il fallo, in questa commedia, come simbolo di pace e di piacere, si
celebrava proprio la minkia, la minkia siciliana del siciliano Pryapo, la minkia con la
koppola del coppoluto e minkiuto Pryapo. Cosa che ha poco a che vedere con il casto
quartiere di Acarne, ma che per provocazione viene portata in processione proprio in
quel quartiere e proprio intanto che gli acarnesi celebrano la processione della casta
Pallade, la dea dalla fika adiabatica. Adiabatica naturalmente anche per il fallo. Ma le
“falloforie“, dette anche “fallagogie”, erano una tradizione del mondo classico.
Portare il fallo in processione portava bene. Da tutti i punti di vista. La commedia
intendeva ricordare anche lo smembramento di Dyonyso avvenuto nel bosco di
Mynkyalonya ad opera dei puri di cuore, di corpo, di testa e di sesso. Ed era stata
Pallade a salvare una parte del corpo di Dyonyso. Tenendo conto della verginità sua
la tradizione indicò il cuore come parte salvata, in realtà Pallade salvò il fallo del dio.
Perché il fallo è simbolo di vita, di zoè. E lei, inconsciamente, desiderava il fallo,
desiderava la vita. Desiderava essere zoè, dare zoè. Comunque da quel fallo ricrebbe
l‟intero, ricrebbe Dyonyso.
--Silenzio, silenzio! Si faccia un poco innanzi la canefora, e Rosso tenga ben diritto il fallo.
Aristofane
--Silenzio, e che kazzo. Silenzio, e che minkia. Si faccia un poco innanzi il carro con la minkia, e tu
testa di minkia di Rosso, tieni ben tisa la tua di minkia. Aristofane
---
<< La vita è una, come la minkia, e se non è un piacere vivere e avere una minkia, a
che minkia serve vivere e avere una minkia e sentire le minkiate delle sibille che
sparono a tutta minkia?>> era una delle domande per cui era famoso il filosofo
Sokratynos Phylologos da Munypuzos.
Mhaxymylyanum Mhaxymylyanorum da Munypuzos aveva dedicato a Pryapo i suoi
Carmina Priapea. Rigorosamente in latino. O quasi latino.
<<Perché in latino anche le parolacce diventano parole. Dire “mentula” fa dell‟uomo
un essere colto, dire “minkia” fa dell‟uomo un porco>> dicevano le persone di
kultura. E Mhaxymylyanum Mhaxymylyanorum lo era. E Pryapo, di questa raccolta
poetica, ne era contentissimo. Recitava spesso il Carmen XVII.
<< Commoditas haec est in nostro maxima pene,
laxa quod esse mihi foemina nulla potest.
Questo è il grande privilegio del mio pene;
che non c‟è alcuna donna troppo aperta per me>>.
---
Dyceomynkyopoly commentò: << Il mio kulo è adiabatico agli dei, perché ciò che
non esiste non può mettertela nel kulo. Purtroppo non è adiabatico ai potenti.
anthegamisu ..vaffankulum.. vaffankulo.. >>.
Dyceomynkyopoly, sempre coscientissimo che “nessuna mentula è dura come la
vita”, alla fine, per scaricare la solita tensione accumulata, com‟era solito fare, gridò,
come sempre, un forsennato, lancinante, squassante e sonorissimo:
<<
VaffanKuluM
U O O M
P S M
all‟
...
rbe , all‟
perché mi state tutti sul
rbe e all‟
isum
Non avia quindici anni: la frischizza
Di ddi carnuzzi aggraziati e ghianchi
Accumpagnava la dilicatezza
Tuttu era in idda grazia e biddizza;
Di lu morbidu pettu e di li cianchi;
lympu
ativu
...
... >>
Beddi l‟occhi, la vucca, e beddi l‟anchi.
Beddi ddi labbra, comu dui girasi.
Bedda dda cosa unni si nesci e trasi…
Tinti a pinneddu parianu li natichi,
Tunni, duri, citrigni e sapuriti;
Stavano tutti a taliarla estatichi ,
Ca muveva l‟arrittu a li rimiti;
Aveva l‟occhi vivili e simpatichi,
Dd‟occhi unn‟era d‟amuri la riti;
Dd‟occhi capaci, ccu na taliata,
Di squagghiari la nivi e la ilata.
Micio Tempio, La minata di li dei
II. Lu matrimonio di Helena, la prima buttana di Munypuzos
Lu nasiddu paria cira chi adduma;
La vucca, si la guardi, tu nni spinni,
Li masciddi chiù ghianchi di la scuma;
Drittu lu coddu aggrazziatu scinni;
„Ntra lu pittuzzu poi, comu dui puma,
Ianchi e tunni spurgevanu dui minni:
Li cosci su, di lu chiù espertu mastru,
Dui colonni perfetti di alabastru.
Dda cosa poi „ntra ddi kulonni amati,
La vidi , in forma rilevata e tunna,
E ghianca „mmezzu a dui fardi spaccati,
Ca su cuperti di nna manta biunna;
Dui kulunneddi surgiunu a li lati
„ntra lu mezzu di vadda si profunna;
Tennira irvuzza intornu s‟agghiummira
Intatta di l‟aratu e di vummira
Micio Tempio, La minata di li dei
--Io voglio andare a letto. Il membro c‟è l‟ho eretto.
Dyceomynkyopoly
--A Munypuzos era giorno di mercato. Nell‟agorà accanto al teatro greco ci stavano un
sacco di venditori. E la gente firriava felice. Munypuzos era una polys ricca. Ci stava
gente assai benestante. Pertanto gli affari andavano bene. Spesso i mascoli maritati,
dopo una girata al mercato, con la scusa di pisciare, andavano al lupanare a scaricare
altro. A scaricare una porzione o anche più di latte di brigghiu. A farisi sukari lu latti
di brigghiu dopo aver sukato qualche beddu minkiuni di minkiajuana.
<<Vado a cangiare l‟acqua alle olive>> dicevano alle mogli. Mentre le loro femmine
continuavano ad accattare. I giovanotti passeggiavano e si taliavano li stikkiaredda
ca eunu crisciennu. In particolare il pakkio più ammirato era quello di Helena.
Helena la bella, promessa sposa di Mynkyalao. La ragazza aveva il vizio dello
scioppinghi e al mercato cercava sempre qualche tunichetta nova, dei sandali, delle
collane o altro ancora. E a debita distanza da lei c‟era sempre un gruppo di giovani
che estasiati si la mangiavano con gli occhi. Soprattutto si drogavano della visione di
quel kulo che si annacava sotto la tunica. Il ballo di quelle natiche era maestoso,
come quello di li minni. E poi lasciava un ciaru di stikkio ardente che metteva il
fuoco ai cirivedda e all‟aceddi di tutti li mascoli, operanti e non.
<< Ahhhh.. chi ti facissi... cu la minkia mia>>.
<< Ahhhh.. comu ti la mittissi.. la minkia mia>>.
<< Ahhhh.. comu ti arridducissi.. cu la minkia mia>>.
<< Ahhhh.. comu ti la sunassi… la minkia mia>>.
<< Ahhhh.. comu ti la infilassi...la minkia mia>>.
Questo era il pensare mascolino nel vedere la bella Helena. E pare che quannu Helena
stava in giro si incrementava l‟incasso dei lupanari. In ogni lupanare ci stava sempre
qualche buttana che si facia chiamare Helena. La picciotta, con la sua bellezza e la
sua sensualità, accendeva il meccio a tutti; e tutti quelli che potevano andavano a
fikkare. Chi non poteva si la minava. E infatti, quando lei era in giro, un odore di
simenta si aggirava per l‟aria di Munypuzos. Helena era il più potente afrodisiaco di
Monakazzo. La sua vista accendeva tutte le minkie funzionanti. E qualche effettuccio
lo faceva anche su quelle in disuso. Era uno stimolante naturale della minkia in
generale.
--Pi na fimmina passare dall‟agorà principale era come sottoporsi a una ispezione
generale da parte dei mascoli del Plutocircolo di Munypuzos. E non solo di quelli.
Situato all‟angolo tra l‟agorà e la via principale, era la sede ufficiale del pettegolezzo.
In tanti lo chiamavano Circolo della Minkioscopia o circolo della Minkia parlante.
<< Per Pryapo e i suoi Pryaponi. Helena teni due minne ca su due meloni. Come ci
addepositassi la minkia mia>> diceva uno tanto per scherzare.
<< Io mi la facissi a Helena la bella, mi la incappellassi sulla mia cappella, tutta ci la
passerei la minkia>>.
<< Io puru, cu lu pinseru però. Cu lu pinseru ci passu la minkia a tinchitè>>.
<< Helena, il pakkio più bello di Munypuzos, l‟ispiratrice della minkia in generale>>.
<< E dicono che lu teni spilato di madre natura, il portaminkia>>.
<< Come la dea Aphrodyte, pakkio terrestre come pakkio divino>>.
<< Non come tutte queste fimmini che se lo fanno spilare da qualche “ spilatore”>>.
<< A mia mi piace spilato, anche se spilato a mano. Mi piace di più il pakkio spilato.
E pure io mi sono spilato. L‟aceddu senza pila pari chiù allegro, chiù divertente e
pure più grande. Minkia, chi pari bella la minkia spilata. E non mi sono spilato solo
l‟aceddu, ma anche tuttu il pelame che avevo altrove>>.
<< Lu sapennu, lu sapemu. Anche il buco del kulo ti sei spilato>>.
<<Anche quello, perché spilato è bello. Si kaka meglio. E se uno vuole farsi
inchiappettare, tutto procede meglio>>.
<< Kulattone ricchione>>.
<< Io? Sta minkia. Io dugnu e basta. E darei volentieri a Helena la bella. Minkia,
comu ci rassi la minkia mia>>.
<< Comunque, beata Helena. E beato chi si la inciucia>>.
<< A Munypuzos molti se la sono fottuta. Illibata ufficialmente ma troia ranni in
privato. “La purcedda di Munypuzos” la chiama un noto plutocrate locale che si l‟avi
fatta in tutti i modi possibili e che poi è stato lassato come un salame. Espertissima di
minkia idda è>>.
<< Io direi che è stato lassato come un pupo con la minkia in mano, proprio nel
momento del bisogno. Raccontano che all‟improvviso, mentre che Helena lo
cavalcava, idda levò la sua campana dal battagghiu e si ni iu dicennici “Addio,
sonitilla a mano, il mio kunno è chiamato a più alti destini”. Quello capì “Il mio
kunno è chiavato da più alti ciollini”. E l‟uomo restò così scioccato che ci vinni la
depressione nella minkia e nel ciriveddu. E da allora non fikka più, addivintò
impotente>>.
<< La capabuttana. Attisa la minkia in automatico ma in automatico la manda in
rovina>>.
<<Comunque ci manca pikka ca Mynkyalao ci la fikka a iosa, alla sanfasò e a
tinchitè>> rispondeva un altro.
<< Ma sicuramente ci la fikka già, ufficiosamente. Dopo il matrimonio invece ci la
ficcherà ufficialmente. Helena tiene un pakkio che grida “Fikkami, fikkami”. Helena
senza minkia non può stare>> aggiungeva un altro.
<< In fondo tinia dudici anni quannu assaggiò lu citrolo di Teseo, quello che viene
considerato il suo primo marito, la sua prima minkia>>.
<< Ma la assaggiò davanti o darreri la minkia di Teseo?>>.
<< La storia dici ca iddu la sodomizzò per non fare danni irreparabili>>.
<<Ahhhh… Chi ci fici Teseo alla bella Helena?>> facia sempre lo scemo di turno.
<< La sodomizzò>>.
<< Ahhhh… La sodominkizzò... Ahhhh ... Ci misi la minkia .. Scusati, ma unni ci la
misi la minkia?>> chiedeva lo stesso scemo di prima.
<< Ci la mise in kulo, come noi la mettiamo in kulo a tia quando non abbiamo la
giusta quantità di erosminkia per andare a buttane>>.
<< Sta minkia. In tempo di necessità ci la putiti puru infilari alla vostra mammà. Ma a
mia no. Sta minkia>> rispondeva lu babbu. E scappava.
<< Secondo me invece quel parakulo di Teseo ci la mise nel posto canonico, da retro
ma nel posto canonico, poi fici capiri ca ci l‟avia messo nel vaso alternativo per farla
restare con la fama di vergine e consentirgli di attruvari un marito appartenente alla
nomenclatura. Infatti avete visto che sfilata di uomini d‟alto rango e ciolle famose c‟è
stata per la sua messa all‟asta matrimoniale? Odisseo Penevagante, Diomede
Mentuladoro, Palamede Inkunnide, Aiace Teladoinmona, Aiace Teladoinkulio,
Euripilo Cercapilo, Filottete Fottettete, Idomeneo Sfondaimenei, Apollonio
Incarpasciò. E altri. Tanti altri>> diceva l‟intellettuale del gruppo.
<< Più che la ricerca del citrolo più sostanzioso è stata la ricerca del citrolo più
ricco>>.
<< Chiù l‟aceddu miu è ricco, chiù facile è ca a Helena ci la ficco>> disse un
picciotto che passava per molto assai ironico.
<< Secondo me li dovevano fare sfilare nudi e poi scegliere quello con la minkia chiù
grossa>>.
<< Invece scelsero quello con il patrimonio più consistente>>.
<< Il babbo di Mynkyalao si attruvò accussì il kunno più bello di tutti>>.
<< Grazie anche alle pressioni di Agamynkyone che la vuole come cognata con la
speranza di fikkarisilla nel letto>>.
<< Manca pikka al matrimonio, veramente pikka. E mi sa che il re maggiore
Agamynkyone, prima o poi ci la fikka alla moglie del re minore Mynkyalao>>.
<< E intanto è Mynkyalao ca ci la fikka>>.
<< Certo. Ca ci passa la minkia iddu è>>.
<< E per giunta tutti i pretendenti al bel kunno funu convinti a giurare di addifenniri,
vita natural durante, il diritto alla proprietà del kunnus di Helena da parte del marito,
qualunque cosa succedesse. E questo prima della scelta ufficiale della minkia
maritale. E tutti i portatori di minkia aspirante al ruolo di minkia maritale si sono
impegnati>>.
<< Ricordo il giuramento fatto tenendo in mano, tutti assieme , la ciolla della statua
del Pryapo dormiente. “Io giuro di difendere il diritto al pakkio di Helena da parte
della minkia del prescelto. Sacrosanto è il suo diritto ad avere l‟esclusiva del pakkio
di Helena. Tutti per lo stikkio di Helena, lo stikkio di Helena solo per il marito. Lo
giuro sul santo divino aceddu di Pryapo”. Ma il realtà avrebbero voluto dire “Tutti
per lo stikkio di Helena, lo stikkio di Helena per tutti” >>.
<< Pare infatti, secondo pettegolezzi di corte, che la notte prima della decisione
finale, o meglio, della comunicazione del prescelto, del fortunato, che secondo tanti
era stata già decisa a tavolino, pare che durante quella notte definita di “Meditazione
spirituale”, la bella Helena si sia fatta il giro dei vari appartamenti per farsi
insasizzare da tutte quelle sasizze ed operare poi una scelta sul campo. In realtà
voleva solo provarle, ingegnarle. Ma per il resto sapeva già con chi si doveva
maritare. Il testa di minkia più ricco era Mynkyalao. Con lui doveva maritarsi. Poi
poteva sempre farsi un amante o anche più di uno. Perché un pakkio spilato come
quello di Aphrodyte è insaziabile>>.
<< Così dicono i pettegoli. Ma non girò per appartamenti vari, tutto successe nel
salone delle feste. Helena, unica donna, si fece fottere da tutti i pretendenti, compreso
Mynkyalao. Fu una lotta bellissima tra minkie per la conquista di un kunno. E pare
che la ciolla chiù bella e soddisfacente sia stata quella di Aiace Teladoinmona. Come
gudiu cu quello cu nessun autru>>.
<< Questo vuol dire che prima o poi ci saranno questioni. Quella è buttana di matri
natura. E prima o poi combinerà dannu. È troppo portata per la minkia, ha una
affinità altissima per la minkia tout court >>.
<< Figlia di buttaniere nun poli ca siri buttana>>.
<< Io farei subitu dannu pi idda, me ne fotterei se crepasse il mondo intero.
L‟importante fossi fikkariccilla a Helena>>.
<< Ma lu pakkiu è sempre lu stissu>> diceva Prudenzio.
<< Nonsi. C‟è pakkio e pakkio. Quello di Helena è pakkio nobile e mezzo divino. È
o non è la figlia di Zeus. Fikkare con Helena è come fikkari cu na mezza dia. È
sintirisi, se non in cielo, a metà strada senz‟altro>>.
<< E poi è bona. Troppo bona, bonissima è. E dicono che abbia una cosa in comune
con Aphrodyte>>.
<< Certamente, il buttanesimo. La buttana universale e la buttana terrestre>>.
<< No. Hanno in comune il pakkio spilato di matri natura. Pakkio allegro e sempre
sorridente. Pakkio che rende allegra e pitittosa e vogliosa al massimo la minkia>>.
<< Beato Mynkyalao. E beata la sua minkia>>.
<< Beato Teseo che la ingignò. E beata la sua minkia>>.
<< Beato cu ci la fikka, la minkia>>.
<< Ma lo sapete che ci sta un mistero sulla vita di Helena. Pari che Teseo la misi
incinta e idda poi kakau nu picciriddu ca scumpariu dalla circolazione>>.
<< Ne ho sentito parlare, kazzi suoi comunque>>.
<< Sentite picciotti, a forza di parlare di Helena, a mia mi è venuto un‟aceddu
priapescu. Pertanto vado al lupanare. Se ci volete venire, fate pure. Altrimenti
arrivederci e buone minate>> diceva Filostrato.
E in tanti partivano per il lupanare. Arrapati dal pensiero di Helena, kunno mezzo
umano e mezzo divino. Kunnu forse sfunnatu da Teseo, kunnu forse già madre,
kunnu destinato a Mynkyalao, desiderato da Agamynkyone, ma anche da tutti gli
altri maschi in attività. Kunno destinato a fare dannu. “La fimmina ca si fa kunnu
porta sulu vai na lu munnu” diceva un detto popolare d‟allora. Forse ancora valido.
<< La vita è una, come la minkia, e se non è un piacere vivere e avere sulla koppola
della minkia Helena, a che minkia serve vivere a Munypuzos e avere una minkia?>>
era una della tante varianti della domanda base per cui era famoso il filosofo
Sokratynos da Munypuzos, uno dei frequentatori chiù assidui del Plutocircolo.
---
Tra i frequentatori del Plutocircolo c‟era Dyceomynkyopoly, il cittadino giusto per
eccellenza, che mai niente negava e mai niente imponeva. Parlava spesso usando le
rime e paria che recitava. Ma era sempre giusto. Al collo portava la collana fallica,
detta Phallaryo, praticamente tanti falletti più un fallone come pendente. Era un
adepto fanatico del Priaprismo. Eppure era ateo.
<< Helena è bona, ma è lei che decide con chi fare lampi e trona. E lei che sceglie la
minkia adatta >>.
<< Se t‟attisa l‟uccello vai al bordello. Là, qualsiasi minkia trova la sua
soddisfazione>>.
<< Agamynkyone però è un re un po‟ koglione>>.
<< Problemi nichi cu na minkia nica, problemi ranni cu na minkia ranni>>.
<< O ranni o nica, se è in uso, l‟unica soluzione è un portuso>>.
<< Io cu Purceddopolys fazzu la pace universale, voi fate la guerra e viriti comu vi
finisci male>> chiarì Dyceomynkyopoly.
<< La guerra porta male alla povera gente ma arricchisce il potente>>.
<< Pi sarvari la minkia di lu re mori genti a tinchitè>>.
<< Pi sarvari l‟onore della regina mori genti a minkia cina>>.
<< Pi sarvari l‟onore di li dia mori nu popolo intero e così sia>>.
<< L‟unica guerra che voglio fare io è quella della mia minkia che imminkia qualche
portaminkia>>.
<< Lavorare per la panza e per la fika è cosa bona , vi l‟assicuro. Lavorare pi lu re vi
porterà solo a prenderla nel kulo>>.
<< Io voglio andare a letto. Il membro c‟è l‟ho eretto... anthegamisu ..vaffankulum..
vaffankulo... all‟orbe e all‟urbe e pure all‟Olympum.. perché mi stanu tutti sul pisum
sativum...>> era la frase con cui spesso troncava ogni discussione.
E andava veramente a letto. Con chi capitava, la moglie o altro. Gratis o a pagamento.
Ma andava a letto per dar sfogo al suo membro eretto. I Plutocircolini apprezzavano
le sue massime. E avrebbero desiderato tutti il membro sempre eretto. Come il suo.
--C'era una volta l'età dell'oro, poi quella d'argento, di bronzo:
al giorno d'oggi Aphrodyte è tutto questo insieme:
venera l'uomo dell'oro, bacia l'uomo del bronzo,
non scappa mai via dagli uomini che hanno argento.
È come Nestore. E credo che Zeus scese da Danae
non come pioggia d'oro, bensì portando cento monete.
Antologia Palatina
--Helena infatti era una picciotta bellissima dell‟aristocrazia di Munypuzos. Sorella di
Fikennestra e già causa di liti tra mascoli arrapati in cerca di un kunno bello, nobile e
ricco. Agamynkyone stesso aveva cercato di farne sua moglie. Poi aveva dovuto
ripiegare sulla sorella di Helena. Ma adesso la vedeva come futura cognata in quanto
promessa sposa di Mynkyalao. E da cognata poteva riprovarci. I fatti di pilo in
famiglia sono cosa assai assaissimo diffusa. Un kunnu in casa è più facilmente
acchiappabile di uno di fora. A parte il fatto che Mynkyalao era anche chiamato
Babbalao, perché era si bello e kazzuto ma era anche babbo assai. Insomma,
Agamynkyone si la sentiva già sul suo aceddu impalata. La regina minore sulla
minkia del re maggiore. Il re minore cornuto a causa del re maggiore. In ogni caso,
corna di famiglia. Comunque, al di là della presenza o meno di Helena, tutti i
picciotti, nel giorno del mercato, attaccavano a corteggiare. Con la speranza di
scopare presto. Speranza possibile. Perché le femmine la davano con facilità. Se non
proprio il pakkio, davano il retropakkio. In ogni caso poi c‟era sempre il postribolo.
Solo che per spitittarsi ci volevano i soldi. Pertanto , se non avevano i piccioli, si
facevano accalappiare da qualche finocchio. Un pompino e una messa in kulo erano
meglio che farsela a mano. E poi, a dire il vero, il finocchio faceva sempre un
regalino al picciotto che gli passava una bella dote di sasizza. E il regalino era
l‟ideale per andare al casino. L‟altro passatempo dei portatori di ciolla locale era il
corteggiamento delle donne sposate. Il portone era già aperto. E sperimentare nuova
sasizza era sempre piacevole.
--Tra i picciotti che si aggiravano al mercato c‟erano spesso Castore e Polluce, i fratelli
di Helena, che assetati di pakkio corteggiavano tutto quello che respirava. Purché
fosse femmina. Rigorosamente femmina. Corteggiavano sempre la stessa femmina
insieme perché insieme la volevano. Era il loro vizio non tanto segreto. Legati sin da
piccoli si amavano tantissimo ma non lo avevano mai fatto fisicamente. Non si erano
mai reciprocamente posseduti. Il loro amore si manifestava solo nel possedere
contemporaneamente la stessa donna. Nello stesso portuoso possibilmente. Godevano
nello strofinarsi l‟aceddu l‟uno contro l‟altro dentro uno stikkio femminino. Così
come amavano passarsi lu minkiuni da sukare. Erano grandi consumatori di
minkiajuana.
<< Unu lu trasi, l‟autru lu nesci. E di futtiri sempre accussì ci arrinesci>> diceva
Castore.
<< La bedda ciolla mia si strica cu la tua ciolla bedda dintra la stissa vanedda>>
rispondeva Polluce.
Figli di Zeus e Leda, fratelli di Helena e fratellastri di Fikennestra, avevano litigato
già prima di nascere dintra la panza materna. Ognuno voleva uscire per primo. Poi
erano usciti insieme. Forse per questo volevano fikkare insieme e nello stesso buco.
--Al mercato andavano spesso “i due finocchi”, Adone e Narciso. Erano due amici
bellissimi, che amavano andare sempre in giro. Andavano spesso a fare acquisti.
Soprattutto a rifornirsi di minkiajuana. Erano uno chiù bello dell‟altro. Questi
corteggiavano con successo, ma poi facevano sempre cilecca. Alla fine si
consolavano tra loro. Adone, frutto dell‟amore incestuoso di Mirra per il padre
Cinira, era uno splendore nel vero senso della parola. Da neonato era tanto bello che
aveva fatto impazzire di desiderio anche la dea della bellezza Aphrodyte che l‟aveva
nascosto in una cascia.
<<Mi lu crisciu pi mia, sulu pi mia. Sarà il mio fottitore personale, il mio
minkiobello, la mia ciciaredda >> pinsava la dea. L‟aveva affidato a Persefone, ma
pure questa si era innamorata del bel neonato. Tanto da non volerlo ridare alla prima.
<<Lu ammucciu e sulu iu mi lu ciucciu>> pinsava st‟autra.
Ci funu insomma questioni. Risolte poi con l‟intervento di Zeus. Na vota crisciutu,
lu caruso era tanto e talmente bello che a tutti ci facia veniri il pititto. I maskuli gli
pizzicavano spesso il kulo. Le femmine lo tastavano altrove. La stessa Aphrodyte
pazziava per lui. Ma lui niente. Accettava le coccole e coccolava con arte. Ma al
dunque tutto si ammosciava. Nonostante tutto lei lo bramava. Quello che non sapeva
fare con la ciolla Adone però lo faceva con le mani. E con la lingua. Toccava che era
una meraviglia. Kunnidigitus. Leccava che era un paradiso. Kunnilingus. Comunque
Aphrodyte sperava di riuscire a farselo prima o poi. La bellissima e il bellissimo. Per
adesso si accontentava di lavorarlo di bocca. Il picciotto gradiva il pompino. La
fellatio. <<Tanto farò che la sua minkia avrò>> pensava Aphrodyte.
Intanto si accontentava di questi furiosi e soddisfacenti amplessi in cui Adone usava
le mani e la lingua. La lingua, grazie alla sua flessibilità, facia veramente miracoli.
Anche Narciso appitittava a tutti. E respinse pure l‟amorosa follia di Eco.
Condannato ad amare se stesso andò avanti con l‟autoerotismo fino a quando non
conobbe Adone. Tra i due fu subito amore.
--Quel giorno tra i tanti che si aggiravano per il mercato c‟era anche Pryapo. Cercava,
come al solito, minkiateddi da accattari. Ma soprattutto cercava un incontro un po‟
ravvicinato con Alcmhona, una delle più belle donne di Munypuzos. E forse anche
l‟unica vergine certifikata rimasta sulla piazza. Vergine ma maritata. Sposata al
generale Anfistronzone che aveva rispettato il suo desiderio di arrivare col portone
sano al matrimonio. E tale era rimasta perchè nel pomeriggio del giorno delle nozze il
marito era dovuto partire per una missione segretissima, una missione militare,
nientepopodimeno che ad Atene. Neanche il tempo di consumare con una sveltina.
Tanto per.. consumare. Per spalancare o socchiudere il portone.
<< Dammilla di cursa la minkia>> ci avia detto lei.
<< Non posso, devo obbedir tacendo>>.
<< Una botta e via, accussì. Additta. Tanto per sfondare il portone>>.
<< Al mio ritorno>>.
<< E se pi disgrazia tu morissi?>>. Anfistronzone si toccò le palle in segno di
scongiuro e non rispose. Si li toccò a lungo e con forza.
<< E se pi disgrazia tu morissi?>> ripeté la donna.
<< Minkia, chi camurria. Devo ancora pigliare quello che è mio e già mi rompi i
koglioni. Alcmhona, ma sei per caso una femmina skassakazzu puru tu?>>.
<< E se pi disgrazia tu morissi?>> ridisse la donna.
<< Minkia. Senti bedda, e per colpa tua se tieni quella cosa ancora sana. Prima ho
aspettato io, adesso aspetti tu. In fondo il tuo aspettare il matrimonio è stato solo e
soltanto un capriccio, il mio invece è solo un dovere. Tu sei chiù strunza di quella
strunza sukaminkia di Lisistrata. Chidda cumminciu tutti li fimmini a chiudere putia,
e fu allora ca li masculi si misiru a circari masculi, per scaricarsi reciprocamente
l‟aceddu. Tu inveci chiuristi la tua alla minkia mia, anzi, a dire il vero, nun ci la
rapisti mai. Mi dautu sulu la boccuccia e il popò, mai l‟antipopò. Ma adesso però non
ci sta tempo manco pi na visita lampo di lu pipì nell‟antipopò. Comunque io non
cercherò altri purtusa. Uomo d‟onore sogno e di parola anche>>.
<< E se pi disgrazia tu morissi?>> ripetè quella oramai appitittata di ciolla.
<< Senti, se crepo, ti prometto che il mio aceddu te lo farò recapitare imbalsamato,
accussì ti lu sbatti dà. E potrai sempre dire che la tua prima volta è stata con tuo
marito. E che minkia. Ciolla morta ma sempre ciolla maritale>>.
<< E se pi disgrazia morissi io?>>.
<< Minkia chi pacienzia ca ci voli. Senti bedda, se crepi tu, io vengo e ti la ficcò
anche da morta. Sarà necrofilia, ma te lo prometto, ti la ficco anche da morta. Per
evitare la contraddizione di essere morta vergine e maritata>>.
<< Anfistronzone , ti voglio bene, ma in tutto questo tempo una sveltina l‟avremmo
potuta fare. Una fikkata lampo>>.
<< Veramente sì, ma adesso è tardi. Al mio ritorno bel pakkietto dell‟amore mio. Io
aspettai a tia, tu aspetterai a mia>>.
<< Al ritorno, bel minkione dell‟amore mio>>. Così lui era partito. E non le aveva
lasciato neanche un Sosia. Adesso erano passati tre mesi. E idda tinia un prurito ca
nun si calmava manco cu li sciacqui di camomilla vergine. Pryapo s‟era addeciso che
doveva essere lui ad aprire quel portone. In incognito, ma lui. Pertanto cercava
l‟occasione per attaccare discorso. In attesa di attaccari qualcos‟altro. Da una
settimana ia a pisciare davanti alla casa di Alcmhona. Si scia la pompa e pisciava per
un tempo lunghissimo contro la finestra della signora vergine.
<< Chi fu?>> si chiese Alcmhona vedendo arrivare quello spruzzo. E da una feritoria,
non vista, taliau fora. Ma Pryapo, occhio fino, capì d‟essere guardato.
<< Mizzica, chi mazza. Pari nu sceccu, anzi, di chiù. Pari nu scikkazzu>>.
E sospirau. Aveva rifiutato la minkia del marito fino al matrimonio. Poi quello era
dovuto partire e lei era rimasta col pitittu dell‟aceddu maritale. Ma chidda del marito
si l‟arricordava molto più piccola. L‟avia tante volte vista e tuccata e arrussicata e
finanche ricevuta nel popò. Chista era proprio eccezionale. Nun taliò manco il
piscione in faccia. Tutta la sua attenzione fu pigliata dallo strumento. E sospirau,
arrussiau, si intisi pigliare da una smania e corse al cesso perché per l‟emozione si era
pisciata. Si sentiva tutta bagnata. Ma in realtà non si l‟era fatta addosso. Capì che
s‟era pisciata di piacere.
Adesso era al mercato pi pigghiari una boccata d‟aria. E pi accattari cose a minkia, a
kazzo o a ciolla. Perché lei accattava solo cose ciolliformi. La notte non dormiva.
Pinsava all‟uomo che da una settimana pisciava contro la sua finestra. Si sentiva
anche taliata. Tutti sapevano della sua condizione di femmina maritata e vergine. Le
femmine la commiseravano mentre i mascoli la desideravano; ed erano tutti pronti a
far le veci di Anfistronzone. Ma lei era fedele. E stava accattando degli orecchini a
forma di ciolla quannu si avvicinau nu maskulu.
<< Salve, Alcmhona bedda, voscenzasabbinirica. E vasamu li manu per non dire
altro>> disse l‟uomo.
<< Non parlo cu li sconosciuti>>.
<< Ma io ti voglio acconoscere>>.
<< E io no>>.
<< A dire il vero ci conosciamo già>>.
<< Minkiati. Mai vista la tua facci racchia e laria e bruttazza>>.
<< La faccia no, ma altro sì. Perché le donne non guardano mai in faccia l‟uomo se lo
possono taliare in quella che è la parte chiù interessante, anche per valutare se vale la
pena o no>>.
<< Ancora minkiate racconti>> rispose Alcmhona.
<< Senti bedda, io sono l‟uomo della pioggia>>.
<< Ahhhh….>>.
<< Quello che fa chioviri contro la tua finestra >>. Alcmhona non rispose.
<< Alcmhona, non sai che ti perdi>>.
<< Vaffankulu>> rispose la donna.
<<Dintra il tuo volentieri>> pinsau l‟uomo. La donna tornò verso casa e attruvau lo
sconosciuto che l‟aveva infastidita al mercato davanti il suo portone. Stava pisciannu.
<< Che fai? Purceddu, lurdu, vastasi, porcu, purkazzu>>.
<< Alcmhona bedda, staiu sulu addimostrandoti che ci sono strumenti e strumenti. E
io voglio mettere il mio a tua disposizione>>.
<< Mai. Meglio morta che impalata da quel palo>>.
<< Sarai mia tutta. Mia prima di Anfistronzone>>.
<< Sta minkia, fai una inversione a U e ti la sbatti in kulo tu>> rispose la donna.
Nel dire quelle parole si pisciò per il piacere.
<< Lu surci dissi alla nuci: dammi tempu ca ti spurtusiu. Iu dicu ad Alcmhona:
dammi tempu ca ti la ficcu unni vuoiu iu>>. E andò via cantando.
<< Donne, è qui l‟uccello d‟amore.. Chi lo vuole eccolo qua..
Ch‟ei fa caccia tutto l‟anno.. Vecchie e giovanette lo sanno..
Quest‟uccello ad un mio fischio.. Trova sempre uno stikkio..
Sono allegro, son contento.. Migliore di questo al mondo non c‟è ..>>.
--Un altro mascolo si era appitittato di Alcmhona. Si trattava di Zeus in persona. Che
stava studiando come farisilla prima del marito. Non Anfistronzone doveva
consumare, ma lui. E Zeus, che dall‟Olympazzo avia visto le manovre di Pryapo, non
temeva la concorrenza di quel suo nipote. Era sì la minkia più potente dell‟orbe, ma
lui era chiù furbo del picciotto. E il portone l‟avrebbe sfondato lui, basta che nel
momento della deflorazione non arrivasse Pryapo a cantare. Quel picciotto
smontaminkia doveva stare lontano. Quello era uno smontaminkia specializzato.
Quello faceva calare la testa pure alla minkia di Zeus. E non solo con la presenza.
Anche la voce di Pryapo, che amava cantare canzoni a contenuto piluso, lo smontava.
Ci facia arrimuddare l‟aceddu. Anche se l‟aceddu era in volo, precipitava. Si
sgonfiava. Accupava. Crepava.
<< Iddu la voli, ma io l‟avrò. Essere minkia ranni non vuol dire arrivare prima >>.
Lui, Zeus, comunque avrebbe aggiunto al suo elenco di fimmini fottute il nome di
Alcmhona. E dintra la matrazza avrebbe infilato uno o più pila del desiderato kunnu.
<< Mi consento di pigliarmi questo kunnus bello, per il piacere del mio glorioso
uccello>> canticchiava il capodio tuccannisi con una mano la koppola ca tinia in testa
e con l‟altra la koppola della minkia.
--Alcmhona la notte non dormiva. Pinsava all‟aceddu dello sconosciuto e lo
desiderava. Lo desiderava sano tutto sanissimo. Ciolla compresa. Non sapeva chi
fosse quell‟uomo kazzuto ma era uno spettacolo della natura. Certo, era lariu e pilusu
come una scimmia pilusa ma tinia na mazza pi mazzuliari fimmini, e non solo, che
era uno spettacolo. Poi si scantava e piangeva. Pinsava allora al marito lontano e
desiderava la sua ciolletta. Poi si la allisciava nu tanticchia e si addormentava
sospirando. Nel sonno veniva lo sconosciuto dalla grande spada di carne e la
infilzava alla sanfasò. E lei godeva fino allo svenimento. Allora si svegliava tutta
sudata, ansimante, in preda allo spavento e al piacere ma anche tutta pisciata. E
capiva che era stato solo un sogno. Per fortuna. O forse per sfortuna. Quella minkia
comunque era diventata la sua ossessione.
--L'appendice dei ragazzi può avere una triplice forma,
Diodoro: te ne dirò tutti i nomi.
Quando non l'ha ancora toccata nessuno si chiama cosino,
pisello quando comincia ad essere florida,
quando vibra nella mano lucertola,
quando è adulta, sai bene come si chiama.
Antologia Palatina
--Adone e Narciso si erano conosciuti nel bosco di Mynkyalonya. Narciso scappava
dalle offerte amorose di Eco.
<< Narciso.. iso. .iso.. iso..fammi tua.. ua.. ua… ua…ficchimilla.. illa.. illa.. illa.. >>.
Quando scappava andava ad infilarsi in una filazza della roccia che immetteva in un
piccolo laghetto. Qui si levava la tunica e si contemplava nello specchio d‟acqua.
<< Comu sugnu beddu, dalla punta di lu nasu a chidda di l‟aceddu. Sugnu propria
biddazzu, da la punta di lu peri a chidda di lu kazzu. Nu fattu è sicuru, sugnu beddu
magari di kulu. Io mi amo, mi amo. Mi amo all‟eccesso e fazzu l‟amuri con me
stesso>>.
E nel dire questo si impegnava con fervore nelle pratiche autoerotiche. Insomma, si la
minava. Generalmente si metteva in acqua, con i koglioni a mollo e la minkia di
fuori. E nel minarsela taliava la so minkia e l‟immagine della so minkia riflessa
dall‟acqua. E ci paria di minarsela in compagnia di un amante sconosciuto. Ma un
giorno, intanto che faceva tutto questo, visti sciri un picciotto bello come il sole
dall‟acqua. Paria la sua immagine, paria un suo gemello. Il picciotto si avvicinò a
Narciso e ci desi na mano. Narciso lassau fari. Anzi ricambiò. Era cummintu di fari lu
mina mina con se stesso. Per una magia si era materializzato un secondo se stesso.
Ma era un altro. E nell‟acqua le minkie adesso erano quattro. Due ciolle reali e due
ciolle virtuali. Una bella illusione ottica. Ma la minata reciproca era diventata realtà.
<< Narciso, io ti amo>> disse vinennu.
<< Adone. Mi chiamo Adone. E ti amo anch‟io>>.
Accussì iniziò la storia omo tra i due. E avevano deciso anche di sposarsi al più
presto, grazie ai Pacs. Patti d‟Amore Cazzo e Stikkio e non solo. Corteggiavano
sempre li fimmini ma poi si futteunu a vicenda. Dopo aver però discusso a lungo sul
tema “io prima la ficco a tia o tu prima la ficchi a mia”. E siccome non arrivavano
mai alla soluzione iniziavano a lottare. Era una lotta amorosa, ideologica, morale,
intellettuale , erotica, sentimentale e soprattutto fisica. Perchè prima o poi uno dei due
riusciva a mettere l‟altro sotto e a piazzargliela nel kulo. Era tutto un guizzare di
muscoli, un strofinio di corpi, un darsi baci, muzzicuna e alliccati. Ma anche un darsi
manate e carezze. Era una corpomachia, una manimachia, ma soprattutto un
bikazzomachia. Una sorta di “Jus primae inkulatorum”. Perché poi,
democraticamente, toccava all‟altro ricambiare il favore e l‟onore. Purtroppo in
contemporanea non potevano farlo. Era possibile il simultaneo coitus manualis e la
fellatio ma l‟analis no. Neanche ricorrendo a tutte le tecniche acrobatiche di questo
mondo. Almeno a quelle conosciute allora. Bisognava procedere uno alla volta.
Pertanto doveva sempre esserci uno dei due che doveva essere inchiappettato per
primo. Neanche nel Munypuzosutra ci stava una pratica democratica per quella forma
di sessualità.
--Nello stesso laghetto veniva, dopo ogni avventura amorosa, Pryapo. Veniva a farsi un
bel bagno nelle chiare, freschi e dolci acque, ma soprattutto a lavarsi il rosso palo
sempre tiso. Ma non aveva mai incontrato Narciso e Adone. Per i casi del caso. Li
conosceva soltanto di vista. Se quelli erano i due finocchi belli, lui era il dio kazzuto
e lariu. Ma una mattina , dopo aver fatto una bella nuotata sott‟acqua, appena sciu si
attruvò i due che amoreggiavano. Si vasavano e si tenevano in mano l‟uno il coso
dell‟altro. Taliò con interesse lo spettacolo. Una bedda bimentulamachia manuale.
Taliò pertanto con curiosità. Curiosità di testa , di ciolla e finanche di kulo. I due belli
erano tanto presi dal loro gioco amoroso che non notarono l‟uomo kazzuto che li
osservava. Pryapo non aveva mai avuto esperienze omo. O meglio, l‟aveva messo in
kulo ai ladri ma solo per dovere istituzionale. Solo dovere e basta. Pratica d‟ufficio.
Lui purtroppo aveva il compito d‟inkulare i ladri per punizione. E lui lo faceva per
bene il suo lavoro. Senza provare piacere. Quindi con inaudita violenza gli spaccava
il kulo, li faceva tutti dei kuliaperti. In tanti comunque l‟avevano stuzzicato a causa
del suo bel culetto, che era tale e quale quello di mamma Aphrodyte. Lui delle volte
era stato al gioco. Tanto per giocare, per stuzzicare. Non certo per concludere. Se
passava la minkia ai ladri per dovere non aveva mai passato la stessa per piacere a dei
maschi, e men che meno se l‟era fatta passare. Era etero al mille per mille, al milione
per milione, al miliardo per miliardo. A parte i kuli rotti per dovere d‟ufficio. Ma non
sempre i kuli che skassava per lavoro erano di maschi. In netta minoranza, ma
c‟erano anche le ladre femmine. A volte stava al gioco.
<< Prima mi dai il tuo di culetto che poi io ti do il mio>> provocava Pryapo.
<< Sì>> rispondevano quelli. A questo punto lui tirava fuori la consistente sorpresa.
E i maskuli, vedendo quello che c‟era davanti, si spaventavano e fuggivano. Una
cosa era andare in kulo a Pryapo, ma se Pryapo voleva andare in kulo a loro erano
kazzi amari. Se per caso accettavano era Pryapo che si tirava indietro. Lui era etero.
Rispettava tutti ma personalmente era etero. Almeno fino a prova contraria. Anche se
ogni tanto ci vinia il pititto di una avventura omo. Non da amante ad amato. O
viceversa. Ma da amante ad amante. Pari diritti e pari dignità. A Munypuzos d‟altra
parte vigevano legalmente tutte le unioni. Bastava registrarsi e tutti potevano formare
una coppia. Pacs, si chiamavano questi legami. Senza benedizione di Zeus o di
qualche altro suo collega, in tanti si mettevano insieme e si registravano come
famiglia. Non era importante il sesso, l‟importante era essere in due e avere un
legame. Narciso e Adone per esempio lo stavano per fare. Stavano per mettere su
famiglia. E Pryapo era favorevole a tutte le unioni possibili e immaginabili. Anche se
lui era etero tutti dovevano vivere liberamente la loro sessualità. D‟altra parte
l‟Olympazzo era un futti futti generale. Ma attualmente a lui il sesso omo non
interessava, a parte le pratiche d‟ufficio.
<< Però, mai dire mai>> disse a se stesso. E infatti tinia un poco di pititto di quel tipo
da tempo. Voleva sicuramente un uomo come femmina ma forse voleva anche essere
la femmina di un uomo. Quello spettacolo comunque lo intrigava.
Attualmente invece lui inkulava per dovere solo i ladri. Li stuprava e basta. Veniva
nei loro kuli ma non provava piacere. Poteva anche finire in bocca ai ladri ma non
provava neanche in questo caso piacere. Solo e sempre stupro. Inkulare un ladro o
tappargli la bocca era solo una pratica d‟ufficio. Lavoro e basta.
<<Mai dire mai, ma per adesso dico no. O forse dico solo forse. Quannu capita
capita. Perché la ciolla vorrebbe e a quanto pare pure il mio kulo vorrebbe e in
bocca ho una acquolina che pare sia solo il frutto del pititto di sukare>> pinsava
democraticamente taliando quei due.
Belli e senza un pilo erano i due amanti. Mentre lui di pila era pieno. Eppure suo
padre ne aveva pochissimi di riccioli sul pene e sua madre addirittura era pakkio
spilato di madre natura. Lui invece era una quasi scimmia , a parte il kulo. Ci vinni
pititto in quel momento di vivere una storia omo per passione e non dovere. E ci vinni
anche il desiderio di scipparisi li pila. Di spilarsi tutto. Ci vinni il pititto di fare presto
l‟una e l‟autra cosa. Di avere un corpo spilato e un kulo sfunnato e di saper fare dei
bei pompini. Tutto voleva spilarsi. Anche i riccioloni che decoravano l‟aciddazzu
voleva scipparsi. Intanto quello spettacolo lo stava eccitando e turbando.
<<Come sunu belli. Come si la minano bene>> pinsava il dio minandosela.
Senza dire niente , se la stava minando pure lui. Poi puntò l‟arma contro quei giovani
in amore e si concentrò al punto tale che in quattro e quattrotto vinni. La sua simenta
arrivò addossò ai picciotti. Che si scantanu vedendo Pryapo. Poi videro l‟arma di
carne e si scantanu chiù assai.
<< Se chissu ni pigghia ci la fikka in kulu e ci la fa sciri da la ucca >> disse Adone
spaventato assai assaissimo ma desideroso di sperimentare.
<< E se ci la duna a sukari ci fa cripari soffocati>> rispose Narciso scantato tutto
sano sano ma inconsciamente desideroso.
<< Scappiamo>>.
<< Scappiamo>>.
E fecero per scappare. Nudi e con l‟aceddi tisi. Pryapo visti due culetti che lo
mandarono in visibilio. Come scappavano quei culetti. Quattro natiche quattro che
fuggivano. Che spettacolo quella coppia di kuli.
<< Non abbiate paura. Adone e Narciso belli. Voi a me siete cari assai, soprattutto
Adone. Caro a mia come caro è a mia madre Aphrodyte, detta anche Kunnuspilatu.
Cari, non scappate>>.
<< Minkia, ni canusci>>. E si bloccarono di botto. L‟aceddi già sgonfi per lo
scantazzo.
<< Sono il dio Pryapo. Il figlio di Aphrodyte, quella che pazzia assai assaissimo per
tia, Adone bello. E dovete sapere che non ho intenzione di farvi del male. Avreste
dovuto arriconoscermi dall‟aceddu, solo il mio in tutto l‟orbe è accussì grande>>.
<< Ver‟è. Voscenzasabbinirica. E vasamu li manu e li peri>> dissero i ragazzi .
<< No, non datemi del voi. Datemi del tu>> propose Pryapo.
<< Certo, toscenzasabbinirica.. e vas…..>>.
<< Niente formulette giakulatorie e minkiate varie, niente vasamu li manu e li peri. E
nient‟altro naturalmente>> .
<< Chi diu democratico>> dissero i ragazzi.
Poi tornarono indietro e raggiunsero il dio. Parranu assai. Addivintanu amici.
<< Io, Pryapo, garantirò a vita la consistenza del vostro aceddu per il vostro piacere
personale. Per Zeus e i suoi zeussoni >>.
<< Grazie. Per Pryapo e i sui pryaponi>>.
<< E allora io dico: per Adone e i suoi adononi e per Narciso e i suoi narcisoni>>.
<< Adonini. Al massimo adonini i miei koglioncini>> disse Adone.
<< Narcisini. Al massimo narcisini i miei testicolini>> disse Narciso.
Risero. Adone e Narciso si talianu in faccia e sparanu la dumanna.
<< Pryapo, ti lu putemu tuccari?>>. Il dio dal rosso palo li taliò un attimo e decise di
dare via libera alla sua componente omo. Di dare via al libera al suo omoerotismo.
Ma solo alla parte attiva.
<< Sì, fate pure. Se volete, minatimilla pure. E se siti assetati, abbeveratevi. Mai
rifiutare da bere agli assetati>>. Adone e Narciso ci la minanu e poi si bivenu nu
tanticchia di latti di brigghiu. Quel giorno nasciu una bella amicizia basata sul fallo.
<< Semu li tri minciazzi>> disse Pryapo.
<< Facemu una minciazza e due minkiette>> risposero i ragazzi.
<< No, quello che conta è la media>> rispose Pryapo.
Risero tutti. A Pryapo però per la prima volta ci pruriu lu kulu assai assaissimo.
Ci mangiau lu kulu. Ci vinni pitittu di farisi al più presto insasizzare. Il dio dal rosso
palo li taliò un attimo e decise di dare via libera alla sua componente omo. Di dare
via al libera al suo omoerotismo. Sia alla parte attiva che a quella passiva.
<<Sono bellissimi. Potrei provare a farmi inchiappettare da loro. Mai dire mai.
Adesso potrei dire sì. La bellezza va gratifikata>> pinsò nella sua testa divina.
<< Scusate, picciotti, posso chiedervi un cosa ?>> chiese poi Pryapo.
<< Minkia, lu kulu voli>> si chiesero i ragazzi.
<< Chi voi, amicu beddu di kulu e d‟aceddu?>> dissero.
<< Sapete, io che passo per pornofilo ed erotomane, io non l‟ho mai pigliata in
kulo>>. E si bloccò. E cangiò idea. Un improvviso retromarcia.
<<La voli in kulo da noi?>>pinsanu li carusi.
<< Volete farmi vedere come fate?>> chiese infine.
<<Ahhhh… non poteva essere ca un dio vulia in nostro aceddu>> si dissero
mentalmente.
Adone e Narciso si talianu in faccia. Si fecero un dialogo muto ma esaustivo.
<< Sì>> risposero. E si esibirono dopo la solita querelle. Uno spettacolo dal vivo per
Pryapo, solo per lui.
<< Io prima a tia o tu prima a mia>> si dissero come al solito.
Pryapo taliò incuriosito ed estasiato. La discussione erotica, il maneggio del manico,
la lotta per vedere chi finia sotto l‟altro .
<<Bello spettacolo. Violento al punto giusto. Mi piace. Erotico, appassionante,
travolgente, appitittante, infiammante, eccitante>> pensò Pryapo. E decise di dare via
libera al suo omoerotismo tout court. Poi disse: << Picciotti, mi volete dare questa
grande soddisfazione a mia? A mia che l‟ho sempre data alle femmine, mi la volete
dare voi questa grande soddisfazione?>>. Adone e Narciso si talianu in facci.
<< Grande non proprio. Se proprio vuoi ti possiamo dare una piccola soddisfazione.
Tranne che poi tu non ci vuoi dare chidda granni a noi>>.
<< No, no. Tranne che non lo desideriate. Io comunque desidero voi>>.
Adone e Narciso si talianu. Lo desideravano ma si scantavano.
<< Lu vulemu, ma tutto no. Non per qualche cosa, solo che lo spazio non c‟è>>
precisò Adone.
<< Tutto sarebbe impossibile>> aggiunse Narciso.
<< Ricordatevi la saggezza popolare: la casa capi quanto vuole il padrone>> disse
Pryapo.
<< Fino a un certo punto, se la casa è nica, è nica. Facciamo sulu la punta>> dissero i
ragazzi.
<< Sulu la punta, d‟accordo. Come dire, n‟assaggio. Ma dopo di voi>>.
<< D‟accordo>> dissero in coro.
Adone prima e Narciso poi trasenu in quel kulo. Dopo la solita litigata. Gudienu assai
pinsannu a chiddu ca li aspettava. A Pryapo ci parse appena un solletichio. E
rimpianse quella volta che aveva detto “ No” a lu sceccu. Comunque decise che il
sesso è sesso e basta. Etero o omo, mono, bi e pluri, sono solo distinzioni
morfologiche stupide e bigotte. Poi fu Pryapo che ricambiò il favore a Narciso prima
e ad Adone poi. Solo la punta.
Ma quelli dicevano :<< Ancora.. ancora … tutto.. magari n‟autro pizzitto>>.
<< No.. solo la punta .. altrimenti facciamo danno.. e poi i patti sono patti>>.
<< Tutto.. tutto.. tutto..>> gridavano quelli.
<< Non è possibile, giuro. Avendo una ciolla come la mia è un problema iri in kulu e
a volte anche in kunnu. Sono poche le femmine che possono permettersi sta cosa sana
sana. Solo le femmine femmine possono permetterselo, perché il piacere ci allarga la
domus mentula all‟inverosimile>>.
<< Beate loro, ca si pussierunu sta cusazza sana sana>> dissero i ragazzi.
Alla fine, assittato in mezzo ai due picciotti, intanto che Adone e Narciso si taliavano
negli occhi ma con le mani gli tenevano l‟aceddazzu, Pryapo , che a sua volta teneva
in mano gli acidduzzi dei carusi, cantò com‟era solito fare. Ma intanto ci vinni una
bella idea.
<< Ottimi giovani, con gioia accetto il vostro amore.
Nei vostri cari sederi scoprirò la mia felicità.
Ma ahimè, se dolore crudele seguirà il nostro amore,
lo compensi la gioia di scopare.
Giovinetti, pensateci bene.
Nulla mi è più prezioso e caro del vostro kulo e della vostra mano.
Colmo di puro fuoco d‟amore vi do in pegno il mio fallo e il mio cuore>>. Alla
fine della cantata palesò la pinsata che aveva partorito.
<< Sentite, beddi carusi, ma pirchì nun facemu nu esperimento? >> chiese Pryapo.
<< Subito, a disposizione. Illuminaci>> dissero all‟unisono i due ragazzi che oramai
avevano perso lu scantu e si aspettavano solo piaceri infiniti.
<< Mittitimilla in kulo contemporaneamente>>.
<< Subito, ma illustraci la posizione>>.
Pryapo li fici mettiri distesi per terra, peri contro peri. Poi li fici scivolare l‟uno
contro l‟altro. Le gambe alla fine formavano la lettera X. Le palle dell‟uno toccavano
quelle dell‟altro e le ciolle tise pareunu due colonne accostate. Pryapo ci si assittò di
sopra e si li sukau col kulo. Con difficoltà all‟inizio, per il coordino dei movimenti,
Adone e Narciso poi pigliano il ritmo e gudenu alla sanfasò.
<< Minkia chi è bellu, iri na lu stissu kulu in compagnia del tuo uccello>> disse
Adone.
Pryapo da parte sua decise che il sesso andava vissuto in tutte le direzioni possibili.
<< Senti Pryapo beddu >> chiese Narciso<< Ma nun ci sta un modo tale che io e
Adone ci la putemu mettiri in kulo reciprocamente ma anche contemporaneamente?
Sai, dobbiamo sempre litigare amorevolmente per stabilire chi incomincia. A noi
farebbe piacere sunariccilla reciprocamente in kulo. Reciprocamente sì, ma
contemporaneamente però>>.
<< Ver‟è, ci piacissi assai>> rispose Adone. Pryapo ci pinsò un attimo.
<< Siti sicchi, magri, in forma, giovani, con capacità contorsionistiche ottime. E
soprattutto aviti una ciolla bella lunga. Ci sta una soluzione>>.
<< Insigniccilla. Insigniccilla>> chiesero all‟unisono.
<< Subito, immediatamente e con piacere sommo>>.
<< Mittitivi assittati kulu per terra, uno di fronte all‟altro. Poi avvicinatevi l‟uno
all‟altro incrociando le gambe. Ecco. Accussì. Adone, la tua coscia destra supra a
chidda di Narciso. Tu, Narciso, fai la stessa cosa con l‟altra coscia. Ecco, adesso siete
biddicu contro biddicu, le vostre ciolle si toccano, i vostri cappicia pure, le labbra si
sfiorano. Ecco. Adesso intrecciate le ciolle, incrociatele, sono ancora mezzo mosce. E
al momento devono restare mezze mosce. Cercate di autocontrollarvi, di non
eccitarvi. E adesso puntate ciascuno la koppola della minkia contro il buco del kulo
dell‟altro. Ecco, così. Sentite adesso la koppola della minkia dell‟altro contro il vostro
buco del kulo. Non agitatevi. Non eccitatevi eccessivamente. Adesso fate del vostro
kulo un pompa aspirante. Sukatevi col kulo la koppola dell‟aceddu. Ecco, così.
Sentite che trasi. E adesso andate avanti>>.
Adone e Narciso eseguirono gli ordini con deontologia professionale, tutto come
ordinato. Era bella la sensazione di quelle due minkia incrociate. Ma il bello è che
riuscivano ad autocontrollarsi. A non eccitarsi troppo, come ordinava Pryapo. La
sensazione chiù bella era stata quella della koppola che puntava al kulo dell‟amico
mentre quella dell‟amico puntava al proprio.
<< Ecco, adesso iniziate a muovervi a poco a poco, con calma. E la ciolla attiserà
quanto basta, quanto basta per non fare danni ma anche quanto basa per fikkarsela
sempre più reciprocamente in kulo>>.
Adone e Narciso eseguirono gli ordini e accussì si ficiru la prima inkulata simultanea.
<< Grazie Pryapo, come ti possiamo ringraziare?>>.
<< Accompagnandomi da una brava o bravo spilatore, quanto mi spilo tutto. Sono
stanco di essere piluso come una scimmia pilusa>> chiese Pryapo. Adone e Narciso
risero. Loro erano glabri. Si spilavano pure l‟aceddu . E lo facevano fare alla sorella
gimella di Narciso, ca di nome facia Narcisa e di mestiere la spilatrice.
<< Pryapo, ti metto nelle mani di mia sorella gimella. Ci vorrà tempo ma ti spilerà
tutto. Senza dolore ma con piacere>>.
<< E come spila? A macchina o a mano? >>chiese il dio ridendo.
<< Accussì>> disse Adone tirannici l‟aceddu e ridendo alla sanfasò.
<< Accussì>> disse Narciso scippannici di botto un pilo dalla minkia e ridendo anche
lui alla sanfasò.
<< Ahhhhhhhi.. vi scippu l‟aceddu a tutti e due e mi lu mangiu>> disse il dio ridendo
ancora chiù assai e sempre alla sanfasò.
Adone e Narciso scappanu. Lui li inseguì. Iucanu assai in quelle chiare e fresche e
dolci acque. Iucanu di manu, bocca e kulo. Protagonisti soprattutto li tri aceddi.
Pryapo, grazie ad Adone e Narciso, scoprì ufficialmente l‟amore omo. Quella volta
fu la sua prima “presa in kulo”. La sua verginità kulare fu presa da quei due giovani
bellissimi. Ed uno era minkia partaimmi cu la mamma. Anche se madre e figlio ne
facevano un uso diverso. Pryapo l‟aveva avuta, mamma Aphrodyte no .
<< Adone , fammi un piacere>> chiese Pryapo << Il mio kulo è tale e quale quello di
mia mamma. Allora promettimi una cosa; daccillu almeno in kulo a mia mamma>>.
<< Promesso>> rispose Adone.
<< Grazie, a nome di mia mamma>> rispose Pryapo contento.
Poi si fumanu minkiuna su minkiuna e ancora minkiuna. Ma iucanu magari cu li loro
tri ciolle, li loro tri kula, li loro tri bocche e naturalmente li loro sei mani.
--A taliare tutti le storie di pilu ci stava sempre lui. Bimentulamachie, bikunnomachie,
kunnomentulamachie, polikunnomentulamachie. Lui osservava tutto. Anche quannu
erano in tri o più, lui taliava tutto. Dall‟assolo all‟orgia. Perché lui era la causa di
tutto. Eros era il suo nome. Ed era fratasciu di Pryapo. Eros, il figlio di Aphrodyte e
di Ares, appena sciutu dal pakkio materno si misi a volare casa casa. Perchè lu
picciriddu era dotato di ali. Abbulava per andare a sukarisi il latte dalle belle minne
della mamma. Volava per giocare, volava per passione e piacere. Ma era anche un
pericolo, quannu vulannu vulannu, ci scappava di pisciare o kakari, perché la lassava
cadere unni capitava capitava. Con la ciolletta divina o col culetto bellu, lu iarruseddu
paria pigghiari la direzione giusta. Perché ogni volta che si liberava del liquido o del
solido beccava qualcuno. E aveva anche delle preferenze. A Zeus, per esempio, ci
piacia colpirlo sul naso, alla mamma sul culetto, a Pryapo sulla ciolla. Neonato ma
già teneva un bel vizio. Oltre a quello di beccare con la cacca o la pipì qualcuno
dell‟Olympazzo, al picciriddu ci piacia taliari la gente impegnata nell‟ars amandi. Ci
piacia assai assaissimo. Poi un giorno attruvau un arco e delle frecce. Le frecce non
avevano la solita punta. La punta era o una minciaredda o nu sticciareddu. Ed erano
d‟oro o di piombo. Eros ne tirò qualcuna a caso. E capì che quelle frecce potevano
far scoppiare l‟amore di una persona verso n‟autra. Ma anche farlo finire. E non
aveva importanza il sesso. Se colpiva un mascolo con una fallofreccia quello si
innamorava di n‟autru mascolo. Se colpiva una femmina con una kunnofreccia quella
si innamorava di una femmina. Non era amore amore quello che scoppiava. Era
amore passione, amore fuoco, amore carnale divorante, incendiante, consumante, ma
dava l‟estasi, il paradiso. Naturalmente Eros colpiva generalmente i mascoli con una
kunnofreccia e le femmine con una fallofreccia, ma ogni tanto facia confusione.
Oppure si sbagliava. Oppure lo faceva apposta. A volte addirittura colpiva le persone
sbagliate, ma orami il danno era fatto. E quel che doveva accadere accadeva. Aveva
sbagliato con Eco e Narciso e con tanti altri. E continuava a sbagliare. Crescendo
continuò a fare quel lavoro. Bello e sempre nudo, a parte la koppola , l‟arco e la
faretra sempre piena di frecce, si passava il tempo a frecciare. E unni acchiappava
acchiappava. Poi si godeva lo spettacolo. Un giorno la mamma lo pregò di punire una
puttanella che s‟era montata la testa. Tanto che si sentiva chiù bella di Aphrodyte.
<< Eros mio, falla innamorare di l‟omino chiù brutto di lu munnu>>.
Eros, pi accontentare mammina e farici pure uno scherzo, pinsò al suo caro
fratellastro Pryapo.
<<Brutto sì, ma la megghiu ciolla di lu munnu pi chidda ca si considera lu chiù beddu
kunnu>>. E partì pi realizzare l‟impresa.
La ragazza tutti li iorna, a mezzodì, si facia lu bagnu nel lago di Munypuzos. Poi
tornava a casa. Era la figlia piccola di un nobile di Purceddopolys, il paese che
fronteggiava Munypuzos. Eros arrivò che la picciotta si stava spogliando. Preparò
l‟arco con la freccia e si posizionò per frecciare. Ma poi addecise di godersi lo
spettacolo. Era bona assai veramente la picciotta. Avia un kulo che per
circumnavigarlo ci vulia arte ed esperienza. E due minne che per scalarle ci vulia
l‟esperienza di la gente di montagna. Taliò con gioia e piacere. E con gioia e piacere
taliò il suo aceddu. << Dopo la freccio>> disse.
<< Dopo, dopo. Invece adesso dammi una mano>> gli suggerì l‟aceddu.
E tutto preso dallo spogliarello attacco a minarisilla. Solo che per sbaglio, preso
com‟era dalla foga minatoria, desi na pedata all‟arco con la freccia. L‟arco
naturalmente lassau partire la freccia che aveva pronta. Accussì Eros si acchiappò in
pieno il piede sinistro. E fu preso da amore improvviso per la picciotta . L‟amore si
manifesto nella sede adeguata. Era nudo e non sapeva come cummigghiarisi. Si la
riminò ma lo strumento restò tiso. Alla fine pigliò la faretra e si la piazzò sulla
sciabola di carne.
<< Minkia chi danno! E adesso cu ci lu dici alla mammina? >>.
Senza dire niente alla mamma sull‟errore commesso si astrummintau su come
consumare l‟unione. Pinsau di fare tutto al buio. Psifika, questo il nome della ragazza,
accettò le condizioni di quell‟uomo che nel buio della notte la mandava in estasi con
le sole parole.
<<Se mi fa quest‟effetto con le parole cosa mai mi farà con la minkia?>> si
addomandava Psifika. I due scoparono alla grande per parecchio tempo. Purtroppo,
parenti serpenti, le sorelle zitelle incominciarono, per pura e semplice gelosia, a
tormentarla con dubbi sempre più grossi.
<< Sarà lariu, sarà un mostro, sarà nu vecchio, sarà deforme, sarà accussì, sarà
accuddì>>.
Alla fine la convinsero a fare na minkiata rossa. Di notte, quando lui si addormentava
spossato dalla troppa fika di Psifika, lei doveva accendere il lume e taliallu. Tanto per
accertarsi di come stavano le cose. Psifika fece come concordato. E vide il picciotto
chiù bello che i suoi occhi nobili avessero mai visto. Dormiva a pancia in giù ma con
la faccia girata verso di lei. Era bello di facci e pure di kulo. Vidi pure l‟arco e la
faretra e capì chi era l‟uomo misterioso. Si lu taliò tutta la notte, sperando che si
girasse pi taliari anche l‟altra freccia, quella che le dava tanto piacere. Ma il picciotto
non si firriava. Allora ci si misi accanto e ancuminciau a tuccallu piano pianissimo.
Spirannu ca si firriassi. A un certo punto Eros si firriò. E nel vedere la freccia di carne
dell‟amore tisa e splendente ittau na uci e fici cariri nu tanticchia di olio caldo
proprio sulla ciolla. O meglio, sulla striscia di carne che circonda la koppola della
ciolla: il prepuzio.
Eros si svegliò gridando:<< Ahhhh.. la koppola della minkia mia si ustionò>>.
Capendo di essere stato scoperto nella sua vera identità, acchiappò la koppola, la
faretra e l‟arco, e fuggì. Con la cima della minkia che gli faceva male.
<< M‟arruvinau la buttanazza curiosa. Pi curpa di li so soru, li buttanazzi. Zitelli sunu
e zitelli devono restare. Anzi, adesso li faccio morire di pititto>>.
Siccome il dolore gli era passato iu a casa delle mancate cognate.
<<Organizziamo la minnitta. Mi arruvinarunu la minkia, gli arruvinerò la vita>>
pinsò. Nudo, ma con la faretra davanti alla ciolla pendente, si presentò alle donne.
<< Mi volete ?>> disse << Sono vostro cognato>>.
<< Sì>> riposero quelle.
<< Volete a mia o a lei? >>chiese Eros liberando la ciolla che penzolava come nu
battagghiu di campana.
<< A lei, a lei, ch‟è proprio bedda. Basta che ci fai le stesse cose che fai a nostra
sorella>>.
<< A disposizione, ma dovete sapere che con i vostri consigli mi l‟avete rovinata.
Una stizza di olio bollente cadde proprio sulla punta e mi la abbruciò>>.
<< Mischina la ciolla, ma funziona ancora?>> chiesero le donne.
<< Non lo so>> rispose ironico Eros.
<< Vediamo, facciamo la prova>> domandarono le sorelle.
Eros si distese e le donne attaccanu a tuccaricilla. La minkia vunciau in un amen. La
koppola si scoppolò. Ma nel prepuzio ci stava la bruciatura.
<< Era bella la minkia mia, senza macchia alcuna. E adesso è laria e brutta. È na
cosa tinta e fitusa>>.
<< Sempre bella è. Bellissima è. La macchia è na cosa nicaredda. L‟importante è ca
questa minkia sappia fare il lavoro di minkia. Ma tu daccilla allo steso modo in cui la
dai a nostra sorella>>.
<< A chi la devo dare prima? A Kunnetta o a Fiketta ?>>.
<< A mia>> disse Kunnetta.
<< A mia >> disse Fiketta.
<< Sentite, belle mie, la ciolla è una e li stikkiaredda sunu dui. Facciamo un gioco: io
scappo e voi mi inseguite. La prima che mi acchiappa mi farà suo. Poi toccherà
all‟altra>>.
<< Va bene, ma almeno faccilla tastari, per sapere comu sapi>> risposero le donne.
<< Va bene, alliccate pure ma insieme>>.
Le ragazze alliccanu.. la cosa ci sappi tanto bella ca ci scienu li siensi per il troppo
piacere. Eros osò di più. Vinni in faccia a quelle, che si alliccanu la simenta. L‟effetto
fu pari a certe sostanze allucinogene. Volevano la ciolla ad ogni costo e ci la staunu
scippannu. Eros scappò e loro l‟inseguirono. Scappò verso l‟Etna, salì sul cratere e
si distese sul bordo. E attese l‟arrivo della prima con tanto di ciolla tisa.
<< Ti pigghiai finalmente, adesso fammi tua..>> disse Kunnetta.
E si lanciò verso la preda. Invece perse l‟equilibrio e cariu dintra l‟Etna. La stessa
cosa successe a Fiketta. Dopo, intanto che c‟era, fici una visita a Efesto, il marito di
sua madre, che con l‟aiuto dei ciclopi, travagghiava dintra l‟Etna.
<< Zietto, chi dicunu li corna?>> chiese vedendo Efesto.
<< Mi prurunu chiù assai di l‟aceddu. Ma dimmi? Perché hai sacrifikato li du
stikkiaredda sani di Kunnetta e Fiketta? Me li potevi portare vive, accussì li
inciollavo un po‟. Ca adesso è assai assai che non ficco>>.
Eros gli raccontò l‟accaduto. Efesto rise. Era lariu, tuttu arrustutu pi lu troppu cauru,
sudato come nu cani e la ciolla, laria puru idda, paria nu tizzuni ardente. Se futtia cu
qualcuno ci ustionava il pakkio, come minimo.
<< Minkia. La koppola della minkia ti abbrucianu. Fammi talari>> chiese Efesto.
Eros ci la fici abbidiri. << Nenti è, minkiati>>.
<< Sulu ca è antiestetica. Io ci tengo alla bellezza mia in tutti i punti del mio corpo,
pertanto anche sulla punta dell‟aceddu>>.
<< Se quella macchietta proprio non ti piaci, vai da Asclepio. Iddu attroverà una
soluzione>>.
<< Grazie per il consiglio. Ciao>>.
<<Ciao. E se vedi quella buttanazza di mia moglie, o se preferisci, quella buttanazza
di tua madre, salutimilla. Quanto prima la verrò a trovare pi purtarici na minkia bella
calda. E si la dovrà sukari. Voli o nun voli, è quella del marito. Lariu , bruttu e
sciancato ma suo marito>>.
<< Ti la saluterò, ma stai sicuro che quella fikka a minkia cina. Non sente la
mancanza della tua minkia arrosto>>.
<< Che vuoi? Aphrodyte è buttana di natura>>.
<< E tu, curnutu di natura>>.
<< E tu, testa di minkia pi scelta>> rispose Efesto.
<< Pi scelta però>>.
--Eros iu a circari Asclepio, il figlio di Apollo. E ci contò la faccenda.
<< Videmu>> chiese il dottore. Taliata la cosa sparò la sentenza.
<< Niente è. Minkiatedda di minkia>>.
<< E antiestetica però>>.
<< Bihhhh.. Chi si smurfiusu e iarrusu. Chiù vanitusu di certi fimmini ca si spilunu
puru lu pakkiu pi farisillu comu a chiddu di Aphrodyte. L‟importante, Eros beddu, è
che funzioni l‟aceddu>>.
<< Funziona, certo che funziona, ma è antiestetico. Lu capisci o no? O sei chiù testa
dura della minkia di Pryapo>>.
<< Pensa a quanti mascoli la vulissiru tutta macchie e altro, purché funzionante>>.
<< Io la voglio bella com‟era. Funzionante ma bella>>.
<< Fammi pensare. Ci sta la soluzione. Adesso io invento la fimosi e l‟operazione pi
curalla. Si chiamerà circoncisione. So che l‟adotteranno pure altri popoli: gli egizi per
esempio, e pure gli ebrei. Anzi, quelli, furbastri come sono, ne faranno la sede del
patto tra il loro dio e il popolo. Allora, caro Eros beddu dalla minkia macchiata,
basterà levare la striscetta di carne, tagliare il rivestimento, lu cosiddetto prepuzio, e
tutto sarà risolto. La tua minkia sarà più bella di prima. E a dire il vero la koppola si
scoppolerà meglio. Diciamo che complessivamente tutto l‟insieme sarà assai
assaissimo meglio meglissimo di prima>>.
<< Faciemula subito>> rispose Eros.
Asclepio lo accontentò. Ed Eros si portò pure il pezzettino di pelle come ricordo.
<< Che ci devi fare?>>.
<< Lo metterò nel mio tempio. Sarà la protoreliquia dell‟Erotismo, la mia religione
personale. Il santo santissimo prepuzio di Eros. E farà concorrenza al Sangue e al
Lenzuolino di Pryapo>>.
<< Chiamalo Lenzuolino. Sette Pryapometri per due>>.
<< Le reliquie sono la materializzazione della divinità>> puntualizzò Eros.
<< Altri comunque faranno le stesse cose, avranno le stesse pensate: prepuzi,
lenzulini e lenzuoloni, ampolle , ampolline e ampolloni. E tutto quello che è possibile
e impossibile. Fai, comunque. Il popolo ama le reliquie. Il popolo ama le trovate
impossibili. Il popolo ama i miracoli>>.
Intanto Psifika lu cercava come na ugghia persa. Soffrì come una cagna in calore.
Pinsava e ripensava alla ciolla persa, pinsava e ripensava al mascolo perso, ma poi il
pinsero tornava alla ciolla e si sentiva vuota. Vuoto lu ciriveddu, vuote le mani, la
bocca e soprattutto la vanedda. Ah, come gli mancava la ciolla di Eros. Ma alla fine
lo riebbe. Il matrimonio fu celebrato nell‟Olympazzo e dalle loro gloriose fottute
nasciu la bella Voluttà. Sulu che a forza di fikkari e rifikkari ad Eros, sempre
bellissimo, ci si indebolì la vista. Risultato: facia chiù confusione di prima, sparava
frecci a casaccio e unni minkia colpiva colpiva. Era sempre beddu, la sua minkia era
bellissima ed efficiente, ma la vista ci calau assai assaissimo. L‟ultima minkiata
l‟avia cumminata di recente. Quattro frecce avevano colpito contemporaneamente
Anfistronzone, Alcmhona, Zeus e Pryapo.
<<Minkia chi casinu ca cumminai. Nu bellu burdellu>> disse Eros a se stesso.
<<Ma tanto l‟amore è solo e sempre incasinamento totale. Burdellu a iosa, alla
sanfasò e finanche a tinchitè>> concluse autoassolvendosi.
--Nel tempio di Eros, a Munypuzos, in tanti onoravano la reliquia del dio. Portava
bene a chi voleva aver successo nel campo dell‟eros. Stava messa dentro una teca
d‟oro che i fedeli accarezzavano. Poi passavano dall‟oracolo e ascoltavano la
sentenza. L‟oracolo stava dintra un posto misterioso immerso nei fumi di
minkiajuana che inalava alla grande. E tutti i fedeli alimentavano questo fumo
buttando dosi consistenti di minkiajuana in un apposito inceneritore. Il fumo veniva
convogliato nell‟abitacolo dell‟oracolo. Che così profetizzava a iosa. Solo che in
onore di Eros la minkiajuana si chiamava minkiaerosiana.
<< Solo divinazioni d‟amore e consimili, Ma soprattutto di sesso. Ma se capita,
anche altro, tanto una connessione col pilo la troviamo sempre. Facciamo come fanno
i ragazzi in vista dell‟esame: presentano un percorso a minkia, è passano dallo
Zeussismo al famoso principio di “dio è morto“. Tutto è collegabile. Ci sta sempre un
collegamento. Pertanto, gira e rigira, tutto è riconducibile al pilo. Il pilo generò lu
munnu e da allora ciolla e kunnu lu mannunu avanti. Tuttu sciu dì là e là finì, finisce
e finirà. Sempri gira e firria lu kunnu sulla minkia e così sia. La ciolla invece trasi e
nesci e pi la gioia nenti capisci>> diceva l‟oracolo.
--Tra i visitatori ci fu Alcmhona. Che sperava nel rientro del marito al più presto.
Perché il pititto la stava divorando. Buttò nell‟inceneritore parecchie dosi di erba
sicca.
<< Reliquia assai santa, amata e biniritta,
fa tornare a mio marito cu la cosa già additta.
Fallo tornare presto assai veramente,
ca la mia cosa addesidera, ma inutilmente.
Sto uscendo pazza, ma veramente pazza.
E la notti sogno sulu na certa minkiazza>>.
<< Non una ma trina sarà pi tia la ciolla divina>> profetizzò l‟oracolo.
Alcmhona non ci capì una minkia frisca. Il marito aveva una ciolla e non tre. Forse le
avrebbe portato due Sosia. Oppure ci l‟avrebbe passata tre volte ogni volta.
<< Chi vivrà vedrà.. però c‟è un però.. quando la minkia maritale ritornerà?>> pinsò
la bella moglie verginella. E appena fuori, per calmarsi il firticchio, si sukò nu
minkiuni di minkiajuana ca paria la megaminkia di Pryapo. Solo ca idda la chiamava
“erba scordaminkia”. Dopo aver fumato si addormentava profondamente e non
pinsava chiù alla minkia del marito. Neanche alla minkia tout court pinsava.
---
Minkia, ma dopo cotanta astinenza dalla minkia, quante dosi di minkia avrò?
O forse mi devo chiedere quante minkie avrò? Sarò monominkia e pluriminkia?
Attribuita ad Alcmhona
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Venne pure Helena, che stava si per maritarsi con Mynkyalao ma intanto si era
innamorata follemente di Paryde, figlio del re di Purceddopolys. Innamorata persa
assai. Il picciotto da poco era ospite, per motivi di studio, di Mynkyalao. Si trattava
del progetto “Ciollarasmus”. Ma più che studiare fotteva e controfotteva con la bella
Helena. Fotteva e fumava. Fumava e fotteva. E nel bel mezzo beveva a iosa, alla
sanfasò e finanche a tinchitè. Helena buttò solo una dose, il resto la tenne per sé.
<< La minkia nova o chidda antica?
Qual è chidda giusta pi la me fika?
Lu quasi maritu ca eni minkialenta?
O l‟amanti a cui sempre ci attrenta?
Cu lu maritu o cu l‟amanti l‟haia fari?
Cu cui haiu assai assai kazzicatummuliari?
O devo minkie e minkie assai sperimentare?>>.
L‟oracolo rispose:
<< Intanto, Helena bedda, ti mariti come previsto.
Lo vuole il fato. E chi minkia s‟è visto, s‟è visto.
Può darsi che il letto metta a posto la facenna,
sennò ti cerchi n‟autru intuppatutto pi la to cisterna.
Troppi ciolle e kazzi e minkie hai sperimentato.
Mynkyalao manca di volontà, lu disgraziato.
Teni lu stigghiolu pi sunari la to campana.
Ma pirchì nun la sona , stu figghiu di buttana.
Iddu eni distratto da mille e passa avvenimenti.
A tia poi ti piaci lu carusu cu la minkia impertinenti.
Comunque viru minkie e minkie in processione.
Son minkie alternative tra l‟amante e il marito koglione.
Ma sappi che, se lassi il vecchio per il nuovo, è sicuro
che saranno kazzi amari, e non solo per il tuo kulo.
Saccio che a tia ti piace l‟arte del kazzicatummuliu.
E saccio ca Paryde in ciò è bravo quantu nu diu.
Però.. però.. però lu minkia di distinu è lu distinu.
E iu, in fede, viru sulu na minkia di casinu. E chi casinu >>.
Helena capì poco. Si maritava sì, ma poi il marito sarebbe riuscito a fare il marito?
Boh! E chi poteva o doveva essere l‟eventuale sostituto? Quello che operava già o un
altro? Boh! Ma soprattutto, che voleva dire con quel “kazzi amari“ e non solo per
lei? Boh! Non capendo una amatissima minkia si sukò due minkiuna
contemporaneamente. Uno a misura della minkia di Mynkyalao e l‟altro a misura
della minkia di Paryde. Pi idda la minkiajuana aveva n‟autro nomi: “erba
scegliminkia”. Perché doveva aiutarla a fare la scelta definitiva. O la minkia di
Mynkyalao o la minkia di Paryde. Una scelta per il kazzicatummulio. Una scelta tra
la minkia infelicitante e la minkia felicitante. Ma tra l‟una e l‟altra forse ci sarebbe
stata una sperimentazione della minkia tout court e full time. Ma lei, a dire il vero, la
sperimentazione la faceva da tempo. Perché dopo Teseo c‟era stato l‟oceano.
--Minkia, tra un mare di minkie, adesso quale minkia scegliere dovrò?
Una minkia qualsiasi?No.
Quale minkia allora, tra la minkia del minkialenta di quel testa di minkia di Mynkyalao o la minkia
impertinente di quel minciabella di Paryde?
Attribuita ad Helena
---
Vinni puru Ermafrodito, fratellastro di Eros e Pryapo, in quanto figlio di Aphrodyte
ed Ermete, quest‟ultimo noto anche come Mercurio ma chiamato dagli amici Accagi.
Ermafrodito era corteggiato e desiderato da tutti. Mascoli e fimmini. E lui andava
con tutti.. sia mascoli che fimmini. In fondo era una delle tante vittime di Eros. Per
una freccia sbagliata la naiade Salmacide si innamorò, non ricambiata, di
Ermafrodito. Che poverino, sempre scappava. E fin qui tutto normale. Un giorno la
femmina innamorata vide il giovane bellissimo che si bagnava nel lago di
Munypuzos. Di corsa, prima che quello potesse scappare, lu abbrazzau. E i due corpi
si fusero. Ermafrodito si truvau con un corpo da donna ma con tanto di ciolla. Il
corpo della sua innamorata più la sua ciolla. La ciolla, l‟unica cosa che le era rimasto
di suo, a parte il cervello.
<< A parte lu ciriveddu di mio mi restò solo l‟aceddu.
Di chidda pazza m‟arristò tutto, anche la filazza >> andava dicendo.
Adesso pregava la reliquia del fratellastro perché non sapeva mai addecidersi, se
andare solo con donne o solo con uomini. Ma prima aveva messo nel giusto sito
tanta ma proprio tanta minkiajuana.
<< Goditilla tutta, ma proprio tutta sta vitazza.
Futti e rifutti a kulu aperto e a minkia pazza.
Pigghiala l‟altrui minkia unni minkia ti pari.
La tua inveci passala a chiunque ti la fa attisari >> fu la risposta dell‟oracolo di
Eros.
Capiu che doveva portare al massimo l‟entropia sessuale. E non solo quella. Uscì
sukandosi nu minkiuni beddu ranni come a quello di Pryapo. Anche se ufficialmente
vulia fare una scelta di campo in realtà vulia continuare ad essere pansessuale. E lui,
tra l‟altro, chiamava la minkiajuana “erba pansessuale”.
--Minkia, é meglio metter la minkia mia in kunno o prendere l‟altrui nel mio kunno?
Oppure è meglio piazzarla e prenderla in kulo?
Attribuita a Ermafrodito
--Venne Mynkyalao a chieder lumi sulla riuscita del suo matrimonio. Mise anche tanta
roba di quella buona nell‟inceneritore. E ipocritamente chiese:
<< La bedda Helena dal kunno assai bello,
la farà o no la felicità del mio uccello?
Chista bedda biddazza mogliettina mia
sarà felice di cotanta e cotale minkia mia?>>.
<< Contenta di cotanta se l‟avrà sempre cotale e cotanta.
Ma ci sta la concorrenza che azzoppa la sua efficienza.
Se tu riuscirai a vincere cu la minkia a letto,
forse tutto sarà giustissimo e assai perfetto.
Ma se perderai la battaglia di la minkia in kunnu,
sarai lu primu curnutu di tuttu stu minkia di munnu.
Idda tinia 12 anni quannu Teseo, da mafiusu,
ci l‟anfilau pianu pianissimo na lu purtuso.
Nun si sapi se l‟imminkiò darreri o davanti,
ma ci fici assaggiari la cosa pi n‟istanti.
Da allora idda, in via del tutto ufficiosa,
ne ha avuti a iosa di uccelli nella sua cosa.
Idda sapi chi minkia voli diri godere alla sanfasò.
Idda capisci se la minkia ca trasi vali o no.
Lu confronto minkiesco pertanto è assai duro,
stai attento a non pigliarla tu la minkia in kulo.
Ma purtroppo non dipenni di tia ma da lu ventu.
La minkia tua ora ciuscia altrove lu so sentimentu.
E allora che fare? O metti la minkia tua sulla retta via,
o la pigli in kulo tu, Purceddopolys e altro. E così sia>> rispose l‟oracolo inalando
tantissimo fumo.
Mynkyalao ci tinia al suo kulo, ma ci tinia pure alle apparenze. Non voleva le corna
ma voleva libertà di minkia. Helena doveva essere un modello di moglie. Almeno
ufficialmente. Poi ognuno si sarebbe spitittato secondo i suoi gusti. Ma in privato.
Assolutamente in privato. Uscì sukando nu minkiuni nicuzzu. Tanto per non dare
nell‟occhio. Lu minkiuni ranni se lo sarebbe sukatu a casa. Per addumarsi ben bene la
minkia e imminkiare la fika del suo vero amore. E Mynkyalao chiamava la
minkiajuana “erba fikamia”.
--Minkia, ma sono o non sono il padrone della mia minkia?
Minkia, posso decidere dove minkia importusarla la minkia mia?
Minkia, posso differenziare tra “lavori di minkia” per dovere e “lavori di minkia” per piacere?
Attribuita a Mynkyalao
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Venne pure Paryde. Offrì solo mezza dose. L‟altra mezza si la sukò immediatamente.
Era nervoso e chinu di desiderio. Desiderio di kazzicatummuliare. Ed era anche
strafottente, come tutti i picciotti moderni.
<< Pi tuttu l‟oro di stu kazzu di minkia di munnu,
fallu addivintari mio pi sempri chissu kunnu.
Enone aspetta ancora la mia minkia bedda,
ma idda ora attisa sulu pi Helena e la so vanedda.
A parte le promesse di la biddazza dia,
io voglio sulu a idda sulla minkia mia.
Pirchì sulu cu idda , sulu tra le sue cosce belle,
iu viru chiddu ca viru, cioè, viru le stelle.
Ogni vota viru na nova nova e na supernova.
Ogni vota la minkia mia na cosa nova attrova.
Ogni volta è una nuova “novella buona”.
Ogni volta è una esplosione di lampi e trona.
E non solo. Io sento quel che sento na stu iocu,
ed ogni vota è comu sparari un nuovo iocu focu.
E da chiddu ca nesci dal miu bell‟aceddu,
mi sentu chiù potenti assai di Mungibeddu.
Ma chiddu ca nun sacciu mancu cuntari,
e lu casinu filici ca na la testa mi sentu scuppiari.
Idda è la droga mia, lu so kunnu m‟ha dato dipendenza.
Iddu è la mia eroina, e senza, tengo la crisi di astinenza>>.
<< Tutto dipenni da chiddu ca succeri na lu iazzu.
Tuttu è in mano a Mynkyalao, anzi, a lu so kazzu.
Se rinesci ad accuntintari chidda ardenti funnacella,
la storia futura assai cangia e addiventa assai bella.
Ma se nun ci la fa, comu pari ca avi a siri,
sunu sulu kazzi niuri e amari a nun finiri.
Kazzi niuri e amari pi tanta genti e pi tia.
Tu avrai lu stikkiu ca la minkia t‟arrigria.
La bedda Aphrodyte ti lu rissi ciaru e tunnu,
“di Helena la bedda avrai lu beddu kunnu”.
Aphrodyte soccu dici manteni immediatamente.
Ti promisi lu so stikkiu e ti lu resi veramente.
D‟autra parte a voi piace assai assaissimo praticare
chidda bellissima arte del kazzicatummuliare.
E pi chiddu ca viru scrittu na lu distinu,
l‟orgasmo vostro è nu granni e bellu casinu.
Ma fai attenzione, pirchì tu avrai si stu kunnu,
ma pi chistu forsi la piglierà in kulu lu munnu.
Ma lu pakkiu suo sulla ciolla è quel che interessa a tia.
Il resto è solo e soltanto una batracomiomachia>> rispose l‟oracolo inspirando
alla sanfasò i fumi di minkiaerosiana.
A Paryde ci ni futtia na minkia se lu munnu la pigghiava in kulu. L‟importante era ca
iddu ci la mittia in kulo e altrove alla bedda Helena. Il resto erano solo minkiate.
Minkiatedde. Minkiatazze al massimo. Appena sciutu si addumò nu minkiuni ca paria
la ciolla di Pryapo. E tale ci parse la ciolla che ci stava tra le gambe. Non tanto per
effetto del THC ma della fika di Helena. Chiamava la minkiajuana “erba Helenina”.
--Minkia, Helena sarà la corona della minkia mia?
Minkia, è la minkia mia sarà lu stuppagghiu del suo pakkio?
Minkia, se le cose son così, che minkia mi ni futti del resto?
Minkia, a mia m‟interessa solo Helena sulla minkia mia?
Attribuita a Paryde
---
Venne anche Edipo, che si trovava a Munypuzos per le nozze di Helena e
Mynkyalao. Edipo avia scannato il papà biologico senza saperlo e senza saperlo si era
maritato con la mammina Giocasta. Accussì era nata Antigone la bella, oltre ad altri
tre figli. Ed Edipo s‟era trovato marito di sua madre. E adesso, che orbo era, andava
in giro con sua figlia Antigone, il bastone della sua vecchiaia, che innamoratissima
cotta e scotta del padre, la sera lo faceva bere e poi si congiungeva carnalmente con
esso. Come le figlie di Loth. Le sue vicende ispirarono grandi tragediografi come
Eschiletto che scrisse la bellissima “Edipo a Munypuzos”.
<< Perché a mia mi successi chiddu minkia ca mi successi?
Ammazzai a mo patri e cu mammà ebbi felici amplessi?>> chiese Edipo dopo
aver offerto tantissima minkiajuana.
<< Colpa tua non è, ma del destino assai malirittu.
Tu dovevi ammazzare tuo padre, stava scrittu,
e scopare alla diavolina cu la bella mammuzza,
pi fari figgi in quantità cu chissa signuruzza.
Pirchì comu dici lu distinu già archiviatu,
tu da tua figlia Antigone dovevi essere scupatu>>.
<< Noooo..>>.
<< Sì. “Iddu ammazzerà la minkia di lu re patri
pi poi passari la so minkia a la regina matri.
E la mamma sarà mugghieri cuntenta di lu figghiu
e ci darà figghi pisciati da lu so beddu marrugghiu.
E a na figghia assai bedda, ca sarà puru sa soru,
lu patri frati ci metterà la minkia na la stanza di lu tesoru”.
Accussì sta scrittu na lu libru di lu distinu malirittu >>.
<< Noooo..>> gridò Edipo.
<< Ma fu già.. e fu tanto tempo fa. Ammazzasti lu papà.
Ma fu già.. e fu tanto tempo fa . Ci la fikkasti a mammà.
Ma fu già.. e fu tanto tempo fa. A to figghia ci la mittisti dà >>.
<< Chi kazzo lo sa? Io non ricordo niente>> chiese Edipo che si vergognava della sua
storia sessuale.
<< Tu non ricordi. Ma la tua ciolla lo sa sicuramente>>.
<< Ma la ciolla memoria non ha, fikka e finisci tutto dà>> rispose Edipo.
Per non pensarci si sukò il suo solito minkiuni fatto a mano. A misura della sua
ciolla. E pinsò di correre tra le braccia della figlia. Chiamava la minkiajuana “erba
della mia simenta”.
--Minkia, perché assassinai la minkia paterna e siminai la minkia mia dà unni mittia la so minkia
papà?
Minkia, e come minkia fu e come minkia non fu, ca ficcai la mia minkia nel portaminkia di mia
figlia?
Attribuita a Edipo
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Vinni pure Pasife, la moglie minkiofila di Minosse, che adesso s‟era invaghita di un
elefante. Pasife era a Munypuzos, ospite di Agamynkyone, perché il marito stava
firriando la zona alla ricerca di Dedalo.
<< Comu minkia fazzu a riciviri lu so kazzu?>> chiese intanto che versava dosi su
dosi nell‟inceneritore.
<< Fai comu facisti cu lu toro, ca ti fikkasti na la finta vaccazza
finu a quannu iddu ti passau la so minkia dintra la filazza.
Fai na elefantessa finta e ti ci metti di dintra sana sana.
Prima o poi iddu la minkia ti la ficcherà na la to tana>>.
<< Ma io stavolta non voglio l‟aceddu di l‟elefante.
Vuogghiu la proboscide, magari seduta stante>>.
<< Ho capito chiddu ca ti appititta fimmina vorace.
E si nun l‟avrai, il tuo kunno non si darà pace >>.
<< Ma chi nasci, soccu autra brutta cosazza,
se iddu mi fikka la so cosa dintra la filazza?>> chiese la mamma del Minotauro
desiderosa sempre di nuove esperienze.
<< O na fimmina cu tri Pryapometri di pakkiuni,
o nu maskulu cu tri Pryapometri di kazzuni?>>.
Pasife pinsò che l‟occasione non doveva andare sprecata. Lei era predestinata. Se
nasceva un mascolo avrebbe fatto un concorrente - collega di Pryapo, se nasceva una
femmina, avrebbe fatto l‟equivalente femminile di Pryapo. Uscì sukando nu
minkiuni ca paria la minkia del Minotauro. Ma il pensiero era ad altra minkia. Pasife
chiamava la minkiajuana “erba elefantina”.
--Minkia, come minkia è bello sperimentate nuove forme di minkia?
Minkia, ma tutto ciò che è minkiforme può fare la minkia?
Attribuita a Pasife
---
Venne Achylle che gli chiese dell‟amore suo. Naturalmente dopo la consueta e giusta
offerta di erba sicca.
<< Io e il mio compare, chi minkia dobbiamo fare?
Dobbiamo restare amanti o sposarci all‟istante?>> chiese.
<< Goditi l‟amicu di lu cori prima ca ti mori.
Goditillu sanu sanu sia d‟aceddu ca di anu.
Iddu piglierà il tuo posto, immortale di ciolla mortale,
e pi tia, per troppo troppissimo amore, finirà male >>.
Achylle pianse ma poi decise che intanto era meglio godere. Godere il più possibile
del corpo di Patroclo. E farlo godere naturalmente. E in attesa di godere si godette nu
beddu minkiuni artigianale fatto tenendo conto delle misure intime del suo bel
Patroclo. Iddu chiava la minkiajuana “ erba patrocliana”. Patroclo la chiamava “erba
achylliana”.
--Minkia, la minkia mia nel kulo di Patroclo o la minkia di Patroclo nel mio kulo?
Minkia, perché non possiamo passarci la minkia contemporaneamente?
Attribuita ad Achylle
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Vinni Odisseo. Chiese del futuro e dell‟amore in generale. Fece naturalmente la sua
bella e buona offerta di minkiajuana.
<< Centu ni pensi e milli ni fai,
nu miliuni sarannu li to vai.
Mentre tua moglie tesse e sfila,
tu sarai chiddu ca a tutti l‟infila.
Nun ti dicu li peni ranni toi,
tantu ti l‟hai a sukari prima o poi.
Ma ci sarà pure kunnu a iosa,
unni anfilari la to bedda cosa.
Girerai pi vintanni tunnu tunnu,
ma la ciolla farà il pieno di kunnu.
Ci sarannu maghe, regine e buttani ranni.
Ci sarannu fimmini pi tia a tutti banni.
Anche le sirene, mezzi pisci e mezzi fimminuna.
Se trovi lu purtusu, fikkiccilla, e buona fortuna.
Attento a Circe, se t‟acchiappa, porco ti farà,
porco di ciolla e porco nella tua totalità.
Attento a Polifemo e alla sua voglia di kuli,
se t‟acchiappa ti farà vedere stelle e suli.
Attento a fare stu giru a kazzo di cani.
Attento a li kazzi di li Proci ruffiani.
Il pakkio di Penelope vogliono conquistare,
ma lo fanno solo e soltanto per poter regnare.
Ma Penelope mancu li kaka per niente.
Idda aspetta la tua minkia religiosamente.
In attesa del tuo ritorno di eroe assai ranni
si l‟avi misa sotto sale dintra a li mutanni.
A li proci e alle loro minkie poco potenti
non va giù stu minkia di discursu di niente.
Idda pensa, sfila e tessi, tessi, pensa e sfila.
E a li Proci ci resta sempre addumata la cannila.
E p‟amuri di conquistare lu pakkiu di la regina
nun cercunu autru pakkiu pi futtiri a minkia cina.
Pertanto, in attesa degli eventi, sperando in un bel futuro,
la minkia, codesti Proci se la calano tra di loro in kulo.
E quarcunu corteggia, sempre interessatamente,
scopo potere, il tuo bel Telemaco costantemente.
Pronto a darici la minkia ma anche a farsela dare.
Ma non è amore, è solo una grande voglia di regnare.
Questo, che ti piaccia a no, è il quadro generale.
Questo ha deciso il destino per la tua storia personale.
Attento, Odisseo, attento alla tua “Furbizia” e a tia.
Attento, attento a non pigliarla in kulo e così sia>>.
Odisseo era furbo e capì tutto. Capì in modo lapalissiano. Erano kazzi niuri e
tempestosi quelli che lo aspettavano. Ma anche kunna gioiosi per far godere il suo
kazzo avventuroso. E tanto per non fare il sapiente si sukò nu minkiuni beddu grosso
di erba sicca. Solo che lui la chiamava “erba della furbizia”.
---Minkia, che giro della minkia per la mia minkia?
Minkia, quanti minkia di kunna pi la minkia mia?
Minkia, e quante minkie che vogliono imminkiare a tutta minkia la moglie mia?
Minkia, e quante minkie che vogliono inkulare a tutta minkia il figlio mio?
Minkia, ma a mia mi ni futti na minkia?
Attribuita a Odisseo
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Venne anche Enea, che aspirava al trono di Purceddopolys. Era il principe dei
Dardani. Una razza che aveva per kazzi “dardi” che andavano soprattutto negli “ani”,
per non seminare guerrieri, forieri di morte, distruzione e dolore sommamente
sommo. E iddu fece la sua offerta. Un‟offerta principesca.
<< A comu minkia mi fanu mali li cugghiuna.
Li baddi mi pisunu centu quintali l‟una>> ironizzò l‟oracolo.
<< Minkia, chi ti senti mali, oraculu beddu?
Ti ciamu na minkia di minkia di duttureddu?
O mi sfutti, a mia che sono assai addolorato.
Per via di questa minkia di dolore addannato.
Son principe dei Dardani, son io il Dardanazzo.
Se mi sfott‟ancora ti sbatto in kulo il kazzo>>.
<< Nun pisunu a mia li testimoni, ma a tia, eroi putenti.
Tu na li cugghiuna teni l‟urbe sana sana, ovvero tanta genti>>.
<< Certo, tengo il futuro di Purceddopolys, la mia bella città.
Ma dimmi, quannu minkia addiventerò lu re , dimmillu, pi carità>>.
<< Mai. Purceddopolys morirà pi curpa di na fika buttana.
Morirà pi sempri e mai, mai maissimo chiù rinascerà>>.
<< Vaffankulo, oraculu di kazzu e di testa assai pazzu>>.
<< Taci. Zitto, muto, cicidda nica e cugghiuna assai ranni.
Ascolta lu to distinu, lu distinu ca porti dintra li mutanni>>.
<< Ascolterò sì, ma solo per pura e semplicissima curiosità.
Sono di minkia e testa atea, non crederò alle tue false verità>> rispose calmo e con
una certa arroganza Enea.
<< Che ci credi o no, a mia meno di una minkia sicca me ne può fregare.
Stu minkia di destinu pazzu è lu destinu tou, e tu ti l‟hai a sukari.
Tu scapperai cu Anchise, ca na lu stikkiu vinirinu ti siminò.
E cu Ascanio, ca tu siminasti accussì, quasi quasi alla sanfasò.
Più che la mugghieri, tu circavi nu pakkiu di na figghia di lu re.
Lu pakkiu reale, e poi n‟erede, sulu pi trasiri a corte a tinchitè.
Ti li passasti tutte, o quasi, le figghie di Pryamo. Ed eran cinquanta.
La prima che sciu incinta fu Creusa, e ti maritasti cu sta minkia di santa.
Polyssena però ti piacia di chiù. Pure alla regina ci dasti na passata.
La legge della maniglia, “prima la madre, poi la figlia”, fu rispettata.
E per farti volere bene a corte, pure a li figghi masculi di lu re,
ci passasti la minkia tua a iosa , alla sanfasò e pure a tinchitè.
Ma pure iddi tineunu na ciolla di kulu appitittata veramente.
E tu ti la facisti calari in silenzio, senza dire na minkia di niente.
Anche a Purceddopolys è di moda fare, essere e sentirsi masculazzi
senza escludere la possibilità d‟essere dei grandissimi “ciucciakazzi”>> disse
l‟oracolo.
<< Li fatti del mio bell‟aceddu, sono solo miei, oraculu beddu.
Se cu la minkia io sperimento, chi t‟interessa del mio inciollamento?
Se mi la fazzu cu tanti figghi di lu re, chi ti ni futti del mio futtiri a tinchitè?
Se la piglio o se la passo, chi ti ni futti di come minkia me la spasso?
Se c‟è traffico di kazzi nel mio kulo, è un fatto solo mio di sicuro?
Pertanto fatti i kazzi tuoi. E cerca di andare a fare in kulo prima o poi>> disse
Enea nu tanticchia inkazzato
<< Sì. Però adesso un pakkio anarchico, apolide, ateo e rivoluzionario,
sta per cambiare inesorabilmente tutto quanto codesto scenario.
Tu, per destino divino, sommo eroe devi essere necessariamente.
Aphrodyte nun si la fici calari da Anchise per fare un minkia di niente.
Lu fici per piaciri sì, ma soprattutto per dare l‟avvio a una storia potente.
Enea, nei tuoi lombi ci sta un futuro a dir poco assai impressionante.
“Romakazzo” si ciama la città eterna che porti nei tuoi koglioni.
E sarà l‟urbe caput mundi di lu munnu, la città capa di tutte le nazioni.
Romolocicia, Remociolla e la bedda lupa assai assai buttana,
chista è la storia futura che uscirà dalla tua minkia sana sana>>.
<< Oraculu beddu, si sicuro ca chistu minkia di casinu ranni
ca fa tanta impressioni io lo porterei dintra li me mutanni>> chiese Enea.
<< Sì. Un fratricidio, poi sette re cu la corona e Cesare dittatore.
Quindi una seria bell‟assai di gente chiamata “imperatore”.
Augusto, mentula pacis, darà la pace con la sua minkia imperiale,
ma in famiglia sangue su sangue assai assaissimo farà circolare.
Poi ci sarà Tiberio il caprese, Caligola col cavallo senatore,
e la sorella Drusilla come unico, grande e immenso amore.
E Nerone, grande e sommo poeta non affetto da piromania.
L‟accuseranno di ciò gente ca nun piaci per niente a mia.
E Tito, che cercherà invano dio a casa sua ma non lo troverà.
E Vespasiano che darà con amore il suo nome ai cessi,
ove le minkie pisciano, specie dopo caldi e dolci amplessi.
E ci sarà pure un certo Costantino e il suo segno vincente.
D‟allora in poi non si capirà chiù una minkia di niente.
Ma ci sarà anche Marco Aurelio e la sua minkia di filosofia.
Ma con Romolo Augusto finirà tutto a kazzo, e cosi sia>>.
<< E poi che minkia di minkia succederà. Dimmi l‟autra tua verità>> chiese Enea
preoccupato per l‟evoluzione della sua discendenza.
<< Poi verranno monaci, monache, santi, sante e parrini,
papi, inquisitori e tanti e tanti autri ranni e grossi casini.
E se “Romakazzo” brucerà per volere, si dice, di Nerone,
li papi bruceranno, una ad una, direttamente tante persone.
Ci saranno papi, papetti e papazzi, il nepotismo e altri kazzi.
Ci sarà un certo Formoso che da un suo successore assai inkazzato
verrà tirato fuori dalla necrodomus e normalmente processato.
E alla fine, a processo finito, nel panta rei Tevere sarà buttato.
Ci sarà na fimminazza di nome Marozia ca il papato gestirà.
Idda compagna di papa, madre di papa e nonna di papà sarà.
E ci sarà pure la storia, vera o falsa, di Giovanna la papissa.
Ma ci sarà veramente chissu papa senza pinnenti e cu la fissa?
Resterà a ricordo della falsa o vera facenna un trono detto “stercorario”,
con tanto di purtuso per vedere se il papa tiene il dovuto armamentario.
Ci sarà un certo Benedetto nono che per ben tre volte papa sarà.
E per ben tre volte al trono e alla tiara addio, per motivi vari, dirà.
Ma lu scannulu ranni di chista minkia di facenna sarà legato all‟età.
Lu signor Biniritto alla prima intronazione solo nove anni avrà.
Pertanto quel pisello aristocratico di un certo messer Alighieri Dante,
quannu parlerà del “gran rifiuto” di Cilistinu, dirà minkiate seduta stente.
Ci sarà pure nu papa detto Borgia, ma soprannominato “Borgiazzo”.
Penserà al potere e alla guerra. Ma soprattutto penserà al suo kazzo.
Avrà fimmini e fimmini a iosa. E ci farà kakare figghi da la cosa.
Ma avrà puru nu figghiu quannu già sul trono assittatu sarà.
Iddu cinquantinu di la bedda Giulia tutto tutto si appititterà.
Invece la storia dell‟incesto cu Lucrezia nel mistero resterà.
Si la fici cu la figghia? E ci fici fare nu figghiu? Unni sta la verità?>> disse
l‟oracolo.
<< Minkia, chi casinu ranni. Ma sta tuttu dintra li me mutanni?
Tutta sta genti, una pi una, sta veramente dintra li me cugghiuna?>> chiese
preoccupato Enea.
<< Sì. E ci sarà un papa che al rogo metterà messer Bruno Giordano,
solo e soltanto perchè non vorrà cangiare idea il monaco nolano.
Tutti si ricorderanno sempre, in sekula sekulorummu e seduta stante,
il nome del rogato, ma nessuno si ricorderà il nome del condannante.
Come già fu con Galileo Galilei, di professione sturiusu ranni. Iddu sarà
costretto a negare il vero, costretto ad abiurare la scientifica reale realtà.
“Eppure si muove “ dirà iddu firmanu la carta malirittissima dell‟abiura.
E non si riferirà a chidda cosa ca sta dintra li mutanni e che chiamano “natura”.
Tutti però ricorderanno il nome del Galileo scienziato e sturiusuni. E così sia.
Nessuno di ricorderà del messer papa ch‟il condannò per somma koglioneria.
Il Galileo sosterrà ca la terra aggira intorno a lu suli come na minkiuna,
come fa la vera minkia intorno a lu purtusu di na bedda picciuttuna.
A lu papa e a la so corte, stu giramentu di palli nun ci piacerà pi nenti.
Pi iddi a siri all‟incontrario, pirchì accussì dici nu libru assai intelligente.
Ma la storia, a dire la vera verità, chiù semplice di quanto appare sarà.
A Galileo, secondo le leggi dell‟astronomia, ci gireranno scientificamente.
Al papa, che di scienzia nun capirà nenti, i koglioni ci gireranno diversamente.
E anche se ancora sarà lungi da venire il dogma della papale infallibilità,
lu papa sarà testa assai assaissimo rura e pertanto imporrà la sua falsa verità.
Verranno anche l‟indice dei libri proibiti e tanti ma tanti autri sommi minkiatoni.
Sarà il gaudemus del “No”. Sarà il trionfo dei divieti e delle proibizioni.
Pure la Bibbia sarà proibita senza sapiri lu pirchì di la cosa ca pari assai strana.
E l‟invenzioni di la stampa sarà condannata come cosa lurda e buttana.
Nel criminale indice dei libri proibiti sarà messo di tutto e di più.
Storici, filosofi, romanzieri, poeti e scienziati tutti quanti in un mazzo.
Così deciderà qualche emerita testa di grandissimo skassakazzu del kazzo.
Ma un giorno verrà abolito, e solo per l‟impossibilità di tutto catalogare.
E non per democrazia o libertà di pinsero, cose che certa gente non poli accettare.
Altrimenti anche il futuro Codice da Vinci na stu elencu fussi collocato.
Ma anche un certo Odifreddi ca sarà sturiusu ranni e granni scienziato.
Ma puru nu certo Rupert Santoro ex Paulu, come figghiu di lu diavuluni,
cu la so opira maliritta, fossi misi na sta lista fatta da nu cugghiuni.
E puru stu kazzu di Pryapo, il dio dei bordelli, ca dici sulu minkiati fritti,
fossi misu in chidda lista di cosi ritenute assai assaissimo maliritti.
E ci sarà pure l‟assassina e , per modo di dire, santa santissima inquisizione,
ca voli sempre sapiri unni minkia metti la to bedda minkia in azione.
Si userà assai la tortura, ma assai assai, e il torturatore sarà un uomo vero.
Si brucerà, come ho già detto, anche il povero “martire del libero pensiero”.
“Romakazzo” sarà dominata per tanto tempo da assai arrogantissima gente.
E in nome del loro dio iddi ammazzeranno chiunque la pensi diversamente>>
disse ancora l‟oracolo leggendo nelle stelle della volta celeste il futuro.
<< Minkia, chi burdellu pazzu. Ma a sciri veramente tuttu da lu me eroico kazzu?
Tutta sta storia veramente buttana sta dintra li me cugghiuna sana sana?>> chiese
preoccupatissimo Enea.
<< Sì. Poi un giorno la bedda “Romakazzo” tornerà alla giusta libertà.
Il papa, per fortuna, non sarà chiù papa-re, e comandare più non potrà.
Grazie a un certo re Vittorio Emanuele e a un certo Garibaldi Peppino,
i liberatori laici libereranno “Romakazzo” dal suo amarissimo destino.
Con la cosiddetta monarchia, che non è certo della mona il governo,
per “Romakazzo” e i romakazzoni non ci sarà chiù il papa col suo inferno.
E lu iornu di la trasuta a “Romakazzo” attraverso la cosiddetta Porta Pia,
sarà festa ranni, festa laica, festa nazionale. E così sia.
Il progresso giustamente andrà avanti lentamente, piano assai piano,
e “Monsieur lu papa” se ne starà chiuso ma inkazzato dintra il vaticano.
Arriverà un giorno un certo messer Benito che il potere tutto per se vorrà.
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Iddu abbandonerà il socialismo. Iddu il fascismo purtroppo inventerà.
Ma la colpa sarà anche di un certo messer sciaboletta con la corona.
Chistu, pur di non perdere il posto, gli lascerà fare lampi e finanche trona.
Il dux, per farsi bello con le masse popolari, firmerà nu schifusu concordato,
la povera italia perderà la libertà e ci sarà di nuovo la “religione di stato”.
E naturalmente, il XX settembre, la festa nazionale di la “presa” di Porta Pia
sarà cancellata in un amen, cu na firmetta del kazzo, e così sia.
Spunteranno nei pubblici palazzi, accanto all‟immagine del sciaboletta re,
maronni, santi martiri e vergini, angeli, arcangeli e crocifissi a tinchitè.
Pi vintanni ci sarà sta minkia di dittatura ca sarà cosa assai assaissimo mali.
Ma pi fortuna poi ci sarà la biniritta seconda guerra assai mondiali.
E in italia, e non solo in italia, ritornerà nu tanticchia di libertà.
In italia meno ca nel resto dell‟europa. Anche se la cosa sarà strana,
in italia il papa sarà il deus ex machina della Democrazia Cristiana.
Mente l‟europa tutta andrà avanti nel campo delle generali libertà,
l‟italia resterà indietro assai assaissimo. Alle tradizioni idda legata resterà.
E quannu chidda minkia del cosiddetto terzo millennio incomincerà,
in italia si orerà assai mentre in europa ci sarà il trionfo della laicità.
E ci sarà pure nu mumentu assai piriculusu in cui la bedda libertà
rischierà a causa di certa gente tutta cina di arroganza e autorità.
Ritorneranno i tempi del persecutore Diocleziano, di Tiberio il Caprese.
Feste e festini alla sanfasò. Ma guai a parlare di cotali imprese.
Guai a dire del riposo dei potenti e delle loro minkie al viagra onnipotente.
Chi lavora per il paese, deve pur svagarsi lu pinseru e la minkia sofferente.
