Il genere e lo spazio urbano

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Il genere e lo spazio urbano
Il genere e lo spazio urbano
Il “diritto alla città” è il diritto di accedere a quello che la città offre in termini
di servizi, infrastrutture, spazi di aggregazione e mobilità e di cambiare la città
secondo i propri desideri e bisogni1. Non tutti però godono allo stesso modo di
questo diritto: disuguaglianze e squilibri di potere influiscono sulla possibilità di
usufruire degli spazi pubblici e di cambiare la città secondo le proprie esigenze.
Il genere è una dimensione chiave per leggere queste disuguaglianze: donne
e uomini vivono la città in modo diverso e hanno differenti percezioni
degli spazi urbani, in particolare della sicurezza. Fin dagli anni ‘702
movimenti e organizzazioni internazionali hanno rilevato l’importanza, nei diversi
contesti geografici, della partecipazione delle donne alla pianificazione urbana
e alla creazione di città più sicure.
La violenza e la percezione di insicurezza hanno un impatto sulla partecipazione
delle donne alla vita sociale, politica e culturale delle città in cui vivono, con
conseguenze anche sul piano delle scelte e delle opportunità di studio e lavoro.
La violenza negli spazi pubblici colpisce soprattutto le persone che
più soffrono di marginalizzazione, in particolare le donne che subiscono
forme multiple di discriminazione legate a fattori quali l’origine etnica, l’età,
la disabilità, l’orientamento sessuale e lo status economico e sociale.
La sicurezza non si riduce però alla tutela dalla violenza, ma è anche legata
alla vivibilità dei quartieri e alla lotta al degrado, alla presenza e disponibilità di
servizi – inclusi i centri antiviolenza – alla qualità della vita culturale e sociale e
alla presenza di spazi di aggregazione.
La rapida urbanizzazione nei paesi in via di sviluppo pone sfide
crescenti alla sicurezza per le donne. Mentre nel 2007 il 50% della
popolazione mondiale viveva in aree urbane, entro il 2030 il 61% delle persone
vivranno nelle città, con una aumento più rapido nei paesi in via di sviluppo3.
Le città sono spesso impreparate ad accogliere un flusso crescente di persone
e l’assenza di servizi e infrastrutture adeguate colpisce in modo particolare le
1 Boer e de Vrie, 2009
2 Negli anni ‘70 in diversi paesi furono organizzate marce di protesta contro la violenza sulle donne, creando
un movimento oggi conosciuto come “take back the night” (riprendiamoci la notte), riconosciuto tra i più rilevanti
nella storia del movimento femminista globale. Anche diverse organizzazioni internazionali (ad esempio UN
Habitat, UN Women, Women in city International), hanno iniziato a condurre ricerche sulla dimensione di genere
della sicurezza urbana. 3 UN Habitat, 2007; WICI e al., 2008
persone più povere e soprattutto le donne. Nei paesi in via di sviluppo la rapida
crescita delle città avviene spesso senza un piano urbano istituzionalizzato.
Le donne migrano dalle aree rurali alle città sia alla ricerca di opportunità di
reddito o di una migliore occupazione, sia perché forzate a migrare a causa di
conflitti interni, persecuzioni o per le conseguenze negative del cambiamento
climatico. Al loro arrivo in città spesso sono relegate nei quartieri più poveri
e degradati dove sono esposte a forme di violenza urbana quali scippi, furti,
molestie sessuali e verbali, fino allo stupro.
Gli episodi di violenza spesso non vengono denunciati: la violenza
sulle donne non sempre è riconosciuta come tale dalle istituzioni e persino da
coloro che la subiscono. Prevale inoltre una generale tendenza a minimizzare e
normalizzare la violenza4 e per questo i servizi di protezione e prevenzione sono
spesso inadeguati. La maggior parte delle cariche istituzionali responsabili di far
fronte alla violenza di genere sono ricoperte da uomini, fattore che contribuisce
all’assenza di politiche efficaci per migliorare la sicurezza delle donne negli
spazi pubblici.
