Cattive compagnie

Transcript

Cattive compagnie
SOVRACCOPERTA
«Il nuovo romanzo dI ruth newman è IncredIbIle. FIno
all’ultIma pagIna non saprete a chI credere.»
the bookseller
«una trama labIrIntIca che sI dIpana
In tantIssIme dIrezIonI, tutte collegate con
IncredIbIle astuzIa e IntellIgenza.»
the tImes
Ruth Newman
Ruth Newman è nata a Reading e cresciuta a Hackney, Londra. Scrive narrativa dall’età di sei anni. Verso la metà degli
anni Novanta si è trasferita a Cambridge
per studiare psicologia e criminologia al
King’s College, le è piaciuto, e non se n’è
più andata. Attualmente lavora all’università. Nel 2009 ha pubblicato Il college
delle brave ragazze.
«un gIallo rIgoroso e seducente.»
spectator
romanzo
Cattive
Compagnie
Ruth Newman
798678
Cattive
Compagnie
In copertina:
© Federico Erra/Frame
NI_CATTIVE COmPAgNIE_798678_ES
Londra. Quella che Kate tiene stasera fra
le mani sembra una banale foto delle vacanze, l’ennesimo ritratto degli amici che
l’hanno invitata a cena. Ma sullo sfondo,
dietro le colonne ricoperte di gelsomino del ristorante… proprio lui, Charlie.
Kate non ha dubbi, quello è suo marito.
Gli stessi capelli neri, gli occhi azzurri.
Eppure questo non è assolutamente possibile. Perché Charlie è morto durante
una vacanza in Sicilia, esattamente un
anno fa. Kate è sconvolta, ma nessuno le
crede, nemmeno Luke, il migliore amico
di Charlie. Tutti continuano a ripeterle
che deve togliersi dalla testa questa ossessione per il marito scomparso e rifarsi
una vita. Per loro l’uomo della foto è un
perfetto sconosciuto. Ma Kate è sicura:
si tratta di Charlie. E se c’è anche solo
una tenue speranza che lui possa essere
ancora vivo, lei deve ritrovarlo. Ecco
perché si butta a capofitto in un’indagine privata contro tutto e tutti. Un’indagine che la porta a Miami e poi in Sicilia.
Giorno dopo giorno, indizio dopo indizio, le discrepanze nella scomparsa del
marito diventano sempre più numerose
e molto, troppo sospette. Forse Charlie
è stato ucciso? E il suo matrimonio era
davvero perfetto come lei lo ricorda? Ma
soprattutto, Kate può fidarsi davvero
degli amici di Charlie, quelli che le sono
stati vicini durante tutto questo tempo?
Dopo Il college delle brave ragazze, un
bestseller pubblicato in oltre venti paesi e vincitore del prestigioso Long
Barn First Novel Competition, Ruth
Newman si riconferma l’astro nascente
della suspense britannica. A pochi giorni dall’uscita Cattive compagnie è stato
proclamato uno dei più grandi successi
della stagione da pubblico e librai. Un
thriller psicologico che stupisce per la
sua originalità, pieno di torbidi segreti e
doppi giochi, dove nessuno è quello che
sembra, nemmeno l’amico di una vita
che credi di conoscere alla perfezione.
SOVRACCOPERTA
«Il nuovo romanzo dI ruth newman è IncredIbIle. FIno
all’ultIma pagIna non saprete a chI credere.»
the bookseller
«una trama labIrIntIca che sI dIpana
In tantIssIme dIrezIonI, tutte collegate con
IncredIbIle astuzIa e IntellIgenza.»
the tImes
Ruth Newman
Ruth Newman è nata a Reading e cresciuta a Hackney, Londra. Scrive narrativa dall’età di sei anni. Verso la metà degli
anni Novanta si è trasferita a Cambridge
per studiare psicologia e criminologia al
King’s College, le è piaciuto, e non se n’è
più andata. Attualmente lavora all’università. Nel 2009 ha pubblicato Il college
delle brave ragazze.