Ma chisti minkiati assai ranni e potenti sono assai lungi da venire.
Attualmente ci siamo noi, allura sukamici nu beddu minkiuni pi finire.
L‟unica speranza, caro il mio Enea beddu, e che sia vera quella gran fesseria
che passerà alla storia e alla mitologia come la lista di “messer Malachia”.
Tuttu chistu casinu però è ora na li to baddi e na la fregna di idda,
ovvero di la fimmina a cui tu darai un giorno l‟eroica tua cicidda>>.
Minkia e cicia e ciolla e mentula e fallo e kazzu.
Tu cu stu cuntu mi fai nesciri assai assaissimo pazzu.
Io pensavo di addivintari di Purceddopolys lu re.
Ca pi la minkia di lu re, pakkio ci n‟é sempre a tinchitè.
Inveci mi fai capiri ca iu na li baddi nun portu la felicità,
ma la disgrazia, e chi disgrazia, pi la futura umanità>> disse spaventato Enea.
Il futuro tuo è questo, il futuro tuo si ciama Lavinia.
E tu col dardanazzo a idda ci sfunnerai la filinia.
Idda aspetta la minkia del suo destino, e non dice niente.
Sapi che sarà madre di una città assai assaissimo potente>>.
Minkia, chi minkia di minkia di programma.
Pi la me minkia quasi un minkia-dramma>>.
No. Se la cosa ti spaventa, ci sta n‟autra soluzioni.
Pigghia nu cuteddu e tagghiati minkia e koglioni.
Tu perdi la cicia, lo strumento ca serve a siminari,
e pertanto non potrai più in alcun modo fikkare.
Perdi anche il deposito della tua simenta, chistu è sicuru.
E “Romakazzo” naturalmente la pigghia ipso facto in kulu.
E pi quantu riguarda la storia fitenti di stu minkia di munnu,
la piscerà n‟autra ciolla e la cagherà n‟autru kunnu>>.
Enea capì poco? O forse capì troppo? Iddu sapia sulu ca spissu si sintia nu pisu ranni
na li baddi. Li baddi ci staunu unciannu a pikka a pikka. E nonostante il fikka - fikka
sempre più intensivo, iddi continuavano a gonfiare lentamente. Delle volte le
facevano nu tanticchia mali. Ma picca, ad essere sinceri. Però tutta chidda storia
mittia scantazzu a lu ciriveddu e a lu kazzu. Niente comunque corona di
Purceddopolys. Niente trono reale per il suo reale kulo. Per un attimo fu tentato di
pigliare un falcetto e deminkiarsi e detesticolarsi seduta stante. Poi rinviò. Il futuro
era glorioso, ma altrove. Il futuro era glorioso, ma per la sua minkia di discendenza
della minkia. Comunque decise di portare con sé sempre un falcetto. Se il peso di
sta minkia di polys della minkia nomata “Romakazzo” fosse diventato insostenibile,
iddu si sarebbe tagliato ciolla e palle.
<< Mica posso aspettare Lavinia? E sarà bedda sta minkia Lavinia? O no?>>.
Intanto, per non pensare al suo destino, si fumò tanta ma tanta “erba romana”. Ma
non riflettè neanche un attimo sul nome di quell‟erba. Gli eroi son sempre grandi di
muscoli, ma piccoli di ciriveddu.
--Minkia, mi taglio la minkia o no?
Minkia, mi taglio le palle o no?
Minkia, sta minkia di città la semino o la distruggo?
Minkia, sta minkia di “Romakazzo” la scannu o la siminu na qualche kunnazzu?
Minkia, ma deve essere per forza il kunno di Lavinia o va bene un kunno qualunque?
Minkia, ci la scarico in kunno a mia moglie?
Minkia, ci la scarico in kunno a una mia cognata?
Minkia, ci la scarico in kunno a una buttana?
Minkia, ci la scarico in kunno a lu primu kunnu ca m‟ammatti?
Minkia, oppure ci la scaricò in bocca o in kulo a quarcuno,mascolo o fimmina che sia, accussì nun
nasci na minkia di nenti e cosi sia?
Attribuita a Enea
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Venne pure Pryapo, a vedere la strana reliquia, e ci vinni l‟idea di fare altrettanto. Ma
poi si rese conto che la sua sarebbe stata una reliquona. In incognito chiese
dell‟amore. S‟era vistuto da mendicante iarruso per non farsi riconoscere dall‟oracolo
del fratellastro. Fece un offerta di minkiajuana grande quanto la sua ciolla.
<< La parola amore pi tia non vuol dire niente.
A tia t‟interessa solo della tua minkia potente.
Ti basta avere un portuso di femmina bona
pi fari timpesti, lampi, lampuna e tanti trona.
Lu to distino, io ti lu dicu chiaru e tunnu,
è di fikkalla a tutti li fimmini di lu munnu.
Ma se dopo ciò ancora teni pitittu di fikkari
ci stanu li kula di li maskuli da trummiare.
E non solo e soltanto per dovere istituzionale,
ma per un piacere sommo di tipo universale,
pirchì cu minkia teni na minkia tanta rossa
pensa sulu a mittilla in una qualche fossa.
Però, per completare il discorso generale,
io ti consiglio anche di farti trummiare.
E per essere sincero come un bambino
ti dico “impara pure l‟arte del pompino”>>.
<< Bravo, bravo, oracolo miu beddu,
io vivo solo e soltanto pi lu me aceddu.
Ma pi caso capisti cu minkia sugnu iu ?
Capisti o no, ca iu sugnu di la minkia lu diu?>>.
<< Certu, di la minkia si l‟unicu e potenti diu.
E vistu chiddu ca avi successu na lu laghetto,
ti la poi fari mettiri puru na lu culetto.
Perché quel giorno la vista mi si annebbiò
e nun capii se lu iocu finu alla fine arrivò>> rispose l‟oracolo.
<< Minkia, quasi tutto vedi e quasi tutto sai, figlio mio.
Dimmi allora quanti pila di minkia ho nell‟aceddu io?>>.
<< Settemilanovecentocinquantuno sono adesso.
Ma ne sta cadendo uno proprio ora dal tuo sesso>>.
<< Vero è. E allora facemu settemilanovecentocinquanta,
che stasera li conto per vedere se la mia peluria è tanta>>.
<< E tanta sì, a parte che dappertutto ci sta pilu a iosa.
Ma manca pikka ca tu ti spili la minkia e ogni altra cosa>>.
Pryapo rise e s‟avvicinau alla reliquia .
<< Iarrusello, iarrusello, tu sai quello che pensa il mio cervello.
Iarrusello, iarrusello, tu sai pure quello che pensa e fa il mio uccello>>.
<< Minkiunazzu, minkiunazzu, stai assai attento a lu scikkazzu.
Minkiunazzu, minkiunazzu, stai attento a lu sceccu e a lu so kazzu>>.
<< Oraculu miu, oracolo beddu, stai attento a lu me aceddu>>.
La reliquia non rispose. Pryapo felice andò via sukandosi il solito minkiuni di
minkiapriapriana. Poi cantò forte: << Addio piccolo Minkiolino,
come cangia in un amen il nostro destino>>.
Quindi si tuccau la sua ciolla e continuò:
<< Sempre più andrai farfallone amoroso, notte e giorno sempre chiavando.
E delle belle turbando il portuso. Kazzone, Minkiolone d‟amor,
sempre più avrai questi pelosi pennacchini, questa cappella grande e galante,
questa chioma , quest‟aria brillante, questo vermiglio ciollesco color >>.
Poi nella sua testa si arricordò che aveva deciso di spilarsi tutto. Quindi i pennacchini
erano a scadenza. Aveva già un appuntamento con Adone e Narciso per andare da
Narcisa. A farsi levare tutti li pila da tutti i posti possibili e impossibili. Tutti ma
proprio tutti.
---Minkia, la minkia mia pi li purtusa di tuttu lu munnu?
Minkia, chi travagghiu di minkia pi la prima minkia di lu munnu?
Minkia, ma perché devo stare attento alla minkia di lu sceccu?
Attribuita a Pryapo
---
Venne anche lo scrittore Paulorum Santhokrysos e chiese della serietà del
Pattuallopolys . Il tutto dopo una bella e consistente offerta di minkiajuana. Era ateo,
ma venne tanto per giocare. Tanto per vedere e sentire le minkiate grandi e grosse che
gli oracoli sparavano in nome del loro dio. Tanto per prendersi reciprocamente per il
kulo.
<< Pi mia nun s‟avissa a ciamari Pattuallopolys,
ma Bordellopolys, Kasinopolys, Minkiapolys,
Kazzopolys e altro. Vidu sulu nu gran casinu.
Nu burdellu di merda strunzata cinu cinu>>.
<< Orakulu beddu , in fede, mi spiegasse cosa minkia vede?>>.
<< Comu minkia fazzu? Nun ci capisciu nu kazzu.
Minkia. Chiù taliu, chiù la minkia mi cunfunnu.
E na storia a minkia ca farà ririri tuttu lu munnu.
Pattuallopolys, minkia e kazzu e cicia, per carità,
beato chi capisce unni minkia sta chidda minkia della verità.
Quattro o otto, minkia chi discursu a marrugghiu pazzu.
Chi minkia è stu minkia di concorso a minkia e a kazzu?
I documenti e li cartazzi. Unni minkia sunu sti kazzi?
Minkia, chi minkia di burdellu e chi casinazzu.
Minkia, chi schifiu, mancu pi la minkia e pi lu kazzu.
Se voi na minkia di consiglio, figghiu beddu,
lassa stari stu concorsu a kazzu o minkia d‟aceddu.
Chistu premiu è premiu a minkia, a ciolla e a kazzu.
È la merda chiù merda di la merda di stu munnu pazzu>>.
Lo scrittore Paulorum Santhokrysos, tanto per fare gli scongiuri, ti tuccau e rituccau
li baddi assai assaissimo. Fu un lavoro lungo ma gli scongiuri , quando ci vogliono,
ci vogliono. Non se ne può fare a mano. E tra una toccata e l‟altra si sukò tanta
minkiajuana. Ma lui però la chiamava “erba ateina”.
Per la precisione scientifico - matematica - filosofika li baddi si li tuccau, e la cosa è
documentata in maniera rigorosamente tecnica dalla parola santa dell‟oracolo, ben
novecentonovantanovemilioninovecentonovantanovemilanovecentonovantanove voti.
E tra una toccata e l‟altra sukò minkiuna di minkiajuana a iosa. O meglio, di “erba
ateina”. Ma l‟oracolo aveva contato alla sua maniera. Aveva sautato da un numero
all‟altro sotto l‟effetto del fumo. Paria nu pazzu furioso ca spara kazzate a iosa, alla
sanfasò e a tinchitè. Kazzate tout court e full time.
--Minkia, ci sunu cosi a minkia chiù a minkia di chidda minkia di premio a minkia chiamato
Pattuallopolys?
Attribuita a Paulorum Santhokrysos
---
Ma a dire il vero vero veramente ci furono due oracolanti che aspettavano il turno di
oracolare con l‟oracolo e che non avendo un kazzo da fare contarono le toccatine di
Paulorum Santhokrysos. E poi litigarono. Perché uno sosteneva che erano state
quattro milioni e l‟altro che erano state otto.
<< Di unni minkia siti?>> chiese l‟oracolo fatto e strafatto di fumo di minkiaerosiana.
<< Se oracolo che sa oracolare sei, lo devi sapere da solo?>>.
<< A mia mi pariti di Karleonthynoy e Leonthynoy>> rispose l‟oracolo inalando
ancora fumo.
<< Ver‟è. Siamo due uomini di kultura. Kultura per modo di dire. Comunque siamo
impegnati nel premio chiù serio del mondo, il Pattuallopolys. Stiamo cercando di
organizzare tante belle minkiate. Sicuramente se ne parlerà in futuro>> risposero
quelli ridendo. S‟erano fatte due pattuallone, ovvero due palle piene di pattuallojuana.
Questa era la moda di Karleonthynoy e Leonthynoy. E stavano per offrire delle dosi
di pattuallojuana anche al dio Eros.
<< No, chissa porcheria no. Sukativilla voi ma non rovinate i fumi miei. Meglio
niente che sukare pattuallojuana>>.
L‟oracolo si mise a ridere, Paulorum Santhokrysos anche.
<<Forse non basta pi scongiurare la iella e la sfiga >> pinsò lo scrittore fumando.
<<Toccarsi? Forse non basta manco quello. Quel premio è proprio un bordello.
Merda assai e assai mirdazza, è proprio na kakatazza >> pinsò l‟oracolo inalando per
il puro e semplice piacere di non sentire altre minkiate da quei due senzaciriveddu.
Lo scrittore comunque nun sapia se mandare o non mandare il suo testo a tematica
pilusa.
<<Ma chi ci trasi il Santhokrysos col pilo?>> potrebbe chiedersi qualcuno. Tanto per
farsi una domanda.
<< Ci trasi. Perché lui scrive solo di pilo>> sarebbe la giusta risposta. Tanto per darsi
una risposta.
--Minkia, chi minkia di minkia ci posso fare se a mia mi piace diri sempre quattro milioni di
minkiate?
Attribuita al tizio di Karleonthynoy
--Minkia, chi minkia di minkia ci posso fare se a mia mi piace diri sempre otto milioni di minkiate?
Attribuita al tizio di Leonthynoy
--Venne anche l‟autore dei Carmina Priapea, Mhaxymylyanum Mhaxymylyanorum da
Munypuzos. Uno a cui piaceva tantissimo parlare e scrivere in latino. Non diceva mai
“Testa di kazzo” ma “Cefalomentula”. Non diceva mai “Koglione” ma solo e
soltanto “Testikulos”. Non diceva mai al suo parrino che era “ Obeso“ ma “Obesus“.
Però facia confusione tra credito e debito. Fece anche lui la sua offerta . Una
minidose. Nu tanticchia, anzi, nu tanticchina: << Il latino tiene un debito cu mia>>.
Invece era lui che teneva un debito nei confronti del latino.
<< Il latino mi è creditore>> diceva. Invece era lui che tinia un debito, come detto,
nei confronti del latino. All‟oracolo chiese:
<< Orakulorum, orakulorum, mi accatteranno il megaduerotorum>>.
<< Minkia. Mi pare cosa difficili ma assai assai,
e megghiu ca ti teni chiddu minkia ca hai.
Pirchì altrimenti ti finisci ca a peri devi caminari,
anche se la mamma in cambio nu sceccu ti voli accattari>>.
<< Mentula , mentulona, mentulazza. Minkia, minkiona, minciazza>>.
Chi minkia ci trasi questo col pilo? Ci trasi. Per il sommo poeta Mhaxymylyanum
Mhaxymylyanorum avere il megaduerotorum voleva dire correre chiù assai e
arrivare più presto a fare li cosi di pilo. Uscito dal tempio si sukò nu minkiuni di
minkiajuana. Ma iddu la chiamava “Erba latina”.
Ma che cos‟è il megaduerotorum? Difficile da spiegare. E‟ pura tecnologia.
Attualmente lui aveva il microdueruotarum. La differenza unnè ?
<< Come iri a sceccu e a cavaddu. Mi sono spiegato>> diceva lui << Sì. No. Se mi
sono spiegato bene, altrimenti iti tutti a fari in kulo, anzi, in anum>>.
--Minkia, ma chi minkia di mali della minkia ho fatto per non avere questo minkia di strumento della
minkia che mi appititta?
Attribuita a Mhaxymylyanum Mhaxymylyanorum
--Venne anche Sokratynos da Munypuzos. Offrì tantissima roba di quella fatta in casa.
<< La mia filosofia, la bedda filosofia mia,
avrà successo in questa minkia di terra mia?>> chiese.
<< Mancu pi la puntidda di lu to kazzu.
E megghiu ca scrivi di pilu e di pilazzu>>.
Sokratynos Phylologos s‟inkazzò un casino.
<< Ma come ti permetti, oracolo pazzu e iarrusu.
Io sono uomo d‟onore e no nu cosa fitusu.
Io scrivo di filosofia , di filosofia ranni.
E no di li cosi ca stanu dintra li mutanni>>.
<< Sei solo un filosofo di pilo, testa di kazzu ranni,
pirchì la minkia è sempre na li to dumanni>>.
<< Minkia, ver‟é>> esclamò il filosofo.
E si sukò na dose massiccia di minkiajuana. Detta da lui anche “erba dei filosofi”. E
poi si pose una nuova domanda.
<< La vita è una, come la minkia, e se non è un piacere vivere con filosofia e avere
una filosofika minkia, a che minkia serve vivere filosofikamente e avere una minkia
filosofika?>> era una delle tante varianti della domanda per cui era famoso il
filosofo Sokratynos da Munypuzos. Ma ci trasi Sokratynos Phylologos col pilo? Ci
trasi. Perché nelle sue domande filosofike ci stava sempre la parola “Minkia “.
--Minkia, ma pirchì nelle mie domande a minkia ci sta sempre la parola “minkia”?
Minkia, ma pirchì alle mie domande a minkia non ci sta mai na risposta, magari a minkia?
Attribuita a Sokratynos
--Intanto morì Minosse. Nel suo girovagare di corte in corte Minosse finalmente l‟avia
trovato. Quel cornutazzo dell‟architetto e altro, Dedalo, era da Cocalo. Anche se non
l‟avia visto era là. Perché Minosse a tutti addomandava la stessa cosa. A tutti poneva
lo stesso problema. Un problema che solo Dedalo poteva arrisolvere.
<< Come si fa a far passare un filo attraverso una conchiglia a spirale>.
E dava a tutti la conchiglia e il filo. Ma Cocalo fu l‟unico che gli restituì la conchiglia
con dentro il filo.
<< Minkia. Per Apollo e i suoi apolloni e anche per il mio amico Koglio e i suoi
koglioni. Dedalo è qua>>. Infatti era in quella corte. Occasionalmente. Di solito
viveva alla corte di Agamynkyone. Pare che Dedalo, per risolvere il quesito, avesse
fatto un piccolo purtusiddu all‟estremità della conchiglia spiralizzata e poi, legando il
filo a una formica, avia concluso l‟impresa.
<< Per Apollo e i suoi apolloni, per i suoi Colleghi e i loro collegoni. Dammi Dedalo,
dammillu. Altrimenti faccio un macello, una battaglia, una guerra>>.
<< No>>.
La città fu posta in stato d‟assedio. Cocalo capì di essere in uno stato di inferiorità. E
giocò a suo modo. Giocò d‟astuzia. << Vieni a cena, facciamo pace. E poi ti pigli a
Dedalo. Te lo dugno con l‟inganno e tu ne farai quel minkia che vorrai>>.
<< Obbedisco e vengo>> rispose laconico Minosse contento per aver finalmente
trovato Dedalo.
<< Ti propongo prima di mangiare un bel bagno caldo con le mie tre figlie, in segno
di ospitalità. Loro ti terranno compagnia e ti massaggeranno tutto. Solo massaggi con
le mani, le tette, le natiche e la lingua. Altro non possono fare. Vergini sono e vergini
devono restare>>.
<< Obbedisco e mi faccio il bagno>> rispose laconico Minosse pensando di essere
massaggiato da sei mani, sei tette, sei natiche, ma soprattutto pinsannu a tre bocche e
tre lingue pronte a contendersi la sua ciolla regale un po‟ vecchietta ma ancora capace
di fare bella figura a letto. E s‟immerse nella speciale vasca costruita da Dedalo. Poi
fu massaggiato a tutti i livelli dalle tre ragazze che prima di immergersi si erano
strofinate sul corpo una crema detta “Atermica”. Infatti dalle condutture iniziò ad
uscire acqua sempre più calda.
<< Minkia, ma troppu caura è>> disse Minosse.
<< Minkiate dici, e che sei eccitato e tieni cauru. E cauru ciollesco, cauro di
minkia>>.
Minosse sentiva sei mani che lo arriminavano. Vedeva sei seni superbi ballare
davanti ai suoi occhi Vedeva tre lingue dare segnali inequivocabili. Si sentiva in
paradiso. Anche se l‟acqua era troppa caura e in realtà ci paria di stare all‟inferno.
<< Sarà, ma a mia mi pari troppu caura. Mi sento cuocere i koglioni e la minkia, mi
pari ca tegnu du ova bolliti e una sasizza cotta al vapore>>.
<< Minkiati. Re bello, è la tua ciolla tisa che genera calore. Anche noi siamo immerse
nella stessa vasca. È il famoso effetto detto Minkiatermogenesi>>.
<< Vero? Ma! Sarà? A mia mi pare che bolle. E se bolle vuol dire che la temperatura
è a cento gradi Archimedoni. Mi sento che sto per diventare un re bollito>>.
<< Balle, siamo noi che facciamo le bolle, cu li nostri pirita. Il piritomassaggio fa
bene alla pelle>>.
<< Sarà, ma io mi sento un re sempre più bollito>>.
<< No, ma la tua ciolla forse sì. E già nu pezzo di sasizza cotta>>.
Una delle figlie di Cocalo la staccò e si la mangiò. Minosse oramai ci vedeva poco.
Anche il cervello bolliva. A vapore, ma stava cucennu puru iddu. L‟autra figlia
invece staccò le palle. Se ne mangiò una e desi l‟autra a quella che ancora non aveva
assaggiato niente. Così, conversando conversando, Minosse cripò bollito. E
naturalmente , conversando conversando.
Iddu fu mangiato dalle tre figlie di re Cocalo.
--Nella grotta accanto a quella dell‟oracolo di Munypuzos abitava, oramai in pensione,
il vecchio Tiresia. Profeta dalla vita avventurosa come pochi. E non avendo una
minkia da fare pensava sempre alla sua vita stran‟assai. Nato mascolo si era goduto
alla grande la sua mascolitudine. Era profeta ma ci piacia il pakkio in tutte le salse e
varianti. O meglio, gli era piaciuto. Era stato un profeta pakkiofilo. Adesso anche la
minkia era in pensione. A parte qualche espluà si riposava l‟aceddu mentre il
ciriveddu dell‟oracolo impazziva. Tiresia non aveva mai amato il piatto fisso a cui
erano obbligati gli uomini che pigliavano moglie.
<< Mangiare sempre lu stissu piattu, iu vi l‟haiu dittu,
fa passari a qualsiasi minkia di futtiri lu pitittu.
È bello e giusto cangiari spissu la bedda pignata,
anche se alla fine la ciolla sempre là veni fikkata.
Ma se unu pi disgrazia teni na minkia di mugghieri
nun poli sulu e sempri iri a zappari peri peri.
Invece chi nun si pigghia na minkia di moglie
poli futtiri alla sanfasò e a iosa, e levarsi tutte le voglie.
La minkia è anarchica, apolide, atea, amorale.
E a la minkia ci piaci sulu fari la minkia in generale.
La mogliere per la ciolla male assai e ranni è.
Meglio essere senza moglie e futtiri a tinchitè>>.
Tiresia era poi addivintatu femmina per sette anni; e poi di nuovo mascolo. La prima
metamorfosi era avvenuta quannu attruvati due serpenti in amore ammazzau la
fimmina con un colpo di bastone. Ammentri ca la serpentessa spirava iddu si intisi
siccari l‟aggeggio e crisciri du minnazzi. Praticamente si trasformau in femmina bona
assai. Pianse la perdita del citrolo ma poi scoprì i piaceri della filazza. Se con il
citrolo doveva darsi da fare per trovare una nuova citroliera con la filazza di aceddi
che volevano infilazzarsi ne trovava a iosa. E poi, se il citrolo aveva dei limiti, la
filazza non si stancava mai. Era stato femmina kazzofila assai assaissimo. Kazzofila
instancabilissima.
<< Dari è difficili, ricevere è facili. E il mascolo deve dare, la femmina invece deve
solo ricevere>>.
Passati sette anni attruvò di nuovo una coppia di serpenti che fottevano.
<<E se stavolta ammazzo il mascolo che succede?>> pinsò.
Essendo indovino si desi la risposta in automatico. Ammazzò il mascolo; e in un
amen ci svuncianu li minni e ci crisciu l‟aceddu.
Adesso era lì che pinsava :
<< Ahhhh.. se avissi ancora la bedda filazza
sicuramente acchiapperei qualche minciazza.
Invece cu sta cosa babba ca penni inutilmente,
magari ca acchiappo nu pakkiu, poi nun fazzu nenti>>.
Pinsava sti cosi quannu visti nu messaggero arrivare di corsa.
<< Veni all‟Olympazzo, di cursa, ca Zeus e Era si stanu strarriannu comu lu cani cu
lu iattu e vonu ca tu ci devi , per esperienza, dari la sentenza>>.
<< Io a lu capodio e alla sua signora?>>.
<< Sì >>. Na vota ca si attruvau al cospetto del padre padrone e relativa consorte
ascoltò con deferenza sommissima.
<< Tiresia bello, io mi consento di chiederti, e tu mi devi dare la risposta qualunque
essa sia, mi consento di addomandarti, a tia che sai cosa vuol dire fare il mascolo col
meccio e la femmina colla filazza, di dirmi papale papale se quannu si futti ci prova
chiù piaciri il mascolo o la femmina. La mia signora sostiene che il piacere mascolino
è più grande di quello femminino. Io sostengo all‟incontrario. Ma tu dicci chi è che
teni ragione. Io mi consento e autoconsento di accettare il tuo verdetto qualunque
esso sia, perché è giustifikato dall‟esperienza di essere stato maskulu con la ciolla e
femmina con la filazza >>.
<< Kazzo. Ma è facile la risposta. Il piacere della femmina è un milione di volte chiù
granni di quello del mascolo. La femmina dintra la funnacella avi una reti di cellule
del piacere che s‟irradiano in tutto il corpo e una volta stimolate si mettunu a ballare
na specie di tarantella automatica che nun finisci chiù. Lu maskulu, chisti cellule del
piacere, li teni sulu sulla cappella del pene, sulla koppola della minkia, per dirla in
dialetto. Perchè mentre la femmina è tutta una estensione fisiologica del suo stikkio,
l‟uomo, a parte la punta dell‟aceddu, è sulu carni di basso macello. Pensa all‟affari,
alla politica, alla guerra. Poi di punto in bianco la minkia ci arrimodda e finisci tutto.
Invece la femmina, volendo, può sempre arricevere. Vita natural durante poli sempre
fikkare. “La fimmina vulennu si poli fari tutti li maskuli di lu munnu, a lu maskulu ci
arrimodda tuttu dopo qualche kunnu” dicevano gli antichi. E io giustifico così il
passaggio dalla società matriarcale a quella patriarcale. Vista le infinite possibilità del
kunno era meglio farlo gestire ai mascoli con leggi, leggette e minkiate e minkiatelle
varie>>.
<< Ahhhh.. bella spiegazione e bella risposta? >> risposero Zeus e signora.
<< O accussì o kazzi>> aggiunse Tiresia <<Io preferirei essere una vecchia. E
avennu li soldi mi paiassi nu beddu buttanu pi farimilla fikkari. Invece l‟aggeggio
arrimuddò e nun ci sunu piccioli ca lu mettunu additta. Ogni tanto ci riesco, ma è
assai assaissimo faticoso arrivari alla sciuta del latte di brigghiu. Ma prima quante
operazioni devo fare. Ci vonu due margherite vergini di Pisticci, una rosa ermafrodita
di Minkiaekunnu, l‟olio di quattro olive nere di Atene e tri pila di kunno rossiccio di
Erice. Poi bisogna tritare il tutto e stricare la miscela sulla parte interessata. E poi
aspettare il miracolo della rinascita recitando la litania dell‟aceddu di lu diu Urano. E
se questo miracolo avviene bisogna sbrigarsi a fare il fikka-fikka, perché altrimenti
quello magari arrimodda presto>>.
<< Ahhhh…>> rispose Zeus che come dio nun avia problemi di minkia impotente. A
parte quando viria o sintia a Pryapo.
<< Meglio fimmina ca maskulu. Male ca va, una fikka con un bel citrolo frisco.
Oppure si accatta il Sosia che va tanto di moda>> aggiunse Tiresia.
<< Comunque il citrolo, volendo, pure un mascolo si lu poli fikkare in kulo. E forse
alla fine è meglio un citrolo in kulo che niente. Tra l‟altro il citrolo costa pikka e va
bene per fare fikka-fikka>> disse la gelida e impassibile Era. Zeus e Tiresia la talianu
come due babbi. Zeus rise del citrolo ma Tiresia ci fece un pensierino.
--Cronaca pilusa, pilo per pilo e minkia per minkia, ma anche ciolla per ciolla,
kazzo per kazzo, mentula per mentula, cicia per cicia del matrimonio di Helena
e Mynkyalao con annessa minkia di Paryde e non solo quella. Ovvero dalla
minkia maritale di quel minkialenta di Mynkyalao alla minkia amorosa di
Paryde passando attraverso una serie di vere minkie più o meno portentose,
compresa quella di Pryapo, più qualche minkia finta . Ovvero il “tur delle
minkie e non solo” di Helena. Detta Helena di Munypuzos prima e Helena di
Purceddopolys poi. Ma conosciuta da tutti come Helena la Troia.
--Arrivò il giorno del matrimonio. Lu iornu di lu sposalizio. Lu teatro per eccellenza.
Prima si recita in pubblico, per la gioia del mondo; poi si recita in privato, per la gioia
della ciolla e del pakkio. E se il pakkio può recitare anche sul palcoscenico chiamato
“letto”, la ciolla può non farcela. Se manca l‟ispirazione, se non ci sta il pititto, son
problemi grossi, in quanto il coso non s‟ingrossa. Ecco pertanto che le più grandi
tragedie avvengono il camera da letto. Si alza il sipario sul mondo e va in onda il
matrimonio. Si abbassa il sipario in camera da letto ma non s‟alza il protagonista. E
allora son kazzi da kakare.
“Lu iornu di lu sposaliziu lu sposo si leva lu sfiziu, lu iornu di lu matrimoniu la
sposa canusci lu demoniu” diceva una massima popolare di Munypuzos.
Per alcuni, anche allora come ora, al matrimonio si doveva arrivare vergini. Almeno
ufficialmente. Ma la cosa, allora come ora, non succedeva quasi mai. Innaturale era e
antibiologica anche. A parte gli adepti di qualche setta, la verginità era una
grannissima minkiata. Anche se la gente si sposava giovanissima, ognuno dei
maritanti era generalmente aperto a tutte le esperienze. Specialmente il maskulo, che
se non aveva fatto la giusta esperienza col suo aceddu, poi lassava insoddisfatta la
moglie. E la moglie si cercava subito una nuova minkia. Mentre il marito, a causa
dell‟inesperienza della moglie, si cercava quasi sempre una fimmina sperta di pakkio
e altro.
<< Come minkia si usa il portuso? Quannu si sazia sta ucca affamata di minkia? >> si
domandavano i maschi incompetenti. Ma anche la fimmina, se era babba di li cosi di
pilo, lassava l‟aceddu infelice. Delle volte non riusciva manco a farlo decollare.
<<Qual è la giusta manutenzione della minkia?>> si domandavano le femmine
inesperte. Ma generalmente anche la moglie aveva fatto le sue. E c‟era anche il
suddetto detto popolare. Ma in realtà, cosa buona e giusta, lo sfizio si lu luvavunu
subito o quasi. E quella cosa che qualcuno chiamava “demonio” di demoniaco non
aveva un kazzo. La minkia non era il demonio, e il pakkio non era il Tartaro.
--Comunque arrivò il giorno del matrimonio di Helena con Mynkyalao. “Il matrimonio
del secolo” dissero tutti. Qualcuno addirittura del millennio. Tra mortali e immortali
nun si capia na minkia. C‟erano in passato stati i sontuosi matrimoni di Teti e Peleo e
quello di Cadmo e Armonia. Questo comunque era un evento. Helena, figlia del
capodio Zeus, si maritava. Tutto si svolse nel palazzo reale di Munypuzos e nei suoi
giardini pensili. Celebrò Zeus in persona. Tutto allicchittiato in pompa magna e
assistito da Eros e da Pryapo. Il desiderio dell‟amore il primo, la sua concretizzazione
il secondo. Helena, bell‟assai nella sua vistina trasparenti assai, fu addichiarata
moglie di Mynkyalao, ca mischinu, pi la prescia di fikkari, tinia nu vunciazzuni sutta
la corta tunica. Eppure prima aveva fatto quello che aveva fatto. Quannu idda ci dissi
“Sì“ pi la gioia Mynkyalao vinni automaticamente. Gioia per modo di dire.
<<Helena è mia, mia tutta. Del resto mi ni futtu una minkia e così sia>> pinsò
Mynkyalao. Nessuno visti la macchia umana, ma in tanti intisiru il ciauro di simenta
maskulina diffondersi nell‟aria. A dire il vero si pisciò pure Helena. Ma non per il
pititto dell‟aceddu maritale, bensì per la gioia che alle femmine duna il matrimonio.
<< Sugnu regina e tengo na la vanedda una minkia reale,
bella , tisa , poco disponibile, e con una corona speciale.
Ma tengo pure l‟amante, ca è un principino reale,
e tiene na minkia ca mi duna nu piaciri celestiale>> pinsò Helena.
Paryde, invitato tra gli invitati, ebbe anche lui la sua erezione.
<< Iddu ci la fikka tra poco e io che faccio? Da solo cu la me ciolla ioco? Da solo
mi sparo lu iocu foco?>> pinsò Paryde. Ma a dire il vero l‟erezione l‟ebbero tutti i
maskuli presenti. Le femmine invece invidiarono Helena sia per il ruolo di moglie
regina che per quello di amante soddisfatta.
<< Pititto di consumare il matrimonio ufficialmente. Pirchì già consumato fu>>
dissero alcuni commentando l‟odore. E tutti a dire che si trattava di una recita. Che
quel matrimonio era un teatro, una recita, una sceneggiata, fors‟anche una commedia
che però putia trasformarsi in una colossale tragedia che storici, poeti e scrittori
avrebbero tramandato ai posteri.
<< Si comincia cu lu re ca la metti in kulu a la regina e si finisci cu lu re ca la metti
in kulu alla popolazione cina cina >> dicevano certi nemici della monarchia.
<< Ma nu fattu è sicuru, qualche volta pure lu re la piglia in kulo>> aggiungevano i
nemici acerrimi della monarchia.
Per tramandare ai posteri la storia del matrimonio erano presenti Homeryno
Homokulum e Mhaxymylyanum Mhaxymylyanorum da Munypuzos. L‟uno scrivia
in greco, l‟autro in latino. Ma la gente capia pikka sia l‟uno che l‟autro. E ci stava
naturalmente pure quel curtigghiaru dello scrittore Paulorum Santhokrysos, lu
scrittore di cosi di pilo, che nun sapennu né le grecu né lu latino e a dire il vero
ignorando magari l‟italiano, si era misu a scrivere in dialetto. Ma sulu su fatti di pilu.
Homeryno Homokulum pinsò di scrivere il Poema Helena sposa Mynkyalao
pensando a Paryde. Mhaxymylyanum Mhaxymylyanorum pinsò di mettere mano a
un Carmen intitolato Il kunnus di Helena sposa la mentula di Mynkyalao ma desidera
la verga di Paryde. Lo scrittore piluso Paulorum Santhokrysos pinsò al romanzo Lu
pakkiu di Helena dice sì alla ciolla di Mynkyalao ma addesidera la minkia di Paryde.
E non poteva mancare il filosofo Sokratynos Phylologos, il filosofo della minkia, con
le sue domande a kazzo di cane: << La vita è una, come la minkia, e se non è un
piacere vivere senza sposarsi e avere una minkia felice senza una moglie che te la
rende infelice, a che minkia serve vivere infelice e maritato e avere una ancora chiù
infelice e maritatissima minkia che se ne fotte del pakkio maritale?>>.
Ma si chiese anche: << La vita è una, come la minkia, e se non è un piacere vivere e
avere una libera minkia, a che minkia serve vivere per sposarsi e avere una minkia in
gabbia e priva di libertà ?>>.
Ma la più bella sul matrimonio o sulla stupidità del matrimonio fu questa : << La vita
è una, come la minkia, e solo i fessi, per i quali non è un piacere vivere liberi e avere
una minkia libera, si maritano per avere una minkia sistemata e il diritto matrimoniale
alla fikkata assicurata, e allora io mi chiedo “ma a che minkia serve vivere e avere
una minkia che fikka per dovere”? >>.
--Arrivò, come detto, il giorno del matrimonio. Lu iornu di lu sposalizio. E un
matrimonio è anche l‟occasione per parlare di fatti di pilo. Perché il matrimonio è
basato sul pilo. Sull‟uso del pilo. Pilo autorizzato però. Pilo legale. Pilo benedetto.
“Pilo pilorum. Pilinu pilazzu. Pilu di stikkio e pilu di kazzu”.
<< La gente arriva al matrimonio per il pilo, poi continua a stare sposata per il pilo,
ma alla fine divorzia quannu tra il pilo maritale si inserisce qualche pilo estraneo.
Perché il pilo nuovo attizza di chiù >> sosteneva lo scrittore Paulorum Santhokrysos
che pensava di scrivere il romanzo I promessi sposi che fikkavano ufficiosamente da
promessi finalmente si sposano e possono ufficialmente fikkare da sposati per il
dovere e ufficiosamente fikkare con gli amanti per il piacere.
E siccome a un matrimonio nun si poli fare a meno di curtigghiari anche in questo si
curtigghiò. Si curtigghiò su Helena e sui suoi amori, su Mynkyalao e la casa regnante
di Munypuzos. Si curtigghiò dell‟amicizia intensa nata tra la bella sposina caura di
stikkio e il bel Paryde cauro di ciolla.
<<E‟ n‟amicizia assai pilusa, iddu cu lu stuppagghiu ci antuppa li purtusa>>
commentarono in tanti. Si curtigghiò sugli dei in genere e naturalmente anche e
molto sui mortali. E naturalmente si curtigghiò molto assai assaissimo su Pryapo che
per l‟occasione sfoggiava per la prima volta il suo nuovo lukki. E se un matrimonio è
fonte naturale di pettegolezzi spettegoliamo nu tanticchia anche noi. E che kazzo!
I costumi era perfetti, eleganti, sontuosi, spettacolari. Helena indossava un elegante
Armani molto ma molto sensuale. Mynkyalao un trasgressivo Versace da cerimonia.
Aphrodyte un focoso rosso da sera di Valentino che metteva in evidenza il suo essere
Kallipigia, Kalliminna e Kallikunno. Paryde era tutto allicchittiato da uno stupendo
Dolce & Gabbana che evidenziava la sua carica erotica di picciotto in piena tempesta
ormonale. Alcmhona indossava un sensazionale Cavalli che la rendeva chiù bella di
quello che era. Zeus addirittura era in Paciotti e al collo portava il famoso rosario col
suo pendente. Era aveva scelto un abito nero anonimo in segno di lutto confezionato
dalla “Premiata Sartoria Ciccina e Ciccinedda”. In fondo quella che si sposava era la
figlia dell‟amante di suo marito. Leda, la bella amante di Zeus, sfoggiava un
sofisticato Gattinoni. Pallade Atena e Artemide indossavano una semplice tunica
bianca anonima come segno della loro purezza e verginità, tunica prodotta dalle
Sacerdotesse della Castità Moltiplicata. Ares esibiva un lussuoso Ferrè. Dyonyso,
amante dei viaggi, aveva scelto un abito con le carte geografike di Martini. Efesto,
tanto per non dimenticare il rosso fuoco dell‟Etna, era tutto in rosso pompeiano di un
suo amico di Munypuzos. Eros si era infilato in un coloratissimo Coveri. Castore e
Polluce si erano vestiti allo stesso modo, indossavano il marchio giovanile Sonny
Bono. Odisseo sfoggiava un meraviglioso Moschino. Enea indossava un classico
completo da eroe con tanto di reggiballe in quanto tinia un peso insopportabile nei
koglioni. Tinia, mischineddu, due koglioni quanto due cipolle di Giarratana. E
camminava pertanto a gambe larghe. Con lui il vecchio Anchise e il piccolo Ascanio,
e naturalmente la moglie. Tutta la famiglia indossava abiti artigianali confezionati
dalla sartoria “Maruzzedda & company”. E anche gi altri erano elegantissimi.
Agamynkyone però indossava il costume reale, accussì anche la bella Fikennestra.
Ifikanya invece mostrava tutta la sua bellezza con una tunica trasparente ma
eroticissima che esibiva una curiosa scritta “Grazie zio”. Trasgressivo Mynkyoreste
in compagnia del suo Pilade, entrambi in Gucci. Trasgressivi anche Patroclo e
Achylle in Lauren. Serio e anonimo era invece il vestiario di Elettrakunnus e
Kunnotemi. Tradizionale stile Purceddopolys per Pryamo, Ekuba e gli altri loro
figli. Homeryno indossava un tradizionale abito di stile greco corto assai,
Mhaxymylyanum Mhaxymylyanorum il tipico abito latino e Santhokrysos il
completo tipico di Munypuzos. Sokratynos si era vestito in modo filosofico. Cioè, a
minkia di cane. Anzi, a minkia di filosofo. Ma se questo lo vedevano tutti, non tutti
sentivano le frasi acide che commentavano il tutto.
<< Matrimoni, che rottura di koglioni>> dissero in tanti.
<< Lo sposalizio è l‟anticamera del divorzio>> dissero altri.
<< Helena, rimembri ancora quannu la mia ciolla ti somministrai? >> disse piano
pianissimo un misterioso invitato.
Ma quello che fece più scalpore fu Pryapo. Indossava un completo di Gaultier che
metteva il evidenza la sua struttura anatomica con una sorta di cilindro piazzato
davanti al pistone di carne e due cilindretti piazzati davanti al seno. Nello stesso
tempo l‟abito elegante e curioso lasciava scoperte le cosce e le braccia. E tutti
taliavano quelle cosce e quelle braccia prive di peli.
<< Ca teni la megaciolla lu sapemu, ma ca tinia magari li minni no>> dissero i soliti
pettegoli. Che intanto taliavano cosce e braccia del dio minkiuto. Per poi concentrarsi
sul portaciolla.
<< Ma chi minkia talinu? Ci paru nu fenomeno da baraccone? Ci paru un teatrante da
teatro? Chi minkia mi talinu a fari? La mia specialità è nascosta. Lu sacciu ca a tutti
ci piacissi taliari la mia ciolla. Ma idda è nascosta anche se esibita. Minkia, chi
skassamarruna. Mi stanu taliannu li cosci e li urazza, comu se cosci e urazza da taliari
non ci ni stassunu. A parte che poi ci sunu certi fimmini ca unu ancuminciassi a
talialli cu l‟occhi pi poi mangiarisilli cu la ucca e infini addubballi cu la minkia>>
disse Pryapo chiacchierando con Narciso e Adone che erano vestiti come lui.
Solo che il cilindro minkiolesco era molto ma molto più piccolo. Golia e Davide ,
tanto per citare altra mitologia.
<< Talinu la tua biddizza e non solo la tua sasizza. Talinu l‟una e vorrebbero
l‟altra>> risposero Narciso e Adone.
<< Perché, adesso bello addivintai?>> chiese ironico Pryapo. Che però sulla bellezza
ci marciava.
<< Certamente e sicuramente. Da quannu pirdisti lu pilazzu addivintasti nu beddu
maskulazzu>>.
In effetti tutti lu taliavano a Pryapo. A parte la mise stravagante, a parte quattro
Menadi, bone e chiù nude ca vestite, che lo accompagnavano, a parte la caratteristica
anatomica che lo rendeva celebre, a parte il desiderio inconfessato di tutti, al di là del
sesso, di sbirciare almeno una volta la protuberanza delle protuberanze, il fatto vero,
reale e concreto, per cui tutti lo taliavano, era che Pryapo, da brutto e racchio
qual‟era, era diventato bello. E questa era la prima occasione pubblica in cui il dio dal
palo rosso e sempre eretto si ammusciava pubblicamente. Neanche il padre Dyonyso
e la madre Aphrodyte lo avevano ancora visto. Solo Adone e Narciso sapevano la
verità. Solo loro conoscevano la nuova versione di Pryapo.
--Pochi giorni prima del matrimonio Pryapo era andato, con i suoi amici , nel centro di
bellezza gestito da Narcisa. E lì si era fatto spilare pilo per pilo.
Narcisa a vidillu si era messa le mani nei capelli.
<< Tutto ama scippari? Tutti l‟haia a spilari chissi cosci?>> aveva chiesto taliando le
gambe dello sconosciuto accompagnato da suo fratello Narciso.
<< Tutto, tutto, tutto quello che vedi e anche il resto>> aveva confermato Pryapo.
<< Tutto, tutto. E non sai quello che ci sta sotto la tunica>> avevano aggiunto
Narciso e Adone. Scoperta poi l‟identità del cliente Narcisa e le sue assistenti erano
andate in brodo di giuggiole. Non vedevano l‟ora di vederlo nudo per contemplare il
sacro palo rosso sempre eretto.
<<Minkia, per Zeus e i suoi zeussoni. Minkia, che kazzo e che koglioni>> pinsarono
tutte nel vederlo. Pryapo si era disteso su una sorta di lettino nudo e con l‟aggeggio
disteso sulla pancia e oltre.
<< Si la poli ciucciare da solo>> pinsò Taide che amava la fellatio. Comunque, pilo
dopo pilo, l‟operazione era durata una giornata intera e aveva coinvolto Narcisa e
quattro sue assistenti. Una si era dedicata alle gambe, una alle braccia mentre Narcisa
ci scippava li pila di davanti. Acuminciau da lu pettu per poi arrivare al biddico e
quindi all‟area circumkazzica.
<< E le altre due assistenti che facevano?>> si chiederà qualcuno.
<< Da buone assistenti, assistevano la ciolla del dio, spostandola, a seconda dei casi e
delle necessità, a ovest, a est, a sud, o a nord >> vi racconto io.
Comunque l‟operazione iu avanti facilmente e tranquillamente anche se Pryapo, ogni
tanto, facia “Ahi“ più per gioco che per altro. Ma la cosa più strana fu che
procedendo la spilatura successe il miracolo. Pryapo incominciò il tutto che era lario
e alla fine vinni fora che era un picciotto bello. N‟autro Narciso . N‟autro Adone.
Solo con una minkia più grande. L‟unica cosa mostruosa, ma di un mostruoso
piacevole, era pertanto la sua ciolla eretta. Ma quella era già spilata di suo come il
kulo.
<< Minkia, che beddu>> dissero le assistenti appitittate.
<< Minkia, che beddu, pari n‟autru>> disse Narcisa estasiata.
<< Minkia, che beddu, mancu iddu pari>> dissero Adone e Narciso adoranti e
contemplanti.
<< Minkia, che beddu. Ma cu minkia è chissu maskulu biddazzu cu na minkia quantu
la mia?>> chiese Pryapo taliannisi na lu specchiu d‟argento.
<< Ma si tu>> ci dissero gli altri.
<< Iu sugnu? Ma se ero lario? Chi successi? Nu miracolo? Dopotutto mi sono solo
spilato. Possibili ca livannisi quattro, per modo si dire, pila fitusa, si addiventa
bellissimi?>>.
<< Sì>> risposero tutti in coro.
<<Allora abbasso li pila e viva il pilo. Addivintai beddu e voglio fare solo e sempre
più fatti di pilu ma senza aviri mai più un pilo. Minkia chi sugnu beddu. Beddu,
beddu, beddu. Biddazzu di la punta di li peri a chidda di lu kazzo. Beddu, beddu ca pi
la gioia staiu...>>. Manco in tempo di finire la frase che il rosso palo eretto iu in
eruzione, e annaciau tutti i presenti. Che risero e si ittanu sulla sacra fontana.
<< Beviamo lu latti di brigghiu di lu diu ca porta fortuna>> disse Narcisa.
<< Fortuna porta>> dissero le assistenti,
<< Fortuna nei fatti di pilo e d‟amore>> aggiunsero Narciso e Adone.
E ci lu alliccanu ca na stizza di simenta non arristò. Pryapo era contentissimo. Si
susiu e si mise a sautare stanza stanza. Iddu abballava ma la sua ciolla facia un
balletto che era uno spettacolo. E cantava: << Kalos kagathos, kalos kagathos. Il bello
e il buono sono io. Io sono kalos. La mia mentula è kagathos. Io sono il bello e la
mia minkia è il buono>>. E ballava davanti allo specchio d‟argento. Anche gli altri si
misero a ballare. E ballannu ballannu si spugghianu. Orgetta fu. Tutti ingignanu il
nuovo Pryapo, e Pryapo fece il suo primo sesso da maskulazzu beddu. Uscito dal
locale non fu riconosciuto da nessuno. Passiava ma nessuno lo riconosceva.
<< Minkia, ma cu è chistu maskulazzu beddu>> diceva la gente.
<< E bello come un Apollo, ma davanti teni una ciolla spaventosa>>.
Pryapo, nella sua testa, si ripeteva mnemonicamente fino all‟ossessione la solita
identica frase “Minkia chi sugnu beddu, e non solo di kulu e d‟aceddu“.
Quella notte la passò davanti allo specchio a taliarsi e contemplarsi. A minarisilla e a
ricontemplarsi e poi a riminarisilla e poi ancora a ricontemplarsi. Era talmente beddu
ca si eccitava in continuazione. Anzi, si autoeccitava. La notte trascorse tra minate e
autopompini. Ma non era mai soddisfatto. L‟eccitazione non diminuiva bensì
aumentava. Voleva correre dalle Menadi ma poi decise che doveva aspettare
l‟occasione ufficiale per manifestarsi.
<< Vedranno la mia cotanta bellezza e resteranno abbagliati>> pinsava.
Intanto voleva fikkare. Aveva pititto di fare sesso. Ma non poteva uscire. Voleva
aspettare l‟occasione ufficiale. Poteva correre in qualche lupanare ma una volta
arriconosciuto la voce si sarebbe sparsa. Maledisse se stesso perchè non aveva
permesso a Narciso e a Adone, che volevano restare, di fargli compagnia. Ma lui non
aveva voluto. Adesso erano kazzi suoi. Poteva avere due kuli e due bocche e invece
aveva solo le sue mani e la sua bocca. Si la minava alla sanfasò e si la sukava a tutta
forza, ma la minkia era sempre al massimo dell‟eccitazione. Ma lui voleva un buco.
Alla fine trovò la soluzione. Forzò la sua ciolla, che aveva una certa elasticità, a fare
un curva strana, e alla fine ci riuscì. E puntata la koppola contro il suo kulo si
autosodomizzò. Era quasi l‟alba quannu si addormentò. L‟alba del “dì delle nozze”.
---
E arrivò il giorno del matrimonio di Helena con Mynkyalao. E quella era anche
l‟occasione ufficiale per sfoggiare il nuovo Pryapo. Addormentandosi, la sera prima
del matrimonio, cantò piano pianissimo. La “sera” per modo di dire. S‟era
addormentato all‟alba.
<< Ubriaco son io. Sono bello più di un pochettino.
Ogni stikkio sarà sempre mio. E io lo posso ichiavardar.
Perché alfin, se si parla del kazzo mio divino,
quel che mio io lo posso far scopar>>.
Mhaxymylyanum Mhaxymylyanorum da Munypuzos celebrò la cosa nel Carmen
XXXIII, dedicato a quella notte di autopassione di Pryapo.
<< Turpe quidem factu, sed ne tentigene rumpar,
falce mihi posita fiet amica manus..
Turpe a farsi, certo, ma per non crepare di libidine,
deposta la falce, mi servirò della mia cara mano>>.
--Pilo dopo pilo, veni fora la biddizza sana sana.
Pilo dopo pilo, pure l‟aceddu esce dalla tana.
Pilo dopo pilo, anche i koglioni diventano una spettacolo sano sano.
Pilo dopo pilo, pure il buco del kulo esce dal suo mistero arcano.
Socratino
--Arrivò, come già detto, il giorno del matrimonio. E pertanto parliamone nu tanticchia.
Tanto per dire qualche cosa. Per fare la cronaca giustissima e onestissima del
matrimonio di Helena e Mynkyalao. “Curtigghiamu a minkia ranni prima ca li sposi
si scippunu li mutanni” diceva un detto popolare di Munypuzos. Al palazzo reale
affluivano gli invitati. Tanti uomini e tanti dei. I curiosi e i pettegoli, lungo il
percorso, taliavano come babbi allucinati, scemi specializzati, ciolle e fike appitittate.
Il matrimonio era stato celebrato secondo il rito Priapico-Munipuzico. Momento
cruciale della cerimonia era stata la domanda fatta dallo ierofante, in questo caso il
Theos Maximus Zeus in persona, che aveva chiesto agli sposi: << Vuoi tu , kunnus
di Helena, la figlia mia bella, pigliare come tua ciolla personale la qui presente
mentula di Mynkyalao?>>.
<< Sì, la voglio, nella sua totalità e nella sua particolarità>> rispose Helena a nome
suo e della sua fika. Ma chiudendo gli occhi vide la “Gioconda”.
<< E tu, mentula di Mynkyalao, il genero mio, vuoi pigliare come pakkio personale
la qui presente muni di Helena?>>
<< Sì, la voglio, nella sua totalità e nella sua particolarità>> rispose Mynkyalao a
nome suo e della sua minkia. Ma chiudendo gli occhi vide la fika di Ifikanya. Vide la
sua Domus mentula.
<< Allora scambiatevi le koppole e le koppolette>>.
Lo “scambio delle koppole e delle koppolette” era il momento cruciale della
cerimonia . Lui metteva in testa a lei la sua koppola, lei metteva in testa a lui la sua
koppola. Lui metteva tra le sue gambe un porta - koppoletta, lei metteva tra le gambe
di lui una koppoletta. Dopo il „Sì” papà Zeus chiagniu di felicità, mamma Leda si
commosse a livello di kunno, Castore e Polluce pinsanu di fare festa cu qualche
pakkio disponibile alla doppia penetrazione, Paryde pianse di rabbia e gelosia,
Fikennestra pinsau al marito che spasimava per la cognata ma si consolò pinsannu
all‟amante, Agamynkyone si senti già amante in carica della cognata e si la immaginò
sul suo aceddu , Kunnotemi e Elettrakunnus piansero per lo zio oramai maritato, la
finta vergine Ifikanya rise pensando che lo zio in fondo in fondo sarebbe stato solo e
sempre suo. Pryapo gioì sia per il successo personale sia perché Helena era
poliminkiofila e iddu si l‟avissa fatta volentieri, Odisseo avia grande pititto di fare
fikka-fikka e non vedeva l‟ora di acchiappare il primo kunno di serva disponibile,
Ermafrodito taliava tutti e sceglieva ora un mascolo ora una femmina, Eros vulia
tirare un po‟di frecce a caso per fare un po‟ più di casino di quello che già c‟era,
Alcmhona taliava la sposa e pinsava che tra poco quella fotteva e lei no perché
Anfistronzone non era ancora tornato, Efesto si facia in conto dei mascoli lì presenti
che s‟erano fatti sua moglie, Eolo si stava annoiando e ogni tanto ciusciava, Dyonyso
era brillo più che mai e pinsava d‟inkunnare il suo “ spirito dionisiaco” nel kunno
spilato di Aphrodyte. Idem Antigone col padre Edipo. Adone e Narciso non
vedevano l‟ora di andare a fottersi reciprocamente come aveva loro insegnato il
maestro dell‟erotismo Pryapo, il desiderio di inkularsi era anche nelle menti e nelle
ciolle Achylle e Patroclo. Ganimede invece spirava che Zeus ci facissi visita presto,
Pallade Atene e Artemide si annoiavano e spiravano presto di potersi leccare la fika
reciprocamente e strusciarsela, Era si facia il conto di quante di quelle femmine aveva
stuprato Zeus, Pryamo pinsava di festeggiare con la sua signora, tutte le sue figlie
ancora zitelle pensavano di trovare una ciolla per la nottata e intanto speravano di
essersi fatte notare da Mynkyoreste, Mynkyoreste si era taliato tutte le figlie di
Pryamo cercando di capire chi era la meno rompikoglioni per sceglierla come moglie
e intanto sperava di poter concludere la nottata con Pilade, anche i figli di Pryamo
pensavano a come procurarsi un portuso per la notte, la fresca vedova di Minosse,
Pasife, pinsava di attrovarsi una bella ciolla consolatoria per la notte. E così anche gli
altri. Ognuno avia i suoi pinseri. O di kunno o di minkia o di altro. Ma tutti avevano
comunque pensieri lussuriosi. Anche Enea, nonostante l‟insopportabile peso che tinia
nei koglioni. Tutti, tranne gli intellettuali: Homeryno, Mhaxymylyanum
Mhaxymylyanorum e Santhokrysos. Li avevano ma non li manifestavano. Per
deontologia professionale. Iddi pensavano solo e soltanto a quello che dovevano
scrivere, rispettivamente in greco, latino e siciliano. Ma questo è vero solo in parte.
In realtà, tra una pinsata e l‟autra, anche loro pensavano che dovevano festeggiare. E
che minkia!
<< Chi la minkia ha, prima o poi adenzia ci darà>>.
Al matrimonio era presente anche il filosofo piluso Sokratynos da Munypuzos che si
chiese: << La vita è una, come la minkia, e se non è un piacere vivere e avere una
minkia, a che minkia serve la partecipazione al matrimonio di un kazzo di potere con
un pakkio di lusso, se poi non puoi partecipare alla “consumazione “ del pakkio di
lusso anche con la tua minkia intellettuale che in fondo in fondo è una minkia come
tutte le altre minkie? >>.
--Arrivò, come già detto e ridetto, il giorno del matrimonio. Anzi, stava trascorrendo.
Gli invitati, cosa giusta, curtigghiano alla grande.
“Curri curri iornu beddu ca iu aspettu l‟aceddu” diceva un proverbio al femminile di
Munypuzos.
Aspetta ancora nu tanticchia ca poi avrai pakkiu a sicchia“ diceva invece un
proverbio al maschile. Comunque sminkiare sui kazzi altrui ad un matrimonio è la
cosa più bella. Se poi si poli sminkiare direttamente sugli sposini ancora meglio.
<< Helena, lo dico papale papale, ci l‟avi quantu il portone del palazzo reale>>.
<< Mynkyalao inkunna a n‟autra banna, ci piaci n‟autra minkia di capanna>>.
<< Helena è na purcedda, lo giuro sulla mia vita.
Voli sulu la sasizza del purceddopolita>>.
<< Pi mia sunu già amanti, a corte futtunu cu l‟occhi ogni istanti>>.
<< Ma quannu sunu sulu iddi, futtunu a minkia cina comu li cunnigghi>>.
<< Helena adesso è tutta presa dalla minkia del picciotto.
Idda ama solo la ciolla, la ciolla ca ci fa fare lu botto>>.
<< Helena, se putissi, na lu so kunnu, facissi trasiri tutti li kazzi di lu munnu>>.
<< E mancu a unu a unu, a pikka a pikka.
Tutt‟insieme li vorrebbe per fare fikka-fikka>>.
<< Agamynkyone pi la cugnata s‟attizza, e prestu ci passerà la sasizza>>.
<< Ma Helena voli sasizza di fora ed è naturale.
La fa sentire una strafika internazionale>>.
<< Porterà assai male sta kazzo di fika reale>>.
<< Accussì pare, ma chissà se accussì sarà?>>.
<< Chi vivrà vedrà, ma intantu biatu cu la ciolla ci dà>>.
<< Beato cu la kazzicatummulia, pirchì di iddu la minkia s‟arrigria>>.
Poi naturalmente si parlava alla sanfasò.
<< Megghiu farisi l‟abbonamento al casino pi fikkari cu na buttana ca pigghiari
mugghieri e fare della propria vita un casino continuo>> sosteneva lo scrittore piluso
Santhokrysos.
<< Il matrimonio è la catena del fallo. Phonos phallus. L‟ assassinio del fallo.
Kteinein fhallus. Uccidere il kazzo. Thuein fhallus. Sacrifikare la ciolla. Sphazein
phallus. Sgozzare il pene. Questo è il matrimonio. Solo kazzi da kakare>> diceva
Homeryno .
<< Amor oskulo signifikatur, necessitas mentula. L‟amore viene signifikato dal
bacio, la necessità dalla minkia>>.
<< To Hellenikon. “La cosa greca” si diceva del pakkio di Aphrodyte. To
Munypuzoskon. “La cosa di Munypuzos” si dirà del pakkio di Helena >> disse un
intellettuale . Per Pryapo si sprecarono le parole.
<<Phanaios. Colui che appare. Megalophyia. Naturale grandezza. Pondus et mensura.
Peso e misura >>. Ma soprattutto si discusse sull‟acquisita bellezza del dio.
<< E‟ bello come un Apollo e sessuale come un Dyonyso. La spilatura lo ha messo a
nudo. Li pila lo rivestivano come una scimmia. O nu scecco. Adesso è bello tutto. È
bello perchè nudo, veramente. È l‟espressione personifikata della bellezza maschile.
Bello. Bello sia di corpo che d‟uccello>> dissero i tanti ammiratori di Pryapo.
--Arrivò, come detto già ho, il giorno del matrimonio che tranquillamente andava
avanti. Andava verso la notte e verso i giochi pilusi, le machie sessuali. I fikka-fikka
alla sanfasò. E c‟erano anche i proverbi. “ Minkia assai aspettata, bedda assai sarà
pure la scupata”. “ Kunnu astutatu, minkia dolente, kunnu addumatu, minkia ridente”.
Ad animare la festa furono gli amici di Dyonyso: Satiri, Sileni e Menadi. Briachi
fracidi com‟erano scatenarono un bella orgia nei giardini pensili del palazzo reale.
Ma prima di scatenare l‟orgia iucanu a cottabo. Un gioco bello dalle connotazioni
esplicitamente erotiche. Uno dei banchettanti si sukava una coppa di vino e poi
lanciava le ultime gocce verso un piatto o un bicchiere pronunciando il nome della
persona con cui voleva avere un dialogo fallico o kunnico. Tutto dipendeva dalle
tentazioni, dalle voglie , dai desideri del momento, da come lo spirito dionisiaco
s‟impossessava di ciolla e ciriveddu. Intanto le suonatrici di flauto diffondevano
nell‟aria dolci note musicali, ma chi li taliava pinsava solo a mettere qualcos‟altro al
posto del flauto. Intanto i cinedi ballavano, i pantomimi mimeggiavano, alcuni
ballavano il kordax, un ballo originario della Lidia che mimava i rapporti sessuali.
Qualcuno cantava, o meglio, improvvisava licenziosi scolii, canzoni da tavola con
doppi sensi a iosa, allusioni sessuali alla sanfasò. Ma tutti fumavano minkiuna su
minkiuna. E anche i non fumatori fumavano. Ai matrimoni si suka. Sukari minkiuna
è un dovere cerimoniale. E intanto cantavano. Cantavano tutti.
Si partiva cantannu in coro: << Lì o là o su. Là o lì o su>>.
“Lì” era il pakkio, “là” il kulo e “su” la bocca.
Inizio Dyonyso: << Helena questa sera è sicuro, la piglierà finanche nel kulo>>.
Continuò Aphrodyte: << Helena l‟avi come la mia, è la gloria del kunnus e così
sia>>.
Odisseo: << Mynkyalao, senza affisa, la teni già tisa>>.
Zeus: << Mia figlia la teni spilata ed è sempre arrapata>>.
Agamynkyone: << Non perché è mio fratello, ma tiene un bell‟uccello>>.
Dyonyso: << E‟ già brillo, questo è il bello. Inzetterà dove metter l‟uccello?>>.
Achylle: << Parola di iarruso, al massimo poli sbagghiari purtusu>>.
Patroclo:<< Poli sbagghiari apposta, per cambiare sito alla sua ciolla tosta>>.
Il finale spettava agli sposi.
Mynkyalao: << La ciolla mia bella e bona è pronta a fari lampi trona>>.
Helena:<< Marito mio, sono pronta sana sana, infila lu battagghiu na la campana>>.
Ma Pryapo stavolta finì lui.
<< Pi soddisfare una si bella filazza ci vulissi la me minciazza>>.
E il coro: << Lì o là o su. Là o lì o su>>.
--Andava avanti, come già ripetutamente detto fino alla noia, o forse fino a skassarvi i
koglioni, il giorno del matrimonio. Ci fu addirittura una processione falloforica. Una
minkia enorme fu portata in processione. In solenne processione. E intanto la festa
proseguiva. Minkiate a destra e minkiate a sinistra. Più la minkia in processione.
Solo Pryapo, dei tanti partecipanti della nomenclatura olimpica, si unì ai ballerini.
Gli altri talianu e basta. Ma a dire il vero tutte le femmine taliavano a Pryapo.
<< Minkia, chi addivintau bello. Mi lu mangiassi, mi lu arrussicassi, e so pure da
dove incomincerei. Incomincerei da quella stupenda minkia. Dalla minkia
incomincerei, per Pryapo e i suoi pryaponi, che bell‟uomo e che bel minkione>>.
Pryapo ballava e ballava pure la sua ciolla. Sotto i vestiti naturalmente.
<< Nudi.. nudi.. nudi.. >> gridava la folla.
Al matrimonio, oltre all‟aristocrazia e alla divinocrazia, ci stava pure mezza
Munypuzos. L‟amico, l‟amico dell‟amico, l‟amico dell‟amico del carissimo amico e
il carissimo amico dell‟amico carissimo. Ma anche altro ci stava. Ma l‟invito
femminino era rivolto soprattutto a Pryapo. Qualcuno lo gridò senza vergogna:
<< Pryapo, sei bellissimo, mi addumi e mi infiammi dintra li mutanni. Pryapo, voglio
vederti nudo, tutto nudo, al massimo del tuo splendore>>.
Una voce di fimmina ingrifata, dallo scuro di un angolo, grido:<<Pryapo, ficchimilla
per sempre, in sekula sekulorummu>>.
Un mascolo , che si trovava in una zona protetta dal buio, gridò: << Ti darei il kulo
notte e giorno, ma mi accontento anche di una tantum. Però dammilla questa una
tantum, o magari una doppia tantum, o una tripla tantum. Ma mi accontento anche di
una sola una tantum, tanto la tua ciolla è tantum>>.
Pryapo, travolto dall‟ebbrezza alcolica, oppure dallo spirito dionisiaco di origine
paterna, si scippau li robbi a pikka a pikka. Con arte da strippimenni. A vedere quel
kulo bello, quelle cosce muscolose, quelle spalle imponenti, quegli addominali
saettanti, la folla iu in estasi. E ancora mancava il meglio, mancavano le palle e
soprattutto la ciolla. Lo strumento reale ma non democratico del più reale e
democratico dei piacerei. Quel giorno Pryapo si era messo un erotico modello di
cingiphallus.
<< Minkia, chi genti babba, stanno uscendo pazzi pi taliari la minkia di quella testa
di minkia. Magari , se putissinu , lu mittissinu al posto mio, perché secondo tanti non
deve comandare chi tiene il ciriveddu chiù granni, ca nun si viri , ma cu teni la ciolla
maggiore, che visibile è, anzi, visibilissima. Comunque beddu è e affezzionato ci
signu, ma sempre chiù smontaminkia è>> pinsò Zeus inkazzatissimo.
Pryapo da parte sua completò lo spogliarello. E quannu la ciolla fu esposta alla
pubblica visione successe la fine del mondo. Ma Pryapo non ci faceva manco caso.
Era in estasi, ma non per motivi sessuali. Semplicemente ci tinia a dimostrare a tutti
che adesso era bello. Saltava ma pinsava a se stesso. Ballava iddu e ballava la ciolla.
Ballava iddu e ballavano i koglioni. Girò, sautò, ballò, trippò assai assaissimo Pryapo.
<< Minkia, chi sugnu beddu, di lu munnu sugnu lu megghiu omino e lu megghiu
aceddu>>. E ballava nella sua totalità e nella sua particolarità. E la sua particolarità,
eccitatissima, paria in preda alla follia eroica. Sbattia ora a destra e ora a sinistra. E a
volte pigliava a Pryapo in faccia. E lui, in quel momento, si la vasava o si la alliccava.
Ma una volta che Pryapo tinia la ucca aperta la koppola della sua minkia ci finiu in
bocca. E iddu, davanti a tutti, si fece una bella auto-fellatio. Tutti lu talianu
amminkiuluti. Le femmine avrebbero voluto fellarlo loro. I mascoli avrebbero voluto
potersi autofellarsi anche loro, ma siccome la cosa era una esclusività solo di alcuni
maskuli con cotanta o cotale ciolla, non gli restava che la curiosità di fellare
qualcuno. E mentre tutti pensavano all‟arte sopraffina della fellatio, Pryapo venne.
Ma non dentro la sua bocca, venne verso il pubblico. Questo fu un segnale non
previsto né prevedibile in quella cerimonia dove tutto era stato organizzato al
millesimo. Poi successe quel che successe. E orgia fu. Orgia e fumo. Fumo e orgia. E
tanto vino divino e divino vino. Furono ciolle briache e affumate e pakki brilli e cini
di fumo ca operanu alla sanfasò, a iosa, e finanche a tinchitè.
Fu vedendo quella esibizione del dio dal rosso palo che lo scrittore Paulorum
Santhokrysos decise di scrivere in quattro e quattr‟otto Cent‟anni da Priapazzu. E di
dedicarlo a Pryapo. E di inviarlo al Pattuallopolys, che non sapia pirchì, ma ci paria
un premio del kazzo. Un premio a minkia. Un premio a ciolla. Un premio a mentula.
Ovvero, una kazzata, una minkiata, una ciollata, una mentulate. E quale omaggio
migliore per una premio organizzato a minkia, se non quello di mandarci un
romanzo a base di minkia che riminkia e imminkia all‟infinito. Era un‟opera ad hoc.
Minkia a iosa, alla sanfasò e a tinchitè tout court e full time per un premio della
minkia a iosa, alla sanfasò e a tinchitè tout court e full time. << Minkia pi minkia ci
sta proprio bene questo romanzo a minkia per quel premio di minkia>>.
--Scorreva intanto, come detto e ripetuto anche fin troppo, skassando i cabasisi e tutti
gli altri accessori, il giorno del matrimonio.
<< Taliannu la sposina veni pitittu di fikkari a minkia cina>>.
<< Taliannu lu spusu veni pitittu di fusu>>.
<< Taliannu sta carnazza ca c‟è , veni pitittu di futtiri a tinchitè>>.
L‟orgia intanto ia avanti. Gli sposi invece si infilanu nel labirinto per farsi la prima
fikkata ufficiale da marito e moglie. Proprio nel centro del labirinto era stata
approntata una lussuosa e comodissima alcova. Fu una fikkata lampo, con tutto il
sottofondo sonoro di Menadi, Satiri e Sileni che fottevano alla sanfasò. Si ni ficiru
sulu una. Poi Mynkyalao si addormentò. Non fu certamente un bel kazzicatummuliu.
Praticamente finiu a schifiu. Helena invece utilizzando il “filo magico” fici trasiri a
Paryde e si ni ficiru setti senza sciri lu battagghiu da la campana. Fu senz‟altro un bel
kazzicatummuliu. Dyonyso e Pryapo videro i misteriosi travagli di erezione del
corname reale ma si fecero i kazzi loro. E kazzulianu unni capitava capitava. Perché
Pryapo aveva coinvolto paparino nell‟orgia.
<< Inveci di taliari la minkia altrui datti da fare. Datti da fare con la minkia tua>>.
<< Ragione tiene, minkia se tieni ragione. Una minkia di ragione>>.
L‟orgia era fantastica. Un mare di fika cinu di ciolle.
Una montagna di fika cina di uccelli. Un mare di minkie in cerca di casa.
<< Papà, là ci sta un pakkio libero>> gridava Pryapo. E Dyonyso curria.
<< Figlio, là ci sta uno stikkio disoccupato>> gridava Dyonyso. E Pryapo correva.
Gli altri invece erano tutti e soltanto eccitati ma si preparavano spiritualmente e
carnalmente alla nottata. Una nottata a base di sesso. Sesso e basta. Sesso alla
sanfasò. Sesso a palazzo reale ma sesso anche a Munypuzos.
--Scorreva rapidamente, come detto, il giorno del matrimonio. Scorreva veloce verso
la notte. Elio brillante pigliava la calata e Selene si apprestava a trionfare, pallida
come una puttana al chiaro di luna. “La festa di la panza prima, sia concesso, ma
chidda di la minkia subito appresso” diceva il solito detto popolare.
<< Ma subito subitissimo subitissimamente appresso>> commentava la gente.
Agamynkyone da parte sua si sentì padrone dell‟universo per un giorno. Nel suo
palazzo aveva ospitato l‟Olympazzo al completo. Aveva mangiato allo stesso tavolo
di Zeus e di tanti altri dei. Homeryno da Munypuzos, presente al matrimonio del
millennio, lo avrebbe sicuramente raccontato in un suo Poema. Ne aveva anche
accennato il titolo. L‟Heleneide. Agamynkyone era contento anche perché si sentiva
già nel kunno di Helena. Era convinto di farsela in quella che era la notte di nozze di
Helena stessa e Mynkyalao.
In mattinata aveva deposto la prima pietra della futura ottava meraviglia della Magna
Grecia: il ponte Munypuzos - Purceddopolys. Zeus personalmente aveva benedetto la
posa della prima pietra. Eratostene Mercallone da Munypuzos, illustre scienziato
locale, aveva fatto un discorso scientifico. Punto per punto, da tutti i punti di vista.
L‟opera doveva essere antisismica. E pertanto lui aveva ideato una scala per misurare
l‟intensità dei terremoti, la scala Mercallorum .
<< Basta mettere dieci leccakuli del re uno sull‟altro e aspettare il terremoto. Poi si
contano quanti ne sono rimasti in piedi e si calcola l‟intensità del terremoto. E questo
ponte è fatto per resistere fino al nono grado. Pryapo lo protegge con la sua ciolla e
Zeus personalmente l‟ha benedetto>> aveva detto lo scienziato.
Dedalo aveva illustrato il progetto architettonicamente parlando. Aveva fatto un
discorso così serio, complicato e scientifico, che tutti erano stati presi dalle sue parole
e anche se nun ci avevano capito un kazzo alla fine ci avevano abbattuto li mani
assai assaissimo.
Anche Agamynkyone aveva fatto il suo discorsetto alla presenza di Pryamo.
<< Popolo.. amici.. parenti... ma soprattutto Divinità carissime... caro Zeus e caro
Olympazzo...Mi consento.. mi autoconsento.. mi consentirò … e in occasione
dell‟inaugurazione .. mio figlio sposerà una figlia del qui presente Pryamo.. una
qualsiasi in segno di pace universale … pacs katholikos... mi consento.. mi
autoconsento.. mi consentirò.. intanto vi dico “festa sia.. festa grande”.. e
consentitemi di fare festa pure a me.. Come voglio io..>>.
Tutti avevano applaudito pensando a quel “ come voglio io”.
Perché tutti sapevano che Agamynkyone voleva il kunno di Helena al più presto.
Magari quella notte stessa. Ma a tutti la cosa paria strana. Anche a Homeryno da
Munypuzos paria strana.
<< La vita è una, come la minkia, e se non è un piacere vivere da re e avere una
minkia reale da dare a Helena, a che minkia serve vivere da re e avere una minkia
reale da non poter somministrare ad Helena?>>.
Sempre quella mattina era stato inaugurato il secondo Kolosso di Pryapo. Era un
capolavoro. Copia esatta del primo, a parte la cappella della ciolla che era rivestita
d‟oro. La famosa “mentula aurea” di tante storie fantastiche. Solo che questa era
reale. Aveva presenziato personalmente Pryapo con tanto di mammina e di paparino
al seguito. E per giunta questo fallo era praticabile. Nel senso che si poteva accedere,
tramite scale e cunicoli interni, a quella koppola d‟oro e godere di un panorama
incommensurabile. Si saliva dalla gamba destra e si scendeva da quella sinistra. Una
volta nei testicoli si poteva salire per il fallo o internamente o esternamente . In ogni
caso si arrivava ad una terrazza che stava sulla koppola. E da quella koppola di
minkia incommensurabile altrettanto incommensurabile era il panorama.
Tutti avevano osannato l‟opera. Tutti veramente. E l‟opera era stata battezzata con
una esibizione “live” di Pryapo. Una performance a una ciolla e quattro mani . La
ciolla di Pryapo, le mani di due ancelle. Era stata battezzata con una bella dose di
latte di brigghiu divino. Lo stesso Pryapo aveva concluso il suo discorsetto dicendo:
<< Minkia, che panorama della minkia si vede dalla koppola della mia minkia.
Minkia, come sono contento. La mia minkia è il massimo della minkia sempre, il
massimo tout court e full time>>.
--I due progetti faraonici, uno da realizzare e l‟altro realizzato, ispirarono i tre
intellettuali della minkia e il domandiere del kazzo. Sul ponte Homeryno scrisse un
Poema. Uno sguardo fallico dal ponte bifallico per un bifallico abbraccio tra due
popoli. Mhaxymylyanum Mhaxymylyanorum scrisse il Carmen Il ponte dalla doppia
mentula: un progetto per una pace duratura o per una doppia inkulatura? Il
Santhokrysos scrisse un romanzo. Cent‟anni di minkiate per un ponte dalla doppia
minkia che non servirà una amatissima minkia.
Sul Kolosso Minkiaurea Homeryno
Homokulum scrisse il Poema Pryapo
Phallokhrysos. Mhaxymylyanum Mhaxymylyanorum il Carmen Pryapo
Mentuladoro. Paulorum Santhokrysos il romanzo Cent‟anni di minkiadoro .
Socratino fu lapalissiano: << La vita è una, come la minkia. Ma a che minkia serve
avere una minkia vera in quest‟oceano di minkie false?>>.
Dyceomynkyopoly commentò: << Il ponte è una minkiata esibizionistica, il Kolosso
Minkiaurea una esibizione della minkia, il tutto come forza di volontà e
rappresentazione della minkia di quel testa di minkia di Agamynkyone>>.
--Scorreva ancora festosamente, come già detto e ridetto, forse anche esasperando le
anime e skassando le palle, il giorno del matrimonio. “O di regina o di buttana, la
fika è solo una tana” diceva un proverbio. Al Plutocircolo di Munypuzos quel giorno
si cazzeggiò alla grande. O meglio, si sminciuliò. Se ne dissero a iosa, alla sanfasò e
a tinchitè.
<<Agamynkyone la vorrebbe già stanotte la fikina della cognatina, la vorrebbe
inkunnare la prima notte di nozze>>.
<<Sta minkia, stanotte, per levarsi le proprie voglie, il concerto pi minkia e kunnu lu
suonano marito e moglie. Per lo meno così dovrebbero andare le cose>>.
<< Helena sarà buttana veloce, ma non è buttana velocissima >>.
<< Pi mia è super super velocissimamente veloce>> disse uno ridendo.
<< Magari stanotte suoneranno moglie e amante. Moglie di Munypuzos e amante di
Purceddopolys>>.
<< E marito e amante. Ovvero zio Mynkyalao e nipote Ifikanya incestuosamente
incestuosi>>.
<< Quelli l‟hanno suonato tante e tante volte la notte scorsa che lui è sminkiato e
scoglionato totale. Avrà sì la minkia d‟avorio, ma il pititto sarà di ricotta>>.
<< Chissà se è riuscito a scopare nel labirinto?>>.
<< Forse una, per dovere praticamente. Tanto per dire “consumato est”. La fikkata
nel labirinto, per tradizione, deve essere una sola. Una sorta di preparazione alla notte
che verrà. Un prendere possesso ufficialmente di quello che non esiste generalmente
da tempo>>.
<<Se poi però la passione prende il sopravvento, ci esce il bis e anche il tris. Ma
questa è una querelle privata. La cosiddetta privacy della minkia in kunno>>.
<< Diciamo che è una sceneggiata. Tanto per consumare quello che non c‟è più. Però
consumarlo ufficialmente>>.
<< Girano voci che iddu, il re minore, una sula si ni fici, una e basta. Come da regola.
Praticamente una sveltina>>.
<< Un kazzicatummulio di merda praticamente, e poi per giunta si addormentò
istantaneamente>>.
<< Ma idda poi, naturalmente, fici il pieno con Paryde. Subitissimamente si rifici>>.
<< Un kazzicatummulio di piacere>>.
<< E adesso arriva la notte delle nozze, chissà come minkia andrà?>>.
<< Una, una e basta. E forse neanche quella. Poi lui si addormenterà. È stanco,
stanco di testa e di ciolla. E allora sarà quel che sarà>>.
<< E che sarà?>>.
<< Sarà che lei resterà col pakkio in fiamme e cercherà altre pompe già stanotte, per
farsi stutari il fuoco che la infiamma, che la arde, che la brucia. Perché idda è
kazzofila, amica è assai assaissimo della ciolla>>.
<< N‟autru kazzicatummulio di merda maritale prima, e un kazzicatummulio a iosa,
alla sanfasò e finanche a tinchitè appresso. Oppure un kazzicatummulio mirato, con
una ciolla ben precisa. Una ciolla con tanto di nome, cognome, proprietario, indirizzo
e altro. Una ciolla che la signora regina conosce fin troppo bene, e a cui e
particolarmente affezionata>>.
<< Figlia di Zeus è. Se quello è minkia fiamma eterna, questa è stikkio in fiamme
perenni>>.
<< Io ci la darei volentieri, solo per vedere quel suo pakkio spilato. Dicono che sia la
copia di quello di Aphrodyte>>.
<< Beato chi ci la fikka all‟una e all‟altra, hanno tra le cosce il paradiso delle ciolle, i
campi elisi della minkia, l‟estasi, la gloria e il trionfo dell‟aceddu>>.
<< L‟epifania del marrugghiu, l‟apoteosi del creapopoli, il panegirico del citrolo,
l‟apologia dello spargisimenta e altro e altro ancora>>.
<< Agamynkyone ad Helena ci la ficcherà prima o poi, ma non stanotte come lui
spera. Stanotte o ci la fikka a Fikennestra o si etta di la finestra>>.
<< Poli iri dall‟amante o al casino o fikkariccilla a una concubina o far venire a
palazzo un esercito di etere, di professioniste del kazzo, o andarle a trovare
personalmente>>.
<< Accussì Fikennestra si la farà fikkare dal suo ganzo a pagamento>>.
<<Ah.. Krysegystos, la krisominkia. Dicono che sia originario di qua>>.
<< Comunque è lu buttanu preferito dalla regina, l‟oggetto sessuale della stessa,
praticamente un Sosia vivente. Il suo escort personale o privato. Un pupazzo di carne
con tanto di minkia d‟oro>>.
<< Io stanotte mi sognerò il pakkio di Helena, in primo piano me lo sognerò. Ca se in
sogno niesciu la lingua, come minimo ci lu alliccu>>.
<< E ti la minerai in suo onore, perchè averla tu non potrai mai>>.
<< Mai dire mai, quella appena vidi nu aceddu si lu suka in un amen>>.
<<Magari si sukassi, skulassi, inkunnassi lu miu >>.
<< Stanotte tutti fikkano>>.
<< E noi no, popolo di ciolle perse e di minkie alla deriva, di kazzi che non sanno
kazziare a dovere, quasi kazzi inutili>>.
<< Kazzi amari. Kazzi amari, salati e pepati. Andiamo al lupanare a fottere le lupe.
Cu li piccioli ti accatti qualsiasi servizio sessuale>>.
<< A fottere le lupe, ma quelle con la caratteristica di Helena, quelle col pakkio
spilato>>.
<< O quello o quello. Tanto oramai sono quasi tutte col pakkio spilato>>.
<< E si fanno chiamare Helena o Aphrodyte>>.
<< D‟altra parte s‟è spilato pure lui>>.
<< Lui chi?>>.
<< Pryapo>>.
< < Minkia, lu diu di la minkia ca era pilusu come una scimmia pilusa>>.
<< Esatto. Dopo aver scoperto l‟omoerotismo con Adone e Narciso ha deciso di
curare il suo aspetto, di farsi bello tutto. Buco del kulo compreso>>.
<< E si è fatto depilare da Narcisa, pilus per pilus. E il bello è che è diventato bello.
L‟avete visto che cosce esibiva sotto la tunica durante la cerimonia>>.
<< Se si è spilato lui, si possono spilare tutti>>.
<< Adesso la minkia sembrerà più grande ancora>>.
<< E magari ci la fikka ad Helena stanotte>>.
<< Tutto è possibile, anche l‟impossibile. Lo sventrafike sa fare il suo mestiere>>.
<< La minkia di Pryapo è incommensurabile, imprevedibile, irresponsabile e adesso
pare che ami pure andare in kulo ai mascoli terrestri improvvisamente>>.
<< In un lampo>>.
<< Si materializza e trasi in un fiat. E non solo in kulo. A Pryapo ci piace anche
farsela sukare. Perché improvvisamente si può materializzare sotto il naso, e siccome
per lo scanto uno è portato ad aprire la bocca, iddu ne approfitta e in un fiat ci l‟infila
dentro>> disse uno della nomenclatura che era ben informato dei fatti pelosi
dell‟Olympazzo.
<< Improvvisamente?>> chiese qualcuno.
<< Sì>>.
<< Sotto il naso?>> chiese n‟autru.
<< Sì>>.
<< Improvvisamente ma proprio improvvisamente?>>.
<< Sì>>.
<< E l‟infila?>> addumannò n‟autru ancora.
<< Sì, in un fiat. In un fiat in kulo, in mezzo fiat in bocca>>.
<< Ihhhhhhhhhhh....>> dissero in tantissimi. E in tanti si stringienu li natichi per
paura. Qualcuno li allargò automaticamente con desiderio. Quasi tutti ciurienu la
ucca. Tranne qualcuno che si alliccò lu mussu. Questo perchè da picciotti quasi tutti
avevano avuto qualche problema di quel tipo. E qualcuno lo aveva ancora adesso.
Anche se con moglie e figli, nel segreto, per modo di dire, della propria vita
personale, ia a circari kazzi per il proprio kulo o per la propria bocca. Ogni maschio,
per legge di natura, aveva i suoi segreti di kulo. Che poi tanto segreti non erano.
Così al Plutocircolo di Munypuzos. Si parlava e sparlava di pilo. E tra i
chiacchieranti c‟era, e non poteva mancare, Dyceomynkyopoly. Che sparò massime
su massime. Tutte giuste come lui. Naturalmente.
<< Helena è già sfunnata, ma come vergine si è maritata... Mynkyalao è già cornuto
assai, ma lu sapi ed è contento più che mai... Matrimonio tra potenti, sceneggiata pi
la genti... Matrimonio tra puvirazzi, matrimonio pi sistimari kunna e kazzi... In
quell‟ambiente altolocato si scambiano kazzu e kunnu comu lu iocu chiù bellu di lu
munnu... Io voglio andare a letto. Il membro c‟è l‟ho eretto..>> .
--Continuava a scorrere gioiosamente ed eroticamente, come detto e ridetto, il giorno
del matrimonio. “La sposina voli l‟aceddu pi fari nu bellu iucareddu” diceva uno dei
tanti proverbi di Munypuzos. Helena, come detto, era da tempo la promessa sposa
di Mynkyalao. Si lu stava maritannu per ordini superiori. Ma anche per convenienza.
Allora i matrimoni venivano combinati. A forza di frequentarlo si era nu tanticchia
affezionata. Era bello ma poco interessante. Ed aveva poca passione per il pakkio. Per
lo meno per il suo. Che tra l‟altro era un modello di pakkio, un pakkio di lusso. Lei ci
facia capire di essere disponibile ma lui faceva finta di non capire. Fino a quannu
Helena esasperata, come si dice in sicilia, ci lu scippau da li causi. Mynkyalao si ni
facia una di fottuta e poi basta. E le cose andavano avanti così. Diceva di essere
sempre stanco. La tinia sempri tisa pirchì la tinia di materiale speciale, ma non
operava. Diceva di essere stanco di corpo e di ciolla. Eppure la ciolla tisa sempre era.
Diceva di essere stanco per motivi tecnici.
<< Lo stress del re minore è maggiore di quello del re maggiore>> diceva.
<<Mynkyalao, mettiti a posto il marameo, altrimenti sunu corna sicuri, bello il mio
babbeo. Io amo kazzeggiare col kazzo. Io amo kazzicatummuliare a iosa, alla
sanfasò e a tinchitè>> pinsava Helena che era stata deflorata a dodici anni appena da
un eroe come Teseo.
<<Finirà con le corna, ma mi ni futtu. Mio fratello la desidera da sempre, e prima o
poi si la farà. Helena ci appititta da una vita. Corna di famiglia saranno: lui si suka li
miei e io mi sucherò li suoi. L‟importante ca sunu e restino corna ufficiose e non
ufficiali. Come chiddi ca ci fazzu iu. Sono corna lunghe e grandi e grosse e nessuno
l‟avi mai scoperto, e anche se qualcuno lo sa, però tace. Perchè se qualcuno parra,
morto è. Per il resto ci sono i pettegolezzi, ma i pettegolezzi non valgono un kazzo>>
pinsava Mynkyalao che da tempo si la facia con sua nipote Ifikanya.
Si l‟era cresciuta poco a poco. Si l‟era curata e contemplata e quannu la picciotta fu
pronta si la pussiriu con tutta la possibile compartecipazione di idda. La tresca pelosa
andava avanti da tempo e non era mai stata scoperta. Per lo meno ufficialmente. I
due si incontravano nel bosco di Mynkyalonya, in una grotta tutta attrezzata ad
alcova. Adesso però ci stava l‟imprevisto previsto del matrimonio per lui. Ma
Mynkyalao aveva detto alla nipote che quello sarebbe stato solo un dovere. Lui
avrebbe ridotto le prestazioni sessuali con la moglie al minimo garantito dalle legge
sui matrimoni, tre tra una luna piena e l‟altra. Praticamente una ogni dieci giorni.
Finu a quannu idda non ci avissa kakato l‟erede. Poi putia magari tinilla solo e
soltanto come soprammobile. Ifikanya da parte sua rifiutava tutti i pretendenti che gli
venivano offerti.
<< Non mi marito. Voglio restare vergine, per Artemide Adiabatica>> diceva la
picciotta. A causa degli amplessi furiosi di Ifikanya con lo zio questo era sempre
stanco quannu si incontrava con Helena. Stanco fisicamente e mentalmente a parte
l‟aceddu tiso per questioni materiali.
<< Una basta, una soltanto, tanto per consolidare la coppia>> diceva lui.
<< Meglio una che niente. Se voglio fare la regina mi devo accontentare anche di non
avere la vanedda cina. Da parte del marito però. Perché in giro di aceddi ci ni sunu
alla sanfasò>> pinsava lei. E si chiedeva perchè corressero certi numeri in giro. A
parte che lei di esperienza ne aveva. E sapeva di certi numeri suoi personali e delle
ciolle dei suoi partner. Esperienza ufficiosa era però. Ufficiosa e passata. Esperienza
ancora in atto invece era quella con la ciolla impertinente di Paryde. Una ciolla
sempre pronta a fare la ciolla. Sempre pronta a fare trasi e nesci. E minkia che
prestazione e che numeri. Erano entrambi dei bravi kazzicatummuliatori.
<< Mio marito fikka allo spasimo, finche la ciolla risponde lui fikka>> diceva una.
<< Mio marito non è mai sazio, finché la ciolla ci la fa>> diceva n‟autra.
A questo pensava Helena la bella. Helena in effetti veniva taliata e controtaliata da
tutti per la sua bellezza. Tutti la taliavano con occhio indagatore, quasi quasi ci
volessero cuntari li pila di lu paparaciannu. Ma questo è solo un modo di dire. Tutti
sapevano che il suo pakkio era spilato di madre natura, che il suo era come quello di
Aphrodyte. Ma Helena, questi guardoni che scopavano con gli occhi, manco li
kakava.
<< Dopo il matrimonio si vedrà, ma è sicuro che un amante ci sarà,
Paryde mio bello, Paryde, amore mio, preparati l‟uccello>>.
In realtà l‟amante c‟era già. Era Paryde. E prima di Paryde c‟era stato tanto.
---
Andava avanti, come detto fino alla sfinimento e al rimbambimento per non dire fino
al rinkoglionimento, il giorno del matrimonio. Tutti erano fintamente felici, come
tradizione vuole ad ogni matrimonio. “La ziticedda porta in dote sempre nu
tanticchia di corna a lu ziticeddu. Lu ziticeddu porta spissu lu kulu ruttu da qualche
aceddu” recitava, tra il serioso e il comico, n‟autro proverbio.
Pertanto bisogna fare un salto nel passato appena passato. Una saltino. Perché se è
vero che la dea della bellezza aveva promesso a Paryde il pakkio di Helena, e se
sappiamo che sono amanti già, in realtà non sappiamo come minkia si sono
conosciuti. E allora dico ”Come minkia fu che la minkia di Paride conobbe il
portaminkia di Helena e ci s‟imminkio in un amen addiventando ipso facto la minkia
in primis della regina delle minkie?”. E rispondo, tanto per chiarire.
Quindi, e mi pare giusto, bisogna anche ricordare che un giorno, un picciotto tutto
elegante stava andando da Purceddopolys a Munypuzos. Non era una grande
distanza, ma prima si doveva scendere verso il lago e poi risalire. Tra tornanti e altro
una bella camminata. Mezza giornata e passa. Una faticaccia della minkia.
<<Speriamo che Agamynkyone si sbrighi a costruire questo kazzo di ponte del kazzo,
allora sarà una volata andare da una polys all‟altra, sarà un lampa e stampa. Come
fare una sveltina. Una kazzicatummulio lampo>> pinsò il picciotto che tinia già
diciannove anni. Arrivato al lago si riposò nu tanticchia all‟ombra. Pinsava alla fika
di Enone lassata in quel di Purceddopolys, ma pinsava che avrebbe presto conosciuto
la fika più bella del mondo.
“E pi tia” ci aveva detto Aphrodyte. E iddu pinsava a quannu sarebbe stata sua.
<< Succederà subitissimo, subito o tra pikka questo bel fikka - fikka?>>.
Ma intisi dei lamenti e andò a vedere curioso. Erano lamenti di un certo tipo, lamenti
che lui conosceva bene, e provenivano da una grotta. Lui li conosceva bene i gemiti
d‟amore. Lui e la sua signora Enone ne facevano alla sanfasò. Sapevano minkiolare
alla grande. Anzi, kazzicatummuliari.
<< Qualcuno sta futtenu, beati loro che possono minkiolare.. kazzicatummuliari>>.
Si avvicinò piano pianissimo e taliò dentro.
<<Minkia, kazzo e controkazzo di una ciolla che inciolla. Mynkyalao che fikka con
sua nipote Ifikanya, quella che si vanta di essere vergine. Vergine sta minkia. Talia
come kazzu kazzicatummulia>> pinsò il picciotto. Guardò nu tanticchia e gli venne
pititto. Decise di farsi un bel bagno per calmarsi i bollori minkioleschi. Poi si
addormentò, nudo, disteso al sole che brillava iarrusu in cielo. Un sole che riscaldava
le minkie e le attrintava a iosa. Un sole che brillava in un cielo blu fottuto. Un cielo
che invitava a fottere. Mynkyalao e Ifikanya uscendo dalla grotta lo videro.
<< Bihhhh.. che bello stu picciotto col ciciotto di fora>> disse lei.
<< Silenzio, che se si sveglia siamo rovinati>>.
<< Perché? Lo acconosci? >>.
<< Certo. E lo acconosci pure tu. E‟ Paryde, e sta venendo a casa mia. Sarà mio
ospite. E il figlio di Pryamo ed Ekuba>>.
<< Vero è. Adesso che lo guardo in faccia lo riconosco>>.
<< Certo, prima taliavi il ciciotto>>.
<< Certo, prima si talia il capitale, poi il proprietario del capitale. Anche se il capitale
in questo momento arriposa si vede che è un bel capitale. Ma iddu non è bello solo di
capitale, è bello tutto. Di cosce, di petto, di faccia. E poi tutti quei riccioloni biondi e
pazzigni che pazziano al minimo soffio di lu ventu. Sono sicura che pure bello di
kulo è>>.
<< Bello, bello anche di kulo è. E kulorotto anche>>.
<< Minkia, minkia gay è?>>.
<< No, minkia etero è, ma il kulo glielo ruppe Zeus in persona>>.
<< Zeus l‟inkulò? Come fa con Ganimede?>>
<< Non direttamente, ma col Sosia d‟oro. Per poi affidargli la missione del Sosia
aureo. E lui lo diede alla bella Aphrodyte. Che in cambio ci desi il pakkio per una
nottata sana sana. E non solo. Idda ci promise pakkio a tinchitè, oppure la fika più
bella del mondo vita natural durante>>.
<< Diciamo ciolla natural durante>>.
< < Va bene così. E lui scelse la fika più bella del mondo. D‟altra parte lo chiamano
“Vogliounafikabella”. Il problema è: ma chi è la proprietaria della fika più bella del
mondo? Il concetto di bellezza è relativo. Helena è bellissima di fika, ma per me la
tua è chiù assai assaissimo bellissima>>.
<<Ahhh.. Ricordo la storia. Capit‟ho chi è>>.
<< In fondo è stato eletto, a diciottanni, prima Mister Tuttobello di Purceddopolys,
poi Mister Biddizza della Trinacria, quindi Omobeaux della Grecia e della Magna
Grecia, e infine Mister Kalliuniverso. Un concorso di bellezza al maschile che vede la
scelta del più bello tra uomini e dei. E iddu è arrivato primo, davanti a Ganimede. Per
questo Zeus gli spedì in kulo il suo Sosia d‟oro. E a questi concorsi sfilano nudi. Ma
nel suo carnet ha pure il titolo di Kulettobello, Kulettosodo, Minkiabeaux, Cicia
elegante e altro. E a dire il vero anche il titolo di Mister Pattuallo, un concorso
organizzato da Karleonthynoy e Leonthynoy. Ma ci desiru la targa e si scurdanu a
darici il premio. Era praticamente un premio a minkia>>.
<< Minkia, chi carriera della minkia. Potrebbe fare il modello di statue oppure
l‟attore teatrale. O il gigolò di lusso. O l‟escort per fike ricche>> precisò Ifikanya.
Paryde si svegliò proprio allora ma fici finta di dormire. Quelli parlarono tranquilli
dei kazzi loro. E iddu s‟intisi la discussione tutta sana sana.
<< Meno male che dorme, altrimenti si scopriva che io mi trombo la mia nipotina
bella. Kazzo.. kazzo.. kazzo..>>.
<< E che io non sono più vergine, ciolla di quella ciolla che m‟inciolla>>.
<< Minkia chi scannulu>> aggiunse Mynkyalao.
<< Forse saltava il tuo matrimonio con Helena>>.
<< No, meglio fare la sceneggiata per il popolo. Helena sarà mia moglie. Poi si
vedrà. Poi ognuno si gestirà la minkia o il kunno come minkia vorrà. Io mi gestirò il
tuo sempre, nipotina mia bella>>.
<< La tua la gestirò sempre io, mio caro zietto. La tua minkia è mia>>.
<< Il fatto è che adesso dovrei mettermi un po‟ a sua disposizione. Però non mi va.
Dovrei portarlo in giro, ma sinceramente non mi va>>.
<< L‟ospitalità è un dovere, ciollone mio>> puntualizzò Ifikanya.
<< Mi è venuta una bella pensata, potrei affidarlo a Helena>>.
<< Vero è. A quella le piace fare la cicerona, la guida, la psychopompos, la guida
delle anime>>.
A sentire il nome di Helena, la bella figa che le era stata promessa, Paryde
incominciò ad eccitarsi. Era curioso di conoscerla. La pensava spesso, la
immaginava, ma soprattutto era curioso di conoscerla carnalmente. Di imminkiarla.
Di trasiri nel suo pakkio spilato. Di capire se con lei il fotter e il goder fosse il più
supremo dei piacer. Così come promesso dalla dea della bellezza. Non vedeva l‟ora
di kazzicatummuliarla. Che lui era esperto in quest‟arte. La praticava benissimo con
Enone, l‟aveva praticata con tante altre. E per una notte l‟aveva praticata con la dea
della bellezza. E la dea ci avia promesso un grande kazzicatummulio con Helena. E
adesso lui, con la scusa dello studio, vedeva avvicinarsi la concretizzazione del
promesso divino.
<<Talia, ci sta risuscitannu l‟aceddu. Chissà chi minkia pensa?>> sparò
l‟ufficialmente adiabatica Ifikanya.
<< Ma cosa minkia guardi? >> chiese Mynkyalao.
<<La resurrezione della carne talio. Le cose belle vanno guardate. Mica mi la staiu
mangiannu, la sto solo guardando. È bella. Anzi, bellissima. Ma pure il resto del
picciotto è bello. Talia chi cosci, chi biddicu sensuali, chi capiccia tisi. E che sorriso,
un sorriso che cattura anche intanto che dorme>>.
<< Perché, io non sono bello?>> chiese geloso Mynkyalao facendo lo smorfioso.
<< Tu sei il mio zio amatissimo, ma non sei bello come lui. Lui è giovane, tu non
tanto, ma io ti amo lo stesso. Non sei neanche giovane come lui ma io continuerò ad
amarti ugualmente. E non tieni neanche una minkia accussì bella, però io sono
innamorata della tua minkia. Una minkia speciale da tutti i punti di vista. Perché
anche se girassi lu munnu, quella è e resterebbe la minkia ideale pi lu me kunnu. Io ti
amo assai assaissimo assai assaissimamente assai. La tua minkia è più piccola ma di
materiale speciale. Sempre tisa pertanto è. Io amo la tua minkia pirchì amo a tia>>.
<< E neanche tu sei bella come Helena, ma io mi addumo chiù assai pi tia. Mi piaci
di chiù la tua fika impilata che non quella spilata di Helena. Al mio augello piace
perdersi in quel boschetto piluso, invece con Helena è tutto a bella vista, manca il
gioco dell‟attrovapurtusu>>.
A sentire parlare del pakkio di Helena Paryde si eccitò al massimo.
<< Andiamo via prima che questo ci spara la sua simenta in faccia>> disse
Mynkyalao.
<< Andiamo, ma Paryde comunque è bellissimo tutto. Bello di corpo e bellissimo di
faccia e di minkia. E poi adesso la sua minkia è al massimo. Pare un pupo siciliano
autonomo. E scommetto che è pure bellissimo di kulo>> rispose Ifikanya. Che preso
un sassolino glielo tirò sulla minkia. Paryde sospirò. Un sospiro tra il doloroso e il
piaceroso. Un sospiro fatto ad arte. E messosi le mani sulla minkia, una sorta di
protezione o quasi, facendo sempre finta di dormire, il caruso, che tutto sentito avea,
si girò lentamente. Quasi al rallentatore.
<< Minkia, chi minkia di kulo bello>> disse Ifikanya.
<< Concordo, ma andiamo, che se si sveglia fottuti siamo>>.
<< Minkia , che bello. Sarà kulo rotto, ma bello è. E poi, se a rompere è stato Zeus,
più che un kulo rotto, è un kulo benedetto>>.
<< Andiamo, prima che finisce a schifiu>>.
E andarono via. Paryde rise. Della finta verginella e del futuro cornuto. Si sparò una
sega in onore di Helena. Di quella Helena che sarebbe stata sua prestissimo. Quella
scoperta anticipava la promessa fatta da Aphrodyte. Si vestì, dopo un bel bagno, e
dopo n‟autro pezzo di strada decise di farsi un pisolino prima di salire verso
Munypuzos. Ma prima si sukò nu beddu minkiuni di minkiajuana. Nu minkiuni
beddu ruossu.
E dormiva alla grande quannu si trovò a passare Helena. La ragazza stava meditando
su chi poteva scegliersi come amante dopo il matrimonio, quando vide
all‟improvviso il picciotto che dormiva. Lui dormiva e sognava di fottere con
Helena. Ed Helena stava davanti a lui a taliarlo. Lo taliò in faccia. Era bellissimo.
Muscoloso ma delicato. Biondo e riccioluto. Villoso. Maschio al cento per cento ma
femminile anche. Potenti erano anche le cosce che la corta tunica lasciava scoperte.
Dalla sacca che aveva con sé si capiva che era nobile. Intanto che lu taliava una folata
di venticello ci susiu la tunica. Ed Helena, non volendo ma desiderandolo, si attruvò a
taliare l‟aceddu del picciotto, che placidamente dormiva.
<< Minkia, quantu eni bellu. Minkia, come mi piacissi iucarici cu chista cicidda
bella. Minkia, chi minkia espressiva, eleganti, nobile, promettente e altro che tiene
questo bel picciotto. Ma cu minkia è stu minkia di proprietario di cotale minkia
bella?>>. E intanto idda taliava. Sotto il suo sguardo la ciolla di iddu iniziò a
inciollarsi. Ad attisare. Ad attrintari. A mettersi additta. A diventare una minkia in
armi.
<< Minkia, chi miracolo della minkia. Era una minkia di cicidda, e ora sta
addivintannu na minkia di ciciazza. Minkia, chi minkia di minkia promettente. E che
pititto di kazzicatummuliari cu idda>>. E intanto idda taliava.
Iddu dormiva, ma la cicia era sveglia . Anzi, diventava sempre più sveglia.
<< Minkia, talia come si sta scoppolando la minkia. Minkia, che koppola di minkia
che tiene codesta minkia. Minkia, che bella scoppolatura di minkia. Minkia, minkia,
la minkia mi sorride. La minkia, o meglio, la koppola della minkia dello sconosciuto,
mi sorride. E minkia, che bel sorriso che mi sta facendo. Altro che sorriso a trentadue
denti. Questa promette trentadue alla trentaduesima fikkate tout court e full time>>.
E intanto idda taliava sempre più interessata. E anche eccitata. Eccitata da quel
sorriso. E rispose con un sorriso nascosto della sua fika spilata. Era la cicia orami
tisamente tisa e tisissimamente tisa. E in più sorrideva. Idda ebbe l‟impressione ca ci
sorridesse a iosa. La taliò da vicino. Faceva odore di minkia e di minkiajuana. E
sorrideva. Minkia, come sorrideva. Non prometteva paradisi celestiali o artificiali,
prometteva paradisi carnali.
<<Kazzo, come sorride questa kazzo di ciolla, invece il mio kunno piange lacrime di
stikkio. Anche se adesso ha sorriso felice a cotale e cotanta minkia gentile. Iddu
purtroppo generalmente piange>>.
Il picciotto aveva nella sacca tanti minkiuna. Se ne pigliò uno. Intanto il vento sollevò
quasi tutta la tunica. Praticamente il picciotto ristò nudo ma con la faccia coperta
dalla tunica. Era bello tutto. Ma era bellissimo di ciolla. Ed era anche abbronzato
tutto. Si vede che stava, spesso e molto, nudo al sole.
<< Minkia, una minkia che sorride, una minkia allegra, una minkia che solo a
guardarla duna la felicità agli occhi, al cervello e pure al pakkio. Che bella minkia
allegra, una minkia come dire “Gioconda”. Quella farà ridere lu kunnu e la
proprietaria di lu kunnu. Mi piacerebbe sceglierlo come amante, ma non so manco chi
kazzo è>>.
Si sedette e fumando taliò la ciolla del picciotto. Più lei sukava più quella attrintava.
Paria ca ci la stava sukannu. Invece sukava lu minkiuni. Poi il picciotto, dormendo e
sempre con la faccia coperta, incominciò a minarisilla. E lei, tanto per, incominciò a
farsi un ditalino. Vinniru insieme. Lei si pisciò una mano sana sana, lui eiaculò contro
il cielo. Ma una stizza di simenta arrivò alle labbra di Helena. Che alliccò.
<< Minkia, giusta di sale è la simenta dello sconosciuto, è proprio ottima per condire
una “Stikkiontorte”>> disse.
Lui era inconsapevole di tutto, quindi anche di essere taliato dalla femmina a lui
promessa. Lei consapevole di quella cosa bella che le sarebbe piaciuto possedere, ma
ignorando che a lei era destinata. Helena continuò poi la sua passeggiata sukandosi
n‟autru minkiuni e avendo in testa l‟immagine della “minkia che sorride”, della
“Gioconda “, come la chiamò nel suo linguaggio segreto. Diciamo che oramai in
testa tinia la minkia sorridente dello sconosciuto.
La sera venne a pigliarla lo zito per la cena. Lei s‟era tutta allicchittiata, e bedda
com‟era, era più che mai sensuale e sconvolgiciolla. E in testa tinia la “Gioconda”.
<< Prima dammilla, gioia mio, ho pititto di fikkare. Mi mangia lo stikkio. E minkia,
come minkia mi mangia. Ha bisogno urgente di una minkia per sfamare cotanta e
cotale bocca ingorda di quella cotal cosa che mi auguro sia sempre cotanta>> propose
lei pinsannu in realtà alla “Gioconda”.
<< Sono stanco, dopo, dopo, dopo>>.
<< E va bene, dopo>> rispose lei pinsannu sempre alla “Gioconda”. Mynkyalao
aveva il vizio di rinviare. D‟altra parte era reduce da ravvicinatissimi incontri pelosi
con Ifikanya. Che se lo spurpava sempre più per farlo rendere al minino con Helena.
<< Vieni, che ti devo presentare un mio ospite>>.
<< E cu minkia è?>> chiese sorridendo Helena.
<< Lo vedrai tra poco>>.
Portata a palazzo si trovò davanti il picciotto del lago, quello la cui minkia gli aveva
sorriso. Il proprietario della “ Gioconda”.
<< Helena cara, ti presento il bel Paryde, il figlio di Pryamo. Paryde bello, ti
presento la mia bellissima zita, la mia futura moglie, la bella Helena>>.
<< Piacerissimo mio, m‟inchino davanti a cotanta e cotale bellissima bellezza>>
disse Paryde taliandola estasiato. E fece un sensualissimo baciamano pensando al
kazzicatummulio.
<< E anche mio>> rispose la donna taliandolo in faccia ma pinsannu alla
“Gioconda”. Paryde restò ammammaluccuto da cotanta bellezza che sua doveva
essere per promessa divina. La taliava in faccia ma vedeva, o meglio, immaginava, il
suo kunno in primo piano. Helena, per la sorpresa, lo taliò con lo sguardo perso. Non
vedeva la faccia di Paryde, ma la sua ciolla che le sorrideva . La “Gioconda”.
<< Sapete che siete coetanei>>aggiunse Mynkyalao.
<< No>> dissero i due. Non solo erano coetanei, ma erano nati lo stesso giorno.
<< Helena, tu che so che sarai la mia futura brava moglie, in questi giorni che io ho
molto da fare, potresti per caso fare da cicerona al nostro ospite? Ti prego, Helena
bella, ti prego, accetta>> propose Mynkyalao.
<< Sì, volentieri>>.
I due ragazzi diventarono subitissimamente amici. E si raccontarono le cose intime.
Lui gli parlò dell‟arte di minkiolare, quell‟arte che praticava con sommo piacere con
la moglie Enone. Lei gli raccontò dei rapporti scadenti col futuro marito. E
chiacchierando del più e del meno si trovarono a chiacchierare in giardino. Tra ciura,
ficu e fikupala.
<< Una volta mi la passa, una volta e basta, nonostante abbia una ciolla speciale mi
la passa solo una volta. Ma una volta e abbastanza veloce, quasi una sveltina, tanto
per. Un dovere da compiere chiù ca un piacere ad vivere. Nel matrimonio invece è
fondamentale il kazzicatummuliari. Se manca quello, manca tutto>> precisò lei.
<< Ma è pikka, picc‟assai>> rispose lui, felice perché lei usava la stessa parola che a
lui cara era. Come lui, come la dea della bellezza, come Enone, Helena era
sicuramente e indubbiamente una che sapeva coniugare in tutti i modi possibili il
verbo ”kazzicatummuliari”. E lui non vedeva l‟ora di farlo con lei.
<< E chi fazzu? Lu obbligo a fare di più? A darmi la minkia per forza?>>
<< No. Ti fai l‟amico per minkiolare. Per kazzicatummuliare>>.
<< Certo, lo farò, ma dopo il matrimonio. Adesso sarebbe sconveniente>>.
<< Io sono disponibile a..>>
<<..a..>>
<<..a kazzicatummuliari. Anch‟io uso questa bella paroletta>> sparò Paryde
sorridendo bocca aperta.
<< Mi fa un casino di piacere. Un piacere immenso. Un piacere da sballo. Però tu
kazzicatummulierai per i fatti tuoi e io kazzicatummulierò per i fatti miei. Ognuno
coniugherà il verbo “kazzicatummuliari” per i fatti suoi. Io kazzicatummulierò con
chi voglio io, tu kazzicatummulierai con chi vorrai tu, ma noi non
kazzicatummulieremo insieme mai. Questo verbo noi insieme non lo coniugheremo
mai>>.
<< Mentre potremmo kazzicatummuliari insieme>>.
<< Non dire stronzate, tu sei mio amico. Rovineremmo l‟amicizia appena nata. Ma
mi fa piacere che usi codesta bella espressione che chiarisce bene il concetto della
ciolla dentro un portuso. Io sono esperta ufficiosamente nell‟arte del
kazzicatummulio, ma ufficialmente devo ancora apprenderne i concetti basilari>>
puntualizzò Helena che però aveva in testa l‟immagine della ciolla sorridente.