4 Bowman, 1993
Diritti e partecipazione:
l’approccio di ActionAid
Nel 2011 ActionAid ha avviato un progetto pilota in Brasile, Cambogia,
Etiopia, Liberia e Nepal per sviluppare strategie volte a migliorare la
sicurezza delle donne nei contesti urbani e a sensibilizzare l’opinione pubblica
sul problema della violenza di genere negli spazi pubblici.
•
La passeggiata nel quartiere insieme alle donne coinvolte al fine di
identificare le caratteristiche strutturali e sociali che rendono la città
insicura. Nel caso di aree urbane più estese si può valutare l’utilizzo di
mezzi pubblici
Le aree urbane individuate all’interno del progetto sono tutte caratterizzate da
servizi carenti, infrastrutture inadeguate, scarsa illuminazione, strade dissestate
e poco controllate. In alcuni dei quartieri oggetto di studio non esistono strutture
e servizi per le donne vittime di violenza o se disponibili spesso non sono idonei
a gestire i casi che si presentano.
•
Disegni e mappe del quartiere, per facilitare la visualizzazione dei luoghi
considerati insicuri, identificare i problemi principali e le possibili soluzioni.
Possono essere utilizzate anche fotografie.
ActionAid utilizza un approccio partecipativo basato sui diritti umani
nell’ideazione, progettazione e realizzazione dei suoi interventi. In
questo progetto è stata utilizzata una metodologia che prevede il coinvolgimento
delle donne in tutte le attività: dalla raccolta dati all’individuazione di possibili
risposte ai loro bisogni.
La metodologia si basa su strumenti già testati e consolidati da altre
organizzazioni1 per favorire l’inclusione delle donne nei processi decisionali
relativi alla sicurezza dei quartieri in cui vivono. ActionAid ha messo a
disposizione dei gruppi di lavoro coinvolti nel progetto un manuale che illustra i
diversi strumenti, tra cui vi sono:
•
L’analisi di contesto, attraverso la raccolta dei dati disponibili relativi alle
caratteristiche socio-demografiche dell’area di riferimento e l’identificazione
degli attori - istituzionali e non - rilevanti ai fini del progetto
•
La creazione di gruppi di discussione che coinvolgono le donne del
quartiere e, se ritenuto necessario per l’analisi dei bisogni, anche altri
attori (ad esempio uomini, autorità municipali, polizia locale), ma sempre in
gruppi differenti per permettere una migliore condivisione e identificazione
delle problematiche e raccogliere le diverse percezioni dello spazio urbano
•
Interviste e inchieste di strada per raccogliere l’opinione degli abitanti
sul quartiere
1 L’approccio è stato utilizzato per la prima volta da Jagori a New Delhi,e successivamente sviluppato da altre
organizzazioni che hanno sostenuto la partecipazione delle donne nella pianificazione urbana (cfr. Jagori, 2008)
I gruppi hanno identificato gli strumenti più idonei al loro contesto modificandoli
secondo le caratteristiche e le esigenze culturali. A partire dai risultati delle
attività svolte, i gruppi di lavoro hanno poi discusso delle possibili soluzioni ai
problemi rilevati e identificato gli interventi neccessari a rispondere ai propri
bisogni.
La partecipazione attiva delle donne in tutte le fasi del progetto ha permesso
loro non solo di sviluppare coscienza critica sul fenomeno della violenza e sulla
responsabilità dello Stato nel prevenirla e contrastarla, ma anche di acquisire
le capacità per rivendicare i propri diritti e chiedere alle istituzioni locali una
gestione della città che tenga conto delle loro specifiche esigenze.
Caso studio: BRASILE
criminalità tra le problematiche principali relative alla loro sicurezza, mentre
le autorità locali non hanno mai nominato i traffici illeciti come possibile
minaccia per le donne. La presenza della criminalità ha impatto in termini
di mobilità e utilizzo degli spazi pubblici da parte delle donne per lo svago
e il divertimento.
Contesto e gruppo target
Il Brasile ha un popolazione prevalentemente urbana. Nonostante la rapida
crescita degli ultimi anni, nel paese permangono forti disparità economiche e
sociali, disuguaglianze di genere e discriminazioni contro le minoranze etniche.
