Leggi qualche pagina
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mettiamola così, il padrone del bar Credito a morte mi ha dato un quaderno da riempire ed è convintissimo che io, Pezzi di vetro, sia capace di sfornare un libro solo perché una volta scherzando gli ho raccontato di uno scrittore famoso che beveva come una spugna, uno scrittore che quando era ubriaco lo andavano a raccattare per strada, insomma col padrone è meglio non scherzare perché quello prende tutto alla lettera, e quando mi ha dato il quaderno ha subito specificato che era per lui, solo per lui, che non lo avrebbe letto nessun altro, allora gli ho chiesto perché ci tenesse tanto, a quel quaderno, e lui ha risposto che non voleva che il Credito a morte scomparisse così da un giorno all’altro, la gente di questo paese non è abituata alla conservazione della memoria, ha aggiunto, l’epoca delle storie raccontate dalla nonna anziana è finita ormai, adesso tocca alla scrittura perché scripta manent, mentre le parole sono fumata nera, piscio di gatto selvatico, al padrone del Credito a morte non piacciono le frasi fatte tipo «in Africa, quando muore un vecchio, è una biblioteca che brucia», ogni volta che sente questo luogo comune subito ribatte furioso «dipende dal vecchio, smettiamola con le cazzate, io mi fido solo della parola scritta», insomma è soprattutto per fargli piacere se di tanto in tanto scribacchio senza neanche sapere bene quello che dico, e non lo nascondo, da un po’ di tempo in qua ci ho preso gusto, ma mi guardo bene dal dirglielo altrimenti chissà cosa si immagina e mi incita ancora di più a mettermi all’opera, mentre io voglio essere libero di scrivere quando mi pare e piace, non bisogna lasciarsi schiavizzare, mica sono il suo negro, scrivo anche per me stesso, è per questo che non vorrei essere al suo posto nel momento in cui sfoglierà queste pagine dove non risparmio nessuno, comunque quando leggerà questa roba non sarò più cliente del suo bar, trascinerò le mie quattro ossa altrove, dopo avergli consegnato di straforo il materiale e avergli detto «missione compiuta» 10 ma prima di tutto devo accennare alla polemica sorta dopo l’apertura del bar, devo dire due parole sul calvario vissuto dal padrone, davvero hanno provato a fargli esalare l’ultimo respiro, a fargli scrivere il suo testamento di Giuda, è cominciata con gli uomini di Chiesa, che accorgendosi della diminuzione del numero di fedeli la domenica si sono imbarcati in una vera e propria guerra santa contro il Credito a morte, uno alla volta sono venuti a lanciare la Bibbia di Gerusalemme davanti alla soglia del locale, dicendo che se andava avanti così non ci sarebbe più stata una messa in tutto il quartiere, niente più trance al momento degli inni, niente più Spirito Santo che scende sul quartiere Trois-Cents, niente più fragranti ostie nere, niente più vino dolce, sangue di Cristo, niente più ragazzi del coro, niente più suore pie, niente più ceri, niente più elemosina, niente prime comunioni, niente cresime, niente catechismo, niente battesimo, più niente di niente e allora via, tutti dritti all’inferno, poi c’è stato il colpo di mano dell’associazione cornuti della domenica e altre festività, i quali sostenevano che se le donne ormai non erano capaci di stare al loro posto in cucina, se le donne non li rispettavano più come le dame del tempo che fu la colpa era tutta del Credito a morte, perché ci vuole Alain Mabanckou Pezzi di vetro rispetto, dicevano, e chi meglio di una moglie può rispettare un marito, è così dall’epoca di Adamo ed Eva e quei bravi padri di famiglia non vedevano perché bisognasse capovolgere la situazione, insomma le loro donne dovevano strisciare, eseguire gli ordini del maschio, così dicevano, ma non l’hanno spuntata, e poi ci sono state le