Il genere e lo spazio urbano
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Il genere e lo spazio urbano
Il genere e lo spazio urbano Il “diritto alla città” è il diritto di accedere a quello che la città offre in termini di servizi, infrastrutture, spazi di aggregazione e mobilità e di cambiare la città secondo i propri desideri e bisogni1. Non tutti però godono allo stesso modo di questo diritto: disuguaglianze e squilibri di potere influiscono sulla possibilità di usufruire degli spazi pubblici e di cambiare la città secondo le proprie esigenze. Il genere è una dimensione chiave per leggere queste disuguaglianze: donne e uomini vivono la città in modo diverso e hanno differenti percezioni degli spazi urbani, in particolare della sicurezza. Fin dagli anni ‘702 movimenti e organizzazioni internazionali hanno rilevato l’importanza, nei diversi contesti geografici, della partecipazione delle donne alla pianificazione urbana e alla creazione di città più sicure. La violenza e la percezione di insicurezza hanno un impatto sulla partecipazione delle donne alla vita sociale, politica e culturale delle città in cui vivono, con conseguenze anche sul piano delle scelte e delle opportunità di studio e lavoro. La violenza negli spazi pubblici colpisce soprattutto le persone che più soffrono di marginalizzazione, in particolare le donne che subiscono forme multiple di discriminazione legate a fattori quali l’origine etnica, l’età, la disabilità, l’orientamento sessuale e lo status economico e sociale. La sicurezza non si riduce però alla tutela dalla violenza, ma è anche legata alla vivibilità dei quartieri e alla lotta al degrado, alla presenza e disponibilità di servizi – inclusi i centri antiviolenza – alla qualità della vita culturale e sociale e alla presenza di spazi di aggregazione. La rapida urbanizzazione nei paesi in via di sviluppo pone sfide crescenti alla sicurezza per le donne. Mentre nel 2007 il 50% della popolazione mondiale viveva in aree urbane, entro il 2030 il 61% delle persone vivranno nelle città, con una aumento più rapido nei paesi in via di sviluppo3. Le città sono spesso impreparate ad accogliere un flusso crescente di persone e l’assenza di servizi e infrastrutture adeguate colpisce in modo particolare le 1 Boer e de Vrie, 2009 2 Negli anni ‘70 in diversi paesi furono organizzate marce di protesta contro la violenza sulle donne, creando un movimento oggi conosciuto come “take back the night” (riprendiamoci la notte), riconosciuto tra i più rilevanti nella storia del movimento femminista globale. Anche diverse organizzazioni internazionali (ad esempio UN Habitat, UN Women, Women in city International), hanno iniziato a condurre ricerche sulla dimensione di genere della sicurezza urbana. 3 UN Habitat, 2007; WICI e al., 2008 persone più povere e soprattutto le donne. Nei paesi in via di sviluppo la rapida crescita delle città avviene spesso senza un piano urbano istituzionalizzato. Le donne migrano dalle aree rurali alle città sia alla ricerca di opportunità di reddito o di una migliore occupazione, sia perché forzate a migrare a causa di conflitti interni, persecuzioni o per le conseguenze negative del cambiamento climatico. Al loro arrivo in città spesso sono relegate nei quartieri più poveri e degradati dove sono esposte a forme di violenza urbana quali scippi, furti, molestie sessuali e verbali, fino allo stupro. Gli episodi di violenza spesso non vengono denunciati: la violenza sulle donne non sempre è riconosciuta come tale dalle istituzioni e persino da coloro che la subiscono. Prevale inoltre una generale tendenza a minimizzare e normalizzare la violenza4 e per questo i servizi di protezione e prevenzione sono spesso inadeguati. La maggior parte delle cariche istituzionali responsabili di far fronte alla violenza di genere sono ricoperte da uomini, fattore che contribuisce all’assenza di politiche efficaci per migliorare la sicurezza delle donne negli spazi pubblici. 