«un gIallo rIgoroso e seducente.»
spectator
romanzo
Cattive
Compagnie
Ruth Newman
798678
Cattive
Compagnie
In copertina:
© Federico Erra/Frame
NI_CATTIVE COmPAgNIE_798678_ES
Londra. Quella che Kate tiene stasera fra
le mani sembra una banale foto delle vacanze, l’ennesimo ritratto degli amici che
l’hanno invitata a cena. Ma sullo sfondo,
dietro le colonne ricoperte di gelsomino del ristorante… proprio lui, Charlie.
Kate non ha dubbi, quello è suo marito.
Gli stessi capelli neri, gli occhi azzurri.
Eppure questo non è assolutamente possibile. Perché Charlie è morto durante
una vacanza in Sicilia, esattamente un
anno fa. Kate è sconvolta, ma nessuno le
crede, nemmeno Luke, il migliore amico
di Charlie. Tutti continuano a ripeterle
che deve togliersi dalla testa questa ossessione per il marito scomparso e rifarsi
una vita. Per loro l’uomo della foto è un
perfetto sconosciuto. Ma Kate è sicura:
si tratta di Charlie. E se c’è anche solo
una tenue speranza che lui possa essere
ancora vivo, lei deve ritrovarlo. Ecco
perché si butta a capofitto in un’indagine privata contro tutto e tutti. Un’indagine che la porta a Miami e poi in Sicilia.
Giorno dopo giorno, indizio dopo indizio, le discrepanze nella scomparsa del
marito diventano sempre più numerose
e molto, troppo sospette. Forse Charlie
è stato ucciso? E il suo matrimonio era
davvero perfetto come lei lo ricorda? Ma
soprattutto, Kate può fidarsi davvero
degli amici di Charlie, quelli che le sono
stati vicini durante tutto questo tempo?
Dopo Il college delle brave ragazze, un
bestseller pubblicato in oltre venti paesi e vincitore del prestigioso Long
Barn First Novel Competition, Ruth
Newman si riconferma l’astro nascente
della suspense britannica. A pochi giorni dall’uscita Cattive compagnie è stato
proclamato uno dei più grandi successi
della stagione da pubblico e librai. Un
thriller psicologico che stupisce per la
sua originalità, pieno di torbidi segreti e
doppi giochi, dove nessuno è quello che
sembra, nemmeno l’amico di una vita
che credi di conoscere alla perfezione.
SOVRACCOPERTA
«Il nuovo romanzo dI ruth newman è IncredIbIle. FIno
all’ultIma pagIna non saprete a chI credere.»
the bookseller
«una trama labIrIntIca che sI dIpana
In tantIssIme dIrezIonI, tutte collegate con
IncredIbIle astuzIa e IntellIgenza.»
the tImes
Ruth Newman
Ruth Newman è nata a Reading e cresciuta a Hackney, Londra. Scrive narrativa dall’età di sei anni. Verso la metà degli
anni Novanta si è trasferita a Cambridge
per studiare psicologia e criminologia al
King’s College, le è piaciuto, e non se n’è
più andata. Attualmente lavora all’università. Nel 2009 ha pubblicato Il college
delle brave ragazze.
«un gIallo rIgoroso e seducente.»
spectator
romanzo
Cattive
Compagnie
Ruth Newman
798678
Cattive
Compagnie
In copertina:
© Federico Erra/Frame
NI_CATTIVE COmPAgNIE_798678_ES
Londra. Quella che Kate tiene stasera fra
le mani sembra una banale foto delle vacanze, l’ennesimo ritratto degli amici che
l’hanno invitata a cena. Ma sullo sfondo,
dietro le colonne ricoperte di gelsomino del ristorante… proprio lui, Charlie.
Kate non ha dubbi, quello è suo marito.
Gli stessi capelli neri, gli occhi azzurri.
Eppure questo non è assolutamente possibile. Perché Charlie è morto durante
una vacanza in Sicilia, esattamente un
anno fa. Kate è sconvolta, ma nessuno le
crede, nemmeno Luke, il migliore amico
di Charlie. Tutti continuano a ripeterle
che deve togliersi dalla testa questa ossessione per il marito scomparso e rifarsi
una vita. Per loro l’uomo della foto è un
perfetto sconosciuto. Ma Kate è sicura:
si tratta di Charlie. E se c’è anche solo
una tenue speranza che lui possa essere
ancora vivo, lei deve ritrovarlo. Ecco
perché si butta a capofitto in un’indagine privata contro tutto e tutti. Un’indagine che la porta a Miami e poi in Sicilia.
