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piano d`azione e di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei
PIANO D’AZIONE E DI INTERVENTI PER LA TUTELA
DEI DIRITTI E LO SVILUPPO DEI SOGGETTI IN ETA’
EVOLUTIVA 2002-2004
Premessa
Considerazioni generali
Parte prima, 2.1, Giustizia minorile
Parte prima, 2.1, Difensore pubblico per l’infanzia e l’adolescenza
Parte prima, 2.3; Parte terza, 3.5, La partecipazione dei bambini e dei ragazzi
Parte seconda, 3.2 , “Il voucher non è uno strumento”
Parte terza, 2, I bambini e i media
Parte prima, 2.6; Parte terza, 2, Cooperazione internazionale
Parte prima, 2.6; Parte terza, 2, Sostegno a distanza
Parte terza, 2 e 3.4, I minori stranieri
Parte seconda, 2.6, Sfruttamento sessuale dei bambini a fini commerciali
Adozioni Internazionali
Sostegno alle famiglie adottive ed affidatarie .
Parte terza, 3.2 e 4, Diritto del minore a crescere in una famiglia
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Premessa
Quelle che seguono sono alcune considerazioni su aspetti generali e specifici del Piano,
elaborati da un gruppo di lavoro∗ delle più di quaranta Associazioni e Organizzazioni
Non Governative che da tre anni operano all’interno del coordinamento PIDIDA (Per i
diritti dell’infanzia e dell’adolescenza).
Sono state elaborate sulla base dei contenuti della Convenzione ONU sui diritti
dell’infanzia e dei suoi protocolli opzionali, del documento “Un mondo a misura di
bambino” adottato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite dedicata all’infanzia
(New York, maggio 2002) e delle Osservazioni conclusive del Comitato ONU sui diritti
dell’infanzia recentemente rese pubbliche (31 gennaio 2003).
La loro formulazione sono frutto anche del lavoro comune svolto nella stesura del
“Rapporto Supplementare alle Nazioni Unite del Gruppo di lavoro per la Convenzione sui
Diritti del Fanciullo” (2001) e di “Un piano per l’Infanzia. Per dare voce alle bambine e ai
bambini. Le proposte del Forum permanente del terzo settore” (Novembre, 2002).
Considerazioni generali
Tra i principi fondamentale della Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia (che
comprende la fascia d’età da 0 a 18 anni) vi è il riconoscimento del bambino e
dell’adolescente come soggetto di diritti. Sarà quindi importante ribadire tale concetto
all’interno del Piano in discussione. Esprimiamo quindi la nostra preoccupazione
relativamente all’impianto generale del Piano nel quale: mentre riconosciamo il diritto di
ogni minore ad avere una famiglia, ed è sulla base di questa considerazione che
sviluppiamo alcune delle considerazioni riportate qui di seguito su questioni specifiche,
contemporaneamente riteniamo che i troppi richiami alla famiglia spostino
sostanzialmente la finalità precipua del Piano che è e dovrebbe continuare ad essere un
piano per l’infanzia.
Sulla base delle Osservazioni conclusive del Comitato dei dieci recentemente pubblicate
esprimiamo la nostra preoccupazione per la scarsa attenzione presente nel Piano agli
effetti sulle politiche per l’infanzia dei cambiamenti istituzionali recentemente introdotti in
Italia. Facciamo in particolare riferimento al più accentuato decentramento, e alla
corrispondente necessità di vigilare e approntare le necessarie misure per assicurare un
coordinamento tra istituzioni centrali e locali, in materia di leggi, politiche e risorse
destinate all’infanzia.
Inoltre, non sembra possibile una chiara individuazione delle risorse economiche con le
quali verranno realizzate le politiche e le attività previste nel Piano. Esprimiamo la nostra
preoccupazione per la possibilità che venga perseguita, anche in questo ambito, una
politica di “riforme a costo zero.” Proprio sulla base dell’apprezzamento fatto nel Piano ai
risultati di Leggi quali la 285/97, e di iniziative quali “Le città sostenibili dei bambini e
∗
Composto da Amnesty International, ARCIRAGAZZI, AVSI, CIAI, ECPAT, Legambiente, Save the children,
UNICEF-Italia, VIS
2
delle bambine”, non è chiaro se e come verranno nuovamente finanziate. Speriamo inoltre
che presto si appronteranno tutte le misure necessarie a comprendere quante risorse
vengono destinate, complessivamente, nel nostro paese all’infanzia. Domanda alla quale
nessuno, allo stato attuale, sembra essere in grado di rispondere.
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Parte prima 2.1
Giustizia minorile
Guardiamo con apprezzamento all’impegno assunto dal Governo, nel presente Piano
d’Azione 2002 - 2004, di ratificare la Convenzione Europea sull’esercizio dei diritti dei
bambini, che attende dal 1996 di essere assorbita nel nostro ordinamento nazionale, quale
indispensabile strumento per la tutela dei diritti dei minori. La ratifica della Convenzione
(che ci auguriamo intervenga nel più breve tempo possibile) contribuirà a mantenere alta
nel nostro Paese l’attenzione “all’ascolto” del minore, soprattutto alla vigilia dell’entrata in
vigore della disciplina sulla difesa d'ufficio e sul patrocinio a spese dello Stato nei giudizi
civili minorili. La ratifica avvierà inoltre il nostro ordinamento giuridico verso una
maggiore rispondenza con la Convenzione ONU sui diritti dei bambini e in particolare
con il principio universale dell’”interesse superiore del minore”, che deve essere sempre
forza ispiratrice per il Legislatore anche in materia di giustizia minorile.
Le associazioni e ONG aderenti alle Linee guida per la Riforma della giustizia Minorile
(vedi allegato) attraverso il documento, diffuso già dal luglio 2002 quale frutto di una
profonda riflessione che ha coinvolto la maggioranza delle associazioni del Terzo settore,
hanno sottolineato l’importanza delle ratifica della Convenzione di Strasburgo.
Partendo proprio dall’analisi dei principi in essa contenuti, dalle Regole di Pechino del
1985, come dal complesso degli articoli della Convenzione sui diritti dell’infanzia del 1989,
i promotori delle Linee Guida hanno delineato, nella successione dei dieci punti del
documento, le linee d’indirizzo per affrontare la ormai necessaria riforma della giustizia
minorile (di cui anche il Piano d’Azione 2002-2004 fa menzione nella Parte terza ), nel
pieno rispetto dei diritti e le esigenze dei minori, i quali versano in una situazione “di
particolare debolezza” quando vengono a contato con il sistema della giustizia.
L’audizione dello scorso 26 settembre 2002 (vedasi testo sul sito della stessa Commissione
parlamentare per l’infanzia nell’indagine conoscitiva sull’abuso sessuale) ha permesso di
esprimere questo indirizzo in maniera inequivocabile; in tale sede è stata infatti
sottolineata l’importanza:
• di destinare risorse finanziarie adeguate per la riforma della giustizia minorile,
escludendo la possibilità di potere attuare nel nostro Paese una riforma della
giustizia “a costo zero” e sollecitando invece ad attenersi alle indicazioni del
documento finale della Sessione ONU sui diritti dell’Infanzia di maggio 2002,
sottoscritto anche dall’Italia, che ha impegnato gli Stati sottoscrittori a mobilitare e
allocare risorse per fare rispettare e difendere i diritti dei bambini (vedasi “Un
mondo a misura di bambino” 8/10 maggio 2002; Sessione Speciale sull’infanzia,
New York);
• di adottare sempre leggi e provvedimenti per i giovani autori di reati che rispondano
alle loro esigenze di soggetti in crescita, titolari di diritti e alle loro prospettive di
maturazione (vedasi Linee Guida allegate);
• di accorpare tutte le competenze in materia di minori, civili e penali, in capo ad un’
unica istituzione giudiziaria specializzata e di garantire, in base a precisi e
esaurienti criteri (come suggerisce anche la Relazione sulla giustizia Minorile,
redatta dalla Commissione parlamentare Infanzia, che propone la “ individuazione di
strumenti idonei a garantire l’effettiva specializzazione del giudice e dell’intervento del
Pubblico Ministero”), la specializzazione di tutti i soggetti preposti alla giustizia
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minorile (principio della specializzazione adeguata della componente togata e non
togata): nell’ottica che ogni processo riguardante un minore sia svolto di fronte a un
giudice o a un collegio giudicante indipendente e imparziale e competente (vedasi
Linee Guida – punto 2 e 3);
A tal fine è necessario garantire l’esclusività delle funzioni dei giudici per i minori,
senza attribuzioni di competenze ulteriori e diverse rispetto a quelle che riguardano
la materia minorile e familiare (vedasi Linee Guida);
di assicurare un organico adeguato e una effettiva capillarità sul territorio nazionale alle
istituzioni giudiziarie specializzate per i minori, allo scopo di avviare un rapporto
più proficuo con i contesti sociali territoriali e di permettere un più facile acceso alla
giustizia;
di provvedere che tutte le procedure del processo minorile civile e penale proteggano
“al meglio” gli interessi del minore e permettano la sua partecipazione e la sua
libera espressione (regola del contraddittorio); ricordiamo l’art. 111 co. 2 della
Costituzione che recita “ogni processo si deve svolgere nel contraddittorio tra le parti, in
condizioni di parità, davanti un giudice terzo e imparziale” norma fondamentale, che
deve trovare particolare applicazione soprattutto nei procedimenti giuridici
riguardanti i minori (vedasi Linee Guida – punto 4);
di assicurare che il minore in giudizio sia assistito da un rappresentante legale ( si
rimanda in particolare al testo del punto 5 delle Linee Guida), e che sia data voce
alle sue istanze attraverso una figura professionale, anch’essa altamente
specializzata. Recentemente, anche da una prima analisi gli emendamenti all’A.C.
2517 (approvati dal Consiglio dei Ministri del 7 marzo scorso), sembrerebbe che il
nostro Paese si stia orientando realmente in tal senso e noi ci auguriamo che ai
minori venga riconosciuto pienamente il diritto di esprimere la propria opinione su
ogni questione che li riguardi (art. 12 Convenzione ONU);
di stabilire regole specifiche per l’ascolto del minore (superamento della disorganicità
normativa in materia). Dette norme devono essere in grado di garantire la
partecipazione attiva del minore nei procedimenti giuridici che lo riguardano, in
conformità alla Convenzione di Strasburgo riconoscendo il diritto del minore di
essere adeguatamente informato delle procedure giuridiche che lo riguardano ed il
corrispondente dovere per il giudice di assicurarsi che il minore riceva le dovute
informazioni. Non solo: le regole relative all’ascolto del minore devono essere in
grado di assicurarne la protezione psicologica e morale per tutta la durata dei
provvedimenti civili e penali che li riguardano (vedasi punto 6, Linee guida
allegate).
di non azzerare la presenza e il peso della componente onoraria, visto il ruolo
importante, ampiamente riconosciuto e dimostrato, del supporto interdisciplinare,
che ha garantito in tanti anni di lavoro dei Tribunali per i Minorenni sia in sede
penale sia in sede civile che i provvedimenti giudiziari fossero davvero a misura dei
bambini e a tutela del loro superiore interesse. In particolare in materia penale il
supporto interdisciplinare ha consentito che i provvedimenti adottati fossero
proporzionati alle circostanze, alla gravità del reato ma anche alla situazione del
minore e alla tutela dei suoi diritti (vedasi Linee Guida – punto 7)
di avviare – lo ribadiamo - una riforma della giustizia minorile che razionalizzi e
unifichi le competenze civili e penali, snellisca i procedimenti giuridici minorili e li
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disciplini con pienezza di garanzie processuali: quindi tutelando i diritti dei minori
in giudizio;
di mantenere il ruolo dei servizi socio-assistenziali e sanitari territoriali, di favorire una
loro piena collaborazione con le istituzioni giudiziarie, - attraverso la stesura di
precisi protocolli d’intesa - e una proficua sinergia con i servizi del Ministero della
Giustizia, pur nel rispetto reciproco dei ruoli (vedasi Linee guida - punto 8);
di considerare la condanna del minore a pene detentive quale provvedimento di ultima
risorsa (art. 37 Convenzione ONU, art. 17 regole di Pechino), restando nell’ottica
che la pena deve svolgere funzione di recupero del minore per il suo futuro
reinserimento nella società e non solo funzione riparatrice e punitiva.
Esprimiamo preoccupazione per la tendenza, che si ravvisa in Italia, alla creazione di un
impianto giuridico minorile meramente sanzionatorio; mentre, come indicato nel
punto 9 e 10 delle Linee Guida, sostiene l’importanza della messa alla prova,
dell’indirizzo verso forme alternative alla detenzione (art. 18 regole di Pechino),
della mediazione penale (ove possibile), senza limitazioni di sorta per fattispecie di
reato o per durata minima di espiazione della pena in caso di liberazione
condizionale: affinché si diversifichi la risposta a fronte del reato di un minore:
risposta che deve essere adeguata alla gravità del fatto, ma soprattutto alla
personalità e alle esigenze educative del minore;
di non modificare le diminuenti e le attenuanti per i minori di età tra i 16 ed i 18 anni spinti dall’esigenza di tranquillizzare la collettività - di escludere il passaggio, al 18
anno di età, al carcere degli adulti, nel caso che la pena a carico del minore possa
essere espiata entro il 22mo anno d’età. Al contrario ribadiamo l’importanza di
privilegiare il trattamento del giovane adulto in appositi istituti, fino al compimento
della pena, così da consentirgli di terminare il proprio programma di recupero,
come anche indicato dalla Commissione parlamentare infanzia nella suddetta
Relazione sulla giustizia Minorile, al punto K;
Invitiamo pertanto il Governo a non tralasciare quanto evidenziato a suo tempo nelle
Linee Guida e ad attuare la reale trasformazione della giustizia minorile alla luce dei
principi delle Convenzioni internazionali, sottoscritte dall’Italia, quadro di riferimento
universale per interventi a favore dei minori. Inoltre sollecitiamo la riforma
dell’ordinamento penitenziario minorile: in particolare delle disposizioni riguardanti le
modalità di esecuzione delle pene per quanto concerne i minori, per cui la Corte
Costituzionale ha sollecito da tempo un intervento legislativo.
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Parte prima punto 2.1
Difensore pubblico per l’infanzia e l’adolescenza
Il documento finale della Sessione ONU sull’infanzia di maggio 2002, sottoscritto anche
dall’ Italia, specifica, al punto 31 l’impegno dei Governi a porre in essere efficaci
legislazioni politiche e piani nazionali, oltre che di allocare risorse, per fare rispettare e
difendere i diritti dei bambini, assicurando il loro benessere e a creare organismi civici
indipendenti per l’infanzia o altre istituzioni per la tutela e la promozione dell’infanzia.
Siamo favorevoli alla creazione nel nostro Paese di un difensore/tutore nazionale
dell’infanzia e auspica che esso possa avere le seguenti caratteristiche:
• ruolo indipendente dalle funzioni di Governo;
• poteri istituzionalmente definiti;
• lo svolgimento di funzioni di controllo, referenti nei confronti delle strutture
legislative (nazionali e locali), e di funzioni consultive nell’elaborazione di nuove leggi,
procedure e regolamenti riguardanti i minori, etc.