4 Bowman, 1993 Diritti e partecipazione: l’approccio di ActionAid Nel 2011 ActionAid ha avviato un progetto pilota in Brasile, Cambogia, Etiopia, Liberia e Nepal per sviluppare strategie volte a migliorare la sicurezza delle donne nei contesti urbani e a sensibilizzare l’opinione pubblica sul problema della violenza di genere negli spazi pubblici. • La passeggiata nel quartiere insieme alle donne coinvolte al fine di identificare le caratteristiche strutturali e sociali che rendono la città insicura. Nel caso di aree urbane più estese si può valutare l’utilizzo di mezzi pubblici Le aree urbane individuate all’interno del progetto sono tutte caratterizzate da servizi carenti, infrastrutture inadeguate, scarsa illuminazione, strade dissestate e poco controllate. In alcuni dei quartieri oggetto di studio non esistono strutture e servizi per le donne vittime di violenza o se disponibili spesso non sono idonei a gestire i casi che si presentano. • Disegni e mappe del quartiere, per facilitare la visualizzazione dei luoghi considerati insicuri, identificare i problemi principali e le possibili soluzioni. Possono essere utilizzate anche fotografie. ActionAid utilizza un approccio partecipativo basato sui diritti umani nell’ideazione, progettazione e realizzazione dei suoi interventi. In questo progetto è stata utilizzata una metodologia che prevede il coinvolgimento delle donne in tutte le attività: dalla raccolta dati all’individuazione di possibili risposte ai loro bisogni. La metodologia si basa su strumenti già testati e consolidati da altre organizzazioni1 per favorire l’inclusione delle donne nei processi decisionali relativi alla sicurezza dei quartieri in cui vivono. ActionAid ha messo a disposizione dei gruppi di lavoro coinvolti nel progetto un manuale che illustra i diversi strumenti, tra cui vi sono: • L’analisi di contesto, attraverso la raccolta dei dati disponibili relativi alle caratteristiche socio-demografiche dell’area di riferimento e l’identificazione degli attori - istituzionali e non - rilevanti ai fini del progetto • La creazione di gruppi di discussione che coinvolgono le donne del quartiere e, se ritenuto necessario per l’analisi dei bisogni, anche altri attori (ad esempio uomini, autorità municipali, polizia locale), ma sempre in gruppi differenti per permettere una migliore condivisione e identificazione delle problematiche e raccogliere le diverse percezioni dello spazio urbano • Interviste e inchieste di strada per raccogliere l’opinione degli abitanti sul quartiere 1 L’approccio è stato utilizzato per la prima volta da Jagori a New Delhi,e successivamente sviluppato da altre organizzazioni che hanno sostenuto la partecipazione delle donne nella pianificazione urbana (cfr. Jagori, 2008) I gruppi hanno identificato gli strumenti più idonei al loro contesto modificandoli secondo le caratteristiche e le esigenze culturali. A partire dai risultati delle attività svolte, i gruppi di lavoro hanno poi discusso delle possibili soluzioni ai problemi rilevati e identificato gli interventi neccessari a rispondere ai propri bisogni. La partecipazione attiva delle donne in tutte le fasi del progetto ha permesso loro non solo di sviluppare coscienza critica sul fenomeno della violenza e sulla responsabilità dello Stato nel prevenirla e contrastarla, ma anche di acquisire le capacità per rivendicare i propri diritti e chiedere alle istituzioni locali una gestione della città che tenga conto delle loro specifiche esigenze. Caso studio: BRASILE criminalità tra le problematiche principali relative alla loro sicurezza, mentre le autorità locali non hanno mai nominato i traffici illeciti come possibile minaccia per le donne. La presenza della criminalità ha impatto in termini di mobilità e utilizzo degli spazi pubblici da parte delle donne per lo svago e il divertimento. Contesto e gruppo target Il Brasile ha un popolazione prevalentemente urbana. Nonostante la rapida crescita degli ultimi anni, nel paese permangono forti disparità economiche e sociali, disuguaglianze