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Evoluzione adolescenziale: diagnosi e caratteristiche dello sviluppo
Evolutions of adolescencent: diagnosis and characteristics of the
development
Valeria Verrastro1, Linda Millone2
Riassunto
Il presente contributo ha come obiettivo quello di delineare le aree fondamentali da indagare
e approfondire nei primi colloqui con adolescenti affinché si possa attuare una buona e corretta diagnosi.
In particolare, interesse dell’esperto deve essere quello di far riferimento alla società attuale
ed alle nuove modalità relazionali che si instaurano e nelle quali è collocato il giovane adolescente. Dunque si approfondirà nel presente lavoro il ruolo cruciale che la famiglia, in primis,
e il gruppo dei pari ha per l’adolescente.
Parole chiave
Relazione, diagnosi, adolescente, famiglia.
Abstract
This work aims to outline the key areas to be investigated and to be deepened in the first interviews with teenagers, so that we can implement a good and proper diagnosis. In particular, an
expert should take into account the current society and the new relational ways established,
within which is placed the young teenager. Therefore in the present work will be deepened the
crucial role that the family above all, and then the group of the peers, have for the teenager.
Keywords
Relationship, diagnosis, adolescence, family.
Una volta effettuata una diagnosi, ci si può orientare verso una modalità di trattamento. Ci si
può rendere conto della necessità di un intervento più specialistico e allora si tratterà di aiutare
il ragazzo e la famiglia a prendere atto di quanto ciò possa essere importante.
Nella maggior parte dei casi, tuttavia, le informazioni vengono usate per offrire informazioni
sul processo di aiuto che potrebbe essere posto in essere. E’ preferibile essere chiari e decisi. Il
ragazzo si sente meno confuso se un adulto porta chiarezza e se vede che c'è disponibilità ad
aiutarlo si sente meno spaventato e solo. Non tutti i ragazzi però desiderano essere aiutati ed è
triste ma incontestabile che alcuni di essi sono già incamminati su un sentiero autodistruttivo da
cui non si discosteranno. Conoscere i propri limiti personali e professionali, senza sottostimare
le proprie abilità innate, è un buon punto d'inizio per decidere quale debba essere il ruolo di una
particolare persona.
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Di seguito sono elencati dei punti fondamentali da approfondire possibilmente nei primi colloqui, per avere un quadro completo della situazione e poter effettuare di seguito una buona diagnosi.
1. Chiarire le varie questioni: di chi si tratta, e perché? Se emergono discrepanze, ciò può risultare significativo.
2. Conoscere i dettagli del problema in questione: durata, intensità, circostanze e conseguenze.
3. Gli atteggiamenti delle persone chiave: il bambino o il ragazzo, i genitori, gli insegnanti, ecc.
4. Approfondire la storia evolutiva: c'è qualcosa nella storia del ragazzo che potrebbe influenzarne il comportamento?
5. Approfondire l’andamento scolastico: le aree chiave sono i risultati scolastici, per esempio
l'alunno non riesce a trovarsi bene a scuola?
- rapporti con gli insegnanti;
- rapporti con i compagni (non dimenticate il forte impatto che può avere il bullismo).
6. Approfondire le relazioni con i pari: il ragazzo ha amici? Come sono? Quanta influenza esercitano?
7. Approfondire hobby e interessi: vi sono elementi di variazione nella vita del bambino o egli
è decisamente focalizzato su una singola cosa o area, o magari su niente in particolare?
8. Approfondire eventi traumatici: è accaduto qualcosa nella vita familiare o direttamente al ragazzo che sembra legato al problema attuale?
9. Approfondire i rapporti con la famiglia: benché magari ci si sia già informati verbalmente in
proposito, il modo più efficace per valutare le relazioni familiari è osservarle mentre si svolgono: chi parla di più?
- il tono degli interscambi;
- chi esercita l'autorità (potrebbe essere un bambino).
10. Approfondire il comportamento del ragazzo in questione: come si comporta che temperamento mostra (posato/irrequieto, allegro/triste, ecc.)?