Come anche indicato dal Comitato ONU sui diritti dell’infanzia nel Osservazioni generali
n. 2/2002, tale istituzione dovrebbe presentare le seguenti caratteristiche:
• assicurare l’attuazione dei diritti già stabiliti dalla Convenzione ONU e dalle
convenzioni in materia di tutela dei diritti umani e dei minori;
• porre attenzione esclusiva ai bambini e ai ragazzi;
• accrescere il riconoscimento dei bambini come soggetti titolari di diritti umani,
facendoli assorgere a soggetti di diritto e non più a soli “oggetti” di tutela;
• migliorare la posizione dei bambini di fronte alla legge;
• avere la capacità di far udire la voce dei bambini e delle famiglie e aumentare il peso
dell’infanzia nella programmazione politica, nella vita amministrativa e nella società;
• dare ascolto alle associazioni familiari, educative, sociali, di protezione, promozione e
tutela dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza,
• essere facilmente consultabile dai bambini, dalle famiglie, come dalle organizzazioni di
tutela e promozione dei diritti dei minori;
Attualmente sono alla discussione del Parlamento differenti proposte in materia di tutore
o difensore dell’infanzia, ma vista l’intenzione, manifestata nel presente Piano d’Azione
2002 –2004, a creare un organismo di pubblica tutela del minore, invitiamo il Governo ad
assicurare ad esso autonomia, indipendenza e tutte quelle funzioni necessarie a
promuovere e attuare i diritti dei minori e anche:
•
la tutela interessi particolari, di singoli cittadini o di gruppi, come di bambini
malati, in situazioni di disagio, come di bambini soggetti a provvedimenti
giudiziari, ecc;
•
la tutela e la promozione degli interessi diffusi: attraverso la promozione
della cultura dei diritti fra la cittadinanza e le Istituzioni, la realizzazione di
osservatori, di ricerche, la raccolta e la diffusione di dati, la promozione dello
sviluppo di processi di valutazione dell’impatto sull’infanzia delle scelte politiche,
7
degli atti amministrativi, delle procedure reali nei confronti della qualità della vita
di bambini e ragazzi, ecc.
Tutte le politiche di sostegno alla famiglia non possono che essere benvenute, purchè
non si perda di vista la centralità del minore all’interno di esse. A tale scopo si
suggerisce di affiancare ad eventuali piani di azione regionali per la famiglia (previsti
dal Piano d’Azione 2002-2004) altrettanti piani di azione per l’infanzia, in modo da
creare una collaborazione sinergica tra i differenti soggetti che operano sul territorio:
assessorati per l’infanzia e le politiche sociali, difensori/tutori pubblici per infanzia ed
adolescenza, servizi sociali territoriali ed anche e soprattutto, associazioni ed ONG, che
già operano in modo capillare a livello locale nel campo della tutela dei diritti dei
minori.
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Parte prima 2.3; Parte terza punto 3.5
La partecipazione dei bambini e dei ragazzi
Rispetto al tema della partecipazione delle bambine e dei bambini, delle ragazze e dei
ragazzi colpisce come esso risulti, all’interno del documento, aspetto marginale della vita
dell’infanzia.
Sono, di fatto, due brevi paragrafi che lo prendono in considerazione: il punto 2.3 interventi
per l’adolescenza e il 3.5 sostenere le realtà e le libere aggregazioni giovanili…, utilizzando un
approccio sostanzialmente “famiglia-centrico, emergenza-centrico e scuola-centrico”, che
si abbina all’assenza di indicazioni specifiche rispetto a risorse ed obiettivi.
Cioè soffrono della stessa sofferenza di cui soffre il documento nel suo insieme.
Eppure il tema della partecipazione non può essere liquidato facilmente.
Garantire ai bambini e alle bambine, ai ragazzi e alle ragazze diritto di cittadinanza attiva
significa riconoscerli quali soggetti portatori di diritti, capaci di costruire con gli altri un
legame sociale che non è imposto, ma si configura come scelta libera ; significa alimentare
e sostenere l'attitudine che già hanno a creare e mantenere rapporti sociali amichevoli.
Essere cittadini attivi, oggi, significa far maturare e crescere la cultura della convivenza
civile. E' un indice di qualità del sistema politico e sociale nel quale viviamo, che fa sì che
ciascuno di noi si metta in gioco con gli altri, si senta coinvolto e responsabile di quello che
ci accade. E' quindi un percorso, un progetto di vita che non bisogna dare per scontato, ma
cresce e matura nel tempo. Diventa allora tanto più importante sostenere l'idea che
l'infanzia abbia il diritto di sperimentare questo percorso, abbia il diritto mettere in
comune con altri le proprie energie, nel rispetto dell'individualità di ciascuno e di ciò che
ciascuno può dare per contribuire al bene collettivo. L'educazione ai valori sociali si
costruisce sul fare, non su parole a cui non segua una prassi corrispondente : fare insieme
delle cose consente di costruire una società della convivenza e dell' inclusione, contro una
società delle barriere e dell'esclusione. La città e la pratica del diritto di cittadinanza
diventano così quello spazio sociale che costruisce la comunità e lo star bene con gli altri.
La democrazia è una democrazia forte se la sua forza è quella che deriva dall'esercizio
effettivo di cittadinanza, a cominciare dai cittadini più piccoli. Passaggio di conoscenza e
competenze tra persone, dove ciascuno apprende dall'altro e dall'altro è cambiato, in un
processo di circolarità e di ritorno nella prassi di un comportamento solidale che è innanzi
tutto la capacità di rispetto reciproco, la scoperta delle differenze come ricchezza della
comunità, il riconoscere a bambine e bambini grandi capacità di riflessione e di analisi, se
impariamo ad ascoltarli e ne favoriamo il diritto all'espressione.
Quello che sembra oggi mancare è la costruzione d'identità che si costruisce nel rapporto
con gli altri, con il mondo e i suoi oggetti, con l'infanzia sempre troppo tutelata e rinchiusa
negli angusti recinti di "luoghi" spesso non comunicanti l'uno all'altro. Hanno invece
bisogno di essere considerati persone che possono modificare il proprio ambiente di vita,
nell'accezione più ampia del termine, devono conoscere ciò che li riguarda in tutti i loro
contesti di vita, possono e devono sperimentare l'assunzione di responsabilità che li renda
utili a sé e agli altri.
La partecipazione crea occasioni che consentono ai bambini e ai ragazzi di esercitare in
modo congruo all'età e al contesto quelle abilità sociali che mettono in moto la curiosità, la
conoscenza, il coraggio di chiedere e di rivolgersi a chi si ritiene più competente, la
capacità di individuare i propri e altrui bisogni in modo non stereotipato, di saper lavorare
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con gli altri e assumerne il punto di vista, di saper utilizzare i mezzi di informazione e di
comunicazione, di saper prefigurarsi il futuro e la soluzione di problemi, di progettare il
proprio presente e futuro. Non sono abilità che appaiono per incanto, o quando si è
grandi, ma vanno coltivate ed elaborate con altri. Lo sforzo è quello di consentire a
bambine e bambini di uscire dalla condizione di invisibilità, quello di risvegliarci noi tutti
dall'ansia di tutela che ci affligge, quello di favorire a bambine e bambini di agire e
pensare, e di essere pensati, come soggetti globali in ciascun contesto di vita : dalla
famiglia, alla scuola, al tempo libero.
Rispetto al percorso nel nostro Paese, le esperienze più significative sono quelle che hanno
messo in atto i percorsi delle associazioni educative.
Le esperienze più recenti, che hanno visto la partecipazione di delegati adolescenti
all’UNGASS e alla Conferenza Nazionale di Collodi sono state lo scenario su cui ragazze e
ragazzi hanno dimostrato tutto il loro valore e la loro capacità di pensare ed organizzarsi
quando sono messi in condizione di farlo e con la presenza di adulti non invasivi, ma
capaci di stare a lato nei percorsi di auto promozione di ragazze e ragazzi.
A fronte di queste ancora poche esperienze vi è una generale tendenza ad
istituzionalizzare ogni momento e spazio di vita dei ragazzi. I patti civici per l’uso del
territorio sono ancora nel campo dei principi enunciati prima che pratica diffusa. Così
come il documento in esame risulta un’enunciazione di principi senza che sia in grado di
delineare chiaramente sia lo stato dell’arte delle cose che il come le stesse verranno attuate.
Se non vengono definite le risorse investite, e salvaguardate, l’articolo 7 della legge
285/97, quello che si riferisce alla realizzazione di iniziative legate ai diritti dei bambini e
dei ragazzi, con particolare riferimento alla partecipazione sarà quello che più soffrirà, in
primis culturalmente, di politiche rivolte all’emergenza.
Una proposta che proviene dalla politica
E’ interessante riportare una proposta-provocazione proveniente dal mondo della politica
in merito alla partecipazione dei ragazzi alla vita della Comunità. Verso la fine dell’anno
2000, l’ex Ministra per la Solidarietà Sociale Livia Turco ha lanciato l’idea di portare il voto
amministrativo a 16 anni. Tale proposta non ha avuto alcun seguito “ufficiale”, ma ha per
la prima volta sdoganato l’argomento a livello culturale sull’intero territorio nazionale. E’
auspicabile che tale argomento (con i suoi pro e contro, sui quali si sono scatenati alla fine
del 2000 media, intellettuali e anche politici) possa essere ripreso in futuro.
Conclusioni, criticità e raccomandazioni
In conclusione di questa rapida panoramica intorno all’argomento della partecipazione di
bambini e ragazzi alla vita della comunità, si possono trarre alcune conclusioni, criticità e
raccomandazioni:
a) il concetto di partecipazione dei bambini e dei ragazzi alla vita della comunità è oggi
più maggiormente diffuso che in passato, sia a livello teorico che nella pratica che,
infine, nella legislazione corrente, anche se sembra a rischio per la diffusa percezione di
pericolo che, spesso, il mondo degli adulti prova nei confronti degli adolescenti;
b) rispetto a come i ragazzi sono trattati nei mass media è necessario un ribaltamento
dell’ottica: non è eticamente accettabile, né risponde al vero, che la presentazione che
10
c)
d)
e)
f)
g)
viene fatta degli stessi, avviene solo quando sono oggetto o soggetto di fatti di cronaca.
La partecipazione si configura come rapporto bidirezionale tra generazioni improntato
alla fiducia reciproca e le ragazze e i ragazzi sono portatori di istanze ideali;
a livello scolastico (medie superiori), le esperienze di partecipazione sono ancora
ancorate a meccanismi di partecipazione formale, poco sostanziali e spesso poco diffusi
fra i ragazzi stessi;
la criticità maggiore nelle esperienze di partecipazione – siano esse legate a processi di
riurbanizzazione che a processi partecipativi più ampi (piani regolatori urbani, piani di
recupero urbano, regolamenti comunali, etc.) – risiede nella poca disponibilità delle
strutture amministrative, politiche e i generale “degli adulti” a rivedere le proprie
procedure, le regole burocratiche, le priorità amministrative e soprattutto i tempi di
realizzazione delle azioni a seconda delle esigenze emerse dai bambini e dai ragazzi.
Accade così spesso che processi partecipativi interessanti e complessi coinvolgano
molti ragazzi e bambini, che arrivino ad elaborare progetti e proposte valide per i
ragazzi stessi e per la comunità locale, ma poi le regole attuative delle strutture
preposte da parte degli adulti siano troppo complicate, o semplicemente troppo
“lunghe” nel tempo; in questo modo l’interesse per tali azioni diminuisce e scompare
nel tempo, e ai gruppi di ragazzi coinvolti rimane un senso di frustrazione e di perdita;
legato al punto precedente, vi è spesso il rischio che i ragazzi e i bambini siano
“utilizzati” in processi di riurbanizzazione o anche all’interno di convention e
seminari che analizzano le condizioni di vita dei ragazzi stessi, dando luogo a momenti
non autentici di partecipazione
infine, capita spesso che a livello di monitoraggio e di verifica, tali processi siano
attuati solo ed esclusivamente dagli adulti coinvolti nei processi, e che gli esiti di tali
iniziative risultino essere quasi sempre dei “successi” in termini partecipativi (e come
tali vengano registrati nelle banche dati che sono nate in questi anni).
questa modalità “poco partecipata” è spesso quella che si verifica nell’ambito delle
strutture formali di partecipazione alla vita studentesca (consulte degli studenti)
In generale, a livello di raccomandazioni e di proposte si possono indicare i seguenti
punti:
a) favorire l’ascolto dei ragazzi, sia a livello centrale che a livello locale. Questo permette
sia di attivare sul territorio percorsi partecipati che tengano conto delle esigenze di
quel contesto che di ridurre la forbice avanzante tra aree diverse del paese, così come
raccomandato dal Comitato dei Dieci di Ginevra;
b) è necessario prevedere per il futuro un maggior “rigore” nelle pratiche e nelle
esperienze di partecipazione (nelle scuole, a livello della comunità, a livello ambientale
e urbanistico). In particolare è necessario confidare di più nelle capacità partecipative
di bambini e ragazzi, con meno interventi “interpretativi” da parte di adulti, pur
esperti e preparati;
c) potrebbe essere utile sperimentare azioni di coinvolgimento di figure tipo gli
“Ombudsmen” scandinavi, che lavorano dentro i contesti istituzionali in modo da
tutelare con maggior rigore i diritti dei bambini e dei ragazzi, e tra questi quello che
riguarda la partecipazione;
d) è necessario continuare con le azioni intraprese, specie con quelle che riguardano la
partecipazione a livello della comunità locale contestuale all’ambiente di vita
11
e)
f)
g)
h)
i)
quotidiano dei bambini e dei ragazzi (la scuola, la via e la piazza dove si vive, la
mobilità, la possibilità di produrre e usufruire di “cultura” realizzata da e per i
ragazzi, etc.), senza però insistere con argomenti solo legati a bisogni tipici degli adulti,
quali una richiesta di eccesso di sicurezza (percorsi sicuri all’esterno dei quali i ragazzi
e soprattutto i bambini sembrano avere poche chance di “vivere” la città) e di eccessiva
programmazione del “tempo libero” dei ragazzi (anche in questo caso richiesta legata
ai tempi e ai ritmi degli adulti).
In generale è necessario considerare con maggiore chiarezza che le sperimentazioni (o
anche le abitudini consolidate) di partecipazione dei bambini e dei ragazzi hanno
bisogno di essere seguite da adulti disponibili a mettere in gioco regole e procedure
amministrative e burocratiche. Senza questa disponibilità, molte delle azioni intraprese
si traducono in un grande fallimento, che scoraggia i ragazzi e tende a dimostrare che
queste iniziative sono "poco concrete"
Rivedere i tempi e gli spazi delle città: paradossalmente a fronte di spazi, quali quelli
scolastici che si svuotano, resta inevasa la richiesta delle giovani generazioni di spazi
autogestiti per la musica, il teatro, la socializzazione. Così come appare inattuata la
C.M. 133 che consente l’utilizzazione degli spazi scolastici a scopi extra
Favorire le esperienze nell’associazionismo educativo perché luogo di incontro tra
ragazzi e il gruppo si rivela ambito di crescita e di corresponsabilità
Favorire le esperienze inter associative e con i gruppi informali, così come è successo
con il percorso che il PIDIDA ha attivato al proprio interno con il gruppo di lavoro
sulla partecipazione (vedi allegato).