di genere e discriminazioni contro le minoranze etniche. Il progetto si è svolto in 3 città dello Stato di Pernambuco, uno dei più poveri e violenti del paese in cui dal 2000 si è registrato un aumento di episodi di violenza riconducibile alla diffusione del traffico di droga e di armi e allo scarso controllo del territorio da parte delle forze dell’ordine1. Le tre città coinvolte nel progetto sono diverse per dimensioni e numero di abitanti: la capitale Recife, città brasiliana con il più alto tasso di omicidi2, Mirandiba, un piccolo centro urbano e Cabo de Santo Agostinho, città costiera di medie dimensioni. I gruppi di donne che hanno partecipato alle attività progettuali sono rappresentativi della popolazione femminile delle comunità di appartenenza, hanno un’età compresa tra i 30 e i 50 anni e provengono da famiglie a basso reddito e di diversa origine etnica (africana, afro-brasiliana e indigena). I partner locali includono organizzazioni e movimenti attivi nella promozione dei diritti delle donne e altre organizzazioni locali3 . A partire dai risultati delle attività progettuali è stato avviato un dialogo a livello locale e nazionale al fine di portare le istanze delle donne alle istituzioni rilevanti. Risultati • La violenza contro le donne negli spazi pubblici ha ricevuto un’attenzione limitata negli anni. L’attivismo femminile in Brasile si è concentrato principalmente sulla violenza domestica, raggiungendo risultati importanti sul piano legislativo. • Il traffico di droga e armi genera paura e insicurezza per le donne e ha portato ad un aumento degli omicidi, dei furti e della violenza sessuale. In tutte le città in cui si è svolto il progetto le donne hanno identificato la 1 Amnesty International, 2008 2 Souza e Lima, 2007; Nòbrega 2008 3 Tra i partner vi sono Casa de Mulher do Nordeste a Recife, Centro das Mulheres do Cabo, ETAPAS a Recife, Conviver Fòrum de MULHERES de Mirandiba • Le donne non si fidano della polizia. Prevale generale sfiducia nelle forze dell’ordine considerate inefficienti e corrotte. Le organizzazioni criminali hanno il controllo di molte aree urbane dove la polizia non accede e non ha alcun potere. Il numero di stazioni di polizia e forze dell’ordine impiegate è inferiore a quello previsto dalla legge. La polizia è impreparata a rispondere ai casi di violenza contro le donne, in parte perché manca una formazione specifica e in parte per la scarsa importanza data alla questione. • I quartieri sono caratterizzati da scarsa illuminazione, degrado urbano, inadeguata manutenzione delle strade e trasporto pubblico carente. Nelle aree più povere i mezzi pubblici sono pressoché assenti e dove accessibili sono considerati di scarsa qualità e pericolosi per le donne. • Le molestie fisiche e verbali sono talmente diffuse da essere considerate normali e non una forma di violenza. I poliziotti nelle interviste hanno elencato delle misure che le donne possono adottare per prevenire la violenza, tra cui evitare di uscire a tarda ora e di indossare abbigliamenti provocanti. Queste dichiarazioni sono indicative dell’attitudine diffusa a considerare le donne responsabili della violenza che subiscono e del mancato riconoscimento della responsabilità istituzionale nella prevenzione e contrasto alla violenza di genere. “Il principale ostacolo alla sicurezza delle donne sono le donne stesse. Molte di loro non denunciano le aggressioni, o quando lo fanno poi magari vanno a casa il marito le coccola e loro ci ripensano” - Capo della polizia, Pernambuco, Brasile Caso studio: CAMBOGIA Contesto e gruppo target “Gli anziani guardano noi operaie con disprezzo, sono convinti che per inviare i soldi a casa ci prostituiamo” - Operaia nel settore tessile, Dangkor, Cambogia In Cambogia l’industria tessile è il settore trainante dell’economia e impiega circa 300 mila operai. • Le condizioni di lavoro in fabbrica presentano numerosi rischi per la sicurezza e la salute delle donne. Le temperature arrivano anche a 40 gradi, le