Giorno dopo giorno, indizio dopo indizio, le discrepanze nella scomparsa del
marito diventano sempre più numerose
e molto, troppo sospette. Forse Charlie
è stato ucciso? E il suo matrimonio era
davvero perfetto come lei lo ricorda? Ma
soprattutto, Kate può fidarsi davvero
degli amici di Charlie, quelli che le sono
stati vicini durante tutto questo tempo?
Dopo Il college delle brave ragazze, un
bestseller pubblicato in oltre venti paesi e vincitore del prestigioso Long
Barn First Novel Competition, Ruth
Newman si riconferma l’astro nascente
della suspense britannica. A pochi giorni dall’uscita Cattive compagnie è stato
proclamato uno dei più grandi successi
della stagione da pubblico e librai. Un
thriller psicologico che stupisce per la
sua originalità, pieno di torbidi segreti e
doppi giochi, dove nessuno è quello che
sembra, nemmeno l’amico di una vita
che credi di conoscere alla perfezione.
SOVRACCOPERTA
«Il nuovo romanzo dI ruth newman è IncredIbIle. FIno
all’ultIma pagIna non saprete a chI credere.»
the bookseller
«una trama labIrIntIca che sI dIpana
In tantIssIme dIrezIonI, tutte collegate con
IncredIbIle astuzIa e IntellIgenza.»
the tImes
Ruth Newman
Ruth Newman è nata a Reading e cresciuta a Hackney, Londra. Scrive narrativa dall’età di sei anni. Verso la metà degli
anni Novanta si è trasferita a Cambridge
per studiare psicologia e criminologia al
King’s College, le è piaciuto, e non se n’è
più andata. Attualmente lavora all’università. Nel 2009 ha pubblicato Il college
delle brave ragazze.
«un gIallo rIgoroso e seducente.»
spectator
romanzo
Cattive
Compagnie
Ruth Newman
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Cattive
Compagnie
In copertina:
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Londra. Quella che Kate tiene stasera fra
le mani sembra una banale foto delle vacanze, l’ennesimo ritratto degli amici che
l’hanno invitata a cena. Ma sullo sfondo,
dietro le colonne ricoperte di gelsomino del ristorante… proprio lui, Charlie.
Kate non ha dubbi, quello è suo marito.
Gli stessi capelli neri, gli occhi azzurri.
Eppure questo non è assolutamente possibile. Perché Charlie è morto durante
una vacanza in Sicilia, esattamente un
anno fa. Kate è sconvolta, ma nessuno le
crede, nemmeno Luke, il migliore amico
di Charlie. Tutti continuano a ripeterle
che deve togliersi dalla testa questa ossessione per il marito scomparso e rifarsi
una vita. Per loro l’uomo della foto è un
perfetto sconosciuto. Ma Kate è sicura:
si tratta di Charlie. E se c’è anche solo
una tenue speranza che lui possa essere
ancora vivo, lei deve ritrovarlo. Ecco
perché si butta a capofitto in un’indagine privata contro tutto e tutti. Un’indagine che la porta a Miami e poi in Sicilia.
Giorno dopo giorno, indizio dopo indizio, le discrepanze nella scomparsa del
marito diventano sempre più numerose
e molto, troppo sospette. Forse Charlie
è stato ucciso? E il suo matrimonio era
davvero perfetto come lei lo ricorda? Ma
soprattutto, Kate può fidarsi davvero
degli amici di Charlie, quelli che le sono
stati vicini durante tutto questo tempo?
Dopo Il college delle brave ragazze, un
bestseller pubblicato in oltre venti paesi e vincitore del prestigioso Long
Barn First Novel Competition, Ruth
Newman si riconferma l’astro nascente
della suspense britannica. A pochi giorni dall’uscita Cattive compagnie è stato
proclamato uno dei più grandi successi
della stagione da pubblico e librai. Un
thriller psicologico che stupisce per la
sua originalità, pieno di torbidi segreti e
doppi giochi, dove nessuno è quello che
sembra, nemmeno l’amico di una vita
che credi di conoscere alla perfezione.