Dare indicazioni affinché le politiche per l’infanzia a livello di ee.ll. siano riconducibili
ad un coordinamento interassessorile, con la presenza del privato sociale
12
Parte seconda punto 3.2
“Il voucher non è uno strumento”
Il bambino è soggetto di diritto ed ha bisogno di avere momenti di socializzazione e
d’incontro con i suoi coetanei per poter raggiungere benessere culturale e sociale. Sempre
più i luoghi di incontro spontanei come la strada e la piazza sono andati perdendosi e
questo ha provocato un aumento di luoghi chiusi, stereotipati, che non creano interazione,
che non stimolano la fantasia che rappresentano spesso un parcheggio.
I ragazzi d’altra parte hanno bisogno di creare un senso di appartenenza, di identità con il
gruppo dei pari e con il loro ambiente. La modalità del voucher annulla questo senso di
accrescimento culturale e sociale, riducendo ancora di più gli spazi identitari. I luoghi
offerti attraverso il voucher sono di fruizione estemporanea, fine a se stessa, programmata
per “tappare” i buchi educativi. Il rischio è la mercificazione del tempo libero dei ragazzi,
il fatto concreto è la standardizzazione dell’offerta culturale.
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Parte terza punto 2
I bambini e i media
Con l’art 17 della Convenzione sui diritti del fanciullo, “gli Stati si impegnano ad incoraggiare
i mass media a diffondere un’informazione e dei programmi che presentino un’utilità sociale,
culturale ed educativa per il bambino, ed a promuovere l’elaborazione di principi direttivi destinati
a tutelare il bambino contro l’informazione ed i programmi che pregiudicano il loro benessere”.
Negli ultimi anni in Italia sono stati elaborati diversi documenti relativi a questa materia
quali la carta di Treviso del 1990, il codice Tv/minori e il codice deontologico del 1998 ed
inoltre è stato istituito il Consiglio nazionale degli utenti, un organismo per la tutela dei
diritti dei minori nei media. Finora non c’è stata una svolta concreta all’applicabilità di tali
documenti.
Molti bambini decidono da soli cosa guardare, di giorno e di sera. Recenti ricerche hanno
evidenziato, oltre ad una proporzionalità diretta tra crescita dell’età e aumento della
fruizione televisiva, un aumento della fruizione di programmi televisivi serali da parte di
bambini sempre più piccoli. Secondo i dati ISTAT i ragazzi che nella fascia d’età 6-14
guardano la tv sono oltre il 96% di cui oltre il 25% per tre o più ore al giorno.
A tal proposito sono stati individuati una serie di problemi relativi al rapporto bambini –
media, quali:
1. il problema della violenza e della volgarità ricorrenti nei programmi televisivi. Per
violenza si intende tanto la violenza fisica e sessuale, quanto quella morale e
psicologica riscontrabile in azioni e immagini realizzate anche attraverso la pubblicità
rivolta ai bambini. Questo si ritrova anche durante telegiornali o programmi di
informazioni, troppo spesso si punta all’immagine choc che fa audience.
2. Il problema della strumentalizzazione della figura del bambino. Dall’analisi della
presenza dei bambini all’interno dei programmi tv emerge che negli ultimi anni il
ruolo dei bambini ha assunto una funzione sempre più spettacolare, dando forma il più
delle volte a una imitazione alquanto avvilente degli atteggiamenti adulti, mettendo da
parte il significato dell’essere bambini.
3. Il problema del bambino-cliente verso il quale viene indirizzata la pubblicità. La
pubblicità ha subìto una variazione di ruolo: prima la presenza di spot pubblicitari era
il mezzo che permetteva la creazione dei palinsesti, oggi è il palinsesto che viene
costruito per vendere più spazi pubblicitari.
Nel rispetto della Convenzione sui diritti del fanciullo si richiede che:
• I bambini non diventino oggetto, bensì siano protagonisti di notizie, e quindi:
- non vengano strumentalizzati e violentati (come altro definire l’invadenza delle
telecamere fin nei letti d’ospedale durante il dramma di S. Giuliano)
- non siano protagonisti solo ed esclusivamente di notizie negative (babygang, figli che
uccidono e violentano, come in occasione del dramma di Cogne) e di queste non si faccia
un uso morboso come regolarmente accade.
• Siano fornite ai ragazzi informazioni di attualità, di cultura, formulate con un
linguaggio adatto ad un pubblico giovane;
• Vengano promossi programmi televisivi ad hoc per i bambini, che non siano solo una
carrellata di cartoni animati. Un programma televisivo per bambini è prima di tutto un
14
progetto educativo e non solo un intrattenimento che fa dello schermo una baby sitter
elettronica;
• Si valorizzino programmi di qualità già esistenti cercando di inquadrarli in orari più
accessibili al target di riferimento;
• Si dia visibilità alle sanzioni applicate ad eventuali violazioni dei diritti dei minori da
parte dei mass media;
Si diano a bambini, genitori ed insegnanti, tramite momenti di formazione offerti dagli
operatori del settore le conoscenze adeguate per sviluppare un approccio critico ai mass
media (tratto da: “Un piano per l’infanzia. Per dare voce alle bambine e ai bambini. Le
proposte del Forum Permanente del Terzo Settore”);
• Si promuova la creazione di programmi radiotelevisivi gestiti da giovani;
• Si promuova la partecipazione dei bambini alla valutazione e alla scelta dei programmi
televisivi più consoni alle esigenze di un pubblico giovane.
15
Parte prima 2.6; Parte terza punto 2
Cooperazione internazionale
In relazione al punto 2.6 “Gli interventi di sostegno nei confronti dell’infanzia in difficoltà
in altri Paesi del mondo”, le affermazioni riportate non trovano riscontro negli ultimi dati
riportati dall’OCSE relativi agli aiuti pubblici allo sviluppo, che vede l’Italia al penultimo
posto con lo 0,14% del proprio Prodotto Nazionale Lordo, a fronte di un impegno dello
0,7%.
IL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI IN CIFRE - ANNO 2002
Tavola 4.4 – Erogazioni per l'Aiuto Pubblico allo Sviluppo nei Paesi del G7 Percentuali su PNL (1991- 2001)
PAESI Francia GB
1991
1992
1993
1994
1995
1996
1997
1998
1999
2000
2001
0,62
0,63
0,63
0,64
0,55
0,48
0,45
0,40
0,39
0,33
0,34
0,32
0,31
0,31
0,31
0,29
0,27
0,26
0,27
0,23
0,31
0,32
Giapp
0,32
0,30
0,27
0,29
0,28
0,20
0,22
0,28
0,35
0,27
0,28
Germ.
0,40
0,39
0,36
0,34
0,31
0,33
0,28
0,26
0,26
0,27
0,23
Can.
0,44
0,46
0,45
0,43
0,42
0,32
0,34
0,29
0,28
0,25
0,23
Italia
0,30
0,34
0,31
0,27
0,14
0,20
0,11
0,20
0,15
0,13
0,14
USA
0,20
0,20
0,16
0,14
0,10
0,12
0,09
0,10
0,10
0,10
0,11
Fonte: DGCS e OCSE
Presentiamo quindi le seguenti proposte:
Considerata la lunghezza dei tempi che l’approvazione della riforma della legge 49/1987
potrà richiedere, si chiede che:
a)
il Direttore Generale della Direzione Generale Cooperazione allo Sviluppo
(DGCS) bandisca immediatamente il concorso per la nomina degli esperti
previsti dall’art.12, comma 3, della legge 49/1987, e che un numero predefinito
di questi sia costituito da esperti in promozione e protezione dell’infanzia e
dell’adolescenza;
b) le Linee Guida della cooperazione italiana sulla tematica minorile, assunte con
delibera del 26.11.1998 n.180, diventino immediatamente operative: in
particolare si chiede che la DGCS approvi una programmazione strategica a
inizio legislatura specifica per la promozione e protezione dell’infanzia e
16
adolescenza sia per la cooperazione bilaterale sia per la cooperazione
multilaterale, con enunciazione di piani d’azione a breve, medio e lungo
periodo, di risultati attesi, benchmarks e termini temporali di riferimento.
c) il governo italiano rispetti l’impegno sottoscritto in occasione della recente
Sessione Speciale dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite dedicata
all’infanzia (New York 8-10 maggio 2002) nel documento “Un mondo a misura
di bambino”, nel quale vengono esortati “…i paesi sviluppati che non hanno ancora
fatto ciò ad adoperarsi per fa sì che l’obiettivo di devolvere lo 0,7% del loro prodotto
nazionale lordo a favore dell’ODA, come stabilito a livello internazionale, sia raggiunto
quanto prima possibile. Noi ci impegniamo a non risparmiare sforzo alcuno al fine di
invertire la tendenza negativa al ribasso dell’ODA e, come pattutito, di conseguire
celermente l’obiettivo di utilizzare una percentuale tra lo 0,15 e il 0,20 del PNL come
ODA a favore dei paesi meno sviluppati, in considerazione dell’urgenza e della gravità
delle esigenze peculiari dell’infanzia.” A tale proposito chiediamo che almeno lo
0,1% di questa quota sia destinata esclusivamente in favore dei bambini.
d) sia riconosciuto un ruolo importante alla cooperazione decentrata (soprattutto
in termini di disponibilità finanziarie) per azioni di sensibilizzazione ed
educazione allo sviluppo sul territorio nazionale sul tema dell’infanzia del
mondo.
17
Parte prima punto 2.6; Parte terza punto 2
Sostegno a distanza
Proponiamo un censimento delle realtà associative che si occupano di Sostegno a distanza
e realizzazione di campagne di informazione e sensibilizzazione.
Sostegno o adozione a distanza sono solo alcuni dei termini utilizzati per definire una
forma di solidarietà che in questi ultimi anni ha assunto dimensioni davvero significative
anche nel nostro paese.
Nella molteplicità delle sue forme è difficile rappresentare in modo univoco questo
intervento ma è possibile estrapolare alcune sue caratteristiche peculiari.
-
-
-
-
-
Il Sostegno a distanza:
è un atto di solidarietà nei confronti di un minore in difficoltà, della sua famiglia e
della sua comunità, finalizzato alla promozione dello sviluppo umano e sociale nel
paese in cui vivono;
rappresenta uno strumento prezioso per il progresso delle comunità più povere,
attraverso cui le associazioni interagiscono con il Sud del mondo, rispettandone le
differenze culturali in uno spirito di collaborazione paritaria;
è un mezzo di promozione dello sviluppo e non di assistenza, favorisce le relazioni
solidali, la crescita delle persone, la formazione multiculturale, pertanto non è solo una
forma di sostegno economico;
è una modalità di intervento complementare alla cooperazione allo sviluppo;
offre agli operatori e alle organizzazioni partner, che lavorano sul campo insieme alle
comunità, la possibilità di intervenire in modo capillare a sostegno degli individui e
delle famiglie;
presenta ottime potenzialità educative per la collettività in Italia, favorisce infatti la
conoscenza della negazione dei diritti fondamentali che moltissimi bambini e adulti al
mondo sono tuttora costretti a subire e che si traduce in mancato accesso alle risorse
necessarie per condurre una vita dignitosa.
Numerose sono le associazioni coinvolte in questo tipo di interventi, anche se
operanti in una grande diversità di forme aggregative (es. associazioni
formalmente costituite, enti con riconoscimento ministeriale, gruppi di fatto, enti
religiosi cattolici), nella maggior parte delle quali permane ancora una forte matrice
religiosa, con modalità differenti di interpretazione della formula del sostegno a
distanza che vanno dall’aiuto diretto al singolo bambino al sostegno al progetto e
alla comunità in cui il bambino è integrato.
b) Sviluppo del Sostegno a distanza
Il sostegno a distanza è nato dal basso. La sua forza è nella sua semplicità. Per
questo si è sviluppato così tanto negli ultimi anni, coinvolgendo profondamente
migliaia di persone.
I cittadini che scelgono questa forma di solidarietà sono infatti ogni anno di più.
Le associazioni che promuovono il sostegno a distanza sono numerose e molte di
più di quelle che si conoscono.
18
Per fare riferimento a dati sicuri, sulla basa del Censimento effettuato per conto del
Comitato Promotore del Forum per il sostegno a distanza, nel 1999 le 154
organizzazioni raggiunte risultavano avere in gestione 293.994 sostegni a distanza,
quindi possiamo dire che nel 1999 per il sostegno a distanza sono stati raccolti
almeno 176 miliardi.
Si tratta sicuramente di una sottostima, sia per la caratteristica campionaria di
questa indagine, sia per il fatto che negli ultimi anni l’impegno solidale attraverso
il sostegno a distanza si è incrementato in modo consistente.
c) Principi e regole del Sostegno a distanza
In questo settore operano tanti e diversi soggetti: le associazioni e i loro referenti
nei Paesi di intervento, i cittadini sostenitori, le comunità, le famiglie e i bambini
beneficiari.
La consapevolezza della necessità di tutelare i diritti di tutti i soggetti del sostegno
a distanza e di garantire la trasparenza nella gestione dei fondi, l’efficienza
nell’organizzazione degli interventi e la chiarezza nella comunicazione hanno
portato numerose associazioni ad incontrarsi e confrontarsi su alcuni principi
cardine a cui rifarsi unanimemente.
Tra questi emerge innanzitutto il riconoscimento del diritto di tutti i bambini –
compresi quelli disabili e malati – di crescere in una famiglia, nel proprio paese di
origine.
Questo diritto inalienabile nasce dal fatto che è universalmente riconosciuto che
ogni bambino, per poter raggiungere uno sviluppo psico-fisico equilibrato, ha
bisogno di cure personali e continue che solo in un ambiente familiare può
ricevere.
La consapevolezza di questa realtà deve far riflettere sul tipo di iniziative che si
intende intraprendere per questi bambini ed in particolare l’enorme entità del
bisogno dei Paesi in via di sviluppo non può giustificare la scelta di investire
disponibilità economiche ed energie umane nella costruzione e nel finanziamento
di istituti di ricovero.
Nel novembre 2000, il Forum Nazionale per il Sostegno a Distanza ha presentato la
“Carta dei Principi per il Sostegno a Distanza”, sottoscritta da numerose
organizzazioni: un codice di autoregolamentazione che impegna a comportamenti etici
a garanzia del miglior interesse dei beneficiari e dei sostenitori, in assoluta coerenza
con l'applicazione del principio di sussidiarietà.
La “Carta dei Principi per il Sostegno a Distanza” è solo una prima tappa di quel
cammino di ricerca e di crescita culturale che ha l’obiettivo di trovare insieme le regole
di gestione e rafforzare quel rapporto di fiducia con le persone che ha consentito e
consente lo sviluppo di questa forma di solidarietà.