esalazioni chimiche, la polvere, la carenza di aria e di acqua potabile e l’insufficienza delle uscite di sicurezza sono una minaccia per la salute delle lavoratrici. Le scarse condizioni igienico-sanitarie nei bagni e nei dormitori hanno portato alla diffusione di infezioni come la candida e l’acqua contaminata è all’origine di numerosi casi di diarrea e tifo. Gli svenimenti durante le ore di lavoro sono frequenti. Le lavoratrici sono spesso malnutrite e anemiche. Non sono rispettati gli standard cambogiani e internazionali sui diritti dei lavoratori. • Le condizioni abitative sono inadeguate. Nei dormitori le camere sono di 4 metri quadrati e in ciascuna dormono tre operaie. I tetti in lamiera e la scarsa areazione rendono gli ambienti caldi e insalubri. I dormitori sono poco sicuri a causa della scarsa illuminazione e della lunga distanza dalle camere ai bagni comuni. I furti sono frequenti. Le lavoratrici spendono un terzo del loro stipendio per l’affitto e inviano un altro terzo alle loro famiglie. • La violenza e l’insicurezza persistono perché l’applicazione delle leggi rimane inadeguata.w Le autorità locali riconoscono il problema dell’insicurezza urbana, della criminalità e degli abusi sessuali, ma sostengono l’impossibilità di vigilare su tutto il quartiere. Inoltre prevale un’attitudine a considerare le donne responsabili degli attacchi di violenza che subiscono. • I servizi per la salute sessuale e riproduttiva sono inadeguati. Le strutture sanitarie sono difficilmente accessibili a causa delle distanze e dei costi e il basso livello di istruzione delle operaie è un ulteriore ostacolo all’accesso a questi servizi. Il progetto di ActionAid si è svolto a Dangkor, periferia ad alta concentrazione industriale della capitale Phnom Penh, in cui è localizzato il maggior numero di fabbriche del paese. A Dangkor le donne impiegate nell’industria tessile costituiscono tra l’80 e il 90% degli operai. ActionAid attraverso il progetto ha analizzato le condizioni di sicurezza delle operaie sul luogo di lavoro, nei dintorni della fabbrica e nei dormitori destinati agli operai. Il partner principale del progetto è il WIC, Worker’s information Centre, una ONG locale che si occupa di diritti del lavoratori. Le donne coinvolte nel progetto sono in gran parte giovani e povere, il 90% ha un’età compresa tra i 18 e i 25 anni, sono per lo più nubili, immigrate dalle zone rurali e analfabete1. Il basso livello di istruzione contribuisce alla segregazione occupazionale delle donne migranti nell’industria tessile, caratterizzato da bassi salari e condizioni lavorative precarie. Risultati • • Le donne subiscono violenze sul luogo di lavoro e nelle aree limitrofe alla fabbrica. La principale causa di insicurezza è attribuita alle caratteristiche infrastrutturali del quartiere. Lo stupro è la principale paura delle operaie coinvolte nel progetto e le molestie sessuali, fisiche e soprattutto verbali, sono la forma di violenza più diffusa. Nelle ore diurne gli abusi sessuali sono frequenti nelle strade affollate, mentre di notte la mobilità delle donne è ostacolata dalla scarsa illuminazione delle strade. Le donne che lavorano nel settore tessile subiscono discriminazioni e abusi a causa della loro provenienza dalle zone rurali: prevale la convinzione che le operaie che lavorano di notte in realtà si prostituiscono e in generale sono considerate disponibili a elargire favori sessuali. 