Demos e Democrazia
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Demos e Democrazia
11-13 Leonard-Goulard BIS_Layout 1 17/06/13 14.05 Pagina 13 EAST FORUM Demos e Democrazia Vale la pena sognare una democrazia europea? Esiste il “popolo europeo”? E se non è questo il caso, come mai si parla di democrazia senza essere sicuri che ci sia un popolo? La domanda è legittima ma spesso le risposte sono superficiali. di Sylvie Goulard Deputata europea (gruppo ALDE, Francia) er gli avversari dell’Europa unita, il popolo – il demos per dirla in un modo più erudito, in omaggio alla Grecia antica – non esiste. Dunque, non si può immaginare una democrazia sovranazionale. Prima di tutto, la verità storica è un’altra: ad Atene non fu l’appartenenza a un demos preesistente a giustificare l’esercizio di prerogative democratiche: al contrario, furono le decisioni prese in comune a dare vita a un “nuovo demos”. Fu grazie a un uomo politico lungimirante, Clistene, che nel VI secolo a.C. l’organizzazione politica ateniese cominciò a emanciparsi dai legami di sangue, considerati “naturali”, per creare finalmente un nuovo popolo. Certo, non è sorprendente che gli istinti “tribali” si oppongano all’emergenza di una società aperta. In un mondo che sta cambiando rapidamente non è però possibile considerare ancora a lungo il popolo come un’entità immutabile, un dato fissato per sempre. Nell’interesse collettivo, escludere, – come scrive lo storico francese Pierre Rosanvallon “un raggruppamento umano che si pensa esclusivamente solo nei termini di un’omogeneità data [...] non solo non è democratico ma non è neanche politico [...] Allorché viene assimilata all’idea di identità, la nozione di comunanza si riduce generalmente a un catalogo di nostalgia e di luoghi comuni. P numero 48 luglio/agosto 2013 [...] È così che diventa strutturalmente passiva, conservatrice, incapace di illuminare un futuro e di dare senso a un mondo nuovo.” Considerare le identità come un dato di fatto è anche strano dal punto di vista della storia dell’Europa. “Le storie nazionali – scriveva Emmanuel Berl, uno storico francese del secolo scorso – sono in gran parte mitologie alle quali il secolo XIX ha saputo conferire un’incredibile potenza lirica e una straordinaria efficacia emotiva. Non servivano soltanto per glorificare la patria ma anche per giustificare e rinfocolare le rivalità tra i paesi [...].” I nazionalisti sono convinti che l’Europa sia “artificiale”. Come se le nostre storie nazionali non brulicassero letteralmente di finzioni e messe in scena. Non solo gli italiani sono stati “fatti” ma anche i francesi e i tedeschi sono emersi grazie a una propaganda fatta nella scuola pubblica e nell’esercito. Due libri come Cuore di Edmondo di Amicis e Le tour de France par deux enfants, più o meno contemporanei, hanno lo stesso obiettivo. Poiché viviamo in questo contesto, ci siamo convinti che “costruire” l’Europa sarà difficile. In realtà, è difficile decostruire i miti tenaci e anche qualche pregiudizio miope che la nascondono ai nostri occhi. Come scriveva ancora Berl, per fare l’Europa “non c’è alcun bisogno di occultare la verità, basterebbe dirla”: le frontiere nazionali non hanno fermato le grandi avventure di questo continente, come la costruzione delle abbazie, gli splendori delle cattedrali gotiche, la Riforma protestante e le esuberanze barocche della Controriforma. Ha poco senso scindere la pittura fiamminga da quella italiana quando si sono fecondate a vicenda. Antonello da Messina e Jan Van Eyck lo avrebbero trovato quantomeno curioso. All’epoca delle Lumières, gli scambi tra filosofi non conoscevano frontiere. In ogni caso, c’è una ragione semplicissima che dovrebbe spingere il popolo europeo verso l’unione: è l’euro. Se vogliamo conservare la moneta unica, se è vero che questa moneta richiede politiche economiche, sociali, fiscali e di bilancio convergenti, non possiamo sottrarre questi campi alle esigenze democratiche. Il Consiglio europeo sta fornendo chiara prova del fatto che, senza un dibattito democratico sulle scelte fondamentali, senza “accountability” della squadra dirigente davanti a un Parlamento, l’Europa non può essere efficace e viene considerata sempre meno leggittima. Nell’emergenza della crisi finanziaria è stato necessario prendere misure in fretta. Ma non si può gestire a lungo una crisi sociale come stanno cercando di fare gli Stati Membri. Se niente cambia nella “governance” europea, non solo l’Europa rischia di essere distrutta ma anche le democrazie nazionali sarebbero in pericolo. Chiedere ai cittadini di eleggere un governo a livello nazionale dove le decisioni non si prendono più e non dare mai loro la possibilità di eleggere quelli che a livello superiore prendono le decisioni vere, andrà a creare solo frustrazione e populismo. È la ragione per la quale sono convinta che la sfida numero uno dell’Europa non è economica ma politica. 13