Il progetto si è svolto in 3 città dello Stato di Pernambuco, uno dei più poveri
e violenti del paese in cui dal 2000 si è registrato un aumento di episodi di
violenza riconducibile alla diffusione del traffico di droga e di armi e allo scarso
controllo del territorio da parte delle forze dell’ordine1. Le tre città coinvolte nel
progetto sono diverse per dimensioni e numero di abitanti: la capitale Recife,
città brasiliana con il più alto tasso di omicidi2, Mirandiba, un piccolo centro
urbano e Cabo de Santo Agostinho, città costiera di medie dimensioni.
I gruppi di donne che hanno partecipato alle attività progettuali sono
rappresentativi della popolazione femminile delle comunità di appartenenza,
hanno un’età compresa tra i 30 e i 50 anni e provengono da famiglie a basso
reddito e di diversa origine etnica (africana, afro-brasiliana e indigena).
I partner locali includono organizzazioni e movimenti attivi nella promozione dei
diritti delle donne e altre organizzazioni locali3 . A partire dai risultati delle attività
progettuali è stato avviato un dialogo a livello locale e nazionale al fine di portare
le istanze delle donne alle istituzioni rilevanti.
Risultati
•
La violenza contro le donne negli spazi pubblici ha ricevuto
un’attenzione limitata negli anni. L’attivismo femminile in Brasile si
è concentrato principalmente sulla violenza domestica, raggiungendo
risultati importanti sul piano legislativo.
•
Il traffico di droga e armi genera paura e insicurezza per le donne
e ha portato ad un aumento degli omicidi, dei furti e della violenza sessuale.
In tutte le città in cui si è svolto il progetto le donne hanno identificato la
1 Amnesty International, 2008
2 Souza e Lima, 2007; Nòbrega 2008
3 Tra i partner vi sono Casa de Mulher do Nordeste a Recife, Centro das Mulheres do Cabo, ETAPAS a Recife,
Conviver Fòrum de MULHERES de Mirandiba
•
Le donne non si fidano della polizia. Prevale generale sfiducia nelle
forze dell’ordine considerate inefficienti e corrotte. Le organizzazioni
criminali hanno il controllo di molte aree urbane dove la polizia non accede
e non ha alcun potere. Il numero di stazioni di polizia e forze dell’ordine
impiegate è inferiore a quello previsto dalla legge. La polizia è impreparata
a rispondere ai casi di violenza contro le donne, in parte perché manca
una formazione specifica e in parte per la scarsa importanza data alla
questione.
•
I quartieri sono caratterizzati da scarsa illuminazione, degrado
urbano, inadeguata manutenzione delle strade e trasporto
pubblico carente. Nelle aree più povere i mezzi pubblici sono pressoché
assenti e dove accessibili sono considerati di scarsa qualità e pericolosi
per le donne.
•
Le molestie fisiche e verbali sono talmente diffuse da essere
considerate normali e non una forma di violenza. I poliziotti nelle
interviste hanno elencato delle misure che le donne possono adottare per
prevenire la violenza, tra cui evitare di uscire a tarda ora e di indossare
abbigliamenti provocanti. Queste dichiarazioni sono indicative dell’attitudine
diffusa a considerare le donne responsabili della violenza che subiscono
e del mancato riconoscimento della responsabilità istituzionale nella
prevenzione e contrasto alla violenza di genere.
“Il principale ostacolo alla sicurezza delle donne sono le donne stesse. Molte di loro
non denunciano le aggressioni, o quando lo fanno poi magari vanno a casa il marito le
coccola e loro ci ripensano” - Capo della polizia, Pernambuco, Brasile
Caso studio: CAMBOGIA
Contesto e gruppo target
“Gli anziani guardano noi operaie con disprezzo, sono convinti che per inviare i soldi a
casa ci prostituiamo” - Operaia nel settore tessile, Dangkor, Cambogia
In Cambogia l’industria tessile è il settore trainante dell’economia e impiega
circa 300 mila operai.