1 Womyn’s Agenda for change, 2004 Caso studio: ETIOPIA Contesto e gruppo target L’Etiopia è uno dei paesi più poveri al mondo. La dipendenza dal settore agricolo rende il paese vulnerabile alle ricorrenti siccità nel corno d’Africa. Per rispondere alla crisi economica e alle difficoltà di sostentamento uomini e donne migrano dalle zone rurali alle città alla ricerca di opportunità di lavoro nel commercio informale. La popolazione della capitale, Addis Abeba, continua ad aumentare senza che vi sia una pianificazione urbana che risponda alle crescenti necessità in termini di infrastrutture e servizi. • Il problema principale per le commercianti riguarda la difficoltà a ottenere la licenza per vendere regolarmente i loro prodotti al mercato. Le donne sono costrette a lavorare senza permesso con la paura costante di essere cacciate. Un permesso permanente però costa troppo per gran parte di loro. Lavorano per lo più in condizioni igieniche precarie, in luoghi in cui non vi è la raccolta dei rifiuti con il rischio di contrarre infezioni e il tifo. L’assenza di un piano urbano istituzionalizzato e di requisiti minimi di sicurezza le rendono inoltre esposte a rischi di alluvioni e incendi. • I mezzi di trasporto non sono sicuri, durante gli spostamenti verso le aree rurali per rifornirsi di materie prime da vendere le donne sono esposte a varie forme di violenza, quali furti, abusi sessuali e stupri. Spesso vivono nei quartieri più poveri e marginalizzati della città e anche gli spostamenti da casa al mercato sono considerati insicuri. L’insicurezza ostacola le loro possibilità di guadagno, la sostenibilità della loro attività commerciale e di conseguenza il loro empowerment economico. Sono stati adottati provvedimenti legislativi a sostegno del commercio informale, ma senza analizzarne la dimensione di genere, in particolare le diverse forme di violenza che le commercianti subiscono. Questo nonostante le statistiche ufficiali abbiano rilevato una femminilizzazione di questo settore: più della metà dei commercianti ambulanti è costituito da donne1. Il progetto si è svolto nell’area urbana di Addis Abeba in partnership con l’organizzazione WISE - Women in self employment, coinvolgendo le commercianti ambulanti del mercato della capitale. Sono state coinvolte più di 50 donne di età compresa tra i 30 e i 50 anni, per lo più venditrici abusive a cui non è mai stato assegnato un posto regolare nel mercato benché da anni siano attive nel settore. Risultati • Le donne coinvolte nel progetto hanno riferito di abusi da parte di pubblici ufficiali, che chiedono soldi o favori sessuali in cambio di concessioni amministrative (per esempio licenze). Le donne non hanno fiducia nelle autorità e tendono a recarsi negli uffici pubblici solo accompagnate o in gruppo. • Le commercianti sono viste come un facile obiettivo per furti, raggiri, favori e molestie sessuali, principalmente a causa dello status che le donne ricoprono nella società etiope e alle norme sociali che portano a considerarle facili da manipolare e distratte. In caso di furto le donne non si rivolgono alle autorità locali, ma alle cooperative di cui fanno parte. 1 Ethiopian Central Statistics Authority, 2004 “Sono una vedova e sto crescendo sei figli, tutti studenti. Ogni giorno per arrivare al mercato per vendere i miei vasi di terracotta devo attraversare una foresta. Tre mesi fa una donna è stata rapinata e uccisa in quella foresta. L’attraverso ogni giorno pensando che la stessa sorte potrebbe capitare a me” - Una venditrice di vasi 50 anni, Addis Abeba • Spesso le commercianti non possono gestire in autonomia il ricavato delle loro vendite e se si oppongono subiscono violenza da parte dei loro mariti. Le donne che lavorano sono disprezzate e il loro contributo al reddito famigliare spesso non è riconosciuto né valorizzato. Caso studio: LIBERIA a causa del loro abbigliamento o del loro stile di vita. Contesto e gruppo target La Liberia è un paese in ricostruzione dopo 15 anni di conflitto in cui si sono registrati livelli senza precedenti di violenza, abusi sessuali, stupri e massacri. Le conseguenze della guerra sono ancora visibili nel tessuto sociale e la violenza rimane un problema dilagante sia nella sfera pubblica che privata. Il progetto di ActionAid si è focalizzato sulla violenza contro le studentesse nelle 3 università principali del paese, che si trovano nella capitale, Monrovia1. Le studentesse coinvolte nel progetto hanno un’età media di 27 anni e la maggior parte di loro non vive nei dormitori universitari, ma viaggia ogni giorno da zone