minacce di una vecchia associazione di ex alcolisti riconvertiti all’acqua, alla Fanta, all’Oransoda, alla granatina, alla bissap senegalese, al succo di pompelmo e alla coca light adulterata in Nigeria con foglie di canapa indiana, insomma quegli integralisti lì hanno assediato il bar per quaranta giorni e quaranta notti ma nemmeno loro l’hanno spuntata, poi c’è stata l’azione mistica dei guardiani della morale tradizionale, tutti i capitribù a gettare amuleti sulla soglia del locale, con tanto di maledizioni contro il padrone e anime morte dotate di parola che profetizzavano la fine a fuoco lento del gestore e che piano piano lo avrebbero convinto a salire da solo su un bell’ascensore per il patibolo, ma nemmeno questi l’hanno spuntata, e alla fine c’è stata l’azione terroristica di teppisti assoldati da qualche vecchio stronzo di quartiere nostalgico della residenza di de Gaulle, delle gioie della vita da boy e delle onorificenze per vecchi negri, insomma nostalgici dell’epoca dell’Exposition coloniale e del Bal nègre di Josephine Baker che si dimenava con il gonnellino di banane, e allora tutta questa brava gente ha teso al padrone un agguato senza fine, hanno mandato i loro scagnozzi incappucciati, sono arrivati in piena notte, col cuore di tenebra, sono arrivati con spranghe di ferro di Zanzibar, mazze e randelli da Medioevo cristiano, zagaglie avvelenate dell’epoca di Shaka Zulu, falci e martelli comunisti, catapulte della Guerra dei cent’anni, falcetti gallici, zappe pigmee, molotov del Maggio francese, coupe-coupe ereditati a colpi di machete in Ruanda, fionde della celebre lotta tra Davide e Golia, ma nonostante questo arsenale impressionante 12 nemmeno loro l’hanno spuntata, benché abbiano comunque demolito parte del locale, ne ha parlato tutta la città, ne ha scritto qualsiasi tipo di giornale, «La rue meurt», «La Semaine africaine», «Mwinda», «Mouyondzi Tribune», è venuto perfino qualche turista dai paesi limitrofi a godersi lo spettacolo da vicino, sembravano pellegrini al Muro del pianto, scattavano una foto dietro l’altra, a che scopo non si sa, comunque scattavano, c’erano addirittura alcuni concittadini che non avevano mai messo piede nel quartiere Trois-Cents e lo scoprivano solo adesso, chiedendosi stupefatti come facesse la gente a vivere in tale armonia con l’immondizia, i fossi, le carcasse di animali domestici, le macchine bruciate, la melma, lo sterco, le voragini sui viali e le case sul punto di crollare, e il nostro barman si è messo a rilasciare interviste a destra e a manca, e dall’oggi al domani il nostro barman è diventato un martire, dall’oggi al domani il nostro barman ce lo siamo ritrovati su tutti i canali, si è messo a parlare in lingala per la gente del nord del paese, in munukutuba per quelli della foresta del Mayombe, in bembe per gli abitanti della diga di Moukoukoulou che hanno la mania di risolvere le controversie col coltello, adesso lo conoscono tutti, è famoso, ispira compassione, lo vogliono aiutare, arrivano lettere di incoraggiamento, petizioni in favore di quest’uomo coraggioso che da allora è soprannominato «Lumaca testarda», ma si può sempre contare sugli ubriaconi, solidali fino all’ultima goccia di vino e pronti a passare all’azione, si sono rimboccati le maniche e hanno riparato i danni materiali causati dai nostalgici dell’Exposition coloniale, della residenza di de Gaulle, del Bal nègre di Josephine Baker e quella storia, per certi versi banale, è diventata un a∂are di Stato, è diventata l’«a∂aire Credito a morte», se n’è discusso perfino in Consiglio dei ministri e alcuni responsabili del sistema paese hanno preteso la chiusura immediata e senza condizioni del locale, 13 Alain Mabanckou Pezzi di vetro mentre altri vi si sono opposti con argomentazioni a malapena più