<< No, bedda mia, devi sapere che l‟amico si riconosce nel momento del bisogno , e
tu di quella cosa hai bisogno. Di una ciolla inciollante. E io, quella cosa, la tengo
disponibile. Dose più che sufficiente e soprattutto disponibilissima: a portata di mano,
diciamo. Materiale normale e non speciale, ma a parte questo, idda duna effetti
speciali, specialissimi. La mia, cara Helena, è una minkia dotata di deontologia
professionale.. è una minkia che sa fare la minkia.. >>.
<< Di quella cosa ho bisogno sì, ma non della tua, anche se ha portata di mano è. E
poi é..>>
<< E poi è .. è cosa?>> chiese Paryde.
<< E poi è.. è carina, carinissima, bella in tutto e per tutto, anche nei particolari.
Bella d‟aspetto è. E di misura anche. E penso, se tanto mi duna tanto, che anche
giusta di consistenza è. Diciamo dura al punto giusto. Di carne rosea appare, ma con
un buon accappellamento e con tanto di dotazione testicolare è . Ed è nobile al
momento dello scappellamento. Appena vede una signora si scappella in automatico.
E alla fine porge i suoi omaggi>>.
<< Chi minkia su sti omaggi della minkia?>> chiese ironico Paryde che si stava
divertendo a sentire quei discorsi strampalati.
<< Un giorno per rendere gli omaggi si spareranno ventuno colpi di cannone. Oggi
invece basta sparare un colpo di cannone. E tu questo colpo lo sparasti in mio
onore>>.
<< Minkiate somme e sommissime minkiate ancora tu vai dicendo>>.
<< No. E come disse il poeta io dirò. “Tanto bella e onesta appare la minkia tua”.
Ecco, la tua minkia apparve a me onesta e bella e finanche devota e sorridente. E
soprattutto mi omaggiò>>.
<< Minkia, come inventi storie a minkia. E mica la conosci la mia ciolla? >> sparò
Paryde.
<< La conosco, la conosco. E mi ha pure sorriso. Un sorriso a piena koppola di
minkia. La “Gioconda“ l‟ho chiamata io. Che mi pare un bel nome per lo strumento
del kazzicatummulio>>.
<< Minkiate, stai sparando minkiate a iosa. Minkiate a minkia cina d‟aria.
Raccontami, e scoprirò se è vero>>.
Lei le raccontò la facenna. Paryde restò come uno stronzo allampato da un fulmine
di Zeus. E fece la faccia di un politico inkulato da Pryapo. Si sforzò di arrossire ma
non ci riuscì. Comunque era sorpreso e contento anche. Lei conosceva già la merce.
<< Minkia. Tu mi l‟hai vista la minkia. E io il pakkio a tia no. Kazzo.. kazzo...
kazzo...brava.. brava.. tu hai visto il “kazzi” mentre io non conosco il “tummulo”.
Brava bravissima però>> disse ridendo.
<< Una minkia come le altre, caro Paryde. Solo più “Gioconda”. Una minkia allegra,
una ciolla felice, una minkia che porta allegria, una ciolla che duna felicità . Almeno
così mi pare>>.
<< E oltre che vederla, l‟hai anche assaggiata>>.
<< Involontariamente però. Un pompino a distanza fu. Un telepompino>>.
<< Se vuoi, puoi farlo volontariamente, adesso>>.
<< No>>. Paryde era rimasto sorpreso dalla frase “Un pompino a distanza fu”.
<< Invece la tua cosa è particolare.. è .. è.. è..>>. Paryde si trattenne per scena e non
per censura. E anche per cambiare discorso. Teneva a dire il vero la “Gioconda” in
fiamme.
<< Spilata, spilata come tutte>> replicò lei ridendo.
<< Come tutte?>> chiese lui ironicamente.
<< Come tutte. Tutte si sono fatte spilare, io invece c‟è l‟ho spilata di mio. Ma tra il
vero e il falso non ci sta nessuna differenza. Non è l‟aspetto che conta, ma il concetto.
Non è la facciata che conta, contano le abilità, le capacità, le applicabilità. E
altro..>>.
<<Kazzo, che panegirico del pakkio. Comunque tu acconosci il mio cetriolo, ma io
purtroppo non acconoscio la tua cetroliera>>.
<< È giusto che la cetroliera sappia com‟è il cetriolo>>.
<<Ma è anche giusto che il cetriolo sappia com‟è la cetroliera. In vista naturalmente
del kazzicatummuliamiento>>.
<<No, caro Paryde, noi non kazzicatummulieremo mai. Mai insieme. Mai maissimo
maissimamente mai>>.
<< Mai maissimo adesso o mai maissimo maissimamente mai?>> aggiunse lui.
<< Boh! Sì. O no. O nì. Boh!>>.
<< Boh! Boh! Boh! Sì. Sì. Sì. Ja. Ja. Ja. Da. Da. Da..>>.
<< Mai maissimamente mai. Sì. Sì. Sì. Ja. Ja. Ja. Da. Da. Da..>>.
<< Mai dire ”Mai maissimamente mai”. Sì. Sì. Sì. Ja. Ja. Ja. Da. Da. Da..>>.
Risero di bocca, cetriolo e cetroliera. E Paryde, figlio di zoccola per modo di dire,
attaccò a corteggiare la femmina con costanza. La voleva prima del matrimonio. E
non dopo, come da promessa divina.
<< Mai, mai, mai, cara la mia “Gioconda” la sua fika avrai>> disse Paryde
rivolgendosi alla sia cicia che sotto la tunica pazziava. Helena rise.
<< Mai, mai, mai, cara la mia fika quella minkia avrai>> ironizzò lei. Paryde rise.
< < Ah, come minkia mi mangia la minkia>>. Iddu la voleva al più presto.
Pertanto giocò sporco e ci disse: << Voglio dirti un segreto, posso. È un segreto
relativo alla ciolla, un segreto del kazzo, un mistero fallico>>.
<< Certamente, raccontami di questo segreto del tuo bel kazzo>>.
<< Minkia. Non è del mio>>.
<< E allora di quale segreto del kazzo di quale ciolla stai parlando?>>.
<< Della ciolla di Mynkyalao. Minkia mia bella che vorrebbe kazzicatummuliari con
la tua fikabella>>.
<< Kazzo.. kazzo.. minkia.. minkia.. dimmi?>>.
<< Minkia e kazzo e cicia e ciolla. E duro da digerire però. Lo vuoi sapere lo
stesso?>>.
<< Certamente. Minkia come minkia sono curiosa di sapere questo minkia di segreto
della minkia di Mynkyalao minkialenta>>.
<< Kazzo. Io so perché il tuo zito è sempre stanco. Nonostante la ciolla sia speciale.
E che minkia>>.
<<Veramente? >>.
<< Sì>>.
<< Minkia. Dimmillu>>.
<< Minkia. Mynkyalao kazzicatummulia con Ifikanya. Minkia, minkia, minkia, è
vera verissima sta storia di minkia. E chi minkia>>
<< Ehhhh…..>> fece idda ancora sotto choc.
<< Mynkyalao si la fa con Ifikanya. E chi minkia >>.
<< Ahhh..>>
<< Mynkyalao trummia, futti, ficca, scupa, ci la cala, ci la sona, ci la passa, ci la
sbatti, ci la metti e ci l‟infila a sua nipote Ifikanya. Capito?>>
<< No. Minkia. Non è possibile. Minkia. Con la vergine adiabatica>> disse ridendo
amaro tossico e velenoso Helena.
<< Sì>>. E ci cuntò quello che sapeva.
<< Minkia. E‟ impossibile, quella è vergine, e vergine vuole restare>>.
<< Minkia. Di pinsero forse, ma nei fatti non è vergine neanche di biddicu>>.
<< Minkia. Voglio vedere coi miei occhi>>.
<< Minkia sì. Certo. Certamente. Facciamo stanotte, a talora e nel tal posto. Ti ci
porto io, e vedrai. Minkia, se vedrai con i tuoi occhi. Kazzo, se vedrai. Vedrai come
sanno ben kazzicatummuliari iddi>>.
<< Kazzo... kazzo.. kazzo...>>.
<< Kazzo, ma non per te. Il kazzo lui lo passa solo ad Ifikanya>>
<< Kazzo e minkia, la ciolla è per lei e non per me. Intanto, caro Paryde, se ci l‟hai,
dammi.. dammi..>>.
<< Un kazzo? Vuoi un kazzo? Vuoi il mio kazzo? Subito, eccoti la “Gioconda”>>
l‟interruppe lui tirandoselo fuori in un amen già bello e tiso.
Erano in un angolino buio, ma la luna buttana illuminò lo stesso la ciolla.
E la ciolla sorrideva. Pallida ma sorridente era la “Gioconda”.
<< No, non adesso, non ora. Ho detto ”mai maissimo”. Oppure ho detto ”forse mai
maissimo”? Adesso comunque voglio solo nu minkiuni beddu ranni ca mi lu suku
tuttu di cursa. E rimettiti dentro quella cosa sorridente. Io sono ufficialmente una
signorina. E che minkia. Io ufficialmente la minkia non so manco cos‟è>> disse
Helena.
<< Ma se l‟avevi già vista la mia cicia sorridente>>.
<< Di nascosto. Ufficiosamente, non ufficialmente. La prima minkia la vedrò
ufficialmente la prima notte di nozze, perché io per tutti signorina sono. Signorina
per l‟urbe, per l‟orbe e finanche per l‟Olympazzo. Per tutti io ignoro l‟arte del
kazzicatummulio>>.
<< Signorina sta minkia, sta ciolla e sto kazzo. Per l‟urbe, per l‟orbe e finanche per
l‟Olympazzo. Per loro forse sì, ma per me, certamente no. Anche se non te l‟ho
passata io la ciolla, so che di ciolle avuto ne hai. Kazzi su kazzi e ancora kazzi, e poi
ciolle su ciolle e ancora ciolle. Diciamo pure minkie a tinchitè, ciolle a iosa, mentule
alla sanfasò>>.
<< E minkie e minkie e minkie avuto ho. E mentule e mentule e mentule avuto ho. E
falli e falli e falli avuto ho. E marrugghi e marrugghi e marrugghi avuto ho. E cicie e
cicie e cicie avuto ho. Ma mai ufficialmente però. Ufficialmente non ho mai
kazzicatummuliato. Devi sapere, caro mio, che qua, a Munypuzos, conta la
tradizione. Qua, conta la sceneggiata. Qua, conta il teatro. Questo è un paese di
teatro. È tutto un teatro. Come tutto il mondo anche qua è teatro. Forse più teatro che
altrove. Tutto, veramente tutto, è teatro. Anche l‟Olympazzo è teatro. Ma una cosa è
farlo sul palcoscenico del mondo e una cosa è farlo dietro le quinte. E io fatto dietro
le quinte ho. Per lo meno credo. Comunque teatro è la vita. Sai quanti cornuti
camminano a testa alta? Quante puttane recitano la parte delle femmine oneste?
Quante signorine che ci l‟hanno quanto il portone del palazzo reale recitano la parte
delle “caste e pure”? E quanti mascoli che cercano aceddi recitano la pare del
mascolo cercapakkio? Tanti, tantissimi, perché ognuno in questa ciolla di mondo
della minkia recita al sua parte>>.
<< Teatro.. teatro.. teatro.. Teatro di minkia , cicia e ciolla>>.
<< Sempre teatro è. Di kazzo, col kazzo e per un kazzo. Di pakkio, col pakkio e per
un pakkio>>.
<< Allora anche la mia minkia tisa che hai taliato era teatro? >> chiese Paryde
curiosissimo assai assai assaissimo.
<< Certo. Teatro d‟erezione. Teatro a minkia tisa>>.
<< E anche ora che ti l‟ammusciai? Anzi, che ti l‟ammuscio, visto che è rimasta en
plein air>>. E ci la stricau na la coscia sinistra che nuda era.
<< Certo. Teatro d‟esibizione. Teatro a minkia ammusciata. Teatro di pititto. Teatro
di contatto>>.
<< E pure tu che adesso non mi la voi dare è teatro?>>.
<< Certo. Teatro di negazione>>.
<< E pure lu minkiuni da fumare ca voi è teatro?>>.
<< Certo. Teatro di sostituzione>>.
<< Di sostituzione di cosa?>>.
<< Della tua minkia che mi appititta>>.
<< Ahhh.. e minkia.. vuoi sta minkia? E piglitilla sta minkia. E che minkia>> sparò
Paryde nu tanticchia rimbambito e con la minkia in mano.
<< Ehhhh…...>> replicò lei.
<< Allora, cosa vuoi? Solo nu minkiuni da fumare vuoi o vuoi magari la minkia da
sukare e non solo?>> disse lui.
<< Sulu lu minkiuni. Unu e basta, altrimenti lu minkiuni mi fa venire pititto di
minkia. E io non posso e non devo pensare alla minkia. Teatro di sublimazione tout
court e full time>>.
<< Ma la minkia mia sempre disponibile è. Teatro live è la mia ciolla. Teatro dal
vivo. La mia “Gioconda” è multiforme, capace di performance inimmaginabili, di
kazzicatummuliate estasianti. Teatro magico o quasi>>.
<< Ma io non la voglio. Sarà pure a disposizione, ma per me resterà a disposizione.
Almeno per adesso. Minkia spettatrice e non minkia attrice. Se vuole però, può fare
un monologo. Che faccia pure. Io mi godrò lo spettacolo. Sarà la replica dello
spettacolo che allora mi concedesti involontariamente. Forza, caro Paryde, fai il
burattinaio del tuo burattino. Il puparo del tuo pupo. Per il resto dico “No” alla
“Gioconda”. Niente duetto. O monologo o kazzi. O auto-kazzicatummulio o
niente>>.
<<Niente auto-kazzicatummulio. Non sono un attore. Se auto-kazzicatummulio deve
proprio essere, auto-kazzicatummulio sia, ma in privato. Eventualmente, se ti va,
possiamo fare un doppio auto-kazzicatummulio. Io talio a tia e mi la mino, tu talii a
mia e ti la soni>> propose Paryde.
<< No>>.
<< Minkia. Fino a quando ti negherai alla mia minkia?>> chiese Paryde, quasi
supplicante e con la ciolla sempre in fiamme.
<< Vita natural durante. O forse... O forse giorno natural durante>> replicò Helena.
<< Minkiate, tu la vorresti subito, ma ti imponi di non volerla. Pensa però al concetto
di “teatro live”. Di “teatro-ciolla live”>> disse Paryde.
A iddu erano piaciute le parole “giorno natural durante”. Pertanto dopo la
mezzanotte la cosa poteva iri in porto. E sicuramente ci sarebbe andata dopo lo
spettacolo delle “corna dello zito con la nipote”.
<< Voglio solo nu minkiuni, capito? Nu minkiuni, e no na minkia. Pertanto non
cambiare le carte in tavola>>.
<< Sì>> rispose Paryde . E ci desi un bel minkiuni ranni. E uno si lo addumò lui. Lei
sukava, lui pure. Sukavano alla sanfasò.
<< Sappi che sono a misura della ciolla mia>> disse Paryde mettendosi lu minkiuni
addumatu accanto alla minkia in fiamme.
<< Non m‟interessa la misura>>.
<< La misura è importante. La ciolla nica dintra lu pakkio abballa a vuoto>>.
<< Ma la tua gigantesca non è. Bella e sorridente sì, ma a dimensioni siamo nella
norma>>.
<< E chi minkia volevi, la minkia di Pryapo? Io Paryde sono e questa tengo. Però
sono sicuro delle sue professionali prestazioni>> rispose il picciotto tenendosi la
minkia in mano.
<< E io Helena sono e vaffankulo ti mando. A te e alla tua minkia impertinente e
impenitente>>.
Iddu non rispose. Idda sukava e basta. Sukava di corsa. Era nervosa. Il suo cuore
batteva fortissimo e il suo pakkio pulsava. Lui sukava. Sukava e taliava lei. A vedere
come la picciotta sukava a Paryde ci attisò al massimo la ciolla.
<<Minkia. Guarda come mi hai ridotto la minkia>> sparò Paryde che non l‟aveva
rimessa sotto la tunica. Lei rise. La luna illuminava benissimo la ciolla. E la ciolla
sorrideva. Era attrentatissima.
<< Fammilla almeno vedere la porta dei Campi Elisi, e chi minkia>> chiese Paryde.
<< No>>.
<< Dammi na mano allora, e chi minkia?>> implorò Paryde.
“No” fece lei con la testa. Non c‟era niente da fare. Tisa era e tisa se la doveva
tenere. In attesa del poi. Niente prove o provini. Niente prima teatrale per adesso.
Manco operazioni manuali. Niente di niente. Se voleva, poteva esibirsi in un assolo.
Un assolo solo per lei. Un felice auto- kazzicatummulio.
<< Sappi che ne sento il ciauro però>> disse il picciotto che intanto, pensando al poi,
si era stricata na stizza di unguento sulla ciolla. E ci parse che la sua ciolla
addiventasse chiù dura e chiù grossa ancora. Che fosse in fase crescente come la
“Luna” in certi periodi. Si sentì chiù ciolla che altro. Si sentì tutto ciolla.
<< Devo fare pipì>> replicò lei.
E si allontanò. Ma non di tanto. Si mise in un punto ben illuminato dalla luna. E lì
pisciò. Paryde vide tutto. Vide la “Luna” illuminata dalla luna. Telescopia. Vide il
pakkio brillare e brillare sempre più intanto che lei pisciava. E quel piscio pareva
d‟argento. Come d‟argento, o platino, pareva il pakkio di piscio bagnato.
<< Minkia che beddu, pakkiu calamita d‟aceddu>>.
E quando lei finì, fu lui che pisciò. Nun urina ma simenta. E la siminò in direzione di
quel pakkio tanto addesiderato. Raggiungendolo. La sua simenta raggiunse la “Luna”.
Allunò. Fu un bell‟allunaggio. Una telescopata. Una tele- kazzicatummuliata.
<<Torniamo dentro, manchiamo da troppo tempo>> disse lei riavvicinandosi e
baciandolo sulle labbra. La vistina era rimasta sollevata. Poggiava sui fianchi.
<< Dammilla. Dammilla subito. È troppo bella, è troppo bella la tua “Luna”>>
implorò lui inginocchiandosi.
E taliando là, ma proprio là, Paryde recitò:<<Luna, sei pallida per la stanchezza d'
arrampicarti in cielo e guardare sulla terra, e andar vagando sola fra le stelle che
hanno diversa nascita, sempre cambiando, come un occhio senza gioia che non trova
oggetto degno della sua costanza? Tu, sorella eletta dello Spirito, che ti contempla
finché in te si dispera>>.
Lei capì cos‟era la “Luna”, ma non parlò. Sentiva il suo sguardo là. E senza
accorgersene allargò le cosce. Quattro spicchi di “Luna” iddu vide. E vide anche il
mare della felicità. Vide la “Luna” nuova e la “Luna” piena, vide il Novilunio e il
Plenilunio. E vide anche il primo e l‟ultimo quarto. E vide anche il suo guardiano
puntiforme. Lui continuò poi, preso dalla visione:<<Luna. Luna, sei pallida e
addolorata per la stanchezza del mancato arrampicarti in cielo e del restare a
guardare sulla terra. Luna. Luna, è brutto andar vagando sola, fra le ciolle che hanno
diversa destinazione che non è la “Luna”. Perché la “Luna” tua non trova oggetto
degno della sua costanza? Perché , sempre a piangere , come un kunno senza gioia?
Tu, Luna, sorella eletta dello Spirito Kazzoso, che ti contempla e che per te si
dispera>>.
<< Kazzo, come sei poeticamente poetico? >>.
Intanto lui la baciava là. E lei lo lasciava fare.
<< E come poeticamente baci la fonte della poesia>>.
Alzandosi Pryapo la baciò in bocca. Un bacio profondo. E nello stesso tempo ci misi
chiddu ca ci misi davanti alla “Luna”. Proprio lì. La koppola toccava la porta dei
Campi Elisi. Era pronta a trasiri. Voleva però l‟autorizzazione. Voleva il permesso
per kazzicatummuliare.
<< No>> disse lei che sentiva la koppuluta koppola scoppolarsi e bussare.
<< Sì, invece sì. Adesso, se vuoi, hai trovato “l‟oggetto degno della tua costanza”.
Tutto per te è>> rispondeva lui che sentiva, con la koppola, le quattro caldissime
colonne del portone dei Campi Elisi.
<< La “Gioconda” per me?>>.
<< Sì>>.
<< No, non adesso. Ma sappi però che è troppo bella pure la tua ciolla. È troppo
“Gioconda”>>.
<< Dammilla. Voglio la “Luna”>>.
<< Adesso no>>.
<< Quando?>>.
<< Poi. Poi. Poi. Comunque prima o poi la “Gioconda” andrà sulla “Luna”. Prima o
poi kazzicatummulierai con me>>.
<< “Poi” quando?>>. Lei non rispose. Ma il poi era comunque vicino. Intanto la
minkia stava per scoppiare. E scoppiò. Scoppiò davanti alla “Luna”.
<< Poi>> disse Helena.
<< Poi. Intanto pigliati la simenta, la minkia te la prenderai poi>>.
<< Poi>>.
Lui era felice. La sua ciolla aveva scaricato ancora. Lei invece tinia il kunno il
fiamme. La cappella della ciolla parydea l‟aveva addumata di un fuoco strano. Si
sentiva in ebollizione come mai lo era stata.
<<Paryde, col tocco della sua minkia mi drogò. Chi minkia tinia nella minkia? La
minkia - cocaina? La minkia - ellessedì ? La minkia - eroina? Minkia, adesso io sono
minkia - dipendente più di prima. Ma di chidda minkia sua però>> pinsò Helena.
E quella notte arrivò il “poi”. L‟atteso “poi”. Il desiderato “poi”.
Quella notte, intorno a mezzanotte, Paryde ammusciò ad Helena come Mynkyalao si
inkunnava la bella vergine Ifikanya. Videro la prima , la seconda, la terza e la quarta
kazzicatummuliata. E ad ogni fikkata Helena chiedeva nu minkiuni di minkiajuana
da sukari. Partiva con calma come calmo era il ritmo della fikkata del suo futuro
marito e della sua amante. Poi accelerava la sukata del minkiuni allo stesso modo in
cui Mynkyalao e Ifikanya aumentavano il ritmo dell‟amplesso. E quannu iddi
venivano, Helena s‟ammuccava l‟ultima sukatazza di minkiajuana. E poi buttava fora
il fumo in un amen. E si formava una nuvola odorosa che avvolgeva lei e Paryde
anche. Paryde, per stare nu tanticchia tranquillo, o forse per semplice e buona
compagnia, si sukava pure lui nu beddu minkiuni di minkiajuana.
All‟inizio della quinta Helena disse: <<Basta, dammi n‟autru minkiuni e basta.
Andiamo via, che tengo il firticchio dappertutto. Il core mi sta pazziannu, la testa mi
sta scoppiannu, ma lu pakkiu grida “Minnitta … Minnitta...”. Era già in fiamme, ma
adesso pare l‟Etna. Stu kazzu di teatro del kazzu nun mi piaciu. Teatro cornuto fu.
Ora tocca a mia fare teatro. Teatro a tutta minkia. Teatro minnitta. Teatro
controcornuto. Teatro cornutissimo. Teatro a tutto kazzo e minkia e cicia e ciolla e
pene e fallo e mentula e minkia assai e ancora minkia e minkia assaissima e
veramente assaissimamente assai minkia. Andiamo a fare kazzicatummuli d‟amore.
Andiamo a fare tante ma tante ma veramente tante e tantissime e tantissimissime
kazzicatummuli di minkia in ogni minkia di posto che ti appititta. Veni, vidi, vici e
kazzicatummuliai>>.
<< Andiamo dove?>> chiese speranzoso Paryde, che era come uno un po‟ assai
brillo. Lo chiese sukandosi nu beddu minkiuni ranni. Intanto tinia la ciolla già
pronta e incilippiata di unguento.
<< A fare teatro. Teatro minnitta. A fare la minnitta. Dal minkiuni alla minkia. E datti
da fare a tutta minkia con la tua minkia. E che teatro giocondo con la “Gioconda”
sia>> disse lei.
<< Io son qua, pronto a darti la mia arma, la mia minkia arrapata. A fare la mia parte.
Sarò puparo del mio pupo e pupo del mio puparo>>.
<< Minnitta subito. Minnitta con l‟arma tua, con la minkia tua. Ma non qua. Altro
deve essere il palcoscenico della nostra prima teatrale. Della nostra prima misa.
Misa in scena e non solo. Misa qua, misa là, misa su, misa giù, misa dappertutto deve
essere la “Gioconda”>>.
<< Al tuo servizio, a minkia sana, tisa e potenti. Al tuo servizio a tutta minkia>>.
<< Imminkiami tutta, tutta tutta tuttissima. Imminkiami alla sanfasò. Imminkiami a
iosa. Imminkiami a tinchitè. Kazzicatummulimmi a iosa>>.
<< A disposizione tutto sano sano sanissimo. Cuore, ciriveddu, corpo e soprattutto
ciolla. Anzi “ Gioconda”. Tutta tutta tuttissima però>>.
<< Soprattutto quella, la “Gioconda”, per fare giocondo il mio kunnus che sta
piangendo. Forza.. vai.. trasi.. trasi nella “Luna”>> precisò lei.
<< Subito, immediatamente>>.
<< Non qua, nel bosco. Andiamo nel bosco a kazzicatummuliari>>.
<< E andiamo nel bosco a imboscare sta minkia. A mettere il kazzo nel tummulo>>.
Helena si lo portò in mezzo al bosco di Mynkyalonya, in un angolino riservato, e si
lu pussiriu alla diavolina. Appena la koppola della ciolla toccò la porta della fika si
scatenò l‟inferno, il tartaro, l‟Etna e altro ancora. Non si capì una minkia. Eppure una
minkia c‟era. Non si capì una ciolla e manco un kazzo. Eppure una ciolla c‟era. E un
kazzo anche. Ficiro teatro assai assaissimo. Ficiro il primo atto, il secondo e il terzo.
E dopo ne fecero altri. Ne fecero tanti, tantissimi. Ma non so quanti altri atti
recitarono. Fu un incendio sempre più devastante, una reazione sempre più
incontrollata, un sisma sempre più violento. Fu forse la ”reazione atomica“ di cui
parlava Democritino.
Lui comunque vide le stelle della volta celeste. Le vide, le contemplò, e cercò di
contarle. Ma nel contarle si perse in un infinito piacere. Erano infinite le stelle. La sua
ciolla vide le stelle della volta fikale. Le contemplò e cercò di contarle, ma nel
contarle si perse in un mare di piacere. Erano infinite anche loro.
E così lei. Vide e sentì cose che non aveva mai visto e sentito. Vide le stelle in cielo e
sentì le stelle in fika. Erano infinite numericamente parlando sia le une che le altre.
Ma sentì anche il sole dentro il suo pakkio. Helio la riscaldava tropp‟assai assaissimo.
La “Gioconda” era calda come il sole. La sa fika s‟illuminava d‟immenso piacere.
Un mare, un oceano, un universo di piacere, frutto di un orgasmo che dilaniava i
corpi, i sessi e soprattutto le menti, li travolse. Era impossibile negarsi il poi, il
seguito, il dopo, se quello era il risultato della loro prima missione nel “mondo del
kazzicatummulio”. Il loro kazzicatummulio era divino. Mai Helena aveva goduto
tanto, e manco Paryde. Con Helena vedeva chiù stelle che con la dea della bellezza.
Paryde naturalmente era contentissimo. Paryde aveva accorciato i tempi. Helena era
stata sua prima del tempo. Non una ma ben otto volte la “Gioconda“ aveva reso
giocondo il portuso di lei. Otto volte, ma otto volte con parte prima, seconda e terza.
O meglio, con attino primo, attino secondo e attino terzo. O forse attone. Come nelle
commedie e nelle tragedie. Ma questa era una rappresentazione del piacere. Ed era
anche questo teatro. E pure lei era contentissima. Quello che avevano messo in scena
era teatro puro. Teatro minnitta per essere precisi. Ma anche Teatro cornuto. O
Teatro piaceroso. Così si erano acconosciuti carnalmente Paryde ed Helena. E
accussì il picciotto aveva accorciato i tempi per arrivare al dunque.
<< Bello il pakkio spilato>> disse Paryde prima di tornare a Munypuzos.
E intanto pensava <<Lu pakkiu di Helena mi attizza assai assaissimo la sasizza>>.
<< Bello sì>> rispose lei pensando: << Ne ho avute di minkie na lu kunnu, ma chista
mi ha reso la femmina più felice di lu munnu>>.
<< Bella la “Luna”>> disse lui toccandole il satellite.
<< Bello l‟allunaggio della “Gioconda“ sulla “Luna”>> replicò lei toccandogli la
ciolla.
<< Bella sempre la tua “ Luna”>>.
<< E la tua “Gioconda” la rende sempre più gioconda. Con lei è sempre “Luna“
piena>>.
Ma sulla via del ritorno a Paryde gli era rivenuta su la poesia e ritornato il pititto.
Pertanto la fermò una prima volta, a colpi amorosi di minkia in amore, dicendo:
<< Dammi il Tartaro per un kazzicatummulio velocissimo>>.
E finita la cosa, facendo il finto serio, disse :
<< Lo bischero e io per quel cammino ascoso
intrammo per poi esplorar quell‟oscuro mondo.
E sanza cura aver d‟alcun riposo,
salimmo su, el primo lui e io secondo,
tanto ch‟i‟ vidi de le cose belle
che porta ‟l ciel, per un pertugio tondo.
E quindi uscimmo a riveder l‟altre stelle>>.
Poi aggiunse: << A dire il vero però, le stelle stavano anche là dentro. Ed erano
quelle le più belle. E viste l‟ho. Con la cicia le ho viste, ed erano chiù belle di quelle
del cielo. La tua volta fikale è più stellata di quella celeste. E girava in senso ora
orario e ora antiorario intorno alla koppola della minkia mia che caldissima era>>.
<< La tua minkia era il mio sole>> rispose lei.
N’autra vota, dopo un po’, la rifermò, sempre a colpi di pitittosa minkia cina di
pititto, dicendo: << Fammi passeggiare nella Prateria degli asfodeli. Per una serie di
kazzicatummulii velocissimi>>. E alla fine, tra il serio e l’ironico, disse:
<<Io ritornai da la sementosa onda
rifatto sì come ciolle novelle
rinovellate di novella fronda,
puro e disposto a riveder ancor le stelle>>. Poi aggiunse: << Perché, a dire il vero,
le stelle stanno là dentro. E là dentro stato io ciò. Visto l‟ho le stelle e l‟autre cose. E
minkia quante cose ci son dentro la tua fika>>.
<< Illuminami d‟immenso l‟ardente pakkio vorace con la tua solare “Gioconda”.
Esplora come minkia vuoi, quando minkia vuoi e come minkia vuoi la mia volta
fikale. Illumina tout court e full time la mia “Luna”. E che mai ci siano eclissi>>
rispose idda.
Infine la fermò per la terza volta, sempre a colpi di arrapata ciolla arrapatissima,
dicendo: << Fammi entrare nei Campi Elisi per qualche altra kazzicatummuliata
gloriosa>>. E a cose fatte, in estasi completa e assoluta, recitò:
<< A l'alta fantasia della mia bell‟assai cicia rossa
che già volgeva di nuovo il mio disio in valli belle,
sì come rota ch'igualmente è smossa e mossa,
la ciolla mia è il sole, e move e smove l'altre stelle>>. Poi aggiunse: << Move e
smove le stelle della tua volta fikale. Perché la ciolla mia è il sole, e il sole mio move
e smove le stelle che stanno là dentro. E là dentro di stelle è pieno pienissimo, e sono
chiù belle, chiù luminose, chiù colorate e chiù calde delle stelle che stanno in cielo a
non fare una minkia. Le tue invece rendono felici la mia minkia>>.
<< Le soste mi son piaciute ma le poesie non le ho capite.. troppo kriptiche. Quasi
misteriose.. parunu tratte da un libro sacro..>>.
<< Mi son venute su come la minkia, ma se ho capito l‟andazzo del mio kazzo le
poesie non le ho capite manco io. Forse erano parole a kazzo, ma son venute fuori
dalla bocca e non dal kazzo. Comunque erano divine. Divine come la nostra “divina
commedia”. Come il nostro “divino kazzicatummulio”>>.
<< Sono previste altre soste?>> chiese lei.
<< Io ne farei tante quante le stelle>>.
<< Della volta celeste?>>.
<< No, della volta fikale>>.
E risero. Risero alla sanfasò, a iosa, e finanche a tinchitè. In effetti la sequenza
fikkatoria, a parte le soste, era stata impressionante. Un incendio devastante, un
sisma potente, un alluvione di piacere. Ma l‟effetto comunque era stato potenziato
dalla troppa minkiajuana. Quannu iddu ci alliccava lu pakkiu ci sapia di minkiajuana,
quannu iddu ci sukava li capiccia ci sapeunu di minkiajuana. E quannu idda ci sukava
la minkia ci paria di sukari nu minkiuni di minkiajuana. E pure l‟aceddu ci sapia di
minkiajuana. E pure lu latti di brigghiu ci parsi latti di minkiajuana. Ma se lu latti di
brigghiu esistia chiddu di minkiajuana non era stato ancora inventato.
Ma poi c‟era un “poi” misterioso. Un sapore misterioso, un ciaru non conosciuto,
C‟era l‟unguento misterioso. Na stizza appena. Ma minkia, chi minkia cumminava na
stizza di chiddu unguento della minkia.
<<Ma chi minkia è st‟unguento della minkia che ho messo sulla minkia?>> si
addumannò Paryde.
<< La minkia sua è il più potente afrodisiaco che io conosca>> pinsò Helena.
--La ciolla amata, magari ca è nicaredda, è sempre la regina di l‟acedda.
Socratuccio Nicu
--Nel mezzo della notte ho lasciato il mio compagno di letto,
e vengo qui tutta bagnata da una pioggia battente.
E poi restiamo senza far niente, senza parlare o dormire
(s'intende come è legge degli amanti dormire)?
Antologia Palatina
--O dio della Ciolla, come faccio a trovare la giusta ciolla?
Invocazione a Pryapo
---
Trascorreva felicemente, come detto già troppe e troppe volte, il giorno del
matrimonio. Anzi, finiu nel senso del dì. E arrivò naturalmente la notte. “E ora si
fotte. A tutti buonanotte. Per non dire altro” pinsarono in tanti. “Luna calante minkia
scopante. Luna crescente minkia penetrante. Luna nuova, la minkia già dintra si
trova. Luna piena, la minkia trasi e nesci e si allena” diceva uno dei tanti detti
popolari a sfondo erotico. La notte di nozze però finiu mali. Eppure la luna era piena.
Ma la reale ciolla di Mynkyalao era però vuota. O meglio, erano vuoti i suoi reali
koglioni. La prestazione di Mynkyalao fu scadente. Trasiu con difficoltà e si pisciau
in un amen. Una fikkata lampa e stampa. Peggio di quella del labirinto. Helena restò
assai insoddisfatta. Da quannu il suo kunno avia assaggiato la ciolla di Paryde era più
in fiamme che mai. Era minkia - dipendente tout court e full time. Mynkyalao non
poteva spegnere l‟incendio di quella troia di Helena. Non era il pompiere adatto. Pur
avendo una pompa resistente. Una pompa sempre dura per motivi tecnici. Ma se la
minkia reale era realmente dura, il pititto reale era realmente di ricotta. Mynkyalao,
poco prima della cerimonia, era stato spurpato vivo dalla nipote. Intanto che lo
aiutava a vestirsi lo aveva sottoposto a sette fellatio. Aveva preteso sette inkunnatio, e
finanche sette inkulatio. Quello pertanto non aveva certamente esaurito la durezza
dell‟aceddu, ma aveva invece consumato tuttu lu latti di brigghiu disponibile. E al
talamo nuziale si presentò che era una fitinzia. Esaurito com‟era di minkia e di
ciriveddu. Eppure la ciolla era dura, per motivi tecnici. Dura ma stanca. E stanco era
pure di corpo e di testa.
<<Mancu una bona si ni sapi fari. La buttana di sua nipote Ifikanya l‟avi spompato
alla grande, la sukaceddi specializzata. E io non mi posso accontentare di questa
fitinzia di minkia. La prima notte di nozze deve essere un‟orgia di minkia in kunno,
deve essere una notte di minkia in piena che ti allaga e ti sbrodola. La simenta deve
tracimare dal pakkio e non solo. La prima notte di nozze deve essere una notte cina di
minkia. Una recita multipla e divertente. Un kazzicatummulio continuo. Minkia a
iosa, alla sanfasò e a tinchitè. Una commedia del piacere deve essere e no una
tragedia del kazzo. La prima notte di nozze deve durare tutta la notte. Deve essere
una notte a tutta minkia. La ciolla deve essere la protagonista primaria dello
spettacolo. Deve esibirsi a iosa, alla sanfasò e a tinchitè. Invece il mio
kazzicatummulio finiu a schifiu>> pinsò nella sua testa la bella Helena.
Poi pensò per un attimo a Teseo che l‟aveva fatta femmina a forza, ma subito dopo
pinsò a Paryde. Dalla minkia primaria alla minkia amata. Ma tra il pensiero della
minkia primaria di Teseo e il pensiero della minkia amante di Paryde pinsò a tutta
una serie di minkie da cui felicemente si era fatta imminkiare. Fece una classifika e
all‟ultimo posto piazzò quella di Mynkyalao. Al primo mise Paryde. Allora desi al
marito una sostanza strana pi fallu dormire assai assaissimo ed essere libera di
imminkiare a tutto kunno.
Se quel palcoscenico era stato un fallimento del kazzicatummulio, altri letti e altre
minkie potevano dare altri spettacoli. La notte delle nozze doveva essere una notte
cina di minkia. E se la minkia del marito non riusciva a fare la minkia, c‟erano in giro
minkie a non finire. Eventualmente quindi poteva rifarsi con queste minkie. E se il
marito, minkialenta e non solo, non era stato capace di imminkiarla a dovere,
doveva cercasi un‟altra minkia per imminkiare come minkia comanda. Praticamente
la minkia di Paryde. O eventualmente una serie di minkie. Praticamente minkie a
caso. Però minkie a iosa, alla sanfasò e a tinchitè.
<< Voglio il kazzo di Paridazzo o voglio solo un kazzo?>> pinsò.
<< Bevi per amore mio. È una miscela di sostanze rinforzanti. Tra poco la forza ti
riconquisterà. L‟aceddu è tisu ma il corpo è moscio. Con questo beverone tra picca
sarai prontissimo a fare un nuovo fikka-fikka. Tra poco facemu festa di nuovo.
Riprenderemo la spettacolo, la recita, la misa..>>.
<<Voglio il kazzo di Paridazzo o forse va bene solo un kazzo. Se non posso fare una
bella orgia con la minkia di mio marito, allora farò un‟orgia con la minkia
dell‟amante. Oppure un‟orgia di minkie varie e basta. Di minkie varie e stop. Perchè
la notte di nozze dev‟esser un‟orgia di minkia. O un‟orgia di minkie. Per dimenticare
la minkia inutile del marito e non pensare alla minkia gioconda dell‟amante>> pinsò
Helena. Mynkyalao si calò tutto in un attimo. E si addormentò profondamente in un
amen.
<< Dormi beddu, che io vado a cercare il mio aceddu. Ma il mio dilemma è questo: la
notte delle nozze, se la minkia del marito non funziona, per fare lampi e trona ci voli
la minkia dell‟amante o basta una minkia che sappia fare la minkia all‟istante? O
fors‟anche una serie? Insomma, se la ciolla maritale è un fallimento, la sposina deve
andare direttamente da quella che è la ciolla già sperimentata dell‟amante o iniziare
la ricerca della ciolla ideale, sperimentando minkie su minkie e ancora minkie e
minkie e poi ancora minkie a iosa, alla sanfasò e a tinchitè tout court e full time? >>.
<< Voglio il kazzo di Paridazzo o voglio solo un kazzo?>> gridò forte.
Il marito non sentì una minkia. Dormiva pesantemente. Dormiva come un ghiro. E
russava come un porco. Helena rifletté un attimo e si chiese: << Ci voli la minkia di
Paryde bello o basta un qualsiasi uccello?>>.
Non sapeva se andare da Paryde o dalla prima minkia che capitava. Andare da Paryde
voleva dire che era semplicemente innamorata, anche perché Paryde avia si un
bell‟uccello ma non era certamente il massimo in fatto di misure. Ma lei avia il
kunno innamorato: e l‟amore è capace di far diventare un elefante magari una
mosca.
<< Vado a minkia e m‟imminkio sulla prima minkia per cercare di non pensare né
alla minkia di Mynkyalao che mi fa schifo né a quella di Paryde che mi appititta. Ma
se non troverò soddisfazione, gira e rigira, imminkia prima e imminkia appresso, è da
Paryde che porterò il mio sesso, perché per il mio kunnu chidda è la megghiu minkia
di lu munnu>>.
Uscì dalla camera da letto coniugale gridando: << Voglio una minkia. Voglio un
kazzo. Voglio una ciolla. Voglio un fallo. Voglio una minkia>>.
Era comunque scontentissima e inkazzatissima la bella Helena. Il kazzo maritale non
valeva un kazzo. Il teatro col marito era stato un fallimento. Una tragedia del kazzo.
Bellissima lei, inutile lui e inutilissima la sua cosa spompata. Da attrice professionista
la sua performance, da attore da strapazzo quella del marito, da attore morto quella
della sua ciolla. Più che una festa, un funerale. Della ciolla e del resto. La “Luna “ era
pallida di umiliazione. Pallida e addolorata. E piangeva lacrime di dolore e non di
piacere. Titolo plausibile della squallida messa in scena, un flop totale, A letto col
marito che minkia faccio se la ciolla maritale non funziona come una vera minkia.
Esempio chiarificatore di Teatro impotente. In testa un pinsero fisso.<< Che minkia
devo fare?>>.
E si mise a firriari per i corridoi del palazzo reale sukannisi nu beddu minkiuni di
minkiajuana. E ciusciannu peggio di Zeus nirbusazzu e arrapato, di Eolo
inkazzatissimo e tempestoso, di Pryapo trombante e inkunnante, pinsava a quel
kazzo che fare doveva. In testa un pinsero fisso che la tormentava fin nel più
profondo del kunnareddu. Pardon, del ciriveddu.
<<Che mentula di ciolla di cicia del kazzo di una minkia devo fare?>>.
Il kazzicatummuliu col marito era finito letteralmente a schifiu. Doveva solo
kazzicatummuliari di ciolla in ciolla fino ad approdare alla ciolla di Paryde.
<<E così sia. Orgia di minkie sia. Iniziamo il “minkia tur”. In attesa di arrivare al
traguardo. Alla minkia di Paryde>>.
--Delle volte la ciolla del marito vale meno di un pirito fantasma.
Plotonio
--La ciolla minore del re minore fu minore in tutto.
Euclide da Munypuzos
--La minkia reale non sempre è necessariamente reale.
Fedro
---
Due tizi originari di Leonthynoy e Karleonthynoy, polis della “lega del pattuallo”,
cercarono di valutare
il numero delle ciolle di cui aveva bisogno Helena per
dimenticare l‟odiatissima ciolla dell‟odiatissimo Mynkyalao e non pensare a quella
amatissima dell‟amatissimo Paryde.
<< Quattro milioni di ciolle che sappiano fare la ciolla. Quattro milioni di ciolle in
processione, una dopo l‟altra. Questo per non pensare alla ciolla di Paryde. Per
dimenticare la ciolla del marito bastano quattro ciolle qualunque. E a dire il vero
basta anche una ciolla anonima oppure un Sosia qualunque>> disse il tizio di
Karleonthynoy.
<<Otto milioni. Otto milioni di ciolle in processione per non pensare alla ciolla di
Paryde. Otto ciolle qualunque per dimenticare la ciolla del marito . Anche se in realtà
basta anche una ciolletta o un dito>> disse il tizio di Leonthynoy.
Ma da Palermorum fecero sapere che la valutazione poteva arrivare al massimo a
quaranta milioni di ciolle. Quaranta milioni di cicie per non pensare alla cicia di
Paryde. Mentre bastava una cicia qualsiasi per dimenticare la cicia maritale. Magari
bastava un cicetta, una minkietta, una ciolletta, un falletto, un kazzetto, un piselletto.
Purtroppo un altro tizio perse i documenti e tutto finì a ciolla di cane rognoso. Ma
costoro ignoravano che per Helena la ciolla di Mynkyalao valeva meno di zero
mentre quella di Paryde era tutto. Aut Cesar, aut nihil. O Cesare o nulla. Paryde era
Cesare, Mynkyalao il nulla. O meglio, la minkia di Paryde era Cesare, la minkia di
Mynkyalao il nulla. La cicia paridea era la dea delle ciolle. A parte il fatto che tra
magna grecia e grecia tutte quelle minkia di ciolle non c‟erano. Manco considerando
le ciolle impotenti e quelli dei picciriddi era possibile arrivare a quattro o otto milioni
di ciolle. Figuriamoci a quaranta milioni. Manco a cercarle con lanternino. Manco
con un miracolo potevano spuntare tutte quelle ciolle.
--Quattro milioni.. otto milioni.. quaranta milioni..
senza documentazione che rottura di koglioni.
Detto popolare
---
Per tutto il palazzo reale di Munypuzos risuonò, in un crescente continuo, un
lacerante e addolorato urlo. Era l‟insoddisfatta Helena. Si trattò di urlo spaventoso, di
un urlo semplicemente e drammaticamente tonitruante.
<<Voglio..
una minkia..
una minkia..
una minkia...
una minkia..
una minkia...
una minkia..
una minkia..>>.
Per poi finire con un micidiale:
<<Voglio una
MINKIA
>>.
Pure la sua “Fika” urlò un “Fika-tonitruante” urlo assai lapalissiano.
<< Voglio una minkiaaaaaa...una minkia che sappia fare la minkiaaaaaa...>>.
E non era un lapsus calami o un lapsus linguae.
In vino veritas. O meglio, in kunnus veritas. Gutta cavat lapidem, mentula cavat
kunnus. Il sogno di Helena, e della sua fika, era quello di gridare in faccia all‟urbe,
all‟orbe e all‟Olympazzo tutto:<< Habemus mentula>>.
Ma il problema era “Quale mentula?” Una mentula qualsiasi o la mentula di Paryde?
“Melius abundare quam deficere” diceva un detto latino latinamente latinissimo.
E allora meglio un‟overdose di mentuline, mentule, mentulone e mentulazze per
dimenticare la mentulina di Mynkyalao e non pensare alla mentulona di Paryde.
<< E overdose sia.. con tanti parerghi e senza paralipomeni>> disse Helena.
--Gallina che canta ha fatto l‟uovo, donna che canta ha fatto l‟amore.
Iaddu ca s‟annaca la cura è pronto a fari l‟amuri,
maskulu ca s‟annaca lu kulu avi già fattu sciri lu skulu.
Detti popolari
---
A curtigghiari c‟erano i tre intellettuali della ciolla che pinsavano già di scrivere
rispettivamente, secondo la propria specializzazione, il Poema Helena abbandona
l‟inutile phallo di Mynkyalao per cercare un phallo che sappia fare il phallo , il
Carmen Helena addormenta l‟addormentata mentula di Mynkyalao per andare alla
ricerca di una mentula più sveglia, e il romanzo Cent‟anni di minkia addummisciuta
di Mynkyalao costringono il pakkio di Helena a circari una minkia più efficiente.
Sokratynos, il filosofo della minkia, si chiese: << La vita è una, come la minkia, e se
non è un piacere vivere e avere una minkia, a che minkia serve avere una minkia se
poi non puoi imminkiare manco quella troia di Helena che insoddisfatta della minkia
di quel minkialenta di Mynkyalao nun sapi se cercare la minkia innamorata di Paryde
o una minkia qualsiasi che sappia fare la minkia mentre ci sarebbe la mia minkia
tonitruante a disposizione ipso facto pronta a imminkiarla draconianamente e
finanche socraticamente assai assaissimamente assaissimo?>>.
--<< Voglio una minkia. Ho bisogno di una vera minkia per imminkiarmi, ma non so di
quale minkia ho bisogno? Insomma, se la ciolla maritale è un fallimento, la sposina
deve andare direttamente da quella che è la ciolla goduriosa già sperimentata
dell‟amante o iniziare la ricerca della ciolla ideale, sperimentando minkie su minkie e
ancora minkie e minkie e poi ancora minkie a iosa, alla sanfasò e a tinchitè tout court
e full time? Insomma insomma, il kazzo piaceroso dell‟amante o un kazzo qualsiasi
che sappia fare il suo mestiere di kazzo? Insomma insomma insomma, con chi kazzo
devo kazzicatummuliare?>> gridava Helena nei corridoi del palazzo reale.
Era in quella parte del palazzo dove riposavano gli illustri ospiti. Re, regine, dei, dee
e tanti ma tanti eroi. E riposavano pure le ciolle di costoro. O meglio, lavoravano.
<< Chiedo a papà. E che minkia. Chiedo alla prima minkia della nomenclatura>>.
E non ancora totalmente convinta sulla decisione da prendere corse nella camera del
padre. Zeus stava trummiannu. Cu Leda. Ca era la madre di Helena. Smise subito
Zeus e si antuppò l‟aggeggio. Non tanto per vergogna, ma per dignità divina. Era
troppo troppissimo eccitato. E adesso anche inkazzato.
<< Coitus interruptus ipso facto, la fikkata fu interrotta.
Piacere perso, paparino bello. Senza botto fu la botta>> disse la bella Helena
pensando di addolcire il caro e amatissimo capodio. O per lo meno, provandoci.
<< Skassamento di minkia, ma dimmi comunque, tanto oramai il danno è fatto, chi
minkia vuoi, figghia bedda assai ma assai veramente>> disse Zeus tra il serio divino
e il faceto umano.
<< Papà, chi minkia fazzu? Mynkyalao nun vali nu kazzu.
Consolami la parte addolorata, altrimenti m‟ammazzu.
Papà,vuoiu nu kazzu. Papà, tu ca si lu capudiu,
fai cu mia un assai bellissimo kazzicatummuliu>>.
<< Nun pozzu. È incesto, tu sei figlia mia. Per dio.
Calmati lu firticchio sia di testa ca di stikkio >>.
<< Mi ni futtu na minkia. To mugghieri Era ti veni soru.
Magari chiddu è incesto. Ma tu ci lu calasti il tesoro.
E a Persefassa poi ci la dasti volentieri la ciolla.
E io, minkia pi minkia, mica sono chiù stolla>>.
<< Non posso, sono qui con tua madre che vuole l‟osso>> replicò Zeus.
<< O mi consoli subito lu stikkiu o m‟ammazzu >>.
<< Figghia mia bedda, nun ci skassari lu kazzu>> intervenne Leda.
<< Papà. O mi consoli la fregna o m‟ammazzu >>.
Non disse altro Helena. Zeus capì. E la consolò seduta stante. Sotto gli occhi
consenzienti di Leda. Poi Zeus disse:
<< La qualità e la quantità di la minkia di Mynkyalao non fa per te.
Troppa poc‟assai da tutti i punti di vista quella sasizza è.
A parti ca ci sta na gran figghia di grannissima buttana
ca ci la sta, per modo di dire, cunsumannu tutta sana sana.
Quella ciolla in realtà è sempre tisa, e minkia se putissi fari.
Ma lu ciriveddu di lu padruni è stancu di farla travagghiari>>.
<< Papà, allora chi minkia di minkia fazzu?>>.
<< Figlia, cerchiti n‟autra minkia di kazzu,
pigghiti puru chiddu di lu beddu Paridazzu >> rispose placido Zeus.
<< Figghia bedda, pigghiti pure la minkia del purceddopolita.
Ma nun ci skassari chiui la minkia pi tutta la vita>> aggiunse mamma Leda.
<< Per adesso no. Ciao comunque, e buon lavoro di cicia divina in kunnu.
Buon lavoro mamma . E buon lavoro papà, numero uno di lu munnu. >>.
<< Vai, vai a skassare la minkia a chi dico io, che sicuramente si la sta skassando da
solo per il dolore di saperti sotto l‟aceddu torturatore di tuo marito. Vai e non tornare
che già mi skassasti la koppola della minkia e mi facisti addivintari acido lu latti di
brigghiu. Lassimi finiri cu Leda, ca se spunta Pryapo sunu kazzi amari. E kazzi
amari sunu anche se solo lo sento cantare. E chiddu è come il gallo, prima o poi canta
e rumpi la quattara cina. O meglio, la ciolla tisa>>.
<< Sono d‟accordo, d‟accordissimo. Se il tuo è acido, quello di Paryde acidissimo
sarà>>.
<< Vai, vai, e speriamo che Pryapo non si faccia vedere, e soprattutto che stia zitto
ancora un po‟>> disse Zeus. Ma poi, perché come a tutti i maschi ci piacia sentirsi
dire dalla fimmina ca era tutta ma proprio tutta soddisfatta, anche se la fimmina in
questione era la figlia, il sommo Zeus chiese curioso:
<< Ma la minkia mia, dimmillu chiaru e tunnu,
almenu lu stutau lu focu ca ardia na lu to kunnu? >>.
<< Mancu di na stizza, lu kunnu ancora mi pruri e m‟attizza.
Iddu assai m‟impazza e voli tutt‟autra minciazza>> rispose Helena andando verso
l‟uscita.
<< N‟attimo, figghia, se lu maritu nun vali nu kazzu,
e vuoi per il momento scurdariti la minkia di Paridazzu,
cerca Pryapo e la sua minkia impertinente e gloriosa,
e in un attimo fatti futtiri da quella cosa portentosa.
Chidda è la cicia caput mundi, il non plus ultra di li kazzi,
“Panem et circenses” di li kunna è chidda regina di li minciazzi.
“Ubi maior minor cessat” dice un detto assai dotto di la gente antica.
“Uniquique suum” dico. E la sua è giusta pi la bedda tua fika.
Ma se anche la ciolla di Pryapo nun stuta stu kazzu di focu,
allura è Paryde ca teni lu strumentu giustu pi chissu iocu >>.
<< No. Pryapo no. Voglio una minkia e no una bestia di minkia. Adesso ho bisogno
di una minkia che sappia fare la minkia, ma non so di quale minkia? Credo che mi
serva solo una minkia, una minkia efficiente, una minkia dotata del massimo
possibile di deontologia professionale o minkialesca. Io voglio solo una minkia
adesso. Una minkia ca mi kazzicatummulia a iosa, alla sanfasò e a tinchitè>> gridò
Helena uscendo dalla camera di Zeus e addumannisi n‟autru minkiuni di
minkiajuana.
Era comunque contentissima Helena. Il teatro con papà era stato uno spettacolo
bello. Un bel kazzicatummuliu. Una bella messa in scena. Superba, divina quasi.
Anzi, divina senza dubbio. E con Leda a fare da spettatrice plaudente e consenziente.
Da attori professionisti la performance dei protagonisti. A tutti i livelli. La ciolla di
Zeus era saettante come un fulmine e portava luce e piacere sommo. Ma la “Luna“
però non era soddisfatta. Era semplicemente ammutolita. Forse impietrita. E
piangeva, lacrime di dolore e non di piacere. Titolo plausibile, A letto con la ciolla
fulminante di papà, esempio primario di Teatro divino. Uscendo Helena aveva un
pensiero fisso: <<Che kazzo devo fare?>>.
Anche Zeus e Leda si addumanu nu minkiuni di minkiajuana. Per calmarsi in attesa
di riprendere il lavoro interrotto. Per darci di nuovo dentro a tutta ciolla in pakkio. Per
raggiungere il piacere spezzato o interrotto da quella buttana di Helena. Per trovare la
pace dei sensi. A ciolla tisa però. Sempre sperando che Pryapo, personalmente o
tramite la sua voce, non ammosciasse il giocattolo di Zeus. Se Helena aveva
ammosciato temporaneamente, Pryapo ammosciava pi nu tanticchia di tempo.
<<Che mentula di ciolla di cicia del kazzo di una minkia devo fare?>> pinsava
intanto Helena girando per i corridoi del palazzo reale.
E pinsava anche che il kazzicatummulio con papà era stato un buon kazzicatummulio.
Buono, ma non era quello che voleva lei. Altro era il suo kazzicatummulio ideale.
Era un saltare di mentula in mentula che doveva concludersi sulla mentula di Paryde.
Se Zeus, la prima minkia della nomenclatura, era stata la prima minkia del suo
”minkia tur”, l‟ultima doveva essere quella di Paryde. Ma nel mezzo, quante minkie
ci dovevano stare? <<Ma il traguardo è vicino o lontano>> si chiese Helena.
--Zeus, ciolla fulminante, vieni e fotti a minkia cina e penetrante.
Zeus, ciolla tonante, vieni e fotti in maniera ridondante.
Zeus, ciolla trombante, vieni e fotti in maniera divina.
Zeus, ciolla capadia , divinizza pure la fika mia.
Zeus, ciolla crisoelefantina, futtimi a minkia cina
Zeus,anziché fulmini, lancia la tua ciolla.
Pompeo Phallos
--Due tizi originari di Leonthynoy e Karleonthynoy cercarono di valutare il numero
delle ciolle di cui aveva bisogno Helena per non pensare alla ciolla dell‟amatissimo
Paryde. E fecero calcoli su calcoli usando la mani, le dita, e finanche la ciolla, le
palle, il pallottoliere e il pattualloliere.
<< Quattro milioni di ciolle “modello Zeus”. Quattro milioni di ciolle alla capodio.
Quattro milioni di ciolle fulminanti e saettanti. Quattro milioni di ciolle della
nomenclatura>> disse il tizio di Karleonthynoy che si era molto assai applicato nei
calcoli.
<< Otto milioni. Otto milioni ci ni vogliono. Non una di più o una di meno. E tutte
divine. O per lo meno, con capacità, abilità, conoscenze e applicabilità quasi
divine>> replicò il tizio di Leonthynoy.
Ma da Palermorum fecero sapere che la valutazione poteva arrivare al massimo a
quaranta milioni di ciolle. Purtroppo un altro tizio perse i documenti e tutto finì a
ciolla di topo morto. Ignoravano i suddetti che per il pakkio libero e indipendente di
Helena qualsiasi ciolla valeva zero. Anche quella di Zeus. Mentre la ciolla di Paryde
valeva più dell‟universo tutto sano sano. Ma loro purtroppo sapevano dare solo i
numeri. Numeri a minkia però. La ciolla di Paryde per Helena era la capadia delle
ciolle. La ciolla cesarea per eccellenza.
--Quattro milioni.. otto milioni.. quaranta milioni..
senza documentazione che rottura di koglioni.
Detto popolare
---
Per tutto il palazzo reale di Munypuzos, e forse anche nei dintorni, risuonò di nuovo
il lacerante e addolorato urlo della sempre più insoddisfatta Helena. Un urlo pieno di
dolore e di insoddisfazione. Un urlo che muoveva a compassione l‟urbe e l‟orbe. Un
urlo drammaticamente tonitruante.
<<Voglio..
una minkia..
una minkia..
una minkia...
una minkia..
una minkia...
una minkia..
una minkia..>>.
Per poi finire con un micidiale :
<<Voglio una
MINKIA
>>.
Pure il suo “Stikkio” urlò uno “Stikkio - tonitruante” urlo assai lapalissiano.
<<Voglio una minkiaaaaaa...una minkia che sappia fare la minkiaaaaaa..>>.
E non era un lapsus calami o un lapsus linguae. In vino veritas. O meglio, in kunnus
veritas. Gutta cavat lapidem, mentula cavat kunnus.
Il sogno di Helena, e del suo stikkio, era quello di gridare in faccia all‟urbe, all‟orbe
e all‟Olympazzo tutto:<< Habemus mentula>>.
Ma il problema era “Quale mentula?” Una mentula qualsiasi o la mentula di Paryde?
“Melius abundare quam deficere” diceva un detto latino latinamente latinissimo.
E allora meglio un‟overdose di mentuline, mentule, mentulone e mentulazze per
dimenticare la mentulina di Mynkyalao e non pensare alla mentulona di Paryde.
<< E overdose sia.. con tanti parerghi e senza paralipomeni >> disse Helena.
--Batti il ferro quando è caldo, usa la minkia quannu è tisa.
Sona la campana quannu è ura, usa la minkia quannu è dura.
Inforna il pane quannu è prontu lu furnu, inforna la minkia quannu è prontu lu kunnu.
Lu giustu mangiari na lu munnu è pane pi la panza e minkia pi lu kunno.
Detti popolari
--A curtigghiari c‟erano i tre intellettuali della ciolla. I tre kakaparole del kazzo. E i tre,
non avendo un kazzo da fare, pinsavano già di scrivere rispettivamente, secondo la
propria specializzazione, il Poema Helena s‟inphalla il phallo paterno di Zeus, il
Carmen Helena s‟immentula la genitrice mentula di Zeus, e il romanzo Cent‟anni
della minkia paterna di Zeus per il filiale pakkio di Helena.
Sokratynos, il filosofo della minkia, si chiese: << La vita è una, come la minkia, e se
non è un piacere vivere e avere una minkia, a che minkia serve avere una minkia se
poi non puoi imminkiare manco quella troia di Helena che invece si lascia
imminkiare dall‟amato paparino Zeus mentre io potrei passarle draconianamente e
finanche socraticamente, e volendo anche oralmente, la mia tonitruante minkia
filosofikamente filosofika? >>.
---
<< Voglio una minkia. No, quella di Pryapo no. Voglio una minkia e no una bestia di
minkia. Per adesso ho bisogno solo di una minkia, ma non so di quale minkia?
Voglio solo una minkia che sappia kazzicatummuliare alla grande>> gridava in
maniera quasi ossessiva la sposina novella.
Helena non sapeva se andare da Paryde o dalla prima minkia che capitava dopo
quella paterna, duci e divina di Zeus. Di Pryapo non se ne parlava completamente.
Andare da Paryde voleva dire che era semplicemente innamorata, anche perché
Paryde avia si un bell‟uccello ma non era certamente il massimo in fatto di misure.
Ma lei avia il kunno innamorato: e l‟amore è capace di far teoricamente diventare un
elefante magari una piccola mosca.
<< Vado a minkia e m‟imminkio sulla prima minkia per cercare di non pensare né
alla minkia di Mynkyalao che mi fa schifo né a quella di Paryde che mi appititta. Ma
se non troverò soddisfazione, gira e rigira, imminkia prima e imminkia appresso, è da
Paryde che porterò il mio sesso. Perché per il mio kunnu chidda è la megghiu minkia
di lu munnu>>.
---
<< Voglio una minkia, una minkia, una grande minkia e no una bestia di minkia.
Insomma, se la ciolla maritale è un fallimento, la sposina deve andare direttamente da
quella che è la ciolla già sperimentata dell‟amante o iniziare la ricerca della ciolla
ideale, sperimentando minkie su minkie e ancora minkie e minkie e poi ancora
minkie a iosa, alla sanfasò e a tinchitè tout court e full time? Oppure, per tagliare la
testa al toro, correre da Pryapo e farsi somministrare la sua ciolla, praticamente la
regina di tutte le minkie dell‟urbe, dell‟orbe e dell‟Olympazzo. Insomma insomma, il
kazzo amato dell‟amato amante o il kazzone katholikos di Pryapo o semplicemente
kazzi su kazzi scelti a kazzo ma che sappiano fare il kazzo? Insomma insomma
insomma, con chi kazzo devo kazzicatummuliari? >> gridava Helena aggirandosi per
i corridoi del palazzo reale come una pazza invasata desiderosa solo di essere
imminkiata.
E ad un certo punto s‟anfilau nella prima stanza ca ci capitau. All‟urbigna. Spirannu
però di trovare una minkia da infilarsi nel giusto sito. Non una minkietta ma una
signora minkia . Una minkia che sapesse fare la minkia.
<< Se “minkia tur” è, “minkia tur” deve essere>> pinsò Helena.
Era la camera di Eros quella dove era entrata. Entrando interruppe la trummiata del
dio dell‟amore con la legittima consorte, la bella e sensuale Psifika.
<< Coitus interruptus. Kazzo, come so rompere bene i koglioni e ben skassare la
minkia>> scherzò Helena ridendo.
<< Coito finito male, cara la mia rompikoglioni>> rispose Eros inkazzato.
<< Filazza lassata a mità travagghiu, minkia, se ci ni voli di curaggiu>> aggiunse
Psifika che vedeva il piacere finale momentaneamente sfumare.
<< Chi voi? Tieni problemi concreti d‟amore concreto?>> chiese Eros assai
assaissimo professionale.
<< Tengo problemi di minkia. E minkia che problemi di cicia che tengo. Grossi,
grossissimi, ipergrossi, ultragrossi, diciamo anche obesi>>.
<< E chi minkia addivintasti, ermafrodita?>> chiese quello con tanta ma tanta ironia
molto ma molto professionale.
<< Voglio una minkia, testa di minkia che altro non sei.
Voglio una minkia per addolcire la mia sofferente lei>>.
E indico la lei in questione. Eros non rispose.
<< Eros beddu, chi minkia di kazzu di ciolla fazzu?
Consolami la parte addolorata, altrimenti m‟ammazzu.
Eros, tu si ca si nu beddu e sapiente diu,
fai cu mia un bell‟assai kazzicatummuliu>> chiese al dio dell‟amore Helena.
Eros la consolò ipso facto. Sotto gli occhi della bella moglie Psifika consenziente.
D‟altra parte il suo ruolo istituzionale era quello di consolare chiunque si lamentasse,
maskulo o fimmina ca fosse. Poi disse:
<< Un giorno si dirà: Va dove minkia ti porta il cuore.
Ma saranno solo minkiate, balle e fesserie d‟amore.
Io oggi ti dico: Va dove ti porta il kunnus o il kulus o la minkia.
Vai dove il desiderio del piacere incomincia, finisce e ricomincia.
A seconda dei casi. Vai comunque dalla minkia che assai ti appititta,
corri a pakkio aperto, perché, a parte la minkia, tutto il resto è aria fritta>>.
<< Ciao, continuate pure. Io so dove mi porta il kunnus. E anche il resto. Però prima
voglio sperimentare. Poi andrò dove mi porta il kunnus. Andrò a recitare la mia
“Divina commedia”, a leggere i miei mentula e kunnus “Promessi sposi”, ad
interpretare “Il piacere”, a fare il mio ciollesco “Decamerone“ al quadrato, ad
anticipare “Giulietta e Romeo”, a comprendere cos‟è “La Gerusalemme liberata”, a
vivere il mio scontro con “L‟Orlando furioso”, ed altro ancora farò. Ma non adesso.
Adesso sono in tur. In “minkia tur”. E voglio vivere tutta “L‟insostenibile leggerezza
della mio essere”, ovvero del mio essere kunnus spilato, kunnus glabro, kunnus
glorioso >>.
<< Vaffankulo Helena, vai a rompere i koglioni a qualche altra persona, anzi, ad una
certa persona. Io so che ti piace Paryde. Allura vaffanstikkio, vattilla a fari metteri
nello stikkio da Paryde. Lassa il “tur della minkia”, e vai a farti un tur permanente
con quella minkia>> dissero Eros e Psifika. E ci ficiro il segno di lu crignu.
<< Ma la minkia mia, dimmillu chiaru e tunnu,
almenu lu stutau lu focu ca ardia na lu to kunnu? >> chiese curioso Eros, a cui,
come a tutti i maschi, ci piacia sentirsi dire dalla fimmina ca era tutta ma proprio tutta
soddisfatta.
<< Mancu di na stizza , lu kunnu mi pruri e m‟attizza.
Iddu assai m‟impazza e voli tutt‟autra minciazza>> rispose Helena avviandosi
verso l‟uscita.
<< Vox popolo, vox dei, corri da lui e non rompere i koglioni miei.
Sai chi ti ricu? Per scordarti Paryde ci voli nu beddu ritu anticu.
Ci voli na bedda minciazza veramente assai assai imponente.
Prova a spurparti sana sana quella di Pryapo immediatamente>>.
<< No. Voglio una minkia, solo una minkia, e no una bestia di minkia. Voglio però
una minkia. Una minkia assai kazzicatummuliante>> gridò Helena uscendo e
accendendosi un nuovo e ben confezionato minkiuni di minkiajuana.
Era comunque contenta Helena. Il teatro con Eros era stato uno spettacolo bello. Una
bella messa in scena erotica. Un buon kazzicatummuliamiento. Psifika aveva
addirittura applaudito. Da attori professionisti la performance dei protagonisti.
Erotica senz‟altro la ciolla di Eros. Ma la “Luna“ non era per niente soddisfatta.
Continuava a piangere lacrime di dolore e di insoddisfazione. La “Luna“ era di
malumore. Titolo plausibile, A letto eroticamente con la ciolla erotica di Eros.
Praticamente un esempio di Teatro erotico. In testa però Helena aveva un solo
pinsero: <<Che kazzo di kazzo devo fare per risolvere questo problema del kazzo? Il
kazzo di Paryde o un kazzo qualsiasi, magari quello di Pryapo:questo è il dilemma>>.
Anche Eros e Psifika si addumanu nu beddu minkiuni di minkiajuana. Tanto per fare
qualcosa. In attesa di dimenticare l‟imprevisto chiamato Helena. Solo che loro la
minkiajuana la chiamavano minkiaerosiana. In onore di Eros.
<<Che mentula di ciolla di cicia del kazzo di una minkia devo fare?>> pinsava
intanto Helena aggirandosi di nuovo per i corridoi del palazzo reale.
E passeggiando, faceva kazzicatummuli teoriche. Ia ideologicamente da un kazzo
grosso a una minkia tisa, da un fallo eccellente a un marrugghiu duro, da una mentula
eretta a una cicia in armi, da una ciolla allegra a un pupazzo scappellato , pinsannu
però di approdare alla fine alla minkia ideale. In pratica, alla minkia di Paryde. Ma
intanto ci stava il “minkia tur” da fare, in attesa del traguardo.
--Erotico Eros, dammi eroticamente la tua erotizzante ciolla erotica.
Erotizzami tutta, o erotico Eros dalla ciolla magicamente erotizzante.
O Eros, scatena il mio eros e immergimi nell‟eros dell‟urbe, dell‟orbe e dell‟Olympazzo.
O Eros, io non so stare senza kazzo.
Lesbia da Munypuzos.
--Due tizi originari di Leonthynoy e Karleonthynoy cercarono di valutare il numero
delle ciolle “modello Eros” di cui aveva bisogno Helena per dimenticare la ciolla di
Paryde. Fecero calcoli su calcoli e orarono anche. Consultarono oracoli e maghi.
Lessero pure l‟oroscopo. Il kuloscopo e il minkioscopo. E taliarono assai le stelle.
Le contarono e le ricontarono. Ma il conto non tornava mai. Ogni volta un numero
diverso, l‟uno sempre il doppio dell‟altro.
<< Quattro milioni di ciolle “modello Eros” bastano e assupecchiano>> disse il tizio
di Karleonthynoy.
<< Otto milioni di ciolle “modello Eros” è il numero deontologicamente giusto>>
replicò il tizio di Leonthynoy. Ma da Palermorum fecero sapere che la valutazione
poteva arrivare al massimo a quaranta milioni di ciolle “modello Eros”. Purtroppo un
altro tizio perse i documenti e tutto finì a ciolla di babbu specializzato. Ignoravano i
suddetti che per il pakkio libero di Helena qualsiasi ciolla valeva zero. Anche quella
di Eros. Mentre la ciolla di Paryde valeva più dell‟universo tutto sano sano. Ma loro
purtroppo sapevano dare solo i numeri. E numeri a kazzo di paramecio tra l‟altro. La
ciolla dell‟amante era per Helena un gioiello divino. Era il diamante dei diamanti. Lo
scettro dei scettri. La pietra preziosa per eccellenza. Il monolite dei monoliti.
--Quattro milioni.. otto milioni.. quaranta milioni..
senza documentazione che rottura di koglioni.
Detto popolare
--Per tutto il palazzo reale di Munypuzos risuonò ancora il lacerante e addolorato urlo
di Helena che rimaneva sempre più insoddisfatta sia di testa che di fika. Un urlo che
ficcandosi nelle orecchie, e non solo in quelle, dava i brividi. E minkia che brividi.
Da orripilazione tout court e full time. Era comunque un urlo angosciante,
tormentante, torturante, rabbrividente e soprattutto tonitruante.
<<Voglio..
una minkia..
una minkia..
una minkia...
una minkia..
una minkia...
una minkia..
una minkia..>>.
Per poi finire con un micidiale :
<<Voglio una
MINKIA
>>.
Pure il suo “Baccalaru” urlò un “Baccalaru -tonitruante” urlo assai lapalissiano.
<<Voglio una minkiaaaaaa...una minkia che sappia fare la minkiaaaaaa..>>.
E non era un lapsus calami o un lapsus linguae. In vino veritas. O meglio, in kunnus
veritas. Gutta cavat lapidem, mentula cavat kunnus.
Il sogno di Helena, e del suo baccalaru, era quello di gridare in faccia all‟urbe,
all‟orbe e all‟Olympazzo tutto: <<Habemus mentula.>>
Ma il problema era “Quale mentula?” Una mentula qualsiasi o la mentula di Paryde?
“Melius abundare quam deficere” diceva un detto latino latinamente latinissimo.
E allora meglio un‟overdose di mentuline, mentule, mentulone e mentulazze per
dimenticare la mentulina di Mynkyalao e non pensare alla mentulona di Paryde.
<< E overdose sia.. con tanti parerghi e senza paralipomeni >> disse Helena.
--Chi si contenta gode, ma chi fikka gode di più.
Al cuor non si comanda, alla minkia nemmeno.
Chi mena per primo mena due volte, chi si la mena gode una volta,
ma chi se la fa menare gode di più.
Detti popolari
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A curtigghiari c‟erano i tre intellettuali della ciolla che pinsavano già di scrivere
rispettivamente, secondo la propria specializzazione, il Poema Helena s‟inphalla il
phallo erotico di Eros, il Carmen Helena s‟immentula la mentula erotizzante di
Eros, e il romanzo Cent‟anni di minkia tisa di Eros per il pakkio di Helena.
Sokratynos Phylologos, il filosofo della minkia, si chiese: << La vita è una, come la
minkia, e se non è un piacere vivere e avere una minkia, a che minkia serve avere
una minkia se poi non puoi imminkiare manco quella troia di Helena che invece si
lascia imminkiare dall‟eroticissima ma poco soddisfacente minkia di Eros mentre io
potrei passarle draconianamente e finanche socraticamente, e volendo anche
oralmente, la mia tonitruante minkia filosofikamente filosofika? >>.
---
<< Voglio una minkia e no una bestia di minkia. Voglio una minkia. No, quella di
Pryapo no. Voglio una minkia. Adesso ho bisogno di una minkia, ma non so di quale
minkia? Ho bisogno di una minkia per kazzicatummuliari come una vera minkia.
Voglio solo e soltanto kazzicatummuliare con una minkia >> continuava a gridare la
bella sposina.
Helena non sapeva se andare da Paryde o dalla prima minkia che capitava dopo
quelle di papà Zeus e di Eros. Di andare da Pryapo non se ne parlava completamente.
Andare da Paryde voleva dire che era semplicemente innamorata, anche perché
Paryde avia si un bell‟uccello ma non era certamente il massimo in fatto di misure.
Ma lei avia il kunno innamorato: e l‟amore è capace di far diventare teoricamente un
elefante magari una piccola mosca .
<< Vado a minkia e m‟imminkio sulla prima minkia per cercare di non pensare né
alla minkia di Mynkyalao che mi fa schifo né a quella di Paryde che mi appititta. Ma
se non troverò soddisfazione, gira e rigira, imminkia prima e imminkia appresso, è da
Paryde che porterò il mio sesso. Perché per il mio kunnu chidda è la megghiu minkia
di lu munnu>>.
--<< Voglio una minkia e no una bestia di minkia. Voglio una minkia, una minkia, una
grande minkia. Insomma, se la ciolla maritale è un fallimento, la sposina deve andare
direttamente da quella che è la ciolla già sperimentata dell‟amante o iniziare la
ricerca della ciolla ideale, sperimentando minkie su minkie e ancora minkie e minkie
e poi ancora minkie a iosa, alla sanfasò e a tinchitè tout court e full time? Oppure,
per tagliare la testa al toro, correre da Pryapo e farsi somministrare la sua ciolla,
praticamente la regina di tutte le minkie dell‟urbe, dell‟orbe e dell‟Olympazzo.
Insomma insomma, il kazzo amato dell‟amato amante o il kazzone katholikos di
Pryapo o semplicemente kazzi su kazzi scelti a kazzo ma che sappiano fare il kazzo?
Insomma insomma insomma, con chi minkia devo kazzicatummuliari?>> gridava
ancora la bella Helena.
Indecisa com‟era trasiu in una stanza a caso e ci attruvau a lu beddu di Apollo ca si
taliava na lu specchiu e recitava:
<< Specchio delle mie brame, chi è il più bel dio del reame?>> .
<< Tu sei. Bello e stronz‟anche. E mi vieni pure fratascio>> pinsò Helena.
Apollo si la stava sunannu a manu. Altro che cetra, lira o liuto. Lo strumento
musicale preferito da Apollo era la sua ciolla. Ma pochi lo sapevamo. Era anche il
motivo per cui le sue storie d‟amore finivano male. Sia al femminile che al maschile.
Troppo vanesio e narciso. Apollo riusciva anche in quell‟arte erotica che si chiama
“Autosukaggio.” Riusciva a contorcersi al punto tale da sukarisi il suo stesso aceddu.
<< Specchiu delle mie brame, chi è il più bel citrolo del reame?>>.
E si mise in posa per riuscire a sukarisilla da sé. Ma quannu fu con la sua stessa
koppola in bocca Helena parlò: << Apollo, perché fare tutta quella ginnastica
complicatissima quannu in tante e in tanti ti la sucherebbero volentieri?>>.
<<Io la voglio essere sukata per amore e non per sesso>> rispose Apollo lassannu
l‟impresa intrapresa.
<< Con amore o senza amore, sempre sukata è>> rispose Helena.
<< Sarà, ma io mi amo di più rispetto a quanto mi possano amare gli altri>>.
<< E amati quanto minkia vuoi, ma adesso ascoltami>>.
<< Helena, chi minkia di minkia vuoi?>>.
<< Vuoiu consolarmi cu tia. Ficchimilla a mia, e così sia?
Fratasciu e puru diu, fammi nu beddu kazzicatummuliu>>.
Apollo non si fece pregare.
<< Anche se mi vieni sorascia, tu la voi, e io te la metto nella cascia>>.
L‟aggeggio era pronto e Apollo l‟usò. E ci la mise. Aggeggiò l‟aggeggio
nell‟aggeggiera con una certa soddisfazione sia per l‟aggeggio che per il
portaggeggio . In fondo Apollo era uno aperto a tutte le esperienze. Come Eros, anche
Apollo sapeva fare il maskulo con le femmine ed entrambe le parti con i mascoli.
<< Ma la minkia mia, dimmillu chiaru e tunnu,
almenu lu stutau lu focu ca ardia na lu to kunnu? >> chiese curioso Apollo, a
cui, come a tutti i maschi, anche quelli doppio uso, ci piacia sentirsi dire dalla
fimmina ca era tutta ma proprio tutta soddisfatta.
<< Mancu di na stizza, lu kunnu mi pruri e m‟attizza.
Iddu assai m‟impazza e voli tutt‟autra minciazza>> rispose Helena avviandosi
verso l‟uscita.
<< Minkia e kazzo e cicia. Primum vivere, deinde philosophari.
Se vuoi la minkia di Paryde, vattilla in un amen a pigliari.
Ma sai chi ti ricu? Se voi na minciazza veramenti assai imponente,
vatti a spurpari sana sana quella di Pryapo immediatamente>> ripose Apollo con
apollinea calma.
<< Voglio una minkia e no una bestia di minkia. Una minkia che sappia fare la
minkia. Voglio una minkia>> gridò per tutta risposta Helena uscendo e addumannisi
n‟autru minkiuni di minkiajuana.
Era comunque contenta Helena. Ma non la sua “Luna” che continuava a piangere
lacrime di stikkio addolorato. Complessivamente con Apollo era stato un buon
kazzicatummuliu. Il teatro con Apollo era stato uno spettacolo bello. Una bella
messa in scena. Apollinea al mille per mille. Da attori professionisti la performance
dei protagonisti. Belli e sensuali com‟erano sarebbero piaciuti a tutti. Titolo plausibile
dello spettacolo, A letto con la apollinea ciolla del bell‟ Apollo. Esempio di Teatro
del bello. Ma Helena aveva il solito pinsero: <<Che kazzaccio devo fare?>>.
Anche Apollo si addumò nu minkiuni di minkiajuana. Ma iddu la chiamava
minkiaapolliana. In onore di se stesso. In onore di Apollo il bello. In onore di Apollo
il bello e del suo magnifico uccello.
<<Che mentula di ciolla di cicia del kazzo di una minkia devo fare?>> pinsava
intanto Helena che era ritornata a girare, sempre più insoddisfatta di fika, ma
soprattutto di testa, per i corridoi del palazzo reale. E kazzicatummuliava col pinsero
in attesa di kazzicatummuliari ancora con un kazzo. In attesa di approdare alla minkia
di Paryde. Il traguardo finale del suo “minkia tur”.
--Apollineo Apollo, impollami la tua apollinea ciolla nella mia ampolla.
Ciolla apollinea , datti da fare come solo tu sai fare.
Apollo, fai il maschio tu che sai cosa vuoi da un maschio.
Che tu, Apollo, sei bravo anche come femmina.
Teofrasto.
---
Due tizi originari di Leonthynoy e Karleonthynoy cercarono di valutare il numero
delle ciolle “modello Apollo” di cui aveva bisogno Helena per dimenticare la ciolla di
Paryde.
<< Quattro milioni di ciolle “modello Apollo”. Quattro milioni di ciolle apollinee.
Quattro milioni di ciolle bellissime>> disse il tizio di Karleonthynoy.
<< Otto milioni, facciamo otto milioni. Mi pare la dose giusta. La giusta valutazione.
Otto milioni di ciolle super bellissime “modello Apollo”>> replicò il tizio di
Leonthynoy.
Ma da Palermorum fecero sapere che la valutazione poteva arrivare al massimo a
quaranta milioni di ciolle “modello Apollo”. Purtroppo un altro tizio perse i
documenti e tutto finì a ciolla di paramecio con tanto di meccio. Ignoravano i suddetti
che per il pakkio libero di Helena qualsiasi ciolla valeva zero. O meno di zero. Anche
quella di Apollo. Mentre la ciolla di Paryde valeva più dell‟universo tutto sano sano.
Ma loro purtroppo sapevano dare solo i numeri. Sparare minkiate e controminkiate.
Dire kazzate e controkazzate. Kazzeggiare era la loro arte migliore, la loro
specializzazione. In questo erano deontologicamente professionali. Loro non
sapevano che la ciolla dell‟amante era per Helena lo scettro del comando. O meglio,
del piacere. Era il segno dell‟amore totale. Del potere assoluto. Del sesso infinito. Del
piacere universale. Del piacere come ricerca e fine di tutto. In fondo il fine giustifica
i mezzi. Il piacere giustifica tutto e il contrario di tutto.
--Quattro milioni.. otto milioni.. quaranta milioni..
senza documentazione che rottura di koglioni.
Detto popolare
--Per tutto il palazzo reale risuonò ancora una volta il lacerante e addolorato urlo di
Helena che continuava a ricercare la sua minkia ideale. E di minkia in minkia, e di
ciolla in ciolla, e di kazzo in kazzo, e di fallo in fallo, e di mentula in mentula, e di
cicia in cicia, e di marrugghio in marrugghio, e di verga in verga, e di pene in pene, e
di creapopoli in creapopoli, e di piripikkio in piripikkio, e di stuppagghiu in
stuppagghiu, e di battagghiu in battagghiu, e di citrolo in citrolo, e di sasizza in
sasizza, e di cannila in cannila, codesta donna non sapeva che minkia, o ciolla, o
kazzo, o fallo, o mentula, o cicia, o marrugghio, o verga, o pene, o creapopoli, o
piripikkio, o stuppagghiu, o battagghiu, o citrolo, o sasizza, o cannila prendere. O
meglio, lo sapeva, ma tergiversava.
Sapeva cos‟era e dov‟era
il buon
kazzicatummulio ma cercava altro kazzicatummulio. Sperimentava intanto altra
kazzicatummuliazione. Continuava così a gridare il solito urlo tonitruante.
<<Voglio..
una minkia..
una minkia..
una minkia...
una minkia..
una minkia...
una minkia..
una minkia..>>.
Per poi finire con un micidiale :
<<Voglio una
MINKIA
>>.
Pure il suo “Portuso” urlò un “Portuso -tonitruante” urlo assai lapalissiano.
<<Voglio una minkiaaaaaa...una minkia che sappia fare la minkiaaaaaa..>>.
E non era un lapsus calami o un lapsus linguae. In vino veritas. O meglio, in kunnus
veritas. Gutta cavat lapidem, mentula cavat kunnus.
Il sogno di Helena, e del suo portuso, era quello di gridare in faccia all‟urbe, all‟orbe
e all‟Olympazzo tutto: <<Habemus mentula>>.
Ma il problema era “Quale mentula?” Una mentula qualsiasi o la mentula di Paryde?
“Melius abundare quam deficere” diceva un detto latino latinamente latinissimo.
E allora meglio un‟overdose di mentuline, mentule, mentulone e mentulazze per
dimenticare la mentulina di Mynkyalao e non pensare alla mentulona di Paryde.
<< E overdose sia.. con tanti parerghi e senza paralipomeni >> disse Helena.
--La corda troppo tesa si spezza, la minkia troppo tisa dura di più.
Lu sicciu si vinci cu l‟acqua, lu stikkiu cu la ciolla.
Detti popolari
--A curtigghiari c‟erano i soliti tre intellettuali della ciolla che pinsavano già, non
sapendo cosa minkia fare, di scrivere rispettivamente, secondo la propria
specializzazione, il Poema Helena s‟inphalla il germano phallo di Apollo il bello, il
Carmen Helena s‟immentula la fraterna mentula del bellissimo Apollo, e il romanzo
Cent‟anni della fraterna minkia di Apollo per il pakkio di sua sorella Helena.
Sokratynos Phylologos, il filosofo della minkia, si chiese: << La vita è una, come la
minkia, e se non è un piacere vivere e avere una minkia, a che minkia serve avere
una minkia se poi non puoi imminkiare manco quella troia di Helena che invece si
lascia imminkiare dall‟amato fratellastro Apollo e dalla sua minkia musicale mentre
io potrei passarle draconianamente e finanche socraticamente, e volendo anche
oralmente, la mia tonitruante minkia filosofikamente filosofika?>>.
--<< Voglio una minkia e no una bestia di minkia. Voglio una minkia. No, quella di
Pryapo no. Voglio una minkia. Adesso ho bisogno solo di una minkia, ma non so di
quale minkia. Voglio però una minkia per fare kazzicatummuli di minkia >>
continuava a gridare la bella sposina. Helena non sapeva se andare da Paryde o dalla
prima minkia che capitava dopo quelle di papà Zeus, di Eros e di Apollo. Di andare
da Pryapo non se ne parlava completamente.
Andare da Paryde voleva dire che era semplicemente innamorata, anche perché
Paryde avia si un bell‟uccello ma non era certamente il massimo in fatto di misure.
Ma lei avia il kunno innamorato: e l‟amore è capace di far diventare teoricamente un
elefante magari una piccola mosca .
<< Vado a minkia e m‟imminkio sulla prima minkia per cercare di non pensare né
alla minkia di Mynkyalao che mi fa schifo né a quella di Paryde che mi appititta. Ma
se non troverò soddisfazione, gira e rigira, imminkia prima e imminkia appresso, è da
Paryde che porterò il mio sesso. Perché per il mio kunnu chidda è la megghiu minkia
di lu munnu>>.
--<< Voglio una minkia e no una bestia di minkia. Voglio una minkia e no una bestia di
minkia. Voglio una minkia che sappia fare la minkia. Voglio una minkia, una minkia,
una grande minkia. Insomma, se la ciolla maritale è un fallimento, la sposina deve
andare direttamente da quella che è la ciolla già sperimentata dell‟amante o iniziare
la ricerca della ciolla ideale, sperimentando minkie su minkie e ancora minkie e
minkie e poi ancora minkie a iosa, alla sanfasò e a tinchitè tout court e full time?
Oppure, per tagliare la testa al toro, correre da Pryapo e farsi somministrare la sua
ciolla, praticamente la regina di tutte le minkie dell‟urbe, dell‟orbe e dell‟Olympazzo.
Insomma insomma, il kazzo amatissimo dell‟amatissimo amante o il kazzone
katholikos di Pryapo o semplicemente kazzi su kazzi scelti a kazzo ma che sappiano
fare professionalmente il lavoro del kazzo? Insomma insomma insomma, con chi
kazzo devo kazzicatummuliari?>> gridava ancora la bella Helena.
Allora, tanto per, trasiu nella prima camera da letto ca ci capitau. A caso. Per cercare
una minkia e basta. Una ciolla tout court.
<< Minkia chi cauru>> disse entrando. Ma capì subito chi c‟era in camera.
<< Chiddu sdisanuratu di mio fratascio Efesto, fratascio da provare. Era dice che lo
sfigò senza maschia collaborazione, ma la partenogenesi non esiste né tra gli dei né
tra gli uomini. Pertanto, o Zeus o qualche altra minkia lo seminò. Comunque fu non
so, ma ufficialmente mi viene fratascio>>.
Efesto era nudo ma paria in fiamme. Emanava un calore infernale. E soprattutto la
sua minkia paria un tizzone arroventato che trasia e scia da un forno. Efesto stava
futtennu. E se era sciancatu di iamma non lo era certamente d‟aceddu. E tra l‟altro
stava futtennu cu na specie di pupazza metallica ca paria in tutto e per tutto la bella
Aphrodyte.
<< Efesto, chi minkia fai?>>.
<< Futtu il simulacro di mia moglie, imminkio la minkia ardente nel kunno ardente
del simulacro. La buttana mi mette li corna ma io imminkio il suo simulacro. È di
ferro e l‟ho costruito io. Certo, la minkia mia, a causa dell‟attrito, s‟infiamma un
pochettino, ma io però godo alla sanfasò. La minkia si arroventa, poi mi arrovento io
e alla fine mi si arroventa il ciriveddu. Allora godo e mi sentu sulu e soltanto
aceddu>>.
<< Perchè imminkiare ancora la minkia dentro il pupazzo
quando ci son qua io pronta per soddisfare il tuo kazzo?
Si fratasciu e pure diu, fammi a mia un bel kazzicatummuliu>>.
Efesto continuò a fottere il simulacro.
<< Efesto caro e beddu, fammi la festa,
e passami subito quella minkia lesta lesta >> propose la bella Helena.
<< Bihhhh.. ma che minkiata ranni, a quest‟ora, tu che sei la sposina,
a quest‟ora tu, con Mynkyalao, dovresti fottere a minkia cina>>.
<< Efesto, non fare lo stronzo e lo scemo.
Se la minkia non funziona, il fotter vien meno.
Vieni a fikkare cu mia e futtitinni del simulacro. E così sia>>.
<< Certo che sei mia sorascia, ma se proprio vuoi, io ti la ficco na la cascia>>.
Ed Efesto fece. Dopo aver raffreddato la ciolla con tanta ma tanta acqua.
<< Minkia, ancora caura è la tua minkia>> disse Helena.
Ma Efesto, una volta dintra, disse:
<< Minkia, la koppola della minkia mi scottai.
Là dentro arde un fuoco portentoso assai assai>>.
Comunque il trasi e nesci arrivò alla sua naturale fine. Una fine assai assaissimo
calda. Toppo calda. Da squagliare ciolla e portaciolla.
<< Ma la minkia mia, dimmillu chiaru e tunnu,
almenu lu stutau lu focu ca ardia na lu to kunnu? >> chiese curioso Efesto, a cui,
come a tutti i maschi, ci piacia sentirsi dire dalla fimmina ca era tutta ma proprio tutta
soddisfatta.
<< Mancu di na stizza, lu kunnu mi pruri e m‟attizza.
Iddu assai m‟impazza e voli tutt‟autra minciazza>> rispose Helena avviandosi
verso l‟uscita.
<< Sai chi ti ricu? Se voi na minciazza veramenti assai imponente,
vatti a spurpari sana sana quella di Pryapo immediatamente.
Ma se nun ti va di pigliarti quella minkia bestiale,
io ti fazzu un simulacro di minkia, di minkia ideale.
O meglio, un simulacro sano sano ti fazzu,
del tuo bel Paryde, e con tanto di gran kazzu.
“Mala tempa currunt” pi la to bedda filazza.
Ma cu lu me pupu sarà sempre festa pazza>>.
<< No...ma però.. boh.. no.. ma però.. che minkia ne so..
lu simulacro di Paryde sì.. lu simulacro di Paryde no..>>.
<< Aspetta ca ti lu fazzu lu beddu pupazzu>>.
E preso un manichino preesistente ci fici in un amen la faccia di Paryde.
<< Ci assomiglia? Pari iddu di faccia? O no?>> chiese Efesto.
<< Sì, ma senza ciolla che kazzo di minkia me ne fo>>.
<< Aspetta. Non correre, che la minkia arriva na secunnu.
Basta fare la scelta. Kazzu longu, curtu quadrato o tunnu?>>.
Efesto rapiu n‟armadio chinu di kazzi finti. Una kazzoteca davvero impressionante,
un minkioteca di minkie di tutte le forme e misure e colori.
<< Scegliti la misura di Paryde, tu ca la canusci. Oppure, scegliti semplicemente la
misura ca ti appititta. Qua ci sta di tutto e di più. Ci sta sì la miniminkia, ma c‟è anche
il maxikazzo>>. Helena taliò curiosa.
<<Tutto il repertorio delle umane e divine minkie sta in questo campionario>>.
Helena alla fine scelse il massimo disponibile.
<< Kazzu.. accussì la teni Paryde. E chi minkia è, fratello gemello di Pryapo?>>.
<< No, ma mi piacissi ca accussì l‟avissi>>.
Efesto comunque mise al pupazzo con la faccia di Paryde la ciolla finta scelta da
Helena.
<< Se vuoi farti un bel giro di finta ciolla,
monta a cavallo e non fare la stolla.
Questo è un marchingegno divino, per dio.
Divino perché, modestamente, l‟ho costruito io.
E divino per le belle sensazioni che duna.
Se vuoi accavallati e buona .. buona fortuna>>.
Helena taliau il Paryde assemblato da Efesto e ci parse un Parydestain, un mostro
mostruosamente mostruoso. Una cosa che il solo taliarla facia venire il rovescio
anche ai forti di panza, bocca e kulo. Era un mostro con una minkia mostruosa.
<< Mancu pi la minkia e pi lu kazzu, vade retro tu e chissa minkia di pupazzu. No,
non mi piace. Io voglio una minkia e no una bestia di minkia. E manco un simulacro
di minkia. O il simulacro di Paryde sano sano. Solo una minkia voglio. Voglio solo
una minkia che mi kazzicatummulia alla sanfasò>> gridò per tutta risposta Helena
uscendo e addumannisi n‟autru minkiuni di minkiajuana.
Era comunque contenta Helena. Era stato un bel kazzicatummuliu. Il teatro con
Efesto era stato uno spettacolo quasi pirotecnico. Una bella messa in scena. Da attori
professionisti la performance dei protagonisti. Al limite delle scintille. Ma la “Luna“
restava insoddisfatta. Titolo plausibile, A letto con la calda ciolla di Efesto. Esempio
classico di Teatro arroventato. Ma in testa Helena aveva il solito tormentante
pinsero: <<Che kazzo devo fare per risolvere i miei problemi di kazzo?>>
Anche Efesto si addumò nu minkiuni di minkiajuana. Sulu ca iddu la chiamava
minkiaefestiana.
<<Che mentula di ciolla di cicia del kazzo di una minkia devo fare?>> pinsava
intanto Helena aggirandosi nuovamente per i corridoi monumentali del monumentale
palazzo reale di Agamynkyone e Mynkyalao. E kazzicatummuliava ideologicamente
in attesa di kazzicatummuliari veramente. Con una vera, giusta, onesta ed efficiente
minkia. Ma sempre in attesa di finire sulla minkia di Paryde. Quello era il naturale
traguardo del suo “minkia tur”.
--Efesto, minkia ardente per kunno ardente, abbrucia tutto in un istante.
Efesto, infiamma quel che già brucia. Dai fuoco all‟incendio che è in me.
Luciano da Munypuzos.
---
Due tizi originari di Leonthynoy e Karleonthynoy cercarono di valutare il numero
delle ciolle “modello Efesto” di cui aveva bisogno Helena per dimenticare la ciolla di
Paryde.
<< Quattro milioni di ciolle “modello Efesto”. Quattro milioni di ciolle infuocate. Di
minkie caure, di kazzi arrosto, di falli abbruciati, di cicie arroventate >> disse il tizio
di Karleonthynoy.
<< Otto milioni, otto milioni di ciolle in fiamme. Di ciolle caldissime. Di ciolle
bollenti e anche più>> replicò categorico il tizio di Leonthynoy.
Ma da Palermorum fecero sapere che la valutazione poteva arrivare al massimo a
quaranta milioni di ciolle “modello Efesto”. Purtroppo un altro tizio perse i
documenti e tutto finì a ciolla di scimmia. Ignoravano i suddetti che per il pakkio
libero di Helena qualsiasi ciolla valeva zero. Anche quella di Efesto. Mentre la ciolla
di Paryde valeva più dell‟universo tutto sano sano. Ma loro purtroppo sapevano dare
solo i numeri. La ciolla dell‟amante era per Helena il top delle ciolle. Il toppissimo.
--Quattro milioni.. otto milioni.. quaranta milioni..
senza documentazione che rottura di koglioni.
Detto popolare
--Per tutto il palazzo reale di Munypuzos risuonò nuovamente il lacerante e
addoloratissimo urlo di Helena. Addolorata per la fallimentare prestazione di
Mynkyalao non aveva trovato ancora degna soddisfazione nel suo tur della minkia o
delle minkie. Pertanto il suo era un urlo che usciva sicuramente dalla bocca, ma in
realtà paria uscire pure dalla fika. Anzi, usciva pure dalla fika. Un urlo drammatico,
insostenibile, incommensurabile, ma soprattutto catastroficamente tonitruante.
<<Voglio..
una minkia..
una minkia..
una minkia...
una minkia..
una minkia...
una minkia..
una minkia..>>.
Per poi finire con un micidiale :
<<Voglio una
MINKIA
>>.
In realtà codesto urlo usciva anche dalla fika. Dal suo buco spilato. Dalla sua filazza
in amore. Dal suo buco mai contento. Dal suo buco che cercava la cosa perfetta. La
minkia perfetta. La ciolla ad hoc. La ciolla doc. Pure il suo “Buco spilato” urlò infatti
un “Buco spilato -tonitruante” urlo assai lapalissiano.
<<Voglio una minkiaaaaaa...una minkia che sappia fare la minkiaaaaaa...>>.
E non era un lapsus calami o un lapsus linguae. In vino veritas. O meglio, in kunnus
veritas. Gutta cavat lapidem, mentula cavat kunnus.
Il sogno di Helena, e del suo “Buco spilato”, era quello di gridare in faccia all‟urbe,
all‟orbe e all‟Olympazzo tutto:<< Habemus mentula>>.
Ma il problema era “Quale mentula?” Una mentula qualsiasi o la mentula di Paryde?
“Melius abundare quam deficere” diceva un detto latino latinamente latinissimo.
E allora meglio un‟overdose di mentuline, mentule, mentulone e mentulazze per
dimenticare la mentulina di Mynkyalao e non pensare alla mentulona di Paryde.
<< E overdose sia.. con tanti parerghi e senza paralipomeni >> disse Helena.
--Non c‟è pane senza pena, non ce pakkio senza pene.
Non ce buttigghia senza stuppagghiu, nun ce stikkiu senza marrugghiu.
Nun c‟è kulu ca nun kaka, nun c‟è ciolla ca nun veni.
Detti popolari
---
A curtigghiari c‟erano i tre intellettuali della ciolla che pinsavano già di scrivere
rispettivamente, secondo la propria specializzazione, il Poema Helena s‟inphalla il
phallo arroventato di Efesto e rifiuta il simulacro di Paryde come regalo, il Carmen
Helena s‟immentula la mentula ardente di Efesto rifiutando di Paryde il simulacro,
e il romanzo Cent‟anni di l‟addumata minkia di Efesto per il pakkio ardente di
Helena ca rifiuta l‟‟idea della costruzione di un pupazzo con la faccia e la minkia di
Paryde.
Sokratynos Phylologos, il filosofo della minkia, si chiese: << La vita è una, come la
minkia, e se non è un piacere vivere e avere una minkia, a che minkia serve avere
una minkia se poi non puoi imminkiare manco quella troia di Helena che invece si
lascia imminkiare dall‟amato fratascio Efesto e dalla sua minkia arroventata mentre
io potrei passarle draconianamente e finanche socraticamente, e volendo anche
oralmente, la mia tonitruante minkia filosofikamente filosofika? >>.
--<< Voglio una minkia e no una bestia di minkia. Voglio una minkia e no una bestia di
minkia. Una minkia che sappia fare la minkia. Voglio una minkia, una minkia, una
grande minkia. Una minkia che sappia kazzicatummuliari tout court e full time >>
litaniava gridando la sposa novella.
Era una litania di dolore e di piacere. Era insomma una cosa da pazzi. Helena non
sapeva se andare da Paryde o dalla prima minkia che capitava dopo quelle di Zeus,
Eros, Apollo ed Efesto. Di andare da Pryapo non se ne parlava completamente.
Andare da Paryde voleva dire che era semplicemente innamorata, anche perché
Paryde avia si un bell‟uccello ma non era certamente il massimo in fatto di misure.
Ma lei avia il kunno innamorato: e l‟amore è capace di far diventare teoricamente un
elefante magari una piccola mosca.
<< Vado a minkia e m‟imminkio sulla prima minkia per cercare di non pensare né
alla minkia di Mynkyalao che mi fa schifo né a quella di Paryde che mi appititta. Ma
se non troverò soddisfazione, gira e rigira, imminkia prima e imminkia appresso, è da
Paryde che porterò il mio sesso. Perché per il mio kunnu chidda è la megghiu minkia
di lu munnu>>.
---
<< Voglio una minkia e no una bestia di minkia. Voglio una minkia e no una bestia di
minkia. Una minkia che sappia fare la minkia. Voglio una minkia, una minkia, una
grande minkia. Insomma, se la ciolla maritale è un fallimento, la sposina deve andare
direttamente da quella che è la ciolla già sperimentata dell‟amante o iniziare la
ricerca della ciolla ideale, sperimentando minkie su minkie e ancora minkie e minkie
e poi ancora minkie a iosa, alla sanfasò e a tinchitè tout court e full time? Oppure,
per tagliare la testa al toro, correre da Pryapo e farsi somministrare la sua ciolla,
praticamente la regina di tutte le minkie dell‟urbe, dell‟orbe e dell‟Olympazzo.
Insomma insomma, il kazzo amatissimo dell‟amatissimo amante o il kazzone
katholikos di Pryapo o semplicemente kazzi su kazzi scelti a kazzo ma che sappiano
fare professionalmente il lavoro del kazzo? Insomma insomma insomma, con chi
kazzo devo kazzicatummuliari? Quale minkia mi dovrà kazzicatummuliari?>>gridava
ora piano ora forte ma quasi litaniando Helena.
E trasiu nella prima camera che ci capitò ancora alla disperata ricerca della minkia
giusta per scopare e basta. Il ”minkia tur” non aveva un circuito prestabilito. Era
affidato al caso, al destino. Le tappe erano casuali. Le minkie a sorpresa. Quasi una
corsa ad ostacoli. E le minkie occasionali erano gli ostacoli. Voleva idda andare
dall‟amato Paryde ma voleva anche salvare il matrimonio. Voleva salvare capra e
cavoli. Voleva essere regina e moglie onorata di Mynkyalao e amante felice e
soddisfatta del bel principe Paryde. Adesso però voleva solo scopare alla sanfasò.
E in quella camera attruvau Ares, il potente dio della guerra. Dal marito cornuto di
Aphrodyte era passata all‟amante storico ma anche lui cornuto della stessa. Era in
lotta con il suo sesso. Armato di tutto punto nella parte superiore del corpo e con
tanto di elmo sulla testa lottava manualmente con la sua ciolla armata solo di pititto
una battaglia senza fine.
<< Minkia e kazzu. N‟autra minkia di fratascio beddu.
Kazzu e minkia, n‟autru fratasciu cu tantu d‟aceddu>> pinsò Helena.
<< Giavellotto mio, ti spezzo e ti lancio na nu kunnu.
Nel kunno chiù bellissimu di stu minkia di munnu.
Hai fikkato e fottuto, trummiato, inkunnato e scopato.
Però tu, caro mio, stai ancora tutto beddu arrapato.
Lu sacciu, kazzu miu. Tu vorresti di Aphrodyte la fika.
Perché quella è la tua segreta e bella passione antica.
Chissà adesso unni minkia è? Unni ora Aphrodyte sta?
E chissà cu minkia la minkia na lu stikkiu spilatu ci dà?
Chissà chi minkia dice la sua spilata e bedda fika divina?
Chissà cu minkia ci la fikka a minkia tisa e cina?>>.
<< Ares, lassa stare la buttana universale.
Ci sono io che te la posso spezzare.
Cu li manu, lu kulu, la ucca o lu sticciu.
Luvaminillu stu kazzu di capricciu.
Nun sugnu la dia cu la fregna antica.
Ma la tiegnu senza pila pure io la fika>>.
<< Cara soru, ca tieni lu stikkiu preziosu comu l‟oru,
nun mi pare il caso che io ti passi lu me tesoru.
Mi pare na cosa assai di brutta malacreanza
mittiriccilla a ma soru na lu suttapanza>>.
<< Futtitinni sanu sanu, si me fratasciu e puru diu,
fammi a iosa nu beddu kazzicatummuliu>>.
E così dicendo ci ammusciu la bedda fika spilata.
Ares taliò, ritaliò e controtaliò. < <Minkia , quant‟è bedda>> pinsò.
Taliò ancora e poi ancora taliò.<< Minkia, quant‟è biddazza>> pinsò.
<< Minkia, pari chidda da buttana di mo mugghieri,
kazzu, nun c‟è mancu na minkia di pilu peri peri>> esclamò Ares.
Che a quella visione si convinse subito, e dopo essersi tolto tutto subito, si mise
subito tutto a disposizione della bella Helena. Ma a quella interessava la lancia, il
giavellotto, la freccia, la spada dell‟amore. O meglio, del sesso. E fu piacevol machia.
<< Ti la misi na la cascia anche se sei la mia brava e bella sorascia>> disse Ares.
<< Minkiate, tutte minkiate. Le ciolle tise devono essere accontentate. >>.
<< Ma dimmi, dimmi se la minkia mia, dimmillu chiaru e tunnu,
almenu lu stutau lu focu ca ardia na lu to kunnu? >> chiese curioso Ares , a cui,
come a tutti i maschi, ci piacia sentirsi dire dalla fimmina ca era tutta ma proprio tutta
soddisfatta.
<< Mancu di na stizza , lu kunnu mi pruri e m‟attizza.
Iddu assai m‟impazza e voli tutt‟autra minciazza>> rispose Helena avviandosi
verso l‟uscita.
<< “Spes ultima dea”.. mentula ultima dea.. minkia chi minkiata.
A tia nun servi na minkia ma na minkia ranni e specializzata.
Ma sai chi ti ricu? Se voi na minciazza veramenti assai imponente,
vatti a spurpari sana sana quella di Pryapo immediatamente>>.
<< Voglio una minkia e no una bestia di minkia. E manco un simulacro di minkia.
Voglio però una minkia>> gridò lei per tutta risposta addumannisi n‟autru minkiuni
di minkiajuana.
Era comunque contenta Helena. Ne era venuto fuori un bel kazzicatummulio. Il teatro
con Ares era stato uno spettacolo bello. Una bella messa in scena. Quasi una
piacevol machia. Una battaglia d‟amore. Una lotta per il piacere supremo, per l‟estasi
da ciolla in kunno. Da attori professionisti la performance dei protagonisti. Con lei
aperta di kunno e lui di lancia carnosa armato. Lei pronta a ricevere, lui a dare. Lui
che cercava di infilzarla, e la infilzava, e lei che facia finta di lottare per non lasciarsi
infilzare, e invece era pronta a farsi infilzare. Ma la “Luna“ non era per niente
contenta. Titolo plausibile, A letto con la ciolla lanceolata di Ares. Esempio
esemplare di Teatro combattente. Ma in testa pinsava alla solita domanda: <<Che
kazzone devo fare?>>.
Anche Ares si addumò nu minkiuni di minkiajuana. Paria un giavellotto o una lancia,
tanto era ranni e longu. Sulu ca iddu questa erba la chiamava minkiaaresiana. Ogni
dio dopotutto avia la sua erba.
<<Che mentula di ciolla di cicia del kazzo di una minkia devo fare?>> pinsava
intanto Helena rifirriando per i corridoi del maritale e cognatesco palazzo. E intanto
col pensiero kazzicatummuliava di kazzo in kazzo, nell‟attesa di kazzicatummuliare
realmente su qualche kazzo. Ma sempre in attesa del kazzo amato dell‟amatissimo
Paryde. << Stu kazzu di “minkia tur” quante tappe prevede? E quanti sono gli
ostacoli da superare per arrivare al traguardo finale? Quante minkie mi separano dalla
minkia di Paryde?>>si chiese Helena.
--Ciolla armata di Ares, lotta e vinci. Che la vittoria facil è se lei già la ciolla addesidera.
Senofonte da Munypuzos.
--Due tizi originari di Leonthynoy e Karleonthynoy cercarono di valutare il numero
delle ciolle “modello Ares” di cui aveva bisogno Helena per dimenticare la ciolla di
Paryde.
<< Quattro milioni di ciolle “modello Ares”. Quattro milioni sono la “condizione
necessaria e sufficiente”. Quattro milioni di minkie armate di tutto punto. Quattro
milioni di ciolle con tanto di elmo rosso e lancia tisa. Un esercito di quattro milioni di
kazzi>> disse il tizio di Karleonthynoy.
<< Otto milioni. Otto milioni è la cifra esatta. Per il resto concordo, caro collega. Io
penso già a un esercito di otto milioni di minkie tise. Minkia, che esercito di
minkie>> replicò il tizio di Leonthynoy.
Ma da Palermorum fecero sapere che la valutazione poteva arrivare al massimo a
quaranta milioni di ciolle “modello Ares”. Purtroppo un altro tizio perse i documenti
e tutto finì a ciolla di coniglio. Ignoravano i suddetti che per il pakkio libero di
Helena qualsiasi ciolla valeva zero. Anche quella di Ares. Mentre la ciolla di Paryde
valeva più dell‟universo tutto sano sano. Ma loro purtroppo sapevano dare solo i
numeri. La ciolla dell‟amante era per Helena il giavellotto dei giavellotti. La lancia
delle lance. L‟arma segreta delle armi segrete.
--Quattro milioni.. otto milioni.. quaranta milioni..
senza documentazione che rottura di koglioni.
Detto popolare
---
Per tutto il palazzo reale, e forse non solo in quello, risuonò ancora una volta il
consueto urlo. Il lacerante e addolorato urlo di Helena, la femmina che cercava la sua
minkia ideale. Un urlo micidialmente tonitruante.
<<Voglio..
una minkia..
una minkia..
una minkia...
una minkia..
una minkia...
una minkia..
una minkia..>>.
Per poi finire con un micidiale :
<<Voglio una
MINKIA
>>.
Pure la sua “Spaccazza” urlò uno “Spaccazza -tonitruante” urlo assai lapalissiano.
<<Voglio una minkiaaaaaa...una minkia che sappia fare la minkiaaaaaa...>>.
E non era un lapsus calami o un lapsus linguae. In vino veritas. O meglio, in kunnus
veritas. Gutta cavat lapidem, mentula cavat kunnus.
Il sogno di Helena, e della sua “Spaccazza”, era quello di gridare in faccia all‟urbe,
all‟orbe e all‟Olympazzo tutto:<<Habemus mentula>>.
Ma il problema era “Quale mentula?” Una mentula qualsiasi o la mentula di Paryde?
“Melius abundare quam deficere” diceva un detto latino latinamente latinissimo.
E allora meglio un‟overdose di mentuline, mentule, mentulone e mentulazze per
dimenticare la mentulina di Mynkyalao e non pensare alla mentulona di Paryde.
<< E overdose sia.. con tanti parerghi e senza paralipomeni >> disse Helena.
--Tra moglie e marito non mettere il dito. Basta la minkia.
Ma che sia migliore di quella del marito.
Detto popolare
---
A curtigghiari c‟erano i tre intellettuali della ciolla. Non sapevano fare altro.
