In-transito: dall`Africa sub-sahariana all`Europa

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In-transito: dall`Africa sub-sahariana all`Europa
In-transito: dall’Africa sub-sahariana all’Europa
Giuseppina Bruno, Ciac Onlus
Il nostro lavoro di operatori dell’asilo ci offre la possibilità di conoscere ed approfondire molteplici
aspetti delle rotte migratorie percorse dai richiedenti asilo nel tentativo di raggiungere l’Europa.
Dall’avvio della cosiddetta operazione “Mare Nostrum” nel 2014 ad oggi abbiamo ascoltato e
raccolto moltissimi racconti dei viaggi di richiedenti asilo e rifugiati transitanti dalla Libia. Questi
racconti ci restituiscono un panorama di grande complessità in termini di definizione e realizzazione
del progetto migratorio individuale. Ci offrono inoltre un’immagine tutt’altro che univoca delle
scelte e dei motivi alla base della migrazione forzata. Molti sono gli elementi in comune tra i diversi
racconti che proveremo a restituirvi nelle pagine a seguire.
Per molti l’Europa rappresenta solo una delle possibili mete, che può essere scelta anche dopo anni
di migrazione e dopo aver vissuto sulla propria pelle le precarie condizioni di sicurezza nei paesi
limitrofi a quello di origine. In questo breve articolo cercheremo di esplorare ciò che avviene lungo
il percorso migratorio, le scelte che le persone compiono, fornendo indicazioni utili anche sui paesi
e i luoghi attraversati dai migranti, con un focus sulla Libia, per una maggiore comprensione dei
viaggi intrapresi. Le principali nazionalità di arrivo nel nostro Paese, e che riguardano direttamente
la rotta migratoria che dal nord Africa porta in Europa, sono quelle sub-sahariane e del Corno
d’Africa.1
Mappa estratta dal Report “Fuggire o morire” di MEDU, luglio 2015
1
Le principali nazionalità sono: Mali, Senegal, Costa d’Avorio, Nigeria, Gambia, Ghana, Somalia, Etiopia.
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Spesso le persone raccontano di aver intrapreso il viaggio in cerca di migliori condizioni di vita e di
sicurezza, per sfuggire a persecuzioni politiche e religiose o da conflitti e/o condizioni di instabilità
dovuti a scontri che ne interessano alcune aree. Anche la presenza di istituzioni governative fragili e
di corruzione endemica negli apparati governativi e statali, nonché sistematiche violazioni dei diritti
umani, costituiscono fattori che alimentano le migrazioni forzate.
Molti richiedenti hanno dichiarato di essere stati consapevoli delle difficoltà che avrebbero
incontrato lungo il viaggio. Altri, su consigli di amici e conoscenti che vivono stabilmente in Libia,
decidono di raggiungerli per cercare lavoro, o con la promessa di trovare lavoro. Spesso si tratta di
progetti migratori individuali ma anche condivisi dalla famiglia e che investono il singolo di
aspettative e di responsabilità. In pochi hanno dichiarato che sin da subito la loro meta finale fosse
l’Italia come Paese di asilo.
La Libia per alcuni è un paese di transito, per altri un paese di destinazione sebbene ad oggi
continua ad essere sconvolta da un conflitto civile interno. Attraverso l’Accordo Politico firmato nel
dicembre 2015 è stato creato il Governo libico di Accordo Nazionale e che tutt’ora affronta delle
difficoltà nel governare. Prima dell’accordo in Libia erano presenti due governi: uno riconosciuto a
livello internazionale insediato a Tobruk e Al- Bayeda, guidato dal Primo Ministro Abdullah Al–
Thinni, ed il governo della “Salvezza Nazionale”, guidato da Khalifa Al-Ghwell, con base a Tripoli
entrambi sostenuti da diverse fazioni e gruppi armati in lotta tra loro che spesso si innestano su
rivalità intra e inter-etniche già esistenti.2 Tuttavia, il Paese ha continuato ad attrarre manodopera
straniera, offrendo possibilità di lavoro nell’edilizia, nell’agricoltura, nei lavori domestici, nonché
Paese ricco di petrolio e risorse naturali.
I viaggi non sono mai brevi, possono durare anni. Il costo del viaggio è molto alto e ogni tappa
ha una propria tariffa che può variare dal trafficante che organizza il viaggio e dalle condizioni
stesse del viaggio.
“Il passaggio da Agadez a Tripoli costa molto e per questo bisogna rimanere molto tempo fermi a
lavorare. Ad Agadez sono stato aiutato da un gruppo di migranti che era appena arrivato e al
quale avevo spiegato la mia situazione, così hanno deciso di aiutarmi contribuendo a pagare parte
della somma necessaria per continuare il viaggio ed è per questo che non mi sono fermato molto”.
(Testimonianza di un richiedente asilo gambiano).