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Ho sognato di essere di nuovo al Mandalay. No, non a
Manderley, la splendida residenza di campagna, la vecchia
villa di Rebecca di Daphne du Maurier: si tratta del più moderno – e piuttosto pretenzioso – Mandalay Bay Hotel di
Las Vegas. L’albergo in cui Charlie e io abbiamo trascorso la
luna di miele.
Ormai Charlie lo sogno quasi ogni notte, a quanto pare.
Certe volte il sogno è piacevole, come questo. Siamo seduti
al tavolo del poker, e non facciamo che perdere soldi e ammazzarci di risate. Al mio anulare, l’anello matrimoniale è
brillante come tutte le fedi nuove. Quando quelli dell’albergo vengono a sapere che ci siamo appena sposati, ci spostano in una delle loro suite riservate agli sposini in luna di
miele. Riesco a sentire l’aroma del suo dopobarba, nel sogno. E il calore della sua pelle sotto le mie dita.
Altre notti sogno invece il giorno in cui è scomparso.
Quando faccio quest’incubo, è l’odore del limoneto a impregnarmi le narici, mentre mi sveglio con un tuffo al cuore. E poi ci sono le volte in cui la mia mente addormentata
sceglie di tormentarmi con un corpo in decomposizione.
Eppure anche quei sogni mi restituiscono una sorta di
appagamento che si protrae per gran parte della giornata.
Vuol dire che non l’ho ancora dimenticato. Vuol dire che è
sempre, sempre nei miei pensieri.
Mi sono svegliata al suono del campanello. Un momento
prima ero nelle braccia di Charlie, sotto le lenzuola di raso
del sontuoso letto della suite, con la luce del sole che tra11
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boccava dalla finestra, e quello dopo eccomi lì da sola, nel
nostro appartamentino di Islington. Mi ci è voluto un po’
per orientarmi, per rendermi conto che ero sveglia. Poi il
campanello ha suonato di nuovo, e io mi sono fiondata fuori dal letto per indossare la vestaglia, furibonda con chiunque mi avesse strappato via proprio da quel sogno, proprio
quella volta.
Mentre aprivo la porta di scatto, un ometto ha fatto capolino da dietro un grosso mazzo di fiori.
«Una consegna per Kate Grey.»
Rose bianche e grandi fiori rossi che non ho riconosciuto. «Da parte di chi?»
«C’è un biglietto, signorina. Sarebbe così gentile da firmare qui?»
Tornata nella solitudine dell’appartamento, ho aperto la
busta. Le mani mi tremavano per l’agitazione. Era giusto il
primo anniversario della morte di Charlie, e io ero ancora
in cerca di segni.
A Kate. So quanto questo giorno debba essere difficile per te. Lo è
anche per me. Volevo solo farti sapere che ti sto pensando, e che stasera sono libero, nel caso in cui tu avessi bisogno di compagnia.
Con affetto, Luke.
Per un breve istante ho avvertito come uno schianto di
delusione. Poi mi sono messa a ridere. Che cosa mi aspettavo? Un qualche messaggio di Charlie, il messaggio di un
fantasma? Aspetta, amore mio, sono dietro l’angolo…
Luke aveva avuto un pensiero gentile. Anch’io avrei dovuto pensare a lui. Dopotutto avevo avuto Charlie accanto a
me per soli due anni; Luke ci era cresciuto insieme.
Non dovevo andare a lavorare. In effetti, non ci ero più
andata da quando Charlie era morto. Il mio medico mi
aveva dichiarata inabile al lavoro per qualche mese, poi
erano cominciati ad arrivare i soldi dell’assicurazione sulla vita e io mi ero resa conto che mi sarebbero bastati per
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tirare avanti un paio di anni. Perciò non ero costretta ad
affrontare il mondo nell’immediato; potevo restare avvolta dal ricordo di Charlie, e cercare di farmene pian piano
una ragione.