•
Le condizioni di lavoro in fabbrica presentano numerosi rischi per
la sicurezza e la salute delle donne. Le temperature arrivano anche a
40 gradi, le esalazioni chimiche, la polvere, la carenza di aria e di acqua
potabile e l’insufficienza delle uscite di sicurezza sono una minaccia per
la salute delle lavoratrici. Le scarse condizioni igienico-sanitarie nei bagni
e nei dormitori hanno portato alla diffusione di infezioni come la candida
e l’acqua contaminata è all’origine di numerosi casi di diarrea e tifo. Gli
svenimenti durante le ore di lavoro sono frequenti. Le lavoratrici sono
spesso malnutrite e anemiche. Non sono rispettati gli standard cambogiani
e internazionali sui diritti dei lavoratori.
•
Le condizioni abitative sono inadeguate. Nei dormitori le camere
sono di 4 metri quadrati e in ciascuna dormono tre operaie. I tetti in lamiera
e la scarsa areazione rendono gli ambienti caldi e insalubri. I dormitori sono
poco sicuri a causa della scarsa illuminazione e della lunga distanza dalle
camere ai bagni comuni. I furti sono frequenti. Le lavoratrici spendono un
terzo del loro stipendio per l’affitto e inviano un altro terzo alle loro famiglie.
•
La violenza e l’insicurezza persistono perché l’applicazione delle
leggi rimane inadeguata.w Le autorità locali riconoscono il problema
dell’insicurezza urbana, della criminalità e degli abusi sessuali, ma
sostengono l’impossibilità di vigilare su tutto il quartiere. Inoltre prevale
un’attitudine a considerare le donne responsabili degli attacchi di violenza
che subiscono.
•
I servizi per la salute sessuale e riproduttiva sono inadeguati. Le
strutture sanitarie sono difficilmente accessibili a causa delle distanze e
dei costi e il basso livello di istruzione delle operaie è un ulteriore ostacolo
all’accesso a questi servizi.
Il progetto di ActionAid si è svolto a Dangkor, periferia ad alta concentrazione
industriale della capitale Phnom Penh, in cui è localizzato il maggior numero
di fabbriche del paese. A Dangkor le donne impiegate nell’industria tessile
costituiscono tra l’80 e il 90% degli operai.
ActionAid attraverso il progetto ha analizzato le condizioni di sicurezza delle
operaie sul luogo di lavoro, nei dintorni della fabbrica e nei dormitori destinati
agli operai. Il partner principale del progetto è il WIC, Worker’s information
Centre, una ONG locale che si occupa di diritti del lavoratori.
Le donne coinvolte nel progetto sono in gran parte giovani e povere, il 90% ha
un’età compresa tra i 18 e i 25 anni, sono per lo più nubili, immigrate dalle zone
rurali e analfabete1. Il basso livello di istruzione contribuisce alla segregazione
occupazionale delle donne migranti nell’industria tessile, caratterizzato da bassi
salari e condizioni lavorative precarie.
Risultati
•
•
Le donne subiscono violenze sul luogo di lavoro e nelle aree
limitrofe alla fabbrica. La principale causa di insicurezza è attribuita
alle caratteristiche infrastrutturali del quartiere. Lo stupro è la principale
paura delle operaie coinvolte nel progetto e le molestie sessuali, fisiche e
soprattutto verbali, sono la forma di violenza più diffusa. Nelle ore diurne
gli abusi sessuali sono frequenti nelle strade affollate, mentre di notte la
mobilità delle donne è ostacolata dalla scarsa illuminazione delle strade.
Le donne che lavorano nel settore tessile subiscono discriminazioni
e abusi a causa della loro provenienza dalle zone rurali: prevale la
convinzione che le operaie che lavorano di notte in realtà si prostituiscono
e in generale sono considerate disponibili a elargire favori sessuali.
1 Womyn’s Agenda for change, 2004
Caso studio: ETIOPIA
Contesto e gruppo target
L’Etiopia è uno dei paesi più poveri al mondo. La dipendenza dal settore
agricolo rende il paese vulnerabile alle ricorrenti siccità nel corno d’Africa.
Per rispondere alla crisi economica e alle difficoltà di sostentamento uomini e
donne migrano dalle zone rurali alle città alla ricerca di opportunità di lavoro nel
commercio informale. La popolazione della capitale, Addis Abeba, continua
ad aumentare senza che vi sia una pianificazione urbana che risponda alle
crescenti necessità in termini di infrastrutture e servizi.
