Da uomo pratico, il Bessarione si preoccupò immediatamente di cono
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Da uomo pratico, il Bessarione si preoccupò immediatamente di cono
Da uomo pratico, il Bessarione si preoccupò immediatamente di conoscere l'esatta consistenza dei beni di proprietà della b a d i a a lui affidata. Solo la corretta ed efficace amministrazione del patrimonio immobiliare poteva restituire al cenobio niliano la passata prosperità economica, conditio sine qua non per renderlo, secondo i desideri suoi e della Santa Sede, rinnovato centro di vita e cultura monastica, sicuro rifugio di quella religiosità orientale che Roma sperava di ricondurre - seppure, per così dire, in articulo mortis — a filiale obbedienza. Il risultato degli sforzi del cardinale si concretizzò in un primo momento nella cosiddetta Platea Bessarionis, dettagliato censimento dei numerosi beni immobili della badia, la cui redazione venne affidata al vicario Niccolò Perotti: opera più complessa di quanto si potrebbe pensare, vista la notevole dispersione dei beni stessi sul territorio della penisola da Roma all'Umbria, dai colli di Tivoli alle paludi del litorale tirrenico, fino alla C a m p a n i a e alla Calabria settentrionale, con i tenimenta di Montesano, Campora, Rivello, Scalea e Sansa (1). L a Platea è d u n q u e un documento di g r a n d e valore, imprescindibile per chi voglia studiare la storia dell'abbazia niliana: essa ci offre infatti non soltanto u n ' i m m a g i n e completa della situazione patrimoniale nella seconda metà del X V secolo, di per se stessa estremamente interessante, ma - analizzata assieme agli altri documenti superstiti dell'archivio criptense - consente spesso di chiarire moire questioni circa l'acquisizione, la localizzazione e la trasmissione dei beni fondiari cui rimase legata, attraverso le generazioni, la prosperità del monastero italogreco. Il saggio di L o r e d a n a Pera {La Platea del Bessarione: un patrimonio ricomposto, p p . 35-77) ne offre u n a esauriente contestualizzazione storica, p r e n d e n d o giustamente avvio dal trentennio precedente la commenda, durante il quale le sorti del monastero restarono affidate all'abate Pietro Vitali (1432-62), per poi descrivere nel dettaglio la composizione del patrimonio del 1462 - immobili urbani, casali, seminativi, orti e frutteti, vigne, fino ai mulini (sei dei quali confermati alla b a d i a già nel privilegio di P a s q u a l e II del 1116!) e alle ferriere - e analizzare infine i modi della gestione del patrimonio stesso, dai (1) Il caso dei possedimenti calabresi merita un breve approfondimento. Nel privilegio pontificio del 1116, infatti, viene menzionata (tra gli altri beni oggetto di conferma) una serie di proprietà in seguito mai più attestate nella documentazione superstite: i monasteri di S. Adriano e S. Angelo, indicati genericamente come in Calabria, con le loro dipendenze nei territori di Bisignano e Rossano (S. Angelo in Collegiata, S. Maria, S. Zaccaria, S. Giovanni nella villa S. Mauri, nella valle del Crati, e S. Pietro presso Rocca Nike/ori: cfr. p. 380, n. 3). Un legame non solo ideale, ma patrimoniale tra Grottaferrata e la zona d'origine del suo fondatore, Nilo da Rossano, viene dunque mantenuto almeno fino all'inizio del XII secolo. Nell'epoca successiva non abbiamo più notizia di questi possedimenti calabresi; nel regno meridionale, patria del monachesimo italogreco, restava dunque alla badia niliana solo il monastero di Rofrano con le sue dipendenze, situate tra il Cilento e il vallo di Diano, donate dal duca di Puglia Ruggero Borsa prima del 1111 e confermate nel 1131 da re Ruggero II.