Dopo pranzo ho comprato dei girasoli dal fiorista e ho
raggiunto in macchina il cimitero di Highgate. La lapide
di Charlie era semplice, così come l’epitaffio, che riportava la data di nascita e di morte (un intervallo di soli trentaquattro anni), e le parole DI GUARDIA AI LENTI CANCELLI. A
chi me lo avesse chiesto, avrei semplicemente risposto che
erano ispirate a una poesia. Spettava a loro l’incomodo di
capire quale. Quello del funerale era stato un momento
difficile. Il giorno stabilito cadeva a un mese dalla morte di
Charlie, ragion per cui non avevo nemmeno l’unico vantaggio concesso dai primi stadi del dolore: l’intontimento.
La maggior parte dei presenti erano amici e colleghi di lavoro. I genitori di Charlie erano morti, e lui era figlio unico; quanto ai pochi parenti alla lontana che Luke era stato
in grado di raggiungere, non avevano alcuna intenzione di
scucire centinaia di dollari solo per venire a vedere una
bara. Io ho rotto con i miei che non avevo nemmeno
vent’anni, e ci teniamo ancora a distanza. Avevano saputo
della morte di mio marito e del funerale, ma non mi hanno contattato, né hanno spedito dei fiori. Ma non mi importava. Non mi importava granché di nulla, ormai.
Ho sostituito i fiori secchi nel vaso con i miei girasoli. Il
sole del tardo pomeriggio di agosto faceva risplendere i petali gialli. Mi sono seduta a gambe incrociate accanto alla lapide e ho accarezzato il granito. Un uomo con un cane al
guinzaglio mi è passato accanto, squadrandomi con la coda
dell’occhio. Quando i nostri sguardi si sono incrociati, lui si
è portato un dito sulla tesa del berretto e mi ha salutato con
un cenno del capo.
«Stanotte ho sognato il Mandalay Bay», ho detto mentre
le mie dita seguivano il profilo del suo nome inciso sulla lapide. Parlo sempre con Charlie, ma in genere soltanto nella
mia testa. Tuttavia, sono abbastanza sicura che ci sia una
qualche dispensa particolare che consente di conversare ad
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alta voce con il marito morto, davanti alla sua tomba. Non
passerò a pieni voti il test di sanità mentale.
«Ho sognato che eravamo di nuovo insieme. Ricordi i giri nel deserto, a guardare le stelle?» Il cielo del deserto sembrava averne di più, di stelle: milioni di fari distanti che tremolavano nell’oscurità. «Ricordi la donna nella cappella,
quella che si è segnata i nostri dati?»
Ottant’anni di età come minimo, quaranta chili di sovrappeso, rappresa in una crosta di fondotinta e cipria: gli occhi
come ragni, tanto denso era il mascara. «Bene, guarda guarda questi due piccioncini», aveva biascicato. «Siete qui per
celebrare il matrimonio? Spero non abbiate esagerato con
le piña colada.» Non eravamo nemmeno brilli. Non era stato per quello che avevamo deciso di sposarci dopo soli tre
giorni che ci conoscevamo.
Dal cielo cominciavano a cadere gocce di pioggia che sollevavano piccoli sbuffi di polvere dalla tomba di Charlie. Sono rimasta seduta ancora un po’.
«Arrivo!» ha strillato Samantha da dietro la porta d’ingresso, e poi l’ho sentita scalpicciare giù per le scale di legno. Ha spalancato la porta, i riccioli biondi che svolazzavano, e mi ha abbracciato.
«Come siamo abbronzate», ho detto.
Lei si è esibita in una piroetta. «Non male, eh? Però siamo tornati solo l’altro ieri, tra un po’ andrà via di sicuro.»
David è apparso alle sue spalle, anche lui con un colorito
invidiabile. «Ehi, ciao Kate. Sam, hai intenzione di farla accomodare, oppure deve restarsene lì ad ammirarti ancora
per un po’?»
Traendo ispirazione dal loro viaggio a Miami, Samantha
ha imbastito una cenetta piccante. Arrivati ai burrito, ha
introdotto l’argomento del nuovo socio di David nello studio legale.
«È proprio un bell’uomo, vero Dave?»
David ha rovesciato gli occhi. «Proprio non saprei. Dimmelo tu.»
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«Sì che lo è. E sta decisamente facendo carriera, tanto da
diventare socio prima ancora di arrivare a quarant’anni. È
un tipo divertente, e gli piacciono gli sport pericolosi, perciò avete qualcosa in comune.»