•
Il problema principale per le commercianti riguarda la difficoltà
a ottenere la licenza per vendere regolarmente i loro prodotti
al mercato. Le donne sono costrette a lavorare senza permesso con la
paura costante di essere cacciate. Un permesso permanente però costa
troppo per gran parte di loro. Lavorano per lo più in condizioni igieniche
precarie, in luoghi in cui non vi è la raccolta dei rifiuti con il rischio di contrarre
infezioni e il tifo. L’assenza di un piano urbano istituzionalizzato e di requisiti
minimi di sicurezza le rendono inoltre esposte a rischi di alluvioni e incendi.
•
I mezzi di trasporto non sono sicuri, durante gli spostamenti verso le
aree rurali per rifornirsi di materie prime da vendere le donne sono esposte
a varie forme di violenza, quali furti, abusi sessuali e stupri. Spesso vivono
nei quartieri più poveri e marginalizzati della città e anche gli spostamenti
da casa al mercato sono considerati insicuri. L’insicurezza ostacola le loro
possibilità di guadagno, la sostenibilità della loro attività commerciale e di
conseguenza il loro empowerment economico.
Sono stati adottati provvedimenti legislativi a sostegno del commercio informale,
ma senza analizzarne la dimensione di genere, in particolare le diverse forme
di violenza che le commercianti subiscono. Questo nonostante le statistiche
ufficiali abbiano rilevato una femminilizzazione di questo settore: più della metà
dei commercianti ambulanti è costituito da donne1.
Il progetto si è svolto nell’area urbana di Addis Abeba in partnership con
l’organizzazione WISE - Women in self employment, coinvolgendo le
commercianti ambulanti del mercato della capitale. Sono state coinvolte più
di 50 donne di età compresa tra i 30 e i 50 anni, per lo più venditrici abusive a
cui non è mai stato assegnato un posto regolare nel mercato benché da anni
siano attive nel settore.
Risultati
•
Le donne coinvolte nel progetto hanno riferito di abusi da parte
di pubblici ufficiali, che chiedono soldi o favori sessuali in cambio
di concessioni amministrative (per esempio licenze). Le donne non
hanno fiducia nelle autorità e tendono a recarsi negli uffici pubblici solo
accompagnate o in gruppo.
•
Le commercianti sono viste come un facile obiettivo per furti,
raggiri, favori e molestie sessuali, principalmente a causa dello status
che le donne ricoprono nella società etiope e alle norme sociali che portano
a considerarle facili da manipolare e distratte. In caso di furto le donne non
si rivolgono alle autorità locali, ma alle cooperative di cui fanno parte.
1 Ethiopian Central Statistics Authority, 2004
“Sono una vedova e sto crescendo sei figli, tutti studenti. Ogni giorno per arrivare al
mercato per vendere i miei vasi di terracotta devo attraversare una foresta. Tre mesi fa
una donna è stata rapinata e uccisa in quella foresta. L’attraverso ogni giorno pensando
che la stessa sorte potrebbe capitare a me” - Una venditrice di vasi 50 anni, Addis
Abeba
•
Spesso le commercianti non possono gestire in autonomia il
ricavato delle loro vendite e se si oppongono subiscono violenza
da parte dei loro mariti. Le donne che lavorano sono disprezzate e il loro
contributo al reddito famigliare spesso non è riconosciuto né valorizzato.
Caso studio: LIBERIA
a causa del loro abbigliamento o del loro stile di vita.
Contesto e gruppo target
La Liberia è un paese in ricostruzione dopo 15 anni di conflitto in cui si sono
registrati livelli senza precedenti di violenza, abusi sessuali, stupri e massacri. Le
conseguenze della guerra sono ancora visibili nel tessuto sociale e la violenza
rimane un problema dilagante sia nella sfera pubblica che privata.