Scansafatiche e parolai erano. Solo quello erano. Infatti pinsavano già di scrivere
rispettivamente, secondo la propria specializzazione, il Poema Helena s‟inphalla il
phallo armato di Ares, il Carmen Helena s‟immentula la mentula armata di Ares, e il
romanzo Cent‟anni della minkia armata di Ares per il pakkio disarmato di Helena.
Sokratynos Phylologos, il filosofo della minkia, si chiese: << La vita è una, come la
minkia, e se non è un piacere vivere e avere una minkia, a che minkia serve avere
una minkia se poi non puoi imminkiare manco quella troia di Helena che invece si
lascia imminkiare dal fratascio Ares e dalla sua minkia armata mentre io potrei
passarle draconianamente e finanche socraticamente, e volendo anche oralmente, la
mia tonitruante minkia filosofikamente filosofika? >>.
--<< Voglio una minkia, una minkia voglio. Voglio una minkia e no una bestia di
minkia. E manco un simulacro di minkia. Voglio una minkia esperta nel
kazzicatummulio>> gridava ancora e ossessivamente la sposina .
Helena non sapeva se andare da Paryde o dalla prima minkia che capitava dopo
quelle di Zeus, Eros, Apollo, Efesto e Ares. Di andare da Pryapo non se ne parlava
completamente. Andare da Paryde voleva dire che era semplicemente innamorata,
anche perché Paryde avia si un bell‟uccello ma non era certamente il massimo in
fatto di misure. Ma lei avia il kunno innamorato: e l‟amore è capace di far diventare
teoricamente un elefante magari una piccola mosca.
<< Vado a minkia e m‟imminkio sulla prima minkia per cercare di non pensare né
alla minkia di Mynkyalao che mi fa schifo né a quella di Paryde che mi appititta. Ma
se non troverò soddisfazione, gira e rigira, imminkia prima e imminkia appresso, è da
Paryde che porterò il mio sesso. Perché per il mio kunnu chidda è la megghiu minkia
di lu munnu>>.
--<< Voglio una minkia e no una bestiaccia di minkia. Voglio una minkia e no una
bestiona di minkia. Una minkia che sappia fare la minkia. Voglio una minkia, una
minkia, una grande minkia. Una minkia assai kazzicatummuliante. Insomma, se la
ciolla maritale è un fallimento, la sposina deve andare direttamente da quella che è la
ciolla già sperimentata dell‟amante o iniziare la ricerca della ciolla ideale,
sperimentando minkie su minkie e ancora minkie e minkie e poi ancora minkie a
iosa, alla sanfasò e a tinchitè tout court e full time? Oppure, per tagliare la testa al
toro, correre da Pryapo e farsi somministrare la sua ciolla, praticamente la regina di
tutte le minkie dell‟urbe, dell‟orbe e dell‟Olympazzo. Insomma insomma, il kazzo
amatissimo dell‟amatissimo amante o il kazzone katholikos
di Pryapo o
semplicemente kazzi su kazzi scelti a kazzo ma che sappiano fare professionalmente
il lavoro del kazzo? Insomma insomma insomma, con quale kazzo del kazzo io
kazzicatummulierò>>gridava ancora e ossessivamente Helena.
Trasiu ancora nella prima camera che capitò e trovò n‟autro fratascio, Ermete. Nudo,
col suo bel ciollino o pisellino alato, ma anche con tanto di sandali ed elmo alati.
Volava stanza stanza e si esibiva nel “Ballo del caduceo”. Era un amore, un amorino
forse. Era biddittu e in passato era stato adorato come dio della fertilità. Agli angoli
delle strade venivano posti, questa era l‟usanza antica, dei piccoli falli alati. I
cosiddetti “falletti”. Poi , l‟arrivo del “fallone“ di Pryapo aveva fatto declinare il suo
culto. Volava, come detto, intorno al caduceo ed era eccitatissimo. Per quello che era
possibile. Le dimensioni non s‟inventano. Ma le ali lo rendevano fascinoso. Una
ciolla volante era una ciolla con qualcosa di più. Una ciolla angelica.
<< E‟ nicuzzu nicuzzu ma è bidduzzu bidduzzu.
Nun lu vinci lu purtusu ma è tantu amurusu.
È biddittu assai assai e metti tantu tantu pitittu.
E anche se sono sua sorascia lo voglio nella cascia.
E poi, secunnu mia, chiddi beddi e duci aliceddi
ni fanu na cosa troppu speciali tra li aceddi>> disse piano Helena.
Ermete però la sentì.
<< Chi minkia vuoi? Magari la mia minkietta volanti? La mia minkietta cu l‟ali?>>
<< E è perchè no. Minkietta sì, ma minkietta assai speciali.
Frati beddu, e puru beddu diu, fammi un bel kazzicatummuliu>>:
E fu. E nella cascia l‟ebbe. E l‟ebbe con piacere. La cascia non si incia ma quelle ali
vibranti le fecero vibrare il pakkio in modo incommensurabile. Ma successe anche un
fatto strano. La minkia di Ermete non andava a sangue ma a mercurio, come poi lo
chiamarono i romani. E con Helena si eccitò accussì assai che la minkia scoppiò e
perse il prezioso metallo liquido che trasformò momentaneamente il pakkio di Helena
in un pakkio argentato.
Fu chiamato subito Asclepio che s‟arricosi di corsa, lassando la fottuta che si stava
facendo a metà. Tinia un serpente al collo ca paria una collana d‟oro vivo.
<< Chi minkia successi?>> chiese.
<< Ci scoppio la minkia a mio fratello Ermete. Per colpa mia>>.
<< Minkia, dobbiamo recuperare il mercurio, altrimenti il pakkio s‟intossica. E poi
intossica le ciolle in visita>>.
<< E come minkia lo recuperiamo?>> chiese Helena.
<< Con il mio serpente personale. Prima, con questo strumento, io lo suku dal tuo
pakkio e poi, sempre con questo strumento, lo immetto nella ciolla di Ermete>>.
Helena capì come l‟avrebbe sukato ma non come l‟avrebbe immesso. Ma non capì
che il serpente personale di Asclepio non stava nel collo ma in mezzo alle cosce. Era
una minkia speciale, molto flessibile e assai snodabile ma minkiforme come tutte le
minkie. Asclepio sukò con la sua minkia aspirante, e poi immise, con la stessa, tutto
nella bocca di Ermete, che poverino dovette sukare. Da qui il mercurio andò nella
panza, poi passò nel sangue e da lì finì nei reni e quindi nella vescica e da
quest‟ultima passò nella minkia. Così la ciolla riprese a rifunzionare.
<< Minkia chi mirakulu della minkia>> dissero Ermete ed Helena.
Asclepio poi volle in kulo la ciolla di Ermete.
<< E pirchì? >> chiese questi.
<<Devo controllare la pressione della ciolla. Il mio buco kulare è un minkia sfigmomanometro. Se la pressione è 760mmHg è tutto a posto. Altrimenti la
dobbiamo regolare. Troppo alta rischia di far scoppiare la minkia, troppo bassa
vuncia mali>>. La misurazione fu fatta.
<< Com‟è? >> chiese Ermete.
<< Altina.. la dobbiamo ridurre>>.
<< E come minkia si fa?>>.
<< Attraverso il kulo. Io ti la devo prima fikkare e poi, con la mia ciolla, devo sukare
nu tanticchia di pressione>>
<< Minkia, e se mi la dovevi aumentare?>> chiese curioso Ermete.
<< Sempre attraverso il kulo, solo che anziché sukare dovevo pompare>>.
<< Minkia, sempre in kulo la dovevo pigliare. È questo il mio destino. Se di ciolla
voglio guarire il kulo devo sacrificare>>.
La prestazione medica fu svolta col massimo della deontologia professionale.
Asclepio era il meglio del meglio in fatto di medicina classica, moderna e alternativa.
E anche in fatto di medicina sperimentale. Asclepio era andrologo, kulologo,
pompinologo, minalogo, stikkiologo e tanto altro.
<< Minkia, chi kazzicatummuliamiento generale>> pinsau Helena.
<< Ma dimmi, dimmi se la minkia mia, dimmillu chiaru e tunnu,
almenu lu stutau lu focu ca ardia na lu to kunnu? >> chiesero curiosi Ermete e
Asclepio, perché anche a loro, come a tutti i maschi, ci piacia sentirsi dire dalla
fimmina ca era tutta ma proprio tutta soddisfatta. Lo chiesero in contemporanea.
Anche se Ermete avia fikkato per piacere e Asclepio per semplice prestazione
medica. Ma comunque con tanta deontologia professionale. Lo chiamavano”Dottoremetti- la- minkia - in- tutto”.
<< Mancu di na stizza, lu kunnu mi pruri e m‟attizza.
Iddu assai m‟impazza e voli tutt‟autra minciazza>> rispose Helena avviandosi
verso l‟uscita.
<< “Bellum omnium contra omnes”, questo fa la tua fika bedda.
Guerra tra i kazzi per il kazzo che deve trasiri na la to vanedda.
E allora sai chi ti ricu? Se voi na minciazza veramenti assai imponente,
vatti a spurpari sana sana quella di Pryapo immediatamente>> risposero, sempre
in contemporanea, i due.
<< Voglio una minkia e no una bestia di minkia. E manco un simulacro di minkia.
Voglio una minkia>> gridò Helena che era già in corridoio impegnata a sukarisi
n‟autru minkiuni di minkiajuana.
Era comunque contenta Helena. Ne era venuto fuori un vario ed eterogeneo
kazzicatummuliu. Il teatro con Ermete ed Asclepio era stato uno spettacolo bello.
Una bella messa in scena. Quasi un balletto aereo con Ermete dalla ciolla alata, quasi
un‟operazione chirurgica con la ciolla medicamentosa di Asclepio. Da attori
professionisti la performance dei protagonisti. Deontologicamente ineccepibile il
comportamento delle ciolle, ma la “Luna“ non era soddisfatta manco nu tanticchia.
Titolo plausibile, A letto con due ciolle. Esempio chiarificatore di Teatro doppio. E in
testa Helena si addomandava la solita domanda del kazzo: <<Che ciolla devo
fare?>>.
Anche Ermete ed Asclepio si erano addumati nu beddu minkiuni di minkiajuana. Ma
Ermete la chiamava minkiaermetiana e Asclepio minkiaasclepiana. Il culto della
personalità tra gli dei è naturale. Spesso lo è anche tra gli uomini. E c‟erano tanti
detti in proposito. Uno è questo: “Basta na botta na la tistidda e puri lu babbu si criri
Zeus cu lu cuppulidda”.
<<Che mentula di ciolla di cicia del kazzo di una minkia devo fare?>> pinsava
intanto Helena che ancora una volta firriava a vuoto, o a minkia, per i corridoi del
palazzo reale. Però pinsava al kazzicatummulio in generale. E soprattutto al
kazzicatummulio finale con Paryde.
<< Minkia, che bello il “minkia tur”, soprattutto se penso al traguardo finale>> pinsò.
--Ciolla volatile di Ermete, vola dove tu sai.
E con le ali stuzzica le doppie colonne di Ercole.
Ciolla medicante di Asclepio, porta cura alla parte malata che tu sai.
E con i tuoi medicamenti guariscila.
Zenobio
--Due tizi originari di Leonthynoy e Karleonthynoy cercarono di valutare il numero
delle ciolle “modello Ermete ” e di quelle “modello Asclepio” di cui aveva bisogno
Helena per dimenticare la ciolla di Paryde.
<< Due milioni di ciolle “modello Ermete” e due milioni di ciolle “modello
Asclepio” per un totale di quattro milioni di ciolle>> disse il tizio di Karleonthynoy.
<< Quattro milioni di ciolle “modello Ermete” e quattro milioni di ciolle “modello
Asclepio” per un totale di otto milioni di ciolle>> replicò il tizio di Leonthynoy.
Ma da Palermorum fecero sapere che la valutazione poteva arrivare al massimo a
quaranta milioni di ciolle tra “modello Ermete” e “modello Asclepio”. Purtroppo un
altro tizio perse i documenti e tutto finì a ciolla di gallo impotente. Ignoravano i
suddetti che per il pakkio libero di Helena qualsiasi ciolla valeva zero. Anche quelle
di Ermete e Asclepio. Mentre la ciolla di Paryde, anche se senza ali, valeva più
dell‟universo tutto sano sano. Ma loro purtroppo sapevano dare solo i numeri. La
ciolla dell‟amante era per Helena la cura delle cure. Ed era capace di volare e far
volare anche senza ali di nessun tipo.
--Quattro milioni.. otto milioni.. quaranta milioni..
senza documentazione che rottura di koglioni.
Detto popolare
--Naturalmente per tutto il palazzo reale risuonò per l‟ennesima volta il lacerante e
dolorosamente addolorato urlo di Helena. Sempre più ieratico e tonitruante.
<<Voglio..
una minkia..
una minkia..
una minkia...
una minkia..
una minkia...
una minkia..
una minkia..>>.
Per poi finire con un micidiale :
<<Voglio una
MINKIA
>>.
Pure la sua “Munidda” urlò un “Munidda -tonitruante” urlo assai lapalissiano.
<<Voglio una minkiaaaaaa...una minkia che sappia fare la minkiaaaaaa...>>.
E non era un lapsus calami o un lapsus linguae. In vino veritas. O meglio, in kunnus
veritas. Gutta cavat lapidem, mentula cavat kunnus.
Il sogno di Helena, e della sua “Munidda”, era quello di gridare in faccia all‟urbe,
all‟orbe e all‟Olympazzo tutto: <<Habemus mentula>>.
Ma il problema era “Quale mentula?” Una mentula qualsiasi o la mentula di Paryde?
“Melius abundare quam deficere” diceva un detto latino latinamente latinissimo.
E allora meglio un‟overdose di mentuline, mentule, mentulone e mentulazze per
dimenticare la mentulina di Mynkyalao e non pensare alla mentulona di Paryde.
<< E overdose sia.. con tanti parerghi e senza paralipomeni >> disse Helena.
---
Tutti i fiumi vanno al mare, tutte le fike vanno a minkia.
Finché c‟è vita c‟è speranza. Finché c‟è la minkia tisa c‟è speranza di fikkare.
Marzo pazzo, come il kazzo.
Chi troppo e chi niente, disse una minkia inappetente.
Detti popolari
---
A curtigghiari c‟erano i tre intellettuali della ciolla che pinsavano già di scrivere
rispettivamente, secondo la propria specializzazione, il Poema Helena s‟inphalla il
phallo intossicante di Ermete prima e quello disintossicante di Asclepio poi, il
Carmen Helena s‟immentula la mentula pisciamercurio di Ermete prima e quella
sukamercurio di Asclepio poi, e il romanzo Cent‟anni di minkia al mercurio per il
pakkio di Helena e altri cent‟anni di minkia sukamercurio per il medesimo pakkio.
Sokratynos , il filosofo della minkia, si chiese: << La vita è una, come la minkia, e se
non è un piacere vivere e avere una minkia, a che minkia serve avere una minkia se
poi non puoi imminkiare manco quella troia di Helena che invece si lascia
imminkiare dall‟amato fratascio Ermete e dalla sua minkia inquinante per poi
lasciarsi disinquinare il pakkio dalla minkia disinquinante di Asclepio mentre io
potrei passarle draconianamente e finanche socraticamente, e volendo anche
oralmente, la mia tonitruante minkia filosofikamente filosofika? >>.
--<< Voglio una minkia, voglio una minkia. Voglio una minkia e no una bestia di
minkia. E manco un simulacro di minkia. Voglio una minkia che sappia ben
kazzicatummuliari >> gridava ancora e ossessivamente la neosposa.
Helena non sapeva se andare da Paryde o dalla prima minkia che capitava dopo
quelle di Zeus , Eros, Apollo, Efesto, Ares, Ermete e Asclepio . Di andare da Pryapo
non se ne parlava completamente.
Andare da Paryde voleva dire che era semplicemente innamorata, anche perché
Paryde avia si un bell‟uccello ma non era certamente il massimo in fatto di misure.
Ma lei avia il kunno innamorato: e l‟amore è capace di far diventare teoricamente un
elefante magari una piccola mosca .
<< Vado a minkia e m‟imminkio sulla prima minkia per cercare di non pensare né
alla minkia di Mynkyalao che mi fa schifo né a quella di Paryde che mi appititta. Ma
se non troverò soddisfazione , gira e rigira, imminkia prima e imminkia appresso, è
da Paryde che porterò il mio sesso. Perché per il mio kunnu chidda è la megghiu
minkia di lu munnu>>.
--<< Voglio una minkia e no una bestia di minkia. Voglio una minkia e no una bestia di
minkia. Una minkia che sappia fare la minkia. Voglio una minkia, una minkia, una
grande minkia. Una minkia esperta nel kazzicatummuliu. Insomma, se la ciolla
maritale è un fallimento, la sposina deve andare direttamente da quella che è la ciolla
già sperimentata dell‟amante o iniziare la ricerca della ciolla ideale, sperimentando
minkie su minkie e ancora minkie e minkie e poi ancora minkie a iosa, alla sanfasò e
a tinchitè tout court e full time? Oppure, per tagliare la testa al toro, correre da
Pryapo e farsi somministrare la sua ciolla, praticamente la regina di tutte le minkie
dell‟urbe, dell‟orbe e dell‟Olympazzo. Insomma insomma, il kazzo amatissimo
dell‟amatissimo amante o il kazzone katholikos di Pryapo o semplicemente kazzi su
kazzi scelti a kazzo ma che sappiano fare professionalmente il lavoro del kazzo?
Insomma insomma insomma, con quale kazzo kazzicatummulierò io?>>gridava
ancora e sempre più ossessivamente Helena.
Pertanto trasiu in una camera a caso. Tanto per continuare il suo “minkia tur”. E
minkia chi visti. Due femmine di Sosia armate che facevano un bel sessantanove.
<<Minkia, ca la minkia vera e reale nun c‟è.
Però c‟è la minkia finta ma mai stanca è>> pinsò.
Idda non le riconobbe subito. Poi vide una civetta, un elmo, un‟egida, una lancia, un
arco e tante ma proprio tante frecce. Erano due sue sorasce. Artemide, sorella di
Apollo e figlia di Zeus, e Pallade Atena , figlia aploide di Zeus. Figlia sol di padre
perché dal padre partorita senza usar buco femminino.
<< Minkia cu sunu, le verginelle buttane ma sukaminkia di Artemide e Pallade. Anzi,
più che sukaminkia, sukacitrola. O , specifikando, sukasosia oltre che alliccapakkio.
Sono proprio due buttane le mie, in fondo, sorellastre. Non kazzicatummulinu cu li
ciolli veri, però kazzicatummulinu alla grande cu li ciolli finti>> pinsò Helena.
Infatti visti Artemide e Pallade Atena ca si alliccavanu la filazza e intanto si
fottevano con un Sosia. Ma la cosa sorprendente è che Pallade Atena chiamava Zeus
il Sosia. Voleva la ciolla paterna la puttana verginella. Artemide invece chiamava il
Sosia ora Zeus ora Apollo. Era innamorata della ciolla paterna e di quella fraterna e
forse le avrebbe volute entrambe la puttanazza verginella.
<<Vergine una minkia, anche se con una minkia artificiale,
le signore scopano, e scopano in maniera eccezionale.
Fanno le caste e le pure. Fanno le verginelline e le sante.
E poi fottono a minkia cina minkie finte seduta stante >> pinsò la sposina delusa.
La scena era bella e sorprendente. E lei si la taliò tutta. Fino alla fine. Ma
dell‟omosessualità delle due dee si parlava da tempo. Come della bisessualità di Eros
o di Apollo. E pure di quella di Zeus che per amore del kulo di Ganimede trascurava
il pakkio di Era. O meglio, si chiacchierava. Si spettegolava dei fatti pilusi degli dei.
Helena si eccitò assai, e mentre quelli s‟inkunnavano reciprocamente il Sosia, idda
s‟inkunnò un dito. E gudiu un attimo dopo quelle due. Le dee sentirono il sospiro e si
misero in piedi in un amen. E la videro.
<< Minkia, la sposina novella ci spia, ci talia, ci osserva, ci guarda.
Anziché operar di ciolla vera, l‟opera talia della ciolla finta, la bastarda.
Minkia. Non ti abbasta la ciolla minore di Mynkyalao re minore,
visto che col tuo ditino medio bello cerchi di fare, diciamo, l‟amore.
Vorresti un Sosia ? E di chi? Di Mynkyalao il babbo o di Paryde il bello?
Dicci bella, di chi minkia vorresti un Sosia, di quale minkia d‟uccello?>> dissero
le dee. Helena stava muta. Muta di ucca e muta di pakkio.
<< Dimmi, Helenuccia bella, se proprio vuoi una ciolla bedda, tisa e bona,
anziché usare un dito, vai da Agamynkyone, che saranno lampi e trona>>.
<< No>> rispose Helena.
<< Allora, simulacro per simulacro, sia detto chiaru e tunnu,
preparati a pigghiari sti kazzo di Sosia e non solo na lu kunnu>>.
<< No>> rispose Helena spaventata e circannu di scappare.
Ma le dee l‟acchiapparono e fu quel che fu. A tutti parti li Sosia, buon simulacro della
minkia per alcune e cattivo per altre, ficiru trasi e nesci. E in contemporanea alla fine
l‟ebbe nel vaso ortodosso e in quello eterodosso. Nel vaso canonico e in quello non
canonico. Helena si lasciò pigliare dal gioco, e dalla violenza iniziale si passò a poco
a poco ad una machia sessuale a tre. Tre femmine di natural filazza dotate e di due
falli finti armate. Helena li ebbe ma li mise. Ottenne ma diede. E fu tutto un do ut des.
Un trio con sei buchi e due Sosia.
<< Ma il simulacro della ideale minkia mia, dimmillu chiaru e tunnu,
almenu lu stutau lu focu ca ardia na lu to kunnu? >> chiese curiosa Artemide,
anche a nome della compagna, perché, come a tutti i maschi, veri o finti, quindi
comprese loro che erano femmine mascolinizzate, ci piacia sentirsi dire dalla vera
fimmina ca era tutta ma proprio tutta soddisfatta. Anche se di ciolla finta.
<< Mancu di na stizza, lu kunnu mi pruri e m‟attizza.
Iddu assai m‟impazza e voli tutt‟autra minciazza>> rispose Helena avviandosi
verso l‟uscita.
<< “In cauda venenum” , ma non nella bella coda finta certamente.
Per il nostro piacere noi usiamo la coda finta e non quella della gente.
È anonima, sempre disponibile, non ingravida e mancu curtigghia.
La minkia finta è capaci di fikkari in sekula sekulorummu e così sia.
I masculi più che scopare e altro, amano vantarsi e raccontare a tinchitè.
“Iu ci l‟haiu misa a chissa e a chidda” dicono. Ma la minkia orba è.
La minkia, ad essere sincere, si dovrebbe solo usare. Usarla e tacere.
Invece e tutto un chiacchiericcio. Parlarne forse duna loro chiù piacere.
Li masculiddi, beati iddi, si sentono tutti la prima minkia di lu munnu,
anche quannu nun sanu mancu chi minkia è chidda cosa chiama kunnu.
Si sentono tutti minkia, tutti potenti, tutti altamente soddisfacenti,
anche quando tra le gambe non hanno una minkia di kazzo di nenti.
Poverini, non sanno che le donne sono quasi sempre scontente.
Purtroppo la minkia non sempre sa fare la minkia veramente.
Ma li masculiddi, quannu parrunu del loro aceddu, chistu è il bello,
lo paragonano a chiddu di Pryapo, che è il massimo dell‟uccello.
E allora sai chi ti ricu? Se voi na minciazza veramenti assai imponente,
vatti a spurpari sana sana quella di Pryapo immediatamente>>.
<< No, io voglio solo una ciolla che mi sappia kazzicatummuliari.
E adesso ho capito che pure il Sosia questo travaglio lo può fare.
Bisogna solo saperlo maneggiare, e non usarlo alla sanfasò.
Pertanto grazie della novità. Il Sosia è buono se la minkia non ho>>.
Ma appena Helena arrivò davanti alla porta Pallade la chiamò. Ci facia pena quella
carusa bedda rimasta senza cicia maritale la notte delle nozze.
<< E‟ tropp‟assai assaissimo l‟arroganza di lu maskulazzu
nel lasciare la notte delle nozze la moglie senza kazzu.
Non capiscono sti kazzo di koglioni con la minkia per pendaglio
che la fika può sempre, mentre la minkia è spesso un abbaglio>> disse la dea.
E intanto tirò fuori da un armadio, una Sosioteca, un Sosia.
<< Vieni qua, femmina sfortunata e assai assai disgraziata,
che già la notte delle nozze senza minkia maritale sei restata.
Vieni qua, e pigliati, da parte nostra , questo bel regalino.
Un Sosia per tutte le evenienze, per ogni natural bisognino.
Non è il Sosia maritale, bensì quello dell‟assai amato amante.
E quando lo userai pensa pure al tuo bel Paryde bell‟e aitante.
È proprio il Sosia di Paryde. Perché in questa nostra Sosioteca bedda,
c‟è il Sosia del kazzo di dei e uomini, c‟è la copia di tutti i loro acedda.
Come vedi, è appinnutu a una collana, e quannu sta sutta la tunichedda,
batte, tuppulia e ribatte proprio alla porta di la santa vanedda.
È una minkia finta ben fatta, né nica né ranni e manco mostruosa,
ma bastevol comunque è a riempire il buco e tutto il resto della cosa.
È nuovo, è anonimo, è kazzo finto e basta, e soprattutto è sempre duro.
Chiamalo come vuoi, e usalo come vuoi, sia in kunno che in kulo.
Solo tu sai di chi minkia è cotale minkia finta, di chi sto Sosia è copia.
Usalo come minkia ti pare, usalo tout court e full time, usalo con gioia>>.
<< Grazie>> rispose Helena pigliandosi il regalino e mettendoselo al collo. Il Sosia
batteva proprio al punto giusto. Proprio lì. E intanto taliava la Sosioteca restata
aperta. Un mare impetuoso di kazzi finti, un‟orgia immemorabile di minkie anonime,
una foresta vergine di falli tisi, un oceano immenso di cicie eterogenee, un esercito
imponente di ciolle potenti in armi e senz‟armi, un esercito con ciolle generali, ciolle
divine, ciolle reali, ciolle caporali, ciolle soldati, ciolle a cavallo e ciolle a piedi,
ciolle bianche, nere e colorate, ciolle autoctone e alloctone, ciolle giovani e ciolle
vecchie. E poi ancora ciolle e ciolle e ciolle in un mare di minkie e minkie e minkie
in un amalgama di kazzi e kazzi e kazzi in un intreccio di falli, mentule, marrugghia,
peni, verghe e piripicchi vari tout court e full time.
<< Dagli un nome, battezzalo questo Sosia di Paryde>> propose Pallade.
<< “Gioconda”>> rispose Helena estasiata dalla visione di quei sosia infiniti,
<< Io mi aspettavo Paryde, Pariduccio, Paridetto, Paridone, Pariduccio,
Paridekazzaccio...>> replicò Pallade curiosa.
<< Io invece mi aspettavo Purceddopolys, Purceddopolino, Purceddopolone,
Purcedopolazzo, Purcedopolokazzaccio...>> aggiunse Artemide altrettanto curiosa.
<< E io invece lo chiamo “Gioconda”. Perché io voglio soltanto la “Gioconda”>>
rispose Helena.
<< Ma cu minkia è sta kazzo di “Gioconda“ del kazzo>> chiesero Pallade e
Artemide.
<< E‟ il nome con cui ho battezzato la ..>>.
<< .. la..>> replicarono quelle a bocca aperta.
<< .. la minkia di Paryde >>.
<< Ahhh.. la ciolla di Paryde è “Gioconda”>> dissero Pallade e Artemide
ammammacoccolute assai assaissimo.
<< Ehhhh… la cicia di Paryde è “Gioconda“ assai assaissimo gioconda. È gioconda a
iosa, alla sanfasò e finanche a tinchitè>> rispose Helena.
<< E scommettiamo anche tout court e full time>> replicarono le dee.
<< Sempre “Gioconda” è>>.
<< Magari è “Gioconda” quattro milioni di volte. Come minimo quattro milioni di
volte>> specificò Pallade Atena.
<< E perché no otto milioni di volte? Il doppio è meglio della metà>> aggiunse
Artemide.
<< Se è per questo possiamo arrivare anche a quaranta milioni di volte. Ma per me lo
è più e più e più del più grande numero possibile e immaginabile. E poi è una minkia
sincera, niente a che vedere con le minkie modello Pattuallopolys>>.
E risero. E persero il controllo. E ne fecero di tutti i colori. Tre fike e il Sosia di
Paryde. Solo il Sosia di Paryde. E fu un gran bel kazzicatummulio.
<< Voglio una minkia e no una bestia di minkia. Voglio una minkia, una minkia. O
forse voglio la “Gioconda”, oppure il Sosia di una minkia o il Sosia della
“Gioconda”. Comunque intanto voglio una minkia. Voglio una minkia>> gridò
ancora Helena, a cose finite, saltando e ballando con il Sosia che ci batteva proprio
lì. A volte addirittura sciddicava tra le cosce, e paria quasi che vulissi trasiri.
Sicuramente, in mancanza della collana, quel Sosia s‟avissa fikkatu sempre dintra il
portuso. Intanto s‟era addumato n‟autru minkiuni di minkiajuana.
Era comunque contenta Helena. Il novello modo di kazzicatummuliare le era
piaciuto. Il teatro con Pallade Atena ed Artemide era stato uno spettacolo bello. Una
bella messa in scena. Una femmina femmina, due femmine mascoline e due ciolle
finte di ottima fattura. Da attori professionisti la performance dei protagonisti. Sia
quelli vivi che quelli morti. Ma se le “Lune” delle dee erano felici, la sua era
semplicemente insoddisfatta. Titolo plausibile, A letto con due madonne e due ciolle
finte. Esempio primario di Teatro lesbo.
Ma Helena in testa teneva il solito pinsero fisso:<<Che kazzo di minkia della ciolla
devo fare?>>.
Anche Pallade Atena e Artemide si erano addumate due bellissimi minkiuna di
minkiajuana. Ma iddi la chiamavano minkiapalladiana e minkiaartemidiana. Tanto
per.
<<Che mentula di ciolla di cicia del kazzo di una minkia devo fare?>> pinsava
intanto Helena aggirandosi, stravolta e sconvolta, per i corridoi del palazzo reale.
Ma anche travolta dall‟idea di avere ancora tante minkie. Di dover affrontare una
marea di minkie. E sentendo il Sosia di Paryde che bussava alla porta del piacere. E
in cuor suo, o meglio, in fika sua, pensava di kazzicatummuliari con tutte le minkie
dell‟universo. Con tutti i Sosia della Sosioteca ma anche con gli originali. Con tutte
sì, ma in attesa di fare e strafare con Paryde. Prima col Sosia, e poi, in sekula
sekulorummu, con l‟originale. Quello era e restava il traguardo del suo “minkia tur”.
--Artemide e Pallade Atena, le vostre ciolle finte di femmine false,
sono migliori delle ciolle vere di tanti uomini solo di forma.
Artemide e Pallade Atena, meglio una femmina con ciolla finta
che certi maschi inutili dalle ciolle incapaci.
Elio sikulo
---
Una ciolla finta fa della femmina la migliore amante,
perché la femmina conosce i desideri della femmina.
E sa come accendere e spegnere il fuoco nel focolare della passione.
Pitagora da Munypuzos
---
Due tizi originari di Leonthynoy e Karleonthynoy cercarono di valutare il numero
delle ciolle finte di cui aveva bisogno Helena per dimenticare la vera e la finta ciolla
di Paryde.
<< Quattro milioni di ciolle finte fatte ad hoc. Tutte identiche, tutte Sosia dello stesso
Sosia, tutte modello perfetto, punto per punto, della “Minkia di Paryde” >> disse il
tizio di Karleonthynoy.
<< Otto milioni di ciolle finte ma doc. E non necessariamente tutte simili. Secondo i
miei calcoli è possibile una certa eterogeneità. Che se è bello mangiar cose diverse è
altrettanto bello fotter con minkie diverse, anche se finte >> replicò il tizio di
Leonthynoy.
Ma da Palermorum fecero sapere che la valutazione poteva arrivare al massimo a
quaranta milioni di ciolle finte. Purtroppo un altro tizio perse i documenti e tutto finì
a ciolla di asino koglione. Ignoravano i suddetti che per il pakkio libero di Helena
qualsiasi ciolla, vera o finta, valeva zero. Anche se il Sosia di Paryde poteva simulare
o sublimare o sostituire la ciolla originale, la minkia vera di Paryde era insostituibile.
La “Gioconda” era il miglior Sosia in assoluto. Mentre la ciolla di Paryde valeva più
dell‟universo tutto sano sano. Ma loro purtroppo sapevano dare solo i numeri. La
ciolla dell‟amante era per Helena il gioiello dei gioielli.
--Quattro milioni.. otto milioni.. quaranta milioni..
senza documentazione che rottura di koglioni.
Detto popolare
--Per tutto il palazzo reale risuonò il solito lacerante e addolorato urlo di Helena, la
fika più infelice dell‟universo. Drammaticamente tonitruante come sempre. E
dolorosamente doloroso.
<<Voglio...
una minkia..
una minkia..
una minkia...
una minkia..
una minkia...
una minkia..
una minkia..>>.
Per poi finire con un micidiale :
<<Voglio una
MINKIA
>>.
Pure il suo “Portaciolla” urlò un “Portaciolla -tonitruante” urlo assai lapalissiano.
<<Voglio una minkiaaaaaa...una minkia che sappia fare la minkiaaaaaa...>>.
E non era un lapsus calami o un lapsus linguae. In vino veritas. O meglio, in kunnus
veritas. Gutta cavat lapidem, mentula cavat kunnus.
Il sogno di Helena, e del suo “Portaciolla”, era quello di gridare in faccia all‟urbe,
all‟orbe e all‟Olympazzo tutto: <<Habemus mentula>>.
Ma il problema era “Quale mentula?” Una mentula qualsiasi o la mentula di Paryde?
“Melius abundare quam deficere” diceva un detto latino latinamente latinissimo.
E allora meglio un‟overdose di mentuline, mentule, mentulone e mentulazze per
dimenticare la mentulina di Mynkyalao e non pensare alla mentulona di Paryde.
<< E overdose sia.. con tanti parerghi e senza paralipomeni >> disse Helena.
--Non tutte le ciambelle vengono col buco, ma tutte le donne devono avere il buco.
Ad ogni kulo il suo purtusu, ad ogni minkia anche.
Lu maskulu senza pititto lu kazzu si lu poli fari sulu frittu.
La fimmina, magari ca s‟annoia, può fare la fimmina e finanche la troia.
La contentezza viene dalle budella, la felicità dalla minkia.
Detti popolari
--A curtigghiari c‟erano sempre i tre intellettuali della ciolla che pinsavano già di
scrivere rispettivamente, secondo la propria specializzazione, il Poema Helena
s‟inphalla i Sosia di Artemide e Pallade Atena e riceve in regalo un Sosia che lei
battezza “ Gioconda” come l‟augello di Paryde, il Carmen Helena s‟immentula i
Sosia di Artemide e Pallade Atena e riceve in dono un Sosia che lei chiama
“Gioconda “ come il volatile di Paryde, e il romanzo Cent‟anni dei Sosia di Pallade
Atena e Artemide per il pakkio appitittato di Helena che ha anche a disposizione
una minkia finta che lei chiama la “ Gioconda” in quanto è il Sosia del kazzo di
Paridazzo.
Sokratynos, il filosofo della minkia, si chiese: << La vita è una, come la minkia, e se
non è un piacere vivere e avere una minkia, a che minkia serve avere una minkia se
poi non puoi imminkiare manco quella troia di Helena che invece si lascia
imminkiare e inkulare dai Sosia delle sorasce Artemide e Pallade per poi ricambiare
con i medesimi Sosia e ricevere infine in regalo un Sosia con cui imminkiarsi nel
caso in cui le manchi una minkia mentre in realtà ci sarebbe la mia tonitruante
minkia disponibilissima a imminkiarla finanche filosofikamente?>>.
--<< Voglio una minkia e no una bestia di minkia. Voglio una minkia, una minkia. O
voglio la “Gioconda”, oppure il Sosia di una minkia o il Sosia della “Gioconda“>>
gridava esasperata la sposina bella. Lo gridava in faccia al mondo, forse anche
all‟universo. Helena non sapeva se andare da Paryde o dalla prima minkia che
capitava dopo quelle vere e genuine e reali di Zeus , Eros, Apollo, Efesto, Ares,
Ermete e Asclepio e quelle artificiali di Pallade e Artemide, a cui aveva però
ricambiato il favore, ricevendo in regalo un Sosia che lei aveva battezzato
“Gioconda”. Di andare da Pryapo non se ne parlava completamente.
Andare da Paryde voleva dire che era semplicemente innamorata, anche perché
Paryde avia si un bell‟uccello ma non era certamente il massimo in fatto di misure.
Ma lei avia il kunno innamorato: e l‟amore è capace di far diventare teoricamente un
elefante magari una piccola mosca .
<< Vado a minkia e m‟imminkio sulla prima minkia per cercare di non pensare né
alla minkia di Mynkyalao che mi fa schifo né a quella di Paryde che mi appititta. Ma
se non troverò soddisfazione, gira e rigira, imminkia prima e imminkia appresso, è da
Paryde che porterò il mio sesso. Perché per il mio kunnu chidda è la megghiu minkia
di lu munnu>>.
--<< Voglio una minkia e no una bestia di minkia. Voglio una minkia, una minkia. O
voglio la “Gioconda”, oppure il Sosia di una minkia o il Sosia della “Gioconda”.
Voglio una minkia e no una bestiaccia di minkia. Voglio una minkia e no una
bestiona di minkia. Una minkia che sappia fare la minkia. Voglio una minkia, una
minkia, una grande minkia. Una minkia che sappia kazzicatummuliare. Insomma, se
la ciolla maritale è un fallimento, la sposina deve andare direttamente da quella che è
la ciolla già sperimentata dell‟amante o iniziare la ricerca della ciolla ideale,
sperimentando minkie su minkie e ancora minkie e minkie e poi ancora minkie a
iosa, alla sanfasò e a tinchitè tout court e full time? Oppure, per tagliare la testa al
toro, correre da Pryapo e farsi somministrare la sua ciolla, praticamente la regina di
tutte le minkie dell‟urbe, dell‟orbe e dell‟Olympazzo. Insomma insomma, il kazzo
amatissimo dell‟amatissimo amante o il kazzone katholikos
di Pryapo o
semplicemente kazzi su kazzi scelti a kazzo ma che sappiano fare professionalmente
il lavoro del kazzo? Insomma insomma insomma, io voglio solo e soltanto una cosa.
Io voglio solo un kazzo, un vero kazzo, un signor kazzo, per kazzicatummuliare a
iosa, alla sanfasò e finanche a tinchitè>> gridava esasperata la bella sposina delusa
dalla minkia maritale.
Esasperata dalla sua minkiesca ricerca trasiu in una nuova camera. Una nuova tappa
del suo “minkia tur”. C‟era un bel picciotto che piangeva. Era Ganimede. Bello e
nudo e si la stava sunannu a manu in onore del suo amante Zeus.
<< Ihhhhh.. con chi minkia Zeus mi tradì.. Ihhhhh..
Ihhhhh.. cu quale portaciolla Zeus mi tradì.. Ihhhhh..
Ihhhhh.. cu quale portakazzu Zeus mi tradì.. Ihhhhh..
Ihhhh.. o forse con qualche kazzo o kulo mi tradì.. Ihhhhh..>>.
<< Non piangere bello, non torturare così il tuo uccello >>
<< Chi vuoi, cara Helenuccia biddazza tropp‟assai.
A tuo papà, io l‟amo chiù d‟ogni cosa e tu lo sai>>.
<< Ma adesso, a colpi di minkia, consola a mia, bel picciotto.
Sai come soffro. Dammi, con la tua cicia, qualche botto.
Sei l‟amante assai amato di lu patri miu ranni e beddu.
E allura kazzicatummulia na stu stikkiu lu to beddu aceddu>>.
<< Ma io nun dugnu ciolla, io la minkia la piglio solamente>>.
<< Ma io sono fimmina e non tengo na minkia di niente>>.
E poi io vedo che la tua è tisa, che è pronta a fare la misa>>.
<< E‟ tisa, che vuoi che ti dica, ma non per la tua fika>>.
<< Minkiati ranni. Idda è pronta a trasiri a tutti banni.
Detto tra noi, in segreto segretorummu, la minkia è orba tutta.
Quannu è tisa, idda nun capisci se ci duni broru o pastasciutta.
C‟interessa sulu nu purtusu unni fari lu so travagghiu immediatamente,
o di maskulu o fimmina, perché in quel momento non capisce niente>>.
Helena ci si ittau di supra e s‟impalò. Con tutta la tunica e quell‟aggeggio che ballava
sotto la tunica, e che era il Sosia di Paryde. Il Sosia della “Gioconda”.
<< No...>> gridò Ganimede. Ma era già dentro. E kazzicatummuliava.
<< No...>> rigridò.
Ma era già tutto dentro ed Helena facia forsennatamente su e giù.
<< E chista cosa chi minkia è?>> chiese il picciotto, che pacifikamente si lasciava
cavalcare. Era la sua una fottuta passiva. Una fottuta automatica. Intanto iddu sentiva
una cosa strana e fredda ma dalla forma riconoscibilissima. Una cosa minkiforme che
ogni volta che lei andava su s‟insinuava tra la sua ciolla e il pakkio di Helena e ogni
volta che lei andava giù scivolava via. E il tutto era anche fin troppo piacevole.
<< Un simulacro di minkia>>.
<< Ehhhh…..>>.
<< Un Sosia, una ciolla finta>>.
<< E di chi è?>> .
<< Mia. È il “Sosia “ di ..>>.
<< Di tuo marito, il Sosia di Mynkyalao>>.
<< No, è dell‟amore mio, del mio amante bello di corpo e d‟uccello>> precisò Helena
continuando a cavalcare.
<< Minkia, minkia, di Paridazzo chista è la copia del kazzo.
Fammillu taliari, fammillu vasari, fammillu pruvari>> rispose Ganimede venendo
di colpo.
<< Si chiama “Gioconda”>> puntualizzò Helena contenta. Ganimede iucò con il
Sosia. O meglio, con il Sosia della “Gioconda”. Alla fine chiese a Helena:
<< Fai finta ca si maskuliddu e trasimillu tuttu quantu.
Trasimillu prima pianu e poi forti, fammi gudiri tantu>>. Helena ubbidì.
<< Ma la babba minkia mia, dimmillu chiaru e tunnu,
almenu lu stutau lu focu ca ardia na lu to kunnu? >> chiese curioso Ganimede, a
cui, come a tutti i maschi, anche se come maschio lui generalmente non operava, ci
piacia sentirsi dire dalla fimmina ca era tutta ma proprio tutta soddisfatta.
<< Mancu di na stizza, lu kunnu mi pruri e m‟attizza.
Iddu assai m‟impazza e voli tutt‟autra minciazza>> rispose Helena avviandosi
verso l‟uscita.
<< “De gustibus non est dispuntandum”, ognuno si piglia ciò che l‟appititta.
Noi abbiamo fatto un “do ut des, e non è stata certamente aria fritta.
Ma sai chi ti ricu? Se voi na minciazza veramenti assai imponente.
Vatti a spurpari sana sana quella di Pryapo immediatamente>>.
<< No. Ma dimmi tu, lu bellu Sosia mio, dimmillu chiaru e sicuru,
almenu lu stutau lu focu ranni ca ardia na lu to kulu? >> chiese curiosa Helena,
che, pensando come la pensano tutti i maschi, anche se femmina tutta lei era, ci
piacia sentirsi dire da un mascolo ca facia la femmina ca era tutto ma proprio tutto
soddisfatto. Anche se da una ciolla finta.
<< Mancu di na stizza, lu kulu mi pruri e m‟attizza.
Iddu assai m‟impazza e voli tutt‟autra minciazza>> rispose Ganimede pinsannu a
Zeus.
Helena usci gridando: << Voglio una minkia, ma non so quale. Voglio una minkia e
no una bestia di minkia. Voglio una minkia o voglio la “Gioconda“. Oppure il Sosia
di una minkia o il Sosia della “Gioconda“. Intanto voglio una minkia. Voglio una
minkia. Una minkia che mi kazzicatummulii assai assaissimo>>.
Era comunque contenta Helena. Anche se il picciotto più che altro pigliava, quando
dava, dava bene. Era stato nel complesso un discreto esercizio kazzicatummuliativo.
Il teatro con Ganimede era stato uno spettacolo bello. Una bella messa in scena.
Bellissima lei, bellissimo lui. Bellissimo pure il suo kulo. Da attori professionisti la
performance dei protagonisti. Ganimede s‟era impegnato ma la “Luna“ di Helena era
scontenta. Titolo plausibile, A letto con la ciolla e col kulo di Ganimede.
Praticamente un esempio di Teatro bisex. Ma in testa alla bella Helena ronzava il
solito pinsero:<<Che kazzo devo fare?>>. Intanto si stava sukannu n‟autru minkiuni
di minkiajuana.
E anche Ganimede si era addumatu nu minkiuni di minkiajuana. L‟erba dedicata al
suo sommo amore, Zeus. Giove per i latini.
<<Che mentula di ciolla di cicia del kazzo di una minkia devo fare?>> pinsava
intanto Helena. E intanto che pinsava, firriava. Firriava come una pazza di minkia, o
una minkia pazza, per i corridoi del palazzo reale. Che poi, il palazzo reale, da moglie
di Mynkyalao, era casa sua. Ma idda firriava e pinsava. Pinsava soprattutto a come
incrementare la velocità della kazzicatummuliazione. Per kazzicatummuliare a iosa,
alla sanfasò e finanche a tinchitè. Per fare il pieno di kazzi prima della scelta finale.
Ovvero, di correre a fika aperta dalla minkia di Paryde. Perchè quello era e restava il
traguardo finale del suo “minkia tur”.
--Ganimede è tanto bello che piace sia di kulo che d‟uccello.
Ganimede è la femmina di Zeus ma anche il maschio di tante femmine.
E ogni tanto è pure il maschio di Zeus.
Democritino
---
Due tizi originari di Leonthynoy e Karleonthynoy cercarono di valutare il numero
delle ciolle “modello Ganimede” di cui aveva bisogno Helena per dimenticare la
ciolla di Paryde.
<< Quattro milioni di ciolle “modello Ganimede”. E la ciolla di Ganimede è un
modello esclusivo, un modello divino, nel vero senso della parola. Non per niente è
cara al caro e sommo Zeus>> disse il tizio di Karleonthynoy.
<< Otto milioni di ciolle. Divino o no, per me sono otto milioni>> replicò il tizio di
Leonthynoy.
Ma da Palermorum fecero sapere che la valutazione poteva arrivare al massimo a
quaranta milioni di ciolle “modello Ganimede”. Purtroppo un altro tizio perse i
documenti e tutto finì a ciolla di stronzo autodidatta. Ignoravano i suddetti che per il
pakkio libero di Helena qualsiasi ciolla valeva zero. Anche quella di Ganimede.
Mentre la ciolla di Paryde valeva più dell‟universo tutto sano sano. Ma loro
purtroppo sapevano dare solo i numeri. La ciolla dell‟amante era per Helena il dardo
dei dardi.
--Quattro milioni.. otto milioni.. quaranta milioni..
senza documentazione che rottura di koglioni.
Detto popolare
---
Per tutto il palazzo reale risuonò ancora il sempre più lacerante e sempre più
addolorato urlo di Helena. Esasperatamente il solito tonitruante urlo.
<<Voglio..
una minkia..
una minkia..
una minkia...
una minkia..
una minkia...
una minkia..
una minkia..>>.
Per poi finire con un micidiale :
<<Voglio una
MINKIA
>>.
Pure il suo “Massaru Paulu” urlò un “Massaru Paulu -tonitruante” urlo assai
lapalissiano.
<<Voglio una minkiaaaaaa...una minkia che sappia fare la minkiaaaaaa...>>.
E non era un lapsus calami o un lapsus linguae. In vino veritas. O meglio, in kunnus
veritas. Gutta cavat lapidem, mentula cavat kunnus.
Il sogno di Helena, e del suo “Massaru Paulu”, era quello di gridare in faccia
all‟urbe, all‟orbe e all‟Olympazzo tutto :<<Habemus mentula>>.
Ma il problema era “Quale mentula?” Una mentula qualsiasi o la mentula di Paryde?
“Melius abundare quam deficere” diceva un detto latino latinamente latinissimo.
E allora meglio un‟overdose di mentuline, mentule, mentulone e mentulazze per
dimenticare la mentulina di Mynkyalao e non pensare alla mentulona di Paryde.
<< E overdose sia.. con tanti parerghi e senza paralipomeni >> disse Helena.
--Tutti i nodi vengono al pettine, tutte le minkie vengono in kunno.
Detto popolare
---
A curtigghiari c‟erano i tre intellettuali della ciolla che pinsavano già di scrivere
rispettivamente, secondo la propria specializzazione, il Poema Helena s‟inphalla il
phallo novello di Ganimede e contraccambia col Sosia di Paryde , il Carmen Helena
s‟immentula la mentula sincera di Ganimede e ringrazia somministrando il Sosia di
Paryde, e il romanzo Cent‟anni della frisca minkia di Ganimede per il pakkio di
Helena che contraccambia mittennici nel kulo la minkia finta di Paryde.
Sokratynos, il filosofo della minkia, si chiese: << La vita è una, come la minkia, e se
non è un piacere vivere e avere una minkia, a che minkia serve avere una minkia se
poi non puoi imminkiare manco quella troia di Helena che invece si lascia
imminkiare dalla minkia non tanto esperta di Ganimede a cui somministra anche il
Sosia mentre ci sarebbe la mia tonitruante minkia disponibilissima a imminkiarla
magari molto ma molto filosofikamente?>>.
---
<< Voglio una minkia e no una bestia di minkia. Voglio una minkia o voglio la
“Gioconda”, Oppure il Sosia di una minkia o il Sosia della “Gioconda”. Voglio una
minkia. Ho bisogno di una minkia ma non so di quale minkia>> gridava esasperata
la sposina bella. Helena non sapeva se andare da Paryde o dalla prima minkia che
capitava dopo quelle vere e genuine e reali di Zeus, Eros, Apollo, Efesto, Ares,
Ermete, Asclepio e Ganimede e quelle artificiali di Pallade e Artemide, a cui aveva
però ricambiato il favore, ricevendo in regalo un Sosia che lei aveva battezzato
“Gioconda”. E la “Gioconda” era andata piacevolmente anche in kulo a Ganimede.
Di andare da Pryapo non se ne parlava completamente.
Andare da Paryde voleva dire che era semplicemente innamorata, anche perché
Paryde avia si un bell‟uccello ma non era certamente il massimo in fatto di misure.
Ma lei avia il kunno innamorato: e l‟amore è capace di far diventare teoricamente un
elefante magari una piccola mosca
<< Vado a minkia e m‟imminkio sulla prima minkia per cercare di non pensare né
alla minkia di Mynkyalao che mi fa schifo né a quella di Paryde che mi appititta. Ma
se non troverò soddisfazione, gira e rigira, imminkia prima e imminkia appresso, è da
Paryde che porterò il mio sesso. Perché per il mio kunnu chidda è la megghiu minkia
di lu munnu>>.
--<< Voglio una minkia e no un simulacro di minkia. Ho bisogno di una minkia ma
non so di quale minkia? Voglio una minkia e no una bestiaccia di minkia. Voglio una
minkia e no una bestiona di minkia. Una minkia che sappia fare la minkia. Voglio
una minkia. Una minkia. Una grande minkia. Una minkia assai kazzicatummuliante.
Insomma, se la ciolla maritale è un fallimento, la sposina deve andare direttamente da
quella che è la ciolla già sperimentata dell‟amante o iniziare la ricerca della ciolla
ideale, sperimentando minkie su minkie e ancora minkie e minkie e poi ancora
minkie a iosa, alla sanfasò e a tinchitè tout court e full time? Oppure, per tagliare la
testa al toro, correre da Pryapo e farsi somministrare la sua ciolla, praticamente la
regina di tutte le minkie dell‟urbe, dell‟orbe e dell‟Olympazzo. Insomma insomma, il
kazzo amatissimo dell‟amatissimo amante o il kazzone katholikos di Pryapo o
semplicemente kazzi su kazzi scelti a kazzo ma che sappiano fare professionalmente
il lavoro del kazzo? Insomma insomma insomma, qual è la minkia giusta per il mio
giusto kazzicatummulio? >> gridava piano ma con ritmo Helena.
Desiderosa di cercare per trovare e provare, idda trasiu in una nuova camera che era
al buio quasi totale. Una nuova tappa del “minkia tur”.
Mancu lu tempo di trasiri ca finiu per terra. Di kulo.
<< Chi minkia di minkia fu? Chi minkia succiriu?
Inciampai in qualche minkia d‟eroi o di diu?>> si chiese Helena.
<< Cu minkia cariu? >> disse una voce.
<< Helena sugnu. Haihhh.. Minkia di vai.
M‟ammaccai lu kulu. Minkia chi scuru.
Nun si viri mancu na minkia a dire la verità>>.
<< Kazzu. Na minkia a dire il vero veramente ci sta>> rispose una voce ignota.
<< E cu si?>>.
<< Eolo sugnu. E stavo dormendo e ciusciavo vento,
ma con tanto tantissimo amoroso sentimento>>.
<< Apposta finii col kulo su chista minkia di pavimento.
Ciusciasti chiù forte proprio in quel preciso momento>>.
<< A dirti la cosa con grande sincerità, un pirito fu>>.
<< Diciamo allora ca.. ca fu ventu di kulu suppergiù>>.
Intanto Eolo s‟era alzato dal letto e aveva acceso una cannila bella grossa cu lu
cannilinu. La canniledda di la notte praticamente. E con quella fece nu tanticchia di
allustru. Di luce praticamente.
<< Minkia chi panzuni, pari na minkia di palluni.
Ma unni kazzu la teni la ciolla, stu cugghiuni?>> pinsò Helena.
La carusa conosceva Eolo, ma vederlo vestito era una cosa, vederlo nudo facia
impressione. La panza ci arrivava all‟altezza delle ginocchia e li minni a quella del
biddico. Di ciolla e palle manco l‟ombra.
<< Sicuramente sono morte soffocate>> pinsò la bella Helena.
<< Ma come fai a pisciare? Non si vede manco lu stigghiolu.
A minkia unnè? Io non vedo letteralmente una minkia a broru>>.
<< Kazzi miei. Comunque c‟è, cara rampolla.
E io piscio come tutti, piscio con la ciolla>> rispose Eolo.
<< Ma come minkia fai soprattutto a scopare? A minkia unnè?>>.
<< Kazzi miei. Comunque fikko. Fikko bene e tanto e a tinchitè>>.
<< Mi fa piacere pi tia e per la tua ciolla. Io ti credo se dici che c‟è.>>.
<< Grazie. Grazie assai. Ma tu chi minkia di kazzo vuoi da me?>>.
<< Kazzi miei. Voglio minkie e minkie, e poi ancora minkie. E che cacchio.
Minkie e minkie ancora e ancora minkie per il mio spilato pakkio>>.
<< Senti bedda, se sei venuta qua, a rompere i koglioni alla minkia mia,
proprio la notte delle nozze, vuol dire ca ci su veramente kazzi amari pi tia>>
rispose saggiamente Eolo.
Ed Helena raccontò tutto.
<< Mischina. Mischinuna. Mischinedda. Mischinuzza. Mischinazza.
La prima notti senza né minkietta, né minkia, né minkiazza>> aggiunse Eolo.
<< Consolami Eolo, ciusciami nu tanticchia di vento d‟amore.
O vento di ciolla. Ghibli, bora o scirocco, ma fai, per favore.
Fammi vedere come kazzicatummulì lu kazzu ca nu si viri lì.
Fammi provare come l‟obeso sa fare dindirindò e dindirindì>>.
Ed Eolo, tirannu fora da quella montagna di grasso l‟armamentario del caso, operò
come il caso consolatorio prevedeva. Ma la ricerca prima e la tirata fuori poi, da quel
mare di grasso, fu assai assaissimo laboriosa. Ma alla fine vinni fuori la sorpresa.
<< Minkia. Obeso pure di minkia è. Kazzè e kazzò.
Obeso è pure di koglioni. Minkia chi minkia però>> disse Helena.
La ciolla di Eolo era corta ma impressionante era il suo diametro. E impressionante
era pure il volume dei testicoli.
<< Tutto mi lu sdillabbria. Ma sdillabbrimillu pure tuttu.
Passami lu salami, la sasizza e pur‟anche il prosciutto>> aggiunse Helena.
<< Comunque, motivi tecnici, non posso fare tutte le posizioni minkiali.
Cavalcami allora e annachiti sulla mia ciolla col tuo kunno riali>>.
Fu complicato ma fu. Anche perchè in quel mare di grasso la ciolla paria na nanetta.
Ma nanetta non era. Era lunga abbastanza. Ma era anche grossissima. Però trasiu con
facilità. La fika di Helena era elasticissima. L‟orgasmo fu quasi una tromba d‟aria
trombante. Eolo aveva naturalmente sentito pure quello strano aggeggio.
Quell‟oggetto minkiforme che si perdeva nel suo grasso. Nelle pieghe della sua
mostruosa obesità. E che una volta s‟insinuò pure tra le sua chiappe e ci mancava
pikka ca ci trasia in kulo. Pertanto chiese: << Cosa esser quello?>>.
<< Un finto uccello. Una finta minkia. E‟ il Sosia di Paryde. La “Gioconda”. Lo vuoi
provare?>>. Eolo non disse niente. Fece però capire, con uno sguardo strano, che
non era interessato alla merce. Poi chiese curioso:
<< Ma la minkia mia, dimmillu chiaru e tunnu,
almenu lu stutau lu focu ca ardia na lu to kunnu? >> . A Eolo, ca puru ca era un
mascolo obeso la cui minkia si pirdia in un mare di grasso, come a tutti i maschi, ci
piacia sentirsi dire dalla fimmina ca era tutta ma proprio tutta soddisfatta.
<< Mancu di na stizza, lu kunnu mi pruri e m‟attizza.
Iddu assai m‟impazza e voli tutt‟autra minciazza>> rispose Helena avviandosi
verso l‟uscita.
<< “Quod erat demonstrandum”, cara Helena bedda di vanedda,
anche gli obesi sanno adoperare con piacere i loro acedda.
Ma sai chi ti ricu? Se voi na minciazza veramenti assai imponente.
Vatti a spurpari sana sana quella di Pryapo immediatamente>>.
<< Voglio una minkia e no un simulacro di minkia. E neanche la minkia di un obeso.
Ho bisogno solo di una minkia, ma non so di quale minkia? Comunque voglio una
minkia. Voglio una minkia. Solo una minkia che mi sappia kazzicatummuliari>>
gridò con tutta la sua forza Helena uscendo dalla camera di Eolo. E intanto si era
accesa un nuovo e grosso minkiuni.
Era comunque contenta la picciotta. Era una cosa nuova per lei fikkare con un obeso,
obeso in tutto però. Ne era venuto fuori un grosso kazzicatummulio, poco
movimentato ma abbastanza soddisfacente. Il teatro con Eolo era stato uno spettacolo
bello. Una bella messa in scena. Un contrasto i loro corpi. Bellissima lei, obesissimo
lui. Di ciolla e di tutto. Leggermente complessi i movimenti. Delle volte quasi al
rallentatore. Lei cavalcava e lui si faceva cavalcare. Lui immobile, ma lei scatenata.
La minkia di Eolo scatenatissima. Da attori professionisti però la performance. Ma la
“Luna” non era per niente contenta. Titolo plausibile, A letto con la ciolla ciusciante
e obesa di Eolo. Esempio principale di Teatro grasso. Ma nella testa di Helena c‟era
la solita ossessiva e ossessionante domanda:<< Che kazzo devo fare?>>.
Anche Eolo si era addumatu nu minkiuni particolare di minkiajuana. Un minkiuni
obeso come lui. Nu minkiuni che ne valeva cento. E inspirava con la potenza tipica di
Eolo. Ed espirava con altrettanta potenza. Ma lui la minkiajuana la chiamava
minkiaeoliana.
<<Che mentula di ciolla di cicia del kazzo di una minkia devo fare?>> pinsava
intanto Helena. E intanto firriava alla ricerca della sua minkia ideale. Pur sapendo che
esisteva, e che Paryde ne era il proprietario, lei continuava a cercarla anche in altri
uomini. Era il suo un desiderio di fare kazzicatummuli su kazzicatummuli, di sautare
di kazzo in kazzo, di ciolla in ciolla, di minkia in minkia, in attesa di sautare sulla sua
minkia sua preferita. E idda sapeva in cuor suo, o meglio, in kunnus suo, che la
minkia preferita era quella di Paryde. Quello era il traguardo del suo “minkia tur”.
--Eolo, minkia ciusciante, ciuscia piacere nel mio pakkio.
Sconvolgine le isoipse, le isobare e le isoterme.
Ma anche le isominkie, le isokazze e le isociolle.
Fanne la sede di una tempesta permanente del piacere.
L‟uragano degli uragani, la tromba d‟arie delle trombe d‟aria.
Purché a trombare sia una minkia di carne e no una minkia cina d‟aria.
Leucippo
--Se le minkie unciassero, come le panze, minkia quanto minkia mangerebbero i maskuli.
Leucippo Siciliano.
--Obesità, che mostruosità. Obesità della ciolla, che fortuna.
Astrolabio
--Due tizi originari di Leonthynoy e Karleonthynoy cercarono di valutare il numero
delle ciolle “modello Eolo” di cui aveva bisogno Helena per dimenticare la ciolla di
Paryde.
<< Quattro milioni di ciolle “modello Eolo”. Quattro milioni di minkie obese>> disse
il tizio di Karleonthynoy.
<< Otto milioni di ciolle, obesissimo però >> replicò il tizio di Leonthynoy.
Ma da Palermorum fecero sapere che la valutazione poteva arrivare al massimo a
quaranta milioni di ciolle “modello Eolo.” Purtroppo un altro tizio perse i documenti
e tutto finì a ciolla di obeso ignorante. Ignoravano i suddetti che per il pakkio libero
di Helena qualsiasi ciolla valeva zero. Anche quella di Eolo. Mentre la ciolla di
Paryde valeva più dell‟universo tutto sano sano. Ma loro purtroppo sapevano dare
solo i numeri. La ciolla dell‟amante era per Helena il vento dei venti.
--Quattro milioni.. otto milioni.. quaranta milioni..
senza documentazione che rottura di koglioni.
Detto popolare
---
Per tutto il palazzo risuonò l‟ormai noto urlo. L‟assai lacerante e l‟assai addolorato
urlo di Helena, che nonostante si fosse fatta una dose assai consistente di minkie,
ciolle, cicie, kazzi mentule o falli dir si voglia, cercava ancora la minkia ideale. Ma
gridava più tonitruante che mai il solito urlo. Il solito ossessionante e terrorifico urlo.
<<Voglio..
una minkia..
una minkia..
una minkia..
una minkia..
una minkia...
una minkia..
una minkia..>>.
Per poi finire con un micidiale :
<<Voglio una
MINKIA
>>.
Pure il suo “Nido d‟aceddu” urlò un “Nido d‟aceddu -tonitruante” urlo assai
lapalissiano.
<<Voglio una minkiaaaaaa...una minkia che sappia fare la minkiaaaaaa..>>.
E non era un lapsus calami o un lapsus linguae. In vino veritas. O meglio, in kunnus
veritas. Gutta cavat lapidem, mentula cavat kunnus.
Il sogno di Helena, e del suo “Nido d‟aceddu”, era quello di gridare in faccia all‟urbe,
all‟orbe e all‟Olympazzo tutto: <<Habemus mentula>>.
Ma il problema era “Quale mentula?” Una mentula qualsiasi o la mentula di Paryde?
“Melius abundare quam deficere” diceva un detto latino latinamente latinissimo.
E allora meglio un‟overdose di mentuline, mentule, mentulone e mentulazze per
dimenticare la mentulina di Mynkyalao e non pensare alla mentulona di Paryde.
<< E overdose sia.. con tanti parerghi e senza paralipomeni >> disse Helena.
--Buon sangue non mente, la minkia buona neanche.
Detto popolare
--A curtigghiari c‟erano i tre intellettuali della ciolla che pinsavano già di scrivere
rispettivamente, secondo la propria specializzazione, il Poema Helena s‟inphalla il
phallo ventoso di Eolo, il Carmen Helena s‟immentula la mentula tempestosa di
Eolo, e il romanzo Cent‟anni della minkia sciroccosa di Eolo per il pakkio di
Helena.
Sokratynos, il filosofo della minkia, si chiese: << La vita è una, come la minkia, e se
non è un piacere vivere e avere una minkia, a che minkia serve avere una minkia se
poi non puoi imminkiare manco quella troia di Helena che invece si lascia
imminkiare dalla minkia obesa di quell‟obeso di Eolo mentre ci sarebbe la mia
tonitruante minkia filosofika disponibilissima a imminkiarla draconianamente assai e
magari assai ma assai filosofikamente?>>.
--<< Voglio una minkia e no una bestia di minkia. Voglio una minkia, una minkia, una
signora minkia. Voglio la “Gioconda”, oppure il Sosia di una minkia o il Sosia della
“Gioconda“. Una cosa è certa. Io, Helena, voglio e desidero il meglio del meglio tra
tutte le minkie dell‟universo. Il meglio in fatto di kazzicatummulio>> gridava
esasperata la sposina bella.
Helena non sapeva se andare da Paryde o dalla prima minkia che capitava dopo
quelle vere e genuine e reali di Zeus, Eros, Apollo, Efesto, Ares, Ermete, Asclepio,
Ganimede e Eolo e quelle artificiali di Pallade e Artemide, a cui aveva però
ricambiato il favore, ricevendo in regalo un Sosia che lei aveva battezzato
“Gioconda”. E la “Gioconda “ era andata piacevolmente anche in kulo a Ganimede.
Di andare da Pryapo non se ne parlava completamente.
Andare da Paryde voleva dire che era semplicemente innamorata, anche perché
Paryde avia si un bell‟uccello ma non era certamente il massimo in fatto di misure.
Ma lei avia il kunno innamorato: e l‟amore è capace di far diventare teoricamente un
elefante magari una piccola mosca
<< Vado a minkia e m‟imminkio sulla prima minkia per cercare di non pensare né
alla minkia di Mynkyalao che mi fa schifo né a quella di Paryde che mi appititta. Ma
se non troverò soddisfazione, gira e rigira, imminkia prima e imminkia appresso, è da
Paryde che porterò il mio sesso. Perché per il mio kunnu chidda è la megghiu minkia
di lu munnu>>.
--<< Voglio una minkia e no una bestia di minkia. Voglio una minkia, una minkia. O
voglio la “Gioconda” oppure il Sosia di una minkia o il Sosia della “Gioconda”.
Voglio una minkia e no una bestiaccia di minkia. Voglio una minkia e no una
bestiona di minkia, una minkia che sappia fare la minkia. Voglio una minkia, una
minkia, una grande minkia. Un minkia imperiale che kazzicatummulizzi
all‟imperiale. Insomma, se la ciolla maritale è un fallimento, la sposina deve andare
direttamente da quella che è la ciolla già sperimentata dell‟amante o iniziare la
ricerca della ciolla ideale, sperimentando minkie su minkie e ancora minkie e minkie
e poi ancora minkie a iosa, alla sanfasò e a tinchitè tout court e full time? Oppure,
per tagliare la testa al toro, correre da Pryapo e farsi somministrare la sua ciolla,
praticamente la regina di tutte le minkie dell‟urbe, dell‟orbe e dell‟Olympazzo.
Insomma insomma, il kazzo amatissimo dell‟amatissimo amante o il kazzone
katholikos di Pryapo o semplicemente kazzi su kazzi scelti a kazzo ma che sappiano
fare professionalmente il lavoro del kazzo? Insomma insomma insomma, ci sta una
minkia capace di kazzicatummuliarmi tout court e full time?>> continuava a gridare
in maniera quasi ossessiva la bella Helena.
E appena fu in corridoio, intanto che pensava alla minkia come espressione
personifikata della minkia, trasiu a minkia, nella prima minkia di camera ca ci
ammattiu. E incontrò, o meglio si scontrò, con quel testa di minkia di Achylle. Bello
e nudo, l‟eroe stava andando a pisciare. E cantava:
<< Ciolla mia, ciolla mia mortale,
fammi godere in modo eccezionale >>.
<< Achylle, immortale a parte la ciolla,
dimmi che devo fare io povera stolla?>>.
<< Livariti subito dai koglioni, che ho da fare.
Ho fretta, mi veni con urgenza di pisciare>>.
<< Achylle, dimmi cosa minkia potrei fare?>>.
<< Accamarora fammi con gioia pisciare>>.
Helena lo seguì fino al pisciatoio. E pigliata in mano la mortal ciolla lo aiutò a
pisciare . Ma la ciolla, da buona ciolla, unciò.
<< Achylle, ma non eri nu minkia di iarruso?
Non ti piaceva solo chi minkia tinia il fuso?>>.
<< Helena bella, io so fare il mascolo con il maschil sedere.
E so fare la femmina con gli augelli che ispirommi piacere.
Ma se la femmina, e capita, mi smove il ciriveddu,
anche pi idda impazza il mio mortale e bell‟aceddu.
Ma ricordati ch‟io il mascolo e la femmina posso fare.
Tu invece la puoi sol prendere la minkia, ma non dare>>.
<< Minkiati?>> pinsò Helena sentendosi il Sosia battere all‟ingresso del sito giusto.
Intanto Achylle tinia proprio un bel pollo in mezzo alle cosce. Dal lungo collo duro e
con tanto di cresta. Se iddu era un eroe, pure il kazzo suo era un eroe.
<< Ci tiramu lu coddu a sta minkia bedda?
La cucinamu dintra la me pignatedda?>>.
<< Helena, devi sapere che le mani non hanno sesso.
Di fimmina o di mascolo iddi vanno bene lo stesso>> sparò Achylle.
<< Comunque, la tua minkia mi serve. E mi serve tutta sana sana.
Che minkia devo fare per averla al più presto nella mia tana?>>.
<< Fattilla fikkari alla sanfasò da cu minkia o kazzu ti pari,
basta ca a mia e a Patroclo ni lassi semplicemente stari>> rispose l‟eroe liberando
la sua ciolla dalle mani elenine e rientrando nella sua stanza. Ma idda ci iu appriessu.
E lo riacchiappò per il mortal manico. Nel letto c‟era Patroclo bello e nudo.
Bellissimo e nudissimo. Bellissimo e di minkia armatissimo.
<< Vade retro, satanazza, non è per te codesta minkiazza>> disse Patroclo.
<< Due minkie e entrambe indisponili, non può essere la cosa.
Picciotti, voi kazzicatummulierete entrambi cu mia, e a iosa>> pinsò Helena.
<< Achylle, chi fazzu? Consolami la parte addolora, altrimenti mi ammazzu>>.
Achylle taliò Patroclo. Parlarono con gli occhi. Con occhi in amore però.
<< Chi dici, gioia beddu miu? Ci lu passu lu kazzu iu?>> paria chiedere Achylle.
<< Fai, tanto cu idda nun su corna e tu lo sai>>.
<< Ma se la minkia ci la passamu insieme nunn‟è chi bello?
Prima in kunno e poi in kulo, sia il mio che il tuo uccello>>.
<< Bello. Troppo bello. Ci sto. In contemporanea però>>.
Forse si dissero ciò. Forse. Sta di fatto che Achylle disse:
<< Sì, sì. Si poli fari... però.. però anche Patroclo deve partecipare>>.
<< Va bene, va bene. Anziché un singolo, avrò un doppio pene.
Ci guadagno assai assaissimo, la cosa assai mi conviene.
Organizziamo subito, seduta stante, la bella facenna,
e passatemi immediatamente la vostra ottima strenna>>.
E ci la misero tutti e due nel pakkio, in contemporanea. E mentre a tre s‟annacavano,
Helena, tanto fici e tantu strafici, ca pigliau il Sosia e di botto ci lu fikkau in kulo ad
Achylle.
<< Minkia, chi fu? Chi facisti? Chi mi dasti? Chi minkia mi fikkasti?
Kazzo e minkia e cicia, comu minkia e straminkia mi inkulasti?>>.
<< Caro minkione, quel che non ho di naturale lo tengo artificiale>>.
Lo volle poi pure Patroclo. Lo chiese, lo pretese.
<< Ma alla domanda “che kazzo devo fare?”, non hai risposto>> addumannò Helena
a cose concluse. Ma restando con due tappi nel portuso.
<< Fikkaci la minkia di Paryde in questo kazzo di posto>>.
<< Lo farò, lo farò appena possibile, ma non adesso però.
Adesso fikkate, che è bello avere due minkie inkunnate.
Riempiono meglio e danno di più. Di tutto e tanto.
E io voglio godermi tutto sano questo momento santo>> .
<< Noi però vogliamo finire in kulo e molto presto>> disse Achylle.
<< In kulo no. In kulo per due kazzi non c‟è posto>> disse preoccupata Helena che
continuava però a godersi nella sua vanedda le ciolle in fase di ammosciamento.
<< Tu ci sei stata nel nostro? Sì. E noi andremo nel tuo, insieme però>>.
<< Nel kulo no. E in due specialmente. No e poi no. E ancora no.
Mi ribello al doppio uccello. Di testa e di kulo mi ribello>>.
<< Ti ribelli? E chi minkia ci ni futti. Ti ribelli una mazza?
Se non sei d‟accordo sarà stupro con doppia minciazza>>.
<< No, la violenza no>> disse Helena preoccupata e sentendo le ciolle amanti in fase
di rinascita.
<< Tu mica mi l‟hai chiesto il permesso di darmi la ciolla finta nel kulo.
Il mio bel Patroclo ti l‟avi chiesta lui, ma io no. Io no di sicuro.
Tu mi hai osato violenza. Io invece ti ho semplicemente avvisata.
Noi siamo gente, di testa e di ciolla, assai assai educata>> disse Achylle .
<< Dimentichiamo la facenna e amici come prima. Dimentichiamo.
Chiedo perdono, chiedo comprensione, ma basta che la finiamo.
E poi sento le vostre belle minkie in fase di rinascimento.
E allora finite nel posto giusto e con tanto sentimento>> disse Helena.
<< Perdono un kazzo, oramai il danno è fatto. E col botto>>.
<< Dimentichiamo e basta. Cos‟è mai una minkia di kulo rotto? >> disse Helena
pensando a un piano di fuga e sentendo anche le due minkie amanti al massimo della
potenza.
<< Dimentichiamo sta minkia. Stupro doppio con minkia finta fu il tuo,
stupro unico ma con due minkie sarà il nostro. La minkia mia e il kazzo suo.
E per quanto riguarda il rinascimento dei nostri aceddi un fatto è sicuro.
Non fu il desiderio del tuo bel pakkio ma il pititto del tuo bel kulo>>.
<< No.. in kulo no..>>.
<< Sì, in kulo sì..>>.
<< Allora facciamo uno alla volta>> propose Helena.
<< Insieme e basta, femmina stolta>> rispose Achylle.
I due mascoli scienu le loro ciolle dal vaso canonico e si prepararono all‟impresa.
Helena circau di scappare. Di fuggire nuda com‟era. Ma loro l‟acchiapparono in un
amen. E in un fiat Achylle, che era forzuto, la impalò di botto sul kazzo di Patroclo
che s‟era disteso su un tappeto persiano di valore. Helena gridò come un ossessa.
Vedeva la faccia felice di Patroclo, ma sentiva le possenti braccia di Achylle che le
facevano fare su e giù sul kazzo del suo amante. Gridò ancora. Ma il grido era
diverso. Meno dolore, più piacere. E allora Achylle, per non sentirla, le tappò la
bocca con la “Gioconda”. Poi, piegatola in avanti, verso Patroclo, pancia contro
pancia, l‟inkulò pure lui. Idda gridò, ma in quel grido c‟era meno dolore e chiù
piacere. Piacere novello ma assai assaissimo bello. E lì, in quel sito, conclusero
insieme. E capirono anche che Helena era felice. La violenza era diventata piacere.
Come la sorpresa per loro.
<< Ma la minkia di Patroclo e quella mia, dimmillu chiaru e tunnu,
almenu lu stutanu lu focu ca ardia na lu to kunnu? >> chiese Achylle, a nome suo
e di Patroclo, perché come a tutti i maschi, anche a loro, che operavano spesso tra
loro, ci piacia sentirsi dire dalla fimmina ca era tutta ma proprio tutta soddisfatta.
<< Mancu di na stizza, lu kunnu mi pruri e m‟attizza.
Iddu assai m‟impazza e voli tutt‟autra minciazza.
Ma a dire il vero vero veramente, un fatto è sicuro.
Adesso mi pruri e m‟attizza puru il kulo>> rispose Helena tra il serio e il
semiserio.
<< “Semel in anno licet insanire”, ma ste follie non bastano alla tua vanedda.
E adesso neanche al tuo kulo. Ci vuole altra minkia, cara Helena bedda.
E sai chi ti ricu? Se voi na minciazza veramenti assai imponente.
Vatti a spurpari sana sana quella di Pryapo immediatamente>>.
<< No>>. E poi, tra il serio e il semiserio, chiese ai due amanti:
<< Ma il Sosia della minkia di Paryde, ditelo chiaru e sicuru,
almenu lu stutau lu focu ca ardia na lu vostru kulu? >>.
<< Mancu di na stizza, lu kulu mi pruri e m‟attizza.
M‟impazza e voli solo dell‟amore mio la minciazza>> risposero Achylle e
Patroclo taliandosi negli occhi come due uomini in amore. E il loro era un amore che
durava da tempo. A parte tutto Achylle amava solo e soltanto Patroclo. Le storie con
altri uomini o con donne erano solo dei diversivi. Delle pause. Degli intervalli
sessuali.
Helena uscì litaniando: << Voglio una minkia e no un simulacro di minkia. Ho
bisogno di una minkia ma non so di quale minkia? Comunque voglio una minkia.
Voglio una minkia che sappia kazzicatummuliari alla grande>>.
Naturalmente Helena si addumò il solito minkiuni di minkiajuana. E siccome ci parse
poca cosa uno, si ni addumò due contemporaneamente. Il doppio minkiuni da sukari
era bello come la doppia ciolla in pakkio o in kulo. Era comunque contenta e felice. Il
teatro con Achylle e Patroclo era stato uno spettacolo bello. Senza copione e aveva
avuto diversi colpi di scena. Un eterogeneo kazzicatummulio. Aveva sfiorato l‟horror
ma alla fine il piacere aveva vinto. Una bella messa in scena veramente. Bellissima
lei, bellissimi loro. Da attori professionisti la performance. Ma la “Luna”, nonostante
l‟impegno dei due focosissimo amanti, continuava ad essere insoddisfatta. Ma
“l‟altra faccia della Luna” era nu tanticchia soddisfatta. Titolo plausibile, A letto con
due ciolle contemporaneamente. Un indubbio esempio di Teatro triangolare.
In testa però le girava il solo pinsero:<< Che pisello di ciolla devo fare per non
pensare al pisello inciollante di Paryde?>>.
Anche Achylle e Patroclo si addumanu nu minkiuni di minkiajuana. Uno ciascuno.
Ma loro la chiamavano, giustamente, solo minkiaachylliana e minkiapatrocliana.
<<Che mentula di ciolla di cicia del kazzo di una minkia devo fare?>>.
E intanto s‟immaginava alle prese con tutte le minkie del globo terraqueo e non solo.
Le pareva di nuotare in un oceano di minkie, di kazzi, di falli e mentule. Di essere
fottuta da milioni e milioni di ciolle contemporaneamente. E di godere in maniera
proporzionale. Pensò di essere la kazziacatummuliatrice universale. La fika ideale per
tutti i kazzi del globo terracqueo. E non solo. Ma pensò anche che prima o poi
sarebbe approdata alla minkia di Paryde. Perchè quella era e restava la sua minkia
ideale. Lo strumento perfetto per la sua gnocca. E non solo per quella. Chidda minkia
era il premio finale del suo “minkia tur”. Non sapeva a che punto era della sua gara.
<< Quante minkie mi devo fare prima del trofeo finale?>>
--Achylle e Patroclo, ciolle in amore che amore danno quando insieme inciollano.
Mirmidoni dell‟amore e del sesso. Mirmidoni della minkia in armi.
E se da soli non valgono una ciolla di formica, insieme valgono un esercito di Mirmidoni.
Aristarchetto.
--Due tizi nu tanticchia strani, originari di Leonthynoy e Karleonthynoy, cercarono di
valutare il numero delle ciolle “modello Achylle o Patroclo” di cui aveva bisogno
Helena per dimenticare la ciolla di Paryde. Per non pensarci manco un secondo.
Fecero calcoli e altro. Ragionarono e altro. Usarono strumenti e apparecchiature.
Consultarono oracoli brilli e sibille pazze, sacerdoti sparapalle e generale perdenti.
<< Due milioni di ciolle “modello Achylle” e due milioni di ciolle “modello
Patroclo” per un totale di quattro milioni di ciolle>> disse il tizio di Karleonthynoy.
<< Quattro milioni di ciolle “modello Achylle” e quattro milioni di ciolle “modello
Patroclo” per un totale di otto milioni di ciolle>> replicò il tizio di Leonthynoy.
Ma da Palermorum fecero sapere che la valutazione poteva arrivare al massimo a
quaranta milioni di ciolle tra “modello Achylle” e “modello Patroclo”. Purtroppo un
altro tizio perse i documenti e tutto finì a ciolla di testa di kazzo specializzato.
Ignoravano i suddetti che per il pakkio libero di Helena qualsiasi ciolla valeva zero.
Anche quelle di Achylle e Patroclo. Mentre la ciolla di Paryde valeva più
dell‟universo tutto sano sano. Ma loro purtroppo sapevano dare solo i numeri. La
ciolla dell‟amante era per Helena la più immortale tra le ciolle mortali e immortali.
Era la ciolla del pititto, dell‟amore, del desiderio, di tutto e del contrario di tutto. Era
la ciolla tout court e full time. Era la ciolla ciolla.Senza parerghi e paralipomeni.
Anche se i parerghi son piacevoli e i paralipomeni no. Che se con le ciolle altrui il
kazzicatummulio era una batracomiomachia, con Paryde era una psicomachia, na
germanomachia, una gigantomachia, una orgasmomachia senza limiti e confini.
--Quattro milioni.. otto milioni.. quaranta milioni..
senza documentazione che rottura di koglioni.
Detto popolare
---
Per tutto il palazzo reale risuonò ancora una volta il solito lacerante e addolorato urlo
della bella Helena dalla fika sempre più insoddisfatta. Un urlo che faceva tremare i
padiglioni auricolari della testa e il prepuzio della minkia. Un urlo che faceva
orripilare il peli del buco del kulo. E no solo quelli. Un urlo che faceva accapponare
la pelle tout court e full time e provocava una contrazione della sacca testicolare. Un
urlo che diventava sempre più addolorato. Sempre più tonitruante.
<<Voglio...
una minkia..
una minkia..
una minkia...
una minkia..
una minkia...
una minkia..
una minkia..>>.
Per poi finire con un micidiale :
<<Voglio una
MINKIA
>>.
E pure il suo “Forno”, mai sazio di cottura d‟aceddi e altri volatili e finanche di
sasizze di ogni colore e sapore e forma e dimensione, urlò. Pure il suo “Forno” urlò.
Urlò un “Forno -tonitruante” urlo assai lapalissiano.
<<Voglio una minkiaaaaaa...una minkia che sappia fare la minkiaaaaaa...>>.
E non era un lapsus calami o un lapsus linguae. In vino veritas. O meglio, in kunnus
veritas. Gutta cavat lapidem, mentula cavat kunnus.
Il sogno di Helena, e del suo “Forno”, era quello di gridare in faccia all‟urbe,
all‟orbe e all‟Olympazzo tutto: <<Habemus mentula>>.
Ma il problema era “Quale mentula?” Una mentula qualsiasi o la mentula di Paryde?
“Melius abundare quam deficere” diceva un detto latino latinamente latinissimo.
E allora meglio un‟overdose di mentuline, mentule, mentulone e mentulazze per
dimenticare la mentulina di Mynkyalao e non pensare alla mentulona di Paryde.
<< E overdose sia.. con tanti parerghi e senza paralipomeni >> disse Helena.
--Chi dorme non piglia pesci. E mancu fike.
Uomo dormiente uomo nullafacente, minkia addormentata minkia ammosciata.
La ucca mangia, la ciolla fikka.
Lu panaru cinu di ficu, la fika cina d‟aceddi,
lu kulu cinu di strunza di carni e la ucca di cannola beddi.
Aprile dolce dormire, ma ad aprile la minkia è felice di venire.
Detti popolari
--A curtigghiari c‟erano i tre intellettuali della ciolla. Non sapevano fare altro che
curtigghiari. E intanto pinsavano già di scrivere rispettivamente, secondo la propria
specializzazione, il Poema Helena s‟inphalla i phalli amanti di Achylle e Patroclo, il
Carmen Helena s‟immentula le mentule innamorate di Achylle e Patroclo, e il
romanzo Cent‟anni delle minkie innamoratissime di Achylle e Patroclo per il
pakkio di Helena.
Sokratynos, il filosofo della minkia, si chiese: << La vita è una, come la minkia, e se
non è un piacere vivere e avere una minkia, a che minkia serve avere una minkia se
poi non puoi imminkiare manco quella troia di Helena che invece si lascia
imminkiare dalle minkie innamorate di Achylle e Patroclo per poi ricambiare
somministrando il Sosia di Paryde
mentre ci sarebbe la mia tonitruante minkia
filosofika disponibilissima a imminkiarla assai assaissimo filosofikamente ?>>.
---
<< Voglio una minkia e no un simulacro di minkia. Ho bisogno di una minkia, ma
non so di quale minkia? Però deve essere un minkia assai assaissimo
kazziacatummuliatrice >> litaniava in maniera sempre più ossessiva la sfortunata
sposina.
Helena non sapeva se andare da Paryde o dalla prima minkia che capitava dopo
quelle vere e genuine e reali di Zeus, Eros, Apollo, Efesto, Ares, Ermete, Asclepio,
Ganimede, Eolo, Achylle e Patroclo e quelle artificiali di Pallade e Artemide, a cui
aveva però ricambiato il favore, ricevendo in regalo un Sosia che lei aveva
gioiosamente battezzato “Gioconda”. E la “Gioconda” era andata anche in kulo a
Ganimede, Achylle e Patroclo.
Di andare da Pryapo non se ne parlava completamente. Andare da Paryde voleva dire
che era semplicemente innamorata, anche perché Paryde avia si un bell‟uccello ma
non era certamente il massimo in fatto di misure. Ma lei avia il kunno innamorato: e
l‟amore è capace di far teoricamente diventare un elefante magari una piccola mosca.
<< Vado a minkia e m‟imminkio sulla prima minkia per cercare di non pensare né
alla minkia di Mynkyalao che mi fa schifo né a quella di Paryde che mi appititta. Ma
se non troverò soddisfazione, gira e rigira, imminkia prima e imminkia appresso, è da
Paryde che porterò il mio sesso. Perché per il mio kunnu chidda è la megghiu minkia
di lu munnu>>.
--<< Voglio una minkia e no un simulacro di minkia. Ho bisogno di una minkia ma
non so di quale minkia? Voglio una minkia e no una bestiaccia di minkia. Voglio una
minkia e no una bestiona di minkia. Voglio una minkia che sappia fare la minkia.
Voglio una minkia, una minkia, una grande minkia. Voglio una minkia espertissima
nell‟arte del kazzicatummuliamiento. Insomma, se la ciolla maritale è un fallimento,
la sposina deve andare direttamente da quella che è la ciolla già sperimentata
dell‟amante o iniziare la ricerca della ciolla ideale, sperimentando minkie su minkie e
ancora minkie e minkie e poi ancora minkie a iosa, alla sanfasò e a tinchitè tout court
e full time? Oppure, per tagliare la testa al toro, correre da Pryapo e farsi
somministrare la sua ciolla, praticamente la regina di tutte le minkie dell‟urbe,
dell‟orbe e dell‟Olympazzo. Insomma insomma, il kazzo amatissimo dell‟amatissimo
amante o il kazzone katholikos di Pryapo o semplicemente kazzi su kazzi scelti a
kazzo ma che sappiano fare professionalmente il lavoro del kazzo? Insomma
insomma insomma, unni minkia è un kazzo che sappia kazzicatummuliarmi a iosa,
alla sanfasò e finanche a tinchitè?>> litaniava ancora e in maniera quasi ossessiva
Helena. Era invasata dall‟idea della ciolla tout court e full time. Invasata a iosa, alla
sanfasò e a tinchitè.
Sciuta comunque dalla camera achillea, la bella Helena trasiu quasi subito nella
prima camera disponibile. Tanto per continuare il suo folle “minkia tur”. Era
naturalmente tutta presa dal firticchio sia nella testa che nello stikkio.
Attruvau lu niputi Mynkyoreste che dormiva. Nudo e a pancia in giù. Dormiva ma si
muoveva. Paria ca si stava futtennu il letto. Da come si muoveva, quello stava
facendo. E parlava anche. Diceva “Zia.. zia.. zia..”. Helena cercò di svegliarlo
buttandocisi di sopra. Ma niente, quello dormiva e fikkava col materasso.
<< Però tiene un bel kulo, il mio amato nipote >> disse piano piano.
E con quel kulo, che faceva su e giù, perché il caruso fotteva col letto, lei giocò.
Prima con le mani, poi con un ditino. E infine col Sosia di Paryde. Ma Mynkyoreste
non si svegliò neanche con quello. Continuò a fare su e giù. E quannu ia giù, il Sosia
scia. Quannu invece ia su, il Sosia trasia. Ci piacia al picciotto quella “Gioconda“ che
trasia e scia dal suo kulo.
<< Acchiappa zia>> dicia andando giù. << Trasi Pilade>> diceva andando su.
La zia sapeva che il caruso era innamorato di lei. E sapeva pure che si scambiava
l‟augello con Pilade. Lo svegliò con un secchio d‟acqua.
<< Vinni quantu nu ciumi in piena, tracimai,
esondai, di simenta lu munnu allagai>> gridò come un ossesso alzandosi e
mettendosi a sautare sul letto. La minkia tisa e lo sguardo felice. Come il kulo che
ancora ospitava il Sosia. Tra un salto e l‟altro il Sosia sciu di getto dal suo sito e finiu
contro il muro. Allora si svegliò realmente e vide la zia.
<< Chi voi, zietta bona e bella assai?>> disse antuppandosi la ciolla.
<< Niente. Sono solo in mezzo a li vai.
E tu della zia non ti vergognare mai>>.
<< Futtitinni zia; e futti a minkia cina
cu cù minkia ti veni prima>> rispose speranzoso Mynkyoreste che era ancora
vergine in fatto kunno. Le mani intanto coprivano sempre il fallo eretto.
<< Giustu e santo consiglio mi hai dato a mia.
Ma adesso dammi la tua minkia e così sia?
Tu sei il mio caro e amato niputeddu beddu.
Allora kazzicatummulimmi unni voi lu to aceddu>>.
<< Lo vuoi vedere per il tuo visivo piacere?>>.
Il picciotto non aveva capito. Era un coglioncino in certe cose. Tutte le libertà che si
pigliava con Pilade o con altri maschi occasionali non se li pigliava con le femmine.
Nemmeno con la zia che tanto amava e desiderava.
<< Più che vederlo, lo vorrei usare, vorrei poterci scopare.
Ma intanto leva quelle minkia di mani dall‟augello,
e fammi vedere quant‟è, com‟è e quant‟è bello>>.
Mynkyoreste restò con le mani sul pakko. Poi disse:
<< Che bello, ti darò il mio uccello>>. Ma non scoprì il pakko.
La zia si avvicinò e liberò l‟augello. Mynkyoreste non oppose resistenza. Poi la zia
le somministrò un bacio proprio sulla koppola. Mynkyoreste incominciò a tremare.
E trema e ritrema e trema ancora, Mynkyoreste svinni a pancia in giù. O forse si
riaddormentò di colpo. Restando comunque con l‟aggeggio pronto per aggeggiare.
Infatti la zia, esasperata, lo firriò e lo cavalcò. Senza capirlo, Mynkyoreste si fece
l‟amata zia e per la prima volta trasiu in un kunno. Fece, ma dormendo. Si svegliò a
cose fatte e pinsau ca la zia ci l‟avissa minatu. O forse sukato. La simenta c‟era e
quindi qualche cosa era successo. Escludeva però la possibilità di aver fikkato.
<< Zia, ma la minkia mia, dimmillu chiaru e tunnu,
pirchì nun ti appititta dintra lu kunnu?>> chiese Mynkyoreste, che pensava, come
tutti i maskuli, che pure la sua minkia inesperta putia soddisfare il pakkio di una
femmina esperta. La zia non rispose. Proprio allora arrivò Pilade.
<< Bihhhh.. La zia e lu niputi, ma chi è, tempo di futtuti? >> disse ironico Pilade.
<< Pilade, ma chi dici? Chi si babbu tunnu?>>.
<< No, ma sacciu ca la zia è caura di kunnu.
Ma mi fido della ciolla tua intelligente.
Idda è mia, mia tutta e mia solamente >> disse Pilade.
<< E tu si miu e basta, pirchì n‟autri semu di n‟autra pasta.
Ma la zia mia a tia ti piaci. Idda ti fa sciri assai pazzu.
E‟ roba bona pi qualsiasi ciolla e qualunque kazzu>> aggiunse Mynkyoreste.
<< A mia mi piacissi futtilla assai, a minkia cina scupalla >>.
<< Pure a mia mi piacissi assai assaissimo trapanalla >>.
<< Però preferisco passariti a tia l‟aceddu in kulo>>.
<< Anch‟io preferisco la stessa cosa di sicuro>>.
<< Io dico basta, impastate pure l‟autra pasta.
Non sono un portuso buono per qualsiasi uso.
Ho la fika, mi piace l‟amore e anche il ficcamento.
Ma ho pure un cuore, e quello va a sentimento>>.
La zia sciu facendo l‟offesa. Ma sciu pi finta. Fici appunto la finta offesa. Si
ammucciò per vedere l‟evoluzione del caso. E quannu li picciotti si misero a letto, li
taliò fottere e controfottere. Si inkulavano e strainkulavano a iosa, alla sanfasò a
tinchitè. E sesssantanoveavano alla grande. Allora, nuda com‟era, ma di collana
armata, si ci catafuttiu nel mezzo. Si fici a Pilade ma non riuscì a farsi il nipote. La
ciolla di Mynkyoreste, che nel sonno si faceva la zia, e che dormendo la zia s‟era
fatta, nella realtà calò li corna davanti alla porta del paradiso. Il nipote si fece la zia
col Sosia. Ma il Sosia si fece sia il nipote che il suo amante. Kazzicatummuliarono
per come fu possibile kazzicatummuliare. L‟impossibile
era naturalmente
impossibile.
<< Rispondo alla tua domanda, Mynkyoreste beddu.
Mi hai chiesto “Zia, cara al mio caro aceddu,
zia, ma la minkia mia, dimmillu chiaru e tunnu,
pirchì nun ti appititta dintra lu to beddu kunnu?”
Che ti devo dire? Mi appititta. Minkia, se mi appititta.
Ma poi, al momento, la tua minkia è cina di aria fritta.
Paria ca questa volta stava iennu finalmente in kunnu,
tuppuliò ma nun trasiu, nun ci la fici a ghiri in funnu.
Iu la vulia, anche se a mia , lu kunnu mi pruri e m‟attizza,
e m‟impazza sì, ma pirchì voli tutt‟autra minciazza.
Però, tutto sommato, quello che è successo è stato bello,
anche se per qualcuno non è chiaro quel che fatt‟ha il suo uccello>> rispose
<< Ma la minkia mia, dimmillu chiaru e tunnu,
almenu lu stutau lu focu ca ardia na lu to kunnu? >> chiese Pilade, perché come
a tutti i maschi, anche a lui, che come maschio non operava, ci piacia sentirsi dire
dalla fimmina ca era tutta ma proprio tutta soddisfatta.
<< Mancu di na stizza, lu kunnu mi pruri e m‟attizza.
Iddu assai m‟impazza e voli tutt‟autra minciazza>> rispose Helena.
<< Ma la minkia mia però, dimmillu chiaru e tunnu,
teoricamente lu putia stutari lu focu ca ardia na lu to kunnu? >> chiese
Mynkyoreste, che come a tutti i maschi, anche a lui, che come maschio non operava,
ci piacia sentirsi dire dalla fimmina ca era tutta ma proprio tutta soddisfatta.
<< Mancu di na stizza putia, lu kunnu a mia mi pruri e m‟attizza.
Iddu assai m‟impazza e voli tutt‟autra minciazza>> rispose Helena preparandosi
ad abbandonare la stanza.
<< “Acta est fabula”, cara e bella Helena, esempio magno di kazzotrofia.
“Ab mentula condita”, lu kulu masculino è affetto da mentulatrofia.
E sai chi ti ricu? Se voi na minciazza veramenti assai imponente.
Vatti a spurpari sana sana quella di Pryapo immediatamente>> disse Pilade.
<< “Absit iniuria verbis”. Io speravo di ingignare lu kunnu, chistu è sicuro.
“Summun ius, summa inuria”, l‟ho presa solo e soltanto in kulo.
E sai chi ti ricu anch‟io? Se voi na minciazza assai imponente.
Vatti a spurpari sana sana quella di Pryapo immediatamente>> aggiunse Paride.
<< Cari miei, vuolsi così la dove si puote, e di più non domandate.
Ci sono cose certe e cose che nel mistero devono essere lasciate>> rispose Helena.
I due fecero una faccia a minkia taliandosi reciprocamente la minkia.
La zia andò via felice gridando: <<Voglio una minkia, ancora una minkia, una
minkia ancora e poi una minkia ancora e ancora una minkia. Insomma, voglio una
minkia che mi kazzicatummulia alla grande>>.
Era comunque contenta la picciotta. Il teatro con Minkioreste e Pilade era stato uno
spettacolo bello. Una bella messa in scena. Bellissima lei, belli loro. E poi, possedere
un maschio che dorme, è bellissimo. Da attori professionisti la performance. Ma
nonostante tutto, nonostante l‟amore per il nipote, la “Luna” era e restava
scontentissima. Titolo plausibile, A letto con la ciolla del nipote e del suo amichetto.
Un esempio di Teatro parentale. Helena comunque aveva in testa il solito
pensiero:<<Che minkia devo fare?>>.
Mynkyoreste maledisse la sua verginità e la zia buttana. Buttana per gli altri ma non
per lui. Ma la colpa non era della zia, la colpa era sua, che non era riuscito a trasiri
in quel kakatoio universale.
Pilade invece aveva concluso, e felicemente, una bella misa in kunno. Ognuno si
sukò il suo bel minkiuni di minkiajuana. Solo che Mynkyoreste la chiamava
fikahelenina, Pilade invece la chiamava minkiorestiana.
<<Che mentula di ciolla di cicia del kazzo di una minkia devo fare?>> pinsava
intanto Helena. E pensando ciò riprese a firriari. E anche a pensare al
kazzicatummulio generale o internazionale o addirittura universale. Ma con un
pensiero particolare a Paryde e alla sua minkia. Al trofeo che l‟aspettava alla fine del
suo ”minkia tur”.
--O Minkioreste, perché la tua minkia sveglia vale meno di una minkia a perdere,
mentre la tua minkia svenuta vale tanto quanto una minkia vera?
E perchè quella di Pilade con chiunque fa la ciolla?
O Minkioreste, sei o non sei padrone di una ciolla che sa fare la ciolla?
Lucrezietto da Munypuzos
--O Minkioreste, sei il puparo della tua ciolla o il pupo della tua minkia?
O Minkioreste, sei il padrone o il servo della tua cicia?
O Minkioreste, nun sai che la zia svezza sempre il nipote?
O Minkioreste, non sai che farsi la zia è il sogno di ogni picciotto che zia ha?
O Minkioreste, non sai che chi zia non ha, cerca di farsi la zia degli altri?
O Minkioreste, perché non ti svegli sia di testa che di minkia?
Cicio Micio della Cilicia
---
Due tizi originari di Leonthynoy e Karleonthynoy cercarono di valutare il numero
delle ciolle “modello Mynkyoreste o Pilade” di cui aveva bisogno Helena per
dimenticare la ciolla di Paryde.
<< Due milioni di ciolle “modello Mynkyoreste” e due milioni di ciolle “modello
Pilade” per un totale di quattro milioni di ciolle>> disse il tizio di Karleonthynoy.
<< Quattro milioni di ciolle “modello Mynkyoreste” e quattro milioni di ciolle
“modello Pilade” per un totale di otto milioni di ciolle>> replicò il tizio di
Leonthynoy.
Ma da Palermorum fecero sapere che la valutazione poteva arrivare al massimo a
quaranta milioni di ciolle tra “modello Mynkyoreste” e “modello Pilade”. Purtroppo
un altro tizio perse i documenti e tutto finì a ciolla di koglione skoglionato.
Ignoravano i suddetti che per il pakkio libero, autonomo e indipendente di Helena
qualsiasi ciolla valeva zero. Anche quelle di Mynkyoreste e Pilade non valevano un
kazzo. Mentre la ciolla di Paryde valeva più dell‟universo tutto sano sano. Ma loro
purtroppo sapevano dare solo i numeri. La ciolla dell‟amante era per Helena la ciolla
per eccellenza tra le ciolle eccellenti sia umane che divine. Era il non plus ultra delle
ciolle del mondo animale. Era l‟anima della ciolla. O la ciolla dell‟anima. O l‟anima
stessa. L‟anima tout court e full time.
--Quattro milioni.. otto milioni.. quaranta milioni..
senza documentazione che rottura di koglioni.
Detto popolare
---
Per tutto il palazzo reale risuonò di nuovo il lacerante e addolorato urlo di Helena.
Tonitruante come sempre.
<<Voglio..
una minkia..
una minkia..
una minkia...
una minkia..
una minkia...
una minkia..
una minkia..>>.
Per poi finire con un micidiale :
<<Voglio una
MINKIA
>>.
Pure il suo “Portacannila” urlò un “Portacannila -tonitruante” urlo assai lapalissiano.
<<Voglio una minkiaaaaaa...una minkia che sappia fare la minkiaaaaaa...>>.
E non era un lapsus calami o un lapsus linguae. In vino veritas. O meglio, in kunnus
veritas. Gutta cavat lapidem, mentula cavat kunnus.
Il sogno di Helena, e del suo “Portacannila”, era quello di gridare in faccia all‟urbe,
all‟orbe e all‟Olympazzo tutto:<<Habemus mentula>>.
Ma il problema era “Quale mentula?” Una mentula qualsiasi o la mentula di Paryde?
“Melius abundare quam deficere” diceva un detto latino latinamente latinissimo.
E allora meglio un‟overdose di mentuline, mentule, mentulone e mentulazze per
dimenticare la mentulina di Mynkyalao e non pensare alla mentulona di Paryde.
<< E overdose sia.. con tanti parerghi e senza paralipomeni >> disse Helena.
--Con niente non si fa niente, con la minkia si fanno tante cose.
Ucca ca nun parra nunnu sgarra, minkia ca nun fikka vali picca.
Chi la dura la vince, chi la tiene dura la fikka.
La ciolla ca nun inciolla o è babba o è stolla.
O ciolla di sceccu o ciolla di cavaddu, se lu stikkiu è cauru va beni qualsiasi piricuddu.
Detti popolari
---
A curtigghiari c‟erano i soliti tre intellettuali della ciolla che pinsavano già di scrivere
rispettivamente, secondo la propria specializzazione, il Poema Helena s‟inphalla
prima il phallo sveglio di Mynkyoreste dormiente e poi quello di Pilade sveglio e
ricambia con il Sosia di Paryde , il Carmen Helena s‟immentula prima la mentula
sveglia di Mynkyoreste addormentato e poi quella di Pilade sveglio e ricambia
somministrando il Sosia di Paryde, e il romanzo Cent‟anni della
minkia
arrispigghiata dell‟addumisciutu Mynkyoreste per il pakkio di Helena che chiede di
avere per cent‟anni anche la minkia sveglia di Pilade ricambiando però per
cent‟anni con la minkia finta di Paryde.
Sokratynos, il filosofo della minkia, si chiese: << La vita è una, come la minkia, e se
non è un piacere vivere e avere una minkia, a che minkia serve avere una minkia se
poi non puoi imminkiare manco quella troia di Helena che invece si lascia
imminkiare dalla minkia tisa del dormiente Mynkyoreste prima e dalla minkia tisa
dello sveglio Pilade poi contraccambiando però con una passata di minkia finta e
tutto questo mentre, minkia d‟una minkia che sa fare la minkia, ci sarebbe la mia
professionale, tonitruante e filosofika minkia disponibilissima a imminkiarla assai
assaissimo filosofikamente?>>.
---
<< Voglio una minkia e no un simulacro di minkia. Ho bisogno di una minkia ma
non so di quale minkia? Comunque una cosa è certa: a mia mi serve una minkia che
sappia kazzicatummuliari>> litaniava in maniera semplicemente ossessiva Helena.
Helena non sapeva se andare da Paryde o dalla prima minkia che capitava dopo
quelle vere e genuine e reali di Zeus Eros, Apollo, Efesto, Ares, Ermete, Asclepio,
Ganimede, Eolo, Achylle, Patroclo, Mynkyoreste e Pilade e quelle artificiali di
Pallade e Artemide, a cui aveva però ricambiato il favore, ricevendo in regalo un
Sosia che lei aveva battezzato “Gioconda”. E la “Gioconda” era andata anche in kulo
a Ganimede, Achylle , Patroclo, Mynkyoreste e Pilade.
Di andare da Pryapo non se ne parlava completamente.
Andare da Paryde voleva dire che era semplicemente innamorata, anche perché
Paryde avia si un bell‟uccello ma non era certamente il massimo in fatto di misure.
Ma lei avia il kunno innamorato: e l‟amore è capace di far teoricamente diventare un
elefante magari una piccola mosca .
<< Vado a minkia e m‟imminkio sulla prima minkia per cercare di non pensare né
alla minkia di Mynkyalao che mi fa schifo né a quella di Paryde che mi appititta. Ma
se non troverò soddisfazione, gira e rigira, imminkia prima e imminkia appresso, è
da Paryde che porterò il mio sesso. Perché per il mio kunnu chidda è la megghiu
minkia di lu munnu>>.
--<< Voglio una minkia e no un simulacro di minkia. Ho bisogno di una minkia ma
non so di quale minkia? Voglio una minkia e no una bestiaccia di minkia. Voglio una
minkia e no una bestiona di minkia. Una minkia che sappia fare la minkia. Voglio
una minkia, una minkia, una grande minkia. Una minkia che sappia assai assaissimo
kazzicatummuliari. Insomma, se la ciolla maritale è un fallimento, la sposina deve
andare direttamente da quella che è la ciolla già sperimentata dell‟amante o iniziare
la ricerca della ciolla ideale, sperimentando minkie su minkie e ancora minkie e
minkie e poi ancora minkie a iosa, alla sanfasò e a tinchitè tout court e full time?
Oppure, per tagliare la testa al toro, correre da Pryapo e farsi somministrare la sua
ciolla, praticamente la regina di tutte le minkie dell‟urbe, dell‟orbe e dell‟Olympazzo.
Insomma insomma, il kazzo amatissimo dell‟amatissimo amante o il kazzone
katholikos di Pryapo o semplicemente kazzi su kazzi scelti a kazzo ma che sappiano
fare professionalmente il lavoro del kazzo? Insomma insomma insomma, unni minkia
è la minkia per il mio kazzicatummuliamiento? >> litaniava ancora e in maniera
quasi ossessiva Helena.
Ed Helena, sempre gridando che voleva una minkia, curriu di nuovo per i corridoi
del palazzo reale e poi trasiu ancora una volta in una camera scelta a caso. Tanto per
andare all‟acchiappo. C‟erano i suoi cari fratelli Castore e Polluce alle prese, come al
solito, con una sola femmina, una certa Properzia Biaves, detta Automedusa.
<< Fratelli miei belli, chiedo degli aiutini ai vostri uccelli>>.
<< Sei nei soliti casini? Kazzo. E vorresti i nostri uccellini?>>.
<< Sono indecisa, per modo di dire, tra due.. due kazzi>>.
<< Non i nostri, per fortuna. Comunque sono discorsi da pazzi>>.
<< Fai come è loro normale uso e abuso.
Ficchitilli entrambi nello stesso portuso>> disse la donna che era con loro.
<< E chista facci di minkia, cu minkia eni?>> chiese la bella Helena.
<< E‟ la bella ed espertissima Automedusa,
la femmina chiù assai di tutte iarrusa.
Oltre che in bocca e nella mona, un fatto è sicuro,
riesce a riceverci di minkia tutti e due in kulo>>.
<< Ahhh.. ma adesso lassa stare le due carnose ossa,
che ci son qua io con le mie caldissime fossa.
Anch‟io, cara mia, posso prenderne due in kulo.
E se necessario anche tre, questo è sicuro.
Fratelli, portatemi conforto, un conforto beddu.
Se necessario kazzicatummuliatimi pure in kulo l‟aceddu>>.
E si fici i fratelli in tutti i modi possibili e impossibili. Si li fici soprattutto nel kunnu ,
naturalmente contemporaneamente. Nuda a parte la collana. E quel pendaglio, quel
ciondolo, giocò da solo tra i loro corpi. Paria una minkia autonoma. Sciddicava tra li
minni di lei, tra le panze di tutti, tra le natiche di tutti e paria veramente la terza
minkia oltre le due gemelle.
<< Il Sosia di chi?>> chiesero Castore e Polluce, che di cose erotiche erano esperti.
<< Di Paryde il Sosia è, e si chiama ”Gioconda”>>.
<< Hai detto che di minkie tre ne puoi pigliare.
Mettici anche il sosia, tanto per provare,
in contemporanea con i nostri kazzi però.
E questo sia nel pakkio che nel tuo bel popò>>.
Fecero. E ci fu posto per tre. Posto a iosa. Posto alla sanfasò. Posto a tinchitè.
<< Faccilla provare la minkia “Gioconda”?>> chiesero i gemelli poi.
<< No>>.
<< Avà.. noi ti l‟avemu data la nostra gioiosa minkia gemella.
Daccilla pure tu na bella passata di questa “Gioconda” bella>>.
<< La “Gioconda” è mia, solo mia>>.
<< Anche la nostra minkia era nostra, solo nostra. Eppure..>>.
<< Eppure.. eppure ve la passerò. La minkia finta di Paryde, ma ad un patto>>.
Allora Helena li convinse, in cambio della “Gioconda”, a fare quello che non
avevano mai fatto. Mettersela, a turno, in kulo, davanti a lei. Ma prima se li
possedette lei , con il suo Sosia. Con la “ Gioconda”. La minkia finta si fece prima a
Castore intanto che Polluce imminkiava Helena, poi si fece a Polluce intanto che
Castore imminkiava la neosposa.
<< Ma la minkia di Castore e la mia, dimmillu chiaru e tunnu,
almenu lu stutanu lu focu ca ardia na lu to kunnu? >> chiese Polluce , a nome
suo e di Castore, perché anche a loro, come a tutti i maschi, ci piacia sentirsi dire
dalla fimmina ca era tutta ma proprio tutta soddisfatta.
<< Mancu di na stizza, lu kunnu mi pruri e m‟attizza.
Iddu assai m‟impazza e voli tutt‟autra minciazza>> rispose Helena ridendo e
gridando che voleva ancora una minkia.
<< Vaffankulo tu e la minkia finta del purceddopolita>>.
<< Ricambio il vostro sentitissimo vaffankulo, e mi chiedo:
“ Ma il Sosia della minkia di Paryde, ditelo chiaru e sicuru,
almenu lu stutau lu focu ca ardia na lu vostru kulu? “>>.
<< Mancu di na stizza, lu kulu mi pruri, m‟attizza e m‟impazza,
e voli di lu me fratellino la minciazza>> risposero in contemporanea Castore e
Polluce.
<< Vaffankulo, vaffanbocca e anche altrove..>> disse idda.
<< Altrove non possiamo. “Cui bono” però ti chiediamo.
A noi giova il pakkio in comune, perché noi ci amiamo.
E sai chi ti ricu? Se voi na minciazza veramenti assai imponente.
Vatti a spurpari sana sana quella di Pryapo immediatamente>> disse Castore
anche a nome di Polluce.
Helena andò via per continuare la sua ricerca kronologica sincronica e diacronica
della minkia ideale. Per arrivare al kazzicatummulio perfetto. Andò via sukando il
solito minkiuni di minkiajuana e gridando sempre “ Voglio una minkia”.