«Sam, ha solo fatto un lancio in coppia con il paracadute
qualcosa come quattro anni fa», ha protestato David. «Non
è esattamente uno stuntman.» Poi, vedendosi oggetto della
mia occhiata divertita, mi ha chiesto scusa in labiale.
«Allora che ne dici?» ha insistito Samantha.
Ho scosso il capo, girando e rigirando la fede al dito. «Dico che non succederà.»
«Ascolta, Kate. La cosa è stata… è successa… quando, un
anno fa?»
«Un anno oggi, a essere precisi.»
«E tu porti ancora la fede», ha detto lei, come se non
avesse nemmeno assimilato quanto le avevo appena detto,
ovvero che era proprio l’anniversario della morte di Charlie. «E continui a non volerti guardare intorno.»
Dall’altra parte del tavolo vedevo David scuotere impercettibilmente la testa.
«Samantha, sono sposata», ho detto.
«Ma cosa pensi di fare, passare il resto della tua esistenza
senza neanche tentare un’altra relazione?»
Io l’ho fissata. «Sono sposata.»
Poi è caduto il silenzio, e David ha cominciato a togliere
i piatti. «E per dessert torta al cioccolato», ha detto. «Da
accompagnare con gelato alla crema. Sam, perché non vai
a prendere le foto, così Kate si distrae con il dolce mentre
la costringiamo a sorbirsi il resoconto delle nostre noiose
vacanze?»
Le foto erano in formato standard, e la loro qualità variava di volta in volta, a seconda del fatto che le avesse scattate
David o Samantha. Quelle fatte da lei erano incisive e perfettamente a fuoco. Quelle di David erano di una bruttezza
comica, più o meno fuori centro o nascoste dal suo pollice.
La mia preferita mostrava Samantha in posa accanto a un
delfino del Sea World. Si vedeva tutto il delfino, ma Samantha, alla sua destra, era visibile solo per metà.
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«Cerco di non prenderla come un’offesa personale», aveva detto Samantha nell’allungarmela. Mordendomi il labbro per impedirmi di ridere, cosciente di quanto fosse permaloso David riguardo alla sua incapacità di scattare una foto decente, l’ho passata a lui perché la riponesse con cura
dietro quelle che avevamo già visto.
«E questo è il fantastico ristorante di South Beach in cui
siamo andati l’ultima sera del viaggio», ha spiegato Samantha
porgendomi una foto raffigurante una facciata turchese addobbata di luci. «È di proprietà di una famiglia arrivata da
Cuba negli anni Sessanta; pare sia aperto da parecchio, tanto
da essere molto popolare tra la gente del posto. El Cangrejo
Dorado, si chiama. Il Granchio d’Oro.» C’era un’altra foto
con una parete turchese davanti alla quale, questa volta, Samantha, con addosso un pareo e una camicetta bianca, indicava tutta contenta l’insegna del ristorante, sebbene la foto ritraesse solo parte della scritta, El Cangrej. Mi sono morsa le
labbra di nuovo.
«È proprio bello», ha detto lei. «Intorno alle colonne cresce il gelsomino. Un profumo magnifico. Mai mangiato
frutti di mare così gustosi in vita nostra… né bevuto un
mojito tanto buono.»
Poi mi ha passato un’altra foto, forse scattata da un cameriere, visto che mostrava Samantha e David seduti insieme al loro tavolo, testa contro testa e sorriso rivolto all’obiettivo. Ho esaminato il resto della foto in cerca delle colonne ricoperte dal gelsomino, ma poi quello che ho visto
ha fermato tutto. «Ce l’ha fatta il cameriere», stava dicendo
Samantha. Io ho temuto che il cuore mi si fosse fermato.
Non respiravo più. Loro continuavano a parlare, muovendosi attorno a me, mentre io ero seduta lì, inerte, a fissare
la fotografia.
«È lui», ho cercato di dire. Ma non avevo il fiato per farlo.
Samantha, intanto, mi stava porgendo la foto successiva. David, che invece mi aveva visto in faccia, mi chiedeva se fosse
tutto OK. Quando mi è stato possibile inspirare un po’ d’aria, ho sentito il cuore picchiare una volta contro le costole.
Una pulsazione, e poi un’altra.