11. Eventualmente, se ritenuto opportuno dallo psicoterapeuta, somministrare dei test per confermare l’eventuale diagnosi sorta dai colloqui iniziali effettuati.
Un punto che spesso i profani del settore ignorano apertamente è l’analisi del contesto in cui un
adolescente è collocato. Normalmente e “per fortuna”, gli psicoterapeuti sono molto attenti
all’ambiente in cui è immerso il paziente.
Un valido psicoterapeuta deve far riferimento alla società attuale ed alle nuove modalità relazionali che si instaurano e che sono in continua evoluzione, nelle quali è collocato il giovane
adolescente.
Al giorno d’oggi, il bambino e la sua famiglia nel corso degli anni vanno incontro a cambiamenti continui, e non sempre lo sviluppo procede senza difficoltà.
La diminuzione della natalità nel nostro paese fa sì che i genitori concentrino sul figlio, che
spesso rimane figlio unico, tutta una serie di aspettative e di attenzioni che non sempre sono
funzionali al suo sviluppo. Il bambino diventa il centro degli interessi dell'intero sistema familiare allargato (nonni, zii, cugini, ecc.), tanto che, per così dire, si capovolgono i ruoli e le funzioni: è il bambino che deve soddisfare i bisogni affettivi degli adulti e non il contrario.
Il bambino si trova, all'incrocio degli interessi relazionali di quattro poli: madre, padre, nonni
materni e nonni paterni, per cui può perdere di vista i suoi reali bisogni. Dobbiamo tener presente che (come succede con la relazione simbiotica madre-figlio) il chiasma relazionale, ossia
quando per i genitori e le rispettive famiglie d'origine il bambino rappresenta la sorgente di appagamento affettivo delle diverse stirpi, può essere una modalità relazionale adeguata nelle
prime fasi di cura e allevamento del bambino. Diventa disfunzionale se persiste nel tempo, al di
là delle esigenze di sviluppo, e se si verificano conflitti e tensioni tra i genitori e i nonni per cui
il bambino viene messo al centro dei conflitti e delle eventuali battaglie legali tra i due clan familiari.
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Un'altra configurazione relazionale che può divenire disfunzionale se rimane rigida nel tempo è
quella del parental child. Questa configurazione si verifica spesso in quelle situazioni in cui il
padre, anche per motivi lavorativi, assume un ruolo secondario e periferico nella vita familiare.
Pensiamo a quei padri costretti spesso a viaggiare per lavoro, o a quelli che in un certo senso
«sposano» il loro lavoro e la carriera, oppure a quelle situazioni frequenti al sud Italia, soprattutto in passato, in cui gli uomini lasciavano le famiglie per trovare lavoro all' estero o al nord e
tornavano soltanto per pochi giorni al mese e per le vacanze. In questi casi la madre il più delle
volte svolge anche le funzioni legate alla gestione dell'autorità, che solitamente sono compito
del padre, il quale viene a mancare affettivamente non soltanto alla madre/moglie, ma anche ai
figli. Può accadere quindi che la madre per colmare queste carenze deleghi a uno dei figli, solitamente il figlio maggiore, una serie di funzioni. Se questa situazione si stabilizza e permane
oltre il tempo necessario diventa disfunzionale. Il figlio «adultizzato» infatti, così coinvolto e
sedotto, non ha la libertà di sperimentare e creare altri rapporti affettivi al di fuori della famiglia
(spesso può non sentirne l'esigenza), per cui probabilmente, nella fase adolescenziale, sarà più
difficile il suo processo di svincolo. Allo stesso tempo, gli altri fratelli possono sentirsi trascurati e manifestare una qualche problematica a livello emotivo e/o comportamentale per attirare
l'attenzione dei genitori. In queste situazioni spesso i genitori, sia la madre che il padre, sperimentano un disagio nella relazione coniugale. La madre può utilizzare il figlio come «consolatore», anche se non le servirà a superare il disagio coniugale, e il padre viceversa potrà sentirsi
un estraneo e soltanto come una «macchina» per produrre soldi in quanto non considerato nella
vita affettiva e relazionale.