Il progetto di ActionAid si è focalizzato sulla violenza contro le studentesse nelle
3 università principali del paese, che si trovano nella capitale, Monrovia1. Le
studentesse coinvolte nel progetto hanno un’età media di 27 anni e la maggior
parte di loro non vive nei dormitori universitari, ma viaggia ogni giorno da zone
rurali localizzate nei dintorni della capitale o da altri quartieri della città. Il ceto
sociale di appartenenza è variegato: le studentesse coinvolte provengono sia
da famiglie appartenenti all’élite di Monrovia che a famiglie molto povere.
“Un giorno un mio professore mi ha chiesto di incontrarci a casa sua quella sera. Mi sono
rifiutata,e lui mi ha bocciata, ora sto ripetendo il corso” - Studentessa alla Università
della Liberia
“le studentesse si vestono deliberatamente in modo provocante per attirare l’attenzione
sessuale dei professori e accettano le avances se hanno una bassa performance negli
studi” - Studentessa, Universita della Liberia
•
Il sistema di vigilanza nei campus è inadeguato, le guardie sono
principalmente uomini e manca una formazione specifica per prevenire e
far fronte ai casi di violenza. La Cuttington University ha avviato un progetto
per il reclutamento di staff femminile come vigilanti notturne nei campus
e come referenti per le studentesse vittime di violenza, ma non ha dato i
risultati sperati perché le studentesse in generale non si fidano delle guardie
e non credono nell’efficacia dei loro provvedimenti.
•
In tutti e tre i campus sono assenti servizi per la salute sessuale e
riproduttiva e per le vittime di stupro e di altre forme di violenza.
•
La partecipazione delle donne ai gruppi studenteschi è limitata
e sono poche le donne all’interno movimenti politici universitari.
Questo è dovuto principalmente a stereotipi di genere secondo cui le
donne sono meno adatte alla carriera politica e più idonee a mansioni
amministrative e di segretariato. Anche le organizzazioni studentesche
sono a dominanza maschile e nessuna di queste si occupa del tema della
violenza sulle donne e della sicurezza nei campus.
•
Le autorità locali e universitarie non riconoscono la loro
responsabilità per la sicurezza delle studentesse. Dalle interviste è
emerso inoltre quanto gli episodi di violenza sessuale siano minimizzati e
quanto la violenza da parte dei professori non sia riconosciuta come tale.
ll Piano d’azione del governo liberiano contro la violenza di genere non è
conosciuto né applicato nel contesto universitario.
Risultati
•
•
Le studentesse subiscono violenze sia all’interno dell’università
che nel tragitto da e verso casa. La forma di violenza più diffusa è la
violenza sessuale da parte di ex-fidanzati, compagni di corso e professori.
L’impatto della violenza è di tipo fisico, psicologico e sociale, con
conseguenze anche in termini di performance negli studi e di abbandono
della carriera universitaria. La violenza che le studentesse subiscono
oggi nei campus segue il filo storico del periodo di conflitto.
Secondo le testimonianze di alcuni studenti che hanno frequentato le
università durante il conflitto vi sono stati stupri di massa nei campus ad
opera di personale militare autorizzato dal governo. Tutt’oggi la paura della
violenza è d’ostacolo alla mobilità delle studentesse all’interno dei campus
universitari.
La richiesta di prestazioni sessuali da parte dei professori in
cambio di buoni voti è pratica diffusa. Molte studentesse non
denunciano le molestie sia perché provano vergogna, sia perché ritengono
che non vi saranno provvedimenti: i professori raramente sono perseguiti
per atti di violenza e il rischio più grave che corrono è il trasferimento.
Inoltre le donne spesso sono considerate responsabili della violenza subita
1 University of Liberia- UL (250 mila studenti); African methodist University- AMEU (3000 studenti),e la
Cuttington University- CU(1900 studenti)
Caso studio: NEPAL
Contesto e gruppo target
Risultati
Il Nepal è il paese a più alta urbanizzazione tra i 5 inclusi nel progetto pilota di
ActionAid: si prevede che la popolazione urbana raddoppierà entro il 20501.