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«È lui», ho detto di nuovo, lo sguardo fisso sull’uomo nello sfondo della foto, con quei capelli neri, quegli occhi azzurri, quel sorriso così familiari.
«È Charlie.»
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Guardavo l’immagine senza dire nulla. La foto tremava
così tanto in mano mia che ho dovuto posarla sul tavolo per
poterla vedere bene. Nell’alzarmi in piedi, chinandomi in
avanti per esaminarla meglio, ho rovesciato inavvertitamente la sedia all’indietro, facendo sobbalzare Samantha.
«Kate?» ha detto. Sembrava spaventata.
Non poteva essere Charlie. No che non poteva. Era sepolto sotto quasi due metri di terra in un cimitero a nord di
Londra. Conservavo il suo certificato di morte in una cartella sulla mensola dove lui era solito posare la sua tazza di
caffè. Ma ogni volta che guardavo quella foto, era mio marito quello che vedevo.
«Kate, non può essere Charlie. L’abbiamo scattata solo
una settimana fa», mi ha detto David, posandomi una mano
sul braccio. Poi si è allungato per prendere la foto, che però
è rimasta ferma sotto il peso delle mie dita.
«Te la ridò», ha promesso. Allora, seppur riluttante, ho allentato la presa, consentendogli di avvicinarsi la foto al naso. Mentre la studiava ha aggrottato le sopracciglia. Poi,
però, ha scrollato le spalle. «Devo ammettere che gli assomiglia molto. Ma è ovvio che non è lui.»
Gli ho strappato la fotografia dalle mani. «Guarda come
sorride. Quello è il sorriso di Charlie! Guarda come tiene quella birra! Gesù, David, è Charlie sputato.»
«Immagino che in quella zona degli Stati Uniti un mare
di gente potrebbe assomigliargli, immortalata a due metri
di distanza e leggermente fuori fuoco per giunta. Dai, facciamo così. Andiamo a dare un’occhiata alla copia sul com18
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puter. Con qualche dettaglio in più comincerai a vedere le
differenze.»
«David», lo ha interrotto Samantha, un tono di ammonimento nella voce.
«Va tutto bene, Sam», ha detto lui. «Kate ha solo bisogno
di tranquillizzarsi, e poi torneremo a sederci e finiremo il
dessert.»
Quindi David mi ha fatto strada fino alla camera degli
ospiti, dove avevano allestito un ufficio di fortuna. Poi ha
avviato il computer. Samantha, al mio fianco, mi fissava
con occhi preoccupati. Le ho rivolto un mezzo sorriso,
cercando di rassicurarla sul fatto che non avrebbe dovuto
chiamare la neuro.
David ha cliccato due volte sull’icona del software per
le foto digitali. Una volta lanciato il programma, ha aperto la cartella denominata MIAMI e si è messo a scorrere le
immagini, fino a trovare quella giusta. Occupava solo una
piccola parte del monitor, ma poi lui ha zoomato per ingrandirla al cento per cento, spostando la barra laterale
in modo da centrare l’uomo sullo sfondo. Io trattenevo il
fiato, e aspettavo.
Il viso di Charlie ha riempito lo schermo. Sorrideva a
qualcosa che l’uomo di fronte a lui gli stava dicendo, le dita
ben salde intorno al collo di una bottiglia di birra, come sul
punto di mandar giù un altro sorso. Conoscevo quelle dita,
conoscevo quel sorriso. Se si fosse trattato di un video, piuttosto che di una foto, avrei potuto predire con assoluta certezza il modo in cui si sarebbe portato la bottiglia alle labbra, il movimento del suo pomo d’Adamo mentre beveva e
il gesto con cui avrebbe riposto la birra sul tavolo.
Fissavamo tutti lo schermo, in un silenzio sorpreso.
«Be’, ecco…» ha esordito David, cosciente del fatto che la
sua idea gli si era ritorta contro. «Ha i capelli troppo corti. E
poi… lo so che Charlie andava in palestra regolarmente…
ma questo tizio sembra preso da una copertina di “Men’s
Health”.»
Mi sono protesa sulla sua spalla e ho cliccato un paio di
volte sull’icona di stampa. La loro stampante si è messa in
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