La condizione di parental child può verificarsi anche quando il bambino vive in una famiglia
dove i genitori sono immaturi dal punto di vista psicosociale o presentano una patologia psichica e/o fisica seria e il fratello più grande svolge come può le funzioni dei genitori. In questi casi
il figlio adultizzato assume il compito di provvedere a eventuali fratelli minori. Se questa configurazione relazionale si cronicizza, il figlio parentificato potrà andare incontro a notevoli difficoltà nelle future relazioni sociali, in quanto non si sperimenta, durante l'infanzia e l'adolescenza, nei rapporti con i coetanei e tende a stabilire relazioni significative soprattutto con adulti, quali ad esempio parenti e insegnanti.
Inoltre, se il figlio parentificato viene disconfermato dalla madre nel ruolo di parental child che
gli è stato attribuito di fatto dalla medesima, l'organizzazione familiare diventa caotica, in quanto il figlio è delegato e allo stesso tempo disconfermato dalla madre stessa.
Nella crescita il ragazzo, in qualunque contesto familiare si trovi, dovrà “lottare” tra autonomia
e dipendenza familiare”.
La parabola del figliol prodigo è forse uno degli esempi migliori per rappresentare la condizione del figlio adolescente e dei suoi genitori, che si trovano a mediare tra autonomia e dipendenza.
Questa flessibilità e quest'azione mediativa della famiglia permette all'adolescente di sperimentarsi all'esterno in un contesto protettivo, e di costruire relazioni significative al di fuori di essa
(pur rimanendone un membro significativo).
Un altro aspetto da tener presente è che spesso i genitori rivivono la loro adolescenza, o quella
che avrebbero voluto vivere, nei figli, per cui possono mettere in atto meccanismi di competizione o invidia per le occasioni che non hanno avuto o meccanismi proiettivi, chiedendo in modo più o meno esplicito ai figli di realizzare i propri sogni. Tali meccanismi sono disfunzionali
e non aiutano il processo di svincolo dell'adolescente, che viene ancora visto come un prolungamento indifferenziato di se stessi.
La buona riuscita del processo di individuazione dipende anche da come i genitori hanno elaborato gli eventi relativi alla propria «uscita» dalle rispettive famiglie d'origine e da come costoro
regolano e modificano le distanze relazionali con i propri genitori anziani.
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In questa fase evolutiva, è interessante osservare il ruolo svolto dai fratelli, in quanto diventano
un'importante risorsa emotiva reciproca. La relazione tra fratelli assume nuove caratteristiche e
si trasforma verso il polo dell’amicizia e della confidenza.
Il fratello diventa la persona con cui ci si confida e a cui si chiede un consiglio o con cui ci si
allea a discapito dei genitori. Se vi è una differenza d'età significativa tra il figlio maggiore adolescente e il minore, il primogenito potrà assumere verso il secondo comportamenti protettivi e
di accudimento e porsi, soprattutto se dello stesso sesso, come modello identificativo. Il primogenito è poi in un certo senso un esploratore ed è colui che negozia con i genitori le uscite con
gli amici, gli orari di rientro, le vacanze, ecc; È frequente ascoltare un fratello maggiore che dice: «Ti ho aperto la strada, per te è stato tutto più facile ... ».
Fin dall'infanzia il gruppo di fratelli ha costituito un laboratorio sociale in cui sperimentare relazioni; ora questo ruolo si amplia in quanto contribuisce al processo di differenziazione, favorendo la socializzazione nel gruppo dei pari.
Insieme alla famiglia (genitori e fratelli), il gruppo dei pari costituisce il principale referente affettivo ed emotivo dell'adolescente. Tra gli amici 1'adolescente può trovare modelli di identificazione più vicini alla sua condizione e non appartenenti ancora al mondo degli adulti, può avere diversi esempi di comportamenti, e condividere speranze, timori e ansie comuni.
