piccoli oggetti e installazioni

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piccoli oggetti e installazioni
Maravee 2008 – Recycle
RE – Design
Museo CID di Torviscosa
Inaugurazione venerdì 11 luglio ore 21.00.
Aperta fino al 3 agosto: merc. 9-13, sab. 10-13 / 16-19, dom. 15-20.
Approfondimenti sugli oggetti esposti
Dopo aver realizzato le installazioni ambientali a Villa Ottelio-Savorgnan, mettendo in
scena la loro capacità di misurarsi con spazi architettonici e naturalistici, Roberta
Debernardi e Ines Paola Fontana presentano alcuni gioielli, un arazzo e un corpetto,
quindi oggetti di design destinati alla casa e al corpo. Tutti rigorosamente ottenuti con
materiali di recupero. Bottoni di modernariato, recuperati nei mercatini, tessuti, scarti di
lavorazione di metalli, pezzi di vecchi strumenti musicali o, comunque, attinti da oggetti
che hanno vissuto funzioni diverse, dalle quali sono stati spostati e re-inventati per
formalizzarsi in estrosi gioielli, in cui il sapore del passato, il trascorso incollato sui
materiali di recupero si trasla in curiosa innovazione. L’arazzo e il corpetto sono ottenuti
con scarti di lavorazione di sartoria e tappezzeria, quindi con materiali che altrimenti
sarebbero stati gettati via, ma anche con tessuti già usati per l’abbigliamento e i
complementi d’arredo, quindi già portati e usati. In ogni caso si tratta di frammenti cuciti
assieme con grande maestria, con una tecnica — quella del patchwork — che, pur di
provenienza casalinga, viene risolta con una puntuale abilità professionale. E’ un lavoro
attento alle superfici, all’equilibrio delle masse cromatiche, che in particolar modo
nell’arazzo assottiglia ancor di più il limite tra design e arte, perché come un quadro
l’arazzo è destinato alla parete e alla sola contemplazione. Pur ottenuto con la
medesima attenzione formale e precisione esecutiva, il corpetto appare risolto con linee
più organiche e morbide, che prefigurando quelle del corpo che lo vestirà, offrono un
ulteriore esempio di una creatività capace, nel suo farsi, di delineare l’identità formale e
oggettuale a ridosso della funzione d’uso alla quale ogni pezzo è destinato.
In questa mostra Anna Lombardi non espone degli oggetti. Dopo il sopraluogo nello
spazio espositivo ha deciso di realizzare uno specifico intervento ambientale, ideato a
ridosso dell’identità architettonica della torre panoramica e del suo inserimento
urbanistico. Partendo dal presupposto che il design può elevarsi ad elemento strategico
di grande importanza nella creazione di prodotti eco-compatibili, ha pensato di proporre
un intervento di natura prioritariamente concettuale, ma comunque dotato di un grande
impatto visivo. Ha lanciato un messaggio e lo ha fatto operando sulle vetrate di quella
torre che, emergendo dal panorama, Anna utilizza come un forte segno di
comunicazione, come si trattasse di un’antenna radio o tv, di un trasmettitore di parole e
immagini. Parole che ha inciso come un graffito sui vetri occultati con pittura bianca e
così traslati nelle pagine di un grande quaderno o di un manifesto murale. Su quelle
pagine ha inciso brevissime e semplici frasi, che riguardano il rapporto tra design e
sostenibilità ambientale. Sono parole chirografate, perché il gesto della mano è un
trasmettitore diretto del pensiero, che non tradisce l’emozionalità. Parole scritte a
rovescio dall’interno della torre, che s’innalzano nel cielo e si leggono da fuori, mettendo
in atto la relazione fra esterno e interno, leggibile su due registri: l’emozionalità e la
razionalità, lo spazio abitativo e l’ambiente naturale o urbano. Nello spazio espositivo
quelle frasi appaiono come delle astrazioni, come delle sorte di geroglifici, dei segni
privati di senso, mentre da fuori, arrivando al Museo, comunicano dei contenuti,
annunciando il senso dell’intera mostra. Questa relazione tra fuori e dentro ci parla
dell’informalità dell’emozione e della formalizzazione della razionalità, così come della
parziale consapevolezza del mondo dall’interno dello spazio abitativo e di una più ampia
presa di coscienza nel momento in cui lo sguardo e l’attenzione si trasferiscono nel
paesaggio. E, soprattutto, ci dice della necessità di mettere insieme questi diversi punti
di vista, gli uni complementari agli altri.
Karl Emilio Pircher e Fidel Peugeot, dello studio Walking Chair, espongono
alcuni dei loro prodotti più incisivi sul fronte dell’eco-design, che traducono in
chiave oggettuale la filosofia che caratterizza il loro intero operato. Fondata
sull’idea che il progetto di un elemento d’uso debba nascere da un contenuto, da
un’idea che s’intende comunicare, traccia il passo di una creatività molto vicina a
quella dell’artista tout court, in cui le storie delle persone e dei loro gesti si
elevano a motore dell’ideazione stessa. Nelle opere esposte, l’azione di recupero
avviene sul ready-made, sull’oggetto già fatto, piuttosto che sui materiali. Si
tratta di bottiglie di plastica, che hanno portato a termine la loro funzione di
contenitore e, grazie al recupero operato dai designer, ora si apprestano a
divenire altro da sé. In Pet-Light le bottiglie riciclate sono decorate internamente
con materiale casalingo di scarto, quindi in tal caso contemplano anche il
recupero di piccoli frammenti provenienti da contesti e utilizzi ancora diversi.