Era comunque contenta la neosposina. Il teatro con Castore e Polluce era stato uno
spettacolo bello. Una bella messa in scena. Bellissima lei, belli loro. Da attori
professionisti la performance. E bella Automedusa, la spettatrice plaudente, Ma
insoddisfatta ancora era la “Luna”. Neanche le ciolle germane di Castore e Polluce
l‟avevano soddisfatta. Titolo plausibile, A letto con le ciolle di due fratelli. In poche
parole un esempio di Teatro familiare.
E in testa la solita idea: <<Che marrugghio devo fare?>>.
Anche Castore e Polluce si addumanu nu minkiuni di minkiajuana. Solo che la
chiamavano minkiacastoriana e minkiapolluciana.
<<Che mentula di ciolla di cicia del kazzo di una minkia devo fare?>> pinsava
intanto Helena.
E pinsando pinsando firriava per il palazzo. E pinsando pinsando pinsava al
kazzicatummulio sincronico perfetto. E pinsando pinsando pinsava che il meglio del
kazzicatummulio lo avrebbe fatto con la ciolla di Paryde. Ma quella minkia
l‟aspettava al traguardo finale del suo “minkia tur”.
<< Quante minkie mi separano dalla minkia di Paryde? E quali minkie mi separano
dalla minkia di Paryde?> si chiese Helena. Al momento non c‟era risposta.
--O minkia fraterna di Polluce. O minkia fraterna di Castore.
Kazzo, quanto kazzo siete brave in amore.
Catulletto
--Due tizi originari di Leonthynoy e Karleonthynoy cercarono di valutare il numero
delle ciolle “modello Castore o Polluce” di cui aveva bisogno Helena per dimenticare
la ciolla di Paryde.
<< Due milioni di ciolle “modello Castore” e due milioni di ciolle “modello Polluce”,
per un totale di quattro milioni di ciolle>> disse il tizio di Karleonthynoy.
<< Quattro milioni di ciolle “modello Castore” e quattro milioni di ciolle “modello
Polluce” , per un totale di otto milioni di ciolle>> replicò il tizio di Leonthynoy.
Ma da Palermorum fecero sapere che la valutazione poteva arrivare al massimo a
quaranta milioni di ciolle tra “modello Castore” e “modello Polluce”. Purtroppo un
altro tizio perse i documenti e tutto finì a ciolla di sukaciolla babbu. Ignoravano i
suddetti che per il pakkio libero di Helena qualsiasi ciolla valeva zero. Anche quelle
germane di Castore e Polluce. Mentre la ciolla di Paryde valeva più dell‟universo
tutto sano sano. Ma loro purtroppo sapevano dare solo i numeri. La ciolla
dell‟amante era per Helena la più parentale tra tutte le ciolle parentali.
--Quattro milioni.. otto milioni.. quaranta milioni..
senza documentazione che rottura di koglioni.
Detto popolare
--Per tutto il palazzo reale, purtroppo, risuonò per l‟ennesima volta il sempre più
lacerante e sempre più addolorato urlo di Helena. O forse della sua fika insoddisfatta.
Un urlo genere horror, un urlo disperatamente disperato. Un urlo di ricerca
inconclusa. Praticamente il solito tonitruante urlo.
<<Voglio..
una minkia..
una minkia..
una minkia...
una minkia..
una minkia...
una minkia..
una minkia..>>.
Per poi finire con un micidiale :
<<Voglio una
MINKIA
>>.
Pure il suo “Portasasizza” urlò un “Portasasizza -tonitruante” urlo assai lapalissiano.
<<Voglio una minkiaaaaaa...una minkia che sappia fare la minkiaaaaaa...>>.
E non era un lapsus calami o un lapsus linguae. In vino veritas. O meglio, in kunnus
veritas. Gutta cavat lapidem, mentula cavat kunnus.
Il sogno di Helena, e del suo “Portasasizza”, era quello di gridare in faccia all‟urbe,
all‟orbe e all‟Olympazzo tutto: <<Habemus mentula>>.
Ma il problema era “Quale mentula?” Una mentula qualsiasi o la mentula di Paryde?
“Melius abundare quam deficere” diceva un detto latino latinamente latinissimo.
E allora meglio un‟overdose di mentuline, mentule, mentulone e mentulazze per
dimenticare la mentulina di Mynkyalao e non pensare alla mentulona di Paryde.
<< E overdose sia.. con tanti parerghi e senza paralipomeni >> disse Helena.
--Il diavolo fa le pentole ma non i coperchi, la minkia fa lu stuppagghiu.
Ogni campana ha lu so battagghiu, ma lu stikkiu spissu teni chiù di nu marrugghiu.
Vivi e lascia vivere, fikka e lascia fikkare.
Giugno, la minkia in pugno.
Detti popolari
---
A curtigghiari c‟erano sempre i tre intellettuali della ciolla che pinsavano già di
scrivere rispettivamente, secondo la propria specializzazione, il Poema Helena
s‟inphalla sincronicamente i phalli gemelli di Castore e Polluce ricambiando con il
Sosia di Paryde somministrato diacronicamente , il Carmen Helena s‟immentula le
simultaneamente le mentule gemelle di Castore e Polluce e ricambia con la mentula
finta di Paryde, e il romanzo Cent‟anni di imminkiamento sincronico delle gemelle
minkie di Castore e Polluce per il pakkio di Helena che ricambia somministrando in
sequenza la minkia finta di Paryde.
Sokratynos, il filosofo della minkia, si chiese: << La vita è una, come la minkia, e se
non è un piacere vivere e avere una minkia, a che minkia serve avere una minkia se
poi non puoi imminkiare manco quella troia di Helena che invece si lascia
imminkiare sincronicamente dalle minkie gemelle dei suoi fratelli Castore e Polluce
contraccambiando però con una passata di minkia finta e tutto questo mentre, minkia
d‟una minkia che vorrebbe imminkiare a minkia cina, ci sarebbe la mia tonitruante e
filosofika minkia disponibilissima a imminkiarla filosofikamente?>>.
---
<< Voglio una minkia e no un simulacro di minkia. Ho bisogno di una minkia, ma
non so di quale minkia? Però deve essere una signora minkia, una minkia che sappia
kazzicatummuliari>> litaniava in maniera quasi ossessiva Helena.
Helena non sapeva se andare da Paryde o dalla prima minkia che capitava dopo
quelle vere e genuine e reali di Zeus, Eros, Apollo, Efesto, Ares, Ermete, Asclepio,
Ganimede, Eolo, Achylle, Patroclo, Mynkyoreste, Pilade, Castore e Polluce e quelle
artificiali di Pallade e Artemide, a cui aveva però ricambiato il favore, ricevendo in
regalo un Sosia che lei aveva battezzato “Gioconda”. E la “Gioconda” era andata
anche in kulo a Ganimede, Achylle, Patroclo, Mynkyoreste, Pilade, Castore e
Polluce. Di andare da Pryapo non se ne parlava completamente.
Andare da Paryde voleva dire che era semplicemente innamorata, anche perché
Paryde avia si un bell‟uccello ma non era certamente il massimo in fatto di misure.
Ma lei avia il kunno innamorato: e l‟amore è capace di far teoricamente diventare un
elefante magari una piccola mosca.
<< Vado a minkia e m‟imminkio sulla prima minkia per cercare di non pensare né
alla minkia di Mynkyalao che mi fa schifo né a quella di Paryde che mi appititta. Ma
se non troverò soddisfazione, gira e rigira, imminkia prima e imminkia appresso, è da
Paryde che porterò il mio sesso. Perché per il mio kunnu chidda è la megghiu minkia
di lu munnu>>.
---
<< Voglio una minkia. Una minkia in grado di kazzicatummuliare alla grande>>
continuava a gridare Helena. E dopo questa mentulica impresa con i fratelli gemelli,
Helena riprese la ricerca della minkia ideale o della ideale minkia, invocando ancora
una minkia e piangendo come una prefika a cui è morta la minkia amata o l‟amata
minkia. <<Ihhh.. voglio una minkia...ihhh.. Ohhh.. voglio una minkia.. ohhh.. Ehhh..
voglio una minkia.. ehhh.. Uhhh.. voglio una minkia.. uhhh.. Ahhh.. voglio una
minkia.. ahhh.. Una minkia kazzicatummuliante>>.
<< Kazzo, chi camurria. Come rumpi li koglioni e così sia. Se addipinnissi di mia, io
ci la facissi passari a colpi di minkia a iosa sta fissazione del kazzicatummulio. Ci
facissi ittari uci cu la ucca, cu la fika e pure col kulo. “Basta.. basta.. basta. basta..
non voglio essere chiù kazzicatummulizziata”. Minkia, come la addubbassi a minkia
a iosa>> dicevano le guardie che assistevano a questo tur della ciolla.
<< Idda è buttana ranni. Io cu la minkia mia la sfunnassi tanto tanto ca ci la facissi
scurdari sta minkia di frase. “Voglio una minkia” addiventerebbe “basta cu la
minkia”. Ma gli dei e gli eroi sono minkie perse, minkie cine d‟aria, minkie che
fanno le minkie tanto per. Ciullano ma ciullano al vento. Io invece, minkia io, io
invece son tutto una minkia che sa ciullare a tutta ciolla con tanto di kazzo inkazzato
che inkazza, inkunna e inkula a tutta ciolla, minkia e kazzo e mentula e fallo... E che
kazzo>> disse Lucio, ca era un soldato della guardia reale che ogni tanto riusciva
fottersi qualche femmina della corte reale con tanta soddisfazione della stessa.
<< Voglio una minkia e no un simulacro di minkia. Ho bisogno di una minkia ma
non so di quale minkia? Voglio una minkia e no una bestiaccia di minkia. Voglio una
minkia e no una bestiona di minkia. Una minkia che sappia fare la minkia. Voglio
una minkia, una minkia, una grande minkia. Una minkia che sappia
kazzicatummuliari. Insomma, se la ciolla maritale è un fallimento, la sposina deve
andare direttamente da quella che è la ciolla già sperimentata dell‟amante o iniziare
la ricerca della ciolla ideale, sperimentando minkie su minkie e ancora minkie e
minkie e poi ancora minkie a iosa, alla sanfasò e a tinchitè tout court e full time?
Oppure, per tagliare la testa al toro, correre da Pryapo e farsi somministrare la sua
ciolla, praticamente la regina di tutte le minkie dell‟urbe, dell‟orbe e dell‟Olympazzo.
Insomma insomma, il kazzo amatissimo dell‟amatissimo amante o il kazzone
katholikos di Pryapo o semplicemente kazzi su kazzi scelti a kazzo ma che sappiano
fare professionalmente il lavoro del kazzo? Insomma insomma insomma, quando
arriverò ad avere il giusto kazzicatummuliamiento? >> litaniava ancora e in maniera
quasi ossessiva Helena.
E finiu, nel suo infinito “minkia tur”, nella stanza dell‟orbo Edipo.
Il vecchio era sveglio ma accanto a lui dormiva una ragazza nuda e bellissima.
<< Attia, chi minkia di kazzu fazzu?>> chiese Helena.
<< Iu nun viru né na minkia né nu kazzu>> rispose Edipo che però sintia ciauru di
pakkiu.
<< Scusa Edipo, sugnu di oggi la sposina>>.
<< Ma a chist‟ura non dovresti fottere a minkia cina.
Come vedi, a pensarti bella e bona, soprattutto di sutta,
la reale ed eroica minkia mia è già tisissima tutta>>.
<< Dovrei e vorrei assai assaissimo scopare.
Ma la scopa purtroppo funzionò assai male>>.
<< Poverina assai e assai assai mischinedda.
Già la prima notti di nozze vacanti di vanedda>>.
<< Dimmi, Edipo, chi minkia di kazzu fazzu?>>.
<< Se vuoi, pigliati lu me vecchiu marrugghiazzu >> rispose re Edipo che orbo era
di vista ma non di minkia, perchè la sua minkia arriconosceva il pakkio di qualità.
Detto fatto, Helena fici. Si mise nuda e lo montò. Lo montò come si fa con i cavalli.
Edipo circò li minni e invece attruvò il pendaglio della collana.
<< Chi minkia è stu oggetto ca na minkia pari?>>.
<< E un Sosia, na minkia finta ca però si poli usare>>.
Ma i rumori dei lavori pilusi arrispigghianu la fimmina che durmia.
<< Papa, chi minkia di minkia stai a fare?>>.
<< Ficco non per pititto ma per consolare>>.
<< Papà... Tu sei mio anche di minkia, e che kazzo.
Esci la cicia da quel buco, altrimenti t‟ammazzo>> disse la figlia.
<< Io non ci riesco, è lei che mi cavalca con grande esperienza.
È femmina minkiofila per summa summissima eccellenza>>.
<< Edipo caro, anche se nun viri na minkia di nenti,
kazzicatummulii meglio di tanta autra genti>> ci disse Helena.
<< Esperienza e pacienza, pacienza ed esperienza,
fanu di la minkia la stella polare di sta vita strunza>>.
<< Papà, e chi minkia, falla scinniri di cavaddu,
altrimenti ci tiro lu coddu come a lu iaddu.
E a tia ti strizzo la ciolla a minkia cina,
comu si fa cu chidda minkia di buttana iaddina>>.
<< Io non vedo una minkia, tengo la minkia in galera>> disse Edipo.
<< E io che ci vedo a minkia doppia sminkio sta buttanera>> disse la figlia.
E cu na bella botta la picciotta scavallò Helena. Fu come stappare la minkia paterna.
Come levarle il piacevole coperchio. E ne prese il posto. Ma Helena scavallò
Antigone. E le due lottarono un bel po‟. Lottarono alla grande per il possesso di una
ciolla. E tra i loro corpi lottò, scivolò, s‟insinuò, si svincolò, s‟affacciò, sgusciò e
altro fece il Sosia del bel Paryde, la finta “Gioconda”. Ma cosa fece non so. Alla
fine le due raggiunsero un compromesso. Antigone acconsentiva a una fikkata lampo
di Helena con Edipo in cambio di un giro col Sosia di Paryde. Così fu.
<< Ma la minkia mia, dimmillu chiaru e tunnu,
almenu lu stutau lu focu ca ardia na lu to kunnu ?>> chiese Edipo, perché, come
a tutti i maschi, anche a lui ci piacia sentirsi dire dalla fimmina ca era tutta ma
proprio tutta soddisfatta.
<< Mancu di na stizza , lu kunnu mi pruri e m‟attizza.
Iddu assai m‟impazza e voli tutt‟autra minciazza>> rispose Helena ridendo.
Poi Helena chiese ad Antigone:
<< Ma la finta “Gioconda” mia, dimmillu chiaru e tunnu,
almenu lu stutau lu focu ca ardia na lu to kunnu?>>.
<< Mancu di na stizza, lu kunnu mi pruri e m‟attizza.
Iddu assai m‟impazza e voli tutt‟autra minciazza>> rispose Antigone ridendo e
abbracciando la sposina sfortunata. L‟abbraccio degenerò poi in una lesbicata
grandiosa. Lesbicata a cui partecipò, come atto finale, la finta “Gioconda.” E tutto
questo sotto gli occhi, per modo di dire, di Edipo.
<<”Fortuna caeca est” si dice, ma se la fortuna è cieca, la minkia non lo è.
La mia, che orbo sono e una minkia non vedo, vede pakkio a tinchitè.
Ma sai chi ti ricu? Se voi na minciazza veramenti assai imponente.
Vatti a spurpari sana sana quella di Pryapo immediatamente>>.
<< No>> rispose Helena.
<< Magari potessi io>> ci scappò ad Antigone.
<< Perché, non t‟abbasta la mia?>> chiese papà.
Alla fine comunque tutti si addumanu nu beddu minkiuni di minkiajuana. Ma Edipo
la chiamava “erba degli orbi” o minkiaedipiana. E mentre Edipo tornò a letto con
Antigone, Helena uscì gridando ancora: << Voglio una minkia per ben
kazzicatummuliari>>.
Era comunque contenta Helena. Il teatro con Edipo era stato uno spettacolo bello.
Una bella messa in scena. Bellissima lei, vecchio, brutto, assassino, incestuoso e
orbo, ma dotato ed esperto lui. Superba l‟interpretazione della ciolla reale del reale
cieco. Se il proprietario non vedeva un kazzo, quella vedeva come un‟aquila. Vedeva
soprattutto se il pakkio era degno di ricevere la simenta reale. Vedeva e sentiva,
aveva non cinque ma sei sensi. I cinque di tutti e il sesto senso, il senso minchiesco.
Un senso tutto suo. Da attori professionisti quindi la performance. E Antigone era
stata sia spettatrice che attrice. Aveva dato e pigliato anche lei. La lotta per il
possesso della ciolla era stata gioiosa. Un corpo a corpo magnifico. E lo
scavalcamento dava i brividi.
<<Perdere la ciolla che t‟inkunna di botto è fantasticamente doloroso e
dolorosamente fantastico>> pinsò Helena. Ma nonostante tutto la “Luna “ restava
scontenta. Titolo plausibile dello spettacolo, A letto con l‟orbo dalla ciolla vedente.
Un evidente esempio di Teatro cieco. In testa teneva la solita pinsata: <<Che Kazzo
devo fare per far finire questo tur del kazzo?>>.
<<Che mentula di ciolla di cicia del kazzo di una minkia devo fare?>> pinsava
Helena. Pinsava e firriava palazzo palazzo. E pinsando pinsava a come meglio
kazzicatummuliari. Ma in fondo in fondo pinsava alla ciolla amorosa di Paryde. Era
quello il trofeo carnoso che l‟aspettava al traguardo.
<< Ma unni minkia è stu minkia di traguardo della minkia?>> si chiese Helena.
--O orbissimo Edipo, orbo di vista ma non di minkia sei,
con quella ci vedi proprio assai e trovi la strada per entrare in lei.
O orbissimo Edipo, con la tua ciolla vedente,
vedi più degli altri uomini, che spesso non vedono oltre la loro ciolla.
Tucididetto
--La ciolla vidi, se lu padruni voli viriri, luntanu tantu.
Ma se nun voli, mancu viri li cugghiuna ca teni accanto.
Perseo.
--La ciolla vidi chiddu ca l‟occhi nun vidunu.
La ciolla senti chiddu ca l‟aricchi nun sentunu.
La ciolla assapora chiddu ca la ucca nun sapi assaporare.
La ciolla tocca chiddu ca li manu nun sanu tuccari.
La ciolla nun parra ma dici chiddu ca li paroli nun sanu diri.
La ciolla senti li ciaura ca lu nasu nun sapi capiri.
La ciolla nun capisci na minkia, ma sapi fari la minkia.
Cicio Kuli
--La ciolla nun cumanna, ma lu so patruni è lu so servu.
Pitio
--Due tizi originari di Leonthynoy e Karleonthynoy cercarono di valutare il numero
delle ciolle “modello Edipo” di cui aveva bisogno Helena per dimenticare la ciolla di
Paryde.
<< Quattro milioni di ciolle “modello Edipo”>> disse il tizio di Karleonthynoy.
<< Otto milioni di ciolle >> replicò il tizio di Leonthynoy.
Ma da Palermorum fecero sapere che la valutazione poteva arrivare al massimo a
quaranta milioni di ciolle “modello Edipo.” Purtroppo un altro tizio perse i
documenti e tutto finì a ciolla di orbo totale. Ignoravano i suddetti che per il pakkio
libero di Helena qualsiasi ciolla valeva zero. Anche quella di Edipo. Mentre la ciolla
di Paryde valeva più dell‟universo tutto sano sano. Ma loro purtroppo sapevano dare
solo i numeri. La ciolla dell‟amante era per Helena la ciolla più orba d‟amore tra le
ciolle orbe.
--Quattro milioni.. otto milioni.. quaranta milioni..
senza documentazione che rottura di koglioni.
Detto popolare
---
E per tutto il palazzo reale risuonò ancora il lacerante e addolorato e notissimo urlo di
Helena, la femmina dalla fika sofferente per eccellenza. Tonitruante come il solito.
<<Voglio..
una minkia..
una minkia..
una minkia...
una minkia..
una minkia...
una minkia..
una minkia..>>.
Per poi finire con un micidiale :
<<Voglio una
MINKIA
>>.
E pure la sua “Domus mentula”, urlò un “Domus mentula -tonitruante” urlo assai
lapalissiano.
<<Voglio una minkiaaaaaa...una minkia che sappia fare la minkiaaaaaa...>>
E non era un lapsus calami o un lapsus linguae. In vino veritas. O meglio, in kunnus
veritas. Gutta cavat lapidem, mentula cavat kunnus.
Il sogno di Helena, e della sua “Domus mentula”, era quello di gridare in faccia
all‟urbe, all‟orbe e all‟Olympazzo tutto :<<Habemus mentula>>.
Ma il problema era “Quale mentula?” Una mentula qualsiasi o la mentula di Paryde?
“Melius abundare quam deficere” diceva un detto latino latinamente latinissimo.
E allora meglio un‟overdose di mentuline, mentule, mentulone e mentulazze per
dimenticare la mentulina di Mynkyalao e non pensare alla mentulona di Paryde.
<< E overdose sia.. con tanti parerghi e senza paralipomeni >> disse Helena.
--I panni sporchi si lavano in famiglia, le minkie tise si scaricano fuori.
A padre avaro figliol prodigo assai, a minkia tisa pakkio più che mai.
Detti popolari
---
A curtigghiari c‟erano i tre intellettuali della ciolla che pinsavano già di scrivere
rispettivamente, secondo la propria specializzazione, il Poema Helena s‟inphalla il
phallo orbo dell‟orbo Edipo e poi cede al lesbismo di Antigone con tanto di
partecipazione del Sosia di Paryde, il Carmen Helena s‟immentula la mentula cieca
del cieco Edipo e poi si concede una storia con Antigone complice la mentula finta di
Paryde, e il romanzo Cent‟anni della minkia orba dell‟orbo Edipo per il pakkio di
Helena che sempre per cent‟anni si concede storie di fika con il pakkio di Antigone
con però tanti intermezzi o imminkiamenti della finta minkia di Paryde che imminkia
sia lei che Antigone.
Sokratynos, il filosofo della minkia, si chiese: << La vita è una, come la minkia, e se
non è un piacere vivere e avere una minkia, a che minkia serve avere una minkia se
poi non puoi imminkiare manco quella troia di Helena che invece si lascia
imminkiare dalla minkia orba di Edipo sotto gli occhi gelosi di Antigone che si
considerava l‟unica autorizzata ad usarla come, dove e quando quella minkia
l‟ispirava ma che una volta tanto l‟aveva concessa al pakkio insoddisfatto di Helena
in cambio del Sosia di Paryde, e tutto questo mentre, minkia d‟una minkia che
vorrebbe imminkiare a minkia cina, ci sarebbe sempre la mia tonitruante e filosofika
minkia disponibilissima a imminkiarla filosofikamente?>>.
---
<< Voglio una minkia e no un simulacro di minkia. Ho bisogno di una minkia ma
non so di quale minkia?comunque deve essere una minkia che sappia
kazzicatummuliari>> litaniava in maniera sempre più ossessiva la sposina ninfomane.
Helena non sapeva se andare da Paryde o dalla prima minkia che capitava dopo
quelle vere e genuine e reali di Zeus, Eros, Apollo, Efesto, Ares, Ermete, Asclepio,
Ganimede, Eolo, Achylle, Patroclo, Mynkyoreste, Pilade, Castore, Polluce e Edipo e
quelle artificiali di Pallade e Artemide, a cui aveva però ricambiato il favore,
ricevendo in regalo un Sosia che lei aveva battezzato “Gioconda”. E la “ Gioconda”
era andata anche in kulo a Ganimede, Achylle, Patroclo, Mynkyoreste, Pilade,
Castore, Polluce e Antigone. Di andare da Pryapo non se ne parlava completamente.
Andare da Paryde voleva dire che era semplicemente innamorata, anche perché
Paryde avia si un bell‟uccello ma non era certamente il massimo in fatto di misure.
Ma lei avia il kunno innamorato: e l‟amore è capace di far teoricamente diventare un
elefante magari una piccola mosca.
<< Vado a minkia e m‟imminkio sulla prima minkia per cercare di non pensare né
alla minkia di Mynkyalao che mi fa schifo né a quella di Paryde che mi appititta. Ma
se non troverò soddisfazione, gira e rigira, imminkia prima e imminkia appresso, è da
Paryde che porterò il mio sesso. Perché per il mio kunnu chidda è la megghiu minkia
di lu munnu>>.
--<< Voglio una minkia. Voglio una minkia e no un simulacro di minkia. Ho bisogno
di una minkia ma non so di quale minkia? Voglio una minkia e no una bestiaccia di
minkia. Voglio una minkia e no una bestiona di minkia. Una minkia che sappia fare
la minkia. Voglio una minkia. Una minkia. Una grande minkia. Una minkia
kazzicatummuliatrice. Insomma, se la ciolla maritale è un fallimento, la sposina deve
andare direttamente da quella che è la ciolla già sperimentata dell‟amante o iniziare
la ricerca della ciolla ideale, sperimentando minkie su minkie e ancora minkie e
minkie e poi ancora minkie a iosa, alla sanfasò e a tinchitè tout court e full time?
Oppure, per tagliare la testa al toro, correre da Pryapo e farsi somministrare la sua
ciolla, praticamente la regina di tutte le minkie dell‟urbe, dell‟orbe e dell‟Olympazzo.
Insomma insomma, il kazzo amatissimo dell‟amatissimo amante o il kazzone
katholikos di Pryapo o semplicemente kazzi su kazzi scelti a kazzo ma che sappiano
fare professionalmente il lavoro del kazzo? Insomma insomma insomma, unni minkia
sta na bella minkia kazzicatummuliante? >> continuava a gridare Helena.
Era stanca Helena ma voleva ancora una minkia. Non la minkia innamorata di Paryde
e neanche quella mostruosa di Pryapo. Naturalmente era da escludere quella fuori uso
del marito minkialenta. Girando e piangendo come una prefika specializzata pinsava
sempre alla minkia. Alla minkia come tale e non come appendice di un mascolo in
particolare.
E girando girando pi lu palazzu intisi nu lamento. Ci trasiu dintra lu cori da tutti li
parti. Dalle orecchie come dal pakkio, dalla bocca come dal kulo. Trasiu na la camera
e trovò il cognato Agamynkyone da solo. Si la stava minannu.
<< Cognato, chi kazzu di minkia stai facennu?>>.
<< Chiddu kazzu di minkia ca tu stai virennu>>.
<< Viru ca ti la mini a tutta minkia, assai inkazzato.
E non ti vergogni di mia, carissimo cognato>>.
<< In privato, ognuno come gli pare fa sesso.
E tu sei trasuta senza chiedere permesso>>.
<< Vero, scusami, e dammi il tuo perdono reale>>.
<< Vaffankulo, tu e la tua biddizza eccezionale>>. E intanto lavorava di mano a
tinchitè.
<< Chi minkia successi, cognato mio beddu>>.
<< Litigai cu Fikennestra ca vulia lu me aceddu>>.
<< E tu pirchì la cicia nun ci lu davi alla sanfasò.
Sai ca mia sorella quannu la cicia la vò la vò>>.
<< Ma iu tinia autri minkia di pinseri pi lu kazzu.
Pinsavu a n‟autru minkia di kazzu di stikkiazzu>>.
<< Come io penso a n‟autru minkia di beddu kazzu>>.
<< Comunque ci dissi assai chiaru e tunnu:
Vai a inkunnarti la minkia d‟oro in kunnu>>. E intanto lavorava. Sempre di mano.
Lavorava a iosa.
<< Minkia, chi kazzu di curaggiu ranni, seduta stante,
a mannalla ufficialmente dalla minkia dell‟amante>>.
<< Un buttano, na minkia di buttano da strapazzo.
È sulu na testa di minkia e magari di kazzo>>.
<< A mia mi ni futti na cicia di nenti però.
Lu me stikkiu purtroppo vacanti arristò>>.
<< Pirchì, Mynkyalao cu la so cicia nun ci sapi fari?
Me frati forse nun ti la sapi la ciolla calari?>> chiese fintamente curioso
Agamynkyone, sempre lavorando di mano e celermente anche. Praticamente alla
sanfasò.
<< E‟ minkialenta perchè altrove va a scaricare.
La teni d‟avorio, sempre dura e sempre tisa.
Ma è sempre stancu e ci annoia a fari la misa.
E se proprio la metti, lu fa senza entusiasmo.
E io mi lo sogno di raggiungere l‟orgasmo.
Pertanto non so chi minkia di minkia devo fare.
Li stiddi nun li viru, sulu chiddi do celu pozzu contare>>.
<< E tu fai la stissa cosa. Minkia, fai li stissi fatti.
Acchiappa subito la prima ciolla ca ti ammatti>>. E accelerò i lavori di
minamento. Tout court e full time.
<< Adesso chi minkia mi piglio, la to mazza?>>.
<< E chi kazzu di mali c‟è, è di la stissa razza
di lu beddu Mynkyalao dalla minkialenta.
Inveci la mia ciolla, come vedi, attrenta>>.
Accelerò ancora il ritmo dell‟operazione manuale. A iosa, alla sanfasò e a tinchitè.
<< Certo, ti la mini come un vero ossesso.
Neanche davanti a mia hai smesso>>.
<< Tu non sai come soffre la mia bedda ciolla.
E stai sicura che non è certamente stolla.
Io so chi l‟attizza accussì assai fortemente.
E smettere davanti a tanta biddizza è da deficiente>>. Incrementò la velocità tout
court e full time.
<< Comunque la tua ciolla non la voglio certamente>>.
<< Ma io la me cicia vorrei tanto passartela ardentemente.
E da tempo che la ciolla mia pi tia arde inutilmente.
S‟adduma e s‟impenna inutilmente per la tua passera spilata.
Ma la tua passera, col mio passero, non s‟è mai maritata>>.
E rallentò i lavori manuali che erano comunque arrivati a buon punto. Più che a
tinchitè, a tinchitetta.
<< Ma io non voglio lu to kazzu di minkia d‟aceddu.
Io non voglio essere l‟amante di lu me cugnateddu>>.
<< Ma iu, figghia, sacciu ben kazzicatummuliari>>.
<< Pi mia, caro Agamynkyone, ti la poi assai minari.
Minari in eternum, a iosa, alla sanfasò e a tinchitè.
Minari finu a quannu nu tanticchia di minkia c‟è>>.
<< E allora dammi almeno una mano pi na minata.
Per finire sta tragedia di sta kazzo di minkia arrapata>>. E lasciò libera la ciolla
ardente chiù che mai. Ardente a iosa.
<< No e poi no. Minkia, a tia non ti dugnu nenti>>.
<< Minkia. Certu, tu la dai sulu all‟autra genti.
A li frusteri, pi essere chiari chiaramente.
Se arriva nu picciotto dalla cicia impertinente,
tu ci allarghi li cosci subito e immediatamente.
Magari ci dici “S‟accomodasse, principino beddu,
mi mittissi dintra il suo simpaticissimo aceddu>>.
E, inkazzato, riprese i lavori di rifinitura della colonna di carne. Inkazzato a
tinchitazzo.
<< Cu lu pakkiu miu fazzu soccu minkia vuoiu iu>>
<< Ma na manu è sulu na manu. Na manu e poi niente>> disse Agamynkyone
implorante.
<< Vaffankulo a tia e alla tua minkia deficiente>> rispose Helena.
<< Dammi la ucca pi na sukatedda, ca tu fari la sai>>. E s‟alliccau lu mussu.
<< No e poi no. Semmai autusukitilla se ci la fai>>.
<< Allura dammi lu kulu. Dammi su kulu beddu>>. Accelerò di nuovo i lavori.
<< Tu, caro mio, si fora di minkia e di ciriveddu.
Gira se puoi, della minkia tua la cappella.
Così t‟inkiappetti con la tua stessa ciolla bella>>.
<< Ma chi minkia dici, buttanazza di nome e di fatto.
Non nel mio kulo, ma nei kuli altrui io la sbatto>>.
A mia comunque mi attizzi la ciolla assai>>. Accelerò e con entrambe le mani.
Inkazzatissimo a iosissimo.
<< Ma a mia non mi avrai mai e poi mai>>.
<< Ti desi in sposa a chiddu kazzu di mio fratello
pinsanniti già inkoppolata sul mio uccello>>. Il ritmo aumentò inverosimilmente.
<< Mai.. mai e poi mai.. ti la poi fari a manu
almeno per un secolo e mezzo sanu sanu>>.
<< Stronza sukaminkia e buttana assai ranni
ca vai firriannu sempre senza mutanni.
Cu lu pakkiu in fiamme e beddu spilatu
ca d‟aceddu tout court eni appitittatu.
Perché a me pare, che se solo potessi,
del mondo intero ti faresti tutti i sessi>>. Accelerò ancora. Inkazzatissimo tout
court e full time.
<< Che vuoi, ciolletta persa e grande koglione,
una mia minkia di kazzo di confessione?
In fondo hai na facci a minkiuni di sacerdotazzu.
Di quelli che chiedono solo li fatti di pakkiu e kazzu.
Ti dico ”Tutti li kazzi e li ciolli e li minki mi farei.
Ma la tua cicidda, mai e poi mai maissimo la kakerei>>.
Iddu rallentò la missione intrapresa. Offeso di minkia si sentì. Super ultra inkazzato
era. Passò dalla minata full time a quella part time.
<< Ammettilo, tantu lu sapi tutta quanta Monakazzo,
ca di chidda minkia di Paryde ti piace il kazzo>>. Rallentò ancora. Sempre più
offeso. Adesso si la minava part time del part time.
<< Mi piace assai, chidda ciolla mi piace sì.
Perché di minkie ni vali almeno trentatrì.
Mi piace accussì assai chidda minkia del suo uccello,
che porto con me il suo Sosia, il suo finto gemello.
Lo porto appinnutu al collo, a chista minkia di collana.
E iddu abballa davanti alla mia duci e bedda tana.
S‟insinua tra li cosci e mi accarezza lu purtusu.
Ma lo fa con dolcezza, da kazzu assai amurusu.
E sai come si chiama questa ciolla finta sua che è mia?
La “Gioconda”, perchè cu idda il pakkio sempre si arrigria.
Anche se finta, chista ciolla di Paryde è eccezionale,
e vale chiù assai assaissimo del tuo kazzo animale>>.
E ci lu ammusciau. Per poi piazzarselo di botto nel pakkio. A queste parole, e
soprattutto a questa visione, Agamynkyone ebbe un orgasmo. Vinni a iosa, e
nonostante cercasse di dirigere la pompa, non riuscì a colpire quella cosa.
<< Invece la minkia tua, della quale iu mi ni futtu,
se devo esser sincera, mi pare una minkia a luttu.
Non la vorrei mai e poi mai chissa cosa fitusa.
Megghiu l‟astinenza ca sa cosa assai mirdusa.
Mancu se fossi l‟unica minkia di lu munnu e di l‟Olympazzu.
Megghiu ficcari cu lu me itu, ca cu chissa minkia di kazzu>>.
A queste parole la minkia di Agamynkyone si sminkiò. Di colpo. In un fiat. Ma tanto
era venuta. Si sminkiò per modo di dire, visto che era di materiale speciale.
<< Buttana, troia e curnuta kuluruttu e pakkiu beddu>>.
<< Ma no di tia e di chissu minkia di kazzarieddu.
Lu kunnu miu è duci, è beddu ed è tuttu spilatu,
e dalla tua minkia nun sarà mai e poi mai visitato.
E per quanto riguarda il bel kulo mio, rotto è.
Lu ruppi l‟eroe, l‟eroe che adesso chiù nun c‟è.
Chista roba mia è bella assai e anche preziosa.
E naturalmente non è roba pi la tua babba cosa >>.
E ci lu ammusciò a tutta vista. Quasi spalancato, dopo che il Sosia c‟era stato.
<< Talia chi cosa speciale. Chi filazza eccezionale.
Pari un taglio perfetto. Fatto da qualche dio benedetto.
E poi nun ci sta mancu nu pilu, niente. Niente di niente.
E‟ na fika a giorno, è una fika a vista realmente>>.
La ciolla reale si mise subito additta. A causa di quelle parole e di quella vista.
Intanto il Sosia finiu ancora lì. A fare il gioco del chicchiricchì.
<< E alla faccia del tuo babbo uccello tiso.
Adesso la mia fika ti farà pure un sorriso>> aggiunse Helena.
E tirato fuori il Sosia lo mise accanto alla filazza che automaticamente sorrise. Un
doppio sorriso. Con le labbra piccole e con quelle grandi. Un doppio sorriso ca ci fici
vedere all‟arrapato Agamynkyone anche il bottoncino dell‟amore. Puru lu funnu di lu
kunnu ci fici abbidiri. A questo punto il re Agamynkyone perse la pazienza.
<< Ti fazzu abbidiri iu cu minkia è ca è kazzarieddu.
Ti la ficcu puri dintra sa minkia di cirivieddu.
Ti kazzicatummulio la minkia mia assai, a iosa.
Ti la ficcu a tutti parti sta bedda minkia di la me cosa>>.
Si susiu e si ittau sulla cognata. Con la forza ci strazzau la vistina e poi la ittau na lu
lettu. E ci si assittau supra la panza.
<< Porco, bastardo e testa di kazzo.
Figlio di buttana iarrusazzu> gridava Helena cercando di liberarsi da quella folle
violenza regale. Iddu ci stava assittatu sulla panza e tinia la so ciolla tisa tra li minni.
<< Zitta, buttana, ca ti la ficcu na la ucca sana sana >>.
<< Provaci, se si unu cu la minkia curaggiusa.
Ti la staccu cu nu morsu da sukaminkia iarrusa>>.
<< Balle.. rapi sa minkia di ucca e ammucca>>. E ci la stricò na lu mussu.
E lei, come promesso, ci la muzzicò.
<< Hai.. sukaminkia ca a mia sukari nun mi la voi.
Ora ti la sbattu in kulu e poi su kazzi sulu toi>>.
<< E iu, nu fattu è sicuru, ti deminkio col mio kulo>>.
La lotta riprese e andò avanti. Tantu fici e strafici Agamynkyone, ca la misi a panza
in giù. Poi ci disse: << Allora, come Teseo, ti sodomizzerò>>.
<< E io col kulo l‟aceddu ti decapiterò>>.
Ci lu appoggiau na li natichi, anzi, ci lu misi tra li natichi. Ma chidda quasi quasi ci
lu stritolò.
<< Minkia, chi buttana lurda e fitusa,
mancu lu kulo mi voli dari sta iarrusa>>.
A quelle parole Helena diede un colpo di kulo e lo fece cadere. Praticamente rinkulò.
<< Lassamu stari pirtantu pure stu kulu tunnu,
e come è giusto, iemu na lu beddu kunnu>>. E si buttò, come un animale, sulla
donna. Le spalancò le cosce e mise la ciolla davanti a portuso. Lei allora cu li mani ci
strizzò li cugghiuna.
<< Hai.. li cugghiuna mi scoppianu. Hai.. chi duluri sanu sanu>>.
Per il dolore sautò come un atleta. Ma fu un sauto a caso. Pertanto iu a sbattiri cu la
minkia per terra.
<< Ahi , la minkia mi ruppi. Hai, mi ruppi lu kazzu.
La ciolla si sfasciò. Chi kazzu fazzu senza kazzu.
E pure li baddi mi fanu mali, mi li scoppiau,
mi li stritolau, mi li sbunciau>>.
Helena andò a vedere. Glielo prese con due dita, come si piglia na cosa fitusa, e si
avvicinò con la faccia per taliare.
<< Tutto sano è, poviru pazzu. Ammaccatu nu tanticchia ma bonu pi circari stikkia, e
per quanto riguarda le palle, non è successo niente. Solo na strizzatina fu>>.
Ma quello, oramai eccitatissimo, anche se dolorante, desi un colpo di kulo, e ci
sbattiu la koppola della ciolla in faccia. Anzi, sul musso, per essere precisi, e
siccome idda rapiu la ucca, la koppola un poco trasiu. Trasiu e vinni. Vinni in bocca e
in faccia all‟amata cognata Helena.
<< Minnitta, minnitta ranni e infinita.
Ti sfunnu lu kulu e ti levo la vita>> gridò la femmina orba di odio.
Agamynkyone rise. Ma era bloccato a terra. Non poteva alzarsi. E lei pi minnita ci
desi un calcio nei koglioni che quello rincoglionì per un bel po‟. Restò a pancia in giù
e con le mani sulla parte addolorata. Restò così a taliare la cugnata. Come nu babbu.
<< Minnitta, minnitta rannazza. Minnitta a minkia pazza.
Io ti lu sfunnu lu kulu, cu sta pseudominciazza.
Ma prima, tanto per capire che significa godere,
guarda cosa ci faccio col Sosia, stai a vedere>>.
Helena si fici una fottuta col Sosia godendo alla sanfasò. Il re taliò come un koglione
fuori uso. Taliò alliccandosi lu mussu. Ma tenendosi i koglioni e la ciolla. Il dolore
era tanto. Poi purtroppo arrivò la promessa. Idda, preso il Sosia, glielo piazzò di botto
nel kulo. Lui gridò per il dolore. Ma non poteva opporsi. Era come paralizzato. E lei
sempre a fare trasi e nesci col Sosia da quel kulo reale. Fino ha trasformare il dolore
in piacere. Agamynkyone infatti godette. Di kulo però.
<< Tu, re koglione dei koglioni, volevi fottermi alla sanfasò.
Invece fu il Sosia di Paryde che ti kazzicatummuliò>>.
Così dicendo lei si allontanò. Ma lui, che come tutti gli uomini era convinto di
riuscire a soddisfare qualsiasi femmina, nonostante il dolore, ci disse:
<< Devi comunque sapere che la minkia mia, diciamolo chiaru e tunnu,
avrebbe potuto stutari lu focu ca ardia na lu to kunnu>>.
<< Mancu putia di na stizza, lu kunnu a mia mi pruri e m‟attizza.
Iddu assai m‟impazza e so che voli tutt‟autra minciazza.
Comunque, a parte tutto, n‟autru fattu è sicuro.
Fu il Sosia di Paryde, la sua finta minkia, ca iu nel tuo kulo.
La finta “Gioconda”, bella , dura, risolente e bona,
nel tuo lario e racchio kulo fici assai lampi e assai trona.
E a dirla tutta, ma proprio tutta tutta veramente,
il Sosia ancora nel tuo kulo se la gode divinamente>> rispose Helena.
Agamynkyone piangeva per il dolore . Ma anche per il “No“ di Helena. E si rese
conto che piangeva anche per quel Sosia che gli tappava il kulo. Eppure gli piaceva
quel tappo. Poi lu sciu di botto e ci lu ittau alla cognata che al volo l‟acchiappò. E
intanto gridava per il dolore. Ma anche per il piacere.
<< “Animus meminisse horret”, kulus anche , e mentula pure.
Ma ricordati, chi di minkia ferisce di minkia perisce.
Ma sai chi ti ricu? Se voi na minciazza veramenti assai imponente.
Vatti a spurpari sana sana quella di Pryapo immediatamente>>.
<< No>>.
E scappando verso la porta, idda ci disse: << Sai a chi, Mynkyalao ci la fikka?>>.
<< No, e mi ni futti na minkia sicca>>.
<< Tu ti ni futti, e inveci lu sanu tutti peri peri,
ca a Ifikanya ci la fikka davanti e darreri>>.
Ma Agamynkyone non sentì il nome della figlia, svenne prima, per il troppo dolore.
Helena si desi na lavata a la facci, sputò la simenta odiata e si misi na vistina di so
soru Fikennestra.
E sciu di cursa pinsannu che voleva ancora minkie su minkie e poi ancora minkie. Per
non pensare alla minkia amata di Paryde. Per non pensare alla minkia inutile del
marito. Per non pensare alla minkia fitusa del cognato. Per non pensare neanche alla
minkia mostruosa di Pryapo che addimorava in quel palazzo. E si accese nu minkiuni
enorme di minkiajuana gridando sempre “Voglio una minkia”.
Helena naturalmente era assai scontenta per quanto successo. Il teatro col minkione di
Agamynkyone era stato uno spettacolo brutto. Il suo netto rifiuto aveva avuto delle
conseguenze. Una quasi tragedia. Una tragedia piena di dolore e sofferenza. Ma
anche piena di violenza. Praticamente un abuso di potere a tempo pieno. Se il marito
aveva la ciolla stanca, questo aveva la ciolla impertinente. Una brutta messa in scena
però. Da tutti i punti di vista. Bellissima comunque lei, drammatico il re. Ma anche
inutile e meschino. La classica ciolla cretina al potere. Ma lei non avrebbe mai e poi
mai maissimo kazzicatummuliato con cognato re. Comunque da attori professionisti
la performance. Che tutto sommato era stata parecchio movimentata. E se un fottuto
reale c‟era stato, era stato Agamynkyone. Però la sua “Luna” per principio non
avrebbe mai concesso l‟allunaggio a quel fituso del cognato. Per scelta e principio.
Magari a tutte le ciolle del mondo sì, ma ad Agamynkyone no. Titolo plausibile, A
letto con la ciolla del cognato mai. Nel complesso un esempio di Teatro negazione.
E in testa il solito pinsero: << Che kazzo devo fare?>>.
Anche Agamynkyone, al risveglio, più tonto del solito, si addumò non uno ma ben
tre minkiuna di minkiajuana. E contemporaneamente se li sukò. Ci parse di sukare la
fika di Helena. Pinsò che quei tre minkiuna fossero di “erba fikina”.
<<Che mentula di ciolla di cicia del kazzo di una minkia devo fare?>> pinsava
intanto Helena. E intanto firriava. E firriando pinsava alla minkia ideale. Che era
quella di Paryde. E pertanto, prima o poi, di kazzicatummila in kazzicatummila, era
con quella che doveva kazzicatummuliari. E sentiva avvicinarsi il momento, man
mano che la lunga “notte di nozze di Helena” andava via via trascorrendo. Man mano
che il “minkia tur” procedeva, il trofeo posto al traguardo si avvicinava.
--Minkione d‟un Agamynkyone, sei tu il più minkione dei viventi.
Così come il tuo kazzo è il più minkione tra i kazzi dell‟orbe e dell‟urbe.
E a dire il vero, un kazzo così scemo, non si trova manco nell‟Olympazzo.
Io, Helena, padrona di fika indipendente, autonoma ed onesta,
mi farei il mondo intero, ma mai e poi mai la tua mentula funesta.
Non per qualcosa, ma è la fimmina che apre le porte del piacere
alla ciolla che duna felicita alla sanfasò, a tinchitè e a iosa.
Alcibiade
---
Due tizi originari di Leonthynoy e Karleonthynoy cercarono di valutare il numero
delle ciolle “modello Agamynkyone” di cui aveva bisogno Helena per dimenticare la
ciolla di Paryde.
<< Manco quattro miliardi di miliardi di miliardi di ciolle “modello Agamynkyone”
basterebbero. Mentre per dimenticare la ciolla di Agamynkyone basterebbe un
piccolo pisello nel senso di pisello piccolo. Uno e basta. Uno ma piselliforme>> disse
il tizio di Karleonthynoy. Ma nella sua testa pensò:<< A dire il vero veramente,
secondo me, basterebbe il dito mignolo della stessa Helena>>.
<< Manco otto miliardi di miliardi di miliardi di ciolle basterebbero. Mentre per
dimenticare la ciolla di Agamynkyone basterebbe una piccola fava nel senso di fava
piccola. Una e basta. Una ma faviforme>> replicò il tizio di Leonthynoy. Ma nella
sua testa pensò:<< A dire il vero veramente, secondo me, basterebbe il dito pollice
della stessa Helena>>.
Ma da Palermorum fecero sapere che la valutazione poteva arrivare al massimo a
quaranta miliardi di ciolle “modello Agamynkyone”. Naturalmente per dimenticare
la ciolla di Paryde. Per la ciolla di Agamynkyone non c‟erano problemi, la
valutazione era zero.
Purtroppo un altro tizio perse i documenti e tutto finì a ciolla rifiutata. Ignoravano i
suddetti che per il pakkio libero di Helena qualsiasi ciolla valeva zero. Anche quella
di Agamynkyone. Anzi, questa valeva meno di zero. Era una ciolla nulla. Mentre la
ciolla di Paryde valeva più dell‟universo tutto sano sano. Ma loro purtroppo
sapevano dare solo i numeri. La ciolla dell‟amante era per Helena la ciolla che
valeva tutte le ciolle dell‟universo. Tutte, meno quella di Agamynkyone. La ciolla di
Paryde pi lei era l‟apoteosi della ciolla. E il prototipo delle ciolle. Il modello delle
minkie. La cicia delle cicie. La minkia del cognato invece era il nulla più nulla del
nulla, il nulla totale e assoluto. Lo “zero assoluto ” disse uno scienziato, ma nessuno
capiva questo semplice concetto scientifico. Meno che mai i due tizi in questione.
Sapevano cos‟era lo zero, ma lo “zero assoluto” era fuori dal loro comprendonio. Era
un concetto troppo astratto.
--Quattro milioni.. otto milioni.. quaranta milioni..
senza documentazione che rottura di koglioni.
Detto popolare
---
Per tutto il palazzo reale, da nord a sud, e da est ad ovest, risuonò il solito lacerante e
addolorato urlo di Helena. Un urlo come sempre tonitruante. Un urlo che faceva
tremare i minkianeuroni della minkia e i neurokoglioni dei testicoli. Un urlo ca paria
l‟annuncio dell‟apocalisse. Un urlo che annunciava tutta la disperazione della sua
fika. Un urlo che chiamava la minkia tout court e full time.
<<Voglio..
una minkia..
una minkia..
una minkia...
una minkia..
una minkia...
una minkia..
una minkia..>>.
Per poi finire con un micidiale :
<<Voglio una
MINKIA
>>.
E pure la sua “Camera del tesoro” urlò un “Camera del tesoro - tonitruante” urlo
assai lapalissiano.
<<Voglio una minkiaaaaaa...una minkia che sappia fare la minkiaaaaaa..>>.
E non era un lapsus calami o un lapsus linguae. In vino veritas. O meglio, in kunnus
veritas. Gutta cavat lapidem, mentula cavat kunnus.
Il sogno di Helena, e della sua “Camera del tesoro”, era quello di gridare in faccia
all‟urbe, all‟orbe e all‟Olympazzo tutto:<< Habemus mentula>>.
Ma il problema era “Quale mentula?” Una mentula qualsiasi o la mentula di Paryde?
“Melius abundare quam deficere” diceva un detto latino latinamente latinissimo.
E allora meglio un‟overdose di mentuline, mentule, mentulone e mentulazze per
dimenticare la mentulina di Mynkyalao e non pensare alla mentulona di Paryde.
<< E overdose sia.. con tanti parerghi e senza paralipomeni >> disse Helena.
--Una rondine non fa primavera na lu munnu, ma un aceddu la fa na lu kunnu.
Un passero in aria è come una minkia al vento ca firria tunnu tunnu.
un passero nella passera è come una minkia in kunnu.
Non destar il can che dorme, ma cerca di svegliare la minkia che dorme.
Moglie e buoi dai paesi tuoi, kulu e kunnu da tuttu lu munnu.
Agosto, moglie mia non ti conosco. Agosto, per la mia minkia voglio un nuovo posto.
Gente allegra il ciel l‟aiuta, minkie tise assicurata è la fottuta.
Detti popolari
--A curtigghiari c‟erano i tre intellettuali della ciolla che pinsavano già di scrivere
rispettivamente, secondo la propria specializzazione, il Poema Helena non s‟inphalla
il phallo di Agamynkyone però l‟inkula col Sosia di Paryde, il Carmen Helena non
s‟immentula la mentula di Agamynkyone però gli piazza in kulo il Sosia di Paryde, e
il romanzo Cent‟anni di “no” alla minkia di Agamynkyone da parte di Helena a
nome del suo pakkio e cent‟anni di “sì“ alla somministrazione del Sosia di Paryde
nel kulo del re di Munypuzos.
Sokratynos, il filosofo della minkia, si chiese: << La vita è una, come la minkia, e se
non è un piacere vivere e avere una minkia, a che minkia serve avere una minkia se
poi non puoi imminkiare manco quella troia di Helena che invece si lascia
imminkiare dalla prima minkia che capita purché quella minkia appartenga a qualche
testa di minkia della nomenclatura divina o umana, ma che comunque, piacere
grande per tutte le minkie del popolo che insieme formano una massa di minkie, non
si lasciò imminkiare da quella testa di minkia del cognato Agamynkyone che aveva
messo su quella minkia di matrimonio della minkia solo per potersi, prima o poi,
imminkiare la fika attisaminkia di quella perfetta fika da minkia di Helena, e tutto
questo mentre, minkia d‟una minkia che vorrebbe imminkiare a minkia cina, ci
sarebbe la mia tonitruante e filosofika minkia disponibilissima a imminkiarla
finanche filosofikamente?>>.
--<< Voglio una minkia e no un simulacro di minkia. Ho bisogno di una minkia, ma
non so di quale minkia? Però deve essere una minkia kazzicatummuliante assai>>
litaniava in maniera oramai assai assaissimo ossessiva la delusissima sposina..
Helena non sapeva se andare da Paryde o dalla prima minkia che capitava dopo
quelle vere e genuine e reali di Zeus, Eros, Apollo, Efesto, Ares, Ermete, Asclepio,
Ganimede, Eolo, Achylle, Patroclo, Mynkyoreste, Pilade, Castore, Polluce e Edipo e
quelle artificiali di Pallade e Artemide a cui aveva però ricambiato il favore ricevendo
in regalo un Sosia che lei aveva battezzato “Gioconda”. E la “Gioconda” era andata
in kulo a Ganimede, Achylle, Patroclo, Mynkyoreste, Pilade, Castore, Polluce e
Antigone. E per minnitta e solo per quello era andata in kulo ad Agamynkyone che
però non era andato in kunno alla cognata che aveva optato per il “gran rifiuto” . Di
andare da Pryapo non se ne parlava completamente.
Andare da Paryde voleva dire che era semplicemente innamorata, anche perché
Paryde avia si un bell‟uccello ma non era certamente il massimo in fatto di misure.
Ma lei avia il kunno innamorato: e l‟amore è capace di far teoricamente diventare un
elefante magari una piccola mosca.
<< Vado a minkia e m‟imminkio sulla prima minkia per cercare di non pensare né
alla minkia di Mynkyalao che mi fa schifo né a quella di Paryde che mi appititta. Ma
se non troverò soddisfazione, gira e rigira, imminkia prima e imminkia appresso, è da
Paryde che porterò il mio sesso. Perché per il mio kunnu chidda è la megghiu minkia
di lu munnu>>.
--<< Voglio una minkia. Voglio una minkia. Voglio una minkia e no un simulacro di
minkia. Ho bisogno di una minkia ma non so di quale minkia? Voglio una minkia e
no una bestiaccia di minkia. Voglio una minkia e no una bestiona di minkia. Voglio
una minkia che sappia fare la minkia. Voglio una minkia, una minkia, una grande
minkia. Voglio una minkia kazzicatummuliatrice. Insomma, se la ciolla maritale è un
fallimento, la sposina deve andare direttamente da quella che è la ciolla già
sperimentata dell‟amante o iniziare la ricerca della ciolla ideale, sperimentando
minkie su minkie e ancora minkie e minkie e poi ancora minkie a iosa, alla sanfasò e
a tinchitè tout court e full time? Oppure, per tagliare la testa al toro, correre da
Pryapo e farsi somministrare la sua ciolla, praticamente la regina di tutte le minkie
dell‟urbe, dell‟orbe e dell‟Olympazzo. Insomma insomma, il kazzo amatissimo
dell‟amatissimo amante o il kazzone katholikos di Pryapo o semplicemente kazzi su
kazzi scelti a kazzo ma che sappiano fare professionalmente il lavoro del kazzo?
Insomma insomma insomma, anch‟io ho il diritto di ben kazzicatummuliare. O
no?>> continuava a gridare Helena.
E non sapendo cosa fare, sempre invocando e sognando e immaginando e
desiderando minkie e ancora minkie, Helena curriu dal furbo Odisseo. Ma non
entrò subito. Quello stava parlando. O meglio, recitando. Paria impegnato in un pezzo
da teatro. Paria un politico serio ma sparapalle. Paria impegnato in un monologo
tragico ma ironico. Helena si fermò e si mise ad ascoltare. Era suadente la voce di
Odisseo. Paria il canto delle Sirene. Era sensualissima. Ci trasiu direttamente nel
pakkio e non solo.
<< “ Furbizia”, “Furbizia “ personifikata ed eccezionale:
Che devo fare per la mia situazione personale?
Devo tornare dalla mia Penelope skassapiselli?
O devo farmi un ventennale giro dei bordelli?
Rispondimi, “Furbizia“, sii illuminante.
Dammi un segnale chiaro, evidente, lampante.
Ahhhhhhhhhhhhhhhhhhh.. dammelo qua.
Se non attiserai da mia moglie subito tornerò.
Ma se attiserai in giro per il mondo me ne andrò.
Se verrai a nord verso sud mi dirigerò sano sano.
Ma se verrai a nord a sud mi recherò piano piano.
E se verrai a ponente io andrò giustamente a levante .
Se verrai a levante dall‟altra parte andrò immediatamente.
Rispondimi, “Furbizia” , sii chiara e illuminante.
Dammi un segnale chiaro, evidente, lampante.
Ihhhhhhhhhhhhhhhhhhh... dammelo sì.
Ma se verrai verso l‟alto che minkia devo fare?
Al centro della terra non posso mica andare.
In montagna allora andrò e senza fare storie.
In realtà altre dovrebbero essere le mie glorie.
Perché tu sai, o “Furbizia” mia, che son uomo di mare.
Ho una minkia, e tu lo sai, che nell‟acqua sa ben stare.
E pisciforme, e come un pesce in fika idda sa nuotare.
Ma sarebbe più giusto assai salire cu idda nell‟Olympazzo.
Ma Zeus teme la mia “Furbizia”, il mio furbo kazzo.
Rispondimi, “Furbizia”, sii chiara e illuminante.
Dammi un segnale chiaro, evidente, lampante.
Ahhhhhhhhhhhhhhhhhhh... dammelo qua>>.
<<Minkia che attore, potrebbe recitare al teatro greco di Epidauro la bella, ma anche
in quello di Taormina la bellissima, o di Akraj al bidduzza ma non in quello di
Sarausa per motivi tecnici: le multazze e altro>> pinsò Helena che finalmente si
decise a taliare.
<<Minkia, minkia, che spettacolo della minkia>> pinsò Helena taliando.
Odisseo era disteso nel letto con le gambe e le braccia a X e quattro femmine con una
mano gli tenevano uno degli arti fermo e con l‟altra gliela minavano. Quattro mani
per una minkia. E la povera ciolla, povera per modo di dire, era strapazzata alla
sanfasò. Un colpo di qua e uno di là. Helena capì chiaramente le parole del monologo
di Odisseo. E trasiu di botto. E di botto la ciolla si ammosciò.
<< O bedd‟aceddu, torni da tua moglie Penelope o no?>> chiese Helena.
<< No, perché per colpa tua la minkia mia s‟ammosciò>>.
<< Rinascerà, risorgerà, rifiorirà, ma lasciami però fare>>.
<< O beddu pakkiu, ma che minkia ti sei maritata a fare?>>.
<< Tanto per addivintari regina, regina potenti e ranni.
Pinsannu ca Mynkyalao tinissi n‟eroe dintra li mutanni.
Invece teni na cosa ca più che altro dorme e riposa.
E idda, la minkia babba, lassa vacanti la mia vorace cosa.
E se riposa è pirchì ci sta na gran figghia di buttana
ca ci la sta spurpannu, tout court e full time, sana sana.
Pertanto la mia fiketta bedda cerca kazzi alla sanfasò.
A chi teni bona la minkia, io la fika subito gliela do‟.
Paria bona la tua cicia bella, ma arrimuddò per niente.
Non la devi chiamare “Furbizia” ma solo “Deficiente”>>.
Odisseo la taliò di brutto. Sminkiato e inkazzato com‟era.
<< Io tornerei a letto e mi immolerei sulla minkia di mio marito all‟istante.
Poi chiuderei gli occhi e sognerei di cavalcare il mio bell‟amante.
E quannu proprio lu pitittu mi addivorerebbe lu pakkiu infuocato.
Penserei all‟amante e cu lu itu darei aiutu a lu me stikkiu addolorato.
E se propriu lu itu nun fosse per niente sufficiente a dare consolazione.
M‟accatterei un Sosia della minkia del mio amatissimo minkione >> rispose
Odisseo sempre più inkazzato.
<< Da mio marito non torno, no. Per carità. E il Sosia ci l‟haiu già>>.
<< Usalo allora, usalo a iosa e alla sanfasò, usalo se ti va?>>.
<< No. No e poi no. Il Sosia non va bene se c‟è la carnazza.
Sì al Sosia, ma solo se manca la vera mazza>>.
<< Sofisticata babba come Mynkyalao e la so razza.
Si scema tutta, ninfomane sicuro e fors‟anche pazza>>.
<< Pazza di minkia sono, pazza di kazzo, pazza di ciolla bona.
Pazza di fallo, pazza di mentula ca sappia fare lampi e trona>>.
<< Pi mia solo pazza sei. E pazza finanche tropp‟assai.
Penelope, in confronto a tia, è una santa e così sia.
D‟altra parte la tua fika sarà solo portatrice di guai.
Malirittu lu iornu ca nata sei in chistu kazzu di munnu.
Maliritta tu, cu ti siminò e malirittu puru lu to kunnu>>.
<< Zeus mi siminò, malirittu bestemmiatore di li dia.
Pi tia ci sarà solo lu Tartaro. Lu Tartaro e così sia>>.
<< Chi minkia dici? Io cu la me furbizia ca mi nesci da li capiddi
avissa cririri a l‟Olympazzo e a li so minkia di pupi e pupiddi?
Io ateo sono e dell‟Olympazzo mi ni futto a iosa e a tinchitè.
Iu criru, a dire il vero, sulu a la me bedda minkia e a me.
Se girerò lu munnu non è per destino o per volontà divina.
E che a mia mi piaci circari kunna e futtilli a minkia cina.
Mi piace girare pi paisi e terre sconosciute e misteriose,
pi capiri la varietà di la fika e tutte le annesse e connesse cose.
Tornare a casa da Penelope e Telemachetto scassapiselli?
No. Meglio prendere in kulo del mondo tutti gli uccelli>> precisò il sempre
inkazzatissimo Odisseo..
<< Odisseo, uccello io non ho, mentre il tuo io vorrei.
Per consolare la mia fika, la mia cara e delusa lei.
E brutto cercar minkie e ciolle la notte del matrimonio.
Ma il mio Tartaro vuole per forza il suo demonio.
Odisseo, chi minkia di minkia di kazzu fazzu?
Consolami la parte addolorata, altrimenti m‟ammazzu.
Dammi la tua ciolla, ficchimilla tutta e assai assai.
Kazzicatummulimmi a più non posso, come non mai>>.
<< Mancu pi lu kazzu... tu si assassina ranni di uccelli.
Più assai assaissimo di Penelope tu sei skassapiselli>>.
Le femmine non riuscivano a rimettere in sesto la “Furbizia”. E Odisseo vedeva
crescere in maniera incommensurabile la sua inkazzatura.
<< Io li ammoscio l‟acedda, ma li metto anche additta.
La mia arte erotica è vera, non è per niente aria fritta.
Levatevi dalle balle femminazze senz‟arte ne parte,
che con otto mani potete andare a giocare a carte.
Se in quattro una minkia di ciolla non sapete risollevare,
è meglio che come femmine smettete di operare.
Andate via tutte e lassatimi a mia quella ciolla.
In un fiat non sarà chiù minkia babba e mancu stolla.
E poi, Odisseo caro, hai detto di esser minkia - pesce di mare.
Ebbene, nel mio stikkio ci sta l‟oceano, datti da fare>>.
Odisseo taliava come un koglione. La sua “Furbizia” giaceva come morta. Ma in un
amen Helena la mise additta. Si avvicinò a quella ciolla e ci parrò. Poi la toccò con la
punta della lingua, e quella si mise in piedi. Tisa assai. Anzi tisissima.
<< Minkia, Helena dei miracoli sei>>.
E Odisseo, felice, si la fece la bella Helena, in quattro e quattrotto. La futtiu e rifuttiu
col botto. La misi alla pecorina e la trummiau davanti e darreri a minkia cina. Poi ci
fici cangiari posizioni e ci futtiu dintra magari i koglioni. A ammentri ca iucavanu a
trasi e nesci il Sosia abballava per i fatti suoi. E ammentri sperimentavano una
posizione acrobatica, che Odisseo era esperto in questo, la furbissima Helena pinsau
furbescamente di farsi a Odisseo con il Sosia di Paryde. Ma Odisseo era furbissimo e
capì la sceneggiata e furbescamente la lassau fare. Ma quannu capì che la furbissima
mano di Helena avia misu la finta minkia davanti al furbissimo buco del suo
furbissimo kulo, Odisseo, con una furbissima e acrobaticissima mossa, rovesciò tutte
le posizioni, e da quella posizione acrobatica passò ad un'altra ancora più acrobatica,
con il risultato che la finta minkia finì nel kulo della stessa Helena, che da inkulante
che voleva essere, si trovò ad essere inkulata. Provò però tantissimo piacere. E
piacere assai provò anche il furbissimo Odisseo e la sua furbissima minkia che
s‟appellava “Furbizia”. Più che una fikkata tra Odisseo ed Helena quello era stato un
duello tra due minkie, la “Furbizia” e la “Gioconda”. E aveva vinto la “Furbizia”.
<< Itu miu o ciolla d‟amante: questo è il dilemma mio? >> disse Helena.
<< Minkia. Meglio senz‟altro la ciolla, ti rispondo io>>.
<< Ma di chi? Di mio marito o di chi minkia voglio io?>>.
<< Se la minkia di lu maritu vali menu di na minkia di itu,
lu kazzu di l‟amanti è senz‟altro il kazzo preferito.
Ma se l‟amante non puoi avere per ben trombare,
di quello che ti passa il mercato ti devi accontentare.
E se proprio lu chiodu cu n‟autro vuoi scacciare,
cerca la bestia di Pryapo e da chiddu fattilla passari.
Anche se sono quasi sicuru, e dico veramente la verità,
che neanche lui, cu chiddu gran kazzu, ti soddisferà.
Perchè nonostante il suo potente armamentario,
il problema non è la minkia ma il suo proprietario>>.
<< Andrò da Pryapo. Sì, io andrò dal dio dei bordelli.
Il suo kazzo vale mille e mille e mille ancora uccelli>>.
<< Ma almeno dimmi se la minkia mia, e dimmillu chiaru e tunnu,
se la furba minkia mia lu stutau lu focu ca ardia na lu to kunnu? >> chiese
Odisseo, perché, come a tutti i maschi, anche a lui ci piacia sentirsi dire dalla
fimmina ca era tutta ma proprio tutta soddisfatta.
<< Mancu di na stizza, lu kunnu mi pruri e m‟attizza.
Iddu assai m‟impazza e voli tutt‟autra minciazza.
Anche se devo dire, e sono sincera, ca a futtiri cu tia,
sia lu kunnu ca lu ciriveddu assai assaissimo si arrigria.
E poi il ribaltone assai assaissimo veramente m‟è piaciuto.
Mi son trovata inkulata mentri eri tu che dovevi esser fottuto>> rispose Helena .
<< Che fai allora, bedda mangiacicia di la minkia mia?
Pryapo, Mynkyalao o Paryde o autra minkia e così sia? >>.
<< Voglio la minkia di Mynkyalao? No, sono sicura. Non adesso. Voglio la minkia di
Paryde? Sì. Sono sicura. Ma non adesso. Però, voglio provare la minkia di Pryapo?
Certo. E adesso. E subito. Ma voglio anche minkie su minkie e poi ancora minkie e
minkie e minkie e ancora minkie, perché io voglio sempre una minkia nel pakkio.
Voglio solo e sempre una minkia. Voglio una minkia>> gridava adesso Helena.
<< “ Nosce te ipsum” dice un detto, ovvero “ conosci te stesso”,
e per conoscere il tuo pakkio di Pryapo devi assaggiare il sesso.
N‟autro detto dice “ omnia vincit amor, et nos cedamus amori”,
ma prima dell‟amore è giusto provare Pryapo e i suoi erotici furori.
E sai chi ti ricu? Se voi na minciazza veramenti assai imponente.
Vatti a spurpari sana sana quella di Pryapo immediatamente>>.
<< Sì>> gridò. E gridando sukava. Non una minkia ma nu minkiuni di minkiajuana.
Era comunque contenta Helena. Il teatro con Odisseo era stato uno spettacolo bello.
Una bella messa in scena. Le quattro ragazze avevano addirittura applaudito.
Bellissima lei, brutto ma bravo lui. Da attori professionisti la performance. E poi,
come in un bel giallo, c‟era stato il colpo di scena finale. Ma nonostante le trovate
del signor Odisseo, per la sua “Luna” era un signor Nessuno. Titolo plausibile, A letto
con la furba ciolla di Odisseo. Un chiaro ed evidente esempio di Teatro nessuno.
In testa la solita tortura ideologica: <<Che kazzo devo fare?>>.
Anche Odisseo e le sue amiche si sukanu il loro minkiuni di minkiajuana. Ma
Odisseo la chiamava minkiaodisseiana.
<<Che mentula di ciolla di cicia del kazzo di una minkia devo fare?>> pinsava
intanto Helena.
E saltava, correva, capitombolava, s‟annacava, sculettava e faceva la smorfiosa. Tutto
a tinchitè, alla sanfasò e a iosa. Tutto questo nei corridoi del palazzo reale di
Munypuzos. Sapeva la bella Helena che l‟arte del kazzicatummuliamiento la stava
portando sulla ciolla di Pryapo. Proprio “sulla”. Per provare l‟overdose dell‟overdose.
Quella era la notte di li kazzicatummuli, visto che aveva solo e soltanto
kazzicatummuliato da un kazzo all‟altro. Aveva rifiutato solo di kazzicatummuliare
con Agamynkyone. Fuggiva dal fallito kazzicatummulio maritale e correva
sicuramente verso il kazzicatummulio con Paryde, ma tra tanti kazzicatummulii con
kazzi veri e kazzi finti, non poteva certo mancare un kazzicatummulio con la ciolla di
Pryapo. Tanto per. Per provare l‟oversize dell‟oversize. La XXXLLL dell‟XXXLLL.
Tanto per annoverare nella sua Minkioteca anche la ciolla delle ciolle. Ma sempre
per finire con la ciolla dell‟amore. Era bello comunque questo “minkia tur” che la
portava di cicia in cicia ad inciciare. E adesso si apprestava ad inciciare con il non
plus ultra delle cicie. Questo era l‟ostacolo più grosso da superare. Dopo ci sarebbe
stata la discesa verso il traguardo. Verso la minkia di Paryde. Verso la “Gioconda”.
Perchè quella di Paryde era la sua cicia, la sua cicia tout court e full time.
L‟imminkiamento con le tante minkie del “minkia tur” si era risolto sempre in una
draconiana batracomiomachia. Ma la batracomiomachia più stupida, quella con la
minkia di Agamynkyone, l‟aveva giustamente evitata. Ed era sicura che anche
l‟imminkiamento con Pryapo si sarebbe risolto in una batracomiomachia.
--O Odisseo, che con la testa pensi e con la ciolla fai.
Ti stavano inkulando ma tu inkulasti chi inkularti voleva assai.
Teogonio
--La ciolla più furba diventa scema se la femmina sa come trattar la ciolla.
Euclidetto
--Tutte le ciolle hanno la loro Penelope. Ma non tutte le ciolle hanno un padrone come Odisseo.
Lucio
--Girare a vuoto lu munnu eni bellu sulu se fai magari gira di kunnu.
Lucio
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Due tizi originari di Leonthynoy e Karleonthynoy cercarono di valutare il numero
delle ciolle “modello Odisseo” di cui aveva bisogno Helena per dimenticare la ciolla
di Paryde.
<< Quattro milioni di ciolle “modello Odisseo” posson bastare. Ma deve essere
documentata la loro furbizia>> disse il tizio di Karleonthynoy.
<< Otto milioni di ciolle è la giusta quantità, otto milioni di ciolle furbe però>>
replicò il tizio di Leonthynoy.
Ma da Palermorum fecero sapere che la valutazione poteva arrivare al massimo a
quaranta milioni di ciolle “modello Odisseo”. Purtroppo un altro tizio perse i
documenti e tutto finì a ciolla di nessuno. A ciolla di kazzo di minkia di nessuno.
Ignoravano i suddetti che per il pakkio libero di Helena qualsiasi ciolla valeva zero.
Anche quella di Odisseo. Mentre la ciolla di Paryde valeva più dell‟universo tutto
sano sano. Ma loro purtroppo sapevano dare solo i numeri. La ciolla dell‟amante era
per Helena la ciolla più furba tra tutte le ciolle furbe.
--Quattro milioni.. otto milioni.. quaranta milioni..
senza documentazione che rottura di koglioni.
Detto popolare
--Per tutto il palazzo reale risuonò sempre più violento il noto notissimo lacerante e
addolorato urlo di Helena. Anche se questa volta c‟era un qualcosa di diverso. Un
atonalità nuova. Una sonorità nu tanticchia assai diversa. Però l‟impressione generale
faceva definire l‟urlo in questione un qualcosa di nettamente tonitruante.
<<Voglio...
una minkia..
una minkia..
una minkia...
una minkia..
una minkia...
una minkia..
una minkia..>>.
Per poi finire con un micidiale:
<<Voglio una
MINKIA
>>.
E pure la sua “Ciolloteca” urlò un “Ciolloteca -tonitruante” urlo assai lapalissiano.
<<Voglio una minkiaaaaaa...una minkia che sappia fare la minkiaaaaaa..>>.
E non era un lapsus calami o un lapsus linguae. In vino veritas. O meglio, in kunnus
veritas. Gutta cavat lapidem, mentula cavat kunnus.
Il sogno di Helena, e della sua “Ciolloteca”, era quello di gridare in faccia all‟urbe,
all‟orbe e all‟Olympazzo tutto:<< Habemus mentula>>.
Ma il problema era “Quale mentula?” Una mentula qualsiasi o la mentula di Paryde?
“Melius abundare quam deficere” diceva un detto latino latinamente latinissimo.
E allora meglio un‟overdose di mentuline, mentule, mentulone e mentulazze per
dimenticare la mentulina di Mynkyalao e non pensare alla mentulona di Paryde.
<< E overdose sia.. con tanti parerghi e senza paralipomeni>> disse Helena.
--Tutto il mondo è paese, tutte le donne hanno un kunno,
ma non tutti gli uomini hanno un kazzo funzionante.
A gennaio la minkia caura, a luglio la minkia frisca.
A nemico che fugge ponti d‟oro. A minkia che arriva anche.
Detti popolari
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A curtigghiari c‟erano i tre intellettuali della ciolla che orami tenevano grossi e
incommensurabile e diciamo pure incontenibili problemi di ciolla che richiedevano
provvedimenti draconiani, ma intanto iddi pinsavano di scrivere rispettivamente,
secondo la propria specializzazione, il Poema Helena s‟inphalla il phallo furbissimo
di Odisseo e cerc‟anche di sodomizzarlo col Sosia di Paryde ma il furbissimo fa si
che Helena si autosodomizzi, il Carmen Helena s‟immentula la mentula furbissima
di Odisseo e prov‟anche a mettergli in kulus il Sosia di Paryde ma il furbissimo fa si
che Helena si la metta da sé nel suo stesso kulus, e il romanzo Cent‟anni della
minkia furbastra di Odisseo per il pakkio affamato di Helena ca cerca di sfunnarici
lu kulu a Odisseo però il tutto finisce con una bella autoinkulatura.
Sokratynos, il filosofo della minkia, anche lui con evidenti problemi di ciolla, si
chiese: << La vita è una, come la minkia, e se non è un piacere vivere e avere una
minkia, a che minkia serve avere una minkia se poi non puoi imminkiare manco
quella troia di Helena che invece si lascia imminkiare dalla furbissima minkia di
Odisseo che cerca però di inkulare col Sosia solo che poi finisce con una bella
autoinkulatura e tutto questo mentre, minkia d‟una minkia che vorrebbe imminkiare
a minkia cina, ci sarebbe la mia tonitruante e filosofika minkia disponibilissima a
imminkiarla filosofikamente, e fors‟anche il mio filosofico kulo pronto a farsi
inkulare dal Sosia intanto che, oltre che imminkiarla assai assaissimo, la inkulassi
anche, sempre filosofikamente però, ma sempre assai assaissimo però?>>.
--<< Voglio una minkia, ma non voglio la minkia di Mynkyalao. No, sono sicura.
Voglio la minkia di Paryde. Sì. Sono sicura. Però, sono sicura, voglio provare la
minkia di Pryapo. Prima di kazzicatummuliare in sekula sekulorummu cu Paryde,
voglio provare il kazzicatummuliu cu lu kazzu di Pryapo>> gridava adesso la sposina
cercaciolle. E forse gridava pure di pakkio.
Helena non sapeva se andare da Paryde o dalla prima minkia che capitava dopo
quelle vere e genuine e reali di Zeus, Eros, Apollo, Efesto, Ares, Ermete, Asclepio,
Ganimede, Eolo, Achylle, Patroclo, Mynkyoreste, Pilade, Castore, Polluce, Edipo e
Odisseo e quelle artificiali di Pallade e Artemide a cui aveva però ricambiato il favore
ricevendo in regalo un Sosia che lei aveva battezzato “Gioconda”.
E la “Gioconda” era andata anche in kulo a Ganimede, Achylle, Patroclo,
Mynkyoreste, Pilade, Castore, Polluce e Antigone. E per minnitta e solo per quello
era andata in kulo ad Agamynkyone che però non era andato in kunno alla cognata
che aveva optato per il “gran rifiuto”. Il Sosia detto la “Gioconda” aveva tentato
anche di andare il kulo a Odisseo ma Odisseo l‟aveva fatto finire in kulo a Helena. E
adesso lei voleva Pryapo .
Andare da Paryde voleva dire che era semplicemente innamorata, anche perché
Paryde avia si un bell‟uccello ma non era certamente il massimo in fatto di misure.
Ma lei avia il kunno innamorato: e l‟amore è capace di far teoricamente diventare un
elefante magari una piccola mosca. Andare da Pryapo voleva semplicemente dire che
voleva provare la minkia delle minkie. Solo sesso per il sesso.
<< Sono andata a minkia e mi sono imminkiata sulla prima minkia che ho trovato
per cercare di non pensare né alla minkia di Mynkyalao che mi fa schifo né a quella
di Paryde che mi appititta. Ma mi voglio togliere la soddisfazione, gira e rigira,
imminkia prima e imminkia appresso, mi voglio togliere la soddisfazione di farmi
trombare dalla ciolla delle ciolle, dalla ciolla di Pryapo. Anche perché, certifikato che
per il mio kunnu la minkia di Paryde è la megghiu minkia, la ciolla ad hoc, voglio
una volta tanto provare la minkia primaria del kreato>>.
--<< Voglio una minkia. Voglio la minkia di Pryapo. Voglio una minkia. Voglio una
minkia e no un simulacro di minkia. Ho bisogno di una minkia ma non so di quale
minkia? Voglio una minkia e no una bestiaccia di minkia. Voglio una minkia e no
una bestiona di minkia. Voglio una minkia che sappia fare la minkia. Voglio una
minkia, una minkia, una grande minkia. A dire il vero so quale minkia voglio per
kazzicatummuliari. Insomma, se la ciolla maritale è un fallimento, la sposina deve
andare direttamente da quella che è la ciolla già sperimentata dell‟amante o iniziare
la ricerca della ciolla ideale, sperimentando minkie su minkie e ancora minkie e
minkie e poi ancora minkie a iosa, alla sanfasò e a tinchitè tout court e full time?
Oppure, per tagliare la testa al toro, correre da Pryapo e farsi somministrare la sua
ciolla, praticamente la regina di tutte le minkie dell‟urbe, dell‟orbe e dell‟Olympazzo.
Insomma insomma, il kazzo amatissimo dell‟amatissimo amante o il kazzone
katholikos di Pryapo o semplicemente kazzi su kazzi scelti a kazzo ma che sappiano
fare professionalmente il lavoro del kazzo? Insomma insomma insomma, arriverò
mai al giusto kazzicatummuliamiento? >> continuava a gridare Helena.
Uscita dalla stanza di Odisseo Helena andò immediatamente da Pryapo. La tappa più
importante, più sostanziosa del suo “minkia tur”. L‟ostacolo più grosso nel vero
senso della parola. Ma per lei un nonnulla leggermente più impegnativo dei tanti
nonnulla di quella notte. La ciolla delle ciolle, il terrore dei pakki, lo sventrapassere
per eccellenza non la spaventava. E quello sventrava di tutto, non solo passere.
Iddu era a letto con otto Menadi bellissime e nudissime. La prima si la facia rattari
dal dito della mano sinistra, la seconda si la facia stimolare dal dito medio della mano
destra, la terza dal ditone del piede sinistro, la quarta dal ditone del piede destro, la
quinta dalla lingua, la sesta ci alliccava lu kulu e la settima li palli. E l‟ottava facia la
trottola sulla minkia di Pryapo, e minkia come trottoliava. Erano insomma un bel
quadretto. Un quadretto familiare.
<< Figlie mie belle, drogatevi a tinchitè e finanche a iosa.
Insiringatevi nei buchi vostri la mia cosa portentosa.
La dose, ben tagliata, è assai assaissimo consistente.
Attenzione pertanto al coma da minkia allucinante>> diceva Pryapo.
<< Pryapo, Pryapo dalla ciolla potente e assai bella,
Mynkyalao non ci la fa a stutari la mia funnacella >> disse Helena.
<< Ci la fa, minkia, se ci la fa, e comu se ci la fa.
In fondo ci l‟avi di buona fattura e qualità.
Solo che ci sta na sukaceddi specializzata
ca ci suka finu all‟ultima stizza di spakkiata.
Ma tu adesso addesideri, pi sunari la to campana,
lu marrugghiu di n‟autru figghiu di buttana.
Pirchì chistu è lu to pitittu, e nun fari la stolla,
tu vuoi a Paryde, anzi, vuoi la sua ciolla>> rispose Pryapo continuando i suoi
lavori multifikali.
<< Non è vero. No. Comunque adesso io voglio a tia.
Pi na bella scupata consolatoria a tutta minkia e così sia.
Manna queste otto minkia di troiette a fare in kulo,
e pensa a mia, che più di queste otto valgo di sicuro.
Voglio la tua minkia, che è la minkia più potente di lu munnu.
Idda è la droga primaria pi qualsiasi, e non solo, kunnu.
Insasizzami tutta, ma proprio tutta, la to bedda sasizza.
Stuta lu focu ca arde in me, lu focu ca il pititto m‟attizza.
Mannami in overdose, mannami in overdose di minkia a mia,
fa ca cu l‟autri minki sia solo una batracomiomachia>>.
<< Posso, ma non prometto una minkia. So che idda lavora a tinchitè.
A tutte piace la minkia mia, ma soprattutto piace quel che attaccato c‟è.
Ed è vero, ma talmente vero, quello che adesso penso io,
che non sono mica un fesso, perchè sono della minkia il dio,
che io sono sicuro, assai assaissimo assai sicuro, che a tia,
adesso, non ti abbasterebbe neanche la minkia mia>> rispose Pryapo.
<< Facciamo la prova, sono qua per questo. Prova.
Tu mi la ficchi e io vedo come il mio pakkio si trova.
E voi lassate stare quella cosa bedda e portentosa,
che ci basto io e la mia insoddisfattissima cosa.
“Chiodo schiaccia chiodo” dice un detto popolare.
Un chiodo chiù grosso del tuo dove kazzo lo posso trovare?>>.
<< Non esiste, e non per vantarmi, mica sono un pazzo.
Ma questa minkia mia del kreato è il più grande kazzo.
E voi tutte lavorate, care le mie menadi innamorate>> rispose il ciolluto Pryapo.
<< La voglio, ma mi scanto adesso. Però la voglio tutta lo stesso>>.
<< Sukati stu minkiuni di erba mia ca lu scantu va via>>.
<<
<<
<<
<<
Sugnu già cina assai, cina tutta sono di minkiajuana>>.
Chista è n‟autra cosa.. chista è.. è minkiapriapriana>>.
Cangia lu nomi, ma in funnu è la stissa identica cosa>>.
Non è vero. Kazzo. La mia minkia si chiama minkia,
come tutte le altre minkie, ma non è però la stessa minkia.
Idda, la mia cicia, è n‟autra cosa, tutta ma tutta n‟autra cosa.
Non per vantarmi, ma in chista facci di munnu forse creato,
nu kazzu come il mio nun c‟è. E nun c‟e mai maissimo stato.
E per dirla tutta e chiara la facenna, diciamo finu in funnu,
manco in futuro ci sarà omino o armaru cu stu sfunnakunnu>>.
<< Lu nomi è sempri lu stissu, minkia, ma cangia la misura.
L‟erba è la stissa, ma cangia lu nomi e non la sua natura>> replicò lei.
<< Prova, e non rompere li cugghiuna e lu beddu kazzu>>.
<< Io preferisco provare la to ciolla na lu me curtighiazzu.
Addubbami di la ciolla tua a iosa e finanche a tinchitè.
Fammi scurdari ca na lu munnu autru genere di minkia c‟è.
Drogami, ubriacami, fammilla sciri da li naschi e da l‟occhi.
Fammi scurdari minki tinti, minki normali e minki docchi.
Fammi sulu gudiri, gudiri assai, gudiri a minkia cina.
Passami e ripassami sta minkia tua, sta minkia assassina>>.
<< E va bene, facciamo un giro e basta. Un giro solamente.
E voi smontate, care amiche, serve della mia ciolla ardente.
Voglio provare, su sua richiesta, a kazzicatummuliare
chista bedda signora che voli la mia bedda ciolla provare >>.
Manco il tempo di dire questa frase che Helena era già nuda. Poi ci acchianau di
supra e s‟impalau automaticamente su cotanta e cotale ciolla.
<< Minkia, chistu purtusu nun è nu kunnu.
Minkiazza. Chista è na sterna senza funnu.
Minkiuni. Chi filazza cunsuma sasizzuna.
Minkiazzuna. Chi ucca spremi cugghiuna.
Minkiaranni. Mischineddu cu ci la fikka.
Minkiarossa. Là dintra la minkia s‟impikka.
Minkiapotente. Quasi quasi nun ci la fazzu mancu iu.
Minkiadivina, iu ca di la ciolla sugnu lu veru diu>> scherzò Pryapo.
In effetti la fregna di Helena era una fregna mangiona. Mangiona di minkie
naturalmente. Ciollofagia era. Ma la minkia di Pryapo era una cosa mostruosa.
E da mostro agì. Ad un certo punto il dio della minkia prese la femmina e si la mise
sulla cappella e con una spintarella la fici firriari a iosa e alla sanfasò e finanche a
tinchitè. La fici firriari in senso orario e in senso antiorario. Quannu era orario idda
sciddicava sulla ciolla, quannu era antiorario idda risaliva sulla ciolla. Paria na
trottola la bella Helena. Firriava sulla minkia idda, ma firriava anche la sua testa.
Firriava tutta a velocità variabile, tra un minino forte e un massimo lento. Tra
apofallo e afallo. E descriveva una spirale detta epiminkiacicloide. Girava e non
capiva una minkia, eppure firriava su una minkia. E che minkia. Gudiu assai di
pakkio ma non di testa.
Effettivamente Helena tinia una fika vorace, ma la ciolla di Pryapo era chiù vorace
di quel pakkio. Senza misu no cuntu Pryapo si futtiu accussì la novella sposa proprio
la notte del matrimonio. Dopo la sasizzedda inutile e scipita di Mynkyalao, e dopo
tante sasizze doc e meno doc, comprese anche alcune sasizze finte, idda assaggiò lu
sasizzuni oversize di Pryapo. Ma di tutte queste ciolle a Helena non importava
niente. Neanche di quella di Pryapo. Era si una overdose ma nun la mannava in
overdose. Cosa che riusciva all‟ipodose di Paryde. Infatti Helena in cuore, in
ciriveddu e in kunnu vulia sulu chidda di Paryde. Non era pititto di ciolla in generale,
era pititto di un certo proprietario di ciolla, più che di una ciolla. Comunque non fu
un giro che fece sulla minkia di Pryapo, furono mille almeno.
<< Ti abbastau sta kazzu di minkia di la ciolla mia?
Rispondi il vero veramente. Metti da parte l‟ipocrisia.
Non fare, bedda mia, come certi politicanti o avvocati,
che tutte le parole che dicono son solo minkiate >> chiese il dio itifallico dopo le
molte prestazioni.
<< No, io voglio la “Gioconda” e così sia. Chidda è la giusta minkia pi mia>>.
<< Ehhh..>> fece Pryapo.
<< La “Gioconda“ è.. è la minkia di Paryde che è sempre allegra assai assai.
Pur nicaredda rispetto alla tua, mi manna in overdose di minkia più che mai.
Chistu è il suo Sosia. La minkia finta. E lavora megghiu di tanta minkia tinta>>.
<< Nun è problema di misura, è problema di proprietario, ciolla mia biniritta.
Corri e vatti a fikkari na lu lettu di chiddu la cui ciolla ti appititta.
Corri. Corri e vai, vai in un amen e in un fiat dal tuo bel Paridazzu.
Sukici li beddi cugghiuna e consumaci tuttu ma proprio tuttu lu kazzu.
Chissu minkia di Sosia, paragonato alla mia, eni na ciolla di picciriddu.
Ma a tia ti smovi lu sintimientu. Ti smovi l‟amuri ca parti da lu kunniddu.
Ti smovi tutta e ti adduma e ti fibrilla e sfribilla e t‟infiamma la filazza
megghiu di qualsiasi megaminkia, compresa la mia super minciazza.
La mia ti lu vinci tuttu, ti lu allaga a iosa, e tuttu ti lu sona e controsona.
Ma chidda di Paryde, giustamente, ti fa fari lampi speciali e anche trona.
E sulu e soltanto una questione d‟impressioni, di bell‟assai sensazioni.
E voi Menadi belle datevi da fare col mio gran kazzo e i miei koglioni.
Che io intanto, per piacere sommo, vi canto nu tanticchia di canzoni>>.
<< Non lo fare, Pryapo beddu, non lo fare.
Che Zeus è ancora impegnato a scopare.
Altrimenti, poverino, lo deminki all‟istante.
E lui resta con la ciolla infelice e dolorante>>.
<< Sto muto e cambio immediatamente, seduta stante, programma.
Tutte mi diano la fika da alliccare per evitare il minkiazeusdramma>>.
E così fu. Ma prima Pryapo fece una considerazione.
<< Helena, la minkia mia bedda, e lu fattu era già chiaru e tunnu,
nun lu putia stutari sta minkia di focu ca ardia na lu to kunnu.
Iu ci l‟haiu misu tutta, t‟haia fattu firriari come na trottola pazza.
Tu hai fatto cala, acchiana e scinni, firriannu sulla mia minciazza.
Tu hai visto li stiddi, li stidduzzi, li stidduna e puru li stiddazzi,
ma pi tia, a parti la minkia di Paryde, nun ci sunu autri validi kazzi.
Tu nun vuoi n‟aceddu ranni e potente, nun vuoi robba di chidda bona.
Tu vuoi sulu la minkia bedda e nica di una certa bedda persona.
Cara Helena bedda e bona, basta adesso con l‟andare pieri pieri.
La “Gioconda” è la tua pompa ad hoc e Paryde è lu to pompieri>>.
<< Parole sante e giuste. Paryde tiene lo strumento adattu,
pi farimi godere come fa la iatta in amuri cu lu iattu >>.
<< Tu, beddu pakkiu spilatu, comu chiddu di la mamma mia,
devi sapere ca lu stikkiu è sulu nu strumentu e così sia.
Pi farla cutta e netta eni comu la bedda campana biniritta.
Ognuna avi lu so battagghiu ca ci la sona a manca e a dritta.
E pi sunari al meglio la tua bedda e picciotta campana,
ci voli lu beddu spikkiu di Paryde cu la so ciolla buttana.
La campana s‟allarga e si stringi ed è bona pi tutti li mingi.
La minkia invece nun è lu battacchiu pi qualsiasi pakkiu.
Pertanto nun fari ancora kazzicatummuli di kazzu in kazzu.
Vai na sta ciolla di Paryde e acchiappiti lu so citrulazzu.
Anche se la cosa non è tanto nota, a scatinari la fantasia,
é la futura scienza detta chimica, ovvero l‟attuale alchimia.
“Ubi maior, minor cessat”, e io e la mia ciolla ci ritiriamo.
Idda vale di più, ma manca l‟amore. Idda non ti dice “ti amo”.
Idda ti futti e strafutti e basta. Idda nun ti smovi la testa e il cuore.
“Melius abundare quam deficere” nun vali se oltre la minkia c‟è l‟amore.
Vai, corri e sauta sulla ciolla di Paryde, e ficchitilla tutta na lu purtusu.
E se ci riesci, facci trasiri a iddu sanu sanu là, a lu beddu iarrusu>>.
Pryapo sapeva che la misura è relativa. Che è il pititto che fa godere. E sì la voglia
della minkia, ma soprattutto è la voglia di avere tra le braccia il proprietario di una
certa minkia. E il proprietario che la femmina vuole. E siccome il proprietario è
maschio, deve pur avere una minkia. Una ciolla funzionante però. Il resto non conta.
La vera minkia e il vero pakkio stanno nella testa.
<< E infatti, la ciolla tua, mancu lu stutò di na stizza,
pirchì lu kunnu a mia mi pruri e m‟attizza.
Iddu assai m‟impazza e voli proprio tutt‟autra minciazza.
E se la minciazza desiderata non posso adesso avere,
con il Sosia di quella minkia intanto posso godere>> rispose Helena che oramai
stava capendo che la vera minkia per lei era quella di Paryde. Quello era lo strumento
ad hoc. La sua minkia ideale. Se manco Pryapo la mannava in estasi, non c‟erano
veramente alternative. Alternative alla “Gioconda” naturalmente. A quella vera e a
quella finta.
<< Grazie per il consiglio. Grazie. Iddu è giustissimo e bellissimo.
Adesso mi fazzu subito il Sosia del mio Paryde amatissimo.
Intanto che le otto Menadi con la tua ciolla si danno da fare.
Io, su questo stesso letto, dal Sosia mi lascio inkunnare>>.
Così fu. Helena si dava da fare con la ciolla finta, le otto Menadi con la megaciolla di
Pryapo. E intanto che operavano si taliavano reciprocamente. Fu insomma una doppia
esibizione sessuale. Una assolo per fika e minkia finta e una bella orgetta per sedici
mani, otto bocche, sedici minni e otto kuli e naturalmente otto fike per una
megaminkia. Ma a dire il vero l‟operato della minkia finta accese la fantasia delle
otto Menadi. E a dire sempre il vero accese anche la curiosità del kulo di Pryapo.
Infatti le Menadi chiesero un giro completo dei loro orifizi. Helena lo concesse . Le
Menadi ne furono felici. Poi toccò a Pryapo chiedere.
<< Cara Helena bedda, tanto per, diciamo, curiosare,
quel tuo bel Sosia in kulo me lo vorresti piazzare?
Non si tratta di avere una qualunque minkia artificiale.
Questa è del bel Paryde e come tale la vorrei provare.
Una volta, ai tempi del Sosia d‟oro, mancai l‟occasione
di sfondare, pi semplice minnitta, il kulo al bel Parydone.
Non so quando né come, ma mi prometto, in futuro,
di fargli ben assaggiare la mia megaciolla in kulo.
Intanto, visto chiddu ca nun successi, e visto ca tu sto Sosia tieni,
tanto per, mettimillu na lu postu unni ci sunu sia gioie ca peni.
E una curiosità scientifica e sperimentale per il mio ano.
Un giorno però si dirà ”Metodo Pryapo - Galileano”>>.
Helena concesse. Anzi, somministrò personalmente. Poi chiese:
<< Ma almeno dimmi se il Sosia di Paryde, e dimmillu chiaru e sicuru,
se codesta minkia finta lu stutau lu focu ca ardia na lu to kulu? >>.
<< No, fu solo una curiosità, una piacevol curiosità.
Tanto per capire come il bel Paryde in kulo va>>.
<< Come la mia. Una curiosità di dimensione diversa, ma solo curiosità.
Sol per capire che avere una minkia tanta non basta a dare la felicità>>.
Helena rise, Pryapo anche. Lui la pensava diversamente.
<< Ma dimmi una cosa. Tu che sei ciollofila naturale.
La mia grande ciolla quante ciolle normali vale? >> chiese curioso e ironico
Pryapo.
<< Diciamo.. diciamo quattro milioni. Quattro milioni di cicie normali vale.
Quattro milioni di normominkie. Questa la valutazione totale>> rispose Helena.
<< No. Facciamo otto milioni di ciolle normali. Otto milioni vale.
Ci pare una giusta valutazione di questo monumento nazionale>> dissero in coro
le Menadi.
<< No. No e poi no. Io.. io.. io pensavo di arrivare ad altro livello.
Io pensavo a un massimo di quaranta milioni per il mio uccello.
Quaranta milioni di minkie e di minkie tutte fuori misura.
E che minkia. Io sono il non plus ultra del regno della natura>> .
<< Ognuno certifichi quello che vuole>> aggiunse Helena.
<< E poi i documenti a chi li diamo?>> chiesero in coro le Menadi.
<< A un tizio del Pattuallopolys. Accussì li perde e tutto finisce a minkia siciliana. O
meglio, a cassata siciliana>> rispose Pryapo ridendo. Risero anche Helena e le
Menadi. La storia del Pattuallopolys era oramai la barzelletta per eccellenza
dell‟urbe, dell‟orbe e dell‟Olympazzo.
<< Senti, beddu pakkiu di beddu spikkiu di mennula amara,
la tua droga di chiama Paryde, e non fare la scema e la somara.
Iddu illumina lu to ciriveddu, iddu ti manna in estasi d‟aceddu.
Pertanto lasciati insiringare la so minkia, iddu avi l‟aggeggiu beddu.
Iddu, sulu iddu, è il parerga dalla minkia ca soddisfa la cosa tua, e a tia.
Con o senza paralipomeni, cu l‟autri minki è solo una batracomiomachia.
Forza, bedda mia, vai, curri, vola, sauta, e magari kazzicatummulia,
ma catafuttiti al più presto su chidda minkia, ca chidda è la pasticca pi tia>> disse
Pryapo con la sua faccia a minkia più della sua minkia.
Ed Helena andò via pinsannu alla vera minkia di Paryde e gridando ancora “Voglio
una minkia, ma non una minkiazza”. E pinsannu anche al fatto che Pryapo aveva
voluto provare il Sosia di Paryde. E naturalmente andò via sukando. Naturalmente nu
beddu minkiuni di minkiajuana.
Era comunque contenta la bella Helena. Il teatro con Pryapo era stato uno spettacolo
bello. Sontuoso. Corale. Una bella messa in scena. Monumentale in tutti i sensi. E
con otto spettatrici prima e otto attrici secondarie poi. Bellissima lei, bello e
kazzutissimo Pryapo. Da attori professionisti la performance. E su tutto, vera
protagonista, la ciolla di Pryapo. Il colosso dei colossi, il kazzo dei kazzi, la ciolla
delle ciolle, la mentula delle mentule. Colossale, gioiosa, extra, riempiente e capace e
resistente. Ma la sua “Luna” non era contenta per niente. Soddisfatta lo era, ma
contenta no. Neanche nu tanticchia. Forse quel monumento andava bene pi li stikkia
in generale, ma non certamente per il suo. Era soddisfacente, operante, tonante,
bombardante, ma mancava qualcosa. Mancava la scintilla del pititto che accende il
pakkio e la mente di una donna. Kazzicatummuliu di ottima qualità, ma senza chidda
cosa che adduma lu ciriveddu. Non c‟era nella ciolla di Pryapo la scintilla pi idda e pi
la so “Luna”. Pertanto la “Luna“ restava insoddisfatta. O forse insoddisfattina. O
forse soddisfatta o soddisfattissima . Ma mancava quel qualcosa che dà il tocco in
più. Sapeva allunare Pryapo ma non dare il tocco in più. Titolo plausibile, A letto con
la ciolla delle ciolle. Un chiaro esempio, tra tanti teatri a kazzo, di uno spettacolare e
monumentale Teatro del kazzo.
E lei a chiedersi la solita cosa: <<Che minkia devo fare?>>.
Anche Pryapo e le otto Menadi si fecero e strafecero di minkiajuana. Le Menadi
anche di minkia. Pryapo di tutto. Ma lui la minkiajuana la chiamava
minkiapriapriana.
<<Che mentula di ciolla di cicia del kazzo di una minkia devo fare?>> pinsava
intanto Helena. E intanto firriava per il palazzo contenta di aver provato cotal e
cotanto kazzo. Contenta ma infelice. Era altra la minkia su cui doveva fare la
kazzicatummula finale. Era la minkia di Paryde che l‟aspettava. Non aveva senso
farsi domande . Il suo destino era Paryde. O, se vogliamo, la minkia di Paryde. Anche
la tappa più pericolosa del suo “minkia tur” era stata fatta. L‟ostacolo più grosso era
stato superato. Il detto”chiodo scaccia chiodo” non aveva funzionato neanche con il
chiodo più grosso di tutto il chiodame umano e divino. Adesso poteva iniziare la
discesa verso la ciolla di Paryde. Se prima la strada era stata in salita, adesso era una
discesa senza precedenti. Forse poche tappe, forse pochi ostacoli la separavano dal
traguardo. Lo slalom stava per finire. Il “minkia tur” volgeva va al termine. O quasi.
--O Pryapo Megakazzone, per quanto kazzutissimo e minkiuto,
se la donna s‟accende per un pisellino, tu sei solo fottuto.
Alla femmina non interessa lo strumento ma l‟operatore,
lei non pensa alla ciolla bensì all‟amore.
Per lo meno fino a quando non capisce la questione:
Che la ciolla è una cosa e che n‟autra è il suo padrone.
Lesbiketta
---
Due tizi originari di Leonthynoy e Karleonthynoy cercarono di valutare il numero
delle ciolle “modello Pryapo” di cui aveva bisogno Helena per dimenticare la ciolla
di Paryde.
<< Quattro mila ciolle “modello Pryapo” potrebbero bastare. Date le dimensioni,
quattromila ciolle di cotale e cotanta fattura fanno quattro milioni di ciolle normali. E
il paragone mi sembra paragonabile. L‟elevazione a potenza pure. Non la radice
quadrata o il logaritmo. E neanche il limite e l‟integrale>> disse il tizio di
Karleonthynoy.
<< Otto mila, facciamo otto mila. Con ottomila la cosa è fattibilissima. Ottomila
cotali ciolle fanno otto miliardi di ciolle normali. E la proporzione mi sembra
proporzionale. La moltiplicazione pure. Andrebbe bene anche l‟addizione. Ma non la
divisione o la sottrazione>> replicò il tizio di Leonthynoy.
Ma da Palermorum fecero sapere che la valutazione poteva arrivare al massimo a
quaranta mila ciolle “modello Pryapo.” Purtroppo un altro tizio perse i documenti e
tutto finì a ciolla in kulo. Ignoravano i suddetti che per il pakkio libero di Helena
qualsiasi ciolla valeva zero. Anche quella portentosa di Pryapo. Mentre la ciolla di
Paryde, anche ciolla come tante nell‟urbe, nell‟orbe e nell‟Olympazzo, valeva più
dell‟universo tutto sano sano. Ma loro purtroppo sapevano dare solo i numeri. Non
erano ciollologi. Semmai kazzatologi. La ciolla dell‟amante era per Helena il lider
massimo di tutte le ciolle lider. Era la ciolla primigenia. La veterociolla. La
protociolla. La ciolla tout court e full time. La ciolla dei miracoli, la verga della
felicità, la minkia del piacere, la mentula del paradiso, la cicia dell‟estasi, la droga
giusta per il suo pakkio.
--Quattro milioni.. otto milioni.. quaranta milioni..
senza documentazione che rottura di koglioni.
Detto popolare
---
Per tutto il palazzo reale risuonò puntualmente, come un appuntamento fisso, il
lacerante e addolorato urlo di Helena, la cui fika era rimasta insoddisfatta anche dalla
imponente ciolla di Pryapo. Ma anche quella minkia, pur avendola addubbata a iosa,
alla sanfasò e finanche a tinchitè, l‟aveva lasciata infelice. Pertanto ci fu il solito urlo
grandiosamente tonitruante.
<<Voglio..
una minkia..
una minkia..
una minkia...
una minkia..
una minkia...
una minkia..
una minkia..>>.
Per poi finire con un micidiale :
<<Voglio una
MINKIA
>>.
E pure il suo “Tritakazzi”, urlò un “Tritakazzi -tonitruante” urlo assai lapalissiano.
<<Voglio una minkiaaaaaa...una minkia che sappia fare la minkiaaaaaa..>>.
E non era un lapsus calami o un lapsus linguae. In vino veritas. O meglio, in kunnus
veritas. Gutta cavat lapidem, mentula cavat kunnus.
Il sogno di Helena, e del suo “Tritakazzi”, era quello di gridare in faccia all‟urbe,
all‟orbe e all‟Olympazzo tutto:<< Habemus mentula>>.
Ma il problema era “Quale mentula?” Una mentula qualsiasi o la mentula di Paryde?
“Melius abundare quam deficere” diceva un detto latino latinamente latinissimo.
E allora meglio un‟overdose di mentuline, mentule, mentulone e mentulazze per
dimenticare la mentulina di Mynkyalao e non pensare alla mentulona di Paryde.
Ma adesso le cose erano cambiate. L‟oversize non l‟aveva mandata in overdose. Non
restava che Paryde. Non restava che la minkia di Paryde.
<< E overdose sia.. con tanti parerghi e senza paralipomeni. Ma se non mi manda in
overdose manco la cicia di Pryapo vuol dire che non è un problema di qualità o
quantità. Senza tanti parerghi, e soprattutto senza paralipomeni, il problema vero non
è il tipo di droga, il tipo di siringa, ma l‟insiringatore. E il mio insiringatore doc è
solo e soltanto Paryde. E allora corriamo da Paryde. Da Paryde ipso facto. Da Paryde
seduta stante. Oppure quasi ipso facto? O quasi seduta stante?>> disse Helena.
--Il pesce piccolo mangia il pesce grosso, la minkia grossa annulla la minkia piccola.
Non sempre il problema è il pesce, spesso il problema è il pescivendolo.
Pisci nicu, pisci ranni, nun si sapi mai chiddu ca si trova dintra li mutanni.
Una parola tira l‟altra, una minkia tira un‟altra minkia.
Il silenzio è d‟oro e la parola è d‟argento. Ma la minkia è di carne.
Detti popolari
---
A curtigghiari c‟erano sempre i tre intellettuali della ciolla, con sempre più evidenti
problemi di ciolla, problemi dolorifici che sfioravano il priaprismo, inteso come
patologia e non come caratteristiche somatiche, e che pinsavano già di scrivere
rispettivamente, secondo la propria specializzazione, il Poema Helena s‟inphalla il
megaphallo di Pryapo ma resta insoddisfatta anche da cotanto phallo mentre riesce
ad incuriosire con il Sosia di Paryde gli orifizi delle Menadi e l‟ano di Pryapo che
chiedono un giro con il finto phallo, il Carmen Helena s‟immentula la supermentula
di Pryapo ma resta piena di desiderio perché la megamentula non la fa godere
affatto e nello stesso tempo riesce ad incuriosire i buchi delle Menadi e il kulus di
Pryapo sulle effettive prestazioni della mentula finta tanto che quelli chiedono tutti
un giro di Gioconda, e il romanzo Cent‟anni della minkia della minkie di Pryapo
per il pakkio di Helena che però resta appitittata di tutt‟altra minkia ritenendo
insufficiente anche la megaminkia del dio dei bordelli che incuriosito chiede di
essere inkulato da quella minkia di minkia finta.
Sokratynos, il filosofo della minkia, anche lui con grossi ed evidenti problemi di
ciolla, si chiese: << La vita è una, come la minkia, e se non è un piacere vivere e
avere una minkia, a che minkia serve avere una minkia se poi non puoi imminkiare
manco quella troia di Helena che invece si lascia imminkiare dalla megaminkia di
Pryapo restando però insoddisfatta anche dall‟operato della prima minkia del kreato
ma suscitando nello tesso tempo la curiosità kulare di Pryapo nei confronti della
minkia finta di Paryde, e tutto questo mentre, minkia d‟una minkia che vorrebbe
imminkiare a minkia cina, ci sarebbe la mia tonitruante e filosofika minkia
disponibilissima a imminkiarla filosofikamente, e fors‟anche il mio filosofico kulo
pronto a farsi inkulare dal Sosia, intanto che, oltre che imminkiarla, la inkulassi
anche, sempre filosofikamente però ?>>.
--<< Voglio una minkia per kazzicatummuliari>> litaniava ancora Helena. Nonostante
il consiglio di Pryapo, Helena non sapeva se andare subito da Paryde o ancora dalla
prima minkia che capitava dopo tutte quelle che s‟era possedute. Quelle vere e
genuine e reali di Zeus, Eros, Apollo, Efesto, Ares, Ermete, Asclepio, Ganimede,
Eolo, Achylle, Patroclo, Mynkyoreste, Pilade, Castore, Polluce, Edipo e Odisseo e
quelle artificiali di Pallade e Artemide, a cui aveva però ricambiato il favore,
ricevendo in regalo un Sosia che lei aveva battezzato “Gioconda”. E la “Gioconda”
era andata anche in kulo a Ganimede, Achylle, Patroclo, Mynkyoreste, Pilade,
Castore, Polluce e Antigone. E per minnitta, e solo per quello, era andata in kulo ad
Agamynkyone che però non era andato in kunno alla cognata che aveva optato per il
“gran rifiuto”. Il Sosia noto come la “Gioconda” aveva tentato anche di andare il kulo
a Odisseo ma Odisseo l‟aveva fatto finire in kulo a Helena. E adesso aveva avuto
anche la minkia di Pryapo . E Pryapo e le otto Menadi che giacevano con lui
avevano avuto la finta minkia di Paryde. Ma Helena non era contenta. Voleva minkie
su minkie e ancora minkie e minkie. Eppure sapeva anche che la minkia giusta per lei
era quella di Paryde. Ma Helena non sapeva se andare da Paryde subito o a cercare
ancora minkie alla sanfasò. Minkie tout court e full time.
Andare da Paryde voleva dire che era semplicemente innamorata, anche perché
Paryde avia si un bell‟uccello ma non era certamente il massimo in fatto di misure.
Ma lei avia il kunno innamorato: e l‟amore è capace di far teoricamente diventare un
elefante magari una piccola mosca.
<< Vado ancora a minkia e ancora m‟imminkio sulla prima minkia per cercare di
non pensare né alla minkia di Mynkyalao che mi fa schifo né a tutte quelle che mi
sono fatta, compresa quella portentosa, ma inutile per me, di Pryapo. In fondo è
quella di Paryde che mi appititta. Diciamo la verità. Ed è da Paryde che devo portare,
prima o poi, il mio sesso. Perché per il mio kunnu chidda è la megghiu minkia di lu
munnu>>.
--<< Voglio una minkia. Voglio una minkia. Voglio una minkia e no un simulacro di
minkia. Ho bisogno di una minkia ma non so di quale minkia? Voglio una minkia e
no una bestiaccia di minkia. Voglio una minkia e no una bestiona di minkia. Voglio
una minkia che sappia fare la minkia. Voglio una minkia, una minkia, una “grande“
minkia. Una minkia grande in senso metaforico e non reale. Voglio una minkia assai
assai kazzicatummuliante. Insomma, se la ciolla maritale è un fallimento, la sposina
deve andare direttamente da quella che è la ciolla già sperimentata dell‟amante o
iniziare la ricerca della ciolla ideale, sperimentando minkie su minkie e ancora
minkie e minkie e poi ancora minkie a iosa, alla sanfasò e a tinchitè tout court e full
time? Non serve, per tagliare la testa al toro, correre da Pryapo e farsi somministrare
la sua ciolla, praticamente la regina di tutte le minkie dell‟urbe, dell‟orbe e
dell‟Olympazzo. E‟ certamente un bel kazzo, ma per me non vale una ciolla.
Insomma insomma, il dilemma era, è e resta: meglio il kazzo amatissimo
dell‟amatissimo amante o meglio una serie di kazzi scelti a kazzo ma che sappiano
fare professionalmente il lavoro del kazzo? Insomma insomma insomma, devo
correre da subito Paryde per kazzicatummuliari col suo kazzo o no?>> era
l‟ossessione reale e recitata di Helena.
Helena comunque, uscendo dalla stanza di Pryapo, visti la sofferenza dei tre
intellettuali della ciolla. Avevano problemi incommensurabili e draconianamente non
rinviabili di kazzo. Intanto si stavano sukando, tout court e full time, minkiuna di
minkiajuana a iosa, alla sanfasò e a tinchitè.