Per la riuscita della «separazione» adolescenziale è necessario, dunque, che siano raggiunte in
maniera soddisfacente le mete dell'affiliazione e dell'individuazione. L'adolescente solo se avrà
avuto rapporti stretti, fiduciosi e reciproci con i membri della famiglia e se avrà interiorizzato
tali rapporti sarà in grado di trasformare i legami familiari e aprirsi a vincoli extrafamiliari. Non
ci si può separare se prima non si è appartenuti, e appartenere significa sentirsi parte di quel sapere condiviso che è la cultura familiare e che accompagna 1'adolescente nel suo processo di
svincolo.
L'individuazione dei figli sarà vissuta in modo diverso dalle diverse famiglie a seconda del valore e del significato che vi sarà attribuito. Se sarà vista come causa di un vuoto incolmabile
che porterà solitudine e disperazione in chi rimane, sarà una prospettiva da evitare o comunque
carica di sensi di colpa; se invece viene vista come possibilità di evoluzione per il singolo e la
famiglia, allora sarà vissuta positivamente.
Varie e complesse forze familiari possono ostacolare le mosse di un membro verso la separazione, anche in una famiglia «normale». Uno dei figli, ad esempio, può diventare il simbolo di
un inconscio mito familiare, come in quelle famiglie in cui una delle figlie viene «scelta» per
restare con la madre quando gli altri figli si sposano (dama di compagnia), come ricompensa di
quanto la madre ha fatto per tutti i componenti della famiglia fino a quel momento.
Il processo di costruzione dell'identità per l'adolescente può essere collocato tra l'area dell'esperienza con la famiglia, l'area dell'esperienza con i gruppi intermedi (amicale, scolastico, di lavoro) e l'area dell'esperienza sociale in senso lato.
Scuola e gruppo dei pari in questa fase evolutiva costituiscono infatti, insieme alla famiglia, le
principali agenzie di socializzazione. Gli adolescenti, sia maschi che femmine, soprattutto
nell'età tra i 14 e i 18 anni, vivono come essenziale per la loro crescita sociale un intenso coinvolgimento con uno o più gruppi di coetanei. Per lo più sono gruppi informali, ovvero non aderenti ad associazioni formali (ad esempio, associazioni religiose, sportive, culturali, di volontariato), che si riuniscono abitualmente più volte alla settimana in diversi luoghi (per strada, in
piazza, in un caffè, nei giardini pubblici, di fronte a scuola, ecc.) per parlare e confrontarsi su
una molteplicità di argomenti. Questi gruppi sono caratterizzati da una vita sociale piuttosto
ricca e variegata. Ogni gruppo elabora proprie norme che riguardano anche come trattare i
membri che le violano, o le modalità peculiari di organizzare il rapporto tra ragazzi e ragazze.
Nel gruppo si affrontano i problemi vissuti da ciascuno e si possono elaborare delle soluzioni
originali, Gruppi informali di adolescenti esistono in tutti gli strati sociali, ma ogni gruppo è
costituito in modo piuttosto omogeneo dal punto di vista sociale, culturale o ideologico. L'identificazione con il gruppo costituisce il punto di riferimento essenziale per affrontare i momenti
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più critici della propria esperienza di crescita. Nel gruppo dei pari l'adolescente trova l'occasione di sperimentarsi in diversi ruoli (sia da un punto di vista intellettivo che affettivo) e di rapportarsi con altri modelli di identificazione, e lo slancio per uscire dalla propria famiglia d'origine. Le funzioni positive del gruppo dei pari, come sistema interpersonale di sostegno ai processi evolutivi del singolo, sono spesso sottovalutate.
In letteratura si distingue tra gruppi primari e gruppi secondari.
I gruppi primari sono gruppi di dimensioni ridotte che permettono relazioni empatiche, e proprio per questo sono rassicuranti e sembrano costituire un'alternativa ai rapporti con i genitori
da cui gli adolescenti si stanno allontanando psicologicamente. L'attività principale di questi
gruppi è quella di «discutere», per confrontarsi e scambiarsi idee e opinioni. Il gruppo secondario, ovvero le classiche «comitive», consente invece la realizzazione di attività sociali organizzate più ampie, quali feste, cene, escursioni, gite, ed è l'occasione per incontri tra giovani di
sesso diverso.