Deformate con il calore e poi appese in un’apposita struttura, formano un
originale lampadario ecologico. Bottleboy è invece un sistema che utilizza le
bottiglie di plastica come colorati e componibili appendiabiti a parete. In entrambe
i casi appare evidente il gesto del recupero in chiave ecologica e, al contempo,
un’incisiva azione creativa, sia sul fronte formale che su quello cromatico. La
prima si esplica con un’operatività tesa fra scultura e alchimia, laddove a
plasmare la plastica alterando la forma originaria della bottiglia è l’azione del
calore; la seconda chiama invece in causa un altro gesto di recupero, dettato
dalla selezione di materiali in base a puntuali esigenze di colore. Entrambi gli
oggetti sono corredati da istruzioni per una produzione self made, laddove le
bottiglie possono essere cambiate. In questo modo Walking Chair suggerisce un
altro gesto ancora, quello di coloro che, possedendo quel lampadario o
quell’appendiabiti, decidono di trasformarlo, ancora e sempre riciclando.
Barbara Ambrosz e Karin Stiglmair dello studio Lucy.d progettano prodotti di
design e architetture d’interni per generare nuovi pensieri, ma sempre a partire
dal coinvolgimento emozionale. Questa scelta pone Lucy.d al centro della teoria
del sociologo Michel Maffesoli, secondo il quale ci siamo distanziati dalla società
razionale per vivere nella società emozionale, dove in luogo del progresso inteso
come proiezione fallica verso il futuro, il futuro si progetta contemplando anche il
passato e il presente, quindi entro una linea formalmente spiralica. E’ su questa
linea che nascono gli oggetti di Lucy.d, come quelli del progetto Ryker_dinner
service, per il quale sono state recuperate, nei mercati dell’usato, porcellane
cinesi di varie dimensioni, forme ed epoche, poi assemblate in un unico servizio
di piatti. Su ogni piatto è stato applicato un elemento grafico ottenuto con fogli di
platino, che determina una geometria argentata, che, dopo la riverniciatura e la
ricottura, lascia emergere una sezione quadrata del decoro originario della
porcellana. E’ un chiaro esempio di recupero del passato, attraverso un oggetto
d’uso il cui unico valore, ormai, è quello della storia e del ricordo dei gesti che
quell’oggetto hanno manipolato e vissuto. Recupero del passato che l’azione
creativa, fra l’altro operata con l’utilizzo di un materiale prezioso, riconsegna al
presente anelando al futuro.
Karin Maislinger, della fashionlabel Kontiki, ha elevato l’ideale ecologico a
fondante obiettivo della sua operatività, a tal punto da considerare il proprio
processo ideativo un vero e proprio “servizio” a tale ideale. La serie intitolata The
acquatic series è composta da borse ottenute con camere d’aria di gomma
provenienti da biciclette riciclate. Un materiale insolito, per un accessorio
vestimentario, che oltre a ribadire la volontà di recuperare qualsiasi cosa per
rimetterla nel ciclo della produzione e della funzionalità, porta con sé un incisivo
valore simbolico, legato al dinamismo di un’esistenza quotidiana votata al rispetto
ambientale: dalle ruote delle biciclette, che girano in città senza inquinare, le
camere d’aria passano ad un accessorio da portare sul corpo, per ritornare a
cavalcare una bicicletta o per passeggiare su quelle stesse strade. Tutte
composte da una trama fitta, che enuncia l’intrinsecità del materiale utilizzato, ma
solo dopo averlo osservato attentamente, perché di primo acchito potrebbe
apparire non gomma ma pelle o eco-pelle, queste borse sono connotate da una
singolare texture. Risolta in linee verticali, orizzontali od oblique, si eleva a “pelle”
singolare e altamente caratterizzante, che di volta in volta prende corpo in forme
classiche, che ridisegnano le diverse tipologie dell’oggetto in questione, o in
soluzioni più estrose, che ammiccano ad una ricerca di valenza scultorea.
Con gli oggetti proposti da F Maurer la biforcazione del tema di Maravee in riciclo e
riutilizzo ritorna sul primo termine della questione, sviluppandolo in chiave concettuale. F
Maurer non recupera e non riutilizza materiali e ready-made, ma ricicla l’dea di una
forma oggettuale traslandone il suo principio funzionale. Forme antiche, di contenitori
diversi, anche legati a specifiche tradizioni regionali, come nel caso di contenitori per il
vino; così come formalismi di oggetti contemporanei, come le bottiglie di plastiche,
vengono osservate e ri-create, in vetro, per diventare vasi. Contenitori per i fiori o per il
nulla, laddove il vaso vive anche di vita propria, come oggetto da contemplare entro uno
spazio abitativo, come elemento scultoreo in cui si sviluppa la relazione tra interno ed
esterno, pieno e vuoto, oggetto e spazio circostante. Il ricordo della forma che ha
ispirato il designer conferisce al vaso una valenza temporale, la familiarità e la vicinanza
di un ricordo, personale e collettivo, poi spiazzata dalla nuova funzionalità e identità.
Seppur risulti meno evidente l’azione di recupero, perché affidata solo all’idea, questo
lavoro puntualizza il filo rosso del principio stesso del riciclo, che può attuarsi con
interventi minimi, con minimi spostamenti d’immagini e pensieri, di gesti, di materiali e di
cose, come del resto dimostrano tutti i designer in mostra.
Samantha Punis
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con la collaborazione per la diffusione web di Luca Signorini