<< So quello che desiderate. O per lo meno, lo immagino. Ci vedo benissimo e vedo
il problema. E non è un problema né matematico né geometrico. Non è un problema
letterario e neanche filosofico. Non è una tragedia, ma può diventarlo. Non è una
commedia, ma può diventarlo. Si risolve in ben altre maniere questo problema. E se
io l‟ho generato, è giusto che io trovi una possibile soluzione. Non teorica ma pratica.
Andatevene pertanto nelle vostre stanze, che io verrò a salutarvi a modo mio. Un
saluto alla kultura sarà il mio. Verrò a portarvi consolazione. So che la mia
immortalità sarà dovuta alle vostre opere. So questo di sicuro, come so che devo
andare, prima o poi, da Paryde. Mynkyalao è l‟errore, Paryde la verità. Mynkyalao è
il buio, Paryde la luce. Tutto il resto è un intermezzo. Un piacevole, in linea generale,
intermezzo. Anche Pryapo è stato un intermezzo. Un intermezzo assai piacevole e
ingombrante ma niente di più. Solo Agamynkyone non fa parte di questo intermezzo.
Di questo mio piacevole e doloroso kazzicatummuliare di ciolla in ciolla. E se tante
sono state le minkie dell‟intermezzo, tre in più o tre in meno, non fanno una minkia
di differenza. Andate e aspettate. Voi, in fondo, intellettuali della ciolla, siete il verbo,
il logos, la parola. E io devo fornirvi il materiale di cui parlare. Da buoni intellettuali
della ciolla dovete inciollare per poi raccontare all‟urbe e all‟orbe. Aspettatemi
dunque. Aspettatemi per un intellettual kazzicatummulio>>.
E così fu. Se fu. O forse non fu. Se non fu. Ma nessuno può dire se fu. O se non fu. I
tre intellettuali, che tanto amavano farsi i kazzi altrui, tacquero sui loro. Sta di fatto
che ad un erto punto non avevano più problemi di minkia, di ciolla, di batacchio, di
marrugghiu, di kazzo. Li avevano risolti. Come? Ai posteri l‟ardua sentenza. Se
manualmente o a pagamento o con Helena questo è un segreto come la verità del
Pattuallopolys. O meglio, mentre la verità del Pattuallopolys è morta e sepolta, la
verità sui fatti della minkia dei tre intellettuali della ciolla è più verifikabile. Ci
pensò, malalingua filosofika come malaminkia filosofika era, il filosofo della minkia
Sokratynos Phylologos, nemico giurato del matrimonio in tutte le sue forme ed
espressioni possibili, a commentare la cosa, nonostante i grossi problemi di minkia
che aveva. Bravo a imitare anche lo stile altrui, scrisse, a cose avvenute, il Poema
Ma Helena s‟inphallò veramente il phallo di Homeryno Homokulum o fu tutta una
bella illusione a phallo di cane?, il Carmen Ma Helena s‟immentulò veramente la
mentula di Mhaxymylyanum Mhaxymylyanorum o fu tutta una bella illusione a
mentula di cane?, e il romanzo Ma per cent‟anni la minkia di Paulorum
Santhokrysos andò veramente nel pakkio di Helena o si trattò veramente di una
illusione a minkia di cane? Circolarono anche il Poema L‟intellettuale phallo di
Homeryno Homokulum inphalla Helena, il Carmen L‟intellettuale mentula di
Mhaxymylyanum Mhaxymylyanorum immentula Helena, e il romanzo dialettale
L‟intellettuale ciolla di Paulorum Santhokrysos inciolla Helena.
Il dubbio comunque si insinuò nella mente di tutti. Il fatto era successo o non era
successo? Era storia o era mitologia? Era scienza o era religione? Era stato un “tre a
una” o un “tre una a uno”? Boh? Comunque Helena era contenta. Così dicono. Lo
spettacolo era stato bello. Così dicono. Ma in ogni caso la “Luna “ voleva altro. Così
dicono. E in ogni caso, così era. E pertanto la “Luna” era scontenta. Nessuno può
affermare con certezza che il kazzicatummulio ci sia stato.
Ma Helena, che della cultura se ne fotteva una ciolla, teneva il solito pinsero:<<Che
kazzo devo fare?>>. Titolo plausibile dello spettacolo , tre atti in contemporanea o tre
atti in successione, A letto con la ciolla intellettuale spesso finisce bene e spesso
finisce male. In ogni caso un esempio di Teatro cultura. <<Che mentula di ciolla di
cicia del kazzo di una minkia devo fare?>> pinsava intanto Helena.
E firriava per i soliti corridoi del palazzo reale. Voleva correre da Paryde ma pinsava
anche ad altro. Pinsava al teatro sociale. Il teatro che fanno tutti per accontentare
quella minkia inutile chiamato “occhio sociale. Occhio sociale sta minkia però. L‟arte
antica di prendersi pubblicamente per il kulo in contemporanea, facendo la
sceneggiata e kazzacatummuliando secondo regole e regolette, per poi in privato
kazzacatummuliari come minkia ci pare e piace. Ovvero, il trionfo dell‟ipocrisia.
---
Ma a dire il vero in seguito circolarono anche tre testi anonimi. Tutti li attribuirono ai
tre intellettuali della ciolla, che in forma riservata avevano voluto far conoscere la
realtà della storia, la quintessenza della vicenda. Circolarono un Poema di tale
Ignotus Phallus intitolato La vera cronaca dell‟amplesso tra il pakkio spilato della
bella Helena e il phallos coltissimo di Homeryno Homokulum, un Carmen di tale
Ignotum Mentula intitolato Historia veritiera della inkunnata o immentulata della
poetica mentula di Mhaxymylyanum Mhaxymylyanorum nel kunnus spilato della
bella Helena, e un romanzo dialettale di tale Ignotus Ciolla intitolato Cent‟anni di
cronaca della storica fikkata tra Helena dallo stikkio spilato e la minkia di
Paulorum Santhokrysos.
--Sokratynos Phylologos, il filosofo della minkia, con ancora grossi problemi di
minkia, vedendo che i tre intellettuali della ciolla avevano risolto i loro problemi di
ciolla, si chiese: << La vita è una, come la minkia, e se non è un piacere vivere e
avere una minkia, a che minkia serve avere una minkia se poi non puoi imminkiare
manco quella troia di Helena che invece si lasciò, forse, imminkiare dalla ciolla dei
tre intellettuali della ciolla le cui opere non valgono una ciolla e tutto questo mentre,
minkia d‟una minkia che vorrebbe imminkiare a minkia cina, ci sarebbe stata la mia
filosofika minkia disponibilissima a imminkiarla filosofikamente, e fors‟anche il mio
filosofico kulo pronto a farsi inkulare dal Sosia, intanto che, oltre che imminkiarla, la
inkulassi anche, sempre filosofikamente però ?>>.
Sempre Sokratynos Phylologos, che teneva ancora il grosso problema della minkia
arrapata, si chiese: << La vita è una, come la minkia, e se non è un piacere vivere e
avere una minkia, a che minkia serve avere una minkia se poi non puoi imminkiare
manco quella troia di Helena che invece, a quanto pare, si lasciò, forse, imminkiare
dalla ciolla dei tre intellettuali della ciolla le cui opere non valgono una ciolla, e
allora io vorrei sapere, tanto per, se per caso la ciolla finta di Paryde ispirò finanche
il kulo dei tre intellettuali della ciolla?>>.
--Comunque pare che dopo che Helena uscisse dalla stanza degli intellettuali della
ciolla, o dalle stanze degli intellettuali della ciolla, gridasse ancora:
<< Voglio una minkia. Voglio una minkia. Voglio una minkia e no un simulacro di
minkia. Ho bisogno di una minkia, ma non so di quale minkia? Voglio una minkia e
no una bestiaccia di minkia. Voglio una minkia e no una bestiona di minkia. Una
minkia che sappia fare la minkia. Voglio una minkia, una minkia, una grande
minkia. Ma non voglio megaminkie alla Pryapo o minkie intellettuali. A me interessa
il kazzicatummulio e basta. Insomma, se la ciolla maritale è un fallimento, la sposina
deve andare direttamente da quella che è la ciolla già sperimentata dell‟amante o
iniziare la ricerca della ciolla ideale, sperimentando minkie su minkie e ancora
minkie e minkie e poi ancora minkie a iosa, alla sanfasò e a tinchitè tout court e full
time? Comunque non deve, per tagliare la testa al toro, correre da Pryapo e farsi
somministrare la sua ciolla, praticamente la regina di tutte le minkie dell‟urbe,
dell‟orbe e dell‟Olympazzo. Pryapo ha fallito. Insomma insomma, che faccio? Scelgo
il kazzo amatissimo dell‟amatissimo amante o semplicemente mi faccio kazzi su
kazzi scelti a kazzo ma che sappiano fare professionalmente il lavoro del kazzo?
Insomma insomma insomma, approderò presto al felice kazzicatummuliamiento con
il kazzo di Paryde o no? >> .
Lo gridò, si dice, in greco purissimo, uscendo dalla stanza di Homeryno
Homokulum. Lo gridò, si dice, in dialetto latino assai assaissimo latinissimo,
uscendo dalla stanza di Mhaxymylyanum Mhaxymylyanorum. E lo gridò, si dice, in
dialetto di Munypuzos, uscendo dalla stanza di Paulorum Santhokrysos. Si dice
anche che lo gridò contemporaneamente nelle tre lingue uscendo dalla stanza in cui
li aveva intrattenuti simultaneamente. Una sorta di chiara chiarissima cacofonia.
E così come sukava minkiuna idda, pari che pure i tre intellettuali della ciolla
sukassero minkiuna anche loro. Sukavano erba degli intellettuali. Ma ognuno la
chiamava a sua modo. Erba homeryna, erba mhaxymylyanina, erba santhokrysonina.
Helena invece gridava e sukava il solito minkiuni di minkiajuana.
E pinsava:<<Che mentula di ciolla di cicia del kazzo di una minkia devo fare?>>.
E intanto kazzicatummuliava, ora in stile greco, ora in stile latino, ora in stile
dialettale. Ma questa tappa “una e trina” o “trina e una” non era altro che un ostacolo
in più nel “minkia tur” che la proiettava verso il traguardo, verso la minkia di Pryapo.
--Intellettuali della ciolla, ricordatevi che il pensare alla ciolla fa male.
Come dicono a Neapolis, la ciolla nun voli pinseri se deve ben ciollare.
Anonimo.
--Il greco sarà pure il greco, ma la minkia è internazionale.
E non è solo ionica, dorica o corinzia. E tutto e di più.
Anonimo
--Catullo scriveva in latino, ma la sua minkia scriveva come le altre minkie.
Sapeva semmai solo qualche declinazione in più. E il più è sempre meglio del meno.
Anonimo
--Il siciliano è un dialetto con la coppola, come la minkia.
Ma la minkia con la koppola è più siciliana delle altre minkie.
Anonimo
--Due tizi originari di Leonthynoy e Karleonthynoy cercarono di valutare il numero
delle ciolle “modello intellettuale” di cui aveva bisogno Helena per dimenticare la
ciolla di Paryde. Anche se non sapevano bene cosa si intendesse per minkia
intellettuale, i due fecero i loro calcoli usando il pallottoliere e il minkialiere.
<< Quattro milioni di ciolle “modello Homeryno Homokulum”. Quattro milioni di
ciolle “modello Mhaxymylyanum Mhaxymylyanorum”. Quattro milioni di ciolle
“modello Paulorum Santhokrysos”. Il tutto per un totale di dodici milione di ciolle
poeticamente pensanti, realmente trombanti e scientificamente ateanti >> disse il tizio
di Karleonthynoy.
<< Facciamo otto. Otto milioni di ciolle “modello Homeryno Homokulum”. Otto
milioni di ciolle “modello Mhaxymylyanum Mhaxymylyanorum”. Otto milioni di
ciolle “modello Paulorum Santhokrysos”. Il tutto per un totale di ventiquattro milioni
di ciolle intelligenti teoricamente e fors‟anche realmente zummanti >> replicò il tizio
di Leonthynoy.
Ma da Palermorum fecero sapere che la valutazione poteva arrivare al massimo a
quaranta milioni di ciolle “modello intellettuale”. Purtroppo un altro tizio perse i
documenti e tutto finì a ciolla ignorante di ignorante totale. Ignoravano i suddetti che
per il pakkio libero di Helena qualsiasi ciolla valeva zero. Anche quella degli
intellettuali. Mentre la ciolla di Paryde valeva più dell‟universo tutto sano sano. Ma
loro purtroppo sapevano dare solo i numeri. La ciolla dell‟amante era per Helena la
più colta delle ciolle colte e di quelle incolte. Era più della biblioteca di Alessandria e
Munypuzos messe insieme. Se le altre ciolle erano dei volumi unici, con un numero
diverso di pagine, quella di Paryde era una enciclopedia sana. Magari addirittura una
Treggatti. In ogni caso era la summa della summa del sapere universale. Il
condensato di tutte le conoscenze acconosciute.
--Quattro milioni.. otto milioni.. quaranta milioni..
senza documentazione che rottura di koglioni.
Detto popolare
---
E naturalmente per tutto il palazzo reale risuonò, di volta in volta, così dicono alcuni,
o simultaneamente, così dicono altri, il solito e notissimo oltre che lacerante e
addolorato urlo di Helena. Il solo urlo terrificante e tonitruante.
<<Voglio..
una minkia.. o una mentula... o un fallo...
una minkia.. o una mentula... o un fallo...
una minkia... o una mentula... o un fallo...
una minkia.. o una mentula... o un fallo...
una minkia... o una mentula... o un fallo...
una minkia.. o una mentula... o un fallo...
una minkia.. o una mentula... o un fallo>>.
Per poi finire con un micidiale :
MINKIA
MENTULA
<<Voglio una
<<Voglio una
>>.
>>.
<<Voglio un
FALLO
>>.
E pure la sua “Haus von der Kultur des Minkionen”, urlò un “Haus von der Kultur
des Minkionen -tonitruante” urlo assai lapalissiano.
<<Voglio una minkiaaaaaa...una minkia che sappia fare la minkiaaaaaa.. Voglio una
mentulaaaaaa...una mentula che sappia fare la mentulaaaaaa.. Voglio un
falloooooo...un fallo che sappia fare la falloooooo..>>.
E non era un lapsus calami o un lapsus linguae. In vino veritas. O meglio, in kunnus
veritas. Gutta cavat lapidem, mentula cavat kunnus.
Il sogno di Helena, e della sua “Haus von der Kultur des Minkionen” , era quello di
gridare in faccia all‟urbe, all‟orbe e all‟Olympazzo: << Habemus minkia. Habemus
mentula. Habemus fallo >>.
Ma il problema era “Quale minkia? Quale mentula? Quale fallo? Una minkia
qualsiasi o la minkia di Paryde? Una mentula qualsiasi o la mentula di Paryde? Un
fallo qualsiasi o il fallo di Paryde?”
“Melius abundare quam deficere” diceva un detto latino latinamente latinissimo. Ma
l‟abbondanza di Pryapo non era stata sufficiente. E neanche l‟abbondanza di minkie.
E allora idda si chiese: <<Meglio ancora un‟overdose di mentuline, mentule,
mentulone e mentulazze per dimenticare la mentulina di Mynkyalao e non pensare
alla mentulona di Paryde? >>
<<“Sì” per Mynkyalao, “No” per Paryde”>> fu la risposta.
<< E overdose sia.. con tanti parerghi e senza paralipomeni. Overdose di minkie in
attesa dell‟overdose di una certa minkia che sento draconianamente avvicinarsi>>
disse Helena.
--Il mondo è fatto a scale, c‟è chi scende e c‟è chi sale, ma dove sta la minkia intellettuale?
Al contadino non far sapere quant‟è buono il formaggio con le pere,
al kulo non far sapere quant‟è buono il kazzo nel sedere.
Detti popolari
---
<< Voglio una minkia. Una minkia che kazzicatummulii cu mia>> continuava a
gridare Helena. Infatti Helena, dopo la probabile ma fors‟anche improbabile visita ai
tre intellettuali della ciolla, e nonostante il consiglio di Pryapo, non sapeva se andare
da Paryde o dalla prima minkia che capitava dopo quelle vere e genuine e reali di
Zeus, Eros, Apollo, Efesto, Ares, Ermete, Asclepio, Ganimede, Eolo, Achylle,
Patroclo, Mynkyoreste, Pilade, Castore, Polluce, Edipo e Odisseo e quelle artificiali
di Pallade e Artemide a cui aveva però ricambiato il favore ricevendo in regalo un
Sosia che lei aveva battezzato “Gioconda”. E la “Gioconda” era andata anche in kulo
a Ganimede, Achylle, Patroclo, Mynkyoreste, Pilade, Castore, Polluce e Antigone. E
per minnitta e solo per quello era andata in kulo ad Agamynkyone che però non era
andato in kunno alla cognata che aveva optato per il “gran rifiuto”.
Il Sosia aveva tentato anche di andare il kulo a Odisseo ma Odisseo l‟aveva fatto
finire in kulo a Helena. E adesso aveva avuto anche la minkia delle minkie, la minkia
Pryapo . E Pryapo e le Menadi s‟erano fatte un giro col Sosia di Paryde. Ma Helena
non era contenta. Voleva minkie su minkie e ancora minkie e minkie ancora, eppure
sapeva anche che la minkia giusta per lei era quella di Paryde. Che questa ricerca
della minkia portava a Paryde. Eppure Helena non sapeva se andare subito da Paryde.
Forse era ancora indecisa tra la minkia come tale e la minkia innamorata del
purceddopolita. Tra la minkia tale e quale e la vera “Gioconda”.
E forse, ma dico forse, aveva avuto anche quelle di Homeryno Homokulum,
Mhaxymylyanum Mhaxymylyanorum e Paulorum Santhokrysos. E forse, e dico
sempre forse, il tre intellettuali avevano avuto la ciolla finta di Paryde.
Helena comunque voleva ancora minkie su minkie. Eppure sapeva che la minkia
giusta per lei era quella di Paryde. Ma Helena non sapeva se andare da Paryde.
Andare da Paryde voleva dire che era semplicemente innamorata, anche perché
Paryde avia si un bell‟uccello ma non era certamente il massimo in fatto di misure.
Ma lei avia il kunno innamorato: e l‟amore è capace di far teoricamente diventare un
elefante magari una piccola mosca.
<< Vado ancora a minkia e ancora m‟imminkio sulla prima minkia per cercare di
non pensare né alla minkia di Mynkyalao che mi fa schifo né a tutte quelle che mi
sono fatta. Compresa quella portentosa, ma inutile per me, di Pryapo. E‟ quella di
Paryde che mi appititta. E‟ quella di Paryde che voglio. Diciamo la verità. Ed è da
Paryde che devo portare il mio sesso. Prima o poi devo andare da lui. Perché per il
mio kunnu chidda è la megghiu minkia di lu munnu>>.
--<< Voglio una minkia. Una minkia assai kazzicatummuliante>> continuava a gridare
Helena.
Ed Helena, finita o non finita, fatta o non fatta questa escursione extra con i tre
intellettuali della ciolla, indecisa ancora se andare alla cieca a cercare minkie su
minkie o invece catafottersi nel letto dell‟amante, pinsò che poteva, per recita e buona
creanza, tornare da quel minkialenta del marito per portare avanti una sceneggiata
chiamata “famiglia”, un po‟ come fanno tutti gli ipocriti a minkia che stanno su
questa minkia di terra. È di moda farsi una famiglia per poi tentare di farsi quella
degli altri. Se la fika della propria signora è la fika istituzionale, la fika della vicina di
casa attizza la ciolla chiù assai della fika di casa. Era di moda avere anche una
famiglia primaria e poi quelle secondarie. La famiglia istituzionale e poi la famiglia
due, la famiglia tre, la famiglia quattro, la famiglia cinque. E poi c‟erano le fike
straniere che attizzavano le ciolle assai assai assaissimo. Le fike alloctone erano chiù
attisaciolle delle fike autoctone. Insomma, la famiglia era la più bella commedia ma
anche la più bella tragedia quotidiana. Una tragicommedia, per dirla con una un sola
parola. Tra l‟altro la famiglia era uno scannatoio perenne quasi quotidiano. Il
banditore annunciava quasi tutti i giorni tragedie familiari alla grande. Mogli che
ammazzavano i mariti e mariti che scannavano le mogli. Ma anche figli che
ammazzavano i genitori e altro. Le più grandi tragedie avvenivano in famiglia. Se le
tragedie della minkia e del kunno avvenivano nella camera da letto, le tragedie che
interessavano l‟uomo o la donna nella sua totalità avvenivano in famiglia. Anche se
dietro il massacro c‟era sempre un fatto di kunno o di minkia. Di un kunno che s‟era
appitittato d‟altra minkia o di una minkia che s‟era appitittata d‟altro kunno. E non
mancavano i casi di un kunno che voleva n‟autru kunnu o di una minkia che voleva
n‟autra minkia. Anche se in quest‟ultimi casi sarebbe da tirare il ballo il kulo. O
anche la bocca.
E mentre pinsava ciò, Helena vide Dyonyso tutto solo soletto. Era, tanto per
cambiare, brill‟assai. Nudo come un verme e con due brocche in mano. Ora sukava
da una, ora dall‟altra. E a volta versava nu tanticchia di vino sulla ciolla.
<< Suka ciolla mia, suka cicia bedda, che prima o poi sukata sarai.
Suka ciolla mia, suka, che prima o poi sukata da Aphrodyte sarai>>.
Helena pinsò che dopo aver sentito il figlio, poteva anche sentire il padre. In tutti i
sensi. Anche in quello “in vino veritas”. Tra l‟altro Dyonyso era un altro suo
fratascio. Perché le famiglie non era incasinate solo sulla terra. Lo erano anche
nell‟Olympazzo. Anzi, alcune avevano una componente terrestre e una divina. Lei
personalmente aveva parenti terrestri e parenti divini. Era insomma un bordello a tutti
i livelli. Forse aveva ragione Pryapo, che da dio dei bordelli in pectore, si sentiva dio
del mondo. Perché il mondo era tutto un bordello.
<< Dyonyso >> lo chiamò.
<< Embì... embè... embò.. cu minkia mi chiamò?>>. E giù un sorso.
<< Dyonyso. Sono io>>.
<< Embì.. embò.. embè.. cu minkia sei te?>>. E giù n‟autro sorso.
<< Sono Helena, e proprio da poco ho visto tuo figlio Pryapo>>.
<< Embì.. embè.. embò.. allora la minkia ti passò>>. E giù n‟autro sorso ancora.
<< Dyonyso, sei brillo assai assaissimo veramente>>.
<< Embì.. embè.. embò.. allora mio figlio te lo sdillabbriò?>>. E giù un sorso.
<< Cerca di ragionare. Vieni con me, che ti metto a letto>>.
<< Embì.. embò.. embè.. sposina sei ma non stai sulla minkia del marito, perché?>>.
E giù n‟autro sorso. E un po‟ pure alla sua minkia. Raccontò tutto Helena. Raccontò
del “minkia tur” tappa per tappa. Raccontò dell‟overdose di minkie. Raccontò del
“No” ad Agamynkyone. Raccontò tutto il resto. Raccontò di siringhe e insiringatori.
Raccontò di dosi minime e di dosi massime. E chiese consolazione.
<< Minkia. Intanto suka ca ti passa st‟aria stolla>>
<< Che devo sukare? Il tuo vino o la tua ciolla?>>.
<< Il vino, che il vino fa buon sangue. E il buon sangue fa buon pakkio. E il buon
pakkio fa buona la minkia. E la buona minkia e il buon pakkio fanno bella la vita>>.
<< Suko.. suko.. suko.. ma poi, per il resto?
Io vorrei provare il tuo kazzo presto presto>>. E sukò. Suko alla sanfasò.
<< Minkia che vino veramente assai assaissimo bello.
Minkia.. mi mette il fuoco nel nido dell‟uccello.
È un vino robusto, come la minkia che ha un buon fusto.
Come minkia si chiama questo vino accussì assai divino?>> .
Sukò pure Dyonyso.
<< Brunello, Brunello di Minkialcino. Ed è un vino assai fino.
Io ci son stato per turismo in chistu paese assai assai bello.
E penso di trasferirmi presto là, sia io che il mio divino uccello.
Perché iddu, il caro ciciotto bello, va al meglio solo col Brunello.
Non solo va al meglio l‟aceddu, ci va pure il mio ciriveddu.
E anche se questo paese sarà un giorno ribattezzo Montalcino.
Io mi ci vado lo stesso, perché il Brunello del creato è il miglior vino>>.
<< Capit‟ho. Delle cicie Pryapo è il miglior uccello,
dei vini invece il migliore è senz‟altro il Brunello>>.
<< Ver‟è, come la minkia che sotto la mia panza c‟è>> disse iddu.
<< Ver‟‟è. Ma adesso passimilla tout court a me>> disse idda.
<< Embì.. embè.. embò.. la minkia io ce l‟ho.
Embì.. embò.. embè.. ma lu purtusu unnè.
Embò.. embè.. embì.. aiutami a metterlo lì>>.
E giù n‟autro sorso ancora. E un po‟ pure sulla ciolla.
Dyonyso si buttò addosso ad Helena ma non trovò la strada per il pertugio.
<<Riempimi la brocca di “vino di minkia” a iosa.
Alcolizzami il pakkio con la tua „nbriaca cosa.
Rendilo assai ebbro di sommissimo piacere.
Fammi alcolicamente assai assai godere >> gridava lei.
<< Non nel corridoio però. Andiamo almeno nella mia stanza.
Per la privacy, per non far vedere come presento l‟istanza>> propose Dyonyso.
<< Per me è lo stesso, basta che minkia e kunno si facciano una bella ballata.
Tuisti o lento, rocchenrolli o mazurca, l‟importante è che musica sia sonata >>.
Ma una volta sul letto lui non trovava la strada per la sua minkia. Allora l‟annaffiò di
vino. E il vino arrivò pure al suo pakkio. E il mix che ne venne fuori attirò l‟augello
divino. Fecero e strafecero, strafatti com‟erano. Lei aveva l‟input di cercare minkie
su minkie anche se sapeva che la minkia adatta a lei era quella di Paryde, lui aveva
l‟imput del divino vino che gli teneva diritto l‟augello ma non gli indicava la retta via
per annidarlo. E lei l‟aiutava. Ma il pakkio alcolico l‟attirava in automatico.
<< Col vino e la ciolla è da dio il kazzicatummulio>> disse Helena.
<< Con la ciolla che va a vino il kazzicatummulio è divino>>.
Ma Dyonyso, ogni tanto, arriminando le tette di Helena, acchiappava il ciondolo
appeso alla collana. Lu acchiappava e ci iucava.
<< Minkia, tengo due minkie. Una dintra di tia e una volante. Una attaccata al mio
corpo e una libera e autonoma >> concluse Dyonyso.
Lei cercava di spiegargli la cosa ma lui si intestardiva di chiù.
<< Ho due minkie, una per il pakkio e una per il kulo. Sono Dyonyso biminkia>>.
E convinto di averne due piazzò il Sosia nel kulo di Helena.
<< Che bello, metterne uno davanti e unu darreri di uccello>>.
Ma Helena, tanto per non smentirsi, si lu sciu e ci lu piazzau nel kulo a Dyonyso.
<< Minkia, dal tuo kulo sciu e nel mio andò.
Sono anche capace di atoinkularmi però>>.
A cose finite Dyonyso sminciò tutto. E si calmò pure il suo spirito dionisiaco.
<< Ma almeno dimmi se le minkie mie, e dimmillu chiaru e tunnu,
se le brille minkie mie lu stutanu lu focu ca ardia, e non solo, na lu to kunnu? >>
chiese curioso Dyonyso, a cui, come a tutti i maschi, ci piacia sentirsi dire dalla
fimmina ca era tutta ma proprio tutta soddisfatta. Specialmente se il maschio aveva
due minkie.
<< Mancu di na stizza, lu kunnu mi pruri e m‟attizza.
Iddu assai m‟impazza e voli tutt‟autra minciazza.
Però ti chiedo, in vino veritas, di darmi un consiglio.
Voglio vedere se è lo stesso di chidda minkiazza di tuo figlio>> chiese Helena.
<< Lui ragiona con la minkia, io col cervello.
Magari cino di vino, ma ragiono con quello.
Lui ti avrà detto “corri dalla minkia dell‟amante”.
Io ti dico “torna dal marito e futtitillu all‟istante”.
Lu maritu è importante pi l‟occhio sociale, pi la società.
L‟amante, se uno lu perde, n‟autro ne arriverà>> disse lu „nbriacu Dyonyso che
all‟improvviso s‟era scoperto pedagogo.
<< Buon‟assai e ottim‟anche come consiglio.
Ma non so se ascoltare te o tuo figlio>> rispose Helena accendendosi un bel
minkiuni di minkiajuana.
<< Ascolta me, ascolta me, perché nel vino la verità c‟è>> continuò il pedagogo.
E intanto facia un certo segnale col dito medio.
<< Chi voli dire stu minkia di itu tisu come na minkia?>>.
<< In kulo sempre alla verità, in kulo sempre all‟ipocrisia.
In kulo a chista minkia di recita di la vita e così sia>>.
<< Non ci capisco una bene amatissima minkia>> disse Helena.
<< Meglio così. D‟altra parte tu capisci solo la minkia.
Ed è già tanto il saper ben kazzicatummuliari.
E pensare che ci sono delle femmine che non
capiscono manco quella. E son kazzi da kakare>>.
Helena si mise a cantare e a ballare.
<< Nun capisciu na minkia, ma capisciu la minkia.
Nun capisciu nu kazzu, ma capisciu lu kazzu.
Nun capisciu na ciolla, ma capisciu la ciolla.
Nun capisciu na cicia, ma capisciu la cicia>>.
Dyonyso, a questo punto, si addumò nu beddu minkiuni. E sukannu taliava la
picciotta dal pakkio spilato. Ma lui in realtà preferiva il vino. Il divino vino. Eppure
ogni tanto, tanto per, fumava. Tra l‟altro, i suoi seguaci, chiamavano la minkiajuana
minkiadionysyana. Ma a lui ci ni futtia meno di un pirito fantasma.
<< Minkia, ho recitato la parte del moralista, del pedagogo moralista.
Minkia, che sono bravo a fare l‟attore. Minkia, sono uno specialista.
Gli ho detto “vai dal marito minkialenta”, kazzo d‟un kazzo fatto a kazzo.
Ho ragionato malissimo assai e peggio di una minkia di pazzo.
Avrei dovuto dirgli ”prima ca il tuo pakkio non venga più desiderato,
se possibile, fatti tutte ma proprio tutte le belle minkie del creato>> pinsò
Dyonyso sukannisi lu minkiuni ma pigliandosi anche na bella brocca di vinu. E
alternando na sukata di fumu cu na sukata di vino. Helena fumava sdraiata sul letto. E
sempre a cosce larghe.
<< Ma allora mi chiedo: il vino, il divino vino, libera la mente
o la rende schiava dell‟occhio sociale buttano e deficiente?>> pinsò Dyonyso.
E giù un sorso. E anche una taliata lampo all‟origine del mondo di Helena.
<< Ma allora mi chiedo anche: il fumo, il divino fumo, libera la mente
o la rende schiava dell‟occhio sociale iarruso e deficiente?>> ripensò Dyonyso. E
via con un altro tiro. E anche con un‟altra taliata lampo alla “Domus mentula” di
Helena
<< Ma allora mi chiedo: il sesso, il divino sesso, libera la mente
o la rende schiava dell‟occhio sociale buttano e deficiente?>> pensò ancora, in
silenzio assoluto, Dyonyso. E giù un nuovo sorso e un nuovo tiro.
Helena invece fumava e teneva sempre le cosce spalancate.
<< Né l‟una né l‟autra cosa. Iddi si ni futtunu dell‟occhio sociali.
Lu vinu, lu fumu e il sesso, sunu piaciri assai assai personali.
Lu vinu è pitittu, lu fumu è desiderio, il sesso è natura.
Allura pirchì certa genti rumpi la minkia ad ogni ura?
Io però ho solo voluto recitare da strunzu specializzato.
Ma ho pigliato per il kulo Helena o mi sono autoinkulato?>> si chiese, in silenzio
assoluto, Dyonyso, sukannu vino e minkiuni in contemporanea.
Helena sukava adesso col kunno. Minkia, che spettacolo lu minkiuni nel kunno.
Minkia, come sukava quel kunno. E minkia che spettacolo quannu scia lu fumo.
<< Idda si ni futti e strafutti na minkia dell‟intero universo.
Idda è patruna assoluta e totale e unica di lu so sesso.
E io, il libertario più libertario di sta minkia di munnu,
io ci haiu dittu di portare a lu marito lu so beddu kunnu.
Io!Ma idda, io lo saccio, nun la farà sta granni minkiata.
La vita è una, e la gente libera nun fa mai la sceneggiata.
La gente libera nun fa teatru, nun fa pubbliche rappresentazioni.
La gente libera non si fa rompere dagli altri né le palle né i koglioni.
Idda si ni futti tout court e full time della pubblica opinione.
Idda è libera di minkia e stikkio, e si ni fitti della religione.
In fondo sono i sacerdoti di certi riti che creano regole sull‟uso
del corpo e del sesso. Creano regole per il meccio e per il portuso.
Io invece, da dio saggio e amato, dico a tutti gli esseri umani del creato:
“Fate come minkia vi pare finche il kunno, la minkia e il resto c‟è.
Fikkate assai e godete altrettanto. Ma sempre a iosa, alla sanfasò e a tinchitè>>
disse Dyonyso a se stesso. Accussì concluse iddu facennisi l‟ultima doppia sukata di
vino e minkiuni. Idda lu taliava pensierosa, fumando ora col pakkio ora con la bocca.
<< Chi pensi, Dyonyso beddu, briacu di minkia e di ciriveddu>>.
<< Penso che la cosa chiù bella di chista minkia di vita
è farne una lunghissima fikkata. Fikkata continua e infinita.
D‟altra parte io, dio sommamente onesto e buono,
sono contrario a chidda kakata chiamata “perdono”.
Io ai miei nemici non auguro la morte chiù laita ca ci sia.
Io auguro assai malattie di stikkio e di minkia. E così sia.
A li fimmini bugiarde auguro lu stikkiu fracitu e dulenti.
A li masculi ipocriti la minkia sempre modda e impotenti.
Però, se devo essere sincero, e io di minkia e di testa son uomo d‟onore,
auguro a tutti sti minkia di gente un tumore nell‟organo dell‟amore.
Un tumore che lentamente se li porti nella tomba come soluzione finale.
Un tumore che li faccia gridare assai assaissimo e soprattutto santiare.
Tu, femmina libera di testa e di pakkio, te ne fotti del sacro e del profano,
ma taliti attorno, e dimmi quanta ipocrisia vedi in chistu munnu ruffiano?
Cririmi, parola di dio briaco, buttanieri, minkia tisa e finanche kulo rotto.
Goditilla tutta sta minkia di vita, goditilla a tutta minkia e con tanto di botto.
Goditilla tutta, minkia pi minkia. Goditilla tutta, finché minkia c‟è.
Goditilla tutta. Goditi la minkia a iosa, alla sanfasò e finanche a tinchitè.
<< Sì, hai ragione, ragione a minkia cina, caro lu me diu>>.
<< La vita è bella solo se c‟è sempre del kazzicatummuliu>>.
<< Sempre?>> chiese idda.
<< Sempre semprissimo semprissimamente>> rispose Dyonyso taliandola là.
<< Accussì sarà, prometto>>.
<< “Non omnia possumus omnes”. Non tutti possiamo fare tutto, ma la minkia può
fare di tutto. E tu, con quella cosa là, puoi avere tutte le minkie del mondo>>.
Helena rise. << Il mio “minkia tur” volge al termine. Ho sperimentato sì minkie su
minkie, ma adesso mi aspetta la minkia di Paryde>>.
<< Io invece sono sempre per il “pakkio tur”. Come mio figlio. Anche se lo
strumento è diverso, il concetto di “pakkio tur” è lo stesso. Anche se ogni tanto mi
piace fare una tappa nel pakkio di Aphrodyte. Una tappa per intappare il tappo nel
portatappo della tappinara. Che poi, tu e Aphrodyte, avete lo stesso pakkio. Pakki
gemelli siete. Ed entrambe amate il “minkia tur”. E io per quello di Aphrodyte pazzio
a tutta minkia e kazzo e cicia e altro>>.
<< Pure a tutto kulo pazzii >> disse Aphrodyte entrando. Era bellissima. Era
stupenda. Era il non plus ultra della femminilità divina, mentre Helena lo era di
quella umana. La dea si stinnicchiò accanto a Helena, a cosce larghe anche lei.
<< Minkia, minkia chi coppia di pakki. Minkia, chi pakki beddi.
Gemelli sono, uguali sono. Minkia, ma io non avevo due aceddi?
Così faccio l‟uomo sanduicci e vi li mettu insieme na li vostri sticci>>,
<< No, uno era il Sosia di Paryde. E questo è un dato sicuro.
Come vero è il fatto che tu lo pigliasti con amore in kulo>> disse Helena.
<< Ma ora come minkia fazzu, ci su du pakki e un solo kazzo.
Se ci lu passu a Helena, Aphrodyte resta vacanti di vanedda.
Se ci lu calu a Aphrodyte, Helena resta cu lu pitittu di l‟acedda.
Minkia, chi minkia di dilemma. A cu dugnu sta minkia d‟antenna?
Aiutu, come risolvo il problema? Due pakki e na minkia ca pari scema>>.
Aphrodyte e Helena lo invitarono a letto.
<< Vieni caro, vieni a pisciare vino di brigghio nella nostra botte personale>>.
<< Minkia mia bella, iemu subito a camporella >>.
Ma prima di stinnicchiarisi na lu iazzu si sukò vinu e vino ancora a tutto kazzo.
Loro se lo piazzarono nel mezzo.
<< Minkia. A cu la calu? A cu la ficcu? A cu la sonu? A cu la dugno?
A chidda ca m‟accarizza li palli o a chidda ca mi la teni in pugno?
Pirchì lu maskulu teni due koglioni due e una minkia soltanto?
Non sarebbe meglio una palla e due minkie, se tanto mi da tanto?
Le palle sono un accessorio necessario, ma la minkia è uno strumento.
E con due strumenti si lavora meglio, è maggiore il rendimento.
E allora, Zeus cugghiunazzu, pirchi facisti lu masculu cu nu sulu kazzu?
Aiuto, aiuto, Zeus beddu, soccorri ipso facto il mio unico aceddu>>.
E si sukò autru vinu alla sanfasò. E tra un “oh” e un “eh” si skulò ancora vinu a
tinchitè. E tra una “misa” pinsata e una pinsata “posa” si sukò vino finanche a iosa.
Helena e Aphrodyte stavano quasi litigando. E litigando ci strapazzavano la cicia.
<< Aiuto addumannasti? E aiuto arrivò. E chi minkia di aiuto Zeus ti mannò.
Papà, son Pryapo tuo bello. Tu hai difficoltà, eccoti qua il mio uccello.
Minkia, la sposina e la mammina. Che coppia bella di pakki sopraffina.
Qua non basta una minkia. Qua ci vuole una minkia che sia anche eroina.
Du stikkia, tri minkie tra vere e finta, quattro bocche e quattro kuli beddi.
Organizziamoci e vedrete che ci saranno puru li bummi e li „nzareddi>>
<< Pryapo, chi famu? Orgiamo?>> chiesero le donne e Dyonyso
<< Figghi beddi, scupamu. E orgiamo>> rispose il dio della ciolla.
In quel momento un folata di vento stutò li cannili e iddi arristanu a lu scuro. Le
uniche cannile addumate erano i loro mecci. E l‟orgia incominciò. Nun si capiu na
minkia. Ma la minkia finta di Paryde a tutti li parti iu.
<< La minkia finta di lu me amante piaciu a tutti seduta stante>> pinsò Helena.
Pryapo scopò pure con mammà.
<< Curaggiu, iu ti fici, iu ti riassaggiu>> pinsò mammà.
<< Di là scii sanu sanu tuttu, ora ci trasu sulu cu lu prosciuttu>> pinsò Pryapo.
E in un attimo di confusione Pryapo si trovò in kulo la cicia brilla di papà.
<< Lu kulu, lu sacciu, lu tiegnu bellu come a mammà,
però chista cosa si la poteva evitare lu beddu papà>> pinsò il dio dal rosso palo.
<< Minkia, la mia bedda minkia brilla e bona,
fici in kulo a mio figlio lampi e trona>> pinsò Dyonyso.
<< Papà, attenzione a unni metti il pisello.
Anche se a dire il vero il kulo lo tengo bello>> disse Pryapo.
<< Scusami, sbagliai, beddu dio di lu gran burdillazzu.
Fici confusioni, non ci capii chiui né na minkia né nu kazzu.
Nun ci capii chiui na cicia e na ciolla di burdillinu.
Fici confusione tra purtuso fimmininu e masculinu >> rispose papà.
Ma il figlio per rispetto non andò nel paterno kuletto.
<< Pi minnitta ci lu rassi, ma poi ci lu spaccassi>> pinsò il figlio.
<< Se mi ricambia il favore, saranno kazzi amari e non d‟amore>> pinsò papà.
Successe anche altro, ma è meglio tacere. Fu orgia. Orgia fu. E non dico di più.
Per esempio, la dea della bellezza si fici padre e figlio contemporaneamente. In
contemporanea nel vaso ortodosso e nell‟eterodosso ma anche simultaneamente nello
stesso fosso. Idda si fici l‟amante suo e suo figlio. E qua mi fermo perch‟io sono
adesso assai vermiglio.
<< Qualis pater talius filius, a parte l‟aggeggio>> disse papà intanto che insieme la
mettevano là.
<< Asinus asinum fricat. Un asino gratta l‟altro, ma non tutti gli asini hanno la stessa
dotazione. Ci sta lo scecco major e lo scecco junior>> rispose il figlio.
<< Si parva licet componere magnis>>.
<< No. Uniquique suum. Tu quoque, Pryapo, fili mi>>.
<< Papà.. Hic manebimus optime>>.
<< Figlio.. Hic Rhodus, hic salta>>.
<< Papà.. Iacta alea est>>.
<< Figlio.. La minkia anche>>.
<< Veni.. veni.. veni.. veni , vidi, vici..>> gridarono entrambi.
<< Repetita iuvant>> dicevano le donne. Solo la minkia finta di Paryde stava muta.
Alla fine Helena uscendo, gridò il solito: << Voglio una minkia kazzicatummuliante
a modo mio>>.
Era comunque contenta Helena. Il teatro con Dyonyso era stato uno spettacolo bello.
Una bella messa in scena. Bellissima lei, bello e bravo lui. Lui che era posseduto
dallo spirito dionisiaco e sapeva come esibirsi, come porsi, come mostrarsi, come
evidenziarsi, come occupare la scena e dare spettacolo a iosa, alla sanfasò e a tinchitè.
E lo aveva esibito tutto lo “spirito” ciollesco. Ma la “Luna” non era contenta. Voleva
e desiderava altro “spirito” ciollesco. Da attori professionisti comunque la
performance. Titolo plausibile, A letto con la ciolla brilla di Dyonyso. Un classico
del Teatro alcolico. E poi erano arrivati anche gli ospiti. Prima la dea della bellezza e
poi il dio della minkia.
Nella testa di Helena la solita idea fissa: << Che minkia fo?>>. E kazzicatummuliava.
Il solito pinsero attanagliava Helena: <<Che mentula di ciolla di cicia del kazzo di
una minkia devo fare?>>.
<<Ma chi kazzu fazzu? Kazzicatummulio verso lu maritu fitusu, come mi ha
consigliato quel fitenti testa di kazzo di Dyonyso, e come mi consiglia ipocritamente
anche la mia ipocrita ragione, o kazzicatummulio verso la minkia di Paryde, come mi
ha consigliato quel minkia esuberante di Pryapo e come mi consiglia anche il mio
naturale e biologico stikkio, ma anche il mio corpo, il mio cuore e soprattutto la mia
libera mente?>>.
Non sapeva che fare aggirandosi disperata per i corridoi del palazzo reale. Pinsava
alla sceneggiata napoletana, o munipuzzese, col marito, ma pinsava anche al teatro
verità con Paryde. E lei era per la verità. Idda era per la minkia veritiera di Paryde e
non per la minkia impotente di Mynkyalao. In ogni caso il “minkia tur” volgeva al
termine. Il traguardo era vicinissimo. Solo che non sapeva se correre subito
dall‟amante per un “fiat lux” senza precedenti o fare una tappa extra col marito, una
tappa per quella minkia d‟occhio chiamato occhio sociale.
<< Quo vadis?>> si chiese.
<< Dalla minkia di Paryde>> ci rispose emozionalmente parlando la sua bocca di
sotto.
<< Quo vadis?>> si richiese Helena.
<< Unni minkia ti pari. Fiat voluntas tua>> ci ririspose quella.
<< Panta rei os potamos>> specificò Helena.
<< Tutto scorre, ma non come un fiume. Pi mia tutto scorre come una minkia. O
meglio, come una successione di minkie>> ci ririspose ancora quella.
<< Panem et circenses. Pane e giochi circensi. Questa è la vita mia>> specificò
Helena.
<< Panem et mentulensis. Pane a filoni per me, e giochi di minkia , sempre per me>>
ci ririspose ancora quella.
<< Semei in anno licet insanire>>
<< Una volta l‟anno è lecito rinkoglionire>> ci ririspose ancora quella.
<< Ora et labora>>.
<< Meglio “labora et labora”>> ci ririspose ancora quella.
<< Nunc est bibendum, nunc pede libero pulsanda tellus>> disse Helena.
<< Concordo. Ma interpreto a modo mio. Ora è tempo di bere latte di brigghiu. Ora è
tempo di danzare battendo la terra con piede libero. E io so quale danza voglio fare. E
con chi la voglio fare. E io, che son la terra, so da quale piede voglio essere battuta.
Io non desidero la minkialenta di Mynkyalao. Io voglio la minkia di Paryde. Quello è
il mio piede. Quello e non altro>> ci disse, teoricamente, a Helena la sua vorace fika.
--La ciolla è la ciolla, ma la ciolla brilla è più ciolla della ciolla astemia.
La ciolla brilla, brilla di più.
E quella di Dyonyso è sempre brilla.
Distolico
--La ciolla che va a vino ha un effetto divino.
Perché è divinamente divina.
Sia sul pakkio che sulla sua padroncina.
Sistolico
--La più bella coppa per bere il divino vino è il kunnus di una donna in amore.
E dopo aver bevuto con passione dal pakkio il pakkio con passione va fottuto.
Che il kunnus al vino fa del kazzo un kazzo divino.
Socrate Brillino
--Date da bere un po‟di vino alle ciolle assetate.
E finanche ai pakki.
Che il vino è miracoloso.
Leonida
--La Ciolla, ovvero la fontana del vino dell‟amore.
Il Kunnus, ovvero la coppa del vino dell‟amore.
Patroclino
---
Due tizi originari di Leonthynoy e Karleonthynoy cercarono di valutare il numero
delle ciolle “modello Dyonyso” di cui aveva bisogno Helena per dimenticare la ciolla
di Paryde.
<< Quattro milioni di ciolle “modello Dyonyso”. Quattro milioni di ciolle brille assai
assai per far brillare assi assai il pakkio>> disse il tizio di Karleonthynoy. E intanto
sukava vino alla sanfasò.
<< Otto milioni di ciolle e per giunta assai assaissimo brille per fare giustamente
brillare al massimo il pakkio divino della bellissima Helena>> replicò il tizio di
Leonthynoy. E intanto sukava vino a tinchitè.
Ma da Palermorum fecero sapere che la valutazione poteva arrivare al massimo a
quaranta milioni di ciolle “modello Dyonyso”. Forse la sukavano vino a iosa.
Purtroppo un altro tizio perse i documenti e tutto finì a ciolla „nbriaca . Forse costui
sukava vino tout court e full time. Ignoravano i suddetti che per il pakkio libero di
Helena qualsiasi ciolla valeva zero. Anche quella brilla di Dyonyso. Mentre la ciolla
di Paryde valeva più dell‟universo tutto sano sano. Ma loro purtroppo sapevano dare
solo i numeri. La ciolla dell‟amante era per Helena la ciolla più alcolica tra tutte le
ciolle alcoliche e astemie.
--Quattro milioni.. otto milioni.. quaranta milioni..
senza documentazione che rottura di koglioni.
Detto popolare
--E per tutto il palazzo reale risuonò purtroppo il solito lacerante e addolorato urlo di
Helena. Lo stesso. Il solito. Ma era un urlo bifronte. Delle volte pareva rivolto a
Mynkyalao, delle volte a Paryde. Nel primo caso era un urlo luttuoso, nel secondo un
urlo gioioso. Ma comunque sempre orrendamente tonitruante.
<<Voglio...
una minkia..
una minkia..
una minkia...
una minkia..
una minkia...
una minkia..
una minkia..>>.
Per poi finire con un micidiale :
<<Voglio una
MINKIA
>>.
E pure la sua “Botte del vino di ciolla” urlò un “Botte del vino di ciolla -tonitruante”
urlo assai lapalissiano.
<<Voglio una minkiaaaaaa...una minkia che sappia fare la minkiaaaaaa...quindi non
può essere la minkia inutile di Mynkyalao, deve essere necessariamente quella
amorosa di Paryde >>.
E non era un lapsus calami o un lapsus linguae. In vino veritas. O meglio, in kunnus
veritas. Gutta cavat lapidem, mentula cavat kunnus.
Il sogno di Helena, e della sua “Botte del vino di ciolla” , era quello di gridare in
faccia all‟urbe, all‟orbe e all‟Olympazzo tutto: << Habemus mentula>>.
Ma il problema era “Quale mentula?” Una mentula qualsiasi o la mentula inutile di
Mynkyalao o la mentula amante di Paryde? Una mentula deludente o una mentula
incognita o una mentula capace?
E allora idda si chiese: <<Meglio ancora un‟overdose di mentuline, mentule,
mentulone e mentulazze per dimenticare la mentulina di Mynkyalao e non pensare
alla mentulona di Paryde? >>
<<“Sì” per il minkialenta di Mynkyalao, “No” per la “Gioconda” di Paryde”>> fu la
risposta.
“Melius abundare quam deficere” diceva un detto latino latinamente latinissimo.
E allora meglio un‟overdose di mentuline, mentule, mentulone e mentulazze per
dimenticare la mentulina di Mynkyalao. Ma non c‟erano kazzi da kakare che
potevano farle scordare la mentulona, mentulona per modo di dire, di Paryde.
<< E overdose sia.. con tanti parerghi e senza paralipomeni >> disse Helena.
<< Ma della minkia di Paryde però>> aggiunse.
--Botte buona fa buon vino, minkia dura fa buon pakkio.
Detto popolare
--A curtigghiari c‟erano i tre intellettuali della ciolla, che non avevano chiù problemi di
ciolla. E pertanto pinsavano già di scrivere rispettivamente, secondo la propria
specializzazione, il Poema Helena s‟inphalla il phallo brillo di Dyonyso che si
convince di avere due phalli tanto che con il secondo può inkulare o inkularsi
intanto che con il primo imminkia, il Carmen Helena s‟immentula la mentula brilla
di Dyonyso che crede di avere due mentule tanto che con la seconda può andare in
kulo a se stesso o ad altri mentre con la prima imminkia, e il romanzo Cent‟anni
della minkia „nbriaca di Dyonyso per il pakkio di Helena ma siccome Dyonyso
crede di avere una doppia minkia vorrebbe simultaneamente inkunnare e inkulare
ma finisce inkulato.
Sokratynos Phylologos, il filosofo della minkia, con problemi incommensurabili di
minkia, si chiese: << La vita è una, come la minkia, e se non è un piacere vivere e
avere una minkia, a che minkia serve avere una minkia arrapatissima e quasi
sofferente se poi non puoi imminkiare manco quella troia di Helena che invece si
lascia imminkiare da Dyonyso che, in vino veritas, si convince di avere non una
minkia ma due minkie e pertanto piazza la seconda minkia nel kulo di Helena che per
minnitta si leva la minkia finta dal suo kulo e la imminkia nel kulo di Dyonyso che
sempre in vino veritas si convince di essere in grado di inkularsi con una delle sue
due minkie e tutto questo mentre, minkia arrapata d‟una minkia arrapatissima che
vorrebbe fortissimamente imminkiare a minkia cina, ci sarebbe stata la mia filosofika
e arrapatissima minkia disponibilissima a imminkiarla filosofikamente, e fors‟anche
il mio filosofico kulo pronto a farsi inkulare dal Sosia, intanto che, oltre che
imminkiarla, la inkulassi anche, sempre filosofikamente però ?>>.
--Helena, dopo la probabile ma fors‟anche improbabile visita ai tre intellettuali, non
sapeva se andare da Paryde o dal marito. Di minkie ne aveva avute a iosa. Di minkie
vere e genuine e reali come quelle di Zeus, Eros, Apollo, Efesto, Ares, Ermete,
Asclepio, Ganimede, Eolo, Achylle, Patroclo, Mynkyoreste, Pilade, Castore, Polluce,
Edipo, Odisseo e Dyonyso e quelle artificiali di Pallade e Artemide a cui aveva però
ricambiato il favore ricevendo in regalo un Sosia che lei aveva battezzato
“Gioconda”. E la “Gioconda” era andata anche in kulo a Ganimede, Achylle,
Patroclo, Mynkyoreste, Pilade, Castore, Polluce, Antigone e Dyonyso. E per minnitta
e solo per quello era andata in kulo ad Agamynkyone che però non era andato in
kunno alla cognata che aveva optato per il “gran rifiuto”.
Il Sosia aveva tentato anche di andare il kulo a Odisseo ma Odisseo l‟aveva fatto
finire in kulo a Helena. E aveva avuto anche la minkia delle minkie, la minkia
Pryapo . E Pryapo e le Menadi s‟erano fatte un giro col Sosia di Paryde. Ma Helena
non era contenta. Voleva minkie su minkie e ancora minkie e minkie ancora, eppure
sapeva anche che la minkia giusta per lei era quella di Paryde. Che questa ricerca
della minkia portava a Paryde. Eppure Helena non sapeva se andare da Paryde. Forse
era ancora indecisa tra la minkia come tale e la minkia innamorata del
purceddopolita. Tra la minkia tale e quale e la “Gioconda”. E forse, ma dico forse,
aveva avuto anche quelle di Homeryno Homokulum, Mhaxymylyanum
Mhaxymylyanorum e Paulorum Santhokrysos. E forse, e dico sempre forse, il tre
intellettuali avevano avuto la ciolla finta di Paryde.
Ma Helena non era per niente contenta. Non sapeva se voleva ancora soltanto minkie
su minkie e solo e soltanto ancora minkie. Tutto questo pur sapendo che la minkia
giusta per lei era quella di Paryde. Eppure Helena non sapeva se andare da Paryde.
Ma forse era ancora veramente e giustamente indecisa tra la minkia come tale e la
minkia innamorata del purceddopolita. Comunque voleva anche tornare dal marito e
fare la brava moglie come le tante altre mogli dell‟alta e della bassa società. Voleva
recitare la sceneggiata della famiglia perfetta. Come tutte le moglie e come tutti i
mariti.
<< Io voglio bene a mia moglie e alla sua fika, ma la ciolla me la lascio gestire da
altre fike. E non solo>> dicevano i bravi ed esemplari mariti modello.
<< Io voglio bene a mio marito e alla sua ciolla, ma la fika me la lascio gestire da
altre ciolle . E non solo>> dicevano le bravi ed esemplari mogli modello.
Helena voleva comunque, questo è certo, minkie su minkie. Eppure sapeva con
matematica certezza che la minkia giusta per lei era quella di Paryde. Eppure Helena
non sapeva se andare immediatamente da Paryde. Poteva fare com‟era di moda. Il
marito per il dovere e l‟amante per il piacere. In fondo quasi tutti i mariti, pur avendo
il forno in casa, preferivano infornare fuori il loro filone, perchè il forno della vicina
cuoce sempre meglio. E pertanto anche lei , che tinia un bel forno, perchè non doveva
farsi infornare il modello di filone che le piaceva di più? Andare da Paryde, dopo
tutto, voleva dire che era semplicemente innamorata, anche perché Paryde avia si un
bell‟uccello ma non era certamente il massimo in fatto di misure. Ma lei avia il
kunno innamorato: e l‟amore è capace di far teoricamente diventare un elefante
magari una piccola mosca. Ma il marito era da salvare comunque .
--<< Vado ancora a minkia e ancora m‟imminkio sulla prima minkia per cercare di
non pensare né alla minkia di Mynkyalao che mi fa schifo né a tutte quelle che mi
sono fatta, compresa naturalmente quella portentosa, ma inutile per me, di Pryapo. E
quella di Paryde che però mi appititta. Diciamo la verità. Ed è da Paryde che devo
portare il mio sesso. Perché per il mio kunnu chidda è la megghiu minkia di lu
munnu. Ma solo per il piacere però. Il dovere istituzionale si chiama Mynkyalao. La
minkia istituzionale
è la minkia di Mynkyalao. Ufficialmente Mynkyalao
minkialenta deve essere la mia minkia preferita. Ma solo ufficialmente. Perché così
fanno tutte le femmine ufficiosamente oneste di pakkio>>.
--<< Voglio una minkia per il mio kazzicatummulio>> gridava ancora Helena.
Naturalmente doveva decidere la bella Helena. O il marito minkialenta o Paryde
minkiattenta. Chiuse gli occhi e girò fin quasi a svenire su se stessa. Girò in senso
orario e in senso antiorario. Girò e rigirò come una trottola sulla minkia. O una
minkia di trottola. Girò in sincronia col Sosia. Ma anche in diacronia. Le sue minne
abballarono ora sincronicamente ora diacronicamente. E pure il suo kulo vibrò a volte
in sincronia col pakkio e a volte in diacronia. E finanche le labbra del pakkio
tremarono a volte in sincronia e delle volte in diacronia.
<< Affidiamoci al destino>> pinsò.
Quannu finalmente si fermò andò nella direzione voluta dal caso. E solo dopo un po‟
si accorse che portava al marito, a Mynkyalao minkialenta.
<< Così volle il fato. E se lo volle il fato, sia. Andiamo a kazzicatummuliare col
cornuto di mio marito >>.
Ma appena arrivò davanti alla porta si fermò di colpo. Sintia sospiri, ma non di un sol
tipo. Erano in due a sospirare. Un uomo e una donna. Taliò da una filazza.
Mynkyalao stava futtennu cu na fimmina.
<< Minkia, cornuta mi fece la prima notte di nozze. Cornutissima cornutissimamente
cornuta il giorno delle nozze e cornutissima cornutissimamente cornuta la notte delle
nozze. Stu sukakazzi di iarrusu, stu lurdu fitusu, stu ciolla vacanti di merda, sta
minkietta inutile, stu marrugghiu di ricotta. Cu mia nun vosi fari na minkia, e a chista
sukaminkia ignota della minkia sconosciuta ci passa la minkia sua a tinchitè >>.
Poi si ricordò che lei personalmente era saltata da una minkia all‟altra. E di cicia in
cicia ne aveva avuto di ciolle. Ma si assolse. Il suo teatro con minkie varie ed altro
era stato solo una conseguenza del mancato teatro da parte della minkia di
Mynkyalao.
<< Non sono andata dall‟amante mio bello. Con Paryde l‟avrei fatto cornuto.
O solo cercato minkie a caso per il mio pakkio che voleva esser fottuto>>.
Ma trasiu lo stesso inkazzata. E scoprì, scoprì per modo di dire, che Mynkyalao stava
fottendo con sua nipote Ifikanya. In fondo si l‟aspettava. Ma la recita è la recita. Il
dramma è il dramma.
<< Se la minkia sua non operò, mi è parso giusto cercare na minkia operante per il
mio pakkio che operare voleva. E cercata io l‟ho. E per cercare quella giusta dovevo
sperimentare. Fare prove e provini e provette. Ovvero, fikkate e fikkate e fikkate
ancora. E che minkia, potevo mica kazzicatummuliari da sola?>>.
Poi, rivolta ai fottenti, gridò: <<Curnutu tu e buttana idda, curnutazzu tu e
grannissima ciucciakazzi idda>>.
Ma chiddi travolti dalla passione manco la cagarono. Travolti dalla passione, dai
sensi, dall‟eros, dal pititto, dal desiderio di fottersi e controfottersi, di scopare alla
diavolina, si rotolavano pazzi di piacere in attesa del piacere supremo e a quella
femmina manco ci fecero caso. Non la videro manco. Arrabbiatissima Helena pigliò
il Sosia con tanta e tale rabbia che la collana si ruppe e sempre con rabbia infinita e
crescente ci lu ficcò di botto in kulo al marito che pazzamente si dimenava sopra la
nipote. Ma quello manco lo sentì. Ci parse un orgasmo kulare dovuto al piacere
d‟inkunnare la sua bella e arrapante Ifikanya.
<< Che bello, che bello. Ifikanya mia bella, godo come nu iarrusazzo.
Mi sento felice, mi sento di avere realmente in kulo il tuo pseudo kazzo.
Il tuo kunno mi stringe d‟amore l‟aceddu, e questo è certo e sicuru.
Ma a dire il vero pare che mi allarghi realmente magari lu kulu.
Mi pare che tu abbia una minkia simbolica ma però anche ideale.
E con quella, per amore, mi rompi il kulo in maniera assai speciale>>.
Pertanto continuò a dimenarsi. E dimena dimena il Sosia sciu di getto. Helena lo
prese al volo. Quelli continuavano a fottere alla diavulina. A minkia e kunnu cinu.
Quannu funu girati, Mynkyalao di sotto e Ifikanya di sopra, Helena, sempre con
draconiana rabbia infinita e crescente, ci lu fikkau in kulo a Ifikanya.
<< Che bello. Amore mio, godo come la più grande buttana di chistu munnu.
Mi pare di avere una minkia na lu kulo e una minkia na lu kunnu.
Forse la tua minkia ha il dono dell‟ubiquità, e sia lì che là>>.
Ma il Sosia sciu anche da quel kulo. Capendo che non la kakavano Helena scappò. Li
lasciò alla loro passione travolgente. Non restava che andare dal bel purceddopolita.
E non sapendo cosa fare col Sosia di Paryde, visto che la collana si era rotta, si lu
piazzò nel pakkio. La sceneggiata intitolata “Felice matrimonio” non era andata in
porto. Uscì disperata e felice allo stesso tempo. Disperata per la missione fallita e
felice per le sensazioni piacevoli che camminando ci dava il Sosia dintra al pakkio.
Ma per sentirsi più felice si addumò un megaminkiuni di minkiajuana. Poi n‟autro e
poi n‟autro ancora e alla fine gridò:<< Voglio una minkia solo pi mia. Voglio la
minkia di Paryde>>.
Era comunque scontenta Helena . Scontenta e inkazzatissima. Il teatro col marito era
fallito sia in prima che in seconda visione. O edizione. O versione. Era stato un
insuccesso totale. Una brutta messa in scena. Un flop. Lei era stata solo una
spettatrice. O forse una coprotagonista. Secondaria però. In fondo la sua “Luna” non
era stata manco presa in considerazione. Né lei né la “Luna”. Uno smacco per quel
pakkio e il relativo contorno. Al massimo poteva considerarsi solo una assistente al
Sosia. Titolo plausibile, A letto per un ciollesco dramma della gelosia. Nel
complesso un esempio di Teatro quotidiano .O Teatro familiare.
E in testa una domanda: <<Che kazzo faccio se il kazzo del marito inkazza
altrove?>>. Ma anche il solito pinsero attanagliava Helena: <<Che mentula di ciolla
di cicia del kazzo di una minkia devo fare?>>.
Ma stavolta aveva la risposta.<<Dopo questa ricerca sperimentale della cicia ideale
che mi ha portato a saltare di cicia in cicia, e poi ancora di ciolla in ciolla, e quindi
anche di minkia in minkia e di kazzo in kazzo, e che mi ha portato pertanto ad
esplorare la cicia in sé, passando attraverso cicie e cicie che mi hanno fatto capire
l‟eterogeneità e la variabilità della cicia umana e divina e finanche di quella
artificiale, posso, dopo aver avuto tante cicie, compresa quella di Pryapo, e dopo aver
cercato di riconquistare, per l‟occhio sociale, la cicia maritale, e dopo aver rifiutato,
per scelta personale, la cicia del cognato, e dopo aver, per dovere di cronaca,
consultato le cicie intellettuali, posso draconianamente affermare che la mia cicia
ideale è la cicia di Paryde. Pertanto non mi resta che correre a iosa, alla sanfasò e
finanche a tinchitè dalla cicia di Paryde, che per me è la cicia tout court e full time.
Quindi non mi resta che fare la kazzicatummula finali e kazzicatummuliarmi sul
kazzo dell‟amatissimo Paryde, grande testa di kazzo e grande kazzo tout court e full
time. E iddu a sua volta si kazzicatummulierà nel mio pakkio. Iddu è il trofeo del
mio “minkia tur”. La corsa ad ostacoli sta finendo. Iddu è il premio mio. Iddu è
l‟approdo, la scelta, il destino, il bastone mio. E altro è. E mi aspetta al traguardo che
vicino è. Anzi, vicinissimo>>.
--La cicia dell‟amante fa veder le stelle ad ogni istante.
La cicia del marito non fa vedere manco il sole.
La cicia occasionale è solo uno sfogo naturale.
Leucippo
--La famiglia, il porcile per eccellenza.
La sede di tutte le porcherie istituzionali.
Il kakatoio legale delle bassezze umane.
Santhokrysos
--Le famiglia? Che kazzo è mai la famiglia?
Senz‟altro un rottura del kazzo.
Ma se si rompe il kazzo, si rompe la vita.
Allora meglio esser senza famiglia.
E vivere solo e soltanto per il proprio uccello.
Perché della vita “questo” è il bello.
Anonimo
---
Due tizi originari di Leonthynoy e Karleonthynoy cercarono di valutare il numero
delle ciolle in generale di cui aveva bisogno Helena per dimenticare la ciolla di
Paryde. E per scordare definitivamente la ciolla inutile del marito.
<< Quattro miliardi di miliardi di ciolle per dimenticare la “Gioconda”. Quattro ciolle
qualsiasi per dimenticare la minkia di Mynkyalao >> disse il tizio di Karleonthynoy.
<< Otto miliardi di miliardi di ciolle per dimenticare la “Gioconda”. Otto ciolle
qualsiasi per dimenticare la minkia di Mynkyalao>> replicò il tizio di Leonthynoy.
Ma da Palermorum fecero sapere che la valutazione poteva arrivare al massimo a
quaranta miliardi di miliardi di ciolle. Purtroppo un altro tizio perse i documenti e
tutto finì a ciolla ciullavento. Ignoravano i suddetti che per il pakkio libero di Helena
qualsiasi ciolla valeva zero. E quella del marito non valeva un kazzo. Era meno di
zero. Mentre la ciolla di Paryde valeva più dell‟universo tutto sano sano. Ma loro
purtroppo sapevano dare solo i numeri. La ciolla dell‟amante era per Helena l‟unica
ciolla fikalmente sostenibile, kunnamente possibile e cerebralmente desiderabile.
Pertanto una bastava e assupicchiava. Mentre quella del marito non valeva una
minkia. Pertanto una minkia qualsiasi poteva farne le veci. E farle senz‟altro meglio.
--Quattro milioni.. otto milioni.. quaranta milioni..
senza documentazione che rottura di koglioni.
Detto popolare
---
Per tutto il palazzo reale risuonò il disperato, lacerante e addolorato urlo di Helena.
Paria l‟urlo di una fika sull‟orlo di una crisi di nervi fikali. O addirittura di una donna
pronta al suicidio. Un urlo tonitruante ma anche chiarificante. Infatti le parole erano
leggermente diverse, e poi c‟era finalmente un nome. Un nome atteso, ma adesso
veniva fatto ufficialmente. Era quella la minkia finale del percorso minkiesco. Era
quella il traguardo del suo naturale “minkia tur”.
<<Voglio ..
la minkia di..
la minkia di..
la minkia di...
la minkia di..
la minkia di...
la minkia di..
la minkia di..>>.
Per poi finire con un micidiale :
<<Voglio la
MINKIA
di Paryde>>.
Infatti pure la sua “Cisterna” urlò un “Cisterna -tonitruante” urlo assai lapalissiano.
<<Voglio la minkiaaaaaa...una minkia che sappia fare la minkiaaaaaa...voglio la
minkia di Paryde.. perché la minkia di Paryde sa fare la minkia>>.
E non era un lapsus calami o un lapsus linguae. In vino veritas. O meglio, in kunnus
veritas. Gutta cavat lapidem, mentula cavat kunnus.
Il sogno di Helena, e della sua Cisterna, era quello di gridare in faccia all‟urbe,
all‟orbe e all‟Olympazzo:<<Habemus mentula. Habemus Paryde mentula o mentula
Paryde>>. Il problema “Quale mentula?” non c‟era più. La mentula di Paryde era la
risposta. “Melius abundare quam deficere” diceva un detto latino latinamente
latinissimo. Ma era meglio abbondare con la minkia di Paryde e non con le altre
minkie. E allora meglio un‟overdose di mentuline, mentule, mentulone e mentulazze
per dimenticare la mentulina di Mynkyalao. Mentre non c‟erano minkie e kazzi e
cicie che potevano farle dimenticare la minkia di Paryde. Era impossibile non pensare
alla mentulona di Paryde.
<< E overdose sia.. con tanti parerghi e senza paralipomeni .. ma basta con l‟overdose
di minkie e minkie e minkie in attesa di un‟overdose della minkia di Paryde.. adesso
è arrivato il momento dell‟overdose di minkia paridea.. con tanti tantissimi parerghi
e senza paralipomeni di sorta>> disse Helena.
--Tra due litiganti il terzo gode. E il terzo è spesso un kazzo. O un portatore di kazzo.
Mai litigare per un pakkio, un pakkio può ricevere di tutto e di più.
È giusto litigare sempre per una minkia, perché una minkia può dare fino ad un certo punto . Una
minkia può dare di tutto ma non di più.
Detti popolari
---
A curtigghiari c‟erano sempre i tre intellettuali della ciolla, che non avevano chiù
problemi di ciolla, e che pinsavano già di scrivere rispettivamente, secondo la propria
specializzazione, il Poema Andando alla ricerca delle fikkate perdute Helena ritrova
il phallo maritale dintra il pakkio di Ifikanya e per vendetta sodomizza entrambi con
il Sosia di Paryde, il Carmen Andando alla ricerca delle fottute perdute Helena
ritrova la mentula maritale dintra il pakkio di Ifikanya e per la rabbia piglia il Sosia
di Paryde e glielo sbatte in kulo prima al marito e poi all‟amante, e il romanzo
Cent‟anni di ricerca da parte di Helena delle dosi perdute di minkia maritale per
poi trovare la minkia del marito intenta a imminkiare il pakkio di Ifikanya e allora lei
pi minnitta pigghia la minkia finta di Paryde e inkula per cent‟anni prima il marito
e poi l‟amante.
Sokratynos Phylologos, il filosofo della minkia, con la ciolla ardente come una
minkia addumata, si chiese: << La vita è una, come la minkia, e se non è un piacere
vivere e avere una minkia, a che minkia serve avere una minkia se poi non puoi
imminkiare manco quella troia di Helena che invece avrebbe voluto farsi imminkiare
dalla minkia di quel minkialenta di Mynkyalao solo che tornando a casa trovò il non
tanto minkialenta di Mynkyalao che imminkiava con la sua minkia il kunno di
Ifikanya e allora per minnitta gli imminkiò la minkia finta nel kulo prima a lui e poi
a lei ma quelli presi dal reciproco imminkiamento non ci fecero manco caso a quella
minkia finta e pertanto lei che cercava la minkia di quel minkialenta del marito lasciò
la stanza con la minkia finta in mano e tutto questo mentre, minkia d‟una minkia che
vorrebbe imminkiare a minkia cina, ci sarebbe stata la mia filosofika minkia
disponibilissima a imminkiarla filosofikamente e fors‟anche il mio filosofico kulo
pronto a farsi inkulare dal Sosia intanto che, oltre che imminkiarla , la inkulassi
anche, sempre filosofikamente però?>>.
--<< Voglio la minkia di Paryde. Quella è una vera minkia. Quella è una minkia che sa
fare la minkia e non solo. Ed è anche una minkia innamorata, e io la voglio per
kazzicatummuliari>> gridava adesso la bella Helena.
Helena aveva seguito il consiglio “ironico e moralistico” di Dyonyso ma era andata
male. Il marito stava imminkiando la nipote. Non restava che andare da Paryde e
smetterla di andare dalla prima minkia che capitava. Di minkie ne aveva avute a
iosa. Da quelle vere e genuine e reali come quelle di Zeus, Eros, Apollo, Efesto,
Ares, Ermete, Asclepio, Ganimede, Eolo, Achylle, Patroclo, Mynkyoreste, Pilade,
Castore, Polluce, Edipo, Odisseo e Dyonyso e quelle artificiali di Pallade e Artemide
a cui aveva però ricambiato il favore ricevendo in regalo un Sosia che lei aveva
battezzato “Gioconda”. E la “ Gioconda” era andata anche in kulo a Ganimede,
Achylle, Patroclo, Mynkyoreste, Pilade, Castore, Polluce , Antigone e Dyonyso. E
per minnitta e solo per quello era andata in kulo ad Agamynkyone che però non era
andato in kunno alla cognata che aveva optato per il “gran rifiuto”.
Il Sosia aveva tentato anche di andare il kulo a Odisseo ma Odisseo l‟aveva fatto
finire in kulo a Helena. E aveva avuto anche la minkia di Pryapo. E Pryapo e le
Menadi si erano appitittati al Sosia. Aveva anche avuto, forse, i tre intellettuali della
ciolla. E forse, come Pryapo, i tre intellettuali si erano interessati al Sosia. Aveva
cercato di riavere la minkia di Mynkyalao ma l‟aveva trovata impegnata a inkunnare
Ifikanya. Pi minnitta li aveva sodomizzati col Sosia ma quelli non ci avevano fatto
manco caso. Desiderava comunque minkie a minkia cina per il suo pakkio. E non
solo per quello. Ma come diversivo. Come effetto placebo inutile. Come panacea
altrettanto inutile. Alla fine , lei, la sua mente, autorità primaria su se stessa, si diede
l‟autoplacet. Via libera per Paryde e il suo kazzo.
<< Paryde, voglio il tuo kazzo. Per resto il mondo può andare a rampazzo. Io sarò
tutta tua e tu sarai tutto mio. Noi saremo tutti nostri e del resto del mondo ci ni fotterà
un minkia cina d‟aria>> gridò felice di aver concluso la ricerca.
Andare da Paryde voleva dire che era semplicemente innamorata, anche perché
Paryde avia si un bell‟uccello ma non era certamente il massimo in fatto di misure.
Ma lei avia il kunno innamorato: e l‟amore è capace di far teoricamente diventare un
elefante magari una piccola mosca.
<< Non andrò più a minkia e non m‟imminkierò più sulla prima minkia per cercare
di non pensare alla minkia di Paryde. Me ne fotto e rifotto della minkia di quel
minkialenta di Mynkyalao che oramai mi fa solo infinito schifo. Me ne fotto e
rifotto della minkia di Pryapo che mi appitittò sì ma indifferente mi lasciò. Me ne
fotto e rifotto di tutte le altre minkie, di quelle che mi sono fatta e di quelle che avrei
potuto farmi. Me ne fotto e rifotto della minkia come tale. Non trovando
soddisfazione nelle altre minkie, gira e rigira, imminkia prima e imminkia appresso, è
da Paryde che adesso porterò il mio sesso. Perché per il mio kunnu chidda è la
megghiu minkia di lu munnu. Non voglio più una minkia qualsiasi. Adesso voglio la
minkia di Paryde. Voglio solo la minkia di Paryde>>.
--Per tutto il palazzo reale risuonò stavolta un nuovo, lacerante e per niente addolorato
urlo di Helena. Era un urlo pieno di speranza. Magari speranza addolorata ma
speranza. Speranza di avere quello che voleva. Speranza che prometteva piacere.
Speranza da realizzare, concretizzare, costruire, mettere in atto tout court e full time.
Helena oramai sapeva dove andare. Lo sapeva chiaramente. E pertanto modulò la sua
voce su canoni nuovi, su lunghezze d‟onda che esprimevano la sua soddisfazione di
donna che finalmente si era addecisa ad accettare la realtà. Né il marito né gli altri
uomini avevano una ciolla ad hoc per lei. L‟unica ciolla ad hoc per lei l‟aveva
Paryde. E lei adesso andava da Paryde.
<<
Voglio
MINKIA
Paryde
Voglio la
Voglio la minkia di
la minkia di Paryde.
di Paryde.
>>.
Pure la bella “Gnocca” della bella “Gnocca” urlò un “Gnocca -tonitruante” urlo
assai lapalissiano.
<<Voglio la minkiaaaaaa di Paryde.. quella è una minkia che sa fare la
minkiaaaaaa...>>.
E non era un lapsus calami o un lapsus linguae. In vino veritas. O meglio, in kunnus
veritas. Gutta cavat lapidem, mentula cavat kunnus.
Il sogno di Helena, e della sua gnocca, era quello di gridare in faccia all‟urbe,
all‟orbe e all‟Olympazzo tutto:<<Habemus mentula Paryde.>>.
Il problema non c‟era più. La domanda “Quale mentula?” aveva avuto la sua risposta.
Non era una mentula qualsiasi che voleva, ma la mentula di Paryde.
<< E overdose sia.. ma della minkia di Paryde.. overdose con tanti parerghi e senza
paralipomeni>>.
--Tutte le strade portano a Roma, tute le ciolle portano alla minkia amata.
Tutte le strade portano a Monakazzo, tutte le minkie attisano per il kunno di Helena.
Detti popolare
--La minkia amata dell‟amante amato vale infinite minkie.
Euclide
--Per un kunno possono passare infinite ciolle, ma solo la ciolla voluta fa effetto.
Euclide
--Il volume del kunno è una funzione della minkia che l‟imminkia,
il volume della minkia è una funzione del pititto.
Pitagora
---
Due tizi originari di Leonthynoy e Karleonthynoy cercarono di valutare il numero
delle ciolle qualsiasi di cui aveva bisogno Helena per dimenticare, se possibile, la
ciolla di Paryde.
<< Non bastano neanche quattro miliardi di ciolle>> disse il tizio di Karleonthynoy.
<< Non bastano neanche otto miliardi di ciolle>> replicò il tizio di Leonthynoy.
<< Basta solo la ciolla di Paryde>> puntualizzò il tizio di Karleonthynoy.
<< Basta solo la ciolla di Paryde>> replicò il tizio di Leonthynoy.
Era la prima volta che concordavano. Ma subito litigarono ancora.
<< Oppure, per dimenticare la ciolla di Paryde, basterebbe la ciolla mia. Ho quattro
coglioni che son pattualla tarocchi e un batacchio che ne vale quattro normali>> disse
il tizio di Karleonthynoy .
<< Semmai la ciolla mia. Ho otto koglioni che son pattualla sanguigni e un batacchio
che vale almeno otto ciolle normali>> rispose l‟altro.
Poi si chiesero: << Ma a n‟autri pirchì nun ci l‟avi data?>>. E si diedero risposte
diverse.
<< Io gliel‟ho chiesta quattro milioni di volte, pattuallazzo di un pattuallazzo del
kazzo. Gliel‟ho chiesta documentando anche la richiesta>>.
<<Io otto. Pattuallone di un pattuallone koglione. E tutto è documentato, kazzo d‟una
minkia che vale un kazzo e anche più>>.
<<Ma a Helena non bisogna chiedere. Bisogna dare, dare, dare e dare ancora e
ancora. Dare la minkia almeno quattro milioni di volte. Dare la minkia. Dare e
basta>>.
<< No, ma non quattro milioni di volte. Dare, ma otto milioni di volte>>.
Comunque da Palermorum fecero sapere che la valutazione poteva arrivare al
massimo a quaranta milioni di ciolle qualsiasi. Purtroppo un altro tizio perse i
documenti e tutto finì a ciolla persa. Ignoravano i suddetti che per il pakkio libero di
Helena la ciolla parydea era tutto. E che tutte le ciolle dell‟universo non valevano un
kazzo. Anche la loro era una ciolla inutile. Almeno per Helena. La ciolla di Paryde
valeva più dell‟universo tutto sano sano. Era più di tutte le ciolle divine, umane e
animali che ci sono state da che mondo e mondo. Ma loro purtroppo sapevano dare
solo i numeri. La ciolla dell‟amante era per Helena la ciolla più ciolla tra tutte le
ciolle che furono, sono e saranno.
--Quattro milioni.. otto milioni.. quaranta milioni..
senza documentazione che rottura di koglioni.
Detto popolare
---
Helena curriu di cursa verso la stanza di Paryde. Voleva un‟overdose di quella ciolla
per il suo pakkio in fiamme. Voleva la ciolla dell‟amante seduta stante. Ma incontrò i
due tizi, strani stranicchi, di Leonthynoy e Karleonthynoy. Iddi faceunu cunta a
minkia, cunta a pattualla, cunta a kazzu di cani e non solo. Cunti a iosa, alla sanfasò e
finanche a tinchitè.
<< Possiamo spiegarle il “Teorema della ciolla variabile”, cara signora?>> chiesero i
due piripitolli di regime.
<< Ditemi, ma sbrigatevi. Fate presto, che devo completare il percorso intrapreso.
Pertanto non ho tempo da perdere. Io sono come “I cavalieri che fecero l‟impresa”,
solo che io la devo ancora fare. Se è una cosa veloce, vi ascolto. Non più di quattro
minuti. Altrimenti da me sarete fottuti. Massimo otto. Altrimenti vi ritroverete col
kulo rotto. Non certo quaranta. Altrimenti.. ma lasciamo perdere. Pertanto
raccontatemi le vostre pattuallate, ovvero le vostre kazzate a pattuallo. Fate subito,
che ho prescia di una certa cosa nella cascia>>.
<< Il teorema della ciolla varabile è semplicissimo e lapalissiano. Iddu dice ciò
draconianamente: “Se sei uno stikkio italiano o straniero riceverai tutte le minkie
promesse, minkia più o minkia meno, per far fare bella figura ai somministratori di
minkia siciliana. Se invece sei uno stikkio siciliano non riceverai manco una
minkia”. Capito?>>.
<< Andate a farvi fottere e rifottere che è meglio. Capito? A me serve solo una ciolla.
Capito? Non importa se autoctona o alloctona. Capito? Del resto me ne fotto una
minkia. Capito? Per me quattro minkie non fa otto ciolle. Capito? Ma una vera
minkia ne può fare quattro o otto o quaranta milioni di n‟autra. Capito? E quella di
Paryde per me fa tutte le minkie del mondo. Capito? E non solo dell‟umana specie.
Capito? Comprende anche le cicie animali e vegetali. Le cicie volanti e le cicie
marine. E a dire il vero vero veramente, anche le cicie divine. Capito? Manco Pryapo
ci poli con la minkia di Paryde. Capito?>>.
<< Se vuole però, potremmo però passarle la nostra. Tanto per consolarla. Capito?>>
dissero i due bellimbusti.
<< Andate a farvi rifottere che è meglio. Capito? Io oramai ho fatto la mia scelta.
Capito? E la mia scelta si chiama Paryde? Capito? O meglio, ciolla di Paryde.
Capito?>>.
<< Guardi che la mia vale quattro ciolle normali. Ben quattro ciolle di normodotati.
Capito?>> disse il tizio di Karleonthynoy.
<< Ma la mia otto. Ben otto ciolle vale la mia, ma di superdotati. Capito?>> replicò il
tizio di Leonthynoy.
<< Andate a farvi rispettivamente quattro milioni di seghe e otto milioni di seghe. Sia
seghe normale che seghe potenziate. Capito?>>.
<< Ma lei non sa cosa si perde? Capito?>> disse i kakaparole del kazzo.
Helena si sciu il Sosia.
<< Questo vale più delle vostre minkie pattuallate e spattuallate. Capito?>>.
<< Chi minkiata ranni?>> dissero i due con la faccia a pattuallo sfatto.
<< Questo vale quattro milioni più della tua ciolla merdosa. Capito? E se non la
smetti, te lo sbatto in kulo quattro milioni di volte in un amen. Capito?>> disse
Helena rivolgendosi al tizio di Leonthynoy. Quello per lo scanto scappò. E si kakò
quattro milioni di volte.
Poi rivolgendosi al tizio di Karleonthynoy disse:<< Ma sempre questo Sosia vale otto
milioni più della inutile ciolla tua. Capito? E se non la smetti, te lo fikko in kulo otto
milioni di volte in un fiat. Capito?>> . Quello per lo scanto scappò. E si kakò otto
milioni di volte.
In seguito si seppe che da Palermorum avevano dato un tetto al numero di seghe
“pro Helena”: massimo quaranta milioni . Purtroppo un altro tizio perse i documenti e
tutto finì in una minata inconcludente. Si seppe anche che da Palermorum avevano
dato un tetto al numero di messe in kulo del Sosia: massimo quaranta milioni .
Purtroppo un altro tizio perse i documenti e tutto finì in una inkulata inconcludente.
E sempre da Palermorum si seppe che avevano dato un tetto anche al numero delle
kakate: massimo quaranta milioni. Purtroppo un altro tizio perse i documenti e tutto
finì in una kakata incontenibile ma inconcludente.
P.S. In seguito si seppe che scappando erano finiti in un deposito di pattualla, e che
s‟erano nascosti tra i pattualla. Li trovarono con, rispettivamente, quattro e otto
pattualla in kulo.
-Quattro milioni.. otto milioni.. quaranta milioni..
senza documentazione che rottura di koglioni.
Detto popolare
--E finalmente Helena arrivò nella stanza di Paryde. Ma chiddu non c‟era. C‟era
Sokratynos Phylologos che taliava un aggeggio. Lo taliava e si lu mittia sulla minkia.
Perché Sokratynos era nudo dall‟ombelico in giù. E con l‟aggeggio tiso. Era na specie
di tubo cu nu purtusu. E lui circava di trasiri la sua minkia in quel purtusu. E a dire il
vero ci dialogava. In realtà era un monologo. Iddu parrava e iddu si sentiva.
<<Minkia, Paryde non c‟è. Filosofo della minkia con tanto di ciolla arrapata, Paryde
unni kazzu è?>>.
<< Chi ni sacciu iu unni minkia è>> rispose il filosofo calandosi la tunica per coprire
la ciolla tisa.
<< E su kazzu di stigghiolu chi minkia è?>>.
<< Na cosa personale assai assaissimo personalissima. E chi minkia>>.
<< Ma di cu kazzu è? Tua o di Paryde?>>.
<< Minkia chi dumanna. Veramente è.. è.. è di Paryde>>.
<< Minkia, dell‟amore mio è. E allura dammillu>>.
Il filosofo della minkia ci lu desi. Sull‟oggetto misterioso, quasi un tubo con una
sola apertura, stava scritto “Simulacro della fika di Helena”.
<< Minkia, il simulacro s‟era fatto fare, il simulacro della mia fika. Così, quannu nun
avia a mia, mittia la “Gioconda” nel simulacro, lu gioia miu, gioia di lu me cori e di
la me fika, l‟amuri miu beddu. Chissà come ci vinia a fikkari la minkia dintra nu tubu
anonimo ma dedicato a mia. Anzi, alla mia fika. Minkia, chi pinseru d‟amuri. Io con
il Sosia della sua ciolla e lui con il simulacro della mia fika. Ma cumu minkia
imminkiava la sua gioiosa ciolla in questo minkia di portaciolla?>> disse Helena.
Sokratynos la taliava con la ciolla tisa sotto la tunica. La taliava e si la mangiava con
gli occhi ma l‟avrebbe voluta assaggiare con la ciolla. Lui che stava cercando di
fikkare con un simulacro di fika, adesso aveva lì l‟originale. Ed era davvero
bellissimo, era il meglio del meglio in fatto di pakkio.
<< Minkia di una minkia filosofika. Sicuramente come stava facendo poco fa il qui
presente filosofo della minkia>> disse piano pianissimo.
<< Senti, Sokratynos, io so che tu fai sempre domande sulla minkia. Sei un
domandificio vivente specializzato nella minkia, sulla minkia e con la minkia, ma
posso farti una minkia di domanda io?>>.
<< E che minkia ti devo dire? E fai, anche se non puoi aspettarti una minkia di
risposta ma semmai una nuova domanda a minkia>>.
<< Più che una minkia di risposta mi serve una minkia di dimostrazione a base di
minkia. La tua minkia però>>.
<< Dimmi: che minkia posso fare per te con la mia minkia?>> chiese il filosofo a
nome suo e della sua minkia.
<< Mi fai vedere come minkia si usa questo minkia di portaminkia artificiale?>>
chiese Helena.
<< Ehhh.. Minkia, la mia minkia in quel portaminkia?>>.
<< Sì. Vorrei vedere come si usa questo minkia di aggeggio della minkia. L‟aggeggio
c‟è, e lo strumento per usarlo mi pare pronto, e allora imminkia la minkia in questo
minkia di portaminkia. Fallo per me>>.
<< Ehhh.. minkia, non mi pare il caso. Io sono una minkia di filosofo quasi serio, non
uno filosofo a minkia. Ho una dignità filosofika, una deontologia filosofika>>.
<< Ihhh.. anche i filosofi hanno una minkia. Sarà pure una minkia filosofika ma
sempre minkia è. E la minkia vuole solo fare la minkia, filosofika o meno che sia. La
minkia, prima di tutto, è una minkia. Pertanto idda vuole fare le cose che fanno le
minkie in genere. Cose da minkia naturalmente. Belle ma da minkia>>.
<< Ragione tieni. Sono una minkia di filosofo con una minkia che in questo momento
ha seri problemi di minkia. Però mi vergogno nu tanticchia. Sono un filosofo serio io.
Un filosofo della minkia, ma della minkia seria>>.
<< Ihhh.. tanto la ciolla vista te l‟ho, di che minkia ti vergogni? >>
<< Di fikkare con una fika finta>>.
<< Ma se ti ho visto in fase operativa o quasi. Infatti cercavi di catafotterlo nel
simulacro della mia fika. Era con me che volevi fottere, ficcare, trombare e altro. O
no? >>.
<< Ma ero solo. O così credevo. Adesso mi vergogno>>.
<< Minkiate. Adesso la vergogna te la faccio passare io>>. E ci desi nu minkiuni
beddu ranni di minkiajuana da sukari. E sukò pure lei naturalmente.
<< Ancora ti affronti? Ancora ti vergogni? Il THC libera sia il corpo che la mente, e
pertanto anche la minkia>> disse Helena.
<< Adesso non tanto, ma nu tanticchia sì. Tu mi hai visto la minkia e io sono geloso
dell‟immagine visiva della mia minkia>> rispose il filosofo che aveva in testa una
domanda fissa e dirompente che lo ossessionava.
<< Ma na ciolla è sulu na ciolla>>.
<< Non è vero. Ci sunu ciolle e ciolle. Ci sono ciolle belle e ciolle brutte. Ci sono
ciolle aristocratiche e ciolle popolari. Ci sono ciolle colte e ciolle ignoranti. Ci sono
ciolle apollinee e ciolle dionisiache Ciolle platoniane e ciolle socratiche. Ciolle
domandanti e ciolli rispondenti. Ciolle alla Mynkyalao e ciolle alla Pryapo. Così
come ci sono fike e fike>>.
<< E la tua ciolla com‟è?>> chiese Helena.
<< L‟hai vista e pertanto lo sai. E una ciolla filosofika assai assai. Una ciolla che sa
dialogare con la controparte assai assai. E una ciolla domandante che chiede aiuto
alle fike rispondenti. Invece io so solo..>>. E si fermò.
<< Sai solo?>>.
<< So solo domandare>>.
<< Io invece so solo rispondere. Con la bocca e con la fika. Io non ho peli, né nella
bocca né nella fika. Lo sai o no?>>.
<< Sì. Per voce popolare so che la tua fika è spilata naturale. Che è un miracolo della
natura. Lo so per sentito dire e non per..>>.
<< Non per?>> chiese Helena.
<< Non per..>>.
<< Non per conoscenza diretta da parte della tua minkia?>> disse Helena.
<< No, non mi permetterei mai. Parlavo eventualmente di conoscenza diretta per
semplice visione personale. Conoscenza visiva. Telescopia, non minkioscopia>>.
Senza dire niente Helena si tolse tutto e allargò le cosce.
<< Minkiaaaaaa.. che bellaaaa.. minkiaaaaaa.. che portaminkia di lusso.. minkia..
come minkia c‟infilerei la mia minkia..>> riuscì a dire piano pianissimo Sokratynos a
cui la minkia ci aumentò di pressione, lunghezza e circonferenza in un fiat.
<< E allora? Adesso che quella vera l‟hai vista chiudi gli occhi e fai finta che quella
cosa che tieni nelle mani sia un vera fika. Forza. Imminkia la minkia nel
portaminkia, fammi vedere. Così risolvi la tua emergenza di minkia e io apprendo
come minkia s‟imminkia questo portaminkia. Un filosofo deve saper filosofeggiare
anche con la minkia. In mentula veritas, dice un detto latino>>.
<< Sì, accetto, e che minkia. Ma ad un patto...>> disse il filosofo riprendendo
coraggio e continuando a taliare quel pakkio speciale.
<< Dimmi? Per la ciolla amata di Paryde. Dimmi?>>.
<< Voglio farti una minkia di domanda>>.
<< Minkia .. ricominciamo?>>.
<< Una minkia di domanda secca>>.
<< E fammilla>>.
<< Mi vergogno nu tanticchia>>.
<< Tieni, sukati st‟autru minkiuni, ca la vergogna la pigghia in kulo. E mettiti nudo.
Fammi godere della visione della tua minkia filosofika come tu godi della visione
della mia fika spilata>>. E così fu. Il filosofò si denudò tutto. Mise a nudo la sua
filosofia più intima. Mise a nudo il suo Platone.
<< E allora, mi la fai stu kazzu di domanda del kazzo ?>> chiese Helena.
<< Sì, minkia sì>>.
<< Forza>>.
<< Dimmi, minkia di una minkia appitittata come la mia. Dimmi perché l‟hai data a
tutti e a me no? O meglio, perché l‟hai data ai tre intellettuali della ciolla, che è un
sinonimo della minkia, e a me, che sono, diciamolo pure, il filosofo della minkia,
no? Perché alle loro ciolle sì e alla mia minkia no?>>.
<< Sokratynos caro. Caro Sokratynos, e cara anche la tua minkia, non è capitato. Ma
adesso, una minkia in meno, una minkia in più, anche se ho deciso già quale minkia
scegliere, prima di correre dalla mia minkia amata, un colpetto lo posso far fare pure
a te. Tanto, una minkia in meno, una minkia in più, in questo “minkia tur”, non
cambierà certamente la mia opinione sulla minkia. Io ho scelto, ho scelto Paryde e il
suo augello. Ho scelto la minkia di Paryde, però. Però, prima del colpetto, mi devi far
vedere come funziona il simulacro della fika, della mia fika. Prima fatti il simulacro
della mia fika, poi ti farai la mia fika. Imminkia prima la minkia nel simulacro che
poi imminkierai la minkia nel mio pakkio>>.
<< E se poi la mia minkia non ci la fa ad imminkiare?>>.
<< Minkia. Ci penserò io con le mie arti erotiche a risollevare il morale al filosofo e
soprattutto a risollevare le sorti della minkia del filosofo. Platone rinascerà>>.
Sokratynos si esibì con ansia e piacere allo stesso tempo. Se da solo non era riuscito
a penetrare l‟aggeggio, adesso, sotto lo sguardo erotizzante di Helena, tutto andò
liscio come l‟olio. La minkia trasiu nel simulacro e fici la minkia con onore. Gudiu lu
filosofo. E al filosofo ci parse che pure la fika finta gudiu. Magari pikka, ma gudiu
pure idda.
<< Fici na bella cumpassa però. Grazie, minkia filosofika mia>> disse piano piano il
filosofo. Ma lei lo sentì.
<< E adesso fai una bella cumpassa dentro la mia fika, cara minkia filosofika>>.
Non ci fu bisogno di nessun aiuto. Il pititto del pakkio di Helena si concretizzò nella
più dura minkia filosofika a minkia che s‟era mai vista dacché minkia è minkia.
Pertanto il filosofo puntò la filosofika cappella della sua minkia contro il portuso
desiderato.
<< Trasi, trasi e onora questa real fika con la tua minkia>>. Ma la koppola non
trasia.
<< Trasi, trasi, imminkia la tua minkia. Fammi sentire come tromba la minkia di un
filosofo della minkia>> invocava Helena.
Ma la koppola della minkia filosofika nun trasia. C‟era come un ostacolo.
<< Ma a mia, e alla mia minkia, ci pare che ci sia qualcosa dentro la tua fika>>.
<< Minkia, ver‟è. Minkia, occupat‟è. Minkia, pien‟è>>.
<< E cu minkia c‟è?>>. Helena si sciu il Sosia.
<< Minkia, vai firriannu cu lu pakkiu cinu di na minkia finta?>>.
<< E‟ di Paryde. È il Sosia della sua minkia. È il Sosia della stupenda “Gioconda”
sua. È la mia consolazione, in attesa di avere per sempre quella vera>>.
Sokratynos a questo punto trasiu e sciu come un ossesso. Trasiu di botto e si mosse
come un pazzo. Aventi e indietro a velocità impressionante.
<< Trasi Platone.. esci Platone.. trasi Platone .. esci Platone.. resisti Platone.. fai i tuoi
dialoghi.. fai il tuo simposio.. il tuo kazzosio.. il tuo stikkiosio.. il tuo minkiosio...>>.
Platone, come detto già ho, era il nome della sua minkia. E a ogni trasuta sparava un
titolo nobiliare, in senso culturale, per la sua minkia. Per il suo incommensurabile e
intelligentissimo Platone.
<< Minkia, il candelaio.. Minkia, dell‟infinito universo e mondi.. Minkia, de la causa,
principio et uno.. Minkia, degl‟heroici furori.. Minkia, de triplici, minimo et
mensura.. Minkia, de monade, numero et figura.. Minkia, de immenso et
innumerabilibus .. Minkia, la cena de le ceneri.. Minkia, lo spaccio de la bestia
trionfante...>>. Finì gridando: << Minkia, minkia, Platone vinni.. iacta alea est ..>>.
Vinni ma riprese. Rivinni e riprese ancora. Se ne fece parecchie. Forse troppe. Una
vera successione di fikkate. Ma finendo gridò sempre : << Minkia, minkia, Platone
vinni.. iacta alea est ..>>.
Helena, alla fine di tutto, disse semplicemente : << Grazie, grazie per questa serie di
dialoghi della minkia. Sono stati trentacinque, come i dialoghi di quell‟altro
Platone>>.
<< No, sono stati ventisei. E che minkia>>.
<< Io ho avuto trentacinqu orgasmi, giuro sulla tua minkia. Trentasei contati uno per
uno. Che io in matematica fikale e geometri kazziale sono bravissima>>.
<<Io sono venuto ventisei volte. Lo vuoi sapere meglio di me che sono il proprietario
della minkia? Ventisei volte e nonna di più o di meno. Ventisei versamenti di latti di
minkia. Ventisei, e che minkia>>.
<<Sarà che sono poliorgasmica. Allora facciamo una cosa, lasciamo nove dialoghi
della minkia come dubbi o non autentici>>.
<<Va bene, a mia tanto chi minkia me ne fotte>> rispose Sokratynos. Che ringraziò
anche. << Grazie , Helena, grazie di tutto a nome mio e della mia minkia, a nome mio
e di Platone>>.
<< Ihhh.. Na minkia in più, na minkia in meno, sempre dalla minkia di Paryde devo
andare>>. E baciò il Sosia.
<< Bello, una vera copia della minkia, della minkia di Paryde però>> disse il
filosofo.
<<Bello a taliarlo e bello ad usarlo. Minkia inesauribile è. E soprattutto minkia
portatile è. Questo Sosia della minkia di Paryde>> rispose Helena.
<< Ma chi minkia si prova con una minkia finta nella fika? >> chiese il filosofo.
<<Cos‟è? Una minkia di curiosità scientifika o una minkia di curiosità filosofika?>>.
<< Entrambe le cose. E che minkia>>.
<< Ma anche se te lo conto, tu capire non puoi. Chiamale se vuoi emozioni della fika
causate da una finta minkia. Ti dico solo “è bellissimo”. Ma tu non puoi
sperimentare, per mancanza di fika, cosa vuol dire avere una minkia finta, o finanche
vera, nella fika>>.
<< Non posso no. E che minkia. La mia curiosità filosofika sulla minkia finta resterà
tale>>.
<< Pi mia la tua è una curiosità di kulo, di minkia finta in kulo>>.
<< Anche quello, anche quello. Curiosità di una minkia finta in kulo. O meglio, del
Sosia di Paryde nel kulo>>.
<< Voi provare la minkia finta?>>.
<< Ho provato il simulacro della tua fika, perché non debbo provare il simulacro
della minkia di Paryde? >>.
<< Però poi hai avuto la mia fika. Allora vorrai anche la ciolla di Paryde?>>.
<< No, no, solo il Sosia, solo la minkia finta>> .
<< Te l‟avevo detto che il THC liberava la mente e il corpo. E liberando il corpo
libera anche la minkia, e naturalmente anche il kulo. E il tuo kulo adesso liberato è.
Ora desideri il Sosia, poi desidererai una vera minkia. Desidererai una minkia
qualsiasi prima o poi>>.
<< No, mai e poi mai. Una cosa è la minkia finta, una cosa è la minkia vera>>.
<< Caro mio, come l‟appetito vien mangiando, la storia della minkia in kulo inizia
desiderando >>.
<< Una volta è uno sfizio, sempre è un vizio>>.
<< Sarà. Io nel tuo futuro vedo minkie a iosa>>.
<< No. Desidero il Sosia però>>.
<< Per adesso. Eccoti il Sosia per adesso>>. Ed Helena glielo somministrò. Il filosofo
godette a iosa, alla sanfasò e finanche a tinchitè. Godette tout court e full time.
Godette come mai aveva goduto di minkia. Ma non disse niente. Godette in silenzio.
Ma Helena capì. Sokratynos tacque sulla faccenda. Tacque sull‟imminkiamento finto
e su quello vero. E tacque sull‟inkulamento. Tacque sul fatto che s‟era fatto il
simulacro della fika di Helena prima e la fika di Helena poi, e tacque anche sul fatto
che s‟era fatto il Sosia di Paryde. A cose finite Sokratynos chiese:
<< Ma almeno dimmi se le minkia mia, e dimmillu chiaru e tunnu,
se la minkia mia lu stutau lu focu ca ardia na lu to kunnu? >>
A Sokratynos, curioso assai, come a tutti i maschi, ci piacia sentirsi dire dalla
fimmina ca era tutta ma proprio tutta soddisfatta.
<< Mancu di na stizza, lu kunnu mi pruri e m‟attizza.
Iddu assai m‟impazza e voli tutt‟autra minciazza.
Ti l‟haia datu sulu e pirchì mi facevi tanta pena.
Oramai so qual è la minkia pi fari pranzo e cena.
Invece dimmi tu se il Sosia di Paryde, e dimmillu chiaru e sicuru,
se la ciolla finta di Paryde lu stutau lu focu ca ardia na lu to kulu? >>.
<< Sì. Sì. Sì>> rispose inaspettatamente il kunnofilo Sokratynos che aveva scoperto il
piacere di ricevere una bella minkia, magari finta, nel suo kulo.
<< Ohhh.. finalmente uno ca è cuntentu
di pigghialla in kulo cu sentimento.
Nu maskulu ca nun si scanta di diri
ca la minkia in kulu ci fa piaciri.
Tanti di nascosto cu li citrola si la fanu
ma kunnannunu stu piaciri come stranu.
La notti è cina di padri di famigghia
ca cercunu pi lu kulu beddi marrugghia.
La notti è cina di ucchi maskulini spalancati
ca cercunu kazzi pi farisi beddi sukati.
Però, sti maskulazzi, fanu tuttu a lu scuru.
Si fa ma nun si dice, d‟avilla pigliata in kulo.
Perchè se uno è un bravo padre di famiglia,
la minkia sulu alla moglie la duna, però non la piglia.
Ufficialmente è sanu di kulu, ma in verità,
lu teni ruttu e cu la ucca suk‟aceddi in quantità.
Bravo, Sokratynos assai assaissimo beddu.
Sono sicura che presto acchiapperai un vero aceddu>>.
<< So che capiterà presto, presto assai. È bello darla,
ma giuro che è pure piacevole assai pigliarla.
E un giorno per certi dialoghi tra ciolla e kulo
si parlerà di amore socratico, ne sono sicuro.
Avevi ragione, il THC, un fatto è sicuro,
libera oltre alla minkia finanche il kulo>>.
<< Ma intanto dimmi, dove minkia può essere andato Paryde?>> chiese Helena.
<< Non so, non ne ho una minkia di idea della minkia>>.
Poi trovarono una pergamena con una frase e un disegno.
<< Chi kazzu ci sta scrittu?>> chiese Helena .
<< “Mors tua mors mea”. Ci sta poi un omino che si tiene la minkia e che sta sulla
koppola di una grande minkia e pare che si sta..>>.
<< .. che si sta buttando giù dalla minkia..>>gridò Helena.
<< Esatto... un minkiasuicidio.. un suicidio a minkia..>>.
Helena, nuda com‟era, scappò sulla torre del palazzo per taliare. S‟affacciau e lu
visti. E guardò Paryde che si allontanava. Stava andando verso il Kolosso di Pryapo,
quello nuovo, quello con la minkia dalla koppola d‟oro. Stava andando verso il
Kolosso Minkiaurea. Sciu di corsa per rincorrerlo, nuda com‟era. Di corsa ma con
un bel minkiuni di minkiajuana tra le labbra e il Sosia dentro il pakkio. E tra un
sukata e l‟altra gridava “Voglio la minkia di Paryde”. Era sia contenta che scontenta
la bella Helena. Il teatro con Sokratynos era stato uno spettacolo bello. Una bella
messa in scena. Bellissima lei, brutto ma bravo lui. Da attori professionisti la
performance. Simulacri compresi. E poi, come in un bel giallo, c‟era stato il colpo di
scena finale. Il filosofo aveva scoperta che la filosofia, oltre che con la minkia, si può
fare anche col kulo.
Ma la “Luna” non aveva partecipato emotivamente. Solo fisicamente, per volontà
della proprietaria. Era dunque scontenta. Filosofikamente scontenta. Ma adesso la
bella gnocca di Helena era preoccupata. Per Paryde. Sarebbe riuscito a salvarlo o lo
avrebbe perso? Avrebbe trovato ancora viva e vegeta l‟amata ciolla dell‟amato
Paryde o sarebbe restata con il Sosia dell‟amata ciolla dell‟amato Paryde? Boh?
Titolo plausibile della messa inscena con Sokratynos, A letto con la ciolla filosofika.
Un draconiano esempio di Teatro filosofiko. In testa tinia la scelta fatta.
<<La ciolla ideale per me è la ciolla di Paryde>>. Ma si chiese anche se sarebbe
riuscita a mettere in scena lo spettacolo A letto vita natural durante con la ciolla
amata di Paryde.
<< Lo troverò vivo di ciolla e di corpo?>>. C‟era però il rischio che avrebbe dovuto
mettere in scena la tragedia A letto con il Sosia di Paryde dopo aver partecipato ai
funerali della ciolla di Paryde. <<Boh? Comunque speriamo di no>> pinsò. Perché
semplicemente non lo sapeva come sarebbe finita.
<< Ma se lui si suiciderà per la mia gnocca, allora io mi suiciderò per la sua cicia. Ma
prima gliela taglierò e me la metterò là. La mia gnocca sarà il tabuto della sua minkia.
Sarà quel che sarà, comunque sarà l‟impero dei sensi, o vivi o morti >>.
E gridò. << Paride , non fare la kazzicatummula dalla minkia di Pryapo, che ci son io
pronta a fare tutte le kazzicatummuli possibili e impossibili sulla minkia tua. Non
kazzicatummuliare da solo, kazzicatummuliamo insieme>>.
Il filosofo della minkia, rimasto solo, pinsò al piacere provato col Sosia in kulo.
Pertanto pinsò al piacere che poteva provare con una minkia vera in kulo. E cercava
di commensurarlo ai piaceri di sua conoscenza, ma non ci riusciva. Il Sosia il kulo era
al momento il piacere più grande fino ad allora provato. Pertanto il piacere dato dalla
minkia vera in kulo poteva solo essere maggiore o minore del piacere provato con la
minkia finta. E per saperlo, non restava che provare. Ma da quale minkia doveva
partite? Da una minkia qualsiasi o da una minkia in particolare. Questo al momento
non lo sapeva, era troppo preso dalla piacevol novità.
<< La vita è una, come il buco del kulo, ma per il mio buco del kulo basta una minkia
finta o ci vuole una minkia vera? E se ci vuole una minkia vera, quale minkia vera ci
vuole? Una qualunque o una ben precisa minkia?>>.
--Dalla REPUBBLICA:
Domanda numero uno: Meglio un filosofo a minkia o un filosofo a kulo?
Domanda numero due: Meglio una filosofia a minkia o una filosofia a kulo?
Domanda numero tre: Meglio una filosofia della minkia o una filosofia del kulo?
Domanda numero quattro: Meglio una filosofia minorenne o una filosofia maggiorenne?
Domanda numero cinque: Meglio una filosofia a minkia per tutti o una filosofia a kulo per tutti?
Domanda numero sei: Meglio un filosofo con la minkia filosofika o un filosofo con la minkia
afilosofika?
Domanda numero sette : Meglio un filosofo con una minkia vera in kulo o un filosofo con un
simulacro di minkia in kulo?
Domanda numero otto: Meglio un filosofo con la minkia dentro un simulacro di pakkio
o un filosofo con la minkia dentro un vero stikkio?
Domanda numero nove: Meglio un filosofo col kulo rotto o un filosofo col kulo sano?
Domanda numero dieci: Meglio fare 10 domande a minkia o a kulo sull‟attività della minkia e del
kulo o meglio non fare domande a minkia o a kulo sull‟attività della minkia e del kulo?
Sokratynos
--Due tizi originari di Leonthynoy e Karleonthynoy, ancora incilippiati di skulo di
pattuallo, cercarono di valutare il numero delle ciolle “modello Sokratynos” di cui
aveva bisogno Helena per dimenticare la ciolla di Paryde.
<< Quattro milioni di ciolle “modello Sokratynos”. Quattro milioni di ciolle più o
meno filosofiche ma tutte assai assaissimo filosofeggianti >> disse il tizio di
Karleonthynoy.
<< Otto milioni. Otto milioni, e solo e soltanto di ciolle filosofe. Anche le ciolle
pseudofilosofiche, le protofilosofiche e le ciolle sparakazzate a iosa, alla sanfasò e a
tinchitè >> replicò il tizio di Leonthynoy.
Ma da Palermorum fecero sapere che la valutazione poteva arrivare al massimo a
quaranta milioni di ciolle “modello Sokratynos”. Purtroppo un altro tizio perse i
documenti e tutto finì a ciolla filosofika che filosofeggia a kazzo. Ignoravano i
suddetti che per il pakkio libero di Helena qualsiasi ciolla valeva zero. Anche quella
filosofika di Sokratynos . Mentre la ciolla di Paryde valeva più dell‟universo tutto
sano sano. Ma loro purtroppo sapevano dare solo i numeri. La ciolla dell‟amante era
per Helena la ciolla più filosofika tra tutte le ciolle filosofike dell‟intera storia della
filosofia. Era Platone e Socrate e altro ancora. Era la summa di tutto il pensiero
filosofico a minkia, minkia compresa.
--Quattro milioni.. otto milioni.. quaranta milioni..
senza documentazione che rottura di koglioni.
Detto popolare
---
Per tutte le strade di Munypuzos intanto risuonò il nuovo e lacerante e addolorato
urlo di Helena. Addolorato assai assaissimo ma chinu di speranza di minkia. Di
speranza di ciolla. Di una ciolla specifica. Di una ciolla con tanto di nome e
cognome. Un urlo tonitruante ma chinu assai assaissimo di speranza. Speranza di
minkia. Speranza di una certa e ben definita minkia. speranza di averla al più presto.
Speranza di averla ipso facto quella minkia ad hoc altamente doc.
<<
Voglio
MINKIA
Paryde
Voglio la
Voglio la minkia di
la minkia di Paryde.
di Paryde.
>>.
Infatti pure la sua “Macelleria delle minkie” urlò un “Macelleria delle minkie tonitruante” urlo assai lapalissiano.
<<Voglio la minkiaaaaaa di Paryde. Ma la voglio viva. Quella è una minkia che sa
fare la minkiaaaaaa, con me naturalmente>>.