•
Sebbene sia gli uomini che le donne utilizzino i trasporti pubblici,
sono le donne ad essere le principali vittime di violenza e abusi
sessuali. Gli episodi sono più frequenti nella stagione estiva e nelle ore
di punta, quando i mezzi sono più affollati. La violenza ha un impatto in
termini di scelte e mobilità: le donne preferiscono muoversi in orari in cui
i mezzi pubblici sono meno utilizzati e scelgono mezzi quali i tempos per
evitare la folla. I responsabili di questi abusi sessuali sono altri passeggeri
uomini, ma anche autisti e i loro aiutanti (il personale di bordo che fornisce
i titoli di viaggio).
•
La necessità dell’approvazione e del rispetto all’interno della società è una
delle cause strutturali della violenza sulle donne e porta a una generale
accettazione e normalizzazione degli abusi e dei ruoli di genere. Le norme
culturali spingono le donne a non denunciare e a non parlare della
violenza che subiscono per preservare l’onore della famiglia.
Il prestigio e l’onore della famiglia sono considerati infatti più importanti
rispetto all’integrità fisica delle donne. Dalla ricerca è emerso inoltre che
gran parte delle persone non sono a conoscenza dell’esistenza di leggi
contro la violenza sulle donne.
Durante la guerra civile dal 1996 al 2006 la popolazione rurale ha iniziato ad
abbandonare le campagne per fuggire dal conflitto. La valle di Kathmandu è
l’area più densamente popolata del paese e comprende il nucleo urbano della
capitale e un’ampia zona metropolitana limitrofa.
A Kathmandu si concentrano gli uffici governativi, i servizi educativi e le strutture
sanitarie. Ogni giorno milioni di cittadini si spostano verso la valle tramite
autobus, minibus, taxi, risciò, motorini e tempos (mezzi di trasporto locale a
tre ruote). Nonostante la varietà dell’offerta di mezzi disponibili il sistema dei
trasporti è poco regolato e insufficiente a coprire la domanda crescente.
Durante il periodo di transizione dopo il conflitto, le donne nepalesi hanno
ottenuto maggiore potere politico. La Costituzione promuove una maggiore
rappresentanza politica femminile, prevede l’istituzione di quote rosa negli enti
pubblici e l’istituzione di un Ministero per le donne, i bambini e le politiche
sociali. Nonostante questi progressi sul piano politico la divisione dei ruoli di
genere permane rigida e prevede che le donne abbiano la totale responsabilità
del lavoro di cura e che gli uomini si occupino del mantenimento economico
della famiglia. Questa divisione di ruoli è messa però progressivamente in
discussione a causa del crescente contributo delle donne al reddito famigliare
all’interno della società nepalese.
ActionAid ha scelto come focus di analisi del progetto la violenza sulle donne
nei trasporti pubblici nella valle di Kathmandu. Il team di ricerca in Nepal ha
scelto di concentrarsi solo sulla violenza sessuale, individuata come la forma di
violenza più diffusa nei trasporti pubblici. I partner del progetto sono Homenet
Nepal e Nepal Mahila Ekata Samaj, due organizzazioni che promuovono il diritto
al lavoro e alla casa per le donne impiegate nel settore informale dell’economia.
Il gruppo coinvolto nella ricerca è composto da donne che si spostano
regolarmente verso la valle di Kathmandu per motivi di lavoro, studio e per
esigenze famigliari e personali.
1 UN Population Division, 2009
“Ho provato a condividere con mio marito e con gli amici gli episodi di molestie sessuali
che ho vissuto, ma non posso parlare di queste cose, ho paura di essere sgridata”
Donna sposata con figli, Nepal
“Una volta ho riferito ad un poliziotto presente sul luogo le molestie che avevo subito
ma invece di prendere provvedimenti contro l’aggressore mi ha invitata a salire sulla sua
macchina. Da allora non ho più chiesto aiuto alla polizia.” - Studentessa universitaria
•
La violenza contro le donne non è tra le priorità del governo
nepalese. L’implementazione degli strumenti legislativi esistenti per la
prevenzione e il contrasto della violenza è scarsa e manca coordinamento
tra il governo centrale e le istituzioni locali. Le organizzazioni della società
civile che trattano il tema violenza si occupano solo della violenza domestica
e sembrano non conoscere il tema dell’insicurezza urbana.