rurali localizzate nei dintorni della capitale o da altri quartieri della città. Il ceto sociale di appartenenza è variegato: le studentesse coinvolte provengono sia da famiglie appartenenti all’élite di Monrovia che a famiglie molto povere. “Un giorno un mio professore mi ha chiesto di incontrarci a casa sua quella sera. Mi sono rifiutata,e lui mi ha bocciata, ora sto ripetendo il corso” - Studentessa alla Università della Liberia “le studentesse si vestono deliberatamente in modo provocante per attirare l’attenzione sessuale dei professori e accettano le avances se hanno una bassa performance negli studi” - Studentessa, Universita della Liberia • Il sistema di vigilanza nei campus è inadeguato, le guardie sono principalmente uomini e manca una formazione specifica per prevenire e far fronte ai casi di violenza. La Cuttington University ha avviato un progetto per il reclutamento di staff femminile come vigilanti notturne nei campus e come referenti per le studentesse vittime di violenza, ma non ha dato i risultati sperati perché le studentesse in generale non si fidano delle guardie e non credono nell’efficacia dei loro provvedimenti. • In tutti e tre i campus sono assenti servizi per la salute sessuale e riproduttiva e per le vittime di stupro e di altre forme di violenza. • La partecipazione delle donne ai gruppi studenteschi è limitata e sono poche le donne all’interno movimenti politici universitari. Questo è dovuto principalmente a stereotipi di genere secondo cui le donne sono meno adatte alla carriera politica e più idonee a mansioni amministrative e di segretariato. Anche le organizzazioni studentesche sono a dominanza maschile e nessuna di queste si occupa del tema della violenza sulle donne e della sicurezza nei campus. • Le autorità locali e universitarie non riconoscono la loro responsabilità per la sicurezza delle studentesse. Dalle interviste è emerso inoltre quanto gli episodi di violenza sessuale siano minimizzati e quanto la violenza da parte dei professori non sia riconosciuta come tale. ll Piano d’azione del governo liberiano contro la violenza di genere non è conosciuto né applicato nel contesto universitario. Risultati • • Le studentesse subiscono violenze sia all’interno dell’università che nel tragitto da e verso casa. La forma di violenza più diffusa è la violenza sessuale da parte di ex-fidanzati, compagni di corso e professori. L’impatto della violenza è di tipo fisico, psicologico e sociale, con conseguenze anche in termini di performance negli studi e di abbandono della carriera universitaria. La violenza che le studentesse subiscono oggi nei campus segue il filo storico del periodo di conflitto. Secondo le testimonianze di alcuni studenti che hanno frequentato le università durante il conflitto vi sono stati stupri di massa nei campus ad opera di personale militare autorizzato dal governo. Tutt’oggi la paura della violenza è d’ostacolo alla mobilità delle studentesse all’interno dei campus universitari. La richiesta di prestazioni sessuali da parte dei professori in cambio di buoni voti è pratica diffusa. Molte studentesse non denunciano le molestie sia perché provano vergogna, sia perché ritengono che non vi saranno provvedimenti: i professori raramente sono perseguiti per atti di violenza e il rischio più grave che corrono è il trasferimento. Inoltre le donne spesso sono considerate responsabili della violenza subita 1 University of Liberia- UL (250 mila studenti); African methodist University- AMEU (3000 studenti),e la Cuttington University- CU(1900 studenti) Caso studio: NEPAL Contesto e gruppo target Risultati Il Nepal è il paese a più alta urbanizzazione tra i 5 inclusi nel progetto pilota di ActionAid: si prevede che la popolazione urbana raddoppierà entro il 20501. • Sebbene sia gli uomini che le donne utilizzino i trasporti pubblici, sono le donne ad essere le principali vittime di violenza e abusi sessuali. Gli episodi sono più frequenti nella stagione estiva e nelle ore di punta, quando i mezzi