Per garantire l’effettiva realizzazione dei principi espressi nel documento, si chiede alle
Istituzioni di verificare la concreta applicazione delle normative già in vigore con
riferimento alle diverse configurazioni giuridiche delle associazioni ed organizzazioni
che si occupano di Sostegno a distanza (organizzazioni di volontariato, organizzazioni
non lucrative di utilità sociale ONLUS, organizzazioni non governative ONG, enti
morali ed ecclesiastici).
19
d) La valorizzazione del Sostegno a distanza
Considerate le caratteristiche peculiari del Sostegno a distanza (denominazione che si
ritiene preferibile per evitare di confonderlo con l’adozione e l’affidamento dei minori)
e le modalità partecipative delle associazioni del settore nel percorso di
approfondimento della loro realtà, dei problemi relativi e delle regole necessarie a una
corretta gestione del Sostegno a distanza, le Associazioni del settore chiedono la
collaborazione delle Istituzioni per:
- realizzare un censimento al fine di conoscere le realtà associative operanti su tutto
il territorio nazionale e il volume concreto delle risorse umane investite e delle
risorse economiche raccolte annualmente attraverso il Sostegno a distanza, per
capire il fenomeno e per informare i cittadini;
- promuovere vere e proprie campagne di informazione e sensibilizzazione sul
Sostegno a distanza, non sulle singole associazioni, ma sul tema, sui metodi e
sulle problematiche, anche attraverso l’utilizzo dei media.
(tratto da: “Un piano per l’infanzia. Per dare voce alle bambine e ai bambini. Le proposte del Forum
Permanente del Terzo Settore”)
20
Parte terza punto 2 e 3.4
I minori stranieri
Abbiamo molto apprezzato gli impegni assunti nel Piano Nazionale per la promozione
dell’inserimento scolastico dei minori stranieri, per una più rigorosa tutela dei minori
temporaneamente accolti nell’ambito di programmi solidaristici, e per il rafforzamento
della cooperazione allo sviluppo nei paesi d’origine al fine di affrontare i fenomeni
dell’immigrazione e del traffico di minori con un approccio di medio-lungo periodo e
fondato sulla promozione dei diritti.
Auspichiamo inoltre che alcuni importanti interventi cui si fa riferimento nel Piano –
quali il censimento dei minori stranieri non accompagnati e le indagini familiari nei paesi
d’origine realizzati dal Comitato per i minori stranieri, l’impiego di mediatori culturali ed
educatori di strada, la promozione del reinserimento dei minori stranieri che compiono
reati – vengano ulteriormente consolidati.
Infine, riteniamo fondamentale che il Piano affronti alcune altre cruciali problematiche
che riguardano i minori stranieri non accompagnati:
1) L’accoglienza in Italia e il permesso di soggiorno
Il permesso di soggiorno che viene rilasciato ai minori stranieri non accompagnati
(permesso “per minore età”) in base a due circolari del Ministero dell’Interno del 2000 e
2001 non consente di lavorare e non può essere convertito in permesso per studio o lavoro
al compimento dei 18 anni, anche se il minore sta frequentando la scuola o ha un’offerta di
lavoro; solo se il Comitato per i minori stranieri dispone il “non luogo a provvedere al
rimpatrio”, il minore ottiene un permesso con cui può lavorare e che può convertire ai 18
anni.
Si consideri che il Comitato tra il 2000 e il 2001 ha disposto provvedimenti per meno del
2% del totale dei minori segnalati, con la conseguenza che più di 8.000 minori sono
ridiventati clandestini al compimento della maggiore età.
Queste disposizioni hanno reso sempre più difficile l’inserimento dei minori stranieri
non accompagnati in percorsi di integrazione, esponendoli sempre più all’emarginazione e
allo sfruttamento nel lavoro nero, nell’accattonaggio, nella prostituzione ecc.
La recente legge 189/2002 (legge Bossi-Fini) ha parzialmente migliorato la situazione,
stabilendo che possono ottenere un permesso per studio o lavoro al compimento dei 18
anni i minori che sono entrati in Italia da almeno tre anni (cioè prima del compimento dei
15 anni) e hanno partecipato a un progetto di integrazione per almeno due anni. Tuttavia,
va considerato che questa disposizione si applicherà a pochi dei minori presenti in Italia,
in quanto la maggior parte di essi sono entrati dopo il compimento dei 15 anni.
Come ormai affermato da una consolidata giurisprudenza (TAR Lazio, Piemonte,
Trentino Alto-Adige ecc.) il mancato riconoscimento del diritto di lavorare e di ottenere un
permesso al compimento dei 18 anni viola il principio di non discriminazione e il principio
del “superiore interesse del minore” sanciti dalla Costituzione italiana e dalla
Convenzione sui diritti del fanciullo.
21
Lo stesso Comitato ONU sui Diritti del Fanciullo ha sottolineato nelle recenti
Osservazioni Conclusive sull’attuazione della Convenzione in Italia la “preoccupazione [per
le] modifiche verificatesi nel 2000 riguardo il permesso di soggiorno per i minori” (par. 45).
E’ dunque fondamentale che si stabiliscano disposizioni – ad esempio nel regolamento di
attuazione della legge Bossi-Fini attualmente in fase di elaborazione – tali da garantire i
diritti dei minori non accompagnati, nel rispetto della Costituzione, della Convenzione sui
diritti del fanciullo e della legge, chiarendo che i minori titolari di permesso “per minore
età”:
1. possono svolgere attività lavorativa, come implicitamente sembra prevedere la
stessa legge Bossi-Fini (art. 25, co. 1-ter);
2. possono ottenere un permesso per studio o lavoro, al compimento dei 18 anni a) se
rispondono ai requisiti previsti dalla legge Bossi-Fini (ingresso in Italia da almeno
tre anni ecc.), da verificarsi a livello locale e non ad opera del Comitato per i minori
stranieri; b) oppure se sono “comunque affidati ai sensi dell’art. 2 della legge
184/83”, a prescindere dalla data di ingresso in Italia e dal “non luogo a provvedere
al rimpatrio”, come stabilito dall’art. 32, co. 1, T.U. 286/98 (non modificato dalla
legge Bossi-Fini).
Inoltre, è necessario che si adottino interventi per garantire effettivamente ai minori
stranieri non accompagnati i diritti alla salute, all’istruzione, all’accoglienza in strutture
adeguate (Osservazioni Conclusive del Comitato ONU sui Diritti del Fanciullo, par. 4346).
2) Il rimpatrio
E’ fondamentale che, come ha sottolineato il Comitato ONU sui Diritti del Fanciullo nelle
Osservazioni Conclusive, il rimpatrio assisistito sia adottato “quando questo costituisca
l’interesse superiore del minore, con garanzia di follow-up” (par. 46).
Riteniamo quindi necessario che siano chiaramente stabiliti, in conformità con i principi
sanciti dalla Convenzione sui diritti del fanciullo, i criteri in base a cui deve essere deciso il
rimpatrio, e in particolare che: a) si verifichi che il rimpatrio non comporti rischi e che i
familiari siano stati rintracciati e siano disposti a riaccogliere il minore; b) siano tenute in
considerazione la volontà del minore, in attuazione del diritto alla partecipazione sancito
dall’art. 12 della Convenzione, e la volontà dei familiari; c) siano considerate le
opportunità di istruzione, assistenza ecc. nel paese d’origine e le condizioni di inserimento
del minore in Italia.
Inoltre, è fondamentale che la decisione in merito al rimpatrio, che attualmente viene
adottata dopo molti mesi o anni dalla segnalazione al Comitato per i minori stranieri, sia
assunta in tempi rapidi, e che il minore rimpatriato sia adeguatamente seguito nell’ambito
di un progetto di reinserimento nel paese d’origine.
3) I minori richiedenti asilo
Il Comitato ONU sui Diritti del Fanciullo ha sottolineato la “preoccupazione [per le] nuove
disposizioni ai sensi della Legge 189/2002 [relative ai richiedenti asilo] che permettono la
detenzione [...]” (par. 45).
E’ fondamentale che si stabilisca – ad esempio nel regolamento di attuazione della legge
Bossi-Fini – che i minori richiedenti asilo non possono essere trattenuti nei centri di
22
identificazione o nei centri di permanenza temporanea, nel rispetto del principio del
“superiore interesse del minore” e del principio in base a cui la privazione della libertà
personale del minore deve essere un provvedimento di ultima risorsa (Convenzione sui
diritti del fanciullo, art. 37).
4) Il traffico e lo sfruttamento dei minori stranieri
E’ urgente che siano adottate adeguate misure per tutelare e proteggere i minori vittime
di traffico e di sfruttamento sessuale o economico, nonché per contrastare efficacemente
tali fenomeni.
A tal fine risultano necessari interventi a livello legislativo – quali la ratifica del
Protocollo di Palermo sulla lotta al traffico di esseri umani e l’approvazione definitiva del
disegno di legge n. 885 sulla tratta – e “lo stanziamento di risorse adeguate [...] per le politiche
ed i programmi in questa materia”, come i programmi previsti dall’art. 18 del T.U. 286/98 e
gli interventi previsti dalla legge 269/98 (Osservazioni Conclusive del Comitato ONU sui
Diritti del Fanciullo, par. 49).
Auspichiamo che il fenomeno del traffico sia affrontato con un approccio fondato sulla
tutela e promozione dei diritti dei minori anziché solo sulla repressione, e con una stretta
collaborazione tra i diversi soggetti impegnati in questo campo (Forze dell’ordine,
Magistratura, Servizi sociali, Terzo settore ecc.).
Infine, riteniamo fondamentale che il fenomeno del traffico di minori non sia confuso
con quello della migrazione volontaria di minorenni, e sia invece inteso, secondo la
definizione del Protocollo di Palermo, come il trasferimento di minorenni a scopo di
sfruttamento.
23
Parte seconda Punto 2.6
Sfruttamento sessuale dei bambini a fini commerciali
Nonostante quanto riportato nel Piano Nazionale Infanzia gli strumenti a nostra
disposizione rendono difficile affermare che sia stata realizzata una efficace azione di
contrasto contro il fenomeno dello sfruttamento sessuale dei bambini a fini commerciali in
Italia.
L’efficacia dipende non soltanto dalla volontà ma dalla necessità di un impegno articolato
su vari fronti per poter contrastare un fenomeno molto complesso che richiedere
monitoraggio, strutture, attivazione di strumenti di intervento preventivo, repressivo,
conoscitivo e di recupero.
Va ricordato che siamo al cospetto di un fenomeno che riguarda bambini sia italiani sia
stranieri, vittime dello sfruttamento sessuale in Italia. Molto spesso il numero di bambini
che si considera essere coinvolto è sottostimato.
Va rilevato che ancora oggi non si è ancora a portato a termine un approfondimento
conoscitivo del fenomeno nella sua reale entità che va dalla pedopornografia al traffico di
minori, dalla prostituzione minorile al turismo sessuale.
A fronte di tale problematicità risulta chiara l’importanza di predisporre e potenziare
innanzitutto corsi di formazione per personale specializzato da affiancare a questi
bambini quando vengono a contatto con le strutture socio-sanitarie che sono presenti sul
territorio.
Di conseguenza è chiaramente auspicabile aumentare la formazione del personale che
opera nel campo sociale, educativo e giudiziario.
Inoltre sarebbe opportuno sensibilizzare la società civile soprattutto nell’ambito di quei
gruppi che sono più a diretto contatto con i giovani (ad esempio realizzando una ampia
campagna di informazione e di sensibilizzazione nelle scuole).
24
Adozioni Internazionali
Nell’attuale situazione delle adozioni internazionali, che registra un sensibile
rallentamento dell’operatività nei paesi esteri ed una diminuzione del numero delle
adozioni concluse (dati 2002), si evidenziano alcuni aspetti problematici che rendono
preoccupante la prospettiva per le adozioni internazionali.
▪ Gli accordi bilaterali fra le rispettive Autorità Centrali dell’Italia e dei paesi esteri sono un
fattore determinante che avrebbero sicuramente effetti positivi :
- rendere l'adozione internazionale, dove ancora non lo fosse, sussidiaria a progetti di
prevenzione dell’abbandono e di sviluppo nei paesi esteri.
- favorire l'accreditamento degli Enti Italiani nei paesi esteri, formalizzando con
l’Autorità competente procedure e modalità operative, con una riduzione della
tempistica attuale, che vede gli Enti costretti a tempi troppo lunghi.
- uniformare e semplificare gli aspetti burocratici dell’iter adottivo nel paese estero.
- favorire un maggior equilibrio nella provenienza dei minori dai paesi esteri (nel 2002 il
27% dei bambini adottivi è arrivato dall'Ucraina e circa il 65% dai paesi dell'Est Europa).
Gli accordi bilaterali con paesi esteri ad oggi stipulati sono ancora molto pochi; la loro
realizzazione e il loro incremento sono sicuramente un fattore determinante e positivo per
le adozioni internazionali.
▪ In diversi paesi del mondo, per diverse cause e ragioni, permane o si è venuta a creare una
situazione di “blocco delle adozioni internazionali”: Romania, Bulgaria, Bielorussia,
Ucraina, Etiopia, ecc.
Fra questi, particolarmente drammatica la situazione in Romania, dove da oltre un anno e
mezzo permane la sospensione delle adozioni che le Autorità romene hanno posto e
mantengono.
La situazione è drammatica per le migliaia di bambini in stato di abbandono, per le
centinaia di potenziali famiglie adottive italiane che attendono da troppo tempo e per il
fatto che altre nazioni europee e nord-americane continuano a fare adozioni nonostante "la
sospensione".
Le famiglie italiane e gli Enti Autorizzati che le assistono si sentono discriminati.
▪ Al rapido e continuo crescere del numero degli Enti Autorizzati (ad oggi 65) non
sembra corrispondere proporzionalmente una crescita delle attività di cooperazione,
prevenzione dell’abbandono e di risposta al bisogno di famiglia dei bambini.
Sostegno alle famiglie adottive ed affidatarie
In conclusione, non possiamo che salutare con favore l’intenzione manifestata all’interno
del piano per l’infanzia di abolire ogni discriminazione in materia di congedi parentali e
ciò proprio al fine di garantire ai bambini adottati più grandicelli la migliore cura al
momento del loro ingresso nella famiglia adottiva.
25
Parte terza, punto 3.2 e 4
Per dare piena attuazione al diritto del minore a crescere in una famiglia, Proponiamo
l’approvazione di legge nazionale e delibere regionali per la promozione del diritto del
minore alla famiglia, in vista della chiusura degli istituti per i minori prevista per il 2006.