Le interazioni tra pari, attraverso le discussioni e gli scambi, provocano uno squilibrio sul piano
delle idee e hanno una specifica funzione nei processi del pensiero formale. Il gruppo dei pari,
quindi, costituisce una struttura interpersonale privilegiata, necessaria ad uno sviluppo integrato
dell'adolescente dal punto di vista emotivo e affettivo, oltre che cognitivo.
Il gruppo adolescenziale permette di sperimentarsi in situazioni interpersonali in cui l'individuo
può comunicare intensamente, ma in modo più disimpegnato, e può accedere a rapporti personalizzati di amicizia e di coppia, però privi del coinvolgimento tipico dei rapporti di attaccamento familiare, senza che la comunicazione interpersonale cessi. La socializzazione nel gruppo di pari permette la costruzione di un mondo vicino adolescenziale che stabilisce una differenza informativa rispetto alla comunicazione interpersonale esterna al gruppo, pur permettendo i vantaggi dei rapporti interpersonali significativi.
Ci si può domandare dunque in che rapporto si trovano gruppo dei pari e famiglia. In effetti,
potremmo considerarli come gruppi in competizione e/o collaborativi. Da numerose ricerche
sembra emergere che il sentimento di integrazione nella famiglia è presente nell'adolescente, ed
è sempre più forte del sentimento di integrazione nel gruppo di pari, anche se diminuisce progressivamente in funzione dell'età a favore di un maggiore sentimento di individuazione. Inoltre gli adolescenti considerano i loro pari e i loro genitori delle guide ugualmente competenti,
ma in campi differenti: ai genitori ci si rivolge in modo particolare per problemi morali e materiali, progetti e scelte future; al gruppo di amici per problemi sentimentali e per discutere su
aspetti valoriali.
La famiglia assume soprattutto una funzione protettiva e di supporto, come base sicura su cui
l'adolescente può contare nei momenti di bisogno e di difficoltà e che allo stesso tempo è in
grado di fornirgli la libertà di sperimentare le proprie competenze al di fuori e permetterne poi
l'uscita.
Il comportamento sociale deviante dell'adolescente invece, spesso, si inserisce all'interno di dinamiche relazionali familiari tipiche come quelle indicate in precedenza.
Sono molti i fattori di ordine sociologico e culturale che hanno contribuito a focalizzare l'interesse su questo periodo della vita individuale e familiare, fino a qualche anno fa trascurato perché ritenuto statico e senza particolari movimenti al suo interno. Tra questi rivestono un ruolo
fondamentale il prolungamento del periodo dedicato allo studio e alla formazione, la posticipazione dell'ingresso del giovane nel mondo del lavoro e ancora la posticipazione del matrimonio.
Anche l'innalzamento della vita media ha contribuito ad allargare la prospettiva con cui si guarda all'età adulta.
Questa fase evolutiva può rappresentare un vantaggio sia per il giovane che per la sua famiglia,
se rimane limitata a un periodo transitorio: il giovane può prepararsi e meglio addestrarsi all'inserimento nel contesto sociale; i genitori al contempo possono reinvestire nella relazione di
coppia e impegnarsi maggiormente nei rapporti sociali (amicizie, 'lavoro):. Nelle ricerche sulle
dinamiche familiari si è osservato che nel corso dell' adolescenza l'andamento della conflittuali 9
tà tra genitori e figli assume la forma di una parabola: essa raggiunge il livello massimo nei
primi anni, quando gli adolescenti cominciano a coinvolgersi sempre di più nelle relazioni con i
coetanei e mettono in discussione l'autorità genitoriale; si mantiene allo stesso livello nella media adolescenza, momento in cui genitori e gruppo dei pari hanno un'importanza concorrenziale
nello sviluppo del ragazzo; diminuisce o addirittura scompare nella tarda adolescenza, quando
genitori e figlio giovane imparano ad accettarsi e apprezzarsi l'un l'altro in quanto «adulti»
(Scabini e Marta 1995).