E non era un lapsus calami o un lapsus linguae. In vino veritas. O meglio, in kunnus
veritas. Gutta cavat lapidem, mentula cavat kunnus.
Il sogno di Helena e della sua “Macellerie delle minkie” era quello di gridare in
faccia all‟urbe, all‟orbe e all‟Olympazzo tutto:<<Habemus mentula Paryde>>.
“Melius abundare quam deficere” diceva un detto latino latinamente latinissimo.
E allora basta con l‟overdose di mentuline, mentule, mentulone e mentulazze per
dimenticare la mentulina di Mynkyalao e non pensare, momentaneamente, alla
mentulona di Paryde. Basta pensare al marito minkialenta. Doveva pensare solo a
Paryde e al suo meccio. Ma adesso la mentula di Paryde era a portata di mano.
<< E overdose sia.. con tanti parerghi e senza paralipomeni. In attesa della ciolla di
Paryde, naturalmente con tanti parerghi e senza paralipomeni>> disse Helena.
--Vedere e non toccare è una cosa da crepare.
Avere la minkia dura e non fikkare è cosa da minare.
Detto popolare
---
Su questa storia della fikkata con Helena e con il simulacro della sua fika,
Sokratynos tacque. Tacque anche sul Sosia di Paryde in kulo. Ma non tacquero i tre
intellettuali della ciolla. Che, una volta saputa la cosa, la presero per vera, e pertanto
scrissero, tanto per. Homeryno Homokulum scrisse il Poema Sokratynos riesce
nell‟impresa di avere Helena in originale passando attraverso il suo simulacro e per
concludere in bellezza riesce ad avere in kulo pure il Sosia di Paryde.
Mhaxymylyanum Mhaxymylyanorum elaborò il Carmen Il viaggio della mentula di
Sokratynos dal simulacro della fika di Helena alla fika della stessa con arrivo finale
del Sosia di Paryde nel suo kulo. Paulorum Santhokrysos mise su papiro il romanzo
Cent‟anni di attesa da parte della minkia di Sokratynos per trasiri nel pakkio di
Helena pagando prima l‟obolo di trasiri con la minkia nel simulacro della stessa per
poi ricevere come premio finale la minkia finta di Paryde in kulo.
Sokratynos, il filosofo della minkia, si chiese: << La vita è una, come la minkia, e se
non è un piacere vivere e avere una minkia, a che minkia serve avere una minkia se
poi non puoi imminkiare manco quella bella fika di Helena perchè poi la bella fika di
Helena è capace di...? >>. E lasciò così. Omise qualcosa. Omise il fatto. Forse per
pudore. O forse per non parlare della parte finale della storia. Tutti comunque
concordano nel dire che doveva solo avere il coraggio di scrivere che aveva avuto in
kulo il Sosia di Paryde . Ma circolò, anche se anonima, questa domanda: << La vita
è una, come il buco del kulo, e se non è un piacere vivere e avere un buco del kulo, a
che minkia serve avere un buco del kulo, se poi non puoi farti imminkiare da una
minkia vera o finta che sia?>>.
--Anche se è nikaredda, la fika voli chidda ca ci pari chiù bedda .
Ma se a mangiari è lu kulu, allura ci vonu kazzi ranni di sicuro.
Strabonio
---
Helena, come detto, nuda com‟era, scese dalla torre e corse dietro a Paryde. E
correndo sentiva il Sosia che trasia e scia dalla sua fika. Il Sosia che addimorava tra
le sue cosce.
<< Minkia che piacere col Sosia di Paryde, kazzo>>.
Correva e godeva. Godeva e taliava. E intanto si sukava nu minkiuni di minkiajuana.
<< Minkia, sta trasennu na lu Kolosso dalla minkia d‟oro. Chi voli fari, soccu
minkiata a minkia?>>.
Ma per caso, vicino al Kolosso, incontrò il bellimbusto di Enea, il dardanazzo
principe dei Dardani, che facia trasi e nesci da una delle porte secondarie di
Munypuzos. Era nudo e in mano tinia un falcetto. E nudo facia impressione. La
minkia tisa era nu tanticchia fuori dall‟ordinario, un vero “dardanazzo”, ma i koglioni
facevano impressione. Non erano ancora due meloni ma ci mancava picca. Erano
quasi meloncini. Minkia, che impressione che facevano. La minkia puntava al cielo
e si annacava nell‟aria, ma i koglioni abballavano a tinchitè.
Enea usciva e dicia:<< Scappo o no?>>. Rientrava e dicia :<< Resto o no?>>. Si
pigghiava la ciolla in manu e dicia:<< Mi la tagghiu o no? Oppure mi la mino al
vento, per alleggerire su pisu che nelle palle sento?>>. Si pigghiava li palli na li
manu, in mano per modo di dire, e dicia:<< Mi li tagghiu o no? Mi lu levu stu pisu
da li cugghiuna o no?>>.
Nu picciriddi beddu e nuru lu taliava. Era biddazzu, e prometteva di addivintari
beddu pure in fattu di kazzu. E di fare battaglie su battaglie, sessuali naturalmente.
Kazzicatummuli d‟amore quindi. O di sesso. Lu carusu gridava e ciancia.
<< No, papà, nun lu fari. La cicia nun ti tagghiari>>. Era Ascanio Julio.
E lu taliava puru nu vecchiu, lariu e nuru, ma cu tanto di kazzu che sicuramente
battaglie su battaglie gloriose avia combattuto. Era storto iddu, e storto era il suo
vecchio augello. Storti erano l‟uno e l‟altra cosa, storti per la minnitta di Zeus.
Taliava e santiava. << Pi la minkia crisoelefantina di Zeus e lu pakkio di Aphrodyte
ca è d‟oru, figghiu beddu, nun ti tagghiari lu tesoru>>.
Era Anchise, che con Aphrodyte fatto Enea avia. Helena lu taliò e s‟ammammaluccò.
<< Ma chistu è scemu ranni o no?>> disse piano piano. Ma Enea l‟intisi.
<< Io non sono scemo, ma tu buttana ranni sì. Tu porterai la guerra, una guerra ranni,
una guerra fatta sulu pi nu stikkiu buttanu. Beddu biddazzu, ma buttanu buttanazzu. E
io, prima o poi, devo scappare dalla mia terra. Così vorrà il fato e la fikazza buttana
tua. Così vorrà, a causa della fikazza buttanazza tua. E come se non bastasse, il fato
mi fici lu scherzetto ca mi fici. E minkia, chi minkia di scherzo della minkia ca mi
fici quella facci di minkia del fato. Eroe per forza, eroe contro voglia, padre della
patria e del resto, ma non per mia scelta. Chi minkia mi ni futti della patria? Un kazzo
e una cicia. A mia interessava sistemare bene la mia minkia. E c‟ero riuscito. Che io a
Purceddopolys mi la passo bene. Bene mi sono accasato. E bene si è accasata la mia
minkia. A parte la moglie, con cui ficco per dovere, per il piacere ho le sorelle di mia
moglie, una in particolare, oltre al resto. Sono in fondo una minkia della casa reale,
una minkia della nomenclatura, ed sono anche, tutto sommato, una bella minkia, una
minkia spilata come il pakkio di mamma mia. Ho qualcosa di divino io. Nella testa,
nel corpo e finanche nella minkia. Ma tu, buttana pi scelta, mi hai rovinato la festa.
Buttana, buttanuna, sukaminkia d‟aceddi universale, spurpatrice di minkie di tutte le
forge e fatture. Tu, assassina del mio benessere fisico, mentale e minkiale. Tu, figlia
di buttana tu, assassina. Tu che sei una mia quasi “gemella di minkia”. Come vedi, e
io nudo son come a tia, la mia ciolla è spilata naturale, come il tuo pakkio. Ma io mi
la taglio, la dugnu ai cani, ma mai a una buttanazza comu a tia. Mai e poi mai, io
trasirei in quel kakatoio universale. La sputacchiera della storia quella è. Il cesso della
grecia e della magna grecia. E finanche il cesso di Purceddopolys diventerà. Mai e
poi mai la minkia mia a tia. Meglio tagliare e dire basta. Basta al mondo, basta
all‟Olympazzo iarruso, basta al fato koglione, ma soprattutto basta alla buttana di
Helena e alla sua fika spilata e fitenti . Tu, troia delle troie di quel troiaio che è chistu
troia di munnu, tu hai sconvolto il mio piano di diventare re di Purceddopolys, alla
morte, naturale o meno, di Pryamo >>. E fici per tagliare.
A quelle parole Helena nun ci visti chiù. E non ci visti chiù quannu iddu ancuminciau
a scendere il braccio, che terminava col falcetto in mano, verso la ciolla e li baddi ca
tinia cu l‟autra manu. Helena lu scaranventau verso il muro, poi dintra un portuso che
in quella mura portentose c‟era, e infine per terra. E ci livau pure il falcetto. Lui, a
dire il vero, lasciò fare. Sapia chi era quella femmina esperta nell‟arte del
kazzicatummuliare. Era, anche se non legalmente, sua cognata. Ma soprattutto Enea
sapia che quella femmina tinia il pakkio spilato come mamma sua. E come la sua
minkia. Helena era tale e quale Aphrodyte. Idda ci si assittau sulla panza. E dico
sulla panza per non dire sulla minkia. Che era a tiro di kulo. Anzi, la cappella,
toccava le chiappe della kallipigia.
<< Tu vorresti metterla là. Il mio kulo è bello, per carità.
Ma io la voglio lì. La idda deve fare chicchiricchì>> disse Helena che sentiva la
punta puntare al suo kulo. E ci si mise a cavallo. Con la punta contro la fika aperta.
<< No e poi no. Io la minkia non te la do>>. Infatti la minkia si ammosciò.
<< Koglione gonfio e minkia impotente.
Tu offendi il mio pakkio veramente.
Scappo o resto? Tagghiu o nun tagghiu?
Eroi sta minkia, unni minkia è lu to curaggiu?
Ora stu minkia di pisu da li baddi ti lu levu iu.
Ora, in un amen, a iddi tu dirai finalmente addiu.
Chista minkia tua è sia spilata ca malatedda.
Ma ora sarà sulu spilata e.. e murticedda.
Sarà comu na minkia di iaddazzu spinnatu,
a cui lu cudduzzu tisu ha statu tiratu.
Se non mi spieghi sta kazzu di storia,
sta minkia e sti palli finiranno in gloria.
Se non altro, almeno per giusta minnitta.
Perché mai minkia si negò a li me pititta.
Sti palli unciati chi su? Qual è lu significatu?
Fu nu pumpinu all‟incontrario, povero disgraziatu?
Ma l‟aria nun pisa, semmai rende leggeri e volanti.
Tu inveci parri di nu pisu assai assaissimo pisanti>> disse Helena che sentiva la
minkia modda circondata dalle pieghe del suo sesso. E la acchiappò con una mano.
La minkia, le palle non poteva. Questioni di volume.
<< Lassa stare la ciolla mia. Lasciala riposare>>.
Ma Enea era cosciente che la sua cicia stava per attisare. Causa pakkio elenino.
<< Mai ciolla riposò se Helena la bella pi lu so kunnu la circò.
Mai e poi mai maissimamente mai na minkia a Helena disse no.>>.
Helena era cosciente che la cicia di Enea stava per attisare. Effetto del suo pakkio.
<< La mia non è pi tia, la mia è proiettata nel futuro>>. Ma Enea sentiva che la cicia
stava per proiettarsi altrove.
<< Adesso la proietterai nel mio pakkio, questo è sicuro>>. Helena era sicura della
sua femminilità.
<< Mai e poi mai la cicidda mia là andrà>>. Ma la cicidda era già ciciazza.
<< Mai e poi mai la tua minkia resistermi saprà>>. E infatti puntava già là.
<< Confessa?>>
<< Con la ucca o con la minkia?>>.
<< Prima con la bocca, poi con la minkia>>.
Enea rise alla sanfasò. Helena a tinchitè.
<< Bedda Helena, beddu pakkiuni tuttu spilatu.
Tu nun sai di stu kazzu di pisu disgraziatu.
Na li baddi tiegnu ”Romakazzo”, na città assai ranni.
Idda in futuro sarà l‟urbe caput mundi di tutti banni.
E io non sacciu se tagliare la testa al toro,
o siminari sta polys in qualche stikkio d‟oro?
Pari ca in italia, e non sacciu mancu unni minkia sta,
c‟è Lavinia ca aspetta, vergini e pura, chista minkia qua.
Ma li palli stanu troppo assai assaissimo vunciannu.
E io non so come minkia sopportare stu minkia di malannu.
Prima erano quantu a du cipudduzzi di Santalfana.
Ora sunu quantu a li cipudduna di Giarratana.
Ma mi sentu ca quantu prima sarannu du muluna di Minkiacina.
A allura pi mia caminari sarannu sulu kazzi niuri e amari.
Cu ci arriva in italia cu sti cugghiuna accussì pisanti?
Prima o poi mi li tagghiu, e vaffankulo a tutti quanti.
Vaffankulo a “Romakazzo” e al suo futuro imperiale.
Vaffankulo a re e imperatori e a tuttu stu casinu reale.
Li palli mi fanu mali assai, in una c‟è“Roma” e nell‟altra “Kazzo”,
insieme daranno la grande urbe per eccellenza, “Romakazzo” >> rispose Enea la
cui ciolla era adesso pronta ma proprio pronta a siminari “Romakazzo”.
Ma chiddu beddu pakkiu spilatu a portata della sua minkia spilata non era di Lavinia,
ma di Helena. Poteva siminari “Romakazzo” senza aspittari i lidi italici e la Lavinia
misteriosa? No. Poteva solo fottere ma non seminare. Helena ci piacia ma iddu era
troppo orgoglioso pi farisilla. Anche se la sua minkia adesso era pronta.
S‟avia infatti sognato na vota, il principe dei Dardani, la sibilla cumana, ca ci avia
dittu il futuro. E al risveglio da quel sogno iddu avia incominciato a sentire un certo
peso ai koglioni. Era stato pure da un oracolo. E l‟oraculu ci l‟avia cantatu chiaru e
tunnu. E ora iddu era pronto a scaricare un po‟ di quel peso nell‟amatissimo e
odiatissimo pakkio di Helena. Ma non voleva. Per orgoglio. Idda ci avia sconvolto la
comoda vita di “minkia della nomenclatura” della casa reale. Di testa di minkia che al
posto della koppola sulla koppola della minkia voleva mettersi la corona. La corona
di re. Ci ni avia dittu tanti anche pirchì iddu la desiderava, e sapendo che quella
notte idda si era data a tutte le minkie di una certa lista, e sapendo che lui non era in
questa lista dal fato allestita, l‟aveva presa in odio. Ma ora idda era lì, a portata della
sua minkia. Ma non era Lavinia idda, pertanto iddu non poteva siminari
“Romakazzo”. Il tutto era solo un imprevisto, un non previsto del caso. O del kazzo.
<< Nu peccato è tagghiari codesto gran capitale.
Che contiene in sé na vera futura capitale.
Io direi di alleggerire stu pisu pisanti dai koglioni.
Livannici solamente nu tanticchia di pirsoni.
Facemu na contrada, nu paisi o nu villaggiu.
Tieniti pure “Roma”, ca mi pare nu nome assai beddu.
Nu nomi ca sa d‟aquila potenti e no di semplice aceddu.
A mia dammi sulu lu “Kazzo”, ca lu kazzu beddu tu lu teni.
“Roma” cos‟è nun sacciu, ma lu “Kazzo” lu vogghiu beni.
Ficchimillu sanu dintra la fika, che quarcunu chiama “Mona”.
Ca io tra novi misi scaricherò, così è scritto, na bedda pirsona.
Scarichimilla sta genti nel mio pakkio, curaggiu beddu.
Futtitinni di tutto e calami sanu sanu lu beddu aceddu.
Non solo “Roma”, ma anche la futura “Monakazzo”,
sarà sciuta dal tuo eroico, combattente e nobile kazzo.
Non fare il timoroso, Enea, non fare il gran rifiuto.
Qua c‟è solo uno stikkio bello che vuol essere fottuto.
Forza, beddu ed eroico Enea, forza, beddu minkiuni miu.
Ficcami in “Mona” lu “Kazzo” con un bel kazzicatummuliu>> propose Helena.
Intanto Ascanio e Anchise s„erano affacciati per taliare. Curiosità filiale e paterna.
Quello in fondo per Helena era stato un incontro casuale, e casuale per casuale, si
poteva fare una bella fikkata casuale. Che poi era anche una cicia parente, la minkia
di Enea. Una bella e prestante ciolla parentale. E se “Romakazzo” non poteva essere
seminata, perché idda Lavinia non era, e “Romakazzo” da una vergine discendere
doveva, si poteva però siminari casualmente nu paiseddu. Ed Enea felice felicemente
kazzicatummuliò. Felice e contento per la realizzazione di un evento non pronosticato
dal destino. Iddu sutta e idda supra, come a governare quel timone che la intimonava.
Era un bel timone, capace, possente, duro, resistente. Ma anche eroico era il pisello
del dardanazzo principe dei Dardani.
<< Intimonami.. metti il timone nella mona e va.. fikka cà >> gridava lei.
<< Minkia, tu si n‟amazzone della cicia. Fikku dà>>. Alla fini Enea vinni.
<< Ecco siminata nu tanticchia di gente
dintra il tuo pakkio assai impertinente.
Il mio timone è come un folle. E sì pazzo.
Mai aveva goduto tanto il mio eroico kazzo.
Grazie Helena, grazie Helena bedda.
Grazie per avermi offerto la tua vanedda.
Capisco Paryde e la sua voglia infinta
d‟averti sulla minkia per tutta la vita>>.
E ci fici capire che era ora di smontare, di scendere da cavallo.
<< Stai, stai sotto, che mi serve qualche altro botto.
Anche se la cicia sta arrimuddannu, lasciala stare dov‟è.
Che tra pikka idda sarà pronta pi siminari a tinchitè.
Pirchì è picca assai la genti ca tu hai seminatu.
Simina ancora, ca lu tirrinu a siri ben travagghiatu.
Cu la minkia zappa e simina, simina e zappa.
Zappa e simina. E a minkia cina zappa e antappa
Tieniti, te l‟ho già detto, “ Roma”, e semina il resto.
“Roma” mi spaventa, ma simina il “Kazzo” lesto lesto.
“Hic Rhodus, hic salta”. Hic “Mona”, hic salta. O no?
Fikka, fikka beddu, e non pensare al futuro però>> disse Helena nu tanticchia
contenta.
<< “Hic sunt leones”. Hic sunt kogliones. Qui ci sono i koglioni.
Uno l‟ho svacantato, l‟altro me lo tengo cino per altre occasioni.
“Faber est suae quisque fortunae”. Qual è il mio destino?
Ho rinunciato alla grande “Romakazzo” per il tuo bel fikino.
“Fiat voluntas tua”. Fiat voluntas mea. Gnothi seauton.
Son contento però. Anche se scaricato ho solo un koglion>>.
Insomma, ni ficiru assai di siminati. Veramente assai. Iddu siminau a dritta e siminau
a manca, siminau in funnu a lu kunno e pure altrove, siminò e controsiminò
veramente nu tanticchia di gente.
<< Ma la eroica minkia mia, dimmillu chiaru e tunnu,
almenu lu stutau lu focu ca ardia na lu to kunnu? >> chiese curioso Enea, a cui,
come a tutti i maschi, ci piacia sentirsi dire dalla fimmina ca era tutta ma proprio tutta
soddisfatta.
<< Mancu di na stizza, lu kunnu mi pruri e m‟attizza.
Iddi assai m‟impazza e voli tutt‟autra minciazza.
E da quella stavo iennu iu quannu visti a tia.
Chista è solo una bella avventura e così sia.
Però resterà segreto questo kazzicatummuliu.
Un segreto tra noi, beddu eroi di minkia miu>> disse Helena restando sempre
dov‟era.
<< Come vuoi, io non parlo mai delle storie del mio pisello.
Comunque mi sento chiù leggero, grazie, Helena dal pakkio bello.
A dire il vero mi hai liberato da una dolce e magnifica ossessione.
Desidero da sempre fikkari cu la mamma mia, che è un bel pakkione.
E siccome tu tieni il pakkio, diciamo pure, del suo gemello,
io ho realizzato il sogno di metter lì, alla mamma, l‟uccello.
È stato quasi un incesto, un incesto virtuale e non reale,
ma io mi sento meglio e una palla non mi fa chiù male.
Grazie Helena, grazie di cuore e di ciolla, grazie. In verità,
futtiri cu tia è stato, penso, come futtiri cu la me mammà.
Su chista facenna calerà il segreto di stato, il segreto totali.
Nessun mai saprà che altro era il peso che portavo nei genitali.
Nessuno saprà mai che “Roma” doveva chiamarsi “Romakazzo”.
Nessuno saprà mai che idda è gemella di “Monakazzo”>> rispose Enea che stava
sotto e con lo stuppagghiu ancora nel posto giusto.
<< Ti dico un mio segreto. Stanotte io concepirò Erminestrone,
una figlia bedda che sarà chiù bedda di mia, un vero pakkione.
E tra la simenta che in me ancora trasirà, e tra tanta ca m‟è già trasuta,
sarà la tua ca darà l‟imput a l‟ovo mio. Idda sarà figghia di la to futtuta>>.
<< Sarà falso o sarà vero? Mi ni futti na minkia di na cicia veramente.
Là dentro c‟è il mare nostrum di la simenta, a dire le cose sinceramente.
La minkia mia paria in alto mare, più che fikkare paria nuotare.
In quella miscela di latte di brigghiu di minki e kazzi che altro poteva fare?
Però se devo essere sincero, e io lo sono di cicia e di ciriveddu,
Erminestrone è un nome lario e longu. Ermione mi pare chiù beddu.
Piccatu però ca fimmina idda eni, ca se maskulu inveci vinissi,
iddu accanto a li cugghiuna sta minkia di dardanazzu tinissi.
Io invece , quannu “Roma” na lu pakkiu promesso di Lavinia seminerò,
per ordine divino, al mio erede di cotanta e cotale semenza, Silvio lo chiamerò.
E Silvio mio, na li baddi portentosi, porterà carusi dardanazzi a iosa.
Ogni Silvio darà un Silvio e poi un Silvio ancora, tutti fruttu di la me cosa.
Accussì sarà la successione di li kazzi a “Roma”. Di kazzo in kazzo,
di minkia in minkia, di cicia in cicia, andrà così nel futuro il mio dardanazzo>>.
<< Bello, ma sarebbe chiù bello se Ermione, tanto pi fare na cosa bella da fare,
si facissi nu viaggiu a “Roma” e casualmente si la facissi da Silvio calare.
Non per avventura o piaciri. L‟incesto è da sempre il punto di partenza
per fare la storia, o delle religione o delle case reali, con la propria semenza>>.
<< Il futuro è il futuro, il futuro è nelle mani degli dei e del fato pazzo.
Ma sta anche dentro i nostri koglioni e viene fuori dal nostro kazzo.
Cosa farà o non farà la bella Ermione con suo pakkio beddu
non m‟interessa una minkia sicca . Prima o poi avrà n‟aceddu.
O di Silvio o d‟autru maskulazzu, a mia mi ni rifutti nu kazzu.
Ora scinni bedda. Lu “Kazzo” lu siminai na la to “Mona”, na lu to sticcio.
Scinni, pi carità scinni, prima ca siminu “Roma” e finisci tutto a pasticcio>>.
Scinniu Helena. E iddu si susiu col proposito di non tagliarsi niente e di adempiere al
destino cui era destinato. Il fato lo voleva padre di “Romakazzo”, e padre di
“Romakazzo” sarebbe stato. Solo che per questioni tecniche “Romakazzo” era
addivintata semplicemente “Roma”. Una parte di “Romakazzo” era finita a
“Monakazzo”. Enea sarebbe stato il padre segreto di “Monakazzo”.
Ma questa è n‟autra storia.
Comunque Enea aveva adesso un koglione grosso assai e uno normale. In uno, quello
grosso, c‟era ancora “Roma”, che aspettava di essere seminata in Lavinia. Nell‟altro,
quello piccolo, non c‟era chiù “Kazzo”. Adesso “Kazzo” stava nella “Mona” di
Helena. Una storia segreta questa. E tutto era avvenuto sotto gli occhi innocenti di
Ascanio e quelli lussuriosi di Anchise. E lì, taliando quello spettacolo, Ascanio si era
fatto le prima minata. E pure Anchise si l‟era minata. Quel pakkio le ricordava il
pakkio della dea da lui amata.
Ma proprio alla fine, quando Helena stava scendendo da cavallo, era arrivata la
moglie purceddopolita di Enea. Ed era successo un casino. Era arrivata nel momento
che Ascanio e Anchise stavano concludendo i lavori. E s‟era scandalizzata.
<< Figghiu lurdu e suocero ingrasciato.
Chi minkia di spettacolo disgraziato.
Anchise, vergognati di quel che fai.
Scannaliato l‟innocente Ascanio hai.
E tu, figghiu miu, a farti sta minata
sutta l‟occhi di la mamma amata?>>.
Anchise e Ascanio non smisero. Erano altre il punto di arresto. Dovevano venire.
Venire e basta. Cascasse il mondo, loro dovevano finire. E finienu.
Poi indicarono alla donna scandalizzata di andare dentro.
<< Mamma, “historia magistra vitae”, dirà Cicerone un giorno.
Ma io ti dico, mentula magistra vitae. E ora levati di torno>>.
E la femmina scandalizzata trasiu per vedere la causa di chidda minata. E trovò il
marito ancora accavallato da Helena.
<< Buttana dal pakkio spilato. Troia chiù troia di qualsiasi troia di questo troiaio ca lu
munnu è >> aveva gridato la moglie.
<< Cognata, non rompere le ovaie. Tuttu stu burdellu pi na fikkata lampo. Minkia,
chi kakakazzo del kazzo che sei, come minkia ti sopporta Enea? >> aveva risposto
Helena. E s‟erano acchiappate con le mani.
<<Te lo scippo. Ti lu deformo. Ti li sfregio. Con questo stikkio buttano tu porterai
all‟anarchia i kazzi di Purceddopolys. E naturalmente anche i relativi proprietari>>
aveva gridato la moglie. E l‟aveva acchiappato per il pakkio
<< E io te lo spilo. Te lo faccio come il mio, che come il mio a tuo marito ci piace
assai assaissimo. E assai assaissimo piace alla sua minkia>> aveva risposto Helena,
che con forza disumana, avia tirato come una pazza, e s‟era portata buona parte della
pelliccia di idda. A questo punto erano intervenuti Enea, Ascanio e Anchise, e le due
donne erano state separate.
Helena comunque era contenta di questo kazzicatummulio. Ma naturalmente il kazzo
di Enea non era lo strumento adatto a lei. Era stato un imprevisto non previsto. Un
imprevisto che la faceva diventare la madre della futura Monakazzo. Se quella
buttanissima fika spilata divina di Aphrodyte sarebbe stata la madre di “Roma”,
secondo tradizione, idda, buttanissima pure e fika spilata altrettanto, sarebbe stata la
madre di “Monakazzo”. E siccome erano entrambe figlie della minkia di Zeus, Zeus
in persona sarebbe stato il nonno dell‟una e dell‟altra polys. E per padre, nell‟uno e
nell‟altro caso, ci sarebbe stato Enea. Se da una parte, a sentire le profezie, sarebbe
stata la causa della guerra di Purceddopolys e della sua naturale distruzione, dall‟altra
sarebbe stata fonte di vita per “Monakazzo”. Pertanto anche la sua fika era nu
tanticchia contenta. La sua “Luna” era nu tanticchia felice, ma solo nu tanticchia. Per
un fatto storico che la interessava tanto, solo per questo. Quindi, quello che era
successo, era stato solo una bella improvvisazione. Senza copione o altro. Teatro
comunque. Teatro vario ed eterogeneo. Teatro storico con Enea. Teatro futurista per
Ascanio. Teatro dei ricordi per Anchise. E Teatro gelosia per la moglie di Enea.
Titolo possibile, A letto con la minkia dell‟eroe per Enea, poi A letto con la minkia
dell‟eroe per acculturarne il figlio per Ascanio, e poi ancora A letto con la minkia
dell‟eroe per ricordare cose belle al vecchio Anchise, e per finire, A letto con la
ciolla dell‟eroe per ingelosire la moglie dello stesso. Poi pensò che tutto doveva
restare segreto, quindi il giusto titolo sarebbe stato A letto con una ciolla fantasma ma
tanto fantasma che nenti visti, nenti „ntisi e soprattutto nenti sacciu.
Teatro segreto quindi, anche se la sua “Luna” aveva trovato un buon lunanauta con
tanto di minkianauta. Lei doveva correre verso la ciolla di Paryde e
kazzicatummuliare con quella in sekula sekulorummu. Si ricordò che forse Paryde
era in pericolo. E se era in pericolo Paryde, lo era anche la sua ciolla. L‟ultima tappa,
tappa imprevista , del suo “minkia tur”, si era conclusa. L‟ultimo ostacolo, ostacolo
non previsto, era stato superato. Adesso c‟era solo il traguardo. In cima al kolosso
l‟aspettava quello che metaforicamente era il suo kolosso. Il kolosso Paryde nella sua
totalità e nella sua particolarità. Quello che la mandava in estasi continua e
permanente. Quello che la mandava sulle stelle e oltre. Kolosso non fisico ma teorico.
Quello era il suo trofeo, non gli restava che salire le scale e ...
--La sorpresa è sempre ben accettata, come la minkia non aspettata.
Detto popolare
--Comunque Helena, finta la sessual - machia con Enea, gridò in silenzio, nella sua
testa:
<<Ho avuto...
la minkia di Enea..
la minkia di Enea..
la minkia di Enea..
la minkia di Enea..
la minkia di Enea..
la minkia di Enea..
la minkia di Enea..>>.
Per poi finire con un micidiale :
<<Ho avuto la
MINKIA
di Enea>>.
Pure il suo “Pozzo dei segreti” urlò un silenzioso “Pozzo dei segreti -tonitruante”
urlo assai lapalissiano.
<<Ho avuto la minkiaaaaaa di Enea.. è una minkia che sa fare la minkiaaaaaa...>>.
E non era un lapsus calami o un lapsus linguae. In vino veritas. O meglio, in kunnus
veritas. Gutta cavat lapidem, mentula cavat kunnus.
Il sogno di Helena, e del suo “Pozzo dei segreti”, era quello di gridare in faccia
all‟urbe, all‟orbe e all‟Olympazzo tutto: <<Habemus mentula Enea>>.
Ma aveva deciso che doveva restare un segreto. Era stato risolto il problema “Quale
mentula? Una mentula qualsiasi o la mentula di Paryde?”
“Melius abundare quam deficere” diceva un detto latino latinamente latinissimo.
E lei aveva abbondato, aveva avuto un‟overdose di mentuline, mentule, mentulone
e mentulazze. Tutto per dimenticare la mentulina di Mynkyalao e non pensare alla
mentulona di Paryde. E in segreto aveva avuto la minkia di Enea. E adesso covava
Monakazzo.
<< Basta con l‟overdose di minkia. Overdose sia solo della minkia di Paryde, con
tanti parerghi e senza paralipomeni>>> disse Helena.
--Minkia, scaricai per caso lu pisu assai pisanti di nu pisanti cugghiuni.
Ma non dico unni, ne a chi, dico solo che fu dintra nu beddu pakkiuni.
Attribuita a Enea.
---
Nessuno vide l‟incontro tra Enea ed Helena. A parte Ascanio ed Anchise. E la
moglie, arrivata a cose concluse. Né gente di passaggio né i soliti intellettuali.
Ascanio promise il segreto, e pure Anchise, ma la moglie cornuta non promise una
minkia. E siccome la cosa col tempo si seppe, non è difficile dire chi parlò. Non è
difficile, ma non è sicuro.
---
“Nessuno lo vide” è un falso. Come la “Donazione di Costantino” e le “Decretali di
Isodoro”. Come le dichiarazioni di certi avvocati e le testimonianze di certi testimoni
che più che koglioni sommi non sono. La moglie non parlò. Minacciò, ma non parlò.
A parlare furono due strani tizi. Due tizi originari di Leonthynoy e Karleonthynoy,
polis della “lega del pattuallo”, che si trovarono lì per caso. E per caso stavano
cercando di valutare i koglioni di Enea.
<< Per me valgono quattro milioni di koglioni normali>> dicia uno.
<< Per me otto>> dicia l‟altro. E intanto che c‟erano, cercavano di valutare il
numero delle ciolle “modello Enea” di cui aveva bisogno Helena per non pensare a
quella amatissima dell‟amatissimo Paryde.
<< Quattromila ciolle alla Enea per seminare quattromila Monakazzo>> disse il tizio
di Karleonthynoy.
<< Ottomila ciolle alla Enea per seminare ottomila Monakazzo >> disse il tizio di
Leonthynoy.
<< Ma non potrei seminarla io ad Helena? Io la seminerei volentieri. Tanto per
seminare una nuova Karleonthynoy. Una polys dove quattro è quattro e non otto.>>
disse il tizio di Karleonthynoy.
<< Però potrei seminarla pure io, tanto per seminare una nuova Leonthynoy. Una
polys dove otto è otto e non quattro. E dove i documenti non si perdono>> disse il
tizio di Leonthynoy
Ma da Palermorum fecero sapere che la valutazione poteva arrivare al massimo a
quaranta milioni di ciolle alla Enea. E che anche da lì poteva venire qualcuno a
seminare Helena, tanto per seminare una nuova Magna grecia. Quindi non era da
escludere la loro partecipazione attiva. “Quaranta milioni di cicie” era il tetto
massimo per non pensare alla cicia di Paryde. Mentre bastava una cicia qualsiasi per
dimenticare la cicia maritale. Magari bastava un cicetta, una minkietta, una ciolletta,
un falletto, un kazzetto, un piselletto. Purtroppo un altro tizio perse i documenti e
tutto finì a ciolla di cane rognoso. Ma costoro ignoravano che per Helena la ciolla di
Mynkyalao valeva meno di zero mentre quella di Paryde era tutto. Era il summa della
summa delle ciolle di tutti gli eroi del mondo classico.
I due tizi naturalmente non s‟erano accordati sulla valutazione, come al solito,
quannu era arrivata Helena. E s‟erano visti la “missione segreta”. O la “misa segreta”.
E intanto se l‟erano minata. Uno quattro e l‟altro otto volte. Ma senza certificare la
cosa per la storia, che poi i documenti si sarebbero persi. A cose fatte questi erano
stati i commenti.
<< Un koglione è tornato alla normalità ma l‟altro vale quattro milioni di koglioni
normali e contiene quattro miliardi si spermatozoi>> disse il tizio di Karleonthynoy.
<< Un koglione è tornato alla normalità ma l‟altro vale otto milioni di koglioni
normali e contiene otto miliardi si spermatozoi>> disse il tizio di Leonthynoy.
Nessuno rise delle loro balle. Risero solo loro. Delle loro stesse balle.
--Occhio non vede cuore non duole, minkia che non trasi piacere non vuole.
Detto popolare
--Helena pigliò l‟acchianata per il kolosso. Praticamente ci curriu appriessu, appriessu
per modo di dire, visto l‟intervallo trascorso con Enea. Ci curriu comunque appriessu,
in silenzio, al suo bel Paryde. Senza farsi vedere. Quello in fondo era già sulla punta
della minkia del Kolosso. Sul terrazzo panoramico che stava sulla koppola della
ciolla del Kolosso. Ma idda però era pronta a correre e a raggiungerlo. Ma che poteva
fare se le cose si fossero messe male? Paryde era già in cima al Kolosso Minkiaurea
e sminciuliava a minkia. Ma poteva anche, in un amen, buttarsi giù dalla minkia.
<< Minkia, chi si voli ittari dal Kolosso per amore mio? O si voli immolare sulla
minkia del Kolosso?>>.
Acchianò le scale piano pianissimo per non disturbare il fato. O meglio, lo “spirito di
Pryapo” che aleggiava nei suoi Kolossi. Poi, per non farsi vedere, trasiu nel cunicolo
interno alla minkia, il cunicolo che portava verso la koppola. Questo per non usare la
scala esterna ed arrivare pertanto di nascosto, non vista. E quando arrivò in prossimità
della koppola sentì le sue parole. Erano parole musicali come una minkia in amore
assai assaissimo innamorata. Era parole orgasmiche.
<< Eolo caro, ciuscimilla assai e portane na stizza all‟amore mio. E se non ci poi
portare la simenta portaci almeno lu ciauru di la me minkia. Eolo, ascoltami e non
fare lo stronzo. Ciuscia, ciuscia chiù forti, e chi kazzu. Sei o non sei il dio del venti.
Ciuscia, per la miseria. O sei diventato impotente di ciolla e di ciusciu. Ciuscia, testa
di kazzo di Eolo. Ciuscia, testa di minkia obesa. Non vedi che sto diventando tutta
minkia. Minkia di ferro sono, minkia in ebollizione, minkia che s‟attrenta e cresce.
Questo è quello che sento. E magari la minkia mia criscissi tanto da arrivare al pakkio
amoroso dell‟amore mio assai assaissimamente amato col cuore, con la testa e
soprattutto con la minkia. Perché è lei che m‟ispira la minkia. È lei che mi l‟attrenta
e mi l‟allonga e mi l‟ingrassa. Minkia, come minkia bolle la minkia mia . Chi mai la
farà sbollire se manca si felice kazzicatummuliu. Flangar non flectar >>.
Ci fu una pausa nel minkiolesco monologo. Pausa dovuto a un venticello amoroso
che soffiava perpendicolarmente alla sua minkia. Un venticello spuntato
all‟improvviso. Uno scirocchello caldo che faceva sentire chiù caldo ancora. Forse
Eolo l‟aveva ascoltato.
Poi Paryde riprese: << Ahhh.. nu tanticchia si arrifriscò, ma è sempre caura. E cresce,
e s‟indurisce, e s‟ingrossa, e s‟allonga. E tra poco bollirà di nuovo. Ma per il
momento si arrifriscò. Ahhhh. Flangar non flectar>>.
Helena salì ancora e taliau. Paryde ci dava le spalle. Anzi, lu kulu. Pirchì era nuru a
parte la koppola. Era assittau sulla punta della ciolla e recitava parole d‟amore a
minkia crescente. Ma si capia anche chiddu ca stava faciennu. Si la stava minannu in
suo onore. Si la stava minannu al vento. Per affidare la sua simenta a Eolo. Cu na
manu si la minava e con l‟altra tinia un minkiuni enorme di minkiajuana. E il vento
soffiava. Anzi, lo scirocco soffiava. E soffiava sempre più forte. Sempre più caldo.
Forse vinia dall‟Etna. E ad Helena ci arrivava l‟odore cauro della minkiajuana e della
minkia. Un miscuglio di fumo di minkiajuana e di sudore di minkia. Un miscuglio
strano con un odore che non era né di minkia né di minkiajuana.
<< Odore di minkia alla minkiajuana o di minkiajuana alla minkia?>> si chiese
Helena. Non riuscì però a darsi una risposta. Comunque era un bel mix, l‟ideale
profumo erotico per una femmina femmina al mille per mille. Pure la sua “Luna”
recepì quel profumo. Ma c‟era in quella miscela un odore misterioso che la picciotta
non riusciva a decifrare. Un odore che aveva già sentito.
<< Forza Eolo, ciuscia sempre più forte. Distruggi tutto ma portaci il ciauru del mio
aceddu. E a mia portami il ciauru frisco del suo kunno dilaniato da quel fitente di
Mynkyalao. Scatenati Eolo e stocchiccilla a Mynkyalao. Stocchiccilla magari al
mondo intero ma portaci il ciauru della ciolla mia. Stocchimilla puri a mia, basta ca ci
la vai a piazzare nel pakkio. Per un ultimo kazzicatummuliu. In quel pakkio che
addesidero da tempo, quel pakkio che mi fa pakkiare la notte, quel pakkio che mi
accende di desiderio, di pititto, che mi mette il fuoco nel cuore, nel corpo, nel
ciriveddu, e soprattutto nell‟aceddu. Eolo, varda la minkia mia ardente e capirai
quanto soffro. Ciuscia Eolo, ciuscia. Tu non sai che signifika fikkare con Helena,
credo. Io che lo so, minkia come la addesidero. E se non ci posso andare io, che ci
vada la mia ciolla. Stocchimilla e porticcilla, ficchiccilla per sempre, in sekula e
sekulorummu. Stocchimilla. Lassimi senza ma ficchiccilla a idda per l‟eternità.
Perché io l‟amo. Per amore sono pronto a deminkiarmi. Per amore suo questo e altro.
Forza Eolo, ciuscia, testa di kazzo. Stocchimilla e porticcilla sana sana e tisa tisa,
come una freccia d‟amore ardente. Porta la mia “Gioconda” sulla sua “Luna”. Solo
così la “Luna “ sarà gioconda. Non vedi quant‟è e com‟è la ciolla mia. Lunga lunga,
grossa grossa e dura dura. E s‟ingrossa, s‟indurisce e s‟allonga sempre più. E
soprattutto bolle. Son tutto minkia, tutto ciolla, tutto marrugghiu, tutto cicia, tutto
kazzo. Sono minkia tout court e full time. Sono la minkia tout court e full time.
Flangar non flectar>> recitava l‟amato Paryde.
E lo scirocco ciusciava sempre più forte e caldo. Arrifriscava e cauriava allo stesso
tempo. E ogni tanto Paryde lasciava la ciolla e infilava un dito in un vasetto. Poi
strofinava il contenuto del vasetto sulla ciolla. Lo faceva con ardore.
<< Ahhh.. nu tanticchia si arrifriscò, ma è sempre caurissima. E cresce ancora. E
s‟indurisce ancora. E s‟ingrossa ancora. E s‟allonga ancora. E tra poco bollirà di
nuovo. Saranno ancora 100°C o 273K, gradi Cazzici o Kazzici. O forse Cunnuci o
Kunnuci. Ma per il momento si arrifriscò. Ahhh.. come s‟arrifriscò. Flangar non
flectar >> disse Paryde dopo aver usato il contenuto del vasetto.
Helena taliava esterrefatta. Ci vinni pititto infinito della vera “Gioconda”. Intanto
Paryde si la minava in modo sempre più forsennato. E delirava. Aveva finito lu
minkiuni e adesso si la minava con entrambe le mani. Ma alle narici di Helena
arrivava ancora il solito mix erotico. Ciauro di minkia, ciauro di minkiajuana e poi un
ciauro che non riusciva a riconoscere.
Intanto lo scirocco faceva effetto anche su di lei. Sudava per il caldo e per
l‟eccitazione. Sudava tutta, anche tra le cosce, anche nella fika. Là dove addimorava
la finta “Gioconda”. Comunque lo scirocco soffiava sempre più forte.
<< Zeus, scatena li tuoi amati fulmini e fulminicci la minkia a Mynkyalao. Manna un
fulmine che acchiappi la mia minkia e poi corra veloce al pakkio di Helena e ci porti
l‟odore della minkia mia arrostita. Fallo, Zeus. O sei testa di kazzo pure tu. Vedi che
allora divento ateo e mi sbattezzo. Tanto è di moda. E tu, Efesto, si o nun si il
proprietario dell‟Etna, di Mungibeddu? E allora scatena sa kazzo di Etna e arrusticci
la minkia a Mynkyalao, altrimenti si testa di kazzo pure tu. E tu, Ade, che stai sutta la
terra, e chi minkia si? Ci la fai a fare un terremoto del kazzo che sconquassi sta kazzo
di sicilia? Tanto in sicilia, fare una minkia di terremoto non dovrebbe essere difficile.
La sicilia è già predisposta, è predestinata. E allora, lu fai o nun lu fai? Si testa di
kazzu pure tu? Fallu sta minkia di terremoto e fai in modo che il mio corpo rotoli
assai assaissimo fino a catafottersi su quello di idda. E sono sicuro che la mia minkia
ancora tisa troverà il suo pakkio pronto ad accogliermi tutto sano sano. E poi tu,
Pryapo, beddu spikkiu di minkia che non vali forse una minkia, se sei veramente il
dio più minkiuto e non quello chiù fottuto, sbattici in kulo la tua cosa a Mynkyalao
accussì l‟autra ci arrrimodda. Sbatticcilla in kulo tutta sana, accussì iddu lassa stare il
pakkio della mia Helena. Fallo, altrimenti sei doppio testa di kazzo e triplo testa di
minkia. E voi tutti, dei dell‟Olympazzo, facitici arrimuddari a Mynkyalao lu kazzu.
Fati, se necessario, un kazzo di cataclisma, una minkia di palingenesi totale, ma
fatela. Se siete dei, fate trionfare la giustizia. Se siete solo dei pupazzi, andate a fare
in kulo e non ci skassate più il kazzo. Fate affunnari pure tutta la Trinacria, ma fate
crepare il mio rivale. Fate pure come facistru con Atlantide, ma fate crepare quella
minkia di Mynkyalao e pure la sua minkia. Un milione di morti purché muoia il mio
rivale. A mia tantu, chi minkia mi ni futti. Pi mia ponu cripari tutti. Quattro o otto
milioni di morti, a mia mi fanu un baffo. E finanche quaranta milioni, certifikati o
meno, per dirla alla Pattuallopolys, a mia mi fanu un baffo alla minkia. Morte al
mondo tutto purché arrimoddi la ciolla di Mynkyalao. Povera “Luna” pallida e
tremante senza “Gioconda” consolante. E povera “Gioconda” sofferente senza
“Luna” consolatoria. Minkia, tutto minkia mi sento. Mi sento più minkia di Pryapo,
più minkia di tutte le minkie di Munypuzos, più ciolla di tutte le ciolle della grecia e
della magna grecia. Ma a dire il vero vero veramente mi sento più kazzo di tutti i
kazzi dell‟Olympazzo. Pi falla cutta e netta, mi sento di aviri na minkia quanto
all‟universo sano sano. Minkia, quantu sugnu minkia. Tra poco, lo sento, ci sarà un
nuovo diluvio universale. Non acqua ma simenta di minkia, non acqua ma latti di
brigghiu. Latte di ciolla mio, perché io “mentula ergo sum”. Flangar non flectar >>.
Intanto Paryde continuava a minarisilla. E lo scirocco, che soffiava sempre più
potente, paria ca lu aiutassi nell‟arte minatoria. Ci dava praticamente la spinta sia
nell‟andare in su che nell‟andare in giù.
Helena sentì un nuovo mix. Era una miscela di minkiajuana e di pakkio. Lo emanava
lei. Ma a dire il vero nell‟aria c‟era anche quell‟ odore misterioso che Helena non
riusciva a decifrare.
<< Chissà se arriverà al naso sensibile di Paryde? O alla sensibilissima sua minkia?
E chissà se lui la arriconoscerà? Ha il naso fino in certe faccende. Pi mia sentirà e
capirà >> si addumannò.
Helena salì ancora. E nura com‟era si avvicinò all‟amato portatore sano dell‟amata
“Gioconda”. In silenzio si avvicinò. Fu alle sue spalle in un fiat ma Paryde non se ne
accorse. Invece sentì un certo odore. Un ciauro di pakkio alla minkiajuana. E lo
riconobbe immediatamente.
<< Grazie Eolo, grazie per avermi portato il ciauro della “Luna”. Della vera “Luna” e
non di quella buttana che sta in cielo e ora svuncia e ora vuncia e ora scompare e ora
è piena e ora è calante e ora è crescente e ora è rompikogliona e ora è kakakazzi e
ora è sukaminkia e ora è strunza e troia e fitusa e nemica di tutta la mia felicità.
Perché la “Luna” di Helena sempre piena è. Mi sa che la conosci pure tu. Comunque
grazie, a nome mio e della mia minkia. Grazie per avermi portato il cianuro del
pakkio di Helena, lo riconosco perchè tante volte l‟ho ciaurato, tante volte l‟ho
toccato, tante volte me lo sono mangiato. Io, Paryde il kunnofago, l‟ho avuta come
anello prematrimoniale della mia ciolla. È lui, è iddu, è issu, è il suo ciauru di
gelsomino tiso alla rosa piacerosa cu na tanticchia di menta piperita e na pammina di
prezzemolo abbasilicato e di basilico prezzemolatu e na spolverata di pipi russu,
niuru, giallo e arancione. È lui. Grazie Eolo per avermi riempito le narici di
quell‟odore benedetto. Sento che il cianuro mi manda in estasi, s‟impossessa del mio
ciriveddu e corre veloce alla minkia mia. Sto per venire. Sarà il mio un felice
kazzicatummulio con il ciauro del pakkio helenino. E tu Eolo bello, portaci la
simenta mia in quel pakkio. Porticcilla per carità. Ma se proprio mi vuoi fare un
piacere, stocchimilla e porticcilla sana e tisa. E ficchiccilla con tutto l‟amore di
chistu munnu. Perchè merita quel kunno. Stocchimilla e fammi morire pure a mia.
Ma portaci il mio aceddu. Là dintra voglio andare e stare nei secoli dei secoli. Uno
stuppagghio eterno per il suo eterno piacere. L‟ultimo kazzicatummuliu. Metter la
minkia nel tummulo. Seppellire la minkia mia nel suo pakkio. Sempre nei secoli dei
secoli. Fatelo, divinità del kazzo, altrimenti mi ammazzo, mi butto giù da questo
kazzo d‟oro del kazzo, mi butto giù dopo aver esalato l‟ultima simenta. E così esalerò
anche l‟ultimo respiro. Ma soprattutto lo farò dopo aver pronunciato il nome di lei a
iosa, alla sanfasò e a tinchitè. Il suo nome tout court e full time. Helena.. Helena..
Helena.. Helena.. Flangar non flectar. Paryde si spezza ma non si piega>>.
E lo scirocco ciusciava chiù forte. Quasi quasi fortissimo. Eolo lo stava veramente
ascoltando. Gli altri dei invece si ni futteunu. Lo stronzo buttaniere di Zeus nun
lanciava fulmini a minkia cina, lu kakakazzi di Ade nun facia na minkia di terremoto
e lu sciancatu claudicante di Efesto non usava quella minkia di Etna. Dei a kazzo e a
minkia e a ciolla erano. Solo Eolo si stava addimostrando un dio serio.
E stava veramente per venire Paryde quannu lei parlò: << Nun serve fartela stoccare
da Eolo, ti la stocco io direttamente la minkia. E non serve buttarti giù, buttati invece
tra le mie braccia, buttati tra le mie cosce, e buttami la ciolla nel mio portaciolla.
Imminkiami con tutta la tua minkia sana sana, inciollami e insementami e fammi
tutto e il contrario di tutto. Sono tua tutta. Alluna sulla “Luna” e dove minkia ti pare.
Alluna, akkula, abbocca, ascella, ambillica, annasa, aricchia. Fai e rifai e controfai
con la tua bella “Gioconda”. Forza, amore mio immenso, kazzicatummulia in mia che
io kazzicatummulierò su di tia. Kazzicatummuliamo a iosa, alla sanfasò e a tinchitè.
Kazzicatummuliamo tout court e full time>>.
E si buttò, aiutata da una raffica potentissima di scirocco, a terra, a cosce larghe. Con
la “Luna“ piena a tutta vista e piena del Sosia. Paryde si girò. Aiutato anche lui dallo
scirocco potente che paria ci stesse scippannu la minkia per portarla a Helena.
<< Minkia, tu, stikkio mio bello, gloria del mio uccello. Minkia, come ti voglio.
Minkia, come ti desidero. Minkia, minkia. Dammi la “Luna”. Voglio la “Luna”>>.
E venne come un ossesso addosso al suo amore. Venne senza entrare . Venne al vento
potente, con l‟aiuto del potente vento che faceva vibrare la sua ciolla. E quel vento
potente e caldo fece ballare in un vortice ora dilatatorio ora concentratario la simenta
del picciotto. Simenta che poi atterrò alla sanfasò sul corpo di Helena. Venne così su
quelle tette gioiose. Venne così sul resto. Venne felicemente venne su tutto. Venne
sull‟ombelico. Venne a iosa. Venne alla sanfasò. Venne a tinchitè. Venne tout court e
full time. Venne su tutto, ma venne anche sulla “Luna”. Soprattutto sulla “Luna”.
<< Minkia.. io.. e voglio la tua minkia.. la tua “ Gioconda“ >>.
Venne anche lei. Si pisciò e contropisciò dal piacere. E si sciu il Sosia.
<< E la falsa “Gioconda”. La tua minkia finta, ma adesso mettici quella vera.
Imminkia la tua minkia nel mio portaminkia>>
<< Sì>>. Iddu si catafuttiu su idda. Aiutato da una raffica di scirocco potentissima
precipitò su idda. Su di idda cadde, e ci catafuttiu la “Gioconda” sulla “Luna”. Poi
stuccanu e controstuccanu pi tutta la notti. Lì, sulla koppola della minkia del nuovo
Kolosso di Pryapo, sotto lo sguardo del cielo intero. Lì, su un letto d‟oro sospeso nel
vuoto, tra cielo e terra, salirono veramente all‟ultimo cielo non so quante volte.
Perché nell‟ultimo cielo dimorava il massimo del piacere. Mynkyalao fu fatto
cornuto un sacco di volte nell‟arco della nottata. Ogni volta che Paryde vinia idda si
mittia al lavoro oralmente per risollevare la questione.
Poi diceva: << Stuccamu n‟autra vota..>>.
<< Stuccamu..>> rispondeva lui.
E lui venne. Rivenne e venne ancora per poi rivenire e venire ancora. E lei venne.
Rivenne e venne ancora per poi rivenire e venire ancora. Lui venne nella “Luna”. E
con la “Luna”. E sempre con la “Luna” rivenne e venne ancora. Un sincretismo
sincretico sincronico sinergico che faceva dei loro corpi un tutt‟uno. E tra una
stoccata e l‟autra si sukavano un bel minkiuni partaimmi. Dopo tante stuccate lui si
ricordò del Sosia. Non ci aveva pensato chiù a quella cosa strana che lei s‟era tirata
fuori dal pakkio. Quella cosa che spesso si insinuava come un pisci tra le loro panze.
<< Chi faceutu cu sta minkia finta?>>chiese Paryde.
<< E‟ il tuo Sosia. Mi lo mettevo nel pakkio al posto dell‟originale>>.
<< Ma se io ho l‟originale, non è meglio l‟originale?>>.
<< Certamente e sicuramente e indubbiamente e giustamente. L‟originale meglio è.
La minkia di carne è la minkia di carne.>>.
<< E allora che minkia te ne fai di una minkia finta?>>.
<< E‟ un regalo tra l‟altro. Me l‟hanno dato Pallade Atena e Artemide. Se l‟originale
è assente, il Sosia è sempre presente>>.
<< Ver‟è, ma non serve più a te, adesso la mia minkia c‟è>> disse Paryde.
<< E chi lo sa, potrei usarlo su du te. In fondo il tuo Sosia è>>.
<< Mi vuoi possedere? Ma mi possiedi quannu sono dintra di tia. Sei la prigione
felice della minkia mia>> disse Paryde.
<< Ma è diverso stare dintra e entrare dintra; e io voglio entrare dintra..>>.
<< Dintra?>> disse Paryde. Paryde la taliò, ma Helena oramai s‟era messa in testa
una certa idea. Lui pinsava al Sosia di Zeus. Ma quello era arrivato dall‟alto e
d‟autorità. Questo arrivava per amore e sarebbe stato accolto con amore. E fu, come
fu, ma fu. Helena col Sosia trasì in Paryde. E Paryde fu contento assai assaissimo. Poi
stuccarono ancora. Più che altro stuccavano la vera “Gioconda”. Ma ogni tanto
stuccavano pure il Sosia nelle reciproche aperture. Era un completare il reciproco
prendersi, il reciproco possedersi, il reciproco esplorarsi. Il reciproco amarsi. Il
reciproco kazzicatummuliari.
--Ricevere in kulo il sosia del proprio uccello è il solo mezzo per fare l‟amore con se stesso.
Strabonio
--E tra na stuccata e l‟autra stava quasi albeggiando quando si sentirono chiamare.
<< Helenuccia bona.. beddu Paryduccio.
Minkia. E solo na questione di meccio.
Non fate succeriri nu granni burdilicchio.
È solo na questione di minkia e stikkio.
Fate li bravi, basta stu trasi e nesci a iosa.
Turnati a palazzu prima ca Elio vi viri cu la so cosa.
Lu burdellu purtroppo è scrittu na lu distinu.
Ma ritardamu almenu di nu pilu di minkia stu casinu.
Ho capito che vi piace kazzicatummuliari.
Ma adesso basta, ci n‟è di tempo per scopare>>.
<< Minkia e minkia ancora, ni scuprenu in fragranza di reato.
Tu sarai sicuramente esiliata e io di minkia decapitato.
Saremo messi alla berlina, esposti al pubblico ludibrio.
Un fatto è certissimo, in nostro amore finiu a schifiu>> disse Paryde, che
recuperò subito la koppola e si la mise sulla ciolla. Non pudore ma semplice
automatismo fu. O forse paura della deminkiazione.
<< No, è un mio caro amico e caro parente.
È Pryapo, il dio dalla minkia potente>> disse idda.
<< Ah, quello della megaminkia. Quello detto Ciollamagna.
Lo riconosco dalla minkia, che pare una vera montagna>>.
<< Iddu è>> disse idda.
<< Iddu è>> aggiunse iddu.
<< Io sono>> replicò Pryapo.
Pryapo, per non vedere i due pupi innamorati amoreggiare in amore, iu sul punto più
estremo del terrazzo pi farisi na bella pisciata en plein air. Nudo e di minkia armato,
ma con la koppola in testa. E tra le labbra un bel minkiuni di minkiajuana. Che lui
però chiamava in altro modo. E pisciò a iosa, alla sanfasò e finanche a tinchitè.
Helena e Paryde restarono dov‟erano.
<< Sai, vulia passarimilla pi minnitta. Se io non davo il Sosia d‟oro alla sua
mammina. Ma io ci l‟avia dato e iddu restò fottuto. Vulia darmela in kulo ma ci restò
la minkia tisa in mano. Anche se tanto per farmi scantare mi l‟appoggiò al
deretano>> disse piano iddu a idda. Rise idda a lu cuntu di iddu. Rise di bocca e di
kunno.
<< Sai, poco fa, nel mio “di ciolla in ciolla in ciolla ” iri,
prima di approdare a sta minkia tua ca mi fa assai muriri,
iddu, Pryapo, la sua realissima e maestosa torre carnosa,
mi la piazzò tutta sana sana nella mia iarrusissima cosa.
E io, curaggiusa, ci dissi in faccia, chiaru e tunnu,
ca la so minkia non avia felicitatu lu me kunnu.
Ma lu bellu vinni appriessu, caru miu beddu ciciddu,
e fu quannu la to minkia finta iu in kulu a iddu>>.
Rise iddu a lu cuntu di idda. Rise di bocca e di kulo.
<<Minkia, Pryapo nel mio kulo non ci andò, la misa a lui fallì.
Minkia, ma io , anche se col Sosia, nel suo andai. Io ci la misi lì>>.
Rise idda a la battuta di iddu. Rise di bocca, di kulo e di pakkio.
Ma Pryapo intisi tutto. E pinsò alla minnitta seduta stante.
<< Alzatevi, vestitevi e correte a palazzo.
Non fate casini per una questione di kazzo.
Di giorno date l‟esempio alla gente.
La notte fate quello che vi passa per la mente.
Ma siccome la cosa non può tanto durare.
Trovate una soluzione prima che finisca male.
Vi l‟haiu cantatu ciaru e tunnu ed anche in rima.
Ma pinsatici a truvari na soluzione quantu prima.
Perchè se bello è, e assai, il vostro kazzicatummuliu.
Pinzataci, e assai, prima ca finisci tutto a schifiu.
Curriti a palazzo immediatamente, e faciti finta di nenti.
Non ascoltate i pettegolezzi di minkia di certa gente.
Iu mi riposo un po‟ alla base della ciolla di stu pupazzu.
Adiè, e attenzione a cosa fate cu lu stikkio e cu lu kazzu>>.
Paryde si rivestì in un amen, ma Helena non aveva niente da mettersi. Allora Paryde
ci desi la sua tunica.
<< Ma accussì tu resti nudo? Con la minkia al vento>> ci disse Helena.
<< No, ho trovato la soluzione seduta stante >>.
E si rimise la koppola sulla koppola della minkia che sempre tisa era. E in quella
tenuta, preso il tascapane, diede il braccio alla sua bella fika spilata.
<< Scinnemu lentamente, come sposi novelli ca scinnunu la scalinata del tempio>>.
E iniziarono a scendere piano piano per la ciolla del kolosso, che Elio si stava già
addumannu a tutta minkia. Minkia gialla però. Pryapo invece, spakkioso com‟era, di
sciddicata si fici la scalunata che correva sul dorso della minkia del suo Kolosso. E lì,
alla base della minkia, si stinnicchiò minkia al vento. O meglio, minkia tisa al cielo
puntata. Appoggiata di schiena al suo sottopanza, diciamo sotto l‟ombelico, si assise
tranquillamente la ciolla tisa. E in quella posizione si apprestò a taliarsi la scinnuta
dei due amanti assai assaissimo innamorati. A taliarsi la scinnuta e non solo.
Paryde, scinniennu con la sua bella al braccio, come minkia fu e come minkia non fu,
sciddicau. E pertanto pigliò la calata di kulo. E nel pigliare la calata si tirò appresso a
idda.
<< Minkia e kazzo, tutto tutto mi sfracello.
Minkia e cicia, finì tutto tutto a bordello.
Minkia e kazzo, mors‟io e finanche il mio uccello>> gridò Paryde.
<< Minkia e mentula, tutta tutta mi sfracello.
Minkia e phallo, finì tutto tutto a bordello.
Minkia e ciolla, spero di cadere sul suo uccello>> gridò Helena.
Lui, chiù assai di massa, atterrò per primo. E santiau assai assaissimo, pirchì atterrò
di kulo sulla minkia tisa di Pryapo. Gridò e santiò iddu, mentre Pryapo non disse una
minkia.
<< Minkia, la minkia di Pryapo il kulo mi sfunnò. Minkia che dolore. Minkia che
dolorissimo. Minkia, però sono vivo. Minkia, kulo rotto ma vivo..>> gridò tra le altre
cose. Invece idda, Helena, di massa corporea inferiore, per seconda atterrò. E atterrò
di kulo sulla minkia di Paryde. Che gridò ancora. Gridò di piacere e dolore.
<< Minkia, la minkia mi stuccò. Altro che “flangar non flectar”. Io mi spezzo
piuttosto che piegarmi. Comunque la vita le salvai all‟amore mio >> gridò tra le altre
cose. Idda gridò di solo di piacere.
Quindi, come una molla, tra un su e giù, portarono tutto al clou. Iddu facia su e giù
sulla minkia di Pryapo, e idda, di conseguenza, facia su e giù sulla minkia di Paryde.
Smontò idda dalla cosa di iddu, smontò iddu dalla cosa di lu diu.
<< Grazie, grazie per averci avvisato che stava albeggiando. E grazie per il consiglio.
E soprattutto grazie per averci salvato la vita, potevamo sfracellarci al suolo>>
dissero gli amanti.
<< Io però mi sono sfracellato piacevolmente la minkia, e soprattutto mi sono
sfracellato il kulo. Però mi sono salvato la vita>> disse Paryde.
<< E io mi sono piacevolmente sfracellata il kulo. E naturalmente ho salvato la
vita>> puntualizzò Helena.
<<E io sono contento assai assai di aver salvato la vita a voi due. In fondo la mia
minkia, oltre ad essere una dispensatrice di piaceri e una somministratrice di
giustizia, è anche, bontà sua, una minkia salvavita. Certo, acchiappa per il kulo, o per
qualche altro pertugio, ma acchiappa. E quando la vita è in pericolo, l‟importante è
essere salvati. Essere acchiappati. Anche da una minkia in kulo. Perché io si che
posso dire “Flangar non flectar”. Anche se a dire il vero io non mi piego e neanche
mi spezzo>>
<< Parole sante>> risposero i due amanti.
Idda adesso avia la tunica con un portuso all‟altezza del kulo. Iddu invece non aveva
né tascapane né koppola.
<< Buona sukata di minkiajuana>> disse Helena prima di partire.
<< Chista non è minkiajuana, e chi minkia>> rispose Pryapo.
<< “Chista non è minkiajuana”, e chi minkia è?>> replicò la donna ironicamente.
<< Chista pi mia è minkiapriapriana. E un giorno accussì si chiamerà. Ora andate a
fare in kulo. Tutto stu casino pi na minkia, quannu in realtà lu munnu è cinu di minki
disponibili. E se funzionano, una minkia vale l‟altra. Il pakkio è orbo e ci basta siri
zappuliato per andare il brodo di giuggiole>>.
<< E chi minkia è stu brodo di giuggiole?>> chiesero i felicissimi Paryde ed Helena.
<< Chiddu che avete prodotto voi due stanotte è il brodo di giuggiole ideale, perfetto
di sale e di cottura, un mix ad hoc, cinquanta per cento mascolino e cinquanta per
cento fimminino. E soprattutto il mix dev‟essere, come è stato per voi, simultaneo.
Sulu allora il brodo di giuggiole è perfetto>>. Solo allora Helena e Paryde
compresero cos‟era il brodo di giuggiole. E si avviarono verso l‟uscita.
<< Testa di kazzu, ti scurdasti l‟arrifriscaminkia. Tiè, ca miracoloso è>> ci disse
Pryapo, porgendogli il vasetto. Il dio aveva riconosciuto l‟Unguento. Il vasetto, nel
funambolico volo, era sgusciato fuori dal tascapane ed era atterrato tra i koglioni di
Pryapo.
<< Minkia, chi volo della minkia per atterrare felicemente di kulo sulla tua minkia>>
disse idda.
<< Minkia, chi volo di merda per atterrare di kulo sulla minkia di Pryapo. Minkia,
che dolore di kulo a causa di quella minkia in kulo di botto. Meno male che poi
arrivasti tu sulla minkia mia. Doloroso fu l‟arrivo, ma il piacere poi cancellò tutto
l‟immenso e incommensurabile dolore kulare e in parte minkiale>>.
Risero insieme. Risero Helena e Paryde, e corsero a palazzo con l‟intenzione di fare
altro brodo di giuggiole.
Nessuno li vide, ma già tutti spettegolavano sulla strana “notte di nozze” di Helena.
Era contentissima e felicissima la bella Helena. Il teatro con Paryde, con la sua
ciolla e il Sosia della sua ciolla, era stato uno spettacolo bello e superbo. Tonitruante
la sua fika, tonitruante la minkia. Draconiani e irreprensibili ma soprattutto autonomi.
Una bella messa in scena. Bellissima lei, bellissimo lui. Da attori professionisti la
performance. Ma non avevano recitato per gli altri. Avevano recitato per loro stessi.
O meglio, interpretato. Anche se sarebbe meglio dire che avevano semplicemente
esternato quello che sentivano dentro. La voglia di fare sesso con amore. Di fare
sesso per amore. Con desiderio. Con pititto. E lo avevano esternato al meglio.
Erano stati i registi di se stessi. Erano stati i pupari dei loro sessi e i pupi degli stessi.
La passione aveva guidato i loro gesti, le loro mani, le loro bocche, i loro genitali.
Erano stati posseduti dallo spirito vitale, lo spirito dell‟amore. Era felicissima e
soddisfatta la “Luna”, era felicissima e soddisfatta la “Gioconda”. Erano felicissimi
e soddisfattissimi soprattutto la vera “Luna” e la vera “Gioconda”, ovvero li cirivedda
dei due innamorati. Titolo plausibile, A letto con l‟amore per amore dell‟amore. Ma
anche A letto con la Gioconda sulla Luna. In ogni caso il più sommo esempio di
Teatro dell‟illusione.
Una bella illusione però. Una illusione a scadenza, ma bella ed eccitante finché dura.
Finché dura la cosa, finché la cosa recepisce la cosa, e finché la cosa resta dura al
punto tale da accontentare la cosa. Questa cosa è la cosa misteriosa che si chiama
amore. Praticamente la cosa chiù dirompente che ci sia dentro di noi. Ma definire
l‟amore è un problema della minkia. E del kunno naturalmente. Ed ognuno lo
definisce a suo modo. Perché se è vero che futtiri è come na sunata di campana, è
anche vero che li campani non suonano sempre allo stesso modo. Pertanto il
problema non è il sunari, ma il suono. E cu senti li campani è davvero fortunato.
--Se la fimmina voli, poli. Se la fimmina voli na minkia, prima o poi si la pigghia.
La minkia addesidera, lu pakkio addecide.
La ciolla propone, lu paparaciannu dispone.
La ciolla si criri nu generali cumannanti, ma è sulu nu surdatu sottostanti.
Paese che vai usanza che trovi,uomo che hai minkia che provi.
Detti popolari
--Acchianai scuntentu e scinnii felici, anche se lu kulu ci rimisi.
Attribuita a Paryde
--Acchianai cu lu cori ca era nu cutugnu, scinnii cu la minkia di l‟amore mio na nu pugnu.
Attribuita a Helena
--Acchianai pi fari na comunicazioni, ma ci la misi in kulo al bel Paridone.
Attribuita a Pryapo
--Tra lu muriri cu lu kulu sanu e salvarsi cu lu kulu sfunnatu, a dire la verità,
è meglio salvarsi e basta, che tantu lu kulu lu purtusu di suo lu teni già.
Platone da Munypuzos
---
Per tutta Munypuzos risuonò l‟urlo soddisfatto di Helena che finalmente aveva
trovato la minkia ideale. In fondo Helena sapeva chi era il portatore di questo
modello di ciolla ad hoc per la sua fiketta ma aveva voluto sperimentare. Ma alla fine
la sua fika era approdata alla giusta minkia. Giusta tanto per dire. Perchè non è la
minkia che si cerca, bensì un certo portatore. E il portare giusto, quello che
illuminava d‟immenso la testa di Helena, e di conseguenza la sua fika, era solo e
soltanto Paryde. E in quel porto di mare che era il pakkio di Helena, e dove di navi ne
erano transitate a iosa, finalmente aveva gettato l‟ancora la minkia giusta.
Per questo, e solo per questo, Helena finalmente gridò:
<< La
MINKIA
di Paryde è mia>>.
Pure la sua fika gridò: <<La minkia di Paryde è mia>>.
E risuonò anche quello soddisfatto di Paryde. Paryde era felicissimo di minkia, di
cervello e di corpo. Era felice assai assaissimo tutto.
<< La
FIKA
di Helena è mia>>.
Pure la sua ciolla gridò :<<La fika di Helena è mia>>.
Gli abitanti di Munypuzos risposero in coro, soddisfatti assai assaissimo per la fine di
questa ricerca della minkia ideale.
Per la probabile e sicura fine di quel grido lancinante che ci skassava i koglioni e le
ovaie a tutti. In coro, un coro felice però, risposero:
<< Mynkyalao è
CORNUTO
>>.
Tutte le fike e le ciolle di Munypuzos gridarono: << Mynkyalao è cornuto>>.
Anche la ciolla di Paryde e la fika di Helena si unirono al coro.
<<Mynkyalao è cornuto>>.
--Minkia, fika e cornuto erano stati gridati col massimo della potenza possibile. I nomi
erano stati appena appena sussurrati. Pochi compresero di chi era la minkia, e chi di
questa minkia s‟era impadronita. Pochi capirono di chi era la fika, e chi di questa
fika s‟era appropriato. Ma sentendo la parola cornuto tutti l‟associarono a
Mynkyalao. Praticamente dire “Mynkyalao” e dire “cornuto” era la stessa cosa. I due
termini erano due sinonimi. Come dire “bugie” e “Pattuallopolys”. Come dire
“Karleonthynoy” e “4 o 8 milioni”. Come dire “Leonthynoy” e “documenti non
integrati”. Come dire “terre d‟arance” e ”minkiate di sicilia”.
---
Tutti sentirono la parola “minkia”, la parola “fika” e la parola “cornuto”. Tutti, tranne
Mynkyalao e Ifikanya. Erano impegnati in una fikkata full time. Erano l‟uno per
l‟altra ma non erano per il resto dell‟universo. Erano immersi nel loro mondo e se ne
fottevano del resto del mondo.
--A curtigghiari c‟erano i soliti tre intellettuali della ciolla, o del kazzo, che a quanto
pare avevano risolto i loro problemi di minkia.
Pertanto
pinsavano già di scrivere rispettivamente, secondo la propria
specializzazione, il Poema Helena per immenso amore s‟inphallò nella sua dolce e
innamorata fika l‟amato phallo innamorato dell‟innamoratissimo Paryde e
contraccambiò inkulandolo col Sosia , il Carmen Helena per amore s‟immentulò
nella sua dolce e innamoratissima fika la mentula innamorata dell‟innamoratissimo
Paryde che ricevette in kulo il suo Sosia, e il romanzo Cent‟anni e poi ancora
cent‟anni di imminkiamento della minkia innamorata dell‟innamoratissimo Paryde
nel pakkio innamorato dell‟innamoratissima Helena che ricambiava spesso
piazzandogli nel kulo il Sosia che altro non era che un pezzo di minkia finta.
Sokratynos, il filosofo della minkia, risolti anche lui, e con Helena, i suoi problemi di
minkia, si chiese: << La vita è una, come la minkia, e se non è un piacere vivere e
avere una minkia che imminkia alla sanfasò, a che minkia serve vivere solo per
imminkiare Helena che da tutti s‟è fatta imminkiare, se poi Helena in cambio
dell‟imminkiamento vuole imminkiarti in kulo il Sosia di ..>>.
E lasciò così. Qualcuno dice che voleva scrivere il nome dei tre intellettuali. Ma si
autocensurò. In realtà doveva scrivere solo e soltanto “Paryde”.
Ma circolò, anche se anonima, questa domanda: << La vita è una, come il buco del
kulo, e se non è un piacere vivere e avere un buco del kulo, a che minkia serve avere
un buco del kulo se poi non puoi farti felicemente imminkiare da una minkia vera o
finta che sia?>>.
--Circolarono però tre scritti anonimi attribuiti ai tre intellettuali della ciolla. Un
Poema intitolato Curiosità filosofike, e non solo, dell‟altro stoma di Sokratynos. Un
Carmen intitolato Curiosità filosofike, e non solo, del kulum di Sokratynos. Un
romanzo intitolato Cent‟anni di curiosità filosofike, e non solo, del purtuso del kulo
di Sokratynos.
--Appena arrivati a palazzo Paryde chiese :
<< Helena, ma la minkia mia, parra chiaru e tunnu,
lu stutau lu focu ca ardia na lu to kunnu>>.
<< Lu stutò, lu stutò, pirchì lu kunnu miu pruri pi tia e sulu pi tia s‟attizza.
E poi ancora impazza, però sulu e soltanto per la tua bella minciazza>> rispose
Helena.
<< E menu male, menu mali ca si stutò.
Pirchì la minkia mia quasi quasi si consumò>>.
<< Veramente lu kunnu mio è sempre addumatu.
E da tia, dalla tua minkia, vulissi siri sempre stutatu
Pirchì lu pakkiu miu a siri la casa di la to minkia.
Infatti io vorrei gridarti assai assaissimo “Ricomincia”.
Mettere il kazzo nel tumulo, questo è il significato
della parola “kazzicatummula”, bel cicio mio amato>>.
<< Ma ca purtroppo semu na lu to kazzu di palazzu.
E se ci vidi Mynkyalao, lu granni curnutazzu?>>.
<< Mi ni frego e mi ni futtu di chiddu curnutu ranni.
E la to minkia bedda ca vuoiu, e la vuoiu a tutti banni.
Io ti amo assai assaissimo, e pure la tua ciolla amo.
Pertanto che posso dirti, se non, kazzicatummuliamo.
Fiat mentula, fiat lux. Illumina l‟antro. Fikka beddu.
Io aspetto. Dura lex, sed lex. Trasi pertanto lu to aceddu >>.
<< Ave kunnus, morituri te salutant. Ma muoio assai contento.
Muoio felice perché per amore ho la minkia in esaurimento>>.
Ricominciarono sotto il tetto coniugale. E andò tutto bene. Compresa la
partecipazione del Sosia. E l‟azione di tanta ma proprio tanta minkiajuana. Oltre a
una stizza di Unguento. Ma proprio na stizza. Fu un kazzicatummulio divino, fu un
kazzicatummulio degno dei Campi Elisi, fu un kazzicatummulio degno
dell‟Olympazzo.
--Il famoso filosofo della minkia Sokratynos da Munypuzos si chiese: << La vita è una,
come la minkia, e se non è un piacere vivere e avere una minkia e scrivere sui fatti
della minkia, a che minkia serve avere una minkia filosofika e non poter
filosofikamente fikkare, senza dare niente cambio, codesta minkia a...>>.
E lasciò così. Omise ancora un nome. Il solito nome. E taliò il “cata – cata – nonno”.
Lo scimpanzè ci sorrise. La sua risata comprendeva tutta la filosofia di chistu minkia
di munnu, come a dire “Ma chi minkia di dumanni della minkia ti fai? Tanto lu
munnu va a minkia pirchì a cumannari quasi sempri ci sta genti ca cumanna a minkia.
E cu cumanna a minkia, caro il mio filosofo della minkia, poli cumminari sulu
minkiati”. Ma il filosofo si chiese anche: << Perché ai tre intellettuali della minkia sì,
e senza pre e dopo, e a mia che sono il filosofo della minkia, chiese il prima e
soprattutto il...?>>. E lasciò così. Per consolarsi si fece nu minkiuni di minkiajuana,
ma lui la chiamava “erba dei filosofi.” La desi pure al “cata - cata – nonno”. E all‟uno
e all‟altro ci attisò la ciolla. Perchè anche al “cata - cata- nonno” ci attisava la ciolla.
E l‟uno e l‟altro presero a minarsela. Perchè anche il “cata- cata- nonno” sapeva
minarsela. Prima se la minarono personalmente e poi reciprocamente. Perchè anche il
“cata –cata - nonno” sapeva menarsela e menarla.
Ma a Sokratynos ci pruriu lu kulu. Al “cata- cata- nonno” forse anche. E il filosofo si
chiese: << La vita è una, come il buco del kulo, e se non è un piacere vivere e avere
un buco del kulo, a che minkia serve avere un buco del kulo se poi non puoi farti
imminkiare dalla minkia del “cata - cata- nonno”?>>.
Ma si chiese anche: << La vita è una, come il buco del kulo, e se non è un piacere
vivere e avere un buco del kulo, come minkia devo fare per farmi imminkiare dalla
minkia del “cata- cata- nonno”?>>.
Ma andò oltre con le domande: << La vita è una, come il buco del kulo, e se non è
un piacere vivere e avere un buco del kulo, forse, per farmi imminkiare dalla minkia
del “cata- cata- nonno”, potrei prima io imminkiarmi io il “cata - cata- nonno”?>>,
Non si diede una risposta a parola, non lo sapeva fare, ma si diede una risposta coi
fatti. E il “cata - cata - nonno” capì. E ricambiò il favore.
Così si dice, ma nessuno sa la verità. Se fu o se non fu. Sokratynos comunque restò
vita natural durante contento assai di quel “dopo” con Helena. Quel “dopo” gli aveva
aperto nuove frontiere, quel “dopo” gli aveva fatto superare certe barriere.. quel
“dopo” prometteva piaceri futuri inimmaginabili da aggiungere ai piaceri passati.
Quel “dopo” gli faceva capire che essere uomo non voleva solo dire “dare” ma anche
“ricevere”.
--Ad incrementare il pettegolezzo ci pensarono tre scritti anonimi che tutti attribuirono
ai tre intellettuali della ciolla. Il Poema Interscambio kultural-phallico tra Sokratynos
e il cata- cata- nonno. Il Carmen Interscambio kultural-mentulico tra Sokratynos e il
cata-cata-nonno. Il romanzo Cent‟anni di interscambio kultural-mincico tra
Sokratynos e il cata-cata-nonno.
--Pryapo restò solo soletto. Si fici una discussione cu Eolo ca era già volato alle Eolie.
<< Ciau, minkia ciusciante>>.
Poi n‟autra cu Efesto ca stava già dintra l‟Etna.
<< Ciau, minkia caura>>.
Iddu mannava signali con la minkia. Eolo ci arrispunnia cu lu vento. Ed Efesto cu lu
fumu ca scia dal vulcano. Fu na bella discussione. Chiara, limpida ed esaustiva. Per
loro almeno. Ma tutto questo non l‟acquietò. Scinniu e curriu al primo lupanare. Si
fici tutte le lavoratici ancora disponibili. Poi cantò felice, facendosi e strafacendosi di
quella che lui chiamava minkiapriapriana:
<< Le stikkiose...Che son famose...
In la, mi, re... Son tutte state sotto di me..
Il kazzo eterno le ha fulminate ..
Trillate, scopate... Arcifottute..
Tutto avete potuto da me imparar...
E quelle ancora che già san l‟arte...
Ad ogni chiavata inver mi chiamano...
La loro parte io devo infilzar..>>.
A sentire quella voce, Zeus, ancora impegnato a fottere cu Leda, si sminkiò in un
amen. Per consolarsi si fece e strafece di minkiajuana.
<< Pryapo, se ti vedo, ti fulmino. E che kazzo>>.
--Il famoso filosofo della minkia Sokratynos da Munypuzos si chiese: << La vita è
una, come la minkia, e se non è un piacere vivere e avere una minkia per fikkare, a
che minkia serve vivere senza fikkare se Helena nel suo tur della ciolla nun passa a
farsi somministrare anche la tua minkia senza chiedere niente in cambio?>>.
Si chiese anche. << Pirchì la buttana a mia chiese quello che chiese, ovvero un
prima a base di minkia vera in portaminkia finto, un secondo a base di minkia vera in
portaminkia vero e un terzo a base di minkia finta in...?>>.
Ma si fermò . Doveva scrivere solo e soltanto “ in kulo vero” ma non lo scrisse.
Si fece però tanta ma proprio tanta “erba dei filosofi”. Poi si addumannò: << La vita
è una, come il buco del kulo, e se non è un piacere vivere e avere un buco del kulo, a
che minkia serve avere un buco del kulo?>>.
---
Andava avanti, e praticamente volgeva al termine, la notte del matrimonio. Quella
notte comunque fu seminata Erminestrone, detta semplicemente Ermione, la figlia di
Helena e non si sa di chi. Ufficialmente fu attribuita al legittimo marito, ma Paryde
ne rivendicò la paternità. E, cosa assurda, pure quel minkione di Agamynkyone, che
era stato rifiutato, ne rivendicò la paternità. Ma siccome la notte delle nozze Helena
si era trummiata tanta gente, nel suo pakkio si era formato un minestrone. È pertanto
difficile dire chi sia stato il padre biologico di Erminestrone. Anche se la cosa, per
volontà del fato, era nota. Enea, cu la so minkia eroica, avia siminato lu “Kazzo”
nella “Mona” di Helena per dar vita alla futura Monakazzo
--E arrivò il giorno dopo. Dopo il matrimonio naturalmente. L‟indomani. Munypuzos
era avvolta nella nebbia. Una nebbia artificiale. Si trattava del fumo prodotto nel
corso della festa di nozze. Perché per dare più euforia alla cosa si erano consumate, in
appositi bruciatori, quantità industriali di minkiajuana. Comunque tutta Munypuzos
e dintorni sapevano già delle corna di Mynkyalao. Tutti, tranne il cornuto.
Uno dei primi ad essere informato fu Agamynkyone.
<< Corna pi corna, ci li putia fari cu mia? Poteva farsi imminkiare la minkia reale dal
sottoscritto. Almeno le corna restavano in famiglia, in fondo la mia minkia
eccezionale è. Ma il fatto è che Helena buttanissima è. Sarebbe capace di dichiararsi
insoddisfatta anche dopo essersi fatta tutte le minkie dell‟universo>> disse lu re
Agamynkyone. Il re maggiore si ricordava quasi tutto della notte delle nozze. Si
ricordava che non era riuscito a convincerla a concedersi. Che aveva tentato anche
con la violenza. Ma non era riuscito a violentarla. Si ricordava solo che era finito per
terra, sbattendo dolorosamente la minkia tisa, e che lei, avvicinandosi per constatare
i danni, l‟avia presa con due dita, come si fa con una minkia appestata, e ci la stava
taliannu da vicinu quannu iddu , eccitatissimo come un mandrillo, ci avia sburratu na
la facci. Anzi, forse ci l‟avia trasuta un po‟ in bocca. E anche lì aveva seminato.
Comunque quella buttana avia assaggiato la sua reale semenza. Poi ci avia ditto cu
era l‟amante di suo fratello. Ma iddu era svenuto. Non aveva sentito il fatal nome.
<< A mia chi mi ni futti di chidda minkia di mio fratello?
Di unni minkia iddu scarica il suo reale uccello?
Chi minkia m‟interessa da chi iddu si la fa sukari?
A chi na lu kulu iddu la minkia ci la va a sunari?
Mica iddu ci la fikka alla mia signora regina?
E magari ca iddu la minkia ci la fikkassi a idda,
chi minkia mi ni futti di idda e di iddu e di la so cicidda?
Mica alle mie figlie iddu ci la fikka a minkia cina?
E se fosse, chi minkia m‟interessa? Chi posso diri?
Sunu ranni, e prima o poi na minkia l‟ana aviri.
O forse a Mynkyoreste iddu ci la sbatte in kulo?
Ma tra mascoli, a quell‟età, è nu iocu di sicuro.
Mio fratello, cicia amante, mio figlio, kulo amato?
È il solito vecchio gioco dall‟uomo inventato.
Di mio fratello mi ni futti meno di un pirito fitenti.
A mia in fondo solo il potere m‟interessa veramenti.
È solo come segno del mio potente potere eccezionale
che volevo Helena assisa sulla mia minkia reale.
Solo per quello, solo per pubblica dimostrazione,
volevo la fika di Helena sua mia ciolla in eruzione.
Perché la miglior donna del mondo è il potere assoluto.
Con quello, tutto e il contrario di tutto può esser fottuto.
E solo e soltanto per questo, anche se la storia è antica,
solo per questo scatenerò una “grande guerra” per una “grande fika”.
L‟avrò. Con le buone o con le cattive, chidda fika spilata sarà mia.
Così si volle cola dà dove si puote. Ovvero, nella mia testa. E così sia>>.
Concluse iddu che non ci importava un kazzo dell‟amante di Mynkyalao. Che
gliene importava un kazzo e mezzo della moglie. Che gliene importava un kazzo e tre
quarti del figlio. Che gliene importava appena mezzo kazzo delle figlie. Ma in
pubblico ci tinia alla sanità di pakkio delle figlie. Come alla sanità di kulo del figlio.
Come all‟onestà della moglie.
<< Chi ci sfunna il portone senza autorizzazione
è un uomo già senza minkia e senza koglioni>> concluse il re maggiore.
<< Me soru è buttana di matri natura e ci piaci troppo assai assaissimo la minkia, chiù
assai assaissimo di mia. Me soru tanto per dire. Io sono figlia di mio padre, della
minkia di mio padre. Lei è figlia di Zeus, di quella minkia buttana del buttaniere
capo. Buttanieri lu patri, buttana la figlia. Anzi, assai assaissimo buttanissima Helena
è>> disse Fikennestra.
Mynkyoreste, che era innamorato della zia, disse: << Mi la poteva dari a mia. Alla
mia minkia novella. Che sono ancora vergine, per quanto riguarda il kunno. Aviri na
zia buttana pi tutti, ma non per il nipote, cosa brutta è. La mia minkia la poteva
benissimo ingignari lei, ma idda purtroppo troppo assai buttanissima è>>.
Non si era reso conto che la zia se l‟era fatto intanto che lui dormiva. Ma d‟altra
parte, chi dorme non capisce quel ciolla che fa.
<< Chissà chi kazzu di minkia pritenni sta buttana ranni ca misi li corna a lu ziu
beddu. Magari lu putissimu aviri n‟autri lu so aceddu. Helena buttanissima è>>
dissero le tre figlie di Agamynkyone. Che erano tutte e tre innamorate dello zio.
Ma Ifikanya sorrideva col kunno. Sorrideva col cervello e col cuore. E sorrideva
anche con la bocca. Ma a bocca chiusa. Lei lo zio se lo faceva davvero. Se lo faceva
in esclusiva. O quasi. Prima veniva lei, poi la moglie.
--Tanti altri pinsanu ca Helena era na buttana ranni. Anzi, na buttanissima.
Praticamente la protobuttana di Munypuzos. O anche la veterobuttana, sempre di
Munypuzos.
<< Cu tanti kazzi nostrani ci stava il bisogno di darla a uno di fuori, almeno le corna
restavano in paese. Minkia pi minkia, a Munypuzos ci ni sunu di minki di qualità.
Accussì la buttana sbriogna li maskuli di Munypuzos, sbriogna le loro minkie. Lo
stikkio più bello del paese ca si innamora di uno di fora? E chi, non ci ni stavano qua
aceddi a misura del suo bellissimo pakkio infuocato? Purtroppo Helena è
buttanissima assai assaissimo, buttanissima e basta. Rifiuta le minkie autoctone per
quelle alloctone, accussì fa parlare male di Munypuzos. Quasi quasi facciano un
esposto al tribunale pirchì idda fa parlare male di lu paisi. Sbriogna le minkie
autoctone in favore di quelle alloctone.>> commentarono al Plutocircolo.
Dyceomynkyopoly, giusto di testa e di minkia, propose: << Per giusta democrazia, la
notte delle nozze, Helena doveva darla a tutte le ciolle di Monakazzo. Se tur della
minkia doveva essere, completo doveva farlo. Casa per casa, mascolo per mascolo. A
tutti i portatori di minkia in grado di attisare la minkia lei doveva far imminkiare la
minkia. Tutto questo doveva fare Helena prima di approdare all‟amata ciolla di
Paryde. Quasi quasi penso che idda ragiona come il teorico del Pattuallopolys.
Chiddu ha pagato i frusteri per far fare bella figura alla nostra terra. Idda ci l‟avi dato
a li minki frusteri per far fare bella figura ai nostri stikki>>.
I plutocircolini si dichiarano d‟accordo.
<< Io voglio andare a letto. Il membro ce l‟ho eretto. Vorrei andare a letto con
Helena. Helena è in debito con me di una fikkata, ma per stavolta mi accontenterò di
un pakkio spilato a pagamento>> concluse Dyceomynkyopoly.
<< Anche noi, anche noi l‟abbiamo tiso, anche noi vorremmo imminkiare Helena.
Ma per stavolta ci accontenteremo di un pakkio spilato a pagamento>> risposero i
plutocircolini.
Ci fu un tizio, originario del Pattuallopolys, e che di mestiere faceva il kakastrunzate,
che disse:<< Helena ha scelto una minkia alloctona per far fare bella figura ai pakki
di Munypuzos. Il valore del suo pakkio varia tra quattro milioni e otto milioni di
pakki normali. E la cosa era anche documentata. Solo che i documenti si persero>>.
--La notte successiva a quella delle nozze i due amanti scapparono. Fecero la classica
fuitina. Direzione Purceddopolys. Ma non subito. Prima ienu a casa d‟amici in
un'altra polys della zona. E se Paryde si purtau a Helena Helena si purtau parte del
tesoro. Solo allora Mynkyalao capì che sua moglie ci preferiva ufficialmente un altro
marrugghiu. E si chiese perché?
<< Sono bello, lo tengo duro permanentemente, lo tengo lungo abbastanza e più di
tanti, lo tengo grosso e più di tanti, lo tengo capace di fare il bis e il tris e il quadris, e
di bissare il bis e il tris e il quadris, e se necessario di triplicare e quadruplicare il bis
e il tris e il quadris. E allora pirchì mi fici cornuto, quella grandissima buttana del
kazzo?>>. Poi si desi la risposa: << Il bis e il tris e il quadris solo con Ifikanya.
Bissare, triplicare e quadruplicare il bis e il tris e il quadris solo e sempre con
Ifikanya. Con lei, con mia moglie, solo il minimo legale. Una e basta, tre volte al
mese e non di più. Perchè io sono il mascolo, e pertanto comando io. Io stabilisco
quando fikkare e quanto e come. L‟importante è non scendere sotto il minimo legale.
“Una ogni dieci giorni” dice la lex. La colpa non è mia pertanto, ma sua che
buttanissima è>>.
Fu allora che si mise davanti a un grande specchio di bronzo e si la minò in onore di
sua moglie. Così lo trovò la nipote Ifikanya venuta a consolarlo. E lo seppe ben
consolare. Ufficialmente, da quel momento in poi, la sua vita sessuale fu quella del
“re minatore” in onore della moglie fedifraga. Ufficialmente però. Questa la storiella
assemblata per le masse popolari in quell‟era di buttanesimo trionfante. Questo il
resoconto scritto negli Annali di Munypuzos.
La nipotina ingenua, la bella e dolce Ifikanya, era trasuta per caso nella camera dello zio, perchè
spaventata dai lamenti dello stesso.
“E chi sta male lo zietto mio bello?” s‟era addomandata la ragazza. Ed era trasuta
preoccupatissima, scordandosi di addomandare “è permesso, zio caro”. E una volta dentro aveva
trovato lo zio nudo, davanti allo specchio, che giocava con la sua ciolla, come si fa con il burattini.
“ Zio caro, ti scappa per caso la pipì”. E innocentemente gli aveva dato una mano. Con somma
innocenza. E lo zio aveva fatto la pipì, una pipì strana, direttamente contro lo specchio. E non nel
“vaso pisciatore”. Poi la carusa era uscita come se niente fosse. Non aveva capito una ciolla
sull‟uso della ciolla che lo zio faceva, era convinta di averle solo dato una mano per pisciare.
Tanto ma proprio tanto era innocente la bella e casta Ifikanya.
Questa la versione ufficiale. La realtà era altra. E quasi tutti la conoscevano. Forse
tutti. Non la conosceva però Agamynkyone.
<< Mynkyalao vive di “minkialismo”>> dicevano tutti.
Minkialismo: la nuova parola fu coniata da Homeryno e sta ad indicare uno che si
la minava e versava il suo sacro seme pi terra. Anche se in seguito la parola della
concorrenza, “Onanismo”, avrà più successo, questa nasciu prima. E per Mynkyalao
addivintò una vera abitudine ufficiale. Si chiudeva in casa per praticare ufficialmente
il “minkialismo”. In realtà fikkava con Ifikanya. Una la mattina, dopo colazione; una
a mezzogiorno, dopo pranzo; una la sera, dopo la cena; e infine l‟ultima prima di
addormentarsi. E se una non bastava, si facia la seconda e se necessario la terza.
Continuava così fino a quando il sonno lo vinceva e lo faceva crollava nelle braccia
di Morfeo. O meglio, di Ifikanya. Stanco di corpo ed esaurito d‟aceddu. Il bis e il tris
e il quadris erano la norma. Le pluriminate erano in realtà una plurifikkata. Ma
quello che contava era la verità ufficiale. E ufficialmente lui soffriva per la moglie.
Si la minava per la moglie. E siccome era stato disonorato doveva vendicare l‟onore
offeso e lavarlo con tanto sangue. Con un mare di sangue. Perché lui era il re. Uno
dei due re. Il re minore. In ogni caso le sue corna non erano solo sue. Erano corna
anche di Agamynkyone e dell‟intera Munypuzos. E non solo, erano corna anche di
tutte le polys alleate con Munypuzos.
<<Mynkyalao rende omaggio manualmente al simulacro della moglie>> diceva la
gente taliannu le finestre illuminate della sua stanza a palazzo. In realtà stava solo
fottendo e controfottendo con Ifikanya. Rendeva gioioso omaggio al pakkio della
nipote, la vergine Ifikanya. Vergine ufficialmente.
---
Homeryno Homokulum, grecista del fallo, decise di scrivere il Poema Helena, una
fika cha va da un phallo all‟altro fino ad approdare al phallo di Paryde.
Mhaxymylyanum Mhaxymylyanorum, poeta della mentula, scrisse il Carmen
Helena, un kunnus che va da una mentula all‟altra fino ad acchiappare la mentula di
Paryde. Lo scrittore Paulorum Santhokrysos, scrittore della minkia, da parte sua
pinsò di scrivere subito il romanzo Cent‟anni di promessa di sposalizio ma poi
appena i promessi sposi si maritanu subito si strarrianu pirchì lu stikkiu di Helena si
addumava sulu pi la minkia di Paryde. Pinsau anche di scrivere una commedia,
Mynkyalao, cent‟anni di phallus ingloriosus. E anche una tragedia: Helena,
cent‟anni di kunnus antropomentulaphagos.
Il famoso filosofo della minkia Sokratynos da Munypuzos si chiese: << La vita è
una, come la minkia, e se non è un piacere vivere e avere una minkia e scrivere sui
fatti della minkia, a che minkia serve avere una minkia se poi questa minkia la devi
imminkiare nello stesso portaminkia dove n‟autra minkia imminkia così come la
minkia tua, e magari il portaminkia fa la differenza tra minkie autoctone e minkie
alloctone? >>.
Ma si chiese anche: << La vita è una, come il buco del kulo, e se non è un piacere
vivere e avere un buco del kulo, a che minkia serve il buco del kulo se il buco del
kulo non è in grado di distinguere tra minkie autoctone e minkie alloctone ?>>.
--Pryapo a vedere tutto quel casino rise. Rise come un ossesso. Dal suo Kolosso
Minkiaurea s‟era taliato la fuitina. Non era Paryde che tirava Helena pi la manina,
era Helena che trascinava Paryde tirannulu pi l‟aceddu. Helena era caura di puntiddu
come suo padre Zeus e come Aphrodyte. Solo lui forse, ci l‟avrebbe potuta sfamare
la fame di minkia che quella possedeva. Forse. Ma sarebbe stato un lavoro lungo.
<< Per un pakkio che va, ci ni stanu cento a disposizione.
E pi nu marrugghiu persu, di minkie è cinu l‟universu>>. Poi aggiunse.
<< Ma lu distinu è lu distinu. E manco gli dei ci ponu cu lu distinu.
È scritto ca pi la fika di Helena, e così sarà, sarà granni lu casinu>>. E ancora:
<< Fimmini esperte nell‟arte di kazzicatummuliari.
Na lu munnu ci ni sunu a tonnellate e no a chilati.
Ma di fimmini ca st‟arte bella ci l‟hanno nel kunno.
Ci ne picca, forse na decina in tutto na lu munnu.
Ma che dannu all‟aceddu il massimo della gioia.
Ci sunu sulu iddi: Aphrodyte ed Helena la Troia.
Una, la divina divinità kallipigia, mi veni mamma.
E l‟incestu cu idda non è stato per niente un dramma.
Helena mi veni parenti assai, ma è difficile da spiegare.
Ma la sua fika è la più vorace ch‟io abbia fikkato mai.
E scusate se mi intrometto in questa kazzo di storia.
Ma son troppe e tropp‟assai le minkie ite in gloria.
Io sono Pryapo il Minkiatanta, ma non ho sfamato.
L‟elenino pakkio di minkie e minkie affamato.
Auguro a tutti una fimmina bell‟assai e bona.
Ca alla vostra minkia faccia fare lampi e trona.
Non vi auguro né Aphrodyte né Helena la buttana.
Una è dia, e idda non è roba pi la minkia umana.
Ma pi giustissima e correttissima democrazia.
Vi auguro a tutti na fikkata cu Helena e così sia.
C‟è chi ce la farà, altri no, c‟è chi perderà la ragione.
M‟interessa niente della vostra cicia e del vostro esser koglione.
Io son la minkia per eccellenza, e per questo lottai, lotterò e lotto.
Paryde m‟offese, e pi minnitta gli ruppi il kulo di botto.
Son Pryapo, per tanti son dio, per qualcuno un pupazzo.
Oggi ci sono, ma un giorno io non sarò più un kazzo>>.
Poi rise. Rise alla sanfasò. E poi si fici nu tanticchia di sveltine cu la bedda
pakkiaredda che s‟era portato per compagnia. Si trattava di Pandora, la prima
femmina creata da Zeus. Impastata col fango da Efesto, fatta bedda assai da
Aphrodyte mentre Atena con un soffiu ci desi la vita e la vistiu a suo modo: con una
armatura di ferro per nascondere tutte quelle bellezze. Ma Ermete la fici furba e ci
insegnau l‟arte dell‟inganno. Ovvero “Come usari lu kunnu pi siri padrona di lu
munnu”. Pi fatti e accordi vari fu fatta maritari a Epimeteo, fratello di Prometeo. Lu
babbu non la sapia accontentare e idda si promise di cornifikarlo. E lo cornifikava
alla grande. In occasione del matrimonio di Helena e Mynkyalao canusciu a Pryapo e
ci s‟amicò. Quella sera il potente dio l‟aveva convinta a salire sul faro per farle
taliare un altro faro. Gli amplessi furono accussì furiosi ca Pryapo, sciennu l‟aceddu
da lu purtusu di davanti pi mittillu na chiddu di darreri, diede involontariamente una
botta di minkia alla quattara che la femmina portava sempre con sé. La quattara di
Pandora. Il vaso di Pandora purtroppo abbulò. E si ruppe cadendo sul tetto di un
lupanare. Accussì li mali scienu e si diffusero pi lu munnu. Tanto che un giorno un
poeta scriverà.
<< Erano animaletti nichi nichi ca traseunu da li biddichi.
Poi scuprenu autri vie d‟ingressu pi futtiri l‟omminu, la fimmina e lu sessu.
Lu primu ca sciu da lu vasu si chiamava spirocheta palliduzza..
E lu curnutazzu na la minkia e na lu pakkiu attruvau casuzza.
D‟altra parte fu na minkia appitittata di pakkiu ca ruppi la quattara.
E proprio li minki funu li primi a paiari sta minkia di novità amara>>.
Ma allora Pryapo non ci fece quasi caso. Disse solo: << Mi ni futtu, meglio
continuare a futtiri. Tantu li malanni sono per gli uomini e non per gli dei. Gli uomini
si la sukunu, punto e basta>>.
Pandora ci pinsò un attimo: <<Lassari futtiri st‟aceddu ca mi voli futtiri per cercare di
rimettere in un vaso li malanni o futtiriminni?>>. Decise di futtirisinni.
<< Mi dispiace per l‟umanità, ma adesso ho di meglio da fare.
Dopotutto su kazzi di la genti e a mia nun mi ni futti nenti.
Ho a disposizione la minkia più minkia ca nell‟universo ci sta.
E chi sugnu cretina ca mi lassu scappare sta minkia di occasione qua >>.
Per una fikkata l‟umanità si attruvò fottuta e alla grande. Se prima aveva vissuto nu
tanticchia ammalamenti adesso si prospettavano kazzi niuri a non finire. Il futuro era
niuru già sulla carta. “Guerra e guerra e guerra” era il progetto degli uomini a minkia
del momento chiù assai di quelli del passato ma meno di quelli del futuro. A parte
questo, adesso ci sarebbero state chiù malattie, chiù terremoti, chiù alluvioni, chiù
disgrazie, chiù teste di kazzu documentate. Insomma, ci sarebbero stati chiù kazzi
niuri pi tutti.
<< Ma n‟autri dei siamo immortali e dei mortali ce ne fottiamo, anche se prima o poi
loro se ne fotteranno di noi>> pinsò Pryapo intanto che scopava. Pandora invece
pinsò solo a godere. Alla faccia del mondo intero.
Pryapo , finiti i lavori di minkia, cantò placido, sukannisi nu beddu minkiuni:
<< Zeffiretti lusinghieri. Deh! volate al mio tesoro.
E ditegli ch‟io l‟adoro. Che mi si serbi ogni kunno fedel.
Omuncoletti per niente veri. Avete perso ogni vostro tesoro.
Adesso son kazzi amari e non d‟oro. Il vaso si ruppe e n‟usci il fiel>>.
Sukò, e non solo minkiuna, anche la bedda Pandora.
--Quella notte, vedendo il casino che può succedere per un pakkio, ad un certo punto
Zeus si la minò con pititto grande e gioia infinita. Disse solo:
<< Cu la minata nun succeri nessuna minkia di dannu.
Cu la minata godo comu e quannu minkia vuoiu tuttu l‟annu.
Cu la minata non litigo na minkia con la proprietaria di lu stikkiazzu.
Cu la minata non mi ritrovo cu na minkia di figghiu ca mi rumpi lu kazzu.
Cu la minata non corro na minkia appresso a nessun essere vivente.
Cu la minata, pi gudiri a tutta minkia, abbasto io e idda solamente.
Cu la minata non serve na minkia darsi un appuntamento.
Cu la minata basta na minkia di manu p‟acchiappare lo strumento.
Cu la minata fazzu comu minkia e straminkia mi pari a mia.
Cu la minata della minkia che imminkia faccio l‟apologia.
Cu la minata della minkia faccio il panegirico e l‟apoteosi.
Cu la minata cu la minkia faccio, senza chiedere, tanti cosi.
Cu la minata ho il massimo di autonomia per la minkia mia.
Cu la minata non cerco na minkia di pakkio per fikkare.
Cu la minata non cerco na minkia di kulo per inkulare.
Cu la minata non cerco na minkia di ucca disposta a sukari.
Cu la minata non cerco na minkia di collaborazione alcuna.
Cu la minata chidda minkia di la me manu è ogni cosa e nessuna.
Cu la minata godo a tutta minkia assai assai e.. e così sia>>.
A cosi finuti pinsò a Pryapo:
<< Menu mali ca Minkiaranni nun s‟è fattu né vedere né sentire.
Perché porta sfiga alla ciolla in modo che non riesco a capire.
Perché un fatto al cento per cento è veramente sicuro.
Se vinia iddu pure la mia bedda minata ia a fari in kulo>> disse calmo e tranquillo
sukandosi nu minkiuni enorme di minkiajuana. Solo allora sentì Pryapo cantare. Ma
ci ni futtia una ciolla cina d‟aria. Oramai aveva goduto. Ma pinsò alla minata
femminile.
<< Lu itu sarà nicuzzu ma certe voti è megghiu di nu veru kazzu ca nun sapi capiri.
Lu itu teni l‟osso, eni a portata di manu, e porta sempre con gioia a lu piaciri.
Ma se lu itu non basta ci sta la minkia finta ca eni sempre disponibile a fare.
Nunn‟arrimodda, non si lamenta e si lascia sempre e soltanto comandare>>.
--Homeryno Homokulum mise in cantiere il Poema Corna sostegno del mondo. Un
omaggio alla liberta sessuale. Mhaxymylyanum Mhaxymylyanorum il Carmen
Corona cornu felix. Anche questo un omaggio alla libertà sessuale. Lo scrittore
Paulorum Santhokrysos portò avanti la stesura di Cent‟anni da Priapazzu. Un
omaggio all‟unico dio che parla chiaru e tunnu. Anzi, non parla, si esibisce. Al vero
e unico dio ca avissa siri il capo di li dia e degli uomini, perchè dotato del vero
scettro del comando: la minkia. Lo scrisse di corsa e lu mannau al Pattuallopolys .
Era un supremo omaggio alla libertà in tutti i sensi. Libertà e basta.
Il famoso filosofo della minkia Sokratynos da Munypuzos si chiese: << La vita è una,
come la minkia, e se non è un piacere vivere e avere una minkia per minarisilla, a
che minkia serve vivere senza minarisilla e avere una minkia solo da somministrare
agli altri per poi magari litigarci per fatti di minkia e non solo di minkia?>> .
Ma si chiese anche: << La vita è una, come il buco del kulo, e se non è un piacere
vivere e avere un buco del kulo, in mancanza di una cosa vera o finta da mettere nel
kulo come minkia si fa a minarisilla di kulo? >>.
---
Per il popolo fu dato lo spettacolo gli Acarnesi. Un successo di pubblico, a parte i
soliti koglioni che si scantano anche a vedere una minkia di legno. Anzi, a volte
certuni si scantano solo a nominarla. Quelli che dicono : << Minkia, na minkia
visti>>. Oppure: << Minkia, cu minkia rissi minkia>>.
Eppure la processione fallica in segno di pace tra i popoli di Munypuzos e di
Purceddopolys era stato un bel gesto. Anche il ricordo dello scempio del corpo di
Dyonyso era stato un fatto positivo. Salvare il fallo come simbolo di vita era un gesto
gioioso di felicità. Un gesto beneaugurante. Ma gli acarnesi, nella commedia, non
comprendevano il gesto. E bruciavano il fallo. Ma Dyceomynkyopoly, cittadino
giusto, ne salvava un pezzo. E da quel pezzo il fallo rinasceva più grande e potente di
prima. Rinasceva e si moltiplicava ad un ritmo pazzesco. Alla fine tutto la scena si
riempiva di falli. E gli acarnesi alla fine si convincevano a deporre le armi e le loro
stolte idee. A rinunciare alla guerra con le armi che danno la morte per guerreggiare
con le armi dell‟amore. Il fallo in primis. Il fallo che può essere, oltre che oggetto di
piacere, anche fonte di zoè. Di vita.
Il momento centrale dello spettacolo fu quello in cui Dyceomynkyopoly cantava
gioioso: <<Fallo, di Bacco amico, di notturni trastulli compagno e d'orge, vago di
spose e di fanciulli, dopo sei anni, oh giubilo!, t'ho alfin nelle mie terre, sto in pace, e
mando al diavolo Lamachi, affari e guerre. Fallo, Fallo, quant'è meglio ristoro trovare
una vezzosa boscaiola, serva di Strimodoro, che in una balza aride legna invola,
prenderla a mezzo il seno, sul terreno gittarla, e far con lei giocondo ballo! O Fallo,
Fallo, bevi con noi, ché del notturno vino ebbro ancor, sul mattino di pace gusterai
colmo un catino, e penderà lo scudo sul camino>>.
Ma i moralisti uscivano all‟improvviso gridando: <<Proprio lui, proprio lui, guarda!
Scaglia, scaglia, scaglia! Lapidiam quella canaglia! Che si tarda, che si tarda? >>.
Seguiva il falò. Con segmento salvato e il resto. La miracolosa rinascita o ricrescita.
Un caso di rigenerazione, come quello della coda della lucertola dal corpo della
stessa, solo che questa volta è dalla coda del maskulo, dalla sua minkia praticamente,
che si autogenerò il corpo sano sano. In fondo la minkia è l‟organo della
riproduzione, niente di strano pertanto. Si partiu dal punto giusto, dalla cosa giusta,
per ottenere il resto. Per questo Dyonyso veniva anche detto “Nato due volte”. Nato
una volta in modo tradizionale, nato una seconda volta partendo da un segmento
corporeo.
---
Il vero Dyceomynkyopoly si chiese: << Ma pirchì il Dyceomynkyopoly finto di quel
kulorotto di Aristofane assomiglia al Dyceomynkyopoly vero che poi sarei io, minkia
e testa compresa? Per caso Aristofane mi vuole pigliare per il kulo? Per caso
Aristofane mi la vuole mettere in kulo? Per caso Aristofane vuole in kulo la mia
minkia? >>.
--Poco tempo dopo lo scrittore piluso Paulorum Santhokrysos, adepto prima dello
Zeussismo e poi del Priaprismo Trinitario, vinciu il primo premio al Pattuallopolys
di Karleonthynoy con Leonthynoy polys referente. Ci desinu na targa, una sera
prossima al solstizio d‟estate, ma si scurdanu lu premiu in piccioli. Iddu, passato nu
tanticchia di tempo, ci lu chiese. Ma chiddi ci dissero solo parole a kazzo di cane.
<<Quattro.. otto.. mi ni frego.. me ne fotto... Li papiri unni minkia su? Chi kazzu ni
sacciu iu >>.
Il principe di Karleonthynoy, Aristogitone, e l‟organizzatore, Armodio, litigarono.
La scrittore incominciò a perdere la fiducia nelle istituzioni e negli dei.
<<Questi signori hanno prostituito le istituzioni, le hanno trasformate in
proistituzioni. E gli dei del kazzo che non hanno impedito il fattaccio son solo
koglioni inesistenti e basta.. pupazzi e basta>>:
<< Minkia chi premio di minkia. E chi figura di minkia per certa gente. Minkia chi
kazzu di sicilia a minkia sta minkia di sicilia della minkia>> dicia la gente.
E iddu invocava la minnitta divina. S‟avia imparato una nuova litania:<< Zeus, lancia
fulmini a minkia cina. Ares, scatena na minkia di guerra. Efesto, metti in moto sa
minkia di Etna. Polifemo, tira petri alla sanfasò. Eolo, scatena venti assai potenti.
Ade, fai abballare sta minkia di terra ca forsi nesciunu li documenti. Dei, fate
qualche minkiata. Altrimenti mi faccio ateo. E la iti tutti a pigliare nel kulo, cari dei.
Che io, a dire il vero, credo nell‟atomos. E anche voi, se veramente ci foste, sareste
solo una massa di atomos. Ma io, a dire il vero, simbolicamente, vi rispetto, ma se voi
non fate il vostro dovere, io dichiaro ufficialmente e pubblicamente il mio ateismo
scientifico. Anziché farne solo una cosa privata. Capito, Zeus sparaminkiate e
Pryapo skoppolaminkia. E naturalmente il discorso vale anche per tutti l‟autri
sparabaddi dell‟Olympazzo del kazzo>>.