È necessario intervenire per assicurare a tutti i bambini - compresi quelli disabili o malati il diritto a crescere in una famiglia, dando attuazione alle priorità di intervento definite
dalla legge 184/1983, così come modificata dalla legge 149/2001:
a) Il minore ha diritto ad essere educato nell'ambito della propria famiglia. Le condizioni
di indigenza dei genitori non possono essere di ostacolo all'esercizio del diritto del
minore alla propria famiglia. A tal fine a favore della famiglia d'origine sono disposti
interventi di sostegno e di aiuto. Il diritto del minore a vivere, crescere ed essere
educato nell'ambito di una famiglia è assicurato senza distinzione di sesso, di etnia, di
età, di lingua, di religione e nel rispetto della identità culturale del minore e comunque
non in contrasto con i principi fondamentali dell'ordinamento (art. 1).
b) Il minore temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo è affidato ad
un'altra famiglia, preferibilmente con figli minori, o ad una persona singola, in grado
di assicurargli il mantenimento, l'educazione, l'istruzione e le relazioni affettive di cui
egli ha bisogno (art. 2).
c) Ove non sia possibile l'affidamento, è consentito l'inserimento del minore in una
comunità di tipo familiare o, in mancanza, in un istituto. I minori di anni sei non
possono essere inseriti in istituto ma solo presso una comunità di tipo familiare (art. 2).
d) Il minore di cui sia accertata dal Tribunale per i Minorenni la situazione di abbandono
perché privo di assistenza morale e materiale da parte dei genitori o dei parenti tenuti
a provvedervi, purché la mancanza di assistenza non sia dovuta a causa di forza
maggiore di carattere transitorio, è dichiarato adottabile e deve essere adottato da
coniugi aventi i requisiti previsti dalla stessa legge 149/2001 (art. 8).
In base alla stessa legge 149/2001 entro il 31 dicembre 2006 dovranno essere chiusi gli
istituti, in considerazione delle conseguenze negative, gravi ed ampiamente comprovate a
livello scientifico, dell’istituzionalizzazione sulla vita dei minori ricoverati.
Al riguardo si esprime sorpresa e allarme per l’inaccettabile progetto di legge n.791,
presentato dal Sen. Girfatti e altri, attualmente in discussione alla Commissione Speciale
per l’Infanzia del Senato, con cui si vorrebbe impedire la chiusura degli istituti con
l’assurdo pretesto di voler “dare agli istituti di assistenza pubblici e privati la possibilità di
continuare nell’opera educativa intrapresa”.
Non si conosce purtroppo attualmente il numero esatto dei minori attualmente ricoverati
negli istituti o ospiti delle comunità: dai dati rilevati dal “Centro Nazionale di
documentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza” di Firenze (pubblicato nel volume
“I bambini e gli adolescenti fuori dalla famiglia. Indagine sulle strutture residenziali
educativo – assistenziali) al 30 giugno 1998, risultavano ricoverati in 1802 strutture
assistenziali 14.945 minori, di cui 1.174 disabili. Al 31.12.1999, secondo gli ultimi dati Istat i
minori presenti nelle strutture residenziali erano ben 28.148!
Questo divario, imputabile probabilmente a criteri di rilevazione differenti, richiede
l’assunzione di iniziative urgenti da parte delle Istituzioni interessate (Ministeri, Istat, ecc.)
26
per un monitoraggio attento di questa drammatica realtà, verificando anche le strutture in
cui sono inseriti minori, anche disabili, con adulti.
A fronte del consistente numero di minori ancora presenti negli istituti e nelle comunità è
purtroppo ancora esiguo il numero dei minori affidati: secondo la ricerca effettuata dal
Centro nazionale di documentazione ed analisi per l’infanzia e l’adolescenza di Firenze nel
1999 in via di pubblicazione, erano solo 4.668 gli affidi eterofamiliari e 5.280 quelli a
parenti, risultavano non meglio specificati altri 252 per un totale complessivo di 10.200.
Per rendere esigibile il diritto di tutti i minori alla famiglia è necessario avviare una
complessa strategia che investa in primo luogo il livello nazionale e regionale e che punti attraverso finanziamenti, adeguati e mirati - alla promozione e attivazione da parte delle
Istituzioni preposte (Parlamento, Governo, Regioni, Enti locali, ecc.) degli interventi diretti
ad assicurare il diritto di tutti i minori – compresi quelli disabili o malati – a crescere in
una famiglia, secondo le priorità precedentemente richiamate.
In particolare è necessario che le Regioni assumano a livello legislativo i necessari
provvedimenti per rendere esigibile il diritto di ogni minore a crescere in una famiglia e
che gli stessi Enti gestori degli interventi assistenziali (Comuni singoli o associati, ecc.)
predispongano gli atti deliberativi per concretizzare gli interventi stessi.
Il privato sociale può dare un contributo importante per garantire questo diritto.
È necessaria la realizzazione di una rete integrata di servizi ed interventi diretti a:
sostenere le famiglie in difficoltà attraverso adeguati contributi economici (minimo vitale) e
supporti socio-educativi per prevenire allontanamenti ingiustificati dei bambini;
promuovere la cultura dell’accoglienza familiare (famiglie di appoggio, affidatarie, adottive,
ecc.) per contrastare quella dell’emarginazione e dell’esclusione;
preparare e sostenere gli affidamenti familiari (affidi diurni, residenziali, ecc.) operando sulle
famiglie d’origine, sugli affidatari e sui minori coinvolti per arrivare, ove possibile, al
rientro dei minori stessi nelle loro case;
preparare e sostenere le adozioni, in particolare quelle dei bambini già grandicelli o disabili o
malati anche attraverso adeguati contributi economici (analoghi a quelli previsti per gli
affidatari). Sarà necessario anche da parte del Ministero di giustizia e delle altre Istituzioni
preposte un attento monitoraggio dei minori dichiarati adottabili che non vengono
adottati per attivare le azioni necessarie per arrivare alla loro accoglienza in famiglia (ad
esempio campagne promozionali specifiche da realizzare in collaborazione con le
associazioni di volontariato interessate);
realizzare una rete di strutture di accoglienza di qualità, alternative agli istituti. Definirsi
comunità non è sufficiente a garantire un’organizzazione quotidiana che sia attuazione di
un lavoro pedagogico in grado di rispondere in modo positivo al diritto dei minori accolti
ad una crescita sana. E’ fondamentale a tale proposito che lo Stato, nel rispetto
dell’autonomia legislativa regionale, definisca in modo più puntuale i “livelli essenziali”
relativi agli standard delle strutture, come previsto dall’art.117, lett. m) della Costituzione
(definizione delle possibili tipologie; inserimento nel normale contesto abitativo, evitando
accorpamenti nello stesso stabile di più comunità; qualificazione del personale che vi
opera, ivi compresa la certificazione della loro idoneità a svolgere il ruolo educativo e
garanzie di continuità di presenza dello stesso; numero di minori non superiore a 6/8
unità, ecc.);
attivare da parte delle Regioni un’anagrafe consistente nella raccolta continuativa e nella
relativa elaborazione dei dati concernenti tutti i minori istituzionalizzati. Il costante
aggiornamento di questa rilevazione consentirebbe una corretta valutazione
27
dell’andamento dei ricoveri e, quindi, anche l’individuazione dei servizi e interventi
alternativi da attivare o potenziare per ogni singolo caso: il rientro nella famiglia d’origine,
ove questo risulti ancora possibile, l’affidamento familiare o presso una comunità
familiare oppure l’adozione.
(tratto da: “Un piano per l’infanzia. Per dare voce alle bambine e ai bambini. Le proposte
del Forum Permanente del Terzo Settore”)
28
ALLEGATI
Linee Guida Riforma Giustizia Minorile in Italia
Elenco Adesioni alle Linee Guida
Comitato ONU sui diritti Infanzia – Osservazioni Generali n. 2/2002
Gruppo di lavoro sulla Partecipazione del PIDIDA – Piano d’Azione dei Ragazzi
29
Linee Guida
per la Riforma della Giustizia Minorile in Italia
La presentazione dei recenti Disegni di Legge n. 2501 dell’8 marzo 2002 e n. 2517
del 14 marzo 2002 in materia di modifiche della giustizia minorile, le polemiche e i
dibattiti da essi scaturiti, hanno determinato nei firmatari del presente documento il
desiderio di indicare alcune linee guida che possano aiutare il nostro Paese a
realizzare una giustizia a “misura di bambino”.
Pertanto
riconoscendo lo stato di particolare “debolezza” nel quale versa un minore
che viene in contatto, per i motivi più disparati, con procedimenti di giustizia civile
o penale e in considerazione della Convenzione ONU sui diritti dell’Infanzia del
1989, delle regole minime delle Nazioni Unite relative all’amministrazione della
giustizia minorile - Regole di Pechino 1985 - e tenuto conto delle indicazioni
contenute nella Convenzione Europea sull’esercizio dei diritti dei bambini Convenzione di Strasburgo 1996 – ancora in via di ratifica in Italia e dell’art. 111
della nostra Costituzione, si evidenzia quanto segue.
PREMESSA
Oggi nel nostro Paese una reale riforma della giustizia minorile non può essere
effettuata se non mettendo a disposizione risorse economiche, umane e strutturali
adeguate, che consentano l’attuazione di un processo di cambiamento che migliori,
potenzi e assicuri la piena efficienza del sistema giustizia, nel rispetto dei diritti dei
bambini, come riconosciuti dalla Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia del
1989.
Pertanto i firmatari del presente documento richiamano all’attenzione del
Legislatore i seguenti principi:
1) Il minore parte di un giudizio civile o penale deve essere sempre riconosciuto
quale portatore di diritti e quindi in tutte le decisioni dei Tribunali, delle autorità
30
amministrative e degli organi legislativi che lo riguardano deve essere tenuto in
preminente considerazione il suo superiore interesse (art. 3 della Convenzione
ONU). Occorre pertanto compiere ogni sforzo per adottare un corpo di leggi e di
provvedimenti per i giovani, anche quali autori di reati, che rispondano alle loro
esigenze di soggetti in crescita (art.2 Regole di Pechino) e alle loro prospettive di
maturazione.
2) In una riforma della giustizia minorile civile e penale, che preveda una nuova
definizione delle norme procedurali e della organizzazione attraverso appropriati
interventi legislativi, adeguatamente finanziati (non è possibile questa riforma a
costo zero), si invita il Legislatore ad operare nel medio termine, ove e per quanto
possibile, l’accorpamento di tutte le competenze in materia di minori,
mantenendole in capo ad una unica istituzione giudiziaria specializzata. I soggetti
preposti alla giustizia minorile devono avere una preparazione di tipo specialistico
nel diritto in generale, nel diritto di famiglia e nel campo delle scienze umane e
sociali, sulla base di precise regole per la selezione, la nomina e la formazione
professionale. Questo principio della specializzazione adeguata degli organi della
giustizia minorile deve essere attuato, rendendo anche obbligatoria, in particolare
per i giudici e gli avvocati, la frequenza di appositi corsi professionali.
Tale principio di specializzazione esige inoltre che ai giudici per i minori non siano
attribuite competenze ulteriori e diverse rispetto a quelle che riguardano la materia
minorile e familiare.
3) Ogni processo che riguardi un minore deve essere svolto dinanzi a un giudice o
collegio giudicante, competente, indipendente e imparziale. I Tribunali per i
minorenni o per la famiglia o le sezioni specializzate dei tribunali ordinari devono
avere una presenza capillare sul territorio nazionale, così da garantire un facile
accesso al servizio giustizia e consentire ai giudici un rapporto più proficuo con i
servizi locali e una maggiore vicinanza ai contesti sociali territoriali.
4) Tutte le procedure del processo minorile civile e penale devono tendere a
proteggere al meglio gli interessi del minore e devono permettere la sua
partecipazione e la sua libera espressione, come indicato dall’art. 14 delle Regole
di Pechino, art. 9 e art. 37.d della Convenzione ONU. Pertanto il processo minorile
si deve basare sull’applicazione della regola del contraddittorio, in modo tale da
assicurare a tutte le parti interessate di partecipare al processo e di fare conoscere
le proprie opinioni (art.9.2 della Convenzione ONU) di fronte a un giudice terzo e
imparziale (art.111 della Costituzione).
5) Il minore, nei procedimenti giudiziari penali che lo riguardano, ha diritto a
essere ascoltato e a essere assistito da un proprio avvocato, che abbia le adeguate
competenze per tutelare il suo superiore interesse.
Parimenti nei procedimenti giudiziari civili che lo riguardano, ha diritto ad essere
ascoltato, ad essere rappresentato dai propri genitori o da un legale rappresentante,
31
e in caso di conflitti d’interesse con questi ultimi da un curatore speciale, nonché
ha diritto di accedere ad una assistenza di natura psico-sociale e legale al fine di
tutelare il suo superiore interesse.
6) Una riforma della giustizia minorile per essere adeguata non può prescindere
dallo stabilire regole che disciplinino e garantiscano l’ascolto del minore soggetto a
procedimenti civili o penali, in ottemperanza alla Convenzione ONU (art.12.) che
sottolinea come “il minore capace di discernimento debba avere il diritto di
esprimersi liberamente su ogni questione che lo interessa……e la possibilità di
essere ascoltato in ogni procedura giudiziaria o amministrativa che lo concerne”
(art.12.2). Tali regole, nel disciplinare e garantire l’ascolto, devono anche
assicurare al minore un’adeguata protezione psicologica e morale per tutta la
durata dei procedimenti civili e penali che lo riguardano. Pertanto le audizioni del
minore, il cui contenuto richieda una particolare attenzione e riservatezza, debbono
essere svolte in modo protetto, onde evitare che la contemporanea presenza di tutte
le parti in causa, possa turbare il minore o possa compromettere la genuinità delle
sue dichiarazioni, nel rispetto di tempi celeri e modalità garantiste.
7) Nel processo penale le competenze del giudice o del collegio giudicante
necessitano in particolar modo di un supporto interdisciplinare, quindi si ritiene
importante la presenza della componente privata specializzata, affinché i
provvedimenti adottati siano proporzionati alle circostanze e alla gravità del reato,
alla situazione del minore e alla sua tutela (art.17.d Regole di Pechino).
Per quanto concerne la presenza della componente privata anche nei collegi
giudicanti civili, si invita il Legislatore a valutare con la massima attenzione le
diverse indicazioni avanzate a tale proposito dalle ONG e associazioni impegnate
da anni nelle tutela dei diritti dei minori, dalle categorie professionali operanti
all’interno del sistema della giustizia minorile, dalle sedi scientifiche, dal Forum
permanente del Terzo Settore e dall’Osservatorio nazionale per l’infanzia (il quale
sta redigendo il III Piano Nazionale di azione di interventi per la tutela dei diritti e
lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva 2002-2003 – L.451/1997), perché solo
dall’analisi accurata, in tutte le sue angolazioni, dell’attuale sistema della giustizia
minorile, si può delineare una sua riforma che non si limiti a cancellare il passato,
ma che crei un sistema sempre più tutelante degli interessi e dei diritti del minore.
Nei procedimenti riguardanti un minore, nei casi in cui il giudice o il collegio
giudicante ritenga opportuno il contributo interdisciplinare di specialisti, il
consulente tecnico di volta in volta nominato, deve avere particolari competenze
nelle scienze del comportamento ed in ambito forense.
8) Le istituzioni giudiziarie che si occupano di minori devono poter contare sulla
collaborazione dei servizi socio-assistenziale e sanitari territoriali: tale
collaborazione deve essere continuativa, anche sulla base di precisi protocolli
d’intesa ed i servizi devono essere adeguatamente specializzati in materia minorile.
Per quanto riguarda la competenza penale, si invita il Legislatore a regolare i
32
rapporti tra i servizi del Ministero della Giustizia e i servizi locali affinché si
realizzi un’efficace collaborazione sinergica.
9) La condanna del minore a pene detentive deve costituire un provvedimento di
ultima risorsa (art. 37.b della Convenzione ONU), e deve essere limitata al minimo
indispensabile (art. 17.b Regole di Pechino), in quanto la pena deve svolgere la
funzione di recupero del minore per il suo reinserimento nella società civile (art. 39
della Convenzione), oltre che la funzione di riparazione per il reato commesso. Il
minore sia italiano che straniero, compreso quello che entra negli Istituti penali
Minorili, deve pertanto potere usufruire di forme alternative alla detenzione (art. 18
Regole di Pechino), tra le quali la messa alla prova e ove possibile la mediazione
penale, senza limitazioni per fattispecie di reato o per durata minima di espiazione
della pena in caso di liberazione condizionale.
In campo penale non sono giustificabili modifiche alle diminuenti e alle attenuanti
per i minori di età compresa tra i sedici e i diciotto anni. Come non appare
giustificato, nel caso che la pena a carico del minore possa essere completamente
espiata entro il 22° anno di età, il passaggio, al compimento dei 18 anni, al carcere
degli adulti; al contrario si deve privilegiare il trattamento del giovane adulto in
appositi istituti fino all’espletamento della pena, al fine di portare a compimento i
programmi di recupero per lui previsti (Regole di Pechino art. 3.3.)
La riforma della giustizia in campo penale deve essere conforme ai principi e alle
norme della Convenzione ONU e in particolare all’art.40 della stessa Convenzione.
10) Una riforma della giustizia minorile non può prescindere, come da tempo
richiesto dalla Corte Costituzionale, dalla delineazione di uno specifico
ordinamento penitenziario per i minorenni condannati a pene detentive. Tali norme
sull’ordinamento penitenziario minorile, oltre regolare l’esecuzione delle pene per
i minorenni, devono assicurare l’attuazione di quanto sancito nella Convenzione
ONU e in particolare che “ogni minore privato della libertà sia sempre separato
dagli adulti” (art.37.c)
CONCLUSIONE
I firmatari del presente documento invitano il Legislatore a fare propri i principi
sopra elencati (da p.to 1 al p.to 10), oltre che a tenere presente le specifiche
indicazioni, avanzate nel merito della riforma della giustizia attualmente in
discussione alle Camere, da tutte le realtà associative e ONG impegnate nel nostro
Paese nella tutela dei diritti dei minori.
33
Associazioni e ONG aderenti alle Linee Guida
al 27.03.2003
Amici dei Bambini
AINRAM Associazione Internazionale Noi Ragazzi del Mondo
Alisei
AMNESTY INTERNATIONAL – Sezione Italiana
ANFAA , Associazione Nazionale Famiglie Adottive e Affidatarie
A.N.P.A.S. Associazione Nazionale Pubblica Assistenza
ARCIRAGAZZI
Associazione Arché
Associazione Famiglia Dovuta
CIAI Centro Italiano Aiuti all’Infanzia
Caritas Italiana
CEDiM – Centro Emiliano di Mediazione Familiare
CISMAI Coordinamento italiano dei Servizi contro il
maltrattamento e l’abuso all’infanzia
Centro Alfredo Rampi
CICA Comunità Internazionale di Capodarco
CIES, Centro Informazione e Educazione allo Sviluppo
CNCA Coordinamento Nazionale delle Comunità di Accoglienza
Coordinamento LA GABBIANELLA
ECPAT - Italia
Esecutivo Coordinamento dalla parte dei bambini
Federazione Nazionale dei Collegi delle Ostetriche
Fondazione Insieme Onlus
Fondazione Terre des Hommes Italia ONLUS
Forum permanente del Terzo Settore
N.O.V.A. ( Nuovi Orizzonti per Vivere l'Adozione)
Progetto C.O.M.E.
Save the Children – Italia
Telefono Azzurro
Terra Nuova Centro per il Volontariato
UNICEF – Italia
34
VIS Volontariato Internazionale per lo Sviluppo
Altre Adesioni
Biblioteca dei Ragazzi di Cosenza – Soc. Cooperativa Soc.le Interzona
Avv. Marina Marino – Presidente A.I.A.F.
Prof. Gianfranco Martino
Prof. Federico Palomba
Prof.ssa Patrizia Patrizi
Prof. Lino Rossi
35
UNITED
NATIONS
CRC
Convenzione sui diritti
dell’Infanzia
Distr.
GENERALE
CRC/GC/2002/2
15 Novembre 2002
COMITATO SUI DIRITTI DELL’INFANZIA
Trentaduesima sessione
13-31 gennaio 2003
OSSERVAZIONI GENERALI N. 2 (2002)
Il ruolo delle istituzioni nazionali indipendenti di tutela dei diritti dell’uomo nell’ambito della
protezione e promozione dei diritti del bambino
1.
Secondo l’articolo 4 de la Convenzione sui diritti dell’infanzia, gli Stati parti sono tenuti a
“adottare tutti i provvedimenti legislativi, amministrativi e altri, necessari per attuare i diritti
riconosciuti dalla presente Convenzione”. Le istituzioni nazionali indipendenti di tutela dei diritti
dell’uomo (NHRU) costituiscono un importante meccanismo che contribuisce in maniera rilevante
alla promozione e all’attuazione della Convenzione, e il Comitato sui Diritti dell’Infanzia considera
l’istituzione di tali organismi rientrante nell’impegno assunto dagli Stati parti, all’atto della ratifica
della Convenzione, di favorire la sua implementazione e di fare avanzare la realizzazione universale
dei diritti dell’infanzia. A tale riguardo, il Comitato ha accolto con soddisfazione l’istituzione in un
certo numero di Stati parti di NHRU e di figure di ombudperson o commissari per l’infanzia e di
altri organi indipendenti di tale genere, ai fini della promozione e del monitoraggio
dell’applicazione della Convenzione.
2.
Il Comitato pubblica la presente osservazione generale per incoraggiare gli Stati parti a
dotarsi di una istituzione indipendente, incaricata di promuovere e sorvegliare l’applicazione della
Convenzione e per sostenere gli stessi Stati in questa iniziativa, indicando loro le caratteristiche
essenziali di queste istituzioni e anche le attività che queste dovrebbero svolgere. Il Comitato fa
appello a quegli Stati che possiedono già delle istituzioni di questo tipo ad avviare una riflessione
sul loro stato e sulla loro efficacia, nell’obbiettivo di promuovere e proteggere i diritti dell’infanzia
come sono sanciti dalla Convenzione sui diritti dell’infanzia e dagli altri strumenti internazionali
pertinenti.
GE.02-45737 (I) 101202 111202
36
CRC/GC/2002/2
pagina 2
3.
La Conferenza mondiale sui diritti dell’uomo, tenutasi nel 1993, ha riaffermato nella
Dichiarazione e nel programma d’azione di Vienna “…….il ruolo importante e costruttivo che
giocano le istituzioni nazionali per la promozione e per la protezione dei diritti dell’uomo” inoltre
ha incoraggiato “….. la creazione e il rafforzamento di istituzioni nazionali”. L’Assemblea generale
e la Commissione dei diritti dell’uomo, hanno fatto appello a più riprese alla creazione di istituzioni
nazionali di difesa dei diritti dell’uomo, sottolineando il ruolo importante che giocano le NHRUs
per quello che concerne la promozione e la protezione dei diritti umani e la sensibilizzazione in tal
dell’opinione pubblica su tali diritti. Nelle sue linnee-guida per la stesura rapporti periodici, il
Comitato richiede agli Stati parti di fornire delle informazioni su “tutti gli organi indipendenti creati
per promuovere e proteggere i diritti dell’infanzia…”(*1), e affronta quasi sistematicamente questa
questione nei suoi incontri con gli Stati parti.
4.
Le NHRUs dovrebbero essere costituite in conformità ai principi concernenti lo statuto delle
istituzioni nazionali per la promozione e la protezione dei diritti dell’uomo (“Principi di Parigi”),
che l’Assemblea generale h adottato nel 1993 (*2) - questi principi gli erano stati trasmessi dalla
Commissione dei diritti dell’uomo nel 1992 (*3). Questo insieme di regole minime forniscono degli
strumenti alla creazione di tali organi nazionali le competenze, le funzioni, la composizione, le
garanzie i d’indipendenza e di pluralismo, le modalità di funzionamento e le attività a carattere
quasi giurisdizionale.
5.
Sia gli adulti che i bambini necessitano della figura dell’NHRU per proteggere i loro diritti
fondamentali, ma esistono ulteriori motivazioni per assicurare che i diritti fondamentali dei
bambini ricevano un’ attenzione speciale.
Tra esse si annoverano le considerazioni seguenti: lo stato di soggetti in fase di sviluppo rende i i
bambini particolarmente vulnerabili e assoggettabili a violazioni dei diritti umani; le loro opinioni
vengono prese raramente in considerazione; la maggior parte dei minori non ha diritto di voto, ne la
possibilità di svolgere un ruolo fondamentale nel processo politico che determina l’azione
governativa nel campo dei diritti umani; i minori hanno grandi difficoltà a ricorrere al sistema
giudiziario per proteggere i loro stessi diritti o ottenere riparazione in caso di violazione dei loro
diritti; l’accesso dei bambini agli organismi capaci di proteggere i loro diritti è in generale limitato.
6.
Istituzioni indipendenti specializzate nella tutela dei diritti fondamentali dei bambini
(NHRU), ombudspersons, o commissari per i diritti dell’infanzia sono stati istituiti in un numero
crescente di Stati. Nei paesi in cui le risorse finanziarie sono limitate, ci si deve indirizzare a
utilizzare quelle disponibili nel modo più efficace possibile al fine di promuovere e proteggere i
diritti fondamentali di tutti gli individui, inclusi i minori e in questo contesto la creazione di una
istituzione nazionale, dall’ampio campo d’intervento, di difesa dei diritti umani, che includa una
struttura specializzata nei diritti dell’infanzia, costituisce indubbiamente il migliore approccio. Nella
struttura del NHRU si dovrebbe prevedere un Commissario specificamente responsabile per i diritti
dei bambini, oppure una specifica sezione o divisione responsabile per tali diritti.
_________________________
(*1) Direttive generali concernenti la forma e il contenuto dei rapporti periodici che gli Stati parte debbono presentare conformemente
al paragrafo 1 b) dell’articolo 44 della Convenzione (CRC/C/58), par.18.
(*2) principi concernenti lo statuto delle istituzioni nazionali per la promozione e la protezione dei diritti dell’uomo (principi di
Parigi), Risoluzione 48/134 dell’Assemblea Generale del 20 dicembre 1993 e allegati.
(*3) Risoluzione 1992/54 della Commissione dei diritti dell’Uomo del 3 marzo 1993 e allegati.
37
CRC/GC/2002/2
pagina 3
7.
E’ opinione del Comitato sui diritti dell’infanzia che ogni Stato necessiti di una istituzione
nazionale di tutela dei diritti umani, investita della responsabilità della promozione e protezione dei
diritti dei bambini. Il Comitato ritiene che qualsiasi forma possa assumere questa istituzione, essa
debba avere la capacità di sorvegliare, promuovere e proteggere i diritti dei bambini in modo
indipendente e con efficacia. E’ essenziale che venga riservato uno spazio centrale alla protezione e
alla promozione dei diritti dei bambini e che tutte le istituzioni dei diritti dell’uomo, esistenti in un
paese, collaborino strettamente a tale fine.
Mandato e poteri
8.
Le NHRU dovrebbero, ove possibile, essere oggetto di un riconoscimento costituzionale e
almeno essere investite con un mandato (scritto) previsto all’interno di uno specifico testo
legislativo. E’ opinione del Comitato che il campo d’azione del loro mandato dovrebbe essere, al
fine di promuovere e di proteggere i diritti dell’uomo, il più ampio possibile, includendo la
Convenzione per i diritti dell’infanzia, i suoi Protocolli opzionali e ogni altro strumento
internazionale pertinente alla tutela di diritti umani; così da ricomprendere tutti i diritti fondamentali
dei bambini, in particolare quelli civili, politici, economici, sociali e culturali.
La legislazione istitutiva di tali figure dovrebbe prevedere disposizioni che stabiliscano con
precisione le funzioni, i poteri e gli obiettivi relativi all’infanzia e sulla base di quanto previsto
dalla Convenzione sui diritti dell’infanzia e i suoi protocolli opzionali.
Se una NHRU è stata istituita prima dell’adozione della Convenzione o senza farvi espressamente
riferimento, dovranno essere adottate le misure necessarie - tra le quali l’adozione di un testo
legislativo o la revisione dello stesso - al fine di garantire la conformità del mandato della stessa
istituzione con i principi e le norme della Convenzione.
9.
Le NHRU dovrebbero essere investite dei poteri necessari da consentire loro di svolgere
efficacemente il proprio mandato, in particolare il potere di ascoltare ogni persona e ottenere ogni
tipo d’informazione e documento necessario per valutare le situazioni di loro competenza. Tali
poteri dovrebbero inglobare la promozione e la protezione dei diritti di tutti i bambini posti sotto la
giurisdizione dello Stato parte, ma non solo dello Stato, ma di tutte l’entità private o pubbliche
pertinenti.
Processi istitutivi
10.
I processi istitutivi delle NHRU dovrebbero essere consultativi, inclusivi, e trasparenti;
dovrebbero essere avviati e supportati dai massimi livelli di Governo e coinvolgere tutti gli elementi
rilevanti dello Stato, l’apparato legislativo e la società civile. La loro indipendenza e il loro effettivo
funzionamento dipende dalla dotazione di adeguate infrastrutture e risorse finanziarie (ivi compresi
dei fondi specificatamente destinati ai diritti dei bambini nel caso di istituzioni di carattere
generale), dalla dotazione di staff, di locali, e anche dall’assenza da ogni forma di controllo
finanziario, che potrebbe compromettere la loro indipendenza.
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pagina 4
Risorse
11.
Il Comitato pur riconoscendo che si tratta di una questione molto delicata e che l’ampiezza
delle risorse economiche variano a secondo dello Stato parte, ritiene che debba essere compito degli
Stati destinare risorse finanziarie ragionevoli per il funzionamento delle istituzioni nazionali di
tutela dei diritti umani, alla luce dell’articolo 4 della Convenzione sui i diritti dell’infanzia.
In effetti il mandato e il loro potere rischierebbe di essere ridotto a nulla, così come l’esercizio dei
loro poteri rischierebbe di essere limitato, se queste istituzioni non avessero i mezzi per funzionare
efficacemente e assolvere la propria missione.
Rappresentanza pluralistica
12.