D'altro canto non mancano i pericoli in questa condizione di reciproco «benessere». Per i figli,
infatti, questa fase costituisce un'occasione per sperimentarsi in diversi campi della vita (lavorativo, affettivo e sociale), tanto che la maggior parte dei giovani 'adulti in Italia vivono in casa
fin verso i trent' anni dichiarandosi soddisfatti. Allo stesso tempo la transizione può però contribuire ad accrescere la loro condizione di provvisorietà e di incertezza e la tendenza a rimandare ulteriormente l'assunzione di una piena responsabilità adulta.
I rischi impliciti in una tale situazione «aurea» sono evidenziabili in quei casi in cui il figlio
«agisce» le difficoltà familiari nel superare questa fase. Per il sistema familiare quella che dovrebbe essere una fase transitoria diventa stabile. Si ha un blocco nello sviluppo cui anche i genitori contribuiscono, mantenendo come intermediario il figlio nel rapporto di coppia, in quanto
la presenza del figlio permette di eludere il confronto sull'incomunicabilità tra i due partner.
Uno o entrambi i genitori possono incoraggiare questo stallo, con atteggiamenti eccessivamente
complici, accettando apparentemente qualsiasi comportamento del figlio. Essi possono vivere
attraverso il figlio una realtà che non hanno mai potuto avere e un rapporto genitori-figlio che
avrebbero desiderato, ma che da figli non hanno vissuto perché diverse erano le condizioni socioculturali.
La regolazione delle distanze tra genitori e figli influenza quindi le modalità con cui avviene
l'evento critico «uscita di casa dei figli», ampliandone o riducendone la portata. L'uscita dei figli non si realizza se una parte o tutto il sistema familiare è incapace di ridefinire le relazioni in
modo evolutivo.
Haley (1980) nella rassegna di una serie di casi clinici indica che in queste situazioni familiari
si possono verificare in modo circolare, talora alternandosi, comportamenti sintomatici in uno
dei genitori (allucinazioni, deliri, o più spesso reazioni depressive) e/o nel figlio (ad esempio,
incapacità di concludere gli studi universitari, fallimento nell'inserimento lavorativo, disagio
psichico). Un modo in cui un giovane può stabilizzare la famiglia è quello di sviluppare un
qualche problema che ne faccia un fallito, in modo che continui ad aver bisogno dei genitori
(ibidem).
Il comportamento deviante, patologico o fallimentare del figlio, secondo Haley, protegge o copre il conflitto coniugale e comunque tende a ridare coesione e «compiti evolutivi» al gruppo
familiare. La separazione «psichica» e «fisica» dal figlio; viene ostacolata quando il confine tra
genitori e figlio è diffuso, ovvero il rapporto decisamente invischiato. Secondo Stierlin (1978)
solo se i genitori trasmettono al figlio il sentimento che lo pensano capace di rendersi autonomo
e che essi riusciranno a elaborare e superare positivamente la «solitudine», sarà possibile un
processo evolutivo di separazione e di crescita individuale.
Bibliografia
Haley J., 1980, Fondamenti di terapia della famiglia, Feltrinelli, Milano.
Malagoli Togliatti M., Cotugno A., 1996, Psicodinamica delle relazioni familiari, Il Mulino,
Bologna.
Malagoli Togliatti M., Rocchietta Tofani L., 2002, Famiglie multiproblematiche, Carocci, Roma.
Scabini E., Marta E., 1995, “Tarda adolescenza e relazioni familiari: i percorsi della ricerca”, in
Contesti relazionali e processi di sviluppo, a cura di P. Di Blasio, Milano, Cortina.
10
Stierlin H., 1978, “Delegation and Familie, Frankfurt, Suhrkamp Verlag”, tr. it. La famiglia e i
disturbi psicosociali, Bollati Boringhieri, Torino, 1981.
1
Ricercatore in psicologia dello sviluppo e dell’educazione, Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale.
2
Psicologa, psicoterapeuta, Istituto per lo Studio delle Psicoterapie.
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