sono più affollati. La violenza ha un impatto in termini di scelte e mobilità: le donne preferiscono muoversi in orari in cui i mezzi pubblici sono meno utilizzati e scelgono mezzi quali i tempos per evitare la folla. I responsabili di questi abusi sessuali sono altri passeggeri uomini, ma anche autisti e i loro aiutanti (il personale di bordo che fornisce i titoli di viaggio). • La necessità dell’approvazione e del rispetto all’interno della società è una delle cause strutturali della violenza sulle donne e porta a una generale accettazione e normalizzazione degli abusi e dei ruoli di genere. Le norme culturali spingono le donne a non denunciare e a non parlare della violenza che subiscono per preservare l’onore della famiglia. Il prestigio e l’onore della famiglia sono considerati infatti più importanti rispetto all’integrità fisica delle donne. Dalla ricerca è emerso inoltre che gran parte delle persone non sono a conoscenza dell’esistenza di leggi contro la violenza sulle donne. Durante la guerra civile dal 1996 al 2006 la popolazione rurale ha iniziato ad abbandonare le campagne per fuggire dal conflitto. La valle di Kathmandu è l’area più densamente popolata del paese e comprende il nucleo urbano della capitale e un’ampia zona metropolitana limitrofa. A Kathmandu si concentrano gli uffici governativi, i servizi educativi e le strutture sanitarie. Ogni giorno milioni di cittadini si spostano verso la valle tramite autobus, minibus, taxi, risciò, motorini e tempos (mezzi di trasporto locale a tre ruote). Nonostante la varietà dell’offerta di mezzi disponibili il sistema dei trasporti è poco regolato e insufficiente a coprire la domanda crescente. Durante il periodo di transizione dopo il conflitto, le donne nepalesi hanno ottenuto maggiore potere politico. La Costituzione promuove una maggiore rappresentanza politica femminile, prevede l’istituzione di quote rosa negli enti pubblici e l’istituzione di un Ministero per le donne, i bambini e le politiche sociali. Nonostante questi progressi sul piano politico la divisione dei ruoli di genere permane rigida e prevede che le donne abbiano la totale responsabilità del lavoro di cura e che gli uomini si occupino del mantenimento economico della famiglia. Questa divisione di ruoli è messa però progressivamente in discussione a causa del crescente contributo delle donne al reddito famigliare all’interno della società nepalese. ActionAid ha scelto come focus di analisi del progetto la violenza sulle donne nei trasporti pubblici nella valle di Kathmandu. Il team di ricerca in Nepal ha scelto di concentrarsi solo sulla violenza sessuale, individuata come la forma di violenza più diffusa nei trasporti pubblici. I partner del progetto sono Homenet Nepal e Nepal Mahila Ekata Samaj, due organizzazioni che promuovono il diritto al lavoro e alla casa per le donne impiegate nel settore informale dell’economia. Il gruppo coinvolto nella ricerca è composto da donne che si spostano regolarmente verso la valle di Kathmandu per motivi di lavoro, studio e per esigenze famigliari e personali. 1 UN Population Division, 2009 “Ho provato a condividere con mio marito e con gli amici gli episodi di molestie sessuali che ho vissuto, ma non posso parlare di queste cose, ho paura di essere sgridata” Donna sposata con figli, Nepal “Una volta ho riferito ad un poliziotto presente sul luogo le molestie che avevo subito ma invece di prendere provvedimenti contro l’aggressore mi ha invitata a salire sulla sua macchina. Da allora non ho più chiesto aiuto alla polizia.” - Studentessa universitaria • La violenza contro le donne non è tra le priorità del governo nepalese. L’implementazione degli strumenti legislativi esistenti per la prevenzione e il contrasto della violenza è scarsa e manca coordinamento tra il governo centrale e le istituzioni locali. Le organizzazioni della società civile che trattano il tema violenza si occupano solo della violenza domestica e sembrano non conoscere il tema dell’insicurezza urbana.