La composizione delle NHRU dovrebbe assicurare la rappresentanza pluralistica dei vari
componenti della società civile coinvolti nella promozione e nella protezione dei diritti umani. Esse
dovrebbero cercare di coinvolgere, tra l’altro, le seguenti organizzazioni: ONG per i diritti umani,
contro la discriminazione, per i diritti dei minori, incluse organizzazioni giovanili e di ragazzi,
sindacati, organizzazioni professionali e sociali (di medici, avvocati, giornalisti, scienziati, ecc,)
professori universitari e esperti, inclusi gli esperi in diritti dei minori. Il Governo e i suoi
dipartimenti dovrebbero essere coinvolti solo con funzione consultiva. Le NHRU dovrebbero essere
dotate di appropriate e trasparenti procedure di nomina dei propri vertici, che comprendano un
processo di selezione aperto e competitivo.
Provvedimenti correttivi a fronte di violazione di diritti dei bambini
13.
Le NHRU dovrebbero avere il potere di valutare singole lamentele e petizioni a loro
presentate e di portare avanti investigazioni, incluse quelle a loro direttamente sottoposte a nome
dei bambini o direttamente dai bambini.
Al fine di essere effettivamente in grado di svolgere tali investigazioni queste istituzioni debbono
avere il potere di esigere una testimonianza e d’interrogare testimoni; di accedere a documenti utili
ai fini della prova, e di avere accesso ai luoghi di detenzione. Debbono avere anche il compito di
cercare di assicurare che i minori godano di effettiva assistenza – consigli indipendenti, procedure
di avvocatura e di denuncia, per qualsiasi violazione dei loro diritti. Quando ritenuto opportuno
NHRU dovrebbero prevedere la possibilità d’intraprendere azioni di mediazione dei conflitti e di
conciliazione delle denuncie.
14.
Le NHRU dovrebbero avere il diritto di sostenere i minori che sono parte in giudizio e
dovrebbero avere anche il potere: a) di farsi parte in giudizio a nome della stessa NHRU nelle
questioni riguardanti i minori e b) il diritto d’intervenire liberamente in giudizio per informare i
giudici circa le questioni di diritto umano attinenti al singolo caso.
Accessibilità e partecipazione
15.
Le NHRU dovrebbero essere geograficamente e fisicamente facilmente accessibili a tutti i
bambini, nello spirito dell’articolo 2 della Convenzione; inoltre essi dovrebbero attivarsi per
contattare tutti i gruppi di bambini, inclusi in particolare (ma non limitatamente), i più vulnerabili e
quelli emarginati, quali fra essi i bambini assistiti o in stato di detenzione, i bambini
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autoctoni, i bambini disabili, i bambini che versano in stato di povertà, rifugiati e migranti, i
bambini di strada e i bambini con particolari necessità in dei campi quali la cultura, il linguaggio, la
salute e l’educazione. La legislazione delle NHRU dovrebbe prevedere il diritto per l’istituzione di
entrare in contatto, in condizione di riservatezza, con i bambini che sono oggetto di misure di
protezione e di accoglienza e di avere accesso a tutte le strutture che accolgono dei bambini.
16.
Le NHRU svolgono un ruolo determinante nel promuovere il rispetto del Governo e
dell’insieme della società civile verso le opinioni dei bambini in tutte i campi che li concernono,
conformemente all’articolo 12 della Convenzione. Questo principio di carattere generale dovrebbe
essere applicato per l’istituzione, l’organizzazione e le attività delle istituzioni nazionali di tutela dei
diritti umani. Tali istituzioni dovrebbero si dovrebbero adoperare per stabilire dei contatti diretti con
i bambini e coinvolgerli e consultarli in modo appropriato. In tal senso, per facilitare la
partecipazione dei ragazzi nelle questioni che li riguardano, si potrebbero ad esempio creare dei
Consigli di Ragazzi, come organi di consulenza per i NHRU.
17.
Le NHRU dovrebbero concepire programmi di consultazione adatti e delle strategie di
comunicazione di nuova ideazione, per garantire il pieno rispetto dell’art. 12 della Convenzione.
Occorrerebbe mettere in atto un insieme di appropriate procedure, che permettano ai minori di
comunicare con tali istituzioni.
18.
Le NHRI dovrebbero essere investite del diritto di fare rapporto - in modo diretto,
indipendente e autonomo - sulla situazione dei diritti di un bambino sia all’opinione pubblica, che
agli organi parlamentari. A tale proposito gli Stati parti debbono assicurare un dibattito annuale, in
seno al Parlamento, destinato a fornire ai parlamentari la possibilità di esaminare il lavoro delle
NHRU in favore dei diritti dell’infanzia e il grado di rispetto della Convenzione da parte dello
Stato.
Attività raccomandate
19.
La seguente lista è indicativa e non esaustiva dei tipi di attività che le Istituzioni nazionali
per i Diritti umani (NHRU) dovrebbero svolgere ai fini della realizzazione dei diritti dei bambini,
alla luce dei principi generali della Convenzione. Esse dovrebbero essere le seguenti:
a) Procedere, nei limiti del proprio mandato, a investigazioni su tutte le questioni di violazione
dei diritti del bambino - a seguito di denuncia o su loro stessa iniziativa;
b) Condurre inchieste su questioni connesse ai diritti dei bambini;
c) Elaborare e diffondere opinioni, raccomandazioni e rapporti - sia dietro richiesta delle
autorità nazionali o per loro stessa iniziativa - su ogni questione legata alla promozione e
alla protezione dei diritti dei bambini;
d) Mantenere sotto esame l’adeguatezza e l’efficacia della legislazione e delle pratiche relative
alla protezione dei diritti dei minori;
e) Promuovere l’armonizzazione della legislazione, dei regolamenti e delle pratiche nazionali
con la Convenzione sui diritti dei bambini, i suoi protocolli opzionali, e anche ogni altro
strumento internazionale relativo ai diritti umani e in rapporto con i diritti dei bambini;
promuovere la loro effettiva applicazione, in particolare fornendo alle strutture pubbliche e
private opinioni sull’interpretazione e applicazione della Convenzione.
f) Vigilare affinché i responsabili della politica economica nazionale tengano in dovuto conto i
diritti dei bambini nella formulazione e valutazione dei piani nazionali economici e di
sviluppo.
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g) Divulgare il bilancio di valutazione del Governo, per quanto riguarda l’applicazione della
Convenzione e il monitoraggio dell’evoluzione dello stato dei diritti dei
bambini cercando di assicurare che le statistiche siano adeguatamente disaggregate e di
procedere alla raccolta regolare di ogni altra informazioni, al fine determinare cosa debba
essere fatto per dare realizzare dei diritti dei bambini.
h) Incoraggiare la ratifica e l’adesione a ogni strumento internazionale pertinente e relativo ai
diritti umani.
i) In conformità all’articolo 3 della Convenzione a termine del quale il superiore interesse del
bambino deve essere la primaria considerazione in tutte le decisioni che li concernono,
vigilare che le conseguenze sui i bambini, delle leggi e delle politiche, siano prese
attentamente in considerazione, a partire dallo stadio della loro ideazione fino a quello della
loro applicazione e oltre.
j) Vigilare, alla luce dell’articolo 12 della Convenzione, che i bambini possano esprimere le
loro opinioni e che queste opinioni siano prese in considerazione nelle questioni afferenti i
loro diritti fondamentali e nella trattazione delle questioni connesse ai loro diritti.
k) Raccomandare e facilitare una partecipazione significativa delle ONG che operano per diritti
dei minori - incluse le organizzazioni di ragazzi – nell’elaborazione della legislazione
interna nazionale e di strumenti internazionali che possano vertere su questioni che
riguardano i minori.
l) Promuovere la conoscenza pubblica e l’attenzione collettiva sull’importanza dei diritti dei
minori, ed a tale scopo collaborare strettamente con i media e intraprendere o patrocinare
lavori di ricerca e attività educative sul campo.
m) Sensibilizzare i Governi, gli organismi pubblici e in generale l’opinione pubblica sulle
norme contenute nella Convenzione, oltre monitorare in quale modo lo Stato assolva le
proprie obbligazioni a tale riguardo, in accordo con l’articolo 42 della Convenzione in virtù
del quale gli Stati parti s’impegnano “a fare largamente conoscere i principi e le disposizioni
della presente convenzione dare larga diffusione ai principi e alle norme della presente
Convenzione, con mezzi attivi e appropriati mezzi, tra gli adulti come tra i bambini.
n) Concorrere alla formulazione di programmi per l’insegnamento e per la ricerca sui diritti
dell’infanzia, oltre che fare inserire lo studio di tali diritti nei piani di offerta formativa delle
scuole, delle università e nella formazione di determinate categorie professionali private.
o) Intraprendere un’azione educativa ai diritti dell’essere umano con speciale orientamento sui
bambini (in aggiunta all’azione di promozione tesa a promuovere la conoscenza da parte
del grande pubblico dell’importanza dei diritti dell’infanzia).
p) Intentare azioni legali per fare valere i diritti dei bambini nello Stato parte o fornire
assistenza giuridica ai bambini..
q) A seconda delle circostanze intraprendere un processo di mediazione o di conciliazione
prima di adire alle vie legali.
r) Fornire ai tribunali, nelle situazioni che si prestano, servizi da esperto sui diritti dell’infanzia
– in qualità di amicus curiae o di intervenente.
s) In accordo con l’articolo 3 della Convenzione che obbliga ”gli Stati parti di vigilare che il
funzionamento delle istituzioni, servizi e istituti che hanno la responsabilità dei minori e che
provvedono alla loro protezione sia conforme agli standard stabiliti dalle autorità
competenti, in particolare per quanto concerne la salute e la sicurezza e per quanto riguarda
il numero e la validità del loro staff, nonché l’esistenza di un adeguato controllo”, deve
intraprendere visite presso gli istituti minorili (e in tutti i luoghi dove i minori sono detenuti
per essere riformati o per scontare una pena) e vigilare che tali istituzioni facciano rapporto
e dia anche raccomandazioni pei loro miglioramento.
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t) Intraprendere ogni altra attività che possa essere connessa alle attività precedentemente
menzionate.
Presentazione di Rapporti al Comitato sui diritti dell’Infanzia dell’ONU e cooperazione tra le
NHRU e gli organismi e meccanismi di tutela dei diritti umani delle Nazioni Unite
20.
Le NHRU dovrebbero contribuire in maniera indipendente ai processi di presentazione e
esame dei rapporti previsti dalla Convenzione e dalle istituzioni internazionali pertinenti e
dovrebbero valutare la credibilità dei rapporti presentati dai Governi agli organismi creati in
applicazione di trattati internazionali nel campo dei diritti dell’infanzia e in particolare
nell’ambito del dialogo previsto con il Comitato sui diritti dell’infanzia al momento dei gruppi
di lavoro delle sessioni preparatorie e con altri organismi istituzionali pertinenti.
21.
Il Comitato richiede agli Stati parti di fornire nei loro rapporti al Comitato delle
informazioni dettagliate sullo statuto legislativo, mandato e sulle principali attività delle relative
NHRU. E’ ritenuto appropriato che gli Stati parte consultino le istituzioni indipendenti di tutela
dei diritti umani nel corso dell’elaborazione dei rapporti destinati al Comitato. Pur restando che
gli Stati parti debbono rispettare l’indipendenza di queste istituzioni, in particolare nell’ambito
dell’esercizio della loro funzione di fornitrici d’informazioni al Comitato. E’ ritenuto
inappropriato de delegare invece alle NHRU l’elaborazione di rapporti o d’includere uno dei
loro membri nelle delegazioni governative inviate per procedere all’esame di un rapporto di
fronte al Comitato.
22.
Le NHRU dovrebbero inoltre cooperare con le procedure speciali previste dalla
Commissione per i diritti umani, incluse le strutture di paese e tematiche, in particolare con il
Rapporteur speciale sulla tratta dei bambini, la prostituzione di bambini, e la pornografia che
implica dei bambini e con il rappresentante speciale del Segretario Generale per le questioni dei
bambini ed ei conflitti armati.
23.
L’organizzazione delle Nazioni Unite attua da parecchio tempo un programma destinato
a aiutare l’attuazione delle istituzioni nazionali dei difesa dei diritti umani o a aiutare a
rafforzarle. Questo programma, ripreso dall’ Alto Commissariato per i diritti umani (OHCHR),
serve a fornire assistenza tecnica e a facilitare la cooperazione mondiale e regionale, oltre che
scambi tra le istituzioni nazionali di tutela dei diritti umani. Gli Stati parti dovrebbero
all’occorrenza ricorrere a questa assistenza. Il Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia
(UNICEF), offre ugualmente il servizio di esperti e svolge una cooperazione tecnica in questo
campo.
24.
Come disposto dall’articolo 45 della Convenzione, il Comitato sui diritti dell’infanzia
dell’ONU può anche, se lo ritiene necessario, trasmettere alle istituzioni specializzate delle
Nazioni unite e agli altri organismi competenti ogni rapporto degli Stati parti contenente una
domanda o indicanti un bisogno di consigli o di assistenza tecnica per l’attuazione di
istituzionali nazionali di tutela dei diritti umani.
24. Lo Stato che ratifica la Convenzione sui diritti dell’uomo è soggetto all’obbligo di metterla
in atto in tutta la sua integralità. Le NHRU hanno, quanto a loro, il ruolo di sorvegliare in
completa indipendenza a che punto lo Stato si conformi a tale Convenzione e compia dei
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progressi nella sua applicazione e come faccia del loro meglio per assicurare il pieno rispetto dei
diritti dei bambini. Anche se le suddette istituzioni possono anche arrivare a formulare dei
progetti tesi a rinforzare la promozione e la protezione dei diritti dell’infanzia, il Governo non
sarebbe tenuto a delegare alle istituzioni nazionali le sue obbligazioni di sorveglianza. E’
essenziale che queste istituzioni conservino la totale libertà di stabilire il loro piano di lavoro e
di determinare le proprie attività.
Le NHRU e le ONG
26.
Le organizzazioni non governative ONG hanno un ruolo cruciale nella promozione sia
dei diritti umani, che dei diritti dei bambini. Il ruolo delle NHRU, con il loro supporto
legislativo e i loro poteri specifici, è un ruolo complementare. E’ essenziale che queste NHRU
lavorino a stretto contatto con le organizzazioni non-governative e che i governi rispettino
l’indipendenza delle une e delle altre.
Cooperazione regionale e internazionale
27.
Processi e meccanismi internazionali e regionali sono suscettibili di rafforzare e
consolidare le NHRU attraverso la condivisione di esperienze e di competenze specifiche, dato
che le NHRU nei propri rispettivi paesi si confrontano con problemi comuni nel campo della
protezione e promozione dei diritti umani.
28.
A tale riguardo, le NHRU dovrebbero consultarsi con gli organismi e le istituzioni
regionali, nazionali e internazionali, competenti sulle questioni dei diritti dei bambini e
cooperare con in essi su tale argomento.
29.