2
Per maggiori informazioni si veda “Posizione UNHCR sui rimpatri in Libia – Aggiornamento I”, ottobre 2015, in:
http://www.unhcr.it/wp-content/uploads/2016/01/Libya_update_I_October_2015.pdf
2
I passaggi sono tanti, come chi li gestisce. I nomi che sentiamo pronunciare più spesso sono quelli
di “trafficker”, “smuggler”, “passeur” e sono persone, spesso connazionali, che nelle tappe
intermedie facilitano i passaggi fino ad arrivare in Libia. Questa struttura viene di frequente
descritta come una piramide al cui vertice si collocano i trafficanti libici che gestiscono le partenze
e ai livelli più bassi è formata da cittadini africani, principalmente sub-sahariani, che potendo
comunicare nelle lingue locali reclutano i migranti che vogliono partire. I migranti si trovano in
punti di raccolta, spesso piazzole degli autobus, nelle grandi città come ad esempio Niamey ed
Agadez in Niger e ancora prima in Burkina Faso o in Mali. Lì bisogna aspettare perché o qualcuno
ti si avvicinerà per offrirti il suo servizio o è la che incontrerai il prossimo facilitatore o trafficante
che ti permetterà di continuare il viaggio. A volte i contatti sono stabiliti sin dal momento della
partenza, in altri casi si reperiscono viaggio facendo. Il migrante deve pagare tanti servizi e
affrontare molte difficoltà: il trasporto, l’anticipo che il trafficante presta per l’affitto del letto dove
dormirà, il cibo, la mazzetta alla polizia nei diversi check-point etc… continuando ad accumulare
un debito la cui somma non è mai conosciuta. Fino a quando non sarà possibile continuare il
viaggio (e ciò è deciso dal trafficante) le persone dovranno lavorare, recandosi ogni giorno nelle
piazze chiamate chat per cercare lavoro in giornata e restituire il debito, soprattutto se la tua
famiglia non ti può aiutare.3 Alcuni migranti, al momento della partenza dal proprio paese di
origine, hanno la semplice intenzione di spostarsi nel primo paese vicino dove poter avere migliori
opportunità lavorative, ma spesso le condizioni di insicurezza e di sfruttamento delle persone
straniere non consentono di rimanere e bisogna allora continuare il viaggio, rivedendo
costantemente il proprio progetto migratorio.
“Io ed il mio compagno siamo andati ad Algeri perché in Mali non potevamo più rimanere. Siamo
rimasti ad Algeri per circa due anni. Lavoravo come domestica per una famiglia algerina che non
mi permetteva di uscire, non mi facevano dormire; mi avevano fatto firmare un contratto che
diceva che avrei lavorato per cinque mesi, ma sono rimasta da loro per molto più tempo. Non so
né leggere né scrivere l’arabo. Quando mi sono lamentata di ciò con il mediatore che mi aveva
trovato quel lavoro mi ha risposto o che accettavo o avrebbe trovato qualcun’altra”.
(Testimonianza di una richiedente asilo maliana)
Le diverse tappe sono accomunate dalla violenza commessa dagli stessi trafficanti ma anche
dai vari funzionari di polizia ai posti di controllo che dietro il pagamento di una somma di
denaro permettono al migrante di continuare il viaggio.
All’ultimo posto di blocco, a Madame, ancora in Niger, mi ferma la polizia chiedendomi i soldi
per continuare il viaggio. Non disponendo della somma mi costringono a mettermi a piedi nudi
3
G. Zandonini, In Niger i migranti si preparano alla grande traversata, Internazionale, 19 luglio 2016 in:
http://www.internazionale.it/reportage/giacomo-zandonini/2016/07/19/niger-migranti-italia
3
sopra il coperchio di un barile di ferro bruciandomi in questo modo le piante dei piedi. Quando la
polizia capisce che non avevo i soldi da dare decide di lasciarmi andare. (Testimonianza di un
richiedente asilo gambiano).
I paesi attraversati dai migranti sono spesso caratterizzati da situazioni di insicurezza: sul territorio
si scontrano diversi gruppi ribelli e delinquenti che spesso commettono violazioni dei diritti umani
nei loro confronti. Nei diversi racconti sono emersi sequestri di migranti da parte di questi gruppi
per estorsione, il più citato è il gruppo di Asma Boys, bande armate di libici che gestiscono
“prigioni speciali”,4 e che gestiscono e si spartiscono con i diversi attori il traffico di esseri umani.
“Sono arrivato a Gatroun dove sono rimasto per 4 mesi, fino a quando sono stato rapito dagli
ASMA BOYS nel mese di novembre 2014. Eravamo a casa insieme ad altre persone, quando
hanno fatto irruzione e ci hanno portati in una prigione. C’è un business molto importante tra
diversi attori del traffico di esseri umani. Siamo stati sequestrati dagli asma boys, che sono libici
che compiono azioni violente contro gli immigrati, e poi siamo stati condotti in prigione e questi
hanno ricevuto una somma dalla polizia per ognuno di noi. La polizia poi richiedeva a noi il
doppio della somma che aveva pagato agli asma boys per la nostra liberazione. Dovevamo
chiamare a casa o qualche conoscente per farci mandare i soldi. Sono riuscito a fuggire di
prigione, perché spesso ci portavano fuori per fare lavori forzