linee guida regionali

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linee guida regionali
Direzione Regionale per la Prevenzione
LINEE GUIDA REGIONALI
per l’applicazione del D.Lgs. n.25/2002
rischio chimico nei luoghi di lavoro
- Luglio 2004 -
Si rivolge un sentito ringraziamento ai componenti del Gruppo, per il lavoro svolto ed i
contenuti forniti che hanno condotto alla realizzazione del presente documento.
A cura del Gruppo di Lavoro:
Coordinatore: Marco Renso
Componenti: Maria Vincenza Alessandrì
Giovanni Battista Bartolucci
Ferdinando Bonamico
Pasquale Cirillo
Enrico Contessotto
Francesca Daprà
Ottorino Gottardo
Giulio Morossi
Luigi Perbellini
Massimo Peruzzo
Stefania Peterle
Rocco Silvestri
Antonella Zangirolami
Franco Zanin
2
Introduzione
Vengono esposte le Linee guida per l‘applicazione nei luoghi di lavoro del D.Lgs. 25/02
Agenti chimici, ad uso del Ddl e dei Servizi regionali di vigilanza, formulate dal Gruppo di lavoro
appositamente costituito dalla Regione Veneto.
Nel primo capitolo viene proposta la “lettura” del testo di legge, che risulta non privo di
punti poco chiari, secondo le interpretazioni più condivise dal Gruppo di lavoro e più coerenti con
quanto, in tema di rischi e di valutazione degli stessi, è stato già sperimentato ed espresso in dieci
anni di applicazione del DLgs 626/94.
Nel successivo “Punti fermi” vengono ribadite le interpretazioni in merito ai punti più
controversi (la normativa preesistente e la valutazione del rischio, la definizione di rischio
moderato, il ruolo del medico competente, le schede di sicurezza), recependo gli indirizzi già
espressi a riguardo dal Coordinamento Tecnico per la Sicurezza nei luoghi di lavoro delle Regioni e
delle Province autonome e del Comitato Consultivo ex art. 72-terdecies del DLgs 25/2002.
Dopo queste premesse di chiarimento e di condivisione, le linee guida forniscono indirizzi
di tipo operativo in merito al Processo di valutazione del rischio, punto di partenza di tutte le
successive azioni di prevenzione tecnica e sanitaria, previste dalla legge.
Il processo proposto riguarda sia rischi la salute, che per la sicurezza e considera le diverse
modalità d’azione del rischio chimico nei confronti della persona e dei beni dell’azienda:
tossicologica, infortunistica, tecnologica, d’incendio ed esplosione. Per ognuno di queste, vengono
indicati i metodi da adottare per la valutazione e i criteri per la classificazione.
Ad uso delle piccole e medie imprese vengono proposti degli strumenti di valutazione
semplificati basati su criteri di giudizio, come i modelli o algoritmi e le liste di controllo, di alcuni
dei quali vengono riportati degli esempi in appendice.
A conclusione del documento, incentrato su aspetti di tipo applicativo, vengono presentate
alcune considerazioni critiche nel merito del decreto.
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LETTURA DEL D.LGS. 25/02 E PROCESSO DI VALUTAZIONE DEI RISCHIO CHIMICO........................... 5
PUNTI FERMI.......................................................................................................................... 13
1. IL D.LGS. 25/02 E LA NORMATIVA PRECEDENTE ......................................................... 13
2.: CONCETTO DI RISCHIO MODERATO............................................................................. 15
3. MEDICO COMPETENTE E RISCHIO CHIMICO................................................................ 16
La sorveglianza sanitaria ...................................................................................................... 16
Il monitoraggio biologico ...................................................................................................... 18
4. MIGLIORAMENTO DELLE SCHEDE DI SICUREZZA...................................................... 19
LA VALUTAZIONE DEL RISCHIO ........................................................................................ 22
CAMPO DI APPLICAZIONE ................................................................................................ 23
IL PROCESSO DI VALUTAZIONE......................................................................................... 23
PERCORSO DI VALUTAZIONE DEL RISCHIO CHIMICO ................................................... 25
1. IDENTIFICAZIONE DELLE SOSTANZE E DEI PREPARATI PERICOLOSI
DIRETTAMENTE UTILIZZATI O DERIVATI DALLE MODALITÀ DI LAVORO. ................. 27
2. VALUTAZIONE PRELIMINARE: IPOTESI DI RISCHIO .............................................. 27
3. GIUSTIFICAZIONE CHE NATURA ED ENTITÀ DEI RISCHI RENDONO NON
NECESSARIA UNA ULTERIORE VALUTAZIONE MAGGIORMENTE DETTAGLIATA DEI
RISCHI E CONSENTONO DI TERMINARE LA VALUTAZIONE.......................................... 28
4. INDIVIDUAZIONE DEL TIPO DI RISCHIO................................................................. 28
5. VALUTAZIONE DETTAGLIATA ................................................................................... 30
1. VALUTAZIONE CON MISURAZIONE E CONFRONTO CON TLV .............................. 32
2. VALUTAZIONE DEL RISCHIO, SENZA MISURAZIONI, CON ALGORITMI O
MODELLI ............................................................................................................................. 33
3. CONTROLLO PERIODICO DELL’ADEGUATEZZA DEL LIVELLO DI PREVENZIONE
E PROTEZIONE ................................................................................................................... 34
RISCHIO INFORTUNISTICO CON EFFETTI ACUTI ............................................................ 37
1. VALUTAZIONE TRAMITE VERIFICA E CONTROLLO (CHECK LIST DEI REQUISITI)
37
RISCHI DA ANOMALIE D’IMPIANTI E DA ANOMALIE DI PROCESSO ........................... 39
VALUTAZIONE DEL RISCHIO DI INCENDIO...................................................................... 41
VALUTAZIONE DEL RISCHIO DI ESPLOSIONE ................................................................. 42
APPENDICI DELLA VALUTAZIONE DEL RISCHIO ........................................................... 45
All.1: INVENTARIO DELLE SOSTANZE E DEI PREPARATI IN DEPOSITO....................... 45
APP. 2: PROFILO DI RISCHIO CHIMICO DI REPARTO.................................................... 45
APP. 3: LISTA DI CONTROLLO PREVENZIONE VERNICIATURA .................................... 46
All. 4: CHECK – LIST PER IL CONFERIMENTO, LO STOCCAGGIO E IL PRELIEVO DI
SOSTANZE E PREPARATI PERICOLOSI............................................................................. 47
ACIDI....................................................................................................................................... 49
SERBATOI............................................................................................................................... 49
All.5: ESEMPIO DI INDIVIDUAZIONE E STIMA DEL RISCHIO DA ANOMALIE DI
IMPIANTO E/O DI PROCESSO............................................................................................ 50
CONSIDERAZIONI CRITICHE SUL DECRETO E PROPOSTE DI MODIFICA .................... 51
SOMMARIO .................................................................................................................................. 4
4
Con il recepimento della Dir. 98/24/CE con il D.Lgs. 25/02 vengono definiti nella normativa
italiana i requisiti minimi per la protezione della salute e sicurezza dei lavoratori dai rischi derivanti
dalla presenza di agenti chimici pericolosi nell’ambiente di lavoro.
Questo D.Lgs. si inserisce in un quadro normativo esistente introducendo, secondo la
filosofia del D.Lgs. 626/94, il concetto di autovalutazione dei rischi (da parte del Datore di Lavoro)
e i criteri con cui condurre la valutazione e la scelta delle misure di prevenzione e protezione
qualora vi sia presenza di un rischio chimico. Rimane comunque inalterata tutta la normativa
previgente, riportata in particolare nei DD.PP.RR. 303/56 e 547/55 e i principi generali contenuti
nel titolo I del D.Lgs. 626/94, confermando quindi una continuità con quanto finora previsto per la
tutela della salute e sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro. Tale normativa continua ad
indicare le misure e i principi generali per la prevenzione del rischio chimico che devono essere in
ogni caso sempre rigorosamente osservate ancor prima di avviare la valutazione del rischio da
agenti chimici.
Il D.Lgs. 25/02 non determina quindi, come più volte confermato dalla giurisprudenza e
dalle stesse premesse alla direttiva europea, una attenuazione dei livelli di attenzione e protezione
dai rischi, né può essere in contrasto con la normativa previgente, ma ha lo scopo di far applicare i
criteri di valutazione per esposizione ad agenti chimici pericolosi in modo omogeneo, puntuale e
avviare uniformemente processi di miglioramento delle condizioni di salute e sicurezza dei
lavoratori.
Nell’attuare questi processi di miglioramento bisogna fare riferimento all’art. 3 del D.Lgs.
626/94 che prevede, in ordine di priorità, di:
•
eliminare dal ciclo produttivo gli agenti chimici pericolosi
•
sostituire gli agenti pericolosi con altri non pericolosi o meno pericolosi
•
utilizzare impianti, processi e attrezzatura tali da impedire il contatto degli agenti
pericolosi con i lavoratori (ciclo chiuso)
•
ridurre i rischi alla fonte.
Sono intesi agenti chimici pericolosi:
•
Le sostanze pericolose classificate ai sensi del D.Lgs. 52/98
•
I preparati pericolosi classificati ai sensi del D.Lgs. 65/2003
•
Altri agenti chimici che, pur non essendo classificati pericolosi, possono comportare
un rischio per la salute e sicurezza dei lavoratori in relazione delle condizioni d’uso,
5
alle loro caratteristiche chimico – fisiche, tossicologiche o alla assegnazione di limiti
di esposizione.
Tale definizione comprende di fatto un ampio spettro di sostanze partendo da quelle già
classificate pericolose ai sensi della normativa sull’etichettatura e l’imballaggio, ed estendendo a
tutte quelle sostanze che pur non essendo classificate ufficialmente dalla Comunità Europea, ma che
possono evidenziare per conoscenza scientifica o per altri motivi comunque un rischio per la salute
e la sicurezza dei lavoratori. Un esempio possono essere gli agenti chimici naturali dotati di
caratteristiche di pericolosità (farine di cereali, mangimi, minerali, estratti, ecc.).
Gli agenti chimici pericolosi possono essere presenti come “materie prime”, come
“intermedi” o come prodotti “secondari o indesiderati” derivanti dai processi produttivi. In
quest’ultimo caso diventa particolarmente importante la fase di identificazione anche attraverso la
ricerca nella letteratura scientifica e specialistica.
L’amianto è escluso dal campo di applicazione, in quanto rimane regolato dalla legislazione
specifica (D.Lgs. 277/91 e L. 257/92).
Gli agenti chimici ad attività radiogena e quelli cancerogeni e mutageni rientrano nel titolo
VIIIbis soltanto per gli aspetti non regolati da leggi più specifiche - D.Lgs. 230/95 (modificato dai
due D.Lgs. 241/2000 e 257/2001) e Titolo VII D.Lgs. 626/94 rispettivamente -.
Essi pertanto dovranno essere valutati insieme agli agenti chimici pericolosi in relazione alle
loro proprietà che possono determinare:
•
rischi tossicologici diversi da quelli cancerogeni e mutageni o derivanti da
radiazioni;
•
rischi di incendio ed esplosione;
Dovranno essere inoltre applicati gli obblighi del titolo VIIbis a tali agenti, quando questi
risultino più restrittivi e tutelanti di quelli previsti da altri titoli o leggi, come ad esempio nel caso
di:
•
emergenze e gli incidenti (qualora le norme dell’art 72-septies siano aggiuntive a
quelle dell’art. 67 del D.Lgs.626/94);
•
informazione (per le parti in cui l’art. 72-octies contiene prescrizioni più dettagliate e
tutelanti di quelle dell’art. 66 e quindi aggiuntive alle norme generali ed a quelle
specifiche);
•
obbligo di informazione (art 72-sexies, comma 8, prima parte, ove si prevede la
comunicazione oltre che all’organo di vigilanza, anche ai lavoratori, di eventi che
6
comportano il superamento dei valori limite, delle cause e delle misure di
prevenzione e protezione adottate).
Le disposizioni si applicano anche al trasporto degli agenti chimici limitatamente a quanto
non espressamente già regolato da altre disposizioni (art 72-bis, comma 4).
I rischi correlati alla presenza nei luoghi di lavoro di agenti chimici pericolosi così definiti
possono essere del tipo:
•
tossicologico per inalazione
•
tossicologico per contatto
•
tossicologico per ingestione
•
infortunistico
•
incendio
•
esplosione
•
tecnologico
Sono rischi che possono essere anche combinati tra loro e che risultano da ricercare non solo
nelle normali attività produttive, ma anche in situazioni anomale prevedibili o collaterali all’attività
produttiva strettamente intesa quali le operazioni di manutenzione, pulizia, situazioni legate al
verificarsi di incidenti prevedibili o in caso di emergenza (art 72-quater, c. 2, D.Lgs. 626/94).
Tutte queste varie tipologie di rischi non devono essere intese come parti separate di
valutazioni diverse; essendo infatti il Titolo VII bis parte costituente del D. Lgs. 626/94 la
valutazione, pur tenendo conto di aspetti, rischi e pericoli diversi, deve essere unica. Quindi non
può sussistere una separazione fittizia che determini valutazioni diversificate; il documento deve
alla fine essere unico, omogeneo e coerente oltre che integrato in modo uniforme in tutti i suoi
aspetti valutativi.
In sostanza il processo di valutazione dei rischi introdotto dal D.Lgs. 25/02 per gli agenti
chimici pericolosi si inserisce nel complesso dei percorsi di identificazione e valutazione di tutti i
rischi.
In particolare questo processo valutativo viene avviato dopo che hanno, o dovrebbero avere,
già trovato applicazione tutte le normative previgenti e tutte le misure di prevenzione e protezione
previste. In altre parole qualsiasi valutazione approfondita del rischio chimico non può prescindere
dall’attuazione preliminare dei principi e di tutte le misure di tutela dei lavoratori.
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A tal proposito risulta utile ricordare, a titolo esemplificativo, alcuni obblighi già messi a
carico del Datore di Lavoro da:
•
DPR 303/56 - artt. 9, 15, 18, 19, 20, 21, 25 e 26;
•
DPR 547/55 - artt. del titolo II (capo I), titolo VI, titolo VIII, titolo IX e titolo X;
•
D.Lgs. 626/94 - artt. 3, c. 1; 4, cc. 1 e 5; 12 e 13;
•
DM 10.03.1998 (valutazione del rischio d’incendio);
•
D.Lgs. 233/2003 (valutazione del rischio di esplosione);
•
D.Lgs. 334/1999 (valutazione del rischio di incidente rilevante).
Il processo di valutazione dei rischi, secondo quanto previsto dall’art. 72-quater, c. 1, D.Lgs
626/94, deve essere effettuata prendendo in considerazione i seguenti punti:
•
le proprietà pericolose dell’agente chimico
•
le informazioni sulla salute e sicurezza fornite dal produttore a fornitore dell’agente
chimico pericoloso
•
livello, tipo e durata dell’esposizione
•
circostanze e quantità d’uso dell’agente chimico
•
i valori limite di esposizione definiti dalla normativa o da fonti scientifiche
•
effetti delle misure di prevenzione e protezione adottate o da adottare
•
eventuali conclusioni dovute alla sorveglianza sanitaria già svolta.
Secondo l’art. 4, c. 1, D.Lgs. 626/94 tale valutazione deve essere riportata in un documento
e orientata a:
•
stabilire il livello di rischio per la salute e la sicurezza dei lavoratori per la presenza
di uno o più agenti chimici pericolosi
•
individuare l’insieme delle misure di prevenzione e protezione adottate o da adottare
ulteriormente per il contenimento dei rischi secondo i principi previsti dall’art. 3, c.
1, dello stesso decreto
•
definire il programma di attuazione delle misure specifiche opportune e necessarie
per garantire il miglioramento delle condizioni di tutela.
Nel caso, relativamente frequente, di esposizione contemporanea a più agenti chimici
pericolosi, nella valutazione si devono tenere presenti gli effetti determinati dalla combinazione dei
singoli agenti per quanto la letteratura scientifica possa mettere a disposizione adottando anche
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criteri di precauzione quando agenti chimici diversi, per i quali eventualmente non sono descritti
effetti sinergici, abbiano effetto sullo stesso organo bersaglio del corpo umano.
In ogni caso la principale fonte per l’acquisizione di informazioni sulle caratteristiche delle
sostanze e dei preparati pericolosi rimane la Scheda dei Dati di Sicurezza (SDS) che deve riportare
in modo dettagliato anche indicazioni al fine della valutazione e gestione dei rischi.
Già in fase preliminare del processo di valutazione, ma anche successivamente in fase di
valutazione più dettagliata, è possibile definire che la natura del rischio (tipo di rischio, proprietà
pericolose, tipo di esposizione) e l’entità del rischio (quantità di sostanza, livello e durata
dell’esposizione), sono tali da non richiedere una valutazione maggiormente approfondita e quindi
tali da “giustificare” l’interruzione del processo di valutazione.
Il D.Lgs. 25/02 ha introdotto inoltre il concetto di “Rischio Moderato” quale soglia del
livello di rischio al di sotto della quale è possibile limitare gli obblighi a carico del Datore di
Lavoro.
Si deve ritenere ormai assodato che il livello di rischio “moderato” deve essere inteso come
rischio basso o irrilevante, in concordanza con i contenuti della Dir. Europea, del suo recepimento
in altri paesi della comunità Europea e, come già ribadito, sapendo che la nuova normativa non può
ridurre i livelli di tutela della salute e della sicurezza già raggiunti nel nostro Paese. Infatti l’art. 35
DPR 303/56 già prevedeva la possibilità di esenzione dagli accertamenti sanitari qualora, in base
all’ “esiguità” dell’agente nocivo e all’ “efficacia delle misure preventive adottate”, … “possa
fondatamente ritenersi irrilevante il rischio per la salute dei lavoratori”. Per quanto riguarda poi il
rischio incendio, nel DM 10.03.98 vengono definiti come luoghi di lavoro a rischio di incendio
basso quei luoghi in cui vi sono scarse possibilità di sviluppo d’incendio in presenza di sostanze a
basso tasso di infiammabilità e la susseguente probabilità di innesco e propagazione è bassa. I
luoghi a basso rischio d’incendio non hanno necessità della redazione del piano di emergenza.
Questo concetto (rischio basso, rischio irrilevante) non è quindi nuovo nello scenario normativo
italiano. Il D.Lgs. 25/02 impone che l’individuazione del livello del rischio moderato sia
individuato esclusivamente dal datore di lavoro escludendo così il potere di esenzione o deroga in
dell’organo di vigilanza.
Da queste considerazioni può essere ritenuto ragionevole definire il RISCHIO MODERATO
previsto dal D.Lgs. 25/02 come soglia al di sotto della quale il rischio è IRRILEVANTE per la
salute e BASSO per la sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro.
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Per l’individuazione del livello di rischio moderato la norma prevede di prendere in
considerazione 5 elementi:
•
Tipo e quantità dell’agente chimico
•
Modalità e frequenza dell’esposizione
•
Presenza di misure di prevenzione e protezione sufficienti a ridurre il rischio al
minimo.
Un rischio moderato (cioè basso per la sicurezza e irrilevante per la salute) dovrà essere
quindi prioritariamente rappresentato, ad esempio, da
•
presenza di agenti chimici con basso grado di tossicità
•
agenti chimici in quantità poco rilevanti
•
solo deposito di agenti chimici o modalità di impiego tali da evitare o limitare
normalmente l’esposizione (es. fonte di sviluppo lontana dalla zona respiratoria del
lavoratore)
•
basso livello di rischio per interventi di manutenzione, pulizia o emergenza
•
adozione di tutte le misure di prevenzione e protezione necessarie a ridurre al
minimo i rischi per la salute e la sicurezza
Tutte condizioni che devono essere contemporaneamente presenti.
Si è già detto che durante il processo di valutazione è possibile fermarsi a considerazioni di
tipo preliminare quando la natura e l’entità del rischio rendono non necessaria un’ulteriore
valutazione maggiormente dettagliata: la “giustificazione” non rappresenta perciò una prima
graduazione del livello di rischio, ma solamente una opzione metodologica semplificata per la sua
valutazione.
L’unica demarcazione che determina diversi “livelli di azione” è infatti quella del rischio
moderato. Al di sotto di tale soglia vanno infatti applicati comunque tutti gli obblighi generali,
indipendentemente dal fatto che il livello di rischio sia stato determinato tramite una valutazione
approfondita o tramite la giustificazione.
E’ comunque ovvio che il risultato di una valutazione condotta tramite giustificazione, visti i
criteri per la sua applicabilità, non può che essere quello di rischio moderato.
Il superamento della soglia del rischio moderato determina invece il secondo livello di
azione, che comporta l’applicazione delle misure specifiche di riduzione, le disposizioni in caso di
incidente o emergenza, la sorveglianza sanitaria e la tenuta delle cartelle sanitarie e di rischio (artt.
72 sexies. septies, decies et undecies).
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Sono proposte da varie fonti autorevoli criteri per una prima analisi e valutazione dei rischio
per presenza di agenti chimici pericolosi. Si tratta in genere di algoritmi o di check list che
consentono di ricondurre le singole situazioni concrete ad una scala di valori numerici o a una
verifica degli adempimenti previsti dalla normativa.
Quando non è stato possibile eliminare il rischio e la valutazione evidenzia un livello
superiore a moderato, devono essere evidentemente applicate, oltre alle misure generali già descritte
previste dall'
art. 72 quinques, tutte le ulteriori misure di prevenzione e protezione specifiche per
quella situazioni, descritte nell’art. 72 sexies, c. 1, per ridurre il rischio al minimo e da applicarsi
secondo il seguente ordine di priorità:
•
progettazione di appropriati processi lavorativi, uso di tecniche, attrezzature e
materiali adeguati;
•
misure organizzative e di protezione collettiva alla fonte del rischio
•
misure di protezione individuali
•
sorveglianza sanitaria
In particolare tra le misure di protezione devono essere compresi anche l’uso di DPI
ponendo però particolare attenzione sull’adeguatezza del dispositivo di protezione individuale
rispetto alla tipologia di rischio, alla presenza di azioni di informazione, formazione ed
addestramento (se necessario) dei lavoratori coinvolti, al corretto e costante uso dello stesso, alla
presenza e rispetto di specifiche procedure per la manutenzione e sostituzione.
E’ opportuno che il Datore di Lavoro verifichi, attraverso misurazioni dirette e strumentali,
il livello di esposizione dei lavoratori ad agenti chimici pericolosi secondo metodiche riconosciute e
standardizzate, confrontando secondo criteri previsti dalla UNI EN 689 o altri accreditati a livello
scientifico, i risultati con i limiti di esposizione presi a riferimento. La determinazione
dell’esposizione personale dei lavoratori e dei livelli di inquinamento ambientale devono essere
finalizzati alla verifica dei livelli di esposizione dei lavoratori, alla verifica di efficacia delle misure
di protezione e prevenzione di tipo collettivo alla fonte del rischio e alla verifica del mantenimento
delle condizioni di tutela della salute dei lavoratori.
Pertanto deve essere predisposto un piano di monitoraggio in modo da verificare
periodicamente nel tempo il mantenimento delle condizioni sopra definite. E in caso di
aggiornamento o modifica del ciclo produttivo deve essere riavviato tutto il processo di valutazione
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al fine di verificare almeno il mantenimento dei precedenti livelli di tutela della salute e sicurezza
dei lavoratori o auspicabilmente il suo aumento.
Oltre al 72 – sexies, devono essere attuati poi anche i seguenti obblighi:
(art. 72 septies) disposizioni in caso di incidente o emergenza
(art. 72 octies) informazione e formazione dei lavoratori
(art. 72 novies) divieti di produzione di determinati agenti chimici pericolosi di cui
all’allegato VIII - quinqies
(art. 72 decies) la sorveglianza sanitaria
(art. 72 undecies)la tenuta delle cartelle sanitarie e di rischio
(art. 72 duodecies) consultazione e partecipazione dei lavoratori
Nel caso di avvio di nuova attività che comporti la presenza di agenti chimici pericolosi
deve essere fatta una valutazione preventiva basata sulle conoscenze derivanti da attività simili già
conosciute e/o da espliciti criteri di valutazione al fine di prevedere prima dell’avvio l’attività
stessa, le misure di prevenzione e protezione idonee e necessarie all’esercizio. L’avvio dell’attività
è subordinato all’attivazione di tutte le misure di prevenzione e protezione previste.
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L’istituzione del Titolo VII-bis D.Lgs.626/94, non può provocare un’attenuazione delle
attuali norme sulla protezione del lavoratori durante il lavoro, né essere in contrasto con quanto
disposto dalla Normativa previgente in materia di salute e di sicurezza negli ambienti di lavoro.
Tale Normativa individua le misure e i principi generali per la prevenzione del rischio
chimico sugli ambienti di lavoro indicati prevalentemente nel decreto del presidente della
repubblica 19 marzo 1956, n.303 agli art. 9, 15, 18, 19, 20, 21, 25 e 26 (D:P:R: 303/56), nel decreto
del presidente della repubblica 27 aprile 1955,n.547 (D.P.R. 547/55), nell’art. 3 comma 1, nell’art.4
commi 1 e 5 lett.b), negli art. 12 e 13 del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626 (Titolo I
D.L.gs. 626/94) e nel decreto del Ministero dell’interno 10 marzo 1998 (D.M. 10/3/1998).
Pertanto il recepimento della direttiva 98/24CE e la susseguente istituzione del titolo VII-bis
D.L.gs.626/94 ha confermato che, in presenza di rischio chimico per la salute e la sicurezza,le
misure generali di tutela dei lavoratori debbano in ogni caso sempre essere rigorosamente osservate
assieme alle misure successivamente individuate con particolarità dell’art. 72-quinquies
D.L.gs.626/94 e cioè:
a) la progettazione l’organizzazione dei sistemi di lavorazione sul luogo di lavoro:
b) la fornitura di attrezzature idonee per il lavoro specifico e le relative procedure di
manutenzione adeguate;
c) la riduzione al minimo di lavoratori che sono o potrebbero essere esposti;
d) la riduzione al minimo della durata e dell’intensità dell’esposizione ;
e) le misure igieniche adeguate;
f) la riduzione al minimo della quantità di agenti presenti sul luogo di lavoro in funzione
delle necessità della lavorazione;
g) metodi di lavoro appropriati comprese le disposizioni che garantiscono la sicurezza nella
manipolazione, nell’immagazzinamento e nel trasporto sul luogo di lavoro di agenti chimici
pericolosi nonché dei rifiuti che contengono detti agenti chimici.
Da questa considerazione di carattere tecnico-giuridico consegue che il titolo VII-bis D:Lgs.
626/94 non può in alcun modo provocare un’attenuazione delle misure generali di tutela dei
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lavoratori durante il lavoro, né prescindere dall’applicazione della Normativa previgente e pertanto
le misure di prevenzione e protezione di carattere generale richiamante sopra devono essere
applicate ancor prima di valutare il rischio da agenti chimici.
In altre parole qualsiasi valutazione approfondita del rischio chimico, non può prescindere
dall’attuazione preliminare e prioritaria dei principi e delle misure generali di tutela dei lavoratori.
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Un secondo punto fermo da sottolineare è la definizione di “rischio moderato”.
L’introduzione di questa soglia pone alcuni problemi per la sua determinazione, sia dal punto di
vista interpretativo della direttiva 98/24 CE che da quello tecnico e scientifico, riassumibili nei
seguenti punti:
1. nelle traduzioni della Direttiva 98/24CE degli altri Paesi UE il termine è stato
univocamente definito come rischio BASSO:
− geringfigiges (D),
− leve (E),
− slight (GB),
− faible (F),
− baixio (P),
− micro (GR);
2. le direttive CE recepite nel nostro ordinamento non possono ridurre i livelli di tutela della
salute e sicurezza raggiunti nelle norme nazionali previgenti;
3. nel D.P.R. 303/56, l’articolo 35 comma 2 prevede l’esonero dagli obblighi di
Sorveglianza Sanitaria, qualora per l’esiguità del materiale o dell’agente chimico pericoloso e per
l’efficacia delle misure preventive adottate, o per il carattere occasionale del lavoro insalubre :
“possa fondamentalmente ritenersi IRRILEVANTE il rischio per la salute dei lavoratori”.
4. nel D.M.10 marzo 1998, che detta criteri generali di sicurezza antincendio e per la
gestione dell’emergenza nei luoghi di lavoro, vengono definiti come luoghi di lavoro a rischio di
incendio BASSO, quei luoghi o parte di essi in cui vi sono scarse possibilità di sviluppo d’incendio
in presenza di sostanze a basso tasso d’infiammabilità e la susseguente probabilità di propagazione
è bassa. I luoghi di lavoro a rischio d’incendio basso non hanno necessità della redazione del piano
d’emergenza.
Se non può essere ridotto il livello di protezione per i lavoratori con l’introduzione della
direttiva 98/24 CE, e nelle more dell’emanazione dei provvedimenti previsti all’art. 72 terdecies co.
3 del D.Lgs. 626/94, appare logico associare il RISCHIO MODERATO alla dizione:
rischio irrilevante per la salute e basso per la sicurezza
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Il D.Lgs 25/02 attribuisce alla figura del medico competente un ruolo più attivo
nell’attuazione delle misure di prevenzione e nella valutazione dei rischi sia in fase iniziale che
nella cosiddetta “valutazione dinamica del rischio”.
Al di là degli aspetti relativi alla sorveglianza sanitaria e al monitoraggio biologico, trattati
successivamente, è richiesto al medico del lavoro di contribuire in alcune fasi della valutazione del
rischio (art. 72 quater) ed in particolare si identificano i punti di seguito evidenziati:
identificazione dei pericoli: il datore di lavoro con il responsabile del Servizio di
Prevenzione e Protezione, il medico competente, eventuali consulenti esterni, deve procedere
preliminarmente alla identificazione di tutti gli agenti chimici utilizzati a qualunque titolo in
azienda. Per ognuno deve essere associata la classificazione CE ovvero, in assenza di questa deve
essere identificato se l’agente chimico utilizzato , pur non essendo classificato, possa comportare
comunque un rischio per la salute e la sicurezza (art. 72 ter, c. 1, lettera b, punto 3);
valutazione dei rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori: riferito esclusivamente al
rischio chimico tossicologico con effetti cronici, le variabili da prendere in considerazione sono: le
proprietà pericolose dell’agente; le informazioni contenute nella scheda di sicurezza, il livello, tipo
e durata dell’esposizione, circostanze di svolgimento del lavoro e quantità in uso della sostanza o
preparato, i valori limite professionali e/o biologici,gli effetti delle misure preventive e protettive
adottate, le conclusioni delle azioni di sorveglianza sanitaria se esistenti.
Per quest’ultimo punto si ritiene che il medico competente debba dare un peso a tali
conclusioni esprimendo il proprio giudizio sulla presenza di rischio moderato; debba studiare i dati
epidemiologici della popolazione lavorativa esprimendo le conseguenti considerazioni in rapporto
ai dati ambientali, debba considerare la possibilità di sommatoria degli effetti a causa delle
poliesposizioni; debba tener conto dell’effetto sensibilizzante di alcune sostanze anche a basse dosi.
La sorveglianza sanitaria
Non viene più effettuata in base alla presunzione del rischio su cui si basava la tabella
allegata al DPR 303/56 (abrogata per le voci da 1 a 44 e 47) ma in base al rischio specifico valutato
per ogni singolo lavoratore. Nel decreto essa è infatti definita come “la valutazione dello stato di
salute del singolo lavoratore in funzione dell’esposizione ad agenti chimici sul luogo di lavoro” (art.
72 ter, c. f).
16
La sorveglianza sanitaria va effettuata (art. 72 decies comma 2):
•
Prima di adibire il lavoratore alla mansione che comporta esposizione
•
Periodicamente, di norma una volta l’anno o con periodicità diversa decisa dal
medico competente con adeguata motivazione riportata nel documento di valutazione
dei rischi e resa nota ai rappresentanti per la sicurezza dei lavoratori, in funzione
della valutazione del rischio e dei risultati della sorveglianza sanitaria
•
All’atto della cessazione del rapporto di lavoro. In tale occasione il medico
competente deve fornire al lavoratore le eventuali indicazioni relative alle
prescrizioni mediche da osservare.
Ne consegue che nella sorveglianza sanitaria il numero, il tipo degli accertamenti clinici,
strumentali e di monitoraggio biologico devono essere definiti sulla base della natura e dell’entità
dei rischi. La programmazione delle periodicità deve tener conto, oltre che dell’entità del rischio,
anche di periodi di osservazione sanitaria sufficientemente prolungati nel tempo al fine di definire le
caratteristiche della popolazione sotto controllo e di individuare i soggetti ipersuscettibili.
I risultati della sorveglianza sanitaria vanno allegati al documento di valutazione dei rischi di
cui diventa parte integrante (art. 72 quater, lettera g); pertanto la sorveglianza sanitaria se da un lato
può confermare i risultati della valutazione, dall’altro può anche evidenziare la necessità di una sua
revisione (valutazione dinamica del rischio).
Nel D. L.gs 25/02 la sorveglianza sanitaria è considerata una misura di tutela specifica dei
lavoratori (art. 72 sexies) e diviene obbligatoria quando il rischio per la salute e la sicurezza dei
lavoratori non si possa considerare “moderato” e le misure per la prevenzione dei rischi ai sensi del
c. 1 dell’art. 72 quinques non siano sufficienti a ridurre ulteriormente il rischio.
Sono sottoposti a sorveglianza sanitaria i lavoratori esposti agli agenti chimici pericolosi per
la salute che rispondono ai criteri per la classificazione come molto tossici, tossici, nocivi,
sensibilizzanti, irritanti, tossici per il ciclo riproduttivo (art 72 decies,comma 1).
La sorveglianza sanitaria negli esposti ad agenti chimici comprende esami clinici e biologici
ed indagini diagnostiche mirate al rischio (D.Lgs 626/94 art 16 c. 3). Il decreto 25/02 aggiunge che
gli accertamenti sanitari devono essere a basso rischio per il lavoratore (art. 72 decies c.4)
Il datore di lavoro su parere del medico competente, adotta misure preventive e protettive
particolari per singoli lavoratori sulla base delle risultanze degli esami clinici e biologici. Le misure
adottate possono comprendere l’allontanamento del lavoratore ex art. 8 D.Lgs 277/91 (art. 72
decies, c. 5).
17
Se la sorveglianza sanitaria evidenzia in un lavoratore o gruppo di lavoratori l’esistenza di
effetti pregiudizievoli per la salute imputabili all’esposizione ad un agente o il superamento di un
valore limite biologico, scattano le misure di revisione della valutazione del rischio e altre misure di
tutela per ridurre il rischio tra cui visite mediche straordinarie per tutti i lavoratori che abbiano
subito una esposizione simile (art. 72 decies c. 6e 7)
L’organo di vigilanza può disporre con provvedimento motivato contenuti e periodicità della
sorveglianza sanitaria diversi da quelli stabiliti dal medico competente (art. 72 decies c. 8)
Il monitoraggio biologico
Il monitoraggio biologico diventa un importante strumento per la sorveglianza sanitaria e la
valutazione del rischio. E’ obbligatorio, secondo il decreto, per i lavoratori esposti agli agenti per i
quali è stato fissato un valore limite biologico. Dei risultati di tale monitoraggio viene informato il
lavoratore interessato ed essi, in forma anonima, vengono allegati al documento di valutazione dei
rischi e comunicati ai rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza (art. 72 decies c. 3).
Attualmente l’unico agente chimico per il quale il D.Lgs riporta un valore limite biologico è
il piombo. E’ necessario che il monitoraggio biologico venga esteso ad altri agenti chimici per i
quali enti internazionali abbiano fissato dei valori limite biologici (es: BEI dell’ACGIH); peraltro
tale prassi è ormai consolidata da tempo in medicina del lavoro.
Il monitoraggio biologico è uno strumento indispensabile per la valutazione del rischio
individuale e/o di gruppo in quanto:
•
valuta la somma delle dosi assorbite attraverso le varie vie (respiratoria, cutanea,
gastrointestinale) e quindi è in grado di fornire una stima più realistica
dell’esposizione efficace
•
valuta anche l’esposizione extralavorativa agli agenti
•
valuta l’efficacia delle misure di protezione individuale
Il monitoraggio biologico risulta poi particolarmente utile nelle condizioni di esposizioni a
basse dosi, proprio dove potrebbe mancare la sorveglianza sanitaria. Pertanto si ritiene opportuno
che laddove esista un valore limite biologico il monitoraggio biologico entri nel processo di
valutazione del rischio.
18
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L’identificazione degli agenti chimici pericolosi, nel processo di valutazione dei rischi,
inizia con l’esame delle Schede dei Dati di Sicurezza (SDS), che chi immette sul mercato sostanze e
preparati pericolosi deve fornire all’utilizzatore professionale a completamento delle informazioni
contenute nell’etichetta applicata sui contenitori dei prodotti.
La SDS deve soddisfare a requisiti formali (stesura in 16 punti codificati ed lingua italiana) e
sostanziali (contenuti minimi di ciascuno dei 16 punti) previsti da:
•
DECRETO MINISTERO DELLA SALUTE 7 settembre 2002: Recepimento della
direttiva 2001/58/CE riguardante le modalita'della informazione su sostanze e
preparati pericolosi immessi in commercio
•
Art 25 del DECRETO LEGISLATIVO 3 febbraio 1997, n. 52 - Attuazione della
direttiva 92/32/CEE concernente classificazione, imballaggio ed etichettatura delle
sostanze pericolose.
•
Art. 13 del DECRETO LEGISLATIVO 14 marzo 2003, n.65: Attuazione delle
direttive 1999/45/CE e 2001/60/CE relative alla classificazione, all'
imballaggio e
all'
etichettatura dei preparati pericolosi.
•
D.Lgs. 19 09 1994, n. 626 Art.72 quater. Punto 4.
•
D.Lgs. 19 09 1994, n. 626 Art.72 octies. Punto 4.
Una utile ed efficace valutazione del rischio chimico presuppone che l’informazione
acquisita dalle SDS sia completa e corretta, condizione tuttavia che non è sempre verificata come
dimostrano le innumerevoli esperienze dei Servizi nel corso degli interventi di vigilanza, in cui le
criticità più riscontrate sono:
•
la fornitura di scheda tecnica e non di sicurezza;
•
l’erroneità e l’incompletezza delle 16 voci;
•
la scheda in lingua straniera;
•
la scheda non aggiornata con le ultime disposizioni di modifica;
•
i nomi chimici non corrispondenti a quelli di classificazione o della nomenclatura
internazionale;
•
l’assenza delle concentrazioni delle sostanze pericolose;
•
misure di protezione collettive non esplicitate es. caratteristiche dell’aspirazione
localizzata;
•
DPI non identificabili per tipologia e caratteristiche;
19
e tante altre carenze riscontrabili anche sulle etichette e relativamente agli imballaggi.
Per chi immette sul mercato sostanze e preparati pericolosi sembra opportuno richiamare
una maggiore attenzione e professionalità agli aspetti indicati di seguito.
•
La SDS non è la “scheda tecnica” del prodotto: quest’ ultima infatti contiene le
caratteristiche prestazionali di una materia prima ai fini del suo corretto ed ottimale
utilizzo, ma non contiene le informazioni utili o per un utilizzo “sicuro” del prodotto;
quindi il “responsabile dell’immissione sul mercato” (può essere il produttore,
ovvero l’ importatore, il distributore ecc.) ha l’obbligo di fornire la SDS, oltre all’
eventuale scheda tecnica.
•
Eventuali difficoltà ad ottenere la SDS ovvero l’ottenere una scheda non corretta (in
lingua straniera, con voci generiche ecc.) devono essere interpretate come una scarsa
garanzia di professionalità.
•
La SDS deve essere aggiornata alle più recenti conoscenze disponibili: si ritiene
fondamentale che essa sia aggiornata almeno alla data di entrata in vigore del DM
07.09.2002. Viene ritenuto opportuna, da parte dell’utilizzatore, una verifica annuale
di eventuali aggiornamenti.
•
La SDS deve essere in lingua italiana tradotta correttamente: per i prodotti importati
dall’estero la scheda, se non è in lingua straniera, spesso è frutto di una traduzione in
italiano frettolosa, addirittura vistosamente errata o comunque poco scientifica; in
base al DM 07.09.2002 la scheda deve essere redatta in italiano da personale
competente, a conoscenza dei contenuti tecnico-scientifici delle voci descritte; non è
ammessa l’integrazione o la modifica della SDS da parte dell’utilizzatore.
•
Sulla composizione dei preparati e alla presenza di impurezze le ditte fornitrici
devono rispondere in modo soddisfacente alle richieste di ulteriori informazioni da
parte dell’utilizzatore professionale, così come previsto proprio dal D. Lgs. 25/02
senza
•
Le indicazioni non devono riportare aggettivi generici come “DPI idonei”, “
contenitori in materiali compatibili”, ma invece devono essere dichiarati esattamente
quali siano le misure di protezione collettiva, i DPI ed i materiali idonei o consigliati;
Le Regioni ha il compito di vigilare sull’applicazione delle norme in materia di
classificazione ed etichettatura delle sostanze e dei preparati pericolosi tramite i suoi organi
territoriali, come previsto dagli artt. 18 e 29 del DLgs 52/97, ed è chiamata anche a dare attuazione
alla circo lare n. 13 del 12 settembre 2000, del ministero della Sanità.
20
21
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Il nuovo decreto, che ha il pregio di trattare in un unico Titolo i diversi aspetti del rischio
chimico dispersi in svariate norme a carattere ambientale, igienistico e antinfortunistico, stabilisce
che il datore di lavoro deve individuare, valutare, prevenire e controllare:
il rischio tossicologico, cioè quello delle misure, dei TLV e dei BLV;
il rischio incidentale, con effetti acuti;
il rischio di incendio ed esplosione;
il rischio tecnologico provocato da anomalie di impianti e di processi;
il rischio da cattiva gestione di stoccaggi, trasporti, trasferimenti, ecc. dei
prodotti pericolosi;
il rischio da incidenti rilevanti con conseguenze interne alla fabbrica.
Non tutti questi aspetti del rischio chimico sono valutabili con misurazioni e confronti con
valori limite di soglia o in base agli esiti della sorveglianza sanitaria, ma occorre introdurre
l’adozione di
specifici strumenti di monitoraggio e di studio degli eventi imprevisti e
potenzialmente pericolosi per implementare misure di prevenzione tecniche organizzative e
procedurali.
Di seguito vengono proposti gli ambiti di applicazione del decreto e i diversi metodi per il
processo di valutazione del rischio chimico a seconda delle caratteristiche con cui si manifesta
nell’ambiente di lavoro.
22
CAMPO DI APPLICAZIONE
quali attività ?
quali tipologie ?
quali agenti chimici ?
quali pericoli ?
•
•
•
•
•
•
Trasporto
Stoccaggio
Manipolazione
Produzione
Trattamento rifiuti
Eliminazione
•
•
•
•
•
Industriali
Artigianali
Commerciali
Servizi
Agricoltura
•
•
•
Sostanze e preparati pericolosi (DLgs 52/97 DLgs 65/03)
Agenti non classificati ma che per proprietà e modalità d’uso
costituiscono un pericolo
Agenti che hanno un limite di esposizione professionale
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
Esplosivi
Comburenti
Infiammabili
Tossici
Nocivi
Corrosivi
Irritanti
Sensibilizzanti
Cancerogeni
Mutageni
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Teratogeni
23
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Il nuovo decreto in merito al processo di valutazione del rischi conferma il percorso
graduale già indicato nelle linee guida per la valutazione del rischio della CEE nel ‘94 ripreso in
quelle del ‘95 dall’ISPESL ad uso delle PMA, che prevede 3 fasi:
•
la identificazione delle sorgenti di rischio o dei fattori di rischio o dei pericoli
intrinseci a macchine materiali e a metodi di lavoro;
•
la individuazione dei rischi di esposizione in termini di modalità operative, di entità
delle lavorazioni in funzione dei tempi e delle quantità in gioco, dell’organizzazione
del lavoro e di esistenza di misure di prevenzione e protezione;
•
la stima dei rischi eseguita attraverso processi di verifica o di misurazione.
La conclusione e l’obiettivo finale del processo è la programmazione delle misure di
prevenzione e protezione specifiche e la verifica periodica della loro efficacia ed efficienza.
Per gli agenti chimici tale percorso va articolato operativamente come segue e com’è
rappresentato nella flow-chart seguente.
24
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proprietà pericolose degli agenti chimici;
le informazioni contenute nella SDS ;
il tipo, il livello, la durata dell'
esposizione
le condizioni operative e ambientali del processo;
i valori limite di esposizione ambientali e biologici (TLV, VLB);
gli effetti delle misure preventive e protettive adottate;
valutazioni e ipotesi tossicologhe, allergologiche e sanitarie
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Conclusione:
ai sensi del Titolo VII bis del D.Lgs. 626/94, il rischio chimico si può definire MODERATO
solo nel caso che tutti e quattro i rischi:
tossicologico, infortunistico, tecnologico, di incendio e di esplosione
siano valutati come: IRRILEVANTE PER LA SALUTE e BASSO PER LA SICUREZZA
Nei capitoli seguenti vengono presentate le indicazioni legislative e metodologiche per effettuare la
valutazione.
26
1. IDENTIFICAZIONE DELLE SOSTANZE E DEI PREPARATI PERICOLOSI DIRETTAMENTE
UTILIZZATI O DERIVATI DALLE MODALITÀ DI LAVORO.
Questa fase iniziale del processo prevede le seguenti ricognizioni “documentate” sui
materiali e sulle lavorazioni:
•
lista di tutte le sostanze e preparati utilizzati;
•
rassegna dei processi e delle lavorazioni per verificare se si sviluppano agenti
pericolosi (polveri, fumi, nebbie, vapori, gas)i;
•
classificazione di tutti gli agenti con le frasi di rischio R della classificazione CE;
•
lista delle sostanze che hanno un TLV
Al fine di una completa identificazione sono da considerare:
•
sostanze e preparati classificati come pericolosi dai DDLLgs 52/97 e 65/03;
•
sostanze e preparati classificati “provvisoriamente” come pericolosi a cura del
responsabile dell’immissione sul mercato ai sensi degli articoli 6 DLgs 52/97 e 7
Dlgs 65/03 (es. Silice cristallina);
•
sostanze e preparati che non sono disciplinati dai decreti su citati, ma che
corrispondono agli stessi criteri di classificazione (cosmetici, antiparassitari,
medicinali, ecc);
•
agenti chimici non classificabili come pericolosi ma che possono comportare rischi
per la salute e la sicurezza a causa delle proprietà chimico-fisiche, chimiche e
tossicologiche e delle modalità con cui sono utilizzate (preparati che diventano
pericolosi quando sono nebulizzati, monomeri rilasciati dal riscaldamento dei
polimeri, emissioni della saldatura dei metalli, ecc.).
•
agenti chimici non classificati ufficialmente o non classificabili come pericolosi, ma
che hanno un limite di esposizione. professionale.
Per un modello di INVENTARIO DELLE SOSTANZE E DEI PREPARATI in deposito vedi:
All. 1
2. VALUTAZIONE PRELIMINARE: IPOTESI DI RISCHIO
Raccolta ed esame delle seguenti informazioni:
•
etichette;
•
le informazioni contenute nella SDS (comprese quelle dei preparati non pericolosi);
27
o
composizione dei preparati e delle sostanze;
o
proprietà pericolose dell’agente individuabili in generale dalle frasi R della
classificazione CE;
•
proprietà pericolose reperibili da banche dati;
•
letteratura tossicologica;
•
siti internet dedicati indicati dalle linee guida interregionali;
•
il livello il tipo la durata dell'
esposizione identificati con:
o
misurazioni o valutazioni precedenti
o
misurazioni eseguite ad hoc;
o
stime qualitative
•
le circostanze di svolgimento del lavoro e le quantità in uso;
•
i valori limite professionali e/o biologici;
•
gli effetti delle misure preventive e protettive adottate;
•
conclusioni, se presenti, della sorveglianza sanitaria.
Per un modello di PROFILO DI RISCHIO CHIMICO DI REPARTO o ATTIVITA’ vedi: All. 2
3. GIUSTIFICAZIONE CHE NATURA ED ENTITÀ DEI RISCHI RENDONO NON NECESSARIA
UNA ULTERIORE VALUTAZIONE MAGGIORMENTE DETTAGLIATA DEI RISCHI E
CONSENTONO DI TERMINARE LA VALUTAZIONE.
In presenza di pericoli che per natura ed entità non richiedono ulteriori approfondimenti,
non è necessario procedere ad una dettagliata valutazione dei rischi, dove:
•
per natura s’intende prodotti direttamente utilizzati o emessi non classificabili o con
caratteristiche chimico fisiche o stato di aggregazione che comportano bassa
aerodispersione;
•
per entità si intende: uso di quantità esigue, ciclo chiuso, irrilevante esposizione.
Autodichiarazione che giustifica l’interruzione della valutazione e la classificazione al di
sotto della soglia di rischio irrilevante.
4. INDIVIDUAZIONE DEL TIPO DI RISCHIO
La valutazione del rischio chimico deve partire dalla individuazione dei tipi di rischio chimico
presenti in azienda, in modo da scegliere il metodo più adatto alla loro valutazione e alla loro
classificazione. Lo stesso materiale o la stessa lavorazione, infatti, possono comportare rischi sia
per la salute e che per la sicurezza dei lavoratori esposti ed avere conseguenze dannose sia per la
persona, che per i beni dell’azienda, che per l’ambiente. Nella tabella seguente vengono riportate
le diverse tipologie di rischio ed i relativi strumenti specifici, utili al processo di valutazione.
28
TIPOLOGIE E PERCORSI DI VALUTAZIONE DEL RISCHIO CHIMICO
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5. VALUTAZIONE DETTAGLIATA
Da effettuare con metodi adeguati e pertinenti al tipo di rischio, alcuni dei quali sono
proposti in tabella, tenendo conto che la classificazione (irrilevante, basso), è essenzialmente
richiesta per il rischio tossicologico, ai fini dell’esecuzione degli accertamenti sanitari, e per il
rischio d’incendio ed esplosione per definire gli obblighi da ottemperare e il tipo di interventi da
mettere in atto.
Per il rischio d’infortunio e per quello tecnologico la gerarchizzazione del rischio - da
stabilire con i soliti metodi semiqualitativi - è invece necessaria ai fini di stabilire la priorità degli
interventi come già richiesto nel DLgs 626/94.
Riscontro di rischio irrilevante (moderato) purché siano rispettati tutti i parametri:
•
siamo in presenza di sostanze e di preparati poco o non pericolosi;
•
gli agenti chimici sono presenti in quantità limitate;
•
le modalità di lavoro non comportano la dispersione in aria di prodotti pericolosi
o il contatto diretto con gli stessi;
•
l’esposizione è poco frequente e di breve durata;
•
l’esposizione è inferiore ai VLE (TLV) secondo i criteri previsti dall’UNI EN
689
•
la probabilità di accadimento è o è stata resa insignificante.
Riscontro di rischio non moderato perché non sono soddisfatte le condizioni precedenti e
adozione di interventi specifici di prevenzione e protezione che sono:
•
la sostituzione degli agenti chimici e/o dei processi pericolosi;
•
quando non è possibile la sostituzione:
•
la progettazione appropriata, controlli tecnici, attrezzature e materiali adeguati;
•
le misure organizzative e di protezione collettiva ed individuale
•
la sorveglianza sanitaria
•
la dimostrazione dell’efficacia dei provvedimenti di prevenzione e protezione
con monitoraggio ambientale;
•
la predisposizione di procedure di intervento in caso di incidenti, di anomalie di
processo, di emergenze;
•
l’adozione di misure dirette ad attenuare gli effetti di guasti, di incidenti e di
emergenze;
•
l’adozioni di sistemi d’allarme e
segnalazione tempestiva di incidenti;
30
di altri mezzi comunicazione per la
La riduzione del rischio chimico, mediante misure di protezione collettiva, sia ad un livello
irrilevante (moderato) o entro valori inferiori ai valori limite di soglia, richiede la verifica periodica
dell’efficienza e dell’efficacia della misura di protezione collettiva applicata.
31
RISCHI DA INALAZIONE E CONTATTO E CON EFFETTI A LUNGO TERMINE
1. VALUTAZIONE CON MISURAZIONE E CONFRONTO CON TLV
Analisi di base.
Fornisce informazioni di tipo quantitativo riguardo all’esposizione degli addetti in esame,
tenendo conto in particolare di compiti soggetti ad esposizioni notevoli. Le possibili fonti di
informazione sono:
misurazioni precedenti;
misurazioni da impianti o procedimenti di valutazione confrontabili;
calcoli affidabili basati su dati quantitativi pertinenti.
Se le informazioni ottenute risultassero insufficienti a consentire un valido confronto con i
valori limite, esse dovranno essere integrate con misurazioni sul posto di lavoro.
E’ ritenuta indispensabile l’analisi dettagliata solo se l’analisi di base evidenzia esposizioni
professionali prossime al valore limite.
Analisi dettagliata
Le misurazioni dell’esposizione devono essere effettuate secondo le norme UNI-EN di cui
all’Allegato VIII-sexies, ma prima di procedere ai monitoraggi è opportuno ottimizzare impianti e
processi e poi misurare
in modo da:
•
•
•
facilitare le operazioni di misurazione dell’esposizione;
garantire il rispetto dei limiti;
perseguire l’obiettivo principale di tutela della salute riducendo l’esposizione al più basso
livello possibile.
La norma UNI-EN 689 propone due procedure per la valutazione dell’esposizione per
confronto con un valore limite. La prima, detta “procedura formale” riportata nell’appendice C,
stabilisce che i valori di esposizione rilevati non superano quelli limite di soglia (TLV), quando:
1. il valore di esposizione risulti quantomeno inferiore ad 1/10 del valore limite;
2. su rilevazioni effettuate in tre diversi turni di lavoro e nella medesima postazione
di lavoro, il valore di esposizione risulti quantomeno inferiore ad ¼ del valore
limite.
3. i valori di esposizione su tre turni, senza alcun valore maggiore del valore limite,
presentano una media geometrica delle misurazioni inferiore o uguale a ½ del
valore limite.
32
Solo le prime due condizioni sono sufficienti a garantire che i valori di esposizione rilevati
non superano il limite senza richiedere misurazioni di verifica periodica dell’agente ( art. 72 sexies
c.2 ) e a permettere quindi di interrompere gli interventi di miglioramento.
Pertanto il Comitato Consultivo ex art. 72 – terdecies indica come ragionevole e praticabile
che i primi due valori fissino la soglia al di sopra della quale si DEVE classificare il RISCHIO
NON MODERATO per inalazione di un agente chimico.
Spesso non è sufficiente tener conto solo della percentuale del limite ma è necessario
considerare anche la variabilità dei dati dovuta a fattori ambientali e operativi.
A tale proposito la norma UNI EN 689 propone, in appendice D, una seconda procedura,
“statistica” che fornisce dei criteri di decisionali per la verifica di conformità al valore limite,
richiedendo un numero più elevato di misure (almeno 6) ed il confronto con tre zone di riferimento
in funzione delle percentuali previste di superamento del valore limite:
situazione rossa con probabilità di superamento del valore limite maggiore del 5%;
situazione arancio con probabilità di superamento del valore limite fra lo 0,1% e il 5%;
situazione verde con probabilità di superamento del valore limite inferiore allo 0,1 %.
In questo caso la soglia
di RISCHIO MODERATO corrisponde alla terza delle tre
situazioni indicate, la situazione verde, in cui la probabilità di superamento del valore limite è
inferiore allo 0,1%.
Per lo stesso scopo possono essere presi in considerazione anche altri criteri decisionali,
quali l’OTL proposto dall’AIDII.
2. VALUTAZIONE DEL RISCHIO, SENZA MISURAZIONI, CON ALGORITMI O MODELLI
I modelli o algoritmi sono procedure che assegnano un punteggio ai fattori (pericolosità,
quantità, durata dell’esposizione presenza di misure preventive, ecc.) che intervengono nella
determinazione del rischio pesando, per ognuno di essi in modo diverso, l’importanza assoluta e
reciproca sulla valutazione finale.
Nel caso delle piccole e medie imprese , che si distinguono per una elevata variabilità delle
mansioni lavorative degli addetti e dei relativi tempi di esposizione nonché delle modalità d’uso
degli agenti chimici, gli algoritmi o i modelli possono rappresentare uno strumento di particolare
utilità nella valutazione del rischio in quanto l’algoritmo rende affrontabile il percorso di
valutazione ai Datori di Lavoro.
33
Qualora i risultati evidenzino il rispetto delle check list o valori numerici derivanti
dall’algoritmo al di sotto di un livello stabilito, si può affermare la presenza di un “rischio basso”
per la salute e sicurezza dei lavoratori per quella specifica situazione.
Gli algoritmi più diffusi attualmente sono:
Movarisch – Reg. Emilia Romagna, Toscana e Lombardia
InfoRISK – Reg. Piemonte
Cheope – Ass. Ambiente e Lavoro
L’uso di strumenti di questo tipo, a causa dei loro limiti intrinseci, non può rappresentare
tutto il processo di valutazione dei rischi, ma unicamente un approccio iniziale, utile per la
classificazione del rischio e per orientare, se necessario, le prime azioni di ricerca di ulteriori misure
di tutela.
Qualora sia evidenziabile un livello di rischio superiore a “moderato”, deve essere concluso
e approfondito il processo di valutazione dei rischi, anche con misurazioni, secondo quanto stabilito
dall’art. 72 quater, c. 1.
Risulta comunque consigliabile, nei casi dubbi, confermare il risultato dei modelli con una o
alcune misurazioni dell’esposizione.
L’uso di questo strumento, per quanto possa sembrare accessibile, in realtà spesso richiede
una competenza più specifica nella fase di formulazione delle ipotesi di rischio, quando questo non
è immediatamente deducibile dalle informazioni fornite dalle schede di sicurezza. Non è facile
individuare gli agenti chimici che si sviluppano, ad esempio, nelle lavorazioni:
− di stampaggio delle materie plastiche,
− di saldatura,
− con fluidi lubrorefrigeranti,
− di fusione.
3. CONTROLLO PERIODICO DELL’ADEGUATEZZA DEL LIVELLO DI PREVENZIONE E
PROTEZIONE
All’art 72 sexies comma 2, per le attività in cui il rischio chimico è stato classificato non
moderato, vengono richieste al datore di lavoro la misurazione degli agenti per verificare l’efficacia
(esposizione sotto controllo) e l’efficienza (cambiamento delle condizioni operative) dei
provvedimenti di prevenzione e protezione adottati.
Da un punto di vista strettamente giuridico non esiste un obbligo tassativo di
effettuare misurazioni per valutare il rischio, a condizione che il datore di lavoro non dimostri, in
modo concreto e sperimentato, il conseguimento e il mantenimento di un accettabile livello di
prevenzione e protezione dall’esposizione ad agenti chimici.
34
Le linee guida in materia di valutazione dei rischi, predisposte dall’ISPESL, (monografia
1995) propongono che la stima del rischio, e quindi del grado di controllo dello stesso, possa essere
effettuata oltre che con un processo di misura e di confronto con standard di riferimento, anche con
un processo di verifica dell’accettabilità delle condizioni igienico-ambientali per esame obiettivo
e/o analogia con altri settori similari di cui siano noti i parametri di rischio.
VALUTAZIONE DEI RISCHI SECONDO LE LINEE GUIDA DELL’ISPESL
fase 3 - STIMA DEI RISCHI DI ESPOSIZIONE O RESIDUI
Verifica del rispetto delle norme di legge e /o di buona tecnica prevenzionistica durante il funzionamento
delle macchine.
Verifica dell’accettabilità delle condizioni igienico-ambientali per esame obiettivo e/o analogia con altri
settori similari di cui sono noti i parametri di rischio.
Misura dei parametri di rischio e loro quantificazione nel caso di specifiche norme di legge o di obiettive
situazioni di elevato rischio potenziale. Acquisizione di documentazione e certificazioni agli atti
dell’azienda
Si ritiene opportuno che per “attività ben definite”, la dimostrazione “ del conseguimento di
un adeguato livello di prevenzione e di protezione” previsto dall’art. 72 sexies, venga effettuata
mediante la verifica che attrezzature, materiali, procedure operative, ambiente ospitante impianti,
ecc. abbiano i requisiti igienici per mantenere i rischi entro i limiti di soglia (TLV).
Per “attività ben definite” si intendono quelle attività, come per esempio la verniciatura a
spruzzo o la saldatura ad arco, che sono già state oggetto di indagini ambientali e di esposizione
individuale e nelle quali è stato messo in relazione il livello di rischio con le caratteristiche di
adeguatezza degli impianti di protezione collettiva.
Tale verifica andrà effettuata anche tramite opportune misurazioni di efficienza
degli
impianti di aspirazione quali per esempio: la velocità dell’aria in corrispondenza delle cappe (di
cattura) e nelle condotte, la pressione differenziale degli indicatori di insudiciamento dei filtri,
l’efficienza di captazione mediante gas traccianti.
Importanti saranno inoltre gli accertamenti sanitari periodici comprensivi di esami
strumentali e biotossicologici. Ad esempio bassi valori ematici di Piombo sono indicativi di una
bassa esposizione.
Questa “dimostrazione” tramite verifica può essere effettuata, per le attività di
verniciatura a spruzzo, con una lista di controllo (check-list) che prenda in rassegna tutti i requisiti
35
essenziali per mantenere il rischio entro ambiti di accettabilità, dedotti da indagini su larga scala per
lavorazioni analoghe (all. 5 esempio di check list per la verniciatura a spruzzo).
Questa procedura basata sul giudizio è stata e viene ampiamente utilizzata per la
valutazione dei rischi (art. 4) e per la verifica dell’adeguatezza degli interventi di prevenzione e di
protezione.
Ad esempio, nel Piano Triennale della Regione Veneto, il progetto “Metalmeccanica” ha
fatto ricorso a check list, utilizzate dai Datori di Lavoro e dai Servizi di vigilanza, per il controllo
del rischio chimico nelle operazioni di verniciatura e saldatura; con riscontri positivi.
Non si esclude tuttavia l’esecuzione di misurazioni per verificare e documentare le
esposizione dei lavoratori, ma sarà necessario che vadano effettuate successivamente alla
predisposizione dei miglioramenti delle misure di prevenzione e protezione. Questo allo scopo di:
•
facilitare le operazioni di misurazione dell’esposizione
•
garantire il rispetto dei limiti
•
perseguire l’obiettivo principale di tutela del rischio riducendo l’esposizione al più
basso livello possibile.
Si precisa infine che questa procedura semplificata è giustificata per quelle lavorazioni in cui
i rischi e le soluzioni sono noti e verificati attraverso apposite indagini reperibili in letteratura. Per
altre lavorazioni, più rare o specifiche e comunque non indagate, sarà invece necessario eseguire la
valutazione tramite misurazioni e poi eventualmente estrapolare i risultati in altre attività analoghe.
36
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1. VALUTAZIONE TRAMITE VERIFICA E CONTROLLO (CHECK LIST DEI REQUISITI)
Per prevenire il rischio infortunistico è necessario agire prioritariamente sul fattore
probabilità di accadimento portando il suo valore a zero mediante misure di prevenzione. Nel caso
delle macchine, per esempio, si deve prevenire l’accesso a zone pericolose mediante carter o
protezioni che riducano a zero la probabilità che queste possano essere raggiunte.
Nel caso di manipolazione di sostanze pericolose si deve fare in modo che gli eventi e le
azioni che determinano il contatto di queste con persone o con strutture o con altre sostanze
incompatibili o con fonti di innesco non possano avvenire.
Secondariamente, e nell’impossibilità di portare a zero la probabilità di accadimento
dell’incidente, sarà necessario ridurre al livello più basso possibile la gravità delle conseguenze
mediante il ricorso a misure di protezione individuale e collettiva o infine si può agire su entrambe
- probabilità e gravità – mediante interventi di informazione e formazione con la predisposizione di
procedure sicurezza e di consegne per l’emergenza e il soccorso.
Per la valutazione del rischio chimico da cause incidentali si propone quindi , come nel caso
della valutazione dei rischi nell’impiego di macchine ed attrezzature, di fare ricorso a “Metodi di
verifica controllo” tramite check-list mirati a verificare che tutte le operazioni con sostanze
pericolose avvengano rispondendo a requisiti di sicurezza di tipo tecnico, organizzativo e
procedurale.
La verifica positiva del possesso dei requisiti richiamati dal check –list autorizzerà il
valutatore a ritenere il rischio chimico sotto controllo e “basso”.
Con questo tipo di rischio si ritiene non sia necessaria la classificazione del rischio come
moderato o meno ai fini dell’esecuzione degli accertamenti sanitari, ma piuttosto che sia importante
la verifica che le criticità, grandi o piccole, siano state individuate e poste sotto controllo.
Come detto in precedenza la gerarchizzazione del rischio è importante da ricavare ai fini
della programmazione degli interventi di bonifica secondo un criterio di priorità, come viene fatto
per tutti gli altri rischi da valutare ai sensi dell’art. 4 del DLds 626/94.
Questi check-list possono essere reperiti in letteratura oppure possono essere costruiti ad
hoc; sarà compito della vigilanza verificare anche la pertinenza e la completezza dei check- list
proposti dall’Azienda
37
Esempio check-list per stoccaggio sostanze pericolose in Allegato 4
38
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L’analisi del rischio riguarda l’azione di agenti chimici presenti, o che si formano, in
processi più o meno complessi dell’industria chimica, la cui azione lesiva si esplica in conseguenza
di anomalie di impianti o di processi o a causa di deviazioni dal regime normale dei processi stessi.
Anche in questo caso la valutazione del rischio segue il solito percorso, che In estrema
sintesi comprende le seguenti tappe:
1. Raccolta dei dati di base: caratteristiche chimico fisiche, tossicità, attrezzature,
normativa,…
2. Definizione delle condizioni di sicurezza in marcia normale.
3. Ricerca sistematica dei pericoli relativi a: prodotti, procedure, attrezzature,
interfaccia, fattori umani ed esterni.
4. Classificazione dei rischi in funzione della loro gravità e della loro probabilità.
5. Scelta delle misure di prevenzione.
Il primo punto si identifica con la fase preliminare di tutti i processi di valutazione e allo
scopo possono essere utilizzati alcuni strumenti di raccolta e sistematizzazione delle informazioni
riguardanti:
•
i prodotti;
•
le proprietà chimico fisiche;
•
la tossicità;
•
le normative;
•
le reazioni chimiche:
•
i dati termodinamici;
•
le reazioni e gli effetti indesiderati;
•
i controlli e le analisi delle reazioni
•
le attrezzature:
•
edifici
•
apparecchi;
•
sistemi di misura, d’automatismo e di controllo;
•
dispositivi di captazione e di ventilazione;
•
manutenzioni
•
…
39
Il secondo punto riguarda le condizioni normali di funzionamento che andranno descritte in
un apposito documento stilato assieme alle procedure di avvio, di arresto, di gestione in marcia
normale, di pulizia, di manutenzione, ecc.
Il punto 3 si identifica con la fase di “ipotesi di rischio” dove si devono immaginare tutte le
possibili deviazioni concernenti ogni parametro di funzionamento.
Per questa identificazione sono a disposizione diversi metodi già sperimentati o meglio se
prodotti appositamente per il processo esaminato.
I più utilizzati sono:
•
l’analisi dei modi di guasto (esempio all. 5);
•
l’albero dei guasti;
•
metodo degli schemi;
•
…
Questa attività va sempre svolta da un gruppo interdisciplinare.
La quarta fase di classificazione e di valutazione del rischio corrisponde alla consueta
gerarchizzazione del rischio, richiesta ai fini di stabilire la priorità degli interventi di prevenzione.
Il metodo utilizzabile è quello semi qualitativo delle “matrici probabilità vs. gravità” con tre
gradi di valutazione: basso, medio, alto.
L’ultima fase è l’obiettivo principale della valutazione dei rischi, cioè la scelta delle misure
di prevenzione.
Le misure tecniche in ordine di priorità sono:
•
di eliminazione del rischio;
•
di riduzione;
•
di all’arme e di messa in sicurezza;
•
di soccorso.
Le misure organizzative saranno costituite principalmente dalla raccolta di procedure scritte
che definiranno i parametri di marcia normale degli impianti comprese le fai transitorie di partenza,
di svuotamento, di arresto, ecc..
Tutte queste procedure saranno collegate ad iniziative di informazione e formazione
comprese quelle di emergenza e di soccorso.
40
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(
Per la valutazione del rischio di incendio si individua il DM 10.03.1998 “Criteri generali di
sicurezza antincendio e per la gestione dell’emergenza nei luoghi di lavoro” quale punto di
riferimento.
Nel DM vengono individuate tre classi di rischio di incendio:
•
luoghi di lavoro a rischio di incendio elevato,
•
luoghi di lavoro a rischio di incendio medio
•
luoghi di lavoro a rischio di incendio basso
e, nell’allegato IX, sono individuati, a titolo esemplificativo e non esaustivo, elenchi di
attività che rientrano nelle attività a rischio di incendio medio ed elevato.
Per le attività non indicate nell’allegato IX, il punto 1.4.4 del DM 10.03.1998 permette di
effettuare la valutazione del rischio incendio tenendo conto delle seguenti condizioni:
•
Sostanze a basso tasso di infiammabilità
•
Condizioni locali e di esercizio con scarsa possibilità di sviluppo di principi
d’incendio
•
Probabilità di propagazione limitata in caso di eventuale incendio
Inoltre possono essere di ausilio nella valutazione di incendio e/o esplosione:
¨La norma CEI EN 60079-10 [Classificazione dei luoghi pericolosi]; CEI 31-35 e CEI 3135/A [Guide all’applicazione della norma CEI-EN 60079-10].CEI 64-2 [Prescrizioni specifiche per
la presenza di polveri infiammabili e sostanze esplosive].
Per questo tipo di rischio la classificazione di MODERATO equivale all’attribuzione del
DM 10 03 1998: BASSO
41
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Per la classificazione del rischio di esplosione si individua quale punto di riferimento il
D.Lgs. n.233 del 12.06. 2003: Attuazione della direttiva 1999/92/CE relativa alle prescrizioni
minime per il miglioramento della tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori esposti al
rischio di atmosfere esplosive.
Nel D.Lgs. viene definita: «atmosfera esplosiva» una miscela con l'
aria, a condizioni
atmosferiche, di sostanze infiammabili allo stato di gas, vapori, nebbie o polveri in cui, dopo
accensione, la combustione si propaga all'
insieme della miscela incombusta.
La valutazione segue il seguente percorso:
•
censimento delle sostanze chimiche
•
individuazione delle sostanze esplosive, infiammabili o combustibili
•
analisi dei parametri chimico fisici
•
individuazione dei luoghi a rischio di esplosione
•
individuazione delle sorgenti di emissione
•
definizione del grado di emissione (continuo, primo o secondo)
•
classificazione delle zone:
o Zona 0: Area in cui e'presente in permanenza o per lunghi periodi o
frequentemente un'
atmosfera esplosiva consistente in una miscela di aria e di
sostanze infiammabili sotto forma di gas, vapore o nebbia.
o Zona 1: Area in cui la formazione di un'
atmosfera esplosiva, consistente in
una miscela di aria e di sostanze infiammabili sotto forma di gas, vapori o
nebbia, e'probabile che avvenga occasionalmente durante le normali attività.
o Zona 2: Area in cui durante le normali attività non e'probabile la formazione
di un'
atmosfera esplosiva consistente in una miscela di aria e di sostanze
infiammabili sotto forma di gas, vapore o nebbia o, qualora si verifichi, sia
unicamente di breve durata.
o Zona 20: Area in cui e'presente in permanenza o per lunghi periodi o
frequentemente un'
atmosfera esplosiva sotto forma di nube di polvere
combustibile nell'
aria.
o Zona 21: Area in cui la formazione di un'
atmosfera esplosiva sotto forma di
nube di polvere combustibile nell'
aria, e' probabile che avvenga
occasionalmente durante le normali attività.
42
o Zona 22: Area in cui durante le normali attività non e' probabile la
formazione di un'
atmosfera esplosiva sotto forma di nube di polvere
combustibile o, qualora si verifichi, sia unicamente di breve durata.
Per la classificazione delle aree si può fare riferimento alle norme tecniche armonizzate
relative ai settori specifici, tra le quali:
•
EN 60079-10 (CEI 31-30) per atmosfere esplosive in presenza di gas;
•
EN 50281-3 per atmosfere esplosive in presenza di polveri combustibili».
Una volta eseguita la valutazione del rischio di esplosione si dovranno mettere in atto i
provvedimenti necessari a:
•
ridurre le concentrazioni pericolose al minimo possibile in modo da evitare la
formazione di atmosfere esplosive;
•
limitare la possibilità di innesco in modo da evitare l'
accensione di atmosfere
esplosive.
La classificazione MODERATO potrebbe equivalere alle condizioni:
− della Zona 2: Area in cui durante le normali attività non e'probabile la
formazione di un'
atmosfera esplosiva consistente in una miscela di aria e di
sostanze infiammabili sotto forma di gas, vapore o nebbia o, qualora si
verifichi, sia unicamente di breve durata.
− della Zona 22 Area in cui durante le normali attività non e'probabile la
formazione di un'
atmosfera esplosiva sotto forma di nube di polvere
combustibile o, qualora si verifichi, sia unicamente di breve durata.