convincenti, di colpo il paese si è ritrovato spaccato in due da quel piccolo litigio tra lucertole, e allora, con l’autorità e la saggezza che lo contraddistinguono, il ministro dell’Agricoltura, dello Sviluppo economico e della Piccola e media impresa Albert Zou Loukia ha preso la parola e ha pronunciato un intervento memorabile, un intervento che qui da noi è ricordato come uno dei più bei discorsi politici di tutti i tempi, il ministro Zou Loukia ha ripetuto a più riprese «io accuso», e tutti ne sono rimasti talmente folgorati che nelle strade, per una parola di troppo, per qualsiasi futile motivo, si sentiva ripetere «io accuso», perfino il capo del governo ha detto al suo portavoce che il ministro dell’Agricoltura parlava bene e che la sua espressione ormai popolarissima «io accuso» sarebbe stata tramandata ai posteri, e il primo ministro ha promesso che al successivo rimpasto di governo avrebbe conferito al ministro dell’Agricoltura il portafoglio della Cultura, bastava cancellare le prime quattro lettere e sostituire la «o» con una «u», fino ad allora ci si sarebbe accontentati di riconoscere che il ministro aveva pronunciato un discorso brillante, riportando pagine intere dei grandi autori che di solito si citano volentieri a tavola, sudando come faceva sempre quando era fiero di avere conquistato l’uditorio grazie alla sua erudizione, e così aveva preso le difese del Credito a morte, prima lodando l’iniziativa del Lumaca testarda, che conosceva bene perché erano stati insieme alle elementari, e concludendo poi con queste parole che cito a memoria: «Io accuso, signore e signori del Consiglio, non voglio essere complice di un clima sociale agonizzante pari al nostro, non voglio avallare una caccia all’uomo con la mia permanenza in questo governo, accuso le bassezze perpetrate contro chi cerca soltanto di imprimere un indirizzo alla propria esistenza, accuso la pochezza degli atteggiamenti retrogradi di 14 questi ultimi tempi, accuso l’inciviltà dei comportamenti barbari orchestrati da figuri in malafede, accuso gli oltraggi e le provocazioni ormai divenuti moneta corrente nel nostro paese, accuso la complicità subdola di chi arma di bastone la mano di teppisti e facinorosi, accuso il disprezzo dell’uomo sull’uomo, l’intolleranza, l’oblio dei nostri valori, l’avanzata dell’odio, l’inerzia delle coscienze, i rospi della savana, sì, signore e signori del Consiglio, guardate come il quartiere Trois-Cents si è trasformato in una città senza sonno con un volto di pietra, ebbene, l’uomo che ormai tutti chiamano Lumaca testarda, oltre al fatto di essere stato un tempo mio compagno di scuola, molto intelligente peraltro, l’uomo oggi braccato è in realtà vittima di un complotto, signore e signori del Consiglio, uniamo piuttosto i nostri sforzi e bracchiamo i veri malviventi, accuso insomma chi paralizza impunemente le nostre istituzioni, chi spezza volontariamente la catena di solidarietà ereditata dai nostri antenati bantu, sappiate che l’unica colpa di Lumaca testarda è aver mostrato ai nostri compatrioti che chiunque, ciascuno a suo modo, può contribuire alla trasformazione della natura umana secondo l’insegnamento del grande Antoine de Saint-Exupéry in Terra degli uomini, e per questo io accuso, e mai smetterò di accusare» il giorno successivo all’intervento del ministro Zou Loukia, il presidente della Repubblica in persona, Adrien Lokouta Eleki Mingi, si è preso una tale arrabbiatura che ha spappolato l’uva con cui di solito gli piace concludere il pasto, così Radio Serva Fm ci ha subito reso edotti del fatto che il presidente Adrien Lokouta Eleki Mingi, peraltro generale delle forze armate, aveva manifestato tutta la sua invidia verso l’espressione «io accuso» del ministro dell’Agricoltura, anzi il presidente-generale 15