---
Il famoso filosofo della minkia Sokratynos da Munypuzos si chiese: << La vita è una,
come la minkia, e se non è un piacere vivere e avere una minkia e scrivere sui fatti
della minkia, a che minkia serve vincere un premio della minkia con un libro che
parla di minkia? Non era meglio scrivere un libro che parlava di minkiate, visto che
questo premio alla fine si è dimostrato una grande minkiata che faceva cagare pure
gli stitici a forza di ridere di certe minkiate del Pattuallopolys perché un premio più
a minkia non si poteva proprio organizzarlo?>>.
--Lu munnu è cinu di minkiati, la trinacria di più.
È il Pattuallopolys è il non plus ultra delle minkiate.
Solo un secondo Pattuallopolys può fare meglio del primo.
Anonimo.
--Se volete imparare come si organizzano le minkiate,
studiate il Pattuallopolys di Karleonthynoy e Leonthynoy.
Ovvero il prototipo delle minkiate dell‟universo.
Attribuita a Zeus
--Le minkiate della mia minkia sunu ranni ma commensurabili,
le minkiate del Pattuallopolys sunu ranni ma incommensurabili.
Attribuita a Pryapo
--Le minkie siciliane valgono meno delle minkie italiane. Le prime possono aspettare soddisfazione,
le seconde devono essere subitissimamente soddisfatte. Per non far parlare male delle fike
siciliane. Dalla “Prima lettera alle fike siciliane”. Lettera attribuita ad un noto ideologo della
zona del Pattuallopolys
--Munypuzos si chiese: << Il Pattuallopolys di Leonthynoy e Karleonthynoy è la storia
di un premio a minkia?>>.
<< Sì, yes, oui, ja, da, da, da..>> fu la risposta plebiscitaria. E per festeggiare la
minkiata doc tutti gli abitanti di Munypuzos si sukarono nu minkiuni doc di
minkiajuana doc.
La Trinacria si chiese: << Il Pattuallopolys di Leonthynoy e Karleonthynoy è la
storia di un premio a minkia?>>.
<< Sì, yes, oui, ja, da, da, da..>> fu la risposta plebiscitaria. E per festeggiare la
minkiata doc tutti gli abitanti della Trinacria si sukarono nu minkiuni doc di
minkiajuana doc.
La Grecia si chiese: << Il Pattuallopolys di Leonthynoy e Karleonthynoy è la storia
di un premio a minkia?>>.
<< Sì, yes, oui, ja, da, da, da..>> fu la risposta plebiscitaria. E per festeggiare la
minkiata doc tutti gli abitanti della Grecia si sukarono nu minkiuni doc di
minkiajuana doc.
Roma e il suo impero si chiesero: << Il Pattuallopolys di Leonthynoy e
Karleonthynoy è la storia di un premio a minkia?>>.
<< Sì, yes, oui, ja, da, da, da..>> fu la risposta plebiscitaria. E per festeggiare la
minkiata doc tutti gli abitanti di Roma e dell‟impero si sukarono nu minkiuni doc di
minkiajuana doc.
L‟orbe si chiese: << Il Pattuallopolys di Leonthynoy e Karleonthynoy è la storia di
un premio a minkia?>>.
<< Sì, yes, oui, ja, da, da, da..>> fu la risposta plebiscitaria. E per festeggiare la
minkiata doc tutti gli abitanti dell‟orbe si sukarono nu minkiuni doc di minkiajuana
doc.
Zeus e tutto l‟Olympazzo si chiesero: << Il Pattuallopolys
di Leonthynoy e
Karleonthynoy è la storia di un premio a minkia?>>.
<< Sì, yes, oui, ja, da, da, da..>> fu la risposta divina ma plebiscitaria. E per
festeggiare la minkiata doc Zeus e tutto l‟Olympazzo si sukarono nu minkiuni doc di
minkiajuana doc.
Nell‟Ade, i felici e contenti morti, si chiesero, felici e contenti : << Il Pattuallopolys
di Leonthynoy e Karleonthynoy è la storia di un premio a minkia?>>.
<< Sì, yes, oui, ja, da, da, da..>> fu la risposta necrofila e plebiscitaria. E per
festeggiare la minkiata doc tutti gli abitanti dell‟Ade si sukarono nu minkiuni doc di
minkiajuana doc.
Pryapo, da solo e intanto che si la minava, si chiese: << Il Pattuallopolys di
Leonthynoy e Karleonthynoy è la storia di un premio a minkia?>>.
<< Sì, yes, oui, ja, da, da, da..>> fu la risposta doppia.
Nel senso che il cervello disse “Sì, yes, oui, ja, da, da, da..” col pensiero e la minkia
fece lo stesso venendo. Un “Sì, yes, oui, ja, da, da, da..” doppio, chiaro e
draconianamente tonitruante.
Poi aggiunse : << Ma la minkia mia è più grande delle minkiate a minkia di quel
minkia di premio della minkia del Pattuallopolys ? >>. Lasciò la risposta in sospeso.
E per festeggiare la minkiata doc Pryapo si sukò nu minkiuni doc di minkiajuana doc
grande quanto la sua minkia doc. Naturalmente lui la chiamava minkiapriapriana.
--Due signori strani in tutto e per tutto cercarono di calcolare quanti minkiuna di
minkiajuana erano stati consumati in quella notte di “nozze andate a male.”
Uno sostenne categorico: <<Quattro milioni di minkiuna>>.
L‟altro disse:<<Otto milioni di minkiuna>>.
La documentazione, con relative motivazioni e calcoli, purtroppo s‟è persa dalle
parti di Leonthynoy . Non si sa che ciolla di fine abbia fatto.
Comunque pare che Palermorum, polys stramma pure idda, e stramma assai
assaissimo assaissimamente, avesse deliberato un consumo massimo di quaranta
milioni di minkiuna di minkiajuana. Pertanto, quattro o otto, il consumo rientrava
nelle previsioni. Ma per consegnare il materiale Palermorum voleva le carte, i papiri.
E i papiri furono, dopo molte insistenze, mandati. Ma erano papiretti inconcludenti e
insufficienti, pertanto furono rimandati al mittente. Con l‟invito a mandare i papiri
veri, i papiri che documentavano la faccenda. Ma nessuno mandò questi papiri.
Forse non esistevano sti kazzo di papiri? E se non esistevano, che kazzo di minkia di
ciolla di papiri del kazzo si dovevano mandare? Pertanto non si sapeva che kazzo di
ciolla di minkia fare. L‟unica cosa certa comunque era la seguente: la verità, la
giustizia e l‟onore l‟avevano presa letteralmente e realmente in kulo.
Draconianamente in kulo. In kulo a iosa, alla sanfasò e a tinchitè.
In kulo tout court e full time. In kulo in sekula sekulorummu.
--E io dovrei cefalochinarmi e phallocalarmi davanti a simulacri di dei inutili e impotenti che
permettono simili minkiate? Mai e poi mai e ancora mai maissimamente mai. Meglio ateo che
“servo servorum dei”. Mai servo di dei inesistenti e impotenti che permettono minkiate tipo il
Pattuallopolys di Leonthynoy e Karleonthynoy . E purtroppo non solo quello, visto che il mondo è
un gran bordello. E non mi riferisco alle peripatetiche e ai loro clienti. Perché se il peripatetico ha
a che fare con Aristotele, la peripatetica ha a che fare con la minkia di Aristotele, ma il “bordello”
ha a che fare solo e soltanto con il premio Pattuallopolys di Leonthynoy e Karleonthynoy. È questo
il bordello a cui mi riferisco. Bordello bordellamente bordellante di bordellismi ad libitum.
Homeryno
--E io dovrei genuflettermi e mentulachinarmi davanti a simulacri di dei impotenti e inutili che
permettono simili minkiate? Mai e poi mai e ancora mai maissimo. Meglio ateo documentato che
“servo servorum dei”. Mai e poi mai servo di dei inesistenti e impotenti che permettono minkiate
tipo il Pattuallopolys di Leonthynoy e Karleonthynoy . E purtroppo non solo quello, visto che il
mondo è un gran lupanare. E non mi riferisco alle lupe e ai loro clienti. È altro il lupanare a cui
mi riferisco. E‟ il lupanare denominato premio Pattuallopolys di Leonthynoy e Karleonthynoy.
Lupanare lupanarescamente lupanarante ad libitum.
Mhaxymylyanum
--E io dovrei calare le corna e la minkia davanti a simulacri di dei che permettono simili minkiate?
Mai e poi mai e ancora mai maissimo maissimamente mai. Meglio ateo documentato e
specializzato che “servo servorum dei”. Mai e poi mai maissimo servo di dei inesistenti e impotenti
che permettono minkiate tipo il Pattuallopolys di Leonthynoy e Karleonthynoy . E purtroppo non
solo quello, visto che il mondo è un gran postribolo. E non mi riferisco alle zoccole e ai loro clienti.
È altro il postribolo a cui mi riferisco. E‟ il postribolo denominato premio Pattuallopolys di
Leonthynoy e Karleonthynoy. Un postribolo postribolosissimamente postribolante di postribolismi
postribolanti all‟infinito.
Santhokrysos
--E io dovrei orare di testa e di minkia davanti a simulacri di dei che permettono simili minkiate?
Draconianamente mai e poi mai e ancora mai maissimo maissimamente mai. Meglio ateo
documentato e scientifikamente specializzato che “servo servorum dei”. Mai e poi maissimamente
mai maissimo servo di dei inesistenti e impotenti che permettono minkiate tipo il Pattuallopolys di
Leonthynoy e Karleonthynoy . E purtroppo non solo quello, visto che il mondo è un gran casotto. E
non mi riferisco alle prostitute e ai loro clienti. È altro il casotto a cui mi riferisco. E‟ il casotto
denominato premio Pattuallopolys di Leonthynoy e Karleonthynoy. Un casotto casottante di
casottamenti casottinanti in libertà.
Sokratynos
--E io dovrei forse credere e obbedire con la testa, col corpo e finanche con la minkia, a simulacri
di dei che permettono simili minkiate? Mai e poi mai e ancora mai maissimo maissimamente mai.
Meglio ateo documentato e specializzato e illuminato dalla ragione che “servo servorum dei”.
Mai servo di dei inesistenti e impotenti che permettono le minkiate tipo il Pattuallopolys di
Leonthynoy e Karleonthynoy. E purtroppo non solo quello, visto che il mondo è un grande troiaio
a cielo aperto. E non mi riferisco a chi vende o compra sesso. È altro il troiaio a cielo aperto a cui
mi riferisco. Si tratta del troiaio denominato premio Pattuallopolys di Leonthynoy e Karleonthynoy.
Un troiaio troiaissimamente troiante di troismi troianti tout court e full time.
Dyceomynkyopoly
--Homeryno Homokulum, il massimo rappresentante della forma letteraria detta
Poema, sukannu erba degli intellettuali alla sanfasò, e non solo quella, e per giunta in
compagnia del suo “cata-cata-nonno”, commentò, in purissimo stile greco, la “Prima
notte di nozze di Helena a Munypuzos” e il “Premio Pattuallopolys di Leonthynoy e
Karleonthynoy ”, ovvero il “tur delle minkie“ e il “tur delle minkiate”. Commentò
acidamente anche i membri dell‟Olympum, “le teste di minkia insistenti delle
minkiate altrui”. E commentò anche tutto il resto, dall‟alfa all‟omega, con una sola,
dottissima, civilissima, draconiana, incommensurabile e tonitruante parola:
<<
AntheGamisU
>>.
Il “cata-cata-nonno” non aveva il dono della parola, ma la sua espressione facciale
voleva dire soltanto”Anthegamisu”. Homeryno Homokulum salvò solo il suo fallo
da quel generale “Anthegamisu”. Ma al suo fallo comunque augurò un felice ma
diverso “Anthegamisu”. E non solo quello. Gli augurò anche di finire nello stoma e
nel deuterostoma oltre che in mona. Ma si accorse che il “deuterostoma” coincideva
con la bocca di dietro. Ma lasciò perdere, mettere due volte il phallo in quel sito
poteva anche essere piacevole.
--Anthegamisu a Helena e al suo “minkia tur” in cerca di na minkia pi lu so sticciu
Mi ni futti un fallo se stu kazzu di munnu finirà in un gran mortal pasticciu.
Anthegamisu al Pattuallopolys di Leonthynoy e Karleonthynoy ca la giustizia affisi,
maliritti tutti e che un terremoto faccia piazza pulita, ca io mi ruppi li cabasisi.
Anthegamisu puru a li dii ca stanu na l‟Olympazzu, pirchì iddi m‟hana ruttu lu kazzu.
Anthegamisu a tuttu lu munnu ca sia piatto o sia tunnu.
Homeryno Homokulum
---
Mhaxymylyanum Mhaxymylyanorum, il massimo rappresentante della forma
letteraria detta Carmen, sukannu erba degli intellettuali alla sanfasò, e non solo
quella, e per giunta in compagnia del suo “cata-cata-nonno”, commentò in puro, puro
per modo di dire, stile latino, la “Prima notte di nozze di Helena” e il “Premio
Pattuallopolys di Leonthynoy Karleonthynoy”, ovvero, il “tur dei kazzi” e il “tur
delle kazzate”. Commentò anche i membri dell‟Olympum, “le teste di kazzo
simboliche delle reali kazzate altrui”. E commentò anche tutto il resto, dall‟A alla Z,
con una sola dottissima, civilissima, draconiana e incommensurabile parola:
<<
VaffainAnuM
>>.
Il “cata-cata-nonno” non aveva il dono della parola, ma la sua espressione facciale
voleva dire soltanto”Vaffainanum”. Mhaxymylyanum Mhaxymylyanorum salvò solo
la suo mentula da quel generale “Vaffainanum”. Ma alla sua mentula comunque
augurò un felice ma diverso “Vaffainanum”. E non solo quello. Gli augurò anche di
finire nello stoma e nel deuterostoma oltre che in mona. Ma si accorse che il
“deuterostoma” coincideva con la bocca di dietro. Ma lasciò perdere, mettere due
volte la mentula in quel sito poteva anche essere piacevole.
--Vaffainanum a Helena e al suo “minkia tur” in cerca di na minkia pi lu so purtusazzu.
Mi ni futti un kazzo se stu kazzu di munnu finirà cu l‟autoinkularsi a tuttu kazzu.
Vaffainanum al Pattuallopolys di Leonthynoy e Karleonthynoy, magari cu lu bottu.
Maliritti matematicamente tutti se non capiscono la differenza tra quattru e uottu.
Vaffainanum a li dii ca in celu si la stanu a minari e ca li malommini nun fanu cripari
Vaffainanum a tuttu lu munnu ca sia piatto o sia tunnu.
Mhaxymylyanum Mhaxymylyanorum
---
Lo scrittore Paulorum Santhokrysos, il massimo rappresentante della forma letteraria
detta Romanzo dialettale, sukannu erba degli intellettuali alla sanfasò, e non solo
quella, e in compagnia del suo “cata-cata-nonno”, commentò in puro dialetto, la
“Prima notte di nozze di Helena” e il “Premio Pattuallopolys di Leonthynoy
Karleonthynoy”, ovvero, il “tur delle minkie, delle minkiette e delle minkiazze” e il
“tur delle minkiate, delle minkiatelle e delle minkiatazze più le minkiatissime e le
minkiatissimissime”. Commentò anche i membri dell‟Olympum, “le teste di ciolla
irreali delle reali ciollate altrui”. E commentò anche tutto il resto, dall‟affankulo al
vaffankulo, passando per il baffankulo, il caffankulo, il daffankulo, eccetera,
eccetera, con una sola, dottissima, civilissima, draconiana e incommensurabile
parola:
<<
VaffanKulU
>>.
Il “cata-cata-nonno” non aveva il dono della parola, ma la sua espressione facciale
voleva dire soltanto”vaffankulu”. Lo scrittore Paulorum Santhokrysos salvò solo la
sua ciolla da quel generale “Vaffankulu”. Ma alla sua ciolla comunque augurò un
felice ma diverso “Vaffankulu”. E non solo quello. Gli augurò anche di finire nello
stoma e nel deuterostoma oltre che in mona. Ma si accorse che il “deuterostoma”
coincideva con la bocca di dietro. Ma lasciò perdere, mettere due volte la ciolla in
quel sito poteva anche essere piacevole.
--Vaffankulu a Helena e al suo “minkia tur” in cerca di la minkia ideale.
Mi ni futti na ciolla se lu munnu, pi culpa di idda, farà na guerra universle.
Vaffankulu al Pattuallopolys di Leonthynoy e Karleonthynoy, di cultura assassini.
Maliritti in sekula sekulorummu iddi e tutti li granni e infiniti casini.
Vaffankulu a li dii ca in nessuna parte stanu pirchì sunu sulu pupi criati dal pinseru umanu.
Vaffankulo a tuttu lu munnu ca sia piatto o sia tunnu.
Paulorum Santhokrysos
---
Sokratynos, il massimo rappresentante della filosofia a minkia, sukannu erba degli
intellettuali alla sanfasò, e non solo quella, e per giunta in compagnia del suo “catacata-nonno”, commentò in pura essenza filosofika, la “Prima notte di nozze di
Helena” e il “Premio Pattuallopolys di Leonthynoy e Karleonthynoy”, ovvero, il
“tur della filosofia della minkia” e il “tur della filosofia delle minkiate”. Commentò
anche i membri dell‟Olympum, “le teste di pisello simboliche delle vere pisellate
altrui”.
E commentò anche tutto il resto, dall‟animus al kulus, con una sola, dottissima,
civilissima, draconiana e incommensurabile domanda:
<<
VaffanKulU?
>>.
Il “cata - cata - nonno” non aveva il dono della parola, ma la sua espressione facciale
voleva dire soltanto”Vaffankulo?”. Il filosofo Sokratynos salvò solo la sua minkia
da quel generale “Vaffankulo?”. Ma alla sua minkia comunque augurò un felice ma
diverso “Vaffankulo?” E non solo quello. Gli augurò anche di finire nello stoma e
nel deuterostoma oltre che in mona. Ma si accorse che il “deuterostoma” coincideva
con la bocca di dietro. Ma lasciò perdere, mettere due volte la minkia in quel sito
poteva anche essere piacevole.
--Vaffankulu a Helena e al suo “minkia tur” in cerca di lu giusto uccello?
Vaffankulu al Pattuallopolys di Leonthynoy e Karleonthynoy e al suo bordello?
Vaffankulu a li dii inesistenti ca nun cumminunu mai na minkia di nenti?
Vaffankulu a tuttu lu munnu ca sia piatto o sia tunnu.
Sokratynos
---
Dyceomynkyopoly, il giusto per eccellenza, sukannu erba dei giusti alla sanfasò, e
non solo quella, e per giunta in compagnia del suo giustissimo “cata-cata-nonno”,
commentò la “Prima notte di nozze di Helena” e il “Premio Pattuallopolys di
Leonthynoy e Karleonthynoy”, ovvero, il “tur delle minkie istituzionali” e il “tur
delle minkiate istituzionali”. Commentò anche i membri dell‟Olympum, “le teste di
kazzo per eccellenza sfruttate dai potenti”. E commentò anche tutto il resto, dallo
zenit all‟azimut, con una sola, dottissima, civilissima, draconiana e incommensurabile
parola, naturalmente taliando e ritaliando il tutto, pinsando e ripensando il tutto,
meditando e rimeritando il tutto, maledicendo e stramaledicendo il tutto, concluse
VaffanKuluM
gridando: <<
>>.
Il “cata-cata-nonno” non aveva il dono della parola, ma la sua espressione facciale
voleva dire soltanto”Vaffankulum”. Dyceomynkyopoly salvò solo la sua cicia da quel
generale “Vaffankulum”. Ma alla sua cicia comunque augurò un felice ma diverso
“Vaffankulum”. E non solo quello. Gli augurò anche di finire nello stoma e nel
deuterostoma oltre che in mona. Ma si accorse che il “deuterostoma” coincideva con
la bocca di dietro. Ma lasciò perdere, mettere due volte la cicia in quel sito poteva
anche essere piacevole. Per concludere, sempre più cosciente che “nessun fallo è duro
come la vita”, gridò il solito:
<<
VaffanKuluM
U O O M
P S M
all‟
...
rbe , all‟
perché mi state tutti sul
rbe e all‟
isum
Aviti vistu un cavaddu di razza
Vidennu la jumenta „ntra lu chianu
Sbrugghiari dda terribili minkiazza,
E poi currirci supra a manu a manu?
Ccussì viditi la lussuria pazza,
La turba di li dei, ca di luntanu
In vidiri la dia ccu faccia accisa,
Subitu a tutti la minkia ci attisa.
Cci vannu tostu tutti cinqu in fila
Cu l‟occhi russi e li kazzi arrittati;
Saziu ognuno non è, si non la „nfila
Si non po‟ tutta, almeno nna mitati;
Cui cci afferra lu kulu , cui li pila,
Cui procura di darci minkiati;
Cui ci afferra li minni e lu capicchiu;
Cui cci appunta la minkia „ntra lu stikkiu.
Micio Tempio, La minata di li dei.
lympu
ativu
...
... >>
III . Pryapogenesi ed altre nascite, Munypuzos compresa
Chi c‟è, picciotti? Chi su sti cusazzi.
Ad unu ad unu idda cci dicia:
Ma chiddi peju assai di li crastazzi,
Assai di chiui truzzavanu la Dia:
Diu nni scanza di furia di kazzi!
Veniri unni guardari non sapia;
Cci arrinesci alla fini di scappari
E si metti in disparti a taliari.
Marti, ch‟era smargiazzu e „nghirriusu,
Non suleva suffriri musca a nasu;
Vaia , dicia, cc‟è cca qualchi garrusu,
Ca pritenni „nfilari unni iu trasu?
Niscissi fora, ca cc‟è lu rifusu;
Niscissi, ca lu fazzu pirsuasu;
A futtirivi tutti bastu iu sulu,
Non sugnu Marti, si non vaju „nkulo.
Micio Tempio, La minata di li dei.
Zeus, il capo degli dei e degli uomini ma anche il grande buttaniere
Canterò Zeus, il migliore e il più grande degli dèi,
onniveggente signore, che ha in pugno il destino:
con Temi, seduta al suo fianco, scambia parole di saggezza.
Siimi propizio, Cronide onniveggente, grande e glorioso.
Inno a Zeus, Inni omerici
---
In principio era il Kaos. In principio era un bordello. In principio era un casino.
Oggi si nasce in un certo modo. Almeno a livello di uomini. Ma in passato si nasceva
in tanti modi. Venire al mondo non voleva solo dire uscire dal portuoso di una
femmina unni qualche minkia di mascolo avia depositato, per suo piacere e
godimento, nu tanticchia di spakkiu. E chiaro quindi che all‟inizio ci fu solo l‟inizio.
<< L‟atomo di Hydrogeno futtiu cu n‟autru atomo d‟Hydrogeno e diede origine a
n‟atomo di Helios. Chistu è lu principiu. E accussì incominciò l‟incominciamento che
diede inizio a tutte le cose viventi e non viventi>> dicevano Democritino e altri
uomini di scienza.
<< Ma Hydrogeno cu Hydrogeno era fratelli gemelli? Tutti e due maskuli o uno
maskulu e unu fimmina? Fu n‟amplesso incestuoso omo o etero? >> si chiedevano i
curiosi antidogmatici per natura.
<< Ed Helios di che sesso era? E chi generò l‟Hydrogeno? >>
<< L‟Hydrogeno si autogenerò cu nu scrusciu enorme. L‟universo non kreato fici e
bum e bignhi e benghi e banghi. Protoni, neutroni, elettroni e altri koglioni si
assemblanu e ficiro l‟Hydrogeno>> diceva qualcuno che cercava di ragionare
democriticamente. Cioè, alla Democrito.
<< Praticamente l‟Hydrogeno si la minò. All‟origine originaria originariamente ci sta
sempre una minata. Il resto viene dopo. Il resto è tutto post - minata>> precisò
qualche altro studioso. Ma questo vale per la scienza. La scienzia degli scienziati.
E per la religione? Per la religione niente è dovuto al caso. Per la religione ci sta
sempre un dio, magari poco sapiente di quello che ha kreato, che si mette a fare il
kreatore, e con criteri scientifici che non conosce, crea e ordina tutto come un
ragioniere. Magari a minkia di cane, ma ordina.
<< Quale religione? >> si chiese qualcuno curioso.
<< La mia, solo la mia dice il giusto>> rispondono sempre gli adepti.
“Ognuno tira l‟acqua a li so mulina. Anche se poi la farina è sempre farina” dice un
detto popolare. Ancora oggi, certi scienziati locali, della moderna Munypuzos, cioè
Monakazzo, parlando del bum e bignhi e benghi e banghi dicunu : << Paria la festa
di san Paolo e Sammastianu misi „nsemula>>.
Ma ogni religione l‟inizio lo inizia come minkia gli pare e conviene. Ma come
incominciò? Ogni religione ci ha raccontato le sue minkiate. L‟uomo impastato cu lu
fangu è minkiata comune. E pure il diluvio universale, la partenogenesi, e altro. Cu
nasci accussì e cu nasci accuddì. Il primo uomo fu chiddu, la prima fimmina fu
chidda. Balle. Baddi. Minkiati ranni e grossi. Ma siccome siamo in democrazia
ognuno è libero di credere a qualsiasi minkiata, o di non credere. Libertà insomma di
passari pi fissa specializzato o pi sperto studioso. Pi adepto o pi ateo.
Ma vediamo le minkiate relative all‟Olympazzo, alla religione detta “pagana”. Allo
Zeussismo o Zeussesimo. All‟inizio c‟era solo il Kaos. Ovvero il nulla. E come il
nulla possa dare il tutto non si capisci, su kazzi amari. Tutte le religione partono dal
nulla pi dari il tutto e mittilla in kulo a tutti. Così fece pure lo Zeussismo o
Olimpismo o Olympokazzismo. Comunque, nun si sapi comu fu e come nun fu, ma
il Kaos generau, motu proprio, Gea, Tartaro, Erebo e la Notte. “Motu proprio” vuol
dire semplicemente che si masturbò. Una sorta di partenogenesi al maschile. Non si
sapi mancu chi forma avia Kaos, sicuramente era informe, il kaos totale, il massimo
dell‟entropia. Si ignora la forma del suo organo sessuale: ciolla o spakkazza o altro.
Magari un misto delle due cose o qualche cosa di completamente diverso, oppure era
tutto un sesso caotico, informe, mostruoso, indefinibile, onnipotente e onnipresente e
soprattutto arrapato. Comunque Kaos si masturbò. Se uno è solo nell‟universo la
masturbazione è la sola forma di sessualità sostenibile e possibile.
Gea, per partenogenesi vera e propria, fici a Urano, e siccome ci vinni beddu, si lu
maritò. Idda tinia nu purtusu, iddu nu stuppagghiu. E si misero a fari lu travagghiu di
mettere il tappo nel buco. Mamma e figlio inventarono il sesso. Incestuoso ma sesso.
E anche l‟incesto è comune ad altre religioni. Ma siccome Gea e Urano erano
inesperti nell‟arte del fikka-fikka, fikkanu mali e ficinu figghi nu tanticchia strani. Il
meccanismo della riproduzione sessuale andava perfezionato.
Infatti nascenu Titani e Titanesse, i ciclopi Bronte, Sterope e Arge e i giganti
centimani Cotto, Briareo e Gige. Titani e Titanesse erano rannazzi ma normali.
L‟autri erano strani assai. I giganti centimani avevano cento mani, cinquanta teste e
cento aceddi. I ciclopi erano enormi e tenevano un occhio rotondo sulla testa e una
minkia doppia. Urano a vidilli si scantò. E li rifuttiu dintra la panza di la madre.
Urano comunque era un tipo assai assaissimo autoritario e Gea non lo sopportava
chiù. Si era rotta assai assai le ovaie. Pertanto desi un falcetto al figlio Krono
dicennici: << Chista sira, dopo che io avrò sfiancato tuo padre con la forza e la
possanza del mio pakkio, tu trasi nella stanza da letto e ci la tagghi. Poi butti la
ciolla e li baddi unni capita capita>>.
Krono evirò il padre e buttò i genitali per aria. Dalle gocce di sangue cadute sulla
terra nascenu Melie, Erinni e altri Giganti. Dalla ciolla, l‟organo dell‟amore, caduta
in mare, nasciu già bella grande Aphrodyte, la dea dell‟amore. Bella, grande, bona e
pronta per fikkare.
Questo gesto è ricordato come “La deminkiazione e la detesticolazione primaria”.
Aphrodyte comunque pigghiau la ciolla e la mise sott‟aceto, tanto per conservarla.
Nun sapennu di chi kazzo era figlia la chiamava ora “mamma” ora “papà.” Da una
minkia assassinata era nata una assassina di minkie. Aphrodyte l‟aceddi mascolini si
li spurpava alla sanfasò ma in cambio facia godere il proprietario dell‟aceddu
spurpato. Ma la cosa non si accapa qua. Questo è solo l‟inizio di questa religione. Ma
anche le altre hanno le loro amorevoli minkiate.
Krono, il tagliaminkia dell‟Olympo, si dimostrò chiù testa di kazzo del padre.
Autoritario assai e cumannero ancora chiù assai. Intanto pi fari fikka-fikka si scelse la
sorella Rea. E quannu due titani fikkaunu era na titaniata. Solo che qualcuno disse a
Krono che prima o poi un suo figlio amatissimo lo avrebbe detronizzato.
<< Tu futtisti a to patri e to figghiu fotterà a tia. Senza deminkiazione però>>.
<<Minkia, per Krono e i suoi krononi qua mi vogliono tagliare uccello e koglioni. A
mia sti babbi di la me simenta nun mi futtunu. Soprattutto non mi taglieranno il mio
caro e amato uccello, perché la deminkiazione fa parte della vendetta. E che kazzo>>
pinsò Krono.
Pertanto, via via che Rea partoriva, lui si li ammuccava. Si ammuccò il primo, il
secondo, il terzo, il quarto e il quinto.. ma col sesto la pigliò in kulo. Il sesto nato fu
Zeus. La madre lu ammucciò e al padre antrofago, o meglio teofago, diede un sasso
tutto bello infasciato come un neonato. Krono tranquillo si l‟ammuccò.
Zeus crebbe ammucciatu, all‟ummira come si usa dire; ma una volta grande decise di
prendere dei provvedimenti draconiani.
<< Detronizzare papà e pigliarmi il potere. Questo è il mio programma. Solo
detronizzazione, niente deminkiazione. Tranne che quel testa di minkia non faccia
opposizione>> disse a se stesso. Si mise d‟accordo con parte dei Titani e dei Ciclopi.
Ma prima convinse la smorfiosa e sfuggente Meti a dare un emetico a Krono. A Zeus
piaceva sta iarrusedda dalla testa montata. E piaceva pure a Krono. Meti era una che
voleva usare il pakkio per fare carriera. Gli sfuggiva perchè Zeus al momento non era
nessuno. Si smurfiava ma non gliela dava.
<< Se mi aiuti in questo colpo di stato io ti marito, io diventerò il capodio e tu la
capadia. Diventerai la capa dell‟Olympo >>.
Meti, per il potere, si addecise. E collaborò. La cosa però non gliela diede subito.
Prima il potere, poi il piacere. Meti, con le sue smorfie che pigliavano per il kulo
chiunque, convinse Krono a bersi quello che lei ci dava.
<< Non lo voglio>> diceva Krono.
<< Bevi, se bevi questa, poi io ti dugnu quella>>.
<< Minkia.. dammi, che bevo subito>> precisò il dio.
Krono arrovesciò l‟anima e tutti li figli. I sei figli, o meglio, i cinque in carne e ossa e
il sesto di pietra. Questa pietra oggi si trova nel Tempio di Zeus a Munypuzos. E il
cosiddetto Omphalos. L‟ombelico del mondo. Dopo, intanto che Krono giaceva a
letto tutto sminkiato, fu detronizzato, e con i parenti a lui favorevoli, rinchiuso
nell‟Oltretomba. Che comprendeva tre parti, come altre religioni. La Prateria degli
Asfodeli, il Tartaro e i Campi Elisi. Come dire Purgatorio, Inferno e Paradiso.
Zeus divenne il dio degli dei e degli uomini. Si maritò cu Meti e la fici quasi morire
dal piacere. Tutte le fikkate che quella gli aveva negato ci li fici fari in una notte. La
mannò in overdose di sasizza. Tanto che poi a Meti, appena ci parraunu di sesso, ci
vinia il voltastomaco. Avia fatto il pieno e nun ni putia chiù.
Ma Zeus, vendicativo come pochi, ci la passava e ripassava a forza. La vulia fare
morire pi troppo aceddu, ma quella non moriva perché non poteva morire. Restò
invece incinta. E siccome le profezie annunciavano sempre e solo sciagure, venne
fuori che un figlio nato da quel congiungimento carnale prima o poi doveva futtiri a
Zeus. Per evitare complicazione lu capudiu si ammuccò la moglie e quello che stava
dintra la sua panza.
Zeus aveva avuto problemi anche con la mamma. La mammina Rea era stata una
tipica esponente del potere matriarcale. E quannu Zeus avia espresso l‟intenzione di
pigliare moglie ci l‟avia sconsigliato.
<< A che ti serve? Puoi impakkiare come minkia ti pare e con chi minkia ti piace. Le
femmine non fanno altro che cercare nu tizzuni addumato per la loro funnacella..
perché la funnacella po‟ bruciare mille e poi mille tizzuna ma lu tizzuni na vota
bruciato s‟accapa>> ci disse Rea.
Zeus visti in queste parole una offesa al suo essere maskulo e dio.
<< No. Io scelgo la funnacella per il mio tizzuni. Io scelgo, e non certo la funnacella
di qualche buttanella>>.
La mamma rise. << Certo … e allora se ti appititto io, mi la insasizzi pure a mia?>>
<< Certo, anzi, te la insasizzo solo e soltanto per addimostrarti chi è che tiene il
potere. Basta col comando fimminino. A comandare dobbiamo essere noi mascoli>>.
<< Sta minkia, figlio mio>>.
<< Mamma, “sta minkia” lo posso dire solo io. Perché io la minkia la tengo>>
rispose Zeus ammusciannici la ciolla.
<< Sta minkia lo stesso >> rispose la donna ridendo.
<< Ti la fazzu abbidiri io adesso sta minkia, e chi kazzu. Anzi, ti la fazzu sentiri>>.
Fu così che Zeus stuprò la madre. Quello stupro segna il passaggio ideale dal potere
matriarcale a quello patriarcale. Prima della violenza Zeus aveva meditato per un
secondo e mezzo. Poi aveva sciolto il suo atroce dilemma .
<< Stupro la mamma o no?>>.
Una delle tante varianti della domanda per cui era famoso il filosofo Sokratynos da
Munypuzos riguarda questa storia.
<< La vita è una, come la minkia, e se non è un piacere vivere da dio e avere una
minkia da dio, a che minkia serve essere dio e avere una minkia divina?>>
---
Al momento dell‟intronizzazione Zeus fici un bel discorso a tutto l‟Olympo.
Discorso, che nun si sapi come fu e come non fu, vinni a conoscenza di Esiodo da
Munypuzos, che lo riportò nella sua Teogonia Sikula.
<< Fratelli cari e sorelle carissime. Estia, Demetra, Era, Ade, Poseidone, e mi rivolgo
pure a te, cara mammina Rea. E a te Krono, papà poco caro, che vedo in catene. E
anche a nonno Urano deminkiato e alla sua cara moglie e madre Gea. Mi rivolgo
pure ai sui testicoli e al suo fallo che oggi, in via eccezionale, stanno qua. E mi
rivolgo pure a mia stissu. Io mi consento di nominarmi capodio. Se volete
acconsentire, fate. Altrimenti mi autoconsento. Fratelli e sorelle, mi dovete la vita.
Io, con la mia abilità, con la mia furbizia, e fors‟anche con un pizzico di fortuna, vi
ho tirato tutti fuori dalla panza del padre padrone teofago e mangiafigli.
Io ho guidato la rivolta contro il padre. Io ero pronto anche a deminkiarlo e
detesticolalo, ma la cosa non è stata necessaria. E sono contento di non averlo dovuto
fare>>. Si fermò un attimo e sospirò. Poi riprese calmo e tranquillo come un capodio
che sa quello che deve fare e dire. Si allisciò la barba e si toccò i santissimi come
semplice gesto scaramantico. << Però non tutto è andato liscio. Ci sono voluti dieci
anni di guerra, kazzo di un kazzo a forma di kazzo kazziforme. Non per essere
maschilista, perché verranno religioni più phallocentriche e misogine, ma solo per un
fatto di palle, di testicoli, di testimoni. Io mi sono giocato le palle e ho vinto. E allora
io mi consento e vi consento, e se non volete consentirmi vi obbligo a consentire, io
mi consento di dividere in mondo in tre parti tra i tre fratelli mascoli. Io, Ade e
Poseidone saremo la Divinissima Trinità. E io sarò il vertice di questo triangolo.
Trinità perchè tre è il numero perfetto. Anche i colleghi egiziani hanno come capi
Iside, Osiride e Seth. E ci sta la trimurti vedica, con Mitra, Veruna e Indra. Ma ne
arriverà una dove l‟uno sarà trino e tre saranno uno, e la cosa sarà chiù difficile da
comprendere. Ma adesso pensiamo alla nostra Divinissima Trinità. Io mi consento di
pigliarmi la terra. Tu, Poseidone, ti acchiappi il mare, che so che ti piace stare
ammollo, sciacquariariti l‟aceddu. Ma stai attento che qualche pisci non s‟infili
dall‟altra parte. Tu, Ade, ti piglierai l‟oltretomba. So che ti piace stare allo scuro.
Quello sarà il tuo regno. Là, se l‟acchiappi nel posto sbagliato, non ti vede nessuno.
Questa mi pare la giusta divisione. Io invece, come detto, mi piglio la terra, perché a
mia la luce non da fastidio. Io non ho paura del giudizio, quello che faccio lo faccio
alla luce del sole. Corro appresso a un pakkio divino, e che si sappia in giro me ne
fotte un kazzo. Corro appresso a un pakkio terreste, e che si sappia in giro me ne
fotte un kazzo e mezzo. Mi appititta un culetto bello di maskulo, non temo giudizi e
condanne. Non temo i moralisti, faccio tutto alla luce del sole. Sono o non sono il
capodio e il capo degli uomini? E allora me ne fotto due kazzi sani sani e fors‟anche
di più. E allora cosa fate, consentite o mi autoconsento?>>.
<< Consentiamo.. consentiamo..>> risposero tutti, anche quelli che avevano voglia di
sconsentire. Ma non si potevano permettere questo sconsentimento.
<< Agli altri naturalmente altre cose. A tia Estia, e io so che vuoi restare vergine, ti
fazzu cummattiri cu sacerdotesse e minkiate simili. A tia Era, anche se semu frati e
soru non fa nenti, io ti piglierò come moglie fissa e definitiva, con diritti e doveri ben
precisi, ma senza l‟esclusività del mio aceddu. Sarai la capadia ma obbedirai al tuo
capodio. In fondo fikkamu insieme da tempo immemorabile. A tia Demetra so che ti
piace passare il tempo a passeggiare sulla terra. Io te lo consento, ma tu mi
consentirai a mia di diventare il tuo amante occasionale. Io voglio da te una figlia che
ti darà kazzi a pilare. Questa figlia mi serve per una doppia cosa che spiegarti adesso
non posso. Ti do pure l‟incarico di istituire i Misteri sikuli, e non solo. Sei libera di
istituire tutti i misteri che vuoi. Non so cosa siano esattamente, e non voglio neanche
saperlo. Ma tu astrummenta qualcosa, dai sfogo alla tua fantasia, inventa qualche
bella minkiata da sbattere in faccia al popolo, che il popolo è sempre contento quando
ha a che fare con cose misteriose. È sempre contento quando non ci capisce una
mazza. In fondo noi dei siamo figli delle minkiate popolari, figli delle minkiate siamo
ed andiamo avanti a minkiate. I nostri concorrenti naturalmente hanno fatto, fanno e
faranno le loro, non so se più grandi o più piccole. Io che so il passato, il presente e il
futuro vi dico che vedo kazzi amari. Verranno dei e rappresentanti degli dei assai
assaissimo liberticidi, ma questo non diciamolo al popolo. Noi un giorno saremo solo
sulle pagine dei libri, come tanti altri. Mito e basta saremo. Saremo sulle pagine
immortali di Homeryno Homokulum, di Mhaxymylyanum Mhaxymylyanorum, di
Paulorum Santhokrysos, saremo finanche nella filosofia di Sokratynos. Saremo in
tanti poemi, poesie, epigrammi e altro. Per questo saremo immortali. Quando non ci
saranno più nemmeno i resti archeologici dei nostri tempi, noi ci saremo ancora.
Quelle pagine ci renderanno eterni, infiniti come l‟infinito più infinito. Eppure non
siamo stati un kazzo. Ma i nuovi non si illudano, verrà anche per loro il tempo della
fine. Così come ci sarà stato quello dell‟inizio, anche per loro ci sarà la fine. E ci
saranno sempre più miti. Perché andando a ritroso nel tempo storia e fantasia si
confonderanno, si fotteranno a vicenda, e non si capirà più niente. Non si capirà chiù
un kazzo. L‟ideale per raccontarle sempre più grosse. Noi antichi pertanto saremo i
migliori miti. Comunque un giorno ci sarà un imperatore che ci metterà da parte e un
altro che cercherà di rimetterci sull‟altare. Poi finiremo di governare gli uomini. O
forse gli uomini finiranno di gestire noi per gestire altro. Ma in ogni caso ricordatevi
che noi siamo liberali, noi siamo tale e quale gli uomini, noi abbiamo gli stessi vizi
degli uomini. Creati e kreatori si confondono e non si capisce se i creati hanno kreato
i kreatori o i kreatori hanno kreato i creati. Il bello nostro è che siamo dei con gli
stessi vizi e stravizi degli uomini. E se gli uomini hanno delle virtù sono le stesse
nostre virtù, anche se non ho ben capito cosa siano le virtù e neanche i vizi. Godere
della minkia o del kunno non è né un vizio né una virtù, è la natura. Qualcuno dice
che la purezza, per esempio, è una virtù. Altri dicono che non è una virtù. Ognuno
faccia quel minkia che vuole, l‟importante è non imporre un principio proprio agli
altri. Per me la purezza è innaturale. Se il kreatore ha kreato certi strumenti questi
devono essere usati. Non usarli è innaturale. La castità pertanto è contro natura sia
per gli uomini che per gli dei. Ma comunque io rispetto chi vuole essere casto per
sua scelta. Il fatto è che i casti rompono i koglioni ai non casti e li considerano per
giunta peccatori e canditati naturali al Tartaro. Scusate, ma non si va a finire nel
Tartaro per i fatti della mentula e del kunnus. Al sottoscritto Zeus, capo degli dei e
degli uomini, non ci ni fotte un kazzo di quello che fate per il vostro piacere
personale, l‟importante è vivere e lasciar vivere senza rompere i koglioni agli altri.
Basta rispettare solo una regola fondamentale: non fare o arrecare danno agli altri.
Amare il prossimo come se stessi, ma senza rompergli i koglioni. E io non capisco,
come detto, se siamo noi che ci siamo creati a immagine e somiglianza dell‟uomo o
è l‟uomo che s‟é kreato gli dei a sua immagine e somiglianza. Non so. Io adesso sono
al potere ma ho dovuto lottare dieci anni, e so che in futuro dovrò sostenere n‟autra
furiosa battaglia. Il pericolo più grosso lo tengo in famiglia. Parenti serpenti. Questo
vale per gli uomini e per gli dei, ma so anche come batterlo. E che devo trovare la
donna giusta per avere il figlio giusto che mi darà la vittoria finale, ma questo non è
l‟oggi e neanche il domani. La nostra avventura sta solo iniziando. Vi dico che
l‟uomo bestia non riuscirà a mettersi d‟accordo neanche sul posto dove sono nato. Per
i fedeli di rito arcadico io sarei nato in una grotta del monte Licia, secondo quelli di
rito cretese o sul monte Ida o sul monte Ditte, sempre in una grotta però. E non sarò
l‟unico a nascere in una grotta. E non chiedo neanche a mammina dove mi fece
nascere e dove mi generò. Non m‟interessa la verità, m‟interessa quello che crede il
popolo. A mia personalmente mi piace il rito Munipuzico. Deve ancora venire, ma è
quello che mi farà nascere in una grotta del monte Munypuzos. Non so cosa
succederà, ma noi avremo a che fare con questo monte, con la città omonima e con la
gente del posto. Ma di tutto questo non dite parola alcuna. La verità, meno la si
conosce, meglio è. Lasciamo che ad estrinsecare il pensiero divino siano gli oracoli,
che con il loro linguaggio astruso sono quasi sempre incomprensibili. O forse sono
incomprensibili per noi che comprendiamo troppo e sappiamo troppo. Ma gli uomini
magari ci vedono del comprensibile in quell‟incomprensibile. A volte non si capisce
neanche se dicono che bisogna andare a destra o a sinistra. Ma a parte questo
sappiate, colleghi cari, che a noi liberofili succederanno dei liberticidi, tutti regole e
niente arrosto. Vi dico solo che cercheranno di regolamentare il kunnus e l‟aceddu, e
questo vi basti per capire che gente sarà. Poveri noi abitanti di questo Olympo. In
particolare penso alla cara Aphrodyte, la dea dell‟amore carnale. A lei tapperanno il
portuoso. A suo figlio Pryapo dalla lunga ciolla taglieranno tutto, come a Urano. A
Eros leveranno le frecce. Ermafrodito e simili saranno solo peccatori. A mia mi
daranno del buttaniere fimminaru e altro. Ma adesso lasciamo perdere di pensare al
futuro, pinsamu al presente e divertiamoci. Che inizi la festa. Avanti con la musica.
Falli e kunni suonate la musica del piacere, suonate la musica dell‟amore, fatelo
senza restrizioni o limitazioni. Fatelo fin quando lo potete fare. Fatelo. Habemus
phallus.. habemus kunnus.. Travagliamo. E tu, Era, vieni qua che dobbiamo maritarci
subito e consumare subitissimo, anzi riconsumare, perché a dire il vero tutti lo sanno
che io e te è da millenni che facciamo il fikka-fikka insieme. Tu sei stato il mio primo
pakkio e io la tua prima ciolla, poi io ho avuto altri interessi, ma adesso intendo farti
diventare la capadia, la moglie del capodio. Pertanto vieni che te la ficco come segno
del nostro matrimonio. Io Zeus, mi consento di autosposarmi con la qui presente Era
e di essergli infedele nella buona e nella cattiva sorte, perchè quando mi piglia il
firticchio nell‟aceddu, che addesidera qualche altro stikkio, non mi so trattenere. E se
tu non consenti, cara Era, io mi autoconsento di obbligarti a consentire. Consenti
pertanto con le buone o con le cattive?>>.
<< Consento, con le buone consento. A parte che è un onore addivintare la moglie
onorata del capodio. Consento con tutta me stessa>> rispose Era che era felicissima.
Finalmente diventava la moglie ufficiale del capodio. Tutti applaudirono ed ebbero
un brividino per le amare previsioni. Ma quella sera si addivertirono tutti. Anche
Urano, seppure in catene, per una sera riebbe la ciolla e i testicoli. Che ritornarono
nel suo sottopanza. In fondo il regno di Zeus era solo all‟inizio, perché pensare alla
fine. Anche se la nascita è l‟inizio della morte, il detto “Ricordati che devi morire”
non era ancora molto utilizzato. Quella notte Zeus festeggiò l‟intronizzazione e
consumò centocinquanta miliardi di volte il matrimonio. Anche perchè quella notte
duro trecento anni.
--Due strani figuri originari di Karleonthynoy e di Leonthynoy cercarono di calcolare il
numero di li kunna imminkiati da Zeus prima della lunga notte di nozze con Era.
<< Quattro milioni di kunna, però elevati alla quarta. Naturalmente kunna di prima
scelta. E a dire il vero anche di kula codesto è il numero. E anche per le bocche
codesto resta>> disse il tizio Karleonthynoy che aveva calcolato solo la componente
etero.
<< Otto milioni di kunna, però elevati all‟ottava. Indubbiamente kunna di prima
qualità. Ma doppio è il numero dei kuli e delle bocche>> disse il tizio di
Leonthynoy che non aveva separato l‟etero dall‟omo.
Un terzo tizio, originario di Leonthynoy, che prese in consegna i documenti, li perse.
Ma da Palermorum fecero sapere che il numero massimo dei kunni inciollati da Zeus
prima della notte delle nozze poteva arrivare a quaranta milioni. Eventualmente
levati alla quarantesima. E naturalmente tutti kunna di prima scelta. Tutti kunna di
qualità. Si poteva raddoppiare però per i kuli e le bocche. Ma alla fine non se ne fece
niente. Solo parole a minkia. La verità restò ancora una volta sconosciuta.
--<< La vita è una, come la minkia, e se non è un piacere vivere da capodio e avere
una minkia capa di li kunna, a che minkia serve vivere da Zeus e avere una minkia
che non può fare quello che vuole?>> era la variante, dedicata a Zeus, della domanda
per cui era famoso il filosofo della minkia Sokratynos da Munypuzos.
--Il grecista Homeryno Homokulum, in greco, scrisse il Poema Zeusseide, il poeta
latinista Mhaxymylyanum Mhaxymylyanorum, in latino, il Carmen Zeus aves felix,
e lo scrittore siciliano Paulorum Santhokrysos il romanzo Cent‟anni con il capodio
Zeus e la sua minkia folgorante e saettante. Naturalmente lo scrittore aspettava
ancora quella minkia di premio a minkia del premio Pattuallopolys di Leonthynoy e
Karleonthynoy. Gli oligarchi delle due Tirrannopolys litigavano e facevano ridere
non solo la Magna Grecia e la Grecia, ma anche i paesi che si affacciavano sul Mare
Nostrum. Tutti ridevano, dalle Alpi alle Piramidi, dal Manzanarre al Reno. Ridevano
divinamente anche gli dei dell‟Olympazzo. Ridevano a minkia cina. In particolare
Zeus si skassava dalle risate e poi per divertimento lanciava folgori alla sanfasò sulle
due polys, tanto per fare nu tanticchia di spettacolo luminoso. Eolo ciusciava forte ma
tanto per fare nu spettacolo assai ventoso. Ares scatenava qualche lite di quartiere
tanto per fare nu tanticchia di spettacolo litigioso. Anche Ade annacava la Trinacria
tanto per fare spettacolo sismico. E Polifemo lanciava dei sassolini tanto per fare solo
e soltanto la sua parte di litologico spettacolo. Efesto mittia in moto l‟Etna e facia
sciri nu tanticchia di materiali piroclastici tanto per fare uno spettacolo pirotecnico.
Solo Pryapo si mittia d‟impegno e si la minava in direzione delle due polys, tanto
per fare anche lui spettacolo sì, ma spettacolo serio. Uno spettacolo di pulizia morale.
Lui pinsava di inseminare tutta la popolazione con la speranza di creare un nuova
stirpe, una stirpe di uomini onesti in tutto e per tutto. Niente più bugiardi, ma solo e
soprattutto degli uomini di parola.
<< Otto, quattro.. quattro, otto...
Ma chi minkia me ne fotto...
Quattro o otto milioni...
Mi sono rotto i koglioni..
E li carti unni minkia stanu?
E nu casinu sanu sanu...
Otto, quattro.. quattro, otto...
Ma chi minkia me ne fotto...
Otto, quattro.. quattro, otto...
Una minkia me ne fotto...>>
Le due polys avevano pertanto sempre tempeste furiose con tanto di tuoni e fulmini.
Ma anche pioggia abbondante. Ma non pioggia di acqua. La pioggia che arrivava era
la simenta di Pryapo. La simenta della nuova razza. Poi c‟erano gli altri materiali.
Mancava solo la merda. Ma comunque tutto era uno spettacolo. Uno spettacolo,
ovvero una illusione, come una illusione era stato il Pattuallopolys. Una premio a
minkia cina, un premio di merda. Scatologia pura sperando nell‟escatologia vera.
--Dyceomynkyopoly si chiese: << Ma in questa kazzo di Trinacria del kazzo ci sta un
kazzo di giustizia o una giustizia del kazzo?>>.
E si diede, nel suo essere giusto di testa e di ciolla, la risposta: << Pi mia ci sta solo
una giustizia a minkia che ragiona a minkia e che viene gestita da uomini a minkia.
Anzi, da uminicchi, mezzomini, pigliankulo e quaquaraquà, sempre a minkia però.
Perché purtroppo mancano gli uomini di minkia con tanto di koglioni..>>.
In tanti lo applaudirono. Ma lui si chiese altro: << E voi, dei del kazzo, che minkia
guardate? Siete guardoni o siete koglioni? Se ci siete, intervenite, altrimenti andate
pure a fare in kulo almeno una volta. Ma anche quattro, otto o quaranta milioni volte.
Con o senza pattualla. Non lasciate che i grandi koglioni schiavizzino i piccoli
koglioni a loro uso e consumo. Il vostro silenzio è solo e soltanto il segno manifesto
della vostra dichiarata inesistenza. È la vostra negazione tout court e full time >>.
E ancora si addumannò: << E se c‟è un dio della merda, un teoscatà, che faccia la sua
draconiana rivoluzione diacronicamente escatologica e sincronicamente scatologica
per una tonitruante palingenesi totale con un nuovo ed originale diluvio universale, di
merda però. Il vostro silenzio assenso, cari dei, è una nuova negazione della vostra
esistenza. Perché, cari dei a minkia che mi state sulla minkia, come dice il Primo
Principio dell‟Ateismo Geometrico, Se una retta contiene infiniti punti, una mente
libera contiene zero dei>>.
--Zeus, unni kazzu si?A circari kunna o a circari kula?
Sokratynos
--Zeus cercò di risolvere il mistero del Pattuallopolys di Leonthynoy e Karleonthynoy ma fallì.
Pi minnitta maledisse le polys suddette gridando “Fulmini su fulmini in eterno avrete. E il
parafulmine sarà la vostra ciolla”. Gorgia Megacephalomentula da Munypuzos, L‟Olympum e il
mistero della batracomiomachia del Pattuallopolys di Leonthynoy e Karleonthynoy con i
paralipomeni di Palermorum.
Aphrodyte, dea della bellezza e buttana universale
Canterò la bella, veneranda Aphrodyte dalla corona
d'oro, che protegge le mura dell'intera Munypuzos
circondata dalle colline, dove l'umido soffio di Zefiro
la portò sopra l'onda del lago risonante,
nella morbida spuma. Le Ore dall'aureo diadema
la accolsero con gioia e le fecero indossare vesti divine;
sul capo immortale le posero una bella corona
d'oro, ben lavorata, e ai lobi forati appesero
fiori d'oricalco e d'oro prezioso;
le ornarono il collo delicato e il petto bianchissimo
con collane d'oro, che le stesse Ore
dall'aureo diadema indossano quando si uniscono
all'amabile danza degli dèi, nella casa del padre.
Quando terminarono di ornare le sue membra,
la presentarono agli immortali: vedendola, essi
le davano il benvenuto, le tendevano le mani, e ciascuno
desiderava portarla a casa sua come legittima sposa,
poiché ammiravano l'aspetto di Citerea coronata di viole.
Salve, dea dolcissima dagli occhi brillanti: concedimi
la vittoria in questo concorso, e ispira il mio canto.
E io canterò te e anche un'altra canzone.
Inno ad Aphrodyte, Inni omerici
--La dea dell‟amore a cui tanto piace fare all‟amore nasciu senza un gesto d‟amore.
Semmai di violenza fu l‟atto che la fece nascere. La famosa “Deminkiazione“ di
Krono nei confronti del padre. La minkia divina cariu nel mare ca era ancora tisa e si
muvia come un serpente d‟acqua. Come un pisci inkazzato. Vulia farsi l‟ultima
fottuta prima di esalare l‟ultimo respiro. Era pronta ad andare pure in kulo a una
balena pur di fikkare. Ma non trovò niente e si futtiu lu mari. Da cui l‟espressione
siciliana “minkia-di-mari” a proposito di chi si fotterebbe qualsiasi cosa. Ma lu mari
naturalmente non poteva sciri incinto, e allora fu la spumazza ca si misi a pazziari
sutta lu stimulu di la ciolla divina e pigghiau forma di una fimmina bona, la fimmina
chiù bona che si fosse mai vista sull‟orbe terracqueo e non solo. La spumazza fici
prima due colonne perfette che poi la ciolla modellò a dovere. E funu li cosci, due
cosce che a vidilli vinia il pititto di scalarle, se non altro per vedere cosa c‟era in
cima, cosa c‟era in mezzo. Poi ci fici li natichi e qua lu brigghiu divino lavorò
d‟artista, perché un kulo come quello non s‟era mai visto. Kallipigia doveva essere.
Natiche belle, kulo bello, chiappe dorate. Kulo etereo, kulo kuliforme, cioè a forma di
kulo. Kallipigia in fondo voleva solo dire dalle belle natiche, ma quella era bella
tutta. Davanti la spumazza ci fici una panza ca lu marrugghiu di carni rifinì alla bella,
e poi, cu la punta, la ciolla di Urano, ci fici nu putusiddu che si addimostrò veramente
l‟ombelico della gioia. Quel purtusiddu chiamato ombelico era la forma esatta della
koppola della minkia di Urano. E chiù supra la spumazza ingrifata dalla divina
sasizza ci piazzò due minne grandi che stavano su da sole, che sfidavano la forza di
gravità, che puntavano al cielo con due capiccia che facevano venire il desiderio di
sukari a tutti. Ai picciriddi per il latte e ai ranni tanto per sukare e alliccari cosi belli. I
capiccia non erano capiccia, erano due kazzetti in miniatura. Poi lu citrolu divino ci
fici na testa perfetta di nasu, aricchi, ucca e occhi. La ucca era perfetta e facia venire
il pititto di vasalla, divoralla e altro. Chiddi labbra appena si muvevano mitteuno lu
pititto a tutte le ciolle del mondo, ciolle divine e umane. Lo stesso Zeus quannu viria
ad Aphrodyte avia una erezione istantanea micidiale ca se non trovava un purtuso
disponibile nel giro di trenta secondi si la doveva minare. Ma tutti li avrebbero voluto
vasare, a parte che Aphrodyte meritava di essere vasata comunque e ovunque. Gli
occhi invece erano di un colore ca non si sapia come chiamare. Ci sono occhi azzurri,
verdi, accussì e accuddì, ma questo era particolare, particolarissimo. Colore di
minkia tisa forse, o colore di kazzo eretto, colore di mentula diritta, colore di fallo
ardente, colore di fottere sempre e comunque alla sanfasò. Pirchì bastava talialli ca
uno si pirdia nell‟estasi della carne. Là dentro c‟era l‟inferno e il paradiso, ma solo
del sesso. Piaceri e piaceri la dintra ci stavano. Mille posizioni e altro, tutto perso o
immerso nella spumazza del piacere in tempesta. Ma la cosa chiù bella lu piripikkio
divinu ci la fici in mezzo alle cosce: lo stikkio più bello del mondo. Una spakkazza
speciale, rifinita nei minimissimi particolari che manco Fidia o altro artista ci avissa
rinisciuto. Una filazza circondata da quattro piegoline di carne che vibravano in
automatico appena sinteunu cianuro di ciolla. E a sovrastare chista struttura ci stava
nu buttuneddu ca quannu attrintava mittia lu focu alla proprietaria e all‟amico di la
proprietaria. Ma come se non abbastasse la minciazza divina ci desi na spruzzata di
acqua di mari e simenta divina na lu purtusiddu, pi dari lu giustu sapuri, lu giustu sali
allo stikkio, pi fallu na cosa saporita assai e no scipita. E tutti sanu chi sapuri avi
chidda cosa bella. Ma lu sapuri di chidda di Aphrodyte era davvero speciale, l‟avia
salatu nu diu, o meglio, la minkia di un dio. Era il giusto sapore del pakkio, perché
penso che un dio sappia come salare le cose. Ma oltre al sapore ci stava pure la
forma: perfetta, stikkiforme al cento per cento. E poi una particolarità veramente
particolare, lo stikkio di Aphrodyte aveva il dono della risata, una risata soddisfatta e
soddisfacente. E quella risata non era nascosta da pilo alcuno. Perché il pakkio di
Aphrodyte era spilato al cento per cento, al mille per mille. Neanche un pilo c‟era, era
tutto a vista, e quannu quelle quattro labbra, due piccole e due grandi , sorridevano,
si poteva pure taliare il fondo di quel pozzo del piacere. Era il pakkio di Aphrodyte
un pakkio a vista, era uno stikkio che non aveva nulla da nascondere. Se vulia na
minkia, lo faceva capire. Se vulia na lingua, la chiedeva. Se vulia nu itu, lo
addomandava. In genere vulia tutti sti tri cosi.. lingue.. ita.. kazzi.... ma soprattutto
vulia kazzi.. kazzi alla sanfasò. Solo potendo si avissa fatto tutti li kazzi dell‟orbe
terracqueo. Zeus la trovò accussì bella che, come detto, l‟avrebbe voluta come
gioiello per il suo aceddu. Non potendo, ma pur pensandoci in base al detto ”mai dire
mai“, pinsau che ci avissa piaciuto avere una figlia così. Ma non potendola più
generare perché un altro l‟aveva generata, Zeus la nominò sua figlia adottiva. Ma
senza escludere un eventuale incesto, perché Aphrodyte era la quintessenza della
minkia, era la dea della minkia, era la dea buttana per eccellenza, e lui, Zeus, era si il
capodio ma era anche il capo dei capi dei buttanieri.
<< Afroditina, beato cu ti la fikka a minkia cina>> diceva sempre nella sua testa.
Ma unni nasciu la dea buttana? Cipro, hanno detto. Hanno detto! Per questo era
chiamata “Ciprigna”. In realtà “Ciprigna” è una deformazione di “Citrigna “. Perché
Aphrodyte era citrigna in tutto e per tutto. Citrigna di manu, di minni, di natichi e
anche di pakkio. Citrigna perché la sua fika era citrigna. Si contraeva
spasmodicamente e quelle contrazioni si trasmettevano all‟aceddu. Con conseguenze
assai felici per idda e per iddu. Quel pakkio spremeva gli aceddi. E come li spremeva.
Lo sapeva bene Anchise che della cosa vantannu si ia.
<< Fikkato haiu assai, e pakki di tuttu lu munnu.
Ma mi ricordo come fosse ora di Aphrodyte lu kunnu>>.
A parte questo, ripeto: Ma unni nasciu allora la dea buttana?
Nasciu nella zona di Eloro, vicino all‟attuale Noto. Ci sta lì ancora oggi uno scoglio
molto grande dalla forma particolare, praticamente uno skoglione falliforme che da
sempre i siciliani chiamano la “minciazza di petra”. Lì, davanti a quella struttura
litologica, cariu l‟aceddu di Krono. E nasciu accussì Aphrodyte. Ca la sira stissi
incominciò a fottere. Tutti li dia si la ficinu, a parte Zeus. Poi si la ficinu tutti li
maskuli di la zona. Alla fine si maritò con Efesto ma si fici come amante fisso il
bellimbusto di Ares. Ma tra una fottuta maritale fatta per dovere e cu nu tanticchia di
passione e tante fottute fatte con Ares solo e soltanto per piacere, Aphrodyte
attruvava lu tempo pi farisilla fikkare da questo o da quello. Con Dyonyso il filinghi
era perfetto, ma si la fici fikkari anche da Poseidone e da Ermete. Con Adone , non
potendo avere la ciolla dentro si sé, si accuntintava di manu e lingua, perché a dire il
vero la lingua di Adone era chiù esperta di una minkia specializzata in sofisticati
kunni di alta classe. Ma Aphrodyte, tra una fottuta e l‟autra , trovava anche il tempo
di fare le minnitta. E minkia se ne fece. Per esempio, a Pasife la fici innamorare di un
toro, alle donne di Lemno che non l‟onoravano li puniu in modo originale.
<< Adesso farete accussì assai puzza da lu pakkiu ca li mariti vostri andranno via,
andranno a cercare purtusa altrove..>>.
<< No.. perdonaci..>> gridarono quelle.
<< Sta minkia, chi prima non pensa poi solo in kulo la poli pigliare>>.
A Ippolito, che disdegnava le cose erotiche, lo fece cadere nelle mire sessuali della
matrigna Ippolita. Con tutto quel che successe. Ma era anche molto assai protettiva
con chi la amava. Protesse Paryde, fici si che Didone s‟addumassi di pakkio per suo
figlio Enea, aiutò Giasone a fare cicchiti e ciacchiti con Medea.
A proposito, con l‟amante Ares, figlio di Zeus, la figlia adottiva di Zeus, fici tra
l‟altro Armonia. Armonia si maritò con Cadmo, e a Cadmo ci cacò tra l‟autru Semele.
Semele la bella e ritrosa ca nun si capia chi minkia vulia. E Semele poi a Zeus ci cacò
Dyonyso. E Dyonyso addivintò amante di Aphrodyte. La simenta si ricicla e si
riincontra in un ciclo eterno e senza fine. <<Minkia, chi casinu, peggio di biutifullo.
Meglio di Monypuzifullo. Meglio di Purciddopolifullo>> diceva la gente.
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Due strani figuri originari di Karleonthynoy e di Leonthynoy cercarono di calcolare
teoricamente il numero teorico dei pila che avrebbe teoricamente potuto avere il
pakkio spilato di Aphrodyte se spilato non fosse stato.
<< Quattro milioni di pila, teoricamente>> disse il tizio Karleonthynoy.
<< Otto milioni di pila, teoricamente>> disse il tizio di Leonthynoy.
Un terzo tizio di Leonthynoy, che prese realmente in consegna i documenti, li perse
realmente. Ma da Palermorum fecero sapere che teoricamente il numero massimo di
li pila del pakkio di Aphrodyte poteva arrivare a quaranta milioni. Ma alla fine non
se ne fece niente. Né teoricamente né realmente. Solo parole a minkia. La verità restò
ancora una volta sconosciuta. Sia teoricamente che realmente.
--<< La vita è una, come la minkia, e se non è un piacere vivere con la speranza di
fikkariccilla ad Aphrodyte e di avere una bella minkia da donarle, a che minkia serve
vivere e avere una bella minkia senza poterla almeno ideologicamente destinare alla
bella Aphrodyte?>> era la variante, dedicata ad Aphrodyte, della domanda per cui era
famoso il filosofo della minkia Sokratynos da Munypuzos.
Homeryno Homokulum scrisse il Poema Afroditiade, Mhaxymylyanum
Mhaxymylyanorum il Carmen Aphrodyte kunnus felix, e lo scrittore Paulorum
Santhokrysos il romanzo Cent‟anni con Aphrodyte Kallipigia dal pakkio spilatu.
Naturalmente lo scrittore aspettava ancora quella minkia di premio a minkia del
Pattuallopolys di Leonthynoy e Karleonthynoy. Gli oligarchi delle due Tirrannopolys
litigavano e facevano ridere non solo la Magna Grecia e la Grecia, ma anche i paesi
che si affacciavano sul Mare Nostrum. Tutti ridevano, dalle Alpi alle Piramidi, dal
Manzanarre al Reno. Ridevano divinamente anche gli dei dell‟Olympazzo. Ridevano
a minkia cina. In particolare Zeus si skassava dalle risate e poi per divertimento
lanciava folgori alla sanfasò sulle due polys, tanto per fare nu tanticchia di spettacolo
illuminante. Eolo ciusciava forte ma tanto per fare nu spettacolo assai ventoso. Ares
scatenava qualche lite di quartiere tanto per fare nu tanticchia di spettacolo litigioso.
Anche Ade annacava la Trinacria tanto per fare spettacolo sismico. E Polifemo
lanciava dei sassolini tanto per fare solo e soltanto la sua parte di litologico
spettacolo. Efesto mittia in moto l‟Etna e facia sciri nu tanticchia di materiali
piroclastici tanto per fare uno spettacolo pirotecnico. Solo Pryapo si mittia d‟impegno
e si la minava in direzione delle due polys, tanto per fare anche lui spettacolo sì, ma
spettacolo serio. Uno spettacolo di pulizia morale. Lui pinsava di inseminare tutta la
popolazione con la speranza di creare un nuova stirpe, una stirpe di uomini onesti in
tutto e per tutto. Niente più bugiardi ma solo e soprattutto degli uomini di parola.
<< Otto, quattro.. quattro, otto...
Ma chi minkia me ne fotto...
Quattro o otto milioni...
Mi sono rotto i koglioni..
E li carti unni minkia stanu?
E nu casinu sanu sanu..
Otto, quattro.. quattro, otto...
Ma chi minkia me ne fotto...
Otto, quattro.. quattro, otto...
Una minkia al quadrato me ne fotto… >>.
Le due polys avevano pertanto sempre tempeste furiose con tanto di tuoni e fulmini.
Ma anche pioggia abbondante. Ma non pioggia di acqua. La pioggia che arrivava era
la simenta di Pryapo. La simenta della nuova razza. Poi c‟erano gli altri materiali.
Mancava solo la merda. Ma comunque tutto era uno spettacolo. Uno spettacolo,
ovvero una illusione, come una illusione era stato il Pattuallopolys . Una premio a
minkia cina al quadrato, un premio di merda al quadrato. Scatologia pura sperando
nell‟escatologia vera.
--Dyceomynkyopoly si chiese: << Ma in questa kazzo di Trinacria del kazzo ci sta un
kazzo di giustizia o una giustizia del kazzo?>>.
E si diede, nel suo essere giusto di testa e di ciolla, la risposta: << Pi mia ci sta solo
una giustizia a minkia che ragiona a minkia e che viene gestita da uomini a minkia.
Anzi, da uminicchi, mezzomini, pigliankulo e quaquaraquà, sempre a minkia però,
perché purtroppo mancano gli uomini di minkia con tanto di koglioni..>>.
In tanti lo applaudirono. Ma lui si chiese altro: << E voi, dei del kazzo, che minkia
guardate? Siete guardoni o siete koglioni? Se ci siete, intervenite, altrimenti andate
pure a fare in kulo almeno una volta. Ma anche quattro, otto o quaranta milioni volte.
Non lasciate che i grandi koglioni schiavizzino i piccoli koglioni a loro uso e
consumo. Il vostro silenzio è solo e soltanto il segno manifesto della vostra dichiarata
inesistenza. È la vostra negazione tout court e full time >>.
E ancora si addumannò: << E se c‟è un dio della merda, un teoscatà, che faccia la sua
draconiana rivoluzione diacronicamente escatologica e sincronicamente scatologica
per una tonitruante palingenesi totale con un nuovo ed originale diluvio universale, di
merda però. Il vostro silenzio assenso, cari dei, è una nuova negazione della vostra
esistenza. Perchè, cari dei a minkia che mi state sulla minkia, come dice il Secondo
Principio dell‟Ateismo Geometrico, Se per un punto passano infinite rette, per una
mente libera passano zero dei>>.
--Aphrodyte , unni kazzu si? A circari mecci e kazzi e minkie?
Sokratynos
--Aphrodyte cercò di risolvere il mistero del Pattuallopolys di Leonthynoy e Karleonthynoy ma fallì.
Pi minnitta maledisse le polys suddette gridando “Che le vostre mentule diventino sempre più
piccole, inutili e sfatte”. Gorgia Megacephalomentula da Munypuzos, L‟Olympum e il mistero
della batracomiomachia del Pattuallopolys di Leonthynoy e Karleonthynoy con i paralipomeni di
Palermorum.
Dyonyso, spirito e minkia dionisiaca
Figlio di Zeus, dio dalla minkia di toro: alcuni dicono
che a Dracano Semele ti concepì e ti partorì a Zeus
signore del fulmine, altri a Icaro battuta dai venti,
altri a Nasso, altri lungo il fiume Alfeo dai gorghi profondi;
altri affermano che tu sei nato a Tebe, signore.
Mentono tutti: il padre degli uomini e degli dèi ti generò
lontano dalla gente, nascondendoti a Era dalle bianche braccia.
C'è un altissimo monte chiamato come so io, fiorente di boschi,
al di là del mare, vicino alle correnti di Trinacria ..
a lei offriranno molte statue nei templi.
E poiché ti tagliarono in tre parti, ogni tre anni
gli uomini ti sacrifikeranno perfette ecatombi, per sempre..
Così dicendo, il Cronide accennò con le sopracciglia
scure: i capelli divini ondeggiarono sul capo immortale
del sovrano, che fece tremare il vasto Olympo.
Così parlò il saggio Zeus, e diede un ordine con il capo.
Siimi propizio, dio dalla minkia di toro, che dai la follia
alle donne: noi aedi ti cantiamo all'inizio e alla fine,
e chi ti dimentica non può intonare una sacra canzone.
Così ti saluto, Dyonyso dalla minkia di toro,
e saluto tua madre Semele, che è chiamata Thyone.
Inno a Dyonyso, Inno omerico
--Zeus appena viria nu bellu pakkiu si facia pigliare il firticchio nel piripikkio. E non si
calmava se non a missione compiuta. Un giorno ci appitittò Semele detta la ritrosa.
Bona, bella ma cu nu tanticchia di puzza sotto il naso. Mirava in alto. Mirava a
qualche kazzo con la corona sulla koppola della minkia..
<< Dammilla… che sono il capodio, e quindi anche il capominkia>>.
<< Sì.. certamente.. lu capustrunza sei..>>.
<< Sono Zeus, credimi. E che minkia devo fare per farmi arriconoscere? >>.
<< Vai a fare un giro, imitatore di Zeus e della sua minkia saettante>>.
<< Minkia, lu latti di brigghiu iacitu mi sta addivintannu>>.
<< No. E smettila, isozeus. E non mi pigliare per il kulo>>.
<< Sono Zeus, te lo giuro su mia stissu e sulla mia minkia>>.
<< Smettila. E vai a vedere se trovi n‟autru purtuso per sistemare la tua minkia.
Oppure vai a fari lu iarrusu. A cercare una minkia per il tuo kulo>>.
<< Bella.. io voglio il tuo di portuso. Parola di Zeus..>>.
<< Vai bello.. vai a cercare altrove dove piazzare il tuo uccello>>.
<< Avà … dammilla>>.
<< No … manco a Zeus vero io la dugnu>>.
<< Senti, tu lo sai come la penso io. Io sono quello che o si consente o altrimenti io
mi autoconsento>>.
<< Io non consento, autoconsentiti pure, se sei Zeus. Altrimenti vai a fare in kulo, tu
e la tua minkia pure>>. Zeus, vecchio marpione kunnofilo, la ubriacò cu na bevanda
divina e poi si la fici. Fu quasi uno stupro. O meglio, fu il solito stupro. Ma Zeus
operava accussì. La sua simenta fecondò un uovo brillo. Poi la lassò incinta. Ma ogni
volta che si la voleva fare prima la faceva ubriacare. Pertanto il picciriddu si nutriu di
chista cosa. Una cosa che s‟usava nell‟Olympazzo. Oltre al nettare e all‟ambrosia,
alla minkiosia e alla stikkiosia, si usava il “Divino Oinos“. Il nettare e l‟ambrosia
erano il nutrimento corporeo, la minkiosia e la stikkiosia il nutrimento per gli organi
sessuali, infine il “Divino Oinos” era lo stimolante cerebrale. Era una bevanda a
contenuto alcolico di colore generalmente rosso che produceva Estia per i suoi
misteri. Ed era un mistero come la faceva, ma tutti gli dei si la sukavano alla sanfasò
e diventavano allegri. Allegri di testa e di minkia.
<< Ubriaca di “Divino Oinos“ idda, ubriaco di “Divino Oinos“ lu picciriddu, e
naturalmente ubriaco di “Divino Oinos“ io. E io mi la trummiu da dio>> diceva Zeus.
Semele era incinta ed era anche contenta. Aveva fatto la preziosa ma quel signore di
mezza età si era assai inkazzato. A un certo punto ci aveva fatto bere una bevanda
misteriosa, poi ci avia dato da bere lu latti di brigghiu e infine ci l‟avia fikkata
d‟autorità. E ci avia addimostrato di essere Zeus.
<< Guardami la koppola della minkia>> ci avia dittu. Su quella koppola stava la Z di
Zeus. E quella “zeta“ al fosforo, cu lu scuru, addivintata fosforescente. Tutti
conoscevano questa caratteristica di Zeus. Adesso la conosceva anche Semele, la
figlia di Cadmo e Armonia, la nipote di Aphrodyte.
<< Minkia, la minkia di Zeus hai>>.
<< Zeus sono>>.
<< Ragione hai. Se hai la minkia di Zeus non puoi che essere Zeus>>.
Allora la ritrosa Semele era iuta in brodo di giuggiole; avissa vulutu gridare al mondo
interro che quell‟uomo che si abbandonava tra le sue cosce era Zeus in persona. E che
quel figlio che portava nella panza era figlio di Zeus. Simenta divina stava criscennu
dintra la sua panza.
<< Non fare pubblicità, il figlio di Zeus non ha bisogno della pubblicità. E già
destinato ad essere una grande divinità, come tua nonna Aphrodyte e tuo nonno Ares.
Che Ares poi è figlio mio e di Era, pertanto tu sei mia nipote. E la simenta della mia
simenta non ha bisogno di pubblicità>> ci disse Zeus a Semele.
La moglie di Zeus, sospettosa e gelosa delle avventure ciollesche del marito, nelle
vesti della nutrice della picciotta, si fici confessare il nome dell‟amante.
<<Voglio la conferma. La buttana di mia nipote me lo deve confessare. Idda, con la
sua boccuccia di sukaminkia specializzata, me lo deve dire automaticamente perchè
come una fissa deve cadere nel mio tranello. Pertanto ora ti sistemo io, buttanella
ranni>> pinsò Era.
<< Bella bella, dillo a mia cu minkia fu? Cu fu? Quale testa di minkia fu? Quale
minkia fu?>>.
<< Zeus>>.
<< Non ci credo. Cu minkia fu?>>.
<< Zeus>>.
<< Senti, io non ci criru che fu Zeus a fikkariti la ciolla nel portaciolla. Qualche
mascolo furbastro ti pigliò per il kulo e si approfittò di te. Zeus è una persona seria e
poi tu sei sua parente>>.
<< E chi kazzu ci fa. Lu kazzu putenti si ni futti se la fika è parenti>>.
<< Allora, per vedere se è veramente lui, addomandagli di manifestarsi in tutta la sua
potenza, possanza e prestanza, non solo minkiolesca. Dicci “Se si tu veramenti, pi
carità, fammi abbidiri la tua luminosità”>>.
<<Lo farò>>. Semele lo fece. Zeus cercò di evitare la manifestazione della suo
potenza. Ma quella insistette.
<< Allora non sei Zeus>>.
<< Ti accontenterò, ma non ti lamentare poi per le conseguenze>>.
E l‟accontentò. Ma la femmina, a causa di quella luminosità spendente e radiante, si
ridusse in cenere. Allora Zeus, per salvare suo figlio, prese il feto e, fattosi un taglio
nella coscia, ci lu fikkau dintra. In questo nuovo ambiente Dyonyso completò lo
sviluppo corporeo. Accussì nasciu il piccolo cornuto e anguicrinito Dyonyso. E
Dyonyso vuol dire “nato due volte”. Qualcuno dice “nato tre volte”. Dyonyso. Nato
due o tre volte? Nato dalla panza della madre. E una. Nato dalla coscia di Zeus. E fu
la sekunna. Ma la terza qual è? In realtà ci sta la protoprima nasciuta. Ma qual è?
Dyonyso s‟era già chiamato Zagreo. Ed era il figlio che Zeus aveva fatto fare a sua
figlia Persefone, figlia fatta con la sorella Demetra. E quel figlio fatto con la figlia
doveva essere anche l‟erede riconosciuto di Zeus, il capodio di un futuro
lontanissimo. Ma Era lo odiava questo diuzzo futuro capodio.
<< Io sono la moglie legittima. Un figlio mio deve diventare l‟erede, e non quel figlio
di buttana di Zagreo, figlio di quella buttana di mia nipote Persefone, a sua volta
figlia di quella buttanazza di mia sorella Demetra che si la fece a suo tempo infilare
nel pakkio da mio marito Zeus. Nun poli questo strunzo illegittimo di Zagreo pigliare
il posto della prole legittima, nun poli. Pertanto Zagreo deve morire, e che kazzo.
Deve morire, morire e basta>>.
E per un suo ordine perentorio i Titani lo fecero a pezzi. << Smembratelo, che poi vi
faccio fare una fikkata titanica, una fikkata titanica per la vostra titanica minkia>>.
Si salvarono solo il cuore e la ciolla. Qualcuno dice solo il cuore. I più propendono
per la sola minkia. Che Pallade Atena recuperò e portò a suo padre Zeus. Questi due
pezzi, o forse uno solo, furono poi riutilizzati per generare Dyonyso. Prima della
prima fottuta Zeus pigliò la ciolla e il cuore di Zagreo e li catafuttiu dintra la filazza
di Semele. E poi, a forza di spingere con la minkia, ci li fikkau dintra assai assai. E
quei due pezzi unici furono usati per assembrare Dyonyso. In nuovo figlio di Zeus
aveva la ciolla e il cuore di Zagreo. Probabilmente aveva solo la ciolla. Pertanto
Zagreo fu la prima nascita, la sciuta dalla panza di Semele la seconda, e infine la
sciuta dalla coscia divina la terza e definitiva.
Ma il picciriddu avia assunto troppo alcol. Nelle sue vene aveva poco sangue ma
assai “Divino Oinos”. E quannu sciu dalla coscia del padre anziché ciangiri riria. La
tipica risata dei brilli, la specifika risata dello “spirito dionisiaco”.
<< Portatemi del nettare>> disse Zeus. Ma lu picciriddu nun lu vosi.
<< Portatemi dell‟ambrosia>> . Ma Dyonyso non la volle.
<< E chi minkia ciama dari? >> si chiese Zeus.
<< Ihhhh.. ahhhh.. uhhhh.. ihhhh.. >> rideva Dyonyso.
<< Portemi nu tanticchia di stikkiosia e di minkiosia>>.
Dyonyso rifiutò anche quel cibo. Mise solo una manina nella minkiosia e si la
incilippiò alla grande. Poi, anziché sulla bocca, si stricau la sostanza sulla ciollina.
<< Chi minkia ci devo dare? >> si chiese Zeus, nu tanticchia disperato.
Dyonyso col ditino indicò la coppa che Zeus teneva in mano per brindare.
<< Minkia, voli il “ Divino Oinos” >>.
Lu picciriddu fu pertanto nutrito con questa che era la quinta fonte alimentare
dell‟Olympazzo. Pertanto era sempre brillo e sautava come nu pazzarieddu. Ma ci
stava na fimminazza ca nun lu putia viriri.
<< Lu scannu.. l‟ammazzu.. lo devo levare dalla circolazione.. >>
Per evitare complicazioni il nuovo nato fu affidato ai parenti della moglie affinché
lo crescessero. Queste, per proteggerlo meglio da Era, le vestirono a fimminedda. E
per nutrirlo, piuttosto che latte, che il picciriddu rifiutava, gli davano “Tragos” e
miele, ovvero birra e miele.
<< Suka, suka lu meli. Suka ca è duci e pure tu addiventi duci. Suka, ca prima o poi
sarai sukatu. E chiù duci sarai, chiù assai sarai sukato. E suka, suka, suka lu “Tragos”
ca ti fa bene alla testa e al pene>>.
Ma in realtà il picciriddu ricercava il sapore perduto del “Divino Oinos”.
Ma Era, non trovando il piccolo Dyonyso, fece impazzire i parenti.
<< Io proteggerò mio figlio Dyonyso dalla minnitta di Era, e farò in modo che faccia
un bel regalo agli uomini. Per quanto riguarda l‟eredità si vedrà. Diamo tempo al
tempo. Se lo meriterà, addiventerà il novello Zeus quannu iu me ne andrò in
pensione>>.
In seguito, sempre per proteggerlo dai nemici, Dyonyso fu trasformato in capretto,
un capretto strano. E il capretto si facia tutte le caprette possibili. Le prime esperienze
amorose di Dyonyso furono esperienze zoofile. E anche da capretto vulia non latte
ma “Tragos” e miele. Era pertanto sempre brillo e dolce assai assaissimo. Ma in
realtà l‟armaruzzu ricercava ancora una volta il sapore perduto del “Divino Oinos”.
Ma Era fece impazzire tutti i pastori di capre. A Dyonyso lo salvò Sileno. Lo salvò
per ordine di Zeus. Tornato caruseddu Dyonyso fu ancora vestito da femminuccia e
cresciuto con le ragazze. Sotto lo sguardo finto severo di Sileno. E sukava sempre
meli e “Tragos”. Sperannu di ritrovare il sapore perduto del “Divino Oinos”.
Dyonyso era dunque sempre più dolce e sempre più brillo. Sia di ciriveddu che
d‟aceddu. Il caruseddu criscia molliccio, come una ragazzina. Sempre più effeminato
addiventava, più duci, ma anche chiù bello o bella dir si voglia. E Dyonyso, nelle sue
vesti femminili, fece innamorare tutte le compagne.
<< Iucamu a lu ammuccia ammuccia>> proponeva Teofrasta.
Giocavano un po‟. Poi cambiavamo gioco.
<< Giochiamo a mosca cieca>> proponeva Lesbia. E giocavano pi nu tanticchia. E la
benda gira e rigira vinia messa sempre a Dyonyso che vestito da fimminedda facia la
sua bella cumparsa. Ma in realtà tutte le compagne sapevano che quello era un
mascolo. L‟avevano scoperto a suo tempo, quannu avevano notato il diverso modo di
pisciare. E giocando giocando ne avevano fatto un gioco.
<< Vediamo chi piscia più distante>> diceva una delle ragazze.
E mente le femmine si mettevamo kulo a ponte per lanciare lo schizzo il più lontano
possibile, Dyonyso si la scia, la mittia in posizione, e pisciava a suo modo . Con le
sue capacità e le sue abilità. La ragazzine avevano anche notato che il minkiolino
non era sempre lo stesso. A volte era chiù nicu, a volte più grande, a volte siccu, a
volte più grosso, a volte mollo e a volte duro. Ma il gioco che amavano di più era la
Caccia Cieca al Tesoro Nascosto. Le ragazze erano le cacciatrici, Dyonyso il
cacciatore e il tesoro era la ciolletta. Giocavano nelle campagne, in mezzo all‟erba
verde, in mezzo al grano, e se c‟era caldo, nelle piscine del Palazzicchio Realicchio.
A volte, nei giardini, tra fiori e arbusti delicati, col solo ciauru tutti andavano in
estasi. Se invece c‟era freddo giocavano negli appartamenti dei bambini. Le ragazzine
bendate cercavano Dyonyso bendato, e una volta che lo acchiappavano, per capire se
era lui o una ragazzina, andavano a controllare. Naturalmente, con tempi diversi,
Dyonyso veniva intercettato da tutti. E allora era uno scorrere di mani femminili alla
ricerca del tesoro. Che poi, una volta trovato, sottoposto a tutte quelle manipolazione,
finia per versare il latte di brigghiu. Con quelle compagne Dyonyso sperimentò il
sesso etero in tutte le sue forme. Sotto l‟estasi birresca era bello trasiri il suo spirito
dionisiaco nell„antro del piacere. Che avia un bel sapore, una sapore a cui però
mancava qualche cosa. Iddu personalmente l‟avrebbe condito con un po‟ di “Divino
Oinos”. Quella bevanda si la sunnava notte e giorno , giorno e notte; e avissa vulutu
addivintari iddu stissu una sorgente di “Divino Oinos”. Anziché pisciare latti di
brigghiu o cangiarici l‟acqua alle olive avrebbe voluto diventare una fontana vivente
di “Divino Oinos”. Sicuro e convinto com‟era che quella bevanda divina sarebbe
diventata quella preferita dagli uomini. Ma intanto non sapeva dove reperirla. E
andava avanti a “Tragos” e miele. Era si brillo ma anche dolce, dolce, dolce.. anzi,
dolcissimo.
--Dyonyso, sotto forma di ragazzina, fece innamorare perdutamente Ampelo. O
s‟innamorò di Ampelo. Un mascolo con un altro mascolo ma con Dyonyso vestito da
femminuccia. Impossibile dire quel che passò nelle teste dei due mentre sukavano
“Tragos“ e meli alla sanfasò. La birra ci mittia allegria in testa, nel cori e
nell‟augello. Il miele addolciva tutto. Impossibile dire se Ampelo, nel momento in
cui perse testa, core a aceddu per Dyonyso, sapeva che quello era senza filazza ma
con una bella ciolla come la sua. Impossibile dire se Ampelo quannu allungau la
mano era cosciente o era sotto l‟ebbrezza data dal “Tragos”. Impossibile dire se
Dyonyso quannu lassau ca la manu dell‟amicu scinnissi verso il basso era cosciente o
sotto l‟effetto del “Tragos”. Impossibile dire se Ampelo circava un mascolo o una
fimmina. Impossibile dire se Ampelo quannu attruvò una ciolla si l‟aspettava o
s‟aspettava altro. Sta di fatto ca quannu cu la manu scinniu a circari la fonti della
verità si attruvò na bedda corda di sasizza. Ma non disse un kazzo. Come dire “chistu
attruvai e chistu mi suku”. Impossibile dire se era contento oppure no. Sta di fatto che
continua ad operare con quel citrolo carnoso. E si dissetò a quella fonte come già
facevano le ragazze. Impossibile dire se Ampelo lo fece per scelta o per convinzione
o perchè tanto che c‟era era meglio pigliarsi quello che passava il convento. E tra una
sukata di birra e l‟altra, tra una sukata di meli e l‟autra, Ampelo che faceva il mascolo
della situazione ci la sukò all‟amico e poi ci la piazzò nel kulo.
Toccò a Dyonyso fare altrettanto. E qui successe il miracolo. Minkia chi miracolo.
Impossibile sapere la verità ma secondo tanti mitologi ci trasi Zeus in persona che
astrummintò questo espediente per fare un regalo a suo figlio pur sapendo che quello
era generoso e l‟avissa dato in regalo agli uomini. Impossibile sapere perchè il
maschiò Ampelo sukò per primo e il femmineo Dyonyso per secondo. Impossibile
sapere se Ampelo circava una filazza da alliccare e trovò una fontana che pisciava
latte di brigghiu.
Dyonyso era timido e Ampelo ci disse: << Sukimilla.. sukimilla..>>.
Dyonyso fece, con calma e passione. E intanto che la passione cresceva la calma
vinni meno, il ritmo divenne ossessivo. Pare che da quella fontana si aspettasse la
vita, il miracolo, la sorpresa, la felicità. E così fu. Quannu la simenta impetuosa dai
testikulos di Ampelo si riversò nella bocca di Dyonyso quello sukò fino all‟ultimo. E
poi, quannu non ne usciva più una stizza, si mise a sautare. A sautare come un pazzo.
<< L‟ho trovato, l‟ho trovato, il “Divino Oinos“ l‟ho trovato. Il “Divino Oinos”>>.
E in preda allo spirito dionisiaco si ittau addosso al caruso e ci la sbattiu con impeto
nel kulo. Né timidezza né paura era rimasta in Dyonyso, ma solo voglia di
dimostrare, di esibire, di fare. E Dyonyso fece, dimostrò, esibì. Ampelo non disse
niente. Lasciò fare, aveva conosciuto un altro Dyonyso, ma quello dopo aver
assaggiato il suo latte di brigghiu, era come sciutu pazzo. Altro che effetto del
“Tragos”. Quello era in uno stato di ebbrezza allucinante, tanto che lui si chiese:
<<Ma per caso il latte di brigghiu mio è allucinogeno?>>.
Dagli effetti paria di si. Poi, con calma , Dyonyso ci spiegò che il suo latte personale
avia lo stesso sapore e colore del “Divino Oinos” dell‟Olympazzo.
<< Minkia, la mia ciolla piscia la bevanda divina>>,
<< La tua ciolla piscia il “Divino Oinos” >> rispose Dyonyso.
Nessuno si rese conto che quello era un miracolo, un miracolo fatto da Zeus.
<< Sukaminilla.. sukaminilla..>> si dicevano spesso i due amanti.
Il latte di brigghiu di Ampelo era diverso, era rossastro e dava euforia. Era diverso dal
suo. Riceverlo nel protostoma o nel deuterostoma gli dava euforia, ebbrezza, gioia,
felicità. E quest‟amore sukante e sukato andava a gonfie vele, ma era anche
inchiappettante. Poi l‟amichetto di cervello e uccello morì, scaraventato a terra da un
toro. Tutto successe nel bosco di Mynkyalonya per i soliti casi del kazzo. Per le solite
gelosie sessuali.. amorose.. pelose ... e robba del genere.
<< Noooo.. >> gridò Dyonyso. E voleva morire anche lui.
Ma non c‟era niente da fare. Ampelo era un mortale. Dyonyso lo seppellì e basta. Lo
seppellì ai piedi del monte Munypuzos. Per il resto Dyonyso era un dio e non poteva
piangere.
Ma si sforzò tanto che pianse. Non le solite lacrime. Erano rossastre e quannu ci
arrivanu na la ucca si accorse che avevano lo stesso sapore del latte di brigghiu di
Ampelo. Da quella sera Dyonyso piangeva spesso, piangeva per il dolore, piangeva
per bersi le sue lacrime. I suoi occhi pisciavano lacrime di “Divino Oinos”.
---
Zeus per consolarlo gli assegnò un precettore molto simpatico. Quel Sileno che già
aveva avuto a che fare con Dyonyso. Ma il dio non se lo ricordava più. Piccolo,
obeso, ciolluto e che girava sempre su un asino. Ma soprattutto metteva allegria a
tutti. Sileno, come detto, il suo nome. E Sileno tinia appresso sempre una grande
quantità di picciriddi, i Sileni, i figli che lui facia solo con donne grasse come lui.
Al solo vederlo Dyonyso rise. Stava piangendo come una femminuccia sulla tomba
del suo amato Ampelo, quannu intisi risate di picciriddi. Si girò e vide l‟insolito
corteo. E passò dal pianto al riso. Sileno lo fece sorridere subito all‟addolorato
Dyonyso con la sua semplice apparizione. Un uomo obeso, nudo, con una panza
spaventosa, una ciolla eretta, a cavallo di nu sciccareddu che forse ragliava di dolore
per il troppo peso che portava. E l‟asino trasportava pure due grossi otri. E intorno
tanti picciriddi nudi, obesi e col loro piccolo otre.
< <Chi minkia sei?>> gli chiese Dyonyso ridendo.
<< Il tuo panzapedagogo, il tuo pallaprecettore. Mi chiamo Sileno , la mia panza si
chiama Silenpanza, il mio ciollo si chiama Silenminkia, le mie palle si chiamano i
gemelli di Sileno e questa borraccia è il “Tragos” di Sileno. E io la suku sempre. Idda
mi mette allegria assai assai. E questo è il mio asino, Silenscecco. E tutti questi
picciriddi sono i miei figli. i Sileni. Lu sceccu e i picciriddi sukunu anche loro
“Tragos” a tutta minkia. A minkia di sceccu lu sceccu e a cicidda i picciriddi>>.
<< E come si chiamano i picciriddi?>>.
<< Ognuno ha il suo nome, ma io li chiamo Rompikoglionisilenici>>.
<< Rompiamo i koglioni a papà.. rompiamo i koglioni a papà.. papà ci ha chiamato..
rompiamogli i koglioni.>> gridarono i picciriddi. Dyonyso rise.
Sileno scese dallo scecco e muovendosi come si muovono gli obesi iniziò a gridare:
<< Rompikoglionisilenici sciò.. scio.. sciò>>.
<< Io sono Dy…>>
<< Lo so chi sei>> rispose Sileno che ad ogni passo ci abballava la panza << E Zeus
che mi manda. Io non volevo accettare, ma Zeus mi disse che tu inventerai una
bevanda chiù bella del “Tragos”, e allora io vinni di corsa. A parte che Zeus mi aveva
detto “io mi consento e se non consenti mi autoconsento. Tu ti devi sukare a mio
figlio, ma mio figlio si deve sukare a tia e a tutti li to figghi e non so per chi la cosa
sarà vantaggiosa. Non so se sarà lui a romperti i koglioni a te o sarai tu a romperli a
lui. I tuoi figli comunque li romperanno a tutti e due”. E quindi, come vedi, sono qui
per ordine di tuo padre, per romperti i koglioni assai. E pure loro sono qui per la
stessa cosa. Su, Rompikoglionisilenici, rompeteci li baddi a questo picciutteddu
addolorato dalla morte dell‟amante amato dalla ciolla bella e stolla che pisciava un
latte particolare>>.
<< Rompiamo i koglioni a Dyonyso.. rompiamo i koglioni a Dyonyso..>>. Dyonyso
rise ancora nel vedersi addosso tutti quei piccoli Sileni obesi e brilli. E brillo era pure
lu sceccu. << Minkia chi su simpatici. Skassano la minkia ma su simpatici>>.
Quella notte Dyonyso dormì tranquillo. E fece un bel sogno.
Sono Ampelo.. sono morto io ma non il mio succo d‟amore … quello che tu chiamavi “Divino
Oinos” veniva fuori dai miei testicoli.. che non erano più i soliti testimoni.. erano diventati i miei
due chicchi personali .. per volontà e mistero di cui solo Zeus è a conoscenza.. da questi chicchi
nascerà una pianta nuova … grappoli di testicoli o koglioni a grappolo.. non importa il nome.. e
quando i frutti saranno maturi tu ne estrarrai il succo e lo farai fermentare.. ci penseranno i
saccarominkiceti... sono armaruzzu nichi nichi ca nun si vidunu ma ca stanu sui chicchi.. ci
penseranno loro a fare il miracolo... quello che otterrai avrà il sapore del mio succo d‟amore..
chiama la pianta come vuoi.. e lo stesso il succo finale che otterrai.. e ubriacati del mio succo
estatico.. dionisiaco.. ampelico.. minkionino.. sii sempre ebbro di me.. e dona questo regalo agli
uomini affinché anche loro siano sempre ebbri di me.. il mondo ebbro sarà chiù bello del mondo
astemio.. le ciolle ebbre e i kunni ebbri lavoreranno meglio.. l‟ebbrezza abbasserà la soglia
inibitoria... e tutti faranno l‟amore.. come noi o in altra maniera.. viva le mie palle e il mio succo..
viva Dyonyso … viva chiù assai ancora Dyonyso brillo.. viva l‟ebbrezza.. viva il succo
dell‟ebbrezza.. viva il succo dei miei koglioni.. parola di Ampelo e dei suoi testicoli alcolici.
--Dyonyso ogni giorno lo passava accanto alla tomba. Poco distante, senza perderlo di
vista, ci stava Sileno. Gli era stato dato come precettore. Seguito dai suoi picciriddi, i
Sileni. Sileno cummattia con somma pazienza pure col dio. Ca era chiù casinista e
rumpibaddi di tutti i Sileni mesi insieme.
Dyonyso vide nascere e crescere la pianta. Vide i grappoli di testicoli, li raccolse e li
schiacciò. Il succo fermentato aveva qual sapore mai dimenticato, e dava la stessa
ebbrezza.
<<“Divino Oinos”.“Divino Oinos”. Lo chiamerò “skulo divino” >> disse Dyonyso.
Lo spirito ampelico era diventato lo spirito dionisiaco.
<< Skulo divino.. skulo divino..>> gridava Sileno
<< Skulo divino.. skulo divino..>> gridavano i sileni.
<< Ihhhhhhh… ihhhhhhh…ihhhhhhh…>> ragliava lu sceccu di Sileno.
Anche lui voleva dire “skulo divino”.
Ma ai Sileni ci vinia chiù facile chiamarlo “Vino”.
Dyonyso col tempo perfezionò l‟arte della viticoltura e il meccanismo della
vinifikazione. Sulle sponde del monte Munypuzos, con l‟aiuto di Sileno, dei suoi figli
e delle donne dei suoi figli, che erano diventate sue seguaci e si facevano chiamare
Menadi anche loro. Col loro aiuto nasciu la coltivazione dell‟uva, dei grappoli di
testicoli di Ampelo. E nasciu pure la fermentazione di lu “skulu divino“. Per ottenere
quello che alla fine fu chiamato semplicemente “vino” ma che in realtà era “divino”.
Divino per gli effetti. Divino per piacere. Divino per tutto e in tutto. Era
semplicemente divino. E Dyonyso, nella sua somma e incommensurabile bontà, fici
chistu regalo agli uomini. Ma soprattutto Dyonyso scoprì che il vino aiuta a fare
sesso, che il vino abbassa la soglia dell‟inibizione, che libera la ciolla e il kunno che è
in noi, che li fa operare meglio e con libertà infinita. La prova la ebbe dalle sue
compagne più ritrose, quelle che mai avevano giocato alla Caccia al Tesoro con lui,
quelle che si erano limitate a guardare e che adesso, sotto l‟ebbrezza delle spirito
dionisiaco, si erano scatenate al mille per mille. Menadi di nome e di fatto, donne
invasare di nome e di fatto, invasate di vino.. di minkia.. di tutto.. ma invasate e belle
proprio per quell‟invasamento.
<< Grazie, Dyonyso, la nostre vita è cambiata in meglio>> dicevano.
Dyonyso si convinse che il sesso era la cosa più divertente del mondo, che bisognava
farlo a iosa, alla sanfasò e finanche a tinchitè. E sempre allegro com‟era facia
amicizia con tutti. Restò legatissimo a suo precettore Sileno che con i suoi figli, i
Sileni, fu tra i primi suoi seguaci. Poi arrivarono i Satiri.
E soprattutto arrivò la materia prima per fare fikka-fikka. Diventò abbondante,
numerosissima. Le prime Menadi, le sue compagne di giochi, fecero discepole alla
sanfasò. Le donne invasate suonavano, bevevano e fikkavano. Il corteo che seguiva
Dyonyso era uno spettacolo. Vestiti di pelle lacerata, truccatissimi, ma anche mezzi
nudi. Si vedeva tutto e non si vedeva un kazzo. Da quelle pelli lacerate uscivano
braccia, cosce, seni, natiche, ciolle e pakki. E intanto che ballavano invasati dallo
spirito dionisiaco agitavano il tirso. Un bastone con stralci d‟edera e di vite e con una
pigna falliforme in cima. La gente taliava il corteo aspettando di vedere qualcosa.
Soprattutto volevano vedere la sede dello spirito dionisiaco che stava tra le cosce dei
mascoli e delle femmine. La gente purtroppo era materiale assai e non capiva che lo
spirito dionisiaco stava nella testa. Tutti loro avevano una ciolla o un pakkio come i
seguaci di Dyonyso, ma non li sapevamo usare come loro. Avevano gi strumenti di
Dyonyso ma non il suo spirito. Pertanto i libertari applaudivano sia Dyonyso che i
suoi seguaci, i moralisti invece lo volevano bloccare, distruggere, eliminare. Che
spettacolo comunque le processioni dionisiache, che finivano sempre con una bella
orgia.
<< Sukate e risukate “skulo di vino”, vi sentirete dii in terra. Sukate e risukate e poi
sukate ancora, questo è lo skulo delle palle del mio amato Ampelo.. sukate.. sukate
orsù …>>.
Era, gelosa di Dyonyso come di tanti altri figli di Zeus, lo fece pure impazzire. Ma
lui, che capì la cosa, fece il finto pazzo. La sua pazzia era lo spirito dionisiaco, era
l‟ebbrezza del suo divino vino, era il suo ciriveddu brillo e la sua ciolla briaca. Girò il
mondo da “pazzo” e visse tante avventure sempre da “pazzo”. E da “pazzo” cantava
insieme ai Satiri, ai Sileni e alle Menadi.
<< Iu sugnu pazzu … vuoiu nu sticciazzu ..>>.
Le Menadi rispondevano: << Iu sugnu pazza … datemi na minciazza..>>.
La pazzia alcolica di Dyonyso e la follia erotica della sua ciolla non furono accettati
da tanti. Lo spirito dionisiaco non piaceva ai moralisti del kazzo.
Licurgo, re degli Edoglioni, cercò di ammazzare il dio, ma lui riuscì a scappare,
trovando rifugio tra le accoglienti cosce di Teti. Licurgo poco dopo impazzì e poi
fece una malissima fine.
Si scontrò col cugino-re Penteo, re di Tebicchio. Non riconosciuto come dio,
Dyonyso arrivò nella polys sotto forma di un bel fanciullo alla guida di invasate,
assatanate e minkiadesideranti Menadi e di stikkiocercanti Satiri e Sileni. E tutte le
donne della polys, invasate dalla ciolla divina, corsero sul monte Citerokazzone per
una divertente orgia. Poi Agave, in preda alla possessione alcolica, scambiò il figlio
Penteo per un leone e si lu mangiau. Dyonyso fu anche fatto prigioniero da alcuni
marinai che prima volevano violentarlo ma poi decisero di venderlo come schiavo.
<< Nu maskulu accussì beddu vali assai sia col kulo rotto che col kulo sano. Ma col
kulo sano vale di più>> si erano detti.
E lo tenevano nudo, legato a un albero della nave. Ma Dyonyso fece un miracolo. Il
mare divento vino, la nave si ubriacò, le vele si strapparono, gli alberi misero
grappoli su grappoli d‟uva e i marinai, pazzi, si buttarono a mare. Pure Dyonyso si
buttò a mare e salvò il timoniere Acoete, l‟unico che si era opposto sia all‟idea delle
violenze che a quella della vendita come schiavo.
<< Aggrappati alla mia ciolla>> ci disse. E a nuoto lo portò in salvo fino alla prima
isola. Acoete divenne sacerdote dei riti dionisiaci.
Se lui era pazzo per volere di Era, poteva pazziare. Invece era solo brillo per sua
spontanea volontà. Quindi poteva fare minkiate alla sanfasò.
Le figlie di Minia non vollero partecipare all‟orgia. Dyonyso le fece impazzire; e
quelle divorarono i propri figli iniziando dalla ciolla. Le figlie di re Preto non vollero
festeggiare in suo onore. Persero la ragione e credendosi vacche carnivore
mangiarono i loro figli incominciando dalla minkia. In Etolia Dyonyso fu accolto
benissimo da re Eneo che gli offrì anche la propria moglie Altea per dare un po‟ di
ristoro al suo divino augello. E quella gli sfigò Deianira. Dyonyso sposò Arianna e ci
fece cagare tanti figli. Andò in Egitto, in Siria, in Frigia. Arrivò sul fiume Eufrate e
con un ponte di edera e viti passò in India; arrivò fino al sacro Gange. Dovunque fu
onorato e incontrò finanche i colleghi. Democraticamente, da dio a dio. E intanto
fikkava a tinchitè, con donne terresti e con divinità. Una delle più belle avventure fu
con Aphrodyte che gli cacò chiddu beddu spikkiu di minkia impertinente di Pryapo.
Era comunque sempre allegro Dyonyso . E si facia fimmini a iosa e alla sanfasò. Le
ubriacava e poi si li trummiava. Generalmente facia accussì, ma con Aphrodyte fu
amore … passione.. Come con Arianna... come con altre .. ma se amore non fu
sempre, lo spirito dionisiaco sempre lui fu.
<< Briacatevi di vino sia lu ciriveddu ca la ciolla, e futtiti. Ca la vita è chiù bella se la
ciolla è brilla>>. Dyonyso aveva regalato all‟umanità il “Divino Oinos”.
--Ma nella sua testa ebbra Dyonyso decise di fare un figlio speciale con una femmina
speciale, magari cu na dia. L‟unica dia degna di ricevere il suo spirito dionisiaco era
Aphrodyte. Pertanto decise che con lei prima o poi doveva fare un figlio, un figlio
speciale. Doveva fare un figlio con la dea dal pakkio spilato, un figlio che doveva
essere la quintessenza dello spirito dionisiaco. Doveva non solo possederlo ma anche
dimostrarlo al mondo. E per dimostrarlo doveva avere un grande aceddu. Una grande
minkia. In fondo lui era il figlio di Zeus, probabilmente il suo erede al trono
dell‟Olympazzo. Solo che Zeus, il primo dei buttanieri, censurava le sue troppe
ebbrezze, anzi, la sua ebbrezza continua. Forse fare un figlio con certe caratteristiche,
lo scettro di carne, poteva essere positivo. Lui poteva restare libero di dedicarsi alla
sua ebbrezza e pertanto continuare a mittilla in kulo al potere reale, e il potere reale,
a cui lui non aspirava, per non essere prigioniero del ruolo, sarebbe passato dal nonno
al nipote. E fare quel figlio con Aphrodyte, che era la figlia adottiva di Zeus e la sua
musafika ispiratrice, era la migliore delle soluzioni possibili. L‟erede al trono
dell‟Olympazzo sarebbe stato figlio del figlio di Zeus e della sua figlia adottiva. Un
nipote biologico e adottivo. Un quasi incesto per farlo.
Ma nell‟Olympazzo l‟incesto era la norma, anche perché Zeus, qual pakkione spilato
di Aphrodyte, si lo sarebbe fatto da sempre. Minkia, se se lo sarebbe fatto. Alla
sanfasò e a tempo pieno . Potenza dell‟aceddu divino permettendo.
Un giorno Dyonyso convocò la sua corte allegra e ebbra e diede loro la notizia.
<< Brindiamo al futuro re dell‟Olympazzo, a mio figlio, a quel figlio bello e minkiuto
che io farò con Aphrodyte. Sarà bello come a mia ma avrà un aceddu più grande>>.
Brindarono tutti alla sanfasò.
--Due strani figuri originari di Karleonthynoy e di Leonthynoy cercarono di calcolare il
numero dei Koglionometri di “Divino oinos” sukati da Dyonyso prima di inciollare
il kunno spilato di Aphrodyte e di seminare Pryapo. Tanto per capacitarsi sullo stato
alcolico del dio. Sul “punto ebbrezza”. Ebbrezza di testa e ebbrezza di minkia
naturalmente.
<< Quattro milioni di koglionometri di “Divino oinos” doc. Quattro milioni ben
distillati. Quasi goccia a goccia >> disse il tizio Karleonthynoy.
<< Otto milioni di koglionometri di “Divino oinos” doc e fatto ad hoc. E distillati
con somma capacità distillatoria. Koglionometro su koglionometro>> disse il tizio di
Leonthynoy.
Un terzo tizio di Leonthynoy, che prese in consegna i documenti, li perse. Ma da
Palermorum fecero sapere che il numero massimo dei koglionometri di “Divino
oinos” sukati da Dyonyso poteva arrivare a quaranta milioni di koglionometri. Ma
alla fine non se ne fece niente. Solo parole a minkia. La verità restò ancora una volta
sconosciuta.
--<< La vita è una, come la minkia, e se non è un piacere vivere in stato di ebbrezza e
avere una minkia sempre ebbra da infilare dove capita, a che minkia serve vivere
sukando “Divino Oinos” e avere una minkia sempre allegra?>> era la variante,
dedicata a Dyonyso, della domanda per cui era famoso il filosofo della minkia
Sokratynos da Munypuzos.
--Homeryno Homokulum scrisse il Poema Dionisiade, Mhaxymylyanum
Mhaxymylyanorum il Carmen Dionysyus aves ebrius, e lo scrittore Paulorum
Santhokrysos il romanzo Cent‟anni con Dyonyso e la sua minkia brilla. Naturalmente
lo scrittore aspettava ancora quella minkia di premio a minkia del Pattuallopolys . Gli
oligarchi delle due Tirrannopolys litigavano e facevano ridere non solo la Magna
Grecia e la Grecia, ma anche i paesi che si affacciavano sul Mare Nostrum. Ridevano
tutti, dalle Alpi alle Piramide, dal Manzanarre al Reno. Ridevano divinamente anche
gli dei dell‟Olympazzo. Ridevano a minkia cina. In particolare Zeus si skassava dalle
risate e poi per divertimento lanciava folgori alla sanfasò sulle due polys, tanto per
fare nu tanticchia di spettacolo brillante. Eolo ciusciava forte ma tanto per fare nu
spettacolo assai ventoso. Ares scatenava qualche lite di quartiere tanto per fare nu
tanticchia di spettacolo guerresco. Anche Ade annacava la Trinacria tanto per fare
spettacolo sismico. E Polifemo lanciava dei sassolini tanto per fare solo e soltanto la
sua parte di petrografico spettacolo. Efesto mittia in moto l‟Etna e facia sciri nu
tanticchia di materiali piroclastici tanto per fare uno spettacolo pirotecnico.
Solo Pryapo si mittia d‟impegno e si la minava in direzione delle due polys, tanto
per fare anche lui spettacolo sì, ma spettacolo serio. Uno spettacolo di pulizia morale.
Lui pinsava di inseminare tutta la popolazione con la speranza di creare un nuova
stirpe, una stirpe di uomini onesti in tutto e per tutto. Niente più bugiardi ma solo e
soprattutto degli uomini di paro