43
DOCUMENTAZIONE DEL PROCESSO DI VALUTAZIONE DEI RISCHI DA AGENTI CHIMICI
Il processo di valutazione, comprese le analisi di rischio effettuate con misurazioni di
esposizione, impiego di algoritmi o modelli, vanno documentate e aggiunte, come integrazione, al
Documento di valutazione dei rischi aziendali.
In caso di modifiche e di innovazioni produttive la valutazione dei rischi deve essere
ripetuta.
Le aziende con un numero di dipendenti inferiore a 11 dovranno attestare l’avvenuta
valutazione del rischio chimico allegando al documento di autocertificazione quanto segue:
•
elenco delle sostanze e dei preparati utilizzati in azienda;
•
elenco dei prodotti pericolosi individuati in base alle informazioni contenute nella
Scheda di sicurezza e di altri agenti chimici pericolosi a causa delle loro proprietà
chimico-fisiche e del modo in cui sono utilizzati;
•
modelli e/o algoritmi di valutazione utilizzati;
•
eventuali relazioni tecniche delle misurazioni ambientali effettuate;
•
le
principali misure generali e specifiche di prevenzione e protezione attuate
comprensive delle misure di emergenza.
44
APPENDICI DELLA VALUTAZIONE DEL RISCHIO
All.1: INVENTARIO DELLE SOSTANZE E DEI PREPARATI IN DEPOSITO
nome
sostanza o
preparato
reparto
operazione
fase di lavoro
stato
fisico
tipo di
confezione
quantità
simbolo
in
etichetta
deposito
scheda di
sicurezza
frasi
di rischio
si
acido solforico
decapaggio
soluzione
cubo da 1mc
3 mc
C
14-35-37
x
propano
ossitaglio
gas comp.
bombole 50 l
12
F
11
x
no
numero e tipo di
procedure
da
chiedere
-p. ricevimento
-p. stoccaggio
-p. trasferimento
-p. diluizione
-p. incidenti emergenze
-p. ricevimento
-p. stoccaggio
-p. distribuzione
APP. 2: PROFILO DI RISCHIO CHIMICO DI REPARTO
nome
sostanza o
preparato
acido solforico
08/10/2004
quantità
designazione
frasi
in uso
simbolo
del prodotto
di
per anno etichetta
lavorazione
rischio
conc. %
decapaggio
3 mc 10% C
tipo di
rischio
prodotti
liberati
TLV
(gas vapori,
(per la sicurezza,
d’incendio, per
la salute altri),
14-35-37 inal. cont. inf.
nebbie,
fumi,
nebbie)
nebbie
TWA
STEL
altre
informazioni
(0,1) mg/mc A2 mcst, fnpl
Pagina 45 di 53
misure di prevenzione
tecniche organizzative
e procedurali in atto
asp. loc. DPI
APP. 3: LISTA DI CONTROLLO PREVENZIONE VERNICIATURA
0
2 00
2 00
1) Sono stati scelti, in base all'
esame delle schede di sicurezza, prodotti
vernicianti a bassa tossicità ?
SI
NO
2) La verniciatura a spruzzo, se può comportare una indebita esposizione
a rischio di altri lavoratori è separata dalle altre lavorazioni ?
SI
NO
3) Le operazioni di verniciatura sono attrezzate con impianto di
aspirazione localizzata ? (Cabina aspirante)
SI
NO
4) I requisiti della cabina garantiscono l'
efficacia dell'
aspirazione ?
SI
NO
5) Sono fissate e vengono rispettate procedure di manutenzione periodica
dei filtri ?
SI
NO
6) Vengono utilizzati sistemi di spruzzatura ad alto rendimento di
trasferimento della vernice ?
SI
NO
7) L'
impianto elettrico della cabina ha i requisiti di sicurezza ?
SI
NO
8) L'
aria estratta dall'
impianto di aspirazione localizzata viene compensata
con aria pulita di pari volume ?
SI
NO
9) E' stato allestito un sito igienicamente idoneo per la fase di
essiccazione dei pezzi verniciati ? (Verniciatura al solvente)
SI
NO
10) E'stato allestito un deposito per i materiali infiammabili separato dai
locali di lavoro ?
SI
NO
11) Nel deposito dei prodotti vernicianti liquidi sono stati creati bacini di
contenimento ?
SI
NO
12) Sono stati forniti idonei Dispositivi di Protezione individuale agli
addetti alla verniciatura (almeno maschere, filtro, guanti e tuta) ?
SI
NO
13) Viene curata l'
informazione e la formazione sulla necessità di utilizzo e
sulla funzione dei DPI e ne viene controllato l'
uso corretto ?
SI
NO
14) I verniciatori sono sottoposti ai controlli sanitari preventivi e periodici
?
SI
NO
08/10/2004
Pagina 46 di 53
All. 4: CHECK – LIST PER IL CONFERIMENTO, LO STOCCAGGIO E IL PRELIEVO DI
SOSTANZE E PREPARATI PERICOLOSI
(
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0
(
I contenitori dei prodotti chimici sono depositati al riparo dagli agenti
atmosferici, in aree di agevole accesso e protetti in modo da evitare la
possibilità di investimenti e di danneggiamenti ?
Nel deposito sono stateapplicate le seguenti regole ?:
- aree e volumi dei locali adeguati alle quantità massime da stoccare;
- tipo di confezioni e di recipienti in rapporto alle quantità consumate;
- separazione per gruppi di compatibilità con chiara identificazione degli
scomparti, i simboli corrispondenti devono essere ben visibili ;
- sistemi di contenimento e di ventilazione in rapporto ai gruppi di
sostanze e alle dimensioni del locale;
- impianti e attrezzature che facilitino la movimentazione e la
manutenzione;
- stazione di travaso per le consegne al dettaglio equipaggiata in
relazione ai rischi presenti.
Tutti i depositi confinati sono protetteti da temperature estreme e ben
aerati tramite fenestratura comunicante con l'esterno?
In assenza di ricambio naturale dell'aria, è stato previsto quello forzato,
per una entità pari ad almeno 2 volumi/ora elevabile a 10 volumi/ora in
caso di emergenza ?
Per piccoli stoccaggi di liquidi infiammabili o di liquidi corrosivi sono
utilizzati armadi di sicurezza, eventualmente dotati di sistemi di
aspirazione ed espulsione delle emissioni inquinanti e di bacinelle di
contenimento?
Per quanto riguarda la scelta dei recipienti si è tenuto conto dei consumi
mensili seguendo per esempio i valori indicati nella seguente tabella ?
Consumi mensili
(in litri)
< 20
da 20 a 500
da 500 a 2.000
> 2.000
8
Tipo di
Recipiente
Bottiglie
Taniche
Barili,
cubi
Cisterne
7 9:
fusti,
3
7
;
:
;
7
;
:
5
Inoltre, è stato tenuto conto che l'esposizione a basse temperature
incrementa la fragilità di alcune materie plastiche.
7
08/10/2004
In caso di cambio del recipiente, anche per quantità limitate, vengono
rispettate le seguenti regole ?:
- indossare dispositivi di protezione individuale adeguati al rischio;
- effettuare queste operazioni in un luogo di lavoro specificamente
predisposto (ventilazione e bacino di contenimento);
- rietichettare i nuovi recipienti.
I fusti e i recipienti contenenti i prodotti utilizzati per le lavorazioni, sono
depositati entro aree dotate di pavimentazione impermeabile ed
inattaccabile dai prodotti stessi, conformate in modo da contenere
l’eventuale liquido versato evitando che possa raggiungere reti fognarie,
terreno nudo, reparti produttivi e tale da rendere agevole la completa
asportazione del materiale (bacino di contenimento, ottenibile con
Pagina 47 di 53
(
'
(
cordonatura, pendenza del pavimento, canaletta perimetrale, con vasca
con capacità pari almeno ad un terzo della somma dei volumi dei
recipienti contenuti (se sono più di 2) e, comunque non inferiore al
volume di quello più capiente ?
Sulle aree di riempimento e di travaso dei fustini, sono stati predisposti
pallet di contenimento (figura n. 3a) dei versamenti dovuti a tracimazione
o a rottura dei recipienti, in modo da facilitare il recupero del prodotto e il
convogliamento dei liquidi di lavaggio ?
E’ stata considerata la possibilità di utilizzare indicatori di livello per fusti
o altri dispositivi collegati all'
erogazione, per evitare la tracimazione ?
00
:
E’ stato assicurato che tutti i fusti (sia pieni che vuoti) siano collocati
entro apposite scaffalature ?
L'altezza di accatastamento è contenuta (max 2 pallets o più previa
valutazione) al fine di ridurre la probabilità di caduta dei fusti stessi con il
possibile investimento dei lavoratori ?
Tutte le scaffalature sono provviste di un cartello indicante la portata
espressa in Kg/mq; dovranno inoltre essere fissate a parete o a
pavimento onde evitare possibili ribaltamenti?
L'accesso ai piani sopraelevati delle scaffalature per il prelevamento o lo
stoccaggio manuale dei fusti o dei materiali in genere avviene mediante
l'
uso di attrezzature adeguate (es. scale carrellate con ripiano superiore
provvisto di parapetto per fusti o materiali di piccole dimensioni, oppure
piattaforme di sollevamento) a garantire la sicurezza degli operatori
contro i pericoli di caduta dall'alto ?
00
Tutti i solai adibiti a deposito di materiali sono dotati di un cartello
indicante la portata espressa in Kg/mq ?
Inoltre:
:
:
:
:
08/10/2004
-
se adibiti al deposito di materiale pallettizzato e privi di parapetto, è
indicato chiaramente il divieto di salire ?
-
se adibiti al deposito di materiale non pallettizzato, per cui è
necessario l'accesso degli operatori, sono state predisposte delle
scale a gradini provviste sui lati verso il vuoto di normale parapetto e
tavola fermapiede estesi anche ai lati prospicienti il vuoto ?
-
se adibiti al deposito di entrambi i tipi di materiali il parapetto è stato
dotato di barriere mobili non asportabili, fissabili nella posizione di
chiusura mediante chiavistello o altro dispositivo ?
-
è stato assicurato che l'apertura-chiusura di tale barriera avvenga da
posizione protetta che non esponga l'operatore a rischi di caduta ?
Le scale, le passerelle, i ripiani, i piani di carico, i posti di lavoro o di
passaggio sopraelevati devono sono provvisti di normale parapetto con
fascia di arresto al piede sui lati prospicienti il vuoto ?
E’ stata garantita la stabilità delle scale e delle passerelle stesse?
Pagina 48 di 53
(
'
7
4
(
Sono tenuti separati i sei gruppi di sostanze suscettibili di reagire tra loro
in modo pericoloso, secondo gli schemi che seguono? :
a. con rischio di reazioni violente:
• Acidi e basi forti;
• Agenti ossidanti e agenti riducenti (infiammabili, combustibili);
b. con rischio di formazione di gas tossici (R30 e R31).
Ad esempio:
• Cianuri e acidi
acido cianidrico;
• Bisolfiti e acidi
anidride solforosai;
• Ipocloriti e acidi
cloro;
• Solfuri e acidi
idrogeno solforato;
• Nitriti e acidi
biossido d’azoto;
• Acido formico acido solforico concentrato
ossido di carbonio
collocando i serbatoi ed i fusti in aree distinte, ciascuna dotata di bacino
di contenimento - se infiammabili - divise da una distanza di almeno 7 - 8
m. o separate da muri taglia fuoco .
INFIAMMABILI
'*
BASI
AGENTI RIDUCENTI
AGENTI OSSIDANTI
SOSTANZE CHE SVILUPPANO
GAS TOSSICI
Le zone così determinate corrispondono alla realizzazione di specifici
bacini di contenimento realizzato anche da una suddivisione leggera (per
esempio un bacino di plastica) del contenimento principale ?
"#<' (
serbatoi
fuori terra
E’ stato verificato che il materiale costitutivo dei serbatoi sia
perfettamente compatibile con i prodotti da stoccare, anche richiedendo
al fabbricante le caratteristiche di resistenza e di compatibilità chimica ?
I serbatoi, gli sfiatatoi e i sistemi di trasferimento sono contrassegnati
secondo quanto già indicato in precedenza ?
Per prevenire il rischio di trabocco, in ciascun serbatoio, sono stati
predisposti dei misuratori di livello (vedi paragrafo sui serbatoi interrati
che segue) ?
Sui serbatoi sono installati degli sfiatatoi correttamente dimensionati e
accessibili per permetterne la manutenzione? ( Il dispositivo di troppopieno può servire come sfiatatoio).
Il serbatoio viene
mantenuto in depressione per mezzo di una
ventilazione meccanica, realizzando l'entrata dell'aria attraverso il
dispositivo di troppo - pieno?
08/10/2004
Pagina 49 di 53
All.5: ESEMPIO DI INDIVIDUAZIONE E STIMA DEL RISCHIO DA ANOMALIE DI IMPIANTO E/O DI PROCESSO
Reparto: preparazione
Codice fattore di rischio: 2.A.2.4. Sicurezza
Oggetto della valutazione: riempimento e spillaggio mescolatore
#
4
:
=
8) - 9
%
4
*
1 =
8) %
>
0
0
;
:
:
Analisi dei modi di guasto basata sull'utilizzazione di "parole guida"
Parole guida
Deviazioni
I prodotti 1 e/o 2 non arrivano
nel miscelatore
Non
La quantità del prodotto 1 e/o
2 è eccedente
Più
•
•
•
•
•
•
•
Cause possibili
Guasto meccanico delle valvole V1
e V2
Interruzione dell'elettricità
Mancanza di prodotti 1 e 2
Linee 1 e 2 ostruite
Le valvole V1 e V2 non sono
chiuse
Interruzione dell'elettricità
Guasto meccanico
) 9
1
Conseguenze
Meno
Nello stesso
momento che
Parte di
Inverso
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•
•
•
I prodotti 1 e 2 sono introdotti
normalmente nel miscelatore
non interamente svuotato
Il prodotto 3 non è stato spillato nel
corso dell'operazione precedente
Mancanza del prodotto 1 e 2
Chiusura prematura delle valvole
Interruzione dell'elettricità
:
Misure di prevenzione
Il riempimento non avviene
Senza conseguenze sulla
tracimazione
Il miscelatore tracima
•
•
•
La quantità di 1 e 2 è inferiore
a x kg
;
4
Carica incompleta del
reattore
Senza conseguenze sulla
tracimazione
Il miscelatore tracima
Solo il prodotto 1 (o2) arriva
Senza conseguenze sulla
• Mancanza del prodotto 2
normalmente, il prodotto 2 (o1) • Chiusura prematura della valvola 2 tracimazione
arriva in modo anormale
• Ostruzione della linea 2
• Interruzione dell'elettricità
Il prodotto 3 è respinto nel
Impossibile per l'installazione
miscelatore
considerata
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•
•
Valvole V1 e V2 di sicurezza
normalmente chiuse
Montaggio di valvole
manuali V'1 e V'2 in serie
con V1 e V2
Rilevazione del livello
superiore con allarme
Consegne per il personale
Indicatore del livello
inferiore che autorizzi il
riempimento
• Messa in opera di una
valvola manuale V'3 in
parallelo conV3
Predisposizione di una
consegna per completare il
riempimento alla rimessa in
marcia
*(
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Dal 23 giugno 2002 è operativo il D.Lgs 25/02 “Attuazione della direttiva 98/24/CE sulla
protezione della salute e della sicurezza dei lavoratori contro i rischi derivanti da agenti chimici
durante il lavoro”. Tale decreto, accanto ad aspetti positivi quali ad esempio l'
aver preso in
considerazione anche i rischi per la sicurezza, aver concluso l’iter relativo alle norme
sull’etichettatura e le schede di sicurezza, aver eliminato il regime tabellare delle visite mediche ed
introdotto il monitoraggio ambientale e biologico (seppure quest'
ultimo in particolari situazioni),
presenta numerosi punti poco chiari e controversi e difficoltà interpretative che ne rendono
complicata l’applicazione da parte dei datori di lavoro e dei tecnici della prevenzione.
Oltre all'
uso improprio del termine “moderato” rispetto all’originale del testo
comunitario “slight”, tra i punti maggiormente negativi che si vuole sottolineare
sono il declassamento della sorveglianza sanitaria da misura generale (vedi art. 3
lettera l del D.Lgs 626/94) a misura specifica di tutela (art. 60-sexties comma 1 lettera
d del D.Lgs 25/02), la questione del suo rapporto con la valutazione del rischio, del
suo rapporto con il monitoraggio biologico che è subordinato ad essa in relazione al
non fedele recepimento della Direttiva comunitaria (l'
art. 10 della 98/24/CE diceva che
"Nel caso in cui sia stato fissato un valore limite biologico obbligatorio … la
sorveglianza sanitaria è una prescrizione obbligatoria per il lavoro con l'
agente in
questione…"), del suo rapporto con i limiti (cosiddetto "rischio moderato"
compreso).
Il non chiarimento di questi aspetti, oltre a mettere in conflitto quanto previsto dal
decreto con quanto fissato in precedenti leggi e norme (secondo l'
art. 35 del DPR
303/56 non abrogato la sorveglianza sanitaria non viene effettuata solo se il rischio è
irrilevante), renderà non agevole mettere in pratica i contenuti della sorveglianza
sanitaria e del monitoraggio biologico per gli esposti a rischio chimico, e soprattutto
farlo rispettando i principi che disciplinano la moderna medicina del lavoro.
In queste condizioni, una troppo permissiva definizione di “rischio moderato” potrà portare
alla esclusione dall’obbligo della sorveglianza sanitaria di larghe fasce di lavoratori esposti a rischio
chimico: ciò tra l’altro si ripercuoterebbe negativamente non solo sui lavoratori, che vedrebbero
ridotti i livelli di tutela preventiva (pensiamo ad esempio agli ipersuscettibili che solo attraverso le
visite preventive e periodiche possono essere riconosciuti e protetti dai rischi), ma anche sugli stessi
datori di lavoro per i quali potrebbero aumentare i contenziosi civili e penali in caso di insorgenza
di patologie in carenza di documentata dimostrazione relativa all’esposizione a rischio dei singoli
lavoratori. In realtà la sorveglianza sanitaria ed il monitoraggio biologico sono utili anche in
presenza di rischio moderato, in quanto tali procedure, pur programmate con periodicità anche più
dilazionate rispetto a quella annuale, diventano un elemento essenziale della stessa valutazione del
rischio, confermandone i risultati o evidenziando la necessità di una sua revisione.
Inoltre a rigore, non essendo in presenza di rischio moderato obbligatoria la sorveglianza
sanitaria non risulta neppure obbligatoria la presenza del medico competente, che quindi non
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parteciperebbe alla valutazione del rischio. D’altra parte l’obbligo di valutazione esiste per tutti i
potenziali rischi e per tutti i livelli dei singoli rischi, non solo per quelli che per legge richiedono
l’obbligo della sorveglianza sanitaria. Di qui emerge la necessità della presenza del medico
competente nel processo di valutazione dei rischi, a prescindere dalla obbligatorietà o meno della
successiva esecuzione di visite mediche; anzi questi è l’unica figura tecnica che può avere
competenza nell’indirizzare verso la decisione della non necessità di esecuzione della sorveglianza
sanitaria.
E’ evidente che una buona valutazione del rischio deve essere condotta da un gruppo di
esperti in cui siano presenti tutte le competenze tecniche, igienistiche e mediche e che adottino una
metodologia in grado di individuare gli agenti di rischio presenti e valutarne la pericolosità in
relazione a tutte le vie di penetrazione.
A seguito della necessità imposta dalla norma di dover spesso effettuare costose e complesse
indagini di igiene industriale secondo il modello, anche ridondante, previsto dalla UNI EN 689,
viene proposto soprattutto nelle piccole e medie imprese il ricorso ad algoritmi e/o modelli
semplificati per la stima del rischio, con l’obiettivo dichiarato di evitare di effettuare misurazioni
dell’agente chimico: essi vengono intesi come un percorso di “facilitazione” atto a consentire la sua
classificazione al di sopra o al di sotto della soglia del rischio moderato.
Anche se si deve riconoscere la utilità di questi modelli nelle fasi preliminari della
valutazione del rischio o in quelle situazioni nelle quali palesemente il rischio è poco rilevante, deve
essere sottolineata la criticità del loro uso soprattutto se slegati da un qualsiasi riscontro con dati
oggettivi di monitoraggio ambientale e/o biologico, e non può sfuggirne la estrema pericolosità
quali strumenti che si prestano ad un utilizzo distorto da parte di tecnici e/o soggetti non esperti.
Un ulteriore appunto critico ad decreto è che non viene data alcuna indicazione
metodologica e/o tecnica su come si arriva alla decisione della “giustificazione che la natura e
l’entità dei rischi connessi con gli agenti chimici pericolosi rendono non necessaria un’ulteriore
valutazione maggiormente dettagliata dei rischi”, né tantomeno su come si definisce il "rischio
moderato" (ferma restando l’estrema ambiguità del termine utilizzato).
Il fatto inoltre che il monitoraggio biologico sia visto, in modo riduttivo, come parte della
sorveglianza sanitaria e non come elemento essenziale anche della valutazione del rischio (e ciò,
come già detto, in modo difforme rispetto a quanto previsto dalla Direttiva Comunitaria) rischia di
far perdere completamente l’opportunità di un suo corretto utilizzo, limitandolo in pratica solo a
quelle situazioni nelle quali il rischio verrà considerato superiore a quello “moderato”. Il ricorso al
monitoraggio biologico sarebbe invece particolarmente utile proprio per il controllo di soggetti
esposti a basso rischio: in questa ottica si potrebbe immaginare di prevedere un monitoraggio
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biologico gestito dal medico competente, senza necessità di effettuazione sempre contestuale delle
visite mediche, come strumento di “sorveglianza del rischio” e come specifico contributo alla
valutazione del rischio ed al suo aggiornamento nel tempo.
Un esempio estremamente negativo al riguardo è quello relativo a quanto previsto per il
piombo, per il quale sono già stati fissati dei limiti che ne definiscono il concetto di "rischio
moderato" (fissato al 50% del valore limite). Con il D.Lgs 25/02 infatti sono stati definiti, per
l’obbligo della sorveglianza sanitaria per gli esposti a piombo, dei valori limite più permissivi
rispetto a quelli già in vigore con il D.Lgs 277/91. E ciò appare ancora più immotivato se
consideriamo che l’ACGIH ha adottato già da qualche anno dei valori limite per il piombo molto
più restrittivi (TLV= 0.050 mg/m3 di Pb in aria; BEI= 30 µg/100 ml di Pb nel sangue). Siamo cioè
nella situazione che i nostri “action level” sono superiori rispetto ai valori limite americani o, in
altre parole, che noi definiamo come rischio moderato una situazione in cui per gli americani sono
superati i valori limite. Se vi possono essere infatti motivazioni socio-economiche e politiche che
portano alla fissazione di valori limite di soglia più alti di quelli che possono essere definiti su base
tossicologica, non c’è nessuna giustificazione nell’adottare degli “action level” così elevati che non
permettono di tenere sotto controllo i lavoratori e di poter graduare al meglio le misure di
prevenzione collettive ed individuali da adottare.
Un commento, infine, sugli aspetti documentali della sorveglianza sanitaria. Suscita non
poche perplessità l’obbligo dell’invio delle cartelle sanitarie e di rischio all’ISPESL alla cessazione
del rapporto di lavoro, in quanto tale clausola sembra inserita per fini destituiti di qualsiasi base
scientifica ed epidemiologica. Sarebbe invece opportuno che tale documentazione venisse
conservata presso le aziende per il tempo previsto dalla normativa vigente; una copia dovrebbe
essere consegnata al lavoratore stesso, sia per eventuali opportunità di continuazione della
sorveglianza sanitaria negli ex esposti che per facilitarne la prosecuzione presso altre ditte. In caso
di cessazione dell’attività dell’azienda, tutto il materiale potrebbe essere inviato ai servizi di
vigilanza competenti per territorio.
A conclusione di queste considerazioni critiche è necessario sottolineare che un Gruppo di
Lavoro congiunto delle Società Scientifiche AIDII (Associazione Italiana degli Igienisti Industriali),
SIMLII (Società Italiana di Medicina del Lavoro ed Igiene Industriale) e SITOX (Società Italiana di
Tossicologia) ha stilato un documento già in data 2/8/2002 con il quale si richiede la riscrittura della
norma o, quanto meno, l’emanazione di un decreto integrativo e correttivo (come già avvenuto per
il D.Lgs 626/94 con il 242/96) che chiarisca gli aspetti controversi ed elimini le incongruenze più
evidenti che rischiano di ridurre l'
attuale standard per la tutela della salute e sicurezza nei luoghi di
lavoro.
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