Le questioni e i problemi riguardanti i diritti fondamentali dei bambini, oltrepassano i
confini nazionali, e pertanto è diventato sempre più necessario definire e appropriati livelli
regionali e internazionali quale risposta adeguata alla varietà delle problematiche legate ai diritti
dei bambini (includendo tra gli altri: il traffico delle donne e dei bambini, la pornografia
infantile, il lavoro minorile, i bambini soldato, gli abusi su minori, i minori rifugiati e migranti
ecc.). E’ opportuno incoraggiare la creazione di meccanismi e scambi internazionali e regionali,
in quanto questi offrono alle NHRU la possibilità di apprendere dalle rispettive esperienze,
l’opportunità di rafforzare reciprocamente le proprie posizioni, oltre che la possibilità di
contribuire alla soluzione di certe problematiche legate ai diritti umani, che si presentano a
livello di paese e di regione.
Traduzione non ufficiale a cura dell’ UNICEF- Italia
43
Il 21 novembre 2002 si è conclusa a Pescia la Conferenza Nazionale per l'infanzia e
l'Adolescenza.
Di seguito presentiamo il documento "Le idee dei bambini e bambine e dei ragazzi e
ragazze per un piano d'azione a loro misura" - elaborato dagli 80 ragazzi del gruppo
PIDIDA – partecipazione (composto da AGESCI, Amnesty International, Arciragazzi,
Associazione Internazionale Noi Ragazzi Del Mondo, Centro Alfredo Rampi, Italia Nostra,
Italianats, Legambiente e UNICEF Italia).
Collodi, Pescia, Montecatini, 18, 19, 20 novembre 2002
“Le idee dei bambini e bambine e dei ragazzi e ragazze per un piano
d’azione a loro misura”
PIANO D’AZIONE DEI RAGAZZI
Spunti di riflessione sul tema della partecipazione dei bambini e bambine, ragazzi e
ragazze
Se siamo arrivati a stilare tale documento è solo grazie al diritto di partecipazione che per
noi significa poter far valere il diritto di esprimersi ed essere ascoltati e rispettati
attraverso il dialogo e il confronto.
In questo modo possiamo dimostrare di essere in grado di contribuire in modo costruttivo
alla risoluzione di problemi che ci riguardano più o meno da vicino.
Facendo un brain storming sono emersi questi concetti: collaborare, dialogare, mettersi in
gioco, esprimere idee…
Sono proprio questi i principi su cui si basa il nostro Forum (18-19-20 novembre).
Secondo noi è essenziale far sentire e far valere le nostre opinioni, senza diventare dei
burattini in mano ad adulti, autorità e media; in quanto gli argomenti trattati riguardano
noi ragazze/i bambine/i e quindi è più adatto il nostro parere.
Affinché ci sia una maggiore partecipazione crediamo opportuna e necessaria un’ampia
diffusione di documenti, come ad esempio “Un mondo a misura di bambino” riscritti con le
nostre parole.
Secondo il nostro gruppo partecipare è: interessarsi, discutere, ascoltare, far sentire la
propria voce, scontrarsi e trovare un punto di accordo. In poche parole mettersi in gioco.
Partecipare è un diritto di tutti ed è importante fidarsi di se stessi per quello che possiamo
dare.
Partecipare è diventare grandi ed essere consapevoli di rappresentare anche chi non può
partecipare
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Noi ragazzi non ci sentiamo abbastanza al centro dell’attenzione delle politiche sociali degli
adulti.
Vogliamo un cambiamento radicale in questo senso.
Abbiamo il diritto di essere pienamente partecipi e consultati quando vengono prese
decisioni che ci riguardano da parte delle Istituzioni.
Il percorso di crescita di un bambino è bivalente: da una parte è aiutato dai genitori ma il
bambino/a è strumento di crescita anche per gli adulti. Perciò noi bambini e ragazzi non
accettiamo alcuna forma di paternalismo.
Alla luce dell’ultima fase del documento redatto dai ragazzi alla Sessione Speciale
dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite sull’infanzia a New York che dice che noi
bambini/e e ragazzi/e siamo una risorsa fondamentale, dobbiamo essere presi in
considerazione fin da adesso e non solo nel futuro. Da parte nostra siamo pronti a tenere
conto delle vostre decisioni e proposte.
Il protagonismo giovanile si concretizza soprattutto nei momenti di aggregazione: è nostro
diritto avere più spazi di divertimento, confronto, informazione, apprendimento extrascolastico in appositi centri autonomi.
Partecipare è eliminare le barriere tra le persone, coinvolgere e sentirsi coinvolti nel
reciproco rispetto, esistere con la coscienza di vivere una vita attiva dando il proprio
contributo personale per confrontarsi, scambiarsi idee, opinioni, esperienze, per crescere
insieme.
La partecipazione è libertà di pensiero che si manifesta nel diritto di parola, ascolto,
espressione libera.
La partecipazione riguarda tutti come singoli in un gruppo, posti al medesimo livello senza
distinzioni, discriminazioni, preferenze.
Così come gli adulti, anche i ragazzi sono necessari nella costruzione di un futuro, di una
società globale più rispettosa, equa, giusta attraverso l’affluenza di idee altre, l’incrocio di
punti di vista differenti e l’interazione.
Tutto questo è partecipazione
1.
Non discriminazione
Discriminare è sintomo di ignoranza, egoismo, mancanza di intelligenza, inciviltà.
La discriminazione è intolleranza che si manifesta in atti di violenza umilianti verso coloro
apparentemente così diversi ma in realtà profondamente uguali.
La discriminazione esiste perché non si accettano, né si rispettano né tantomeno si
valorizzano le differenze del colore della pelle, delle culture etniche, della provenienza,
della religione, della classe sociale, e delle condizioni economiche, del sesso e
dell’orientamento sessuale, dell’età, degli ideali politici, delle disabilità e delle
malformazioni fisiche.
Essa consiste generalmente nell’esclusione, nella difficoltà di integrarsi socialmente e
45
nell’impossibilità di trovare un lavoro che garantisca una buona retribuzione e condizioni
rispettose.
In particolari casi, quelli più gravi, la discriminazione si trasforma in insulti, abusi e
violenze fisiche.
Le radici della discriminazione sono da identificarsi nell’esaltazione del proprio paese, nello
spirito di gruppo, nell’apparente superiorità degli adulti, nel modello economico neoliberista, nel contesto educativo familiare-scolastico, nei pregiudizi e fondamentalmente
nell’ignoranza.
Per ridurre, o meglio, eliminare totalmente questo fenomeno di intolleranza proponiamo di
promuovere, a partire dall’ambiente scolastico, scambi culturali al fine di conoscere ed
entrare in contatto con realtà diverse dalle nostre, con altre società ed esperienze di vita.
2. Istruzione
Secondo noi, l’istruzione è un diritto fondamentale perché solo grazie ad essa si può
crescere, maturare, acquisire una propria dignità, una coscienza e una mentalità critica
(cioè saper giudicare considerando ogni elemento). Ma si tratta anche di responsabilità,
perché sappiamo che il processo di apprendimento comporta anche dei doveri, come ad
esempio l’impegno, la partecipazione e la capacità di organizzazione.
Dopo un costruttivo scambio di idee ci siamo accorti che c’è poco dialogo e che non siamo
del tutto consapevoli di ciò che ci riguarda e di ciò che sentiamo vicino a noi. Per questo
proponiamo che ci siano una o più ore alla settimana all’interno dell’orario scolastico in cui
poter parlare di argomenti attuali. Un’opportunità di confronto e apertura mentale, con
compagni e professori, toccando anche argomenti come la pace, i diritti umani e
l’accettazione degli altri.
Sottolineiamo anche un disagio pratico causato dall’inadeguatezza degli edifici scolastici
che impediscono di vivere in modo completo la nostra istruzione, ad esempio: palestre,
aule video, aule d’informatica, sistemi antincendio e antisismici, apparecchiature e
agevolazioni per i portatori di handicap. Le strutture efficienti infatti ci stimolerebbero,
anche, ad andare a scuola più volentieri.
In conclusione, se tutto questo fosse possibile, giungeremmo quasi certamente
all’obiettivo fondamentale dell’istruzione: essere pronti ad affrontare la vita.
3. Abuso- sfruttamento
Non trascuriamo i bambini
Con questo documento vogliamo che gli adulti si fermino per un momento ad ascoltarci,
noi ci impegnamo a fare del nostro meglio e delle proposte concrete, ma voi adulti dovete
tener conto dei nostri bisogni e soddisfarli.
Non ci dovete trascurare, ricordatevi che noi siamo il presente e non solo il futuro.
I nostri obiettivi sono tanti ma tutti validi:
· Combattere lo sfruttamento minorile.
Lo sfruttamento minorile nasce dalla necessità delle famiglie più povere di avere più soldi
e i bambini più deboli diventano vittime di persone che vogliono arricchirsi sulle loro spalle,
sapendo che questi ultimi non conoscono i loro diritti.
· Alleviare i dolori dei bambini.
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Il dolore dei bambini di cui parliamo nasce dal fatto di aver subito una violenza di qualsiasi
tipo.
· Recuperare i bambini che hanno subito abusi (sessuali/ psicologici).
Cerchiamo di non lasciarli soli in un momento difficile. Dopo aver subito un abuso così
grave noi abbiamo il dovere di occuparci di loro.
· Combattere gli abusi di potere.
Nella scuola, nella famiglia e in qualsiasi altro luogo dobbiamo impedire che prevalga la
legge del più forte.
· Combattere la pedofilia.
Chi abusa sessualmente dei minori è la prima persona da aiutare, ma nello stesso tempo
da condannare. Le statistiche ci dicono che la maggior parte dei pedofili ha subito a sua
volta una violenza. Recuperiamo adesso il bambino che ha subito violenza e domani ci
sarà un pedofilo in meno.
· Sensibilizzare, educare ai diritti
Tutte le persone devono sapere che gli abusi esistono, non solo in televisione, non solo
alla radio, non solo su un libro ma esistono anche accanto a noi e non dobbiamo chiudere
gli occhi e far finta di niente perché in questo modo si creeranno tante vittime in più.
Le strategie da attuare possono essere:
· Aumentare i controlli e le pene per combattere lo sfruttamento minorile.
· Assistere psicologicamente i bambini maltrattati e creare centri di recupero, luoghi dove
si aiutano i bambini ad alleviare i propri dolori.
· Favorire campagne di informazione entrando nel mondo dei bambini attraverso i loro
strumenti (cartoni animati, programmi musicali, fumetti…) e la partecipazione attiva delle
famiglie.
· Promuovere corsi di formazione per i ragazzi, organizzati dai loro coetanei per educare ai
diritti.
Educare ai diritti significa dare a tutti, e soprattutto ai bambini, la possibilità di far sentire
la propria voce, e proprio per questo è fondamentale che nel programma scolastico siano
previste alcune ore per questa campagna informativa.
4. Informazione
Noi bambini/e, ragazzi/e abbiamo discusso sull’informazione e pensiamo che questa così
com’è non ci piace.
Infatti l’informazione non parla abbastanza dei nostri diritti e quindi non conoscendoli non
li possiamo far rispettare. L’informazione perciò non è a misura di bambino. Noi vogliamo
essere i protagonisti dell’informazione perché fino ad ora non siamo stati rappresentati e i
mezzi di informazione non hanno rispecchiato le nostre idee. Per far ciò noi vogliamo
essere ascoltati e vogliamo che ci sia collaborazione tra adulti e bambini.
Non ci piace che gli adulti prendano le nostre parole e le manipolino secondo i loro
interessi, per fare più ascolti. Per evitare questo vogliamo una legge più severa che
garantisca questo rispetto.
Noi vogliamo che gli adulti conoscano quali siano i nostri diritti per aiutarci a far sentire la
nostra voce.
Questo è possibile con momenti dove gli adulti parlano tra di loro dei nostri diritti.
Noi vogliamo conoscere i nostri diritti attraverso il gioco e i momenti di incontro tra noi
bambini.
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Vogliamo che a noi siano dette le stesse cose che sono dette agli adulti ma in modo più
semplice e chiaro.
5. Lotta alla povertà
Vorremmo iniziare dicendo che per fortuna nel nostro gruppo nessuno vive in una
situazione di grave povertà, se per povertà intendiamo non poter mangiare.
Sappiamo però che anche in Italia esiste la povertà se la intendiamo come l’impossibilità di
riuscire ad arrivare a fine mese con i soldi dello stipendio e non avere i diritti di base
(scuole, ospedali, etc).
Sappiamo di bambini che non possono andare a scuola, di bambini che lavorano in
condizioni pietose per aiutare i genitori.
In Italia fino ai giorni nostri si è sempre attuata una politica a “stampo statale”: cioè chi si
occupa di garantire la scuola, gli ospedali e tutte le istituzioni volte al sociale è sempre
stato lo Stato. Questo grazie alle tasse (finanziamenti obbligatori che i cittadini devono
dare allo Stato). Pensiamo che questo sia giusto perché deve essere lo Stato a garantire
uguali diritti a tutti i suoi cittadini.
Se però esistono bambini nelle situazioni prima elencate, vuol dire che la gestione
economica (come lo Stato organizza e divide i soldi) non funziona come dovrebbe.
Noi crediamo che una delle cause principali sia la corruzione, quindi:
- o i cittadini non pagano le tasse;
- o i cittadini le pagano, ma lo Stato non le distribuisce uniformemente;
- oppure i cittadini le pagano, ma allo Stato non arrivano perché vengono rubate da
qualcuno (ad esempio la mafia).
Noi non siamo esperti dell’argomento, ma possiamo fare delle proposte:
attuare una rete di educazione ed informazione come strategie per combattere la
corruzione.
Educazione perché pensiamo sia importante creare una coscienza sociale negli individui,
per far sì che le persone crescendo sappiano distinguere la legalità dalla corruzione.
Informazione, per rendere pubbliche le scorrettezze ed il mal funzionamento del servizio
sociale per combatterli.
Uno dei problemi più grandi in Italia è la differenza di condizioni economiche tra nord e
sud. Questa differenza è un ottimo esempio di corruzione e gestione sbagliata dei soldi.
Secondo l’esperienza di un ragazzo del sud del nostro gruppo, sappiamo anche che, se
cambia l’amministrazione, cambia anche il modo di vivere quotidiano delle persone.
Un altro esempio di povertà in Italia che vediamo con i nostri occhi, sono i nuovi poveri,
ossia le persone che sono venute da altri Paesi per cercare fortuna.
Bisognerebbe, secondo noi, non fare la carità ai bambini fermi ai semafori o che
mendicano per strada, perché il giorno dopo sarebbero di nuovo lì. Bisognerebbe invece
cercare di creare strutture che diano loro un letto su cui dormire ed un piatto caldo.
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Questa, però, è una soluzione solamente provvisoria perché pensiamo che la vera
soluzione sia estendere i nostri stessi diritti anche a loro (casa, famiglia, cibo, lavoro etc).
Volevamo sottolineare che per noi è stato difficile affrontare questo argomento, perché
non avevamo abbastanza informazioni e questo ci fa capire quanto l’accesso
all’informazione sia importante per risolvere i problemi, in particolare anche quello della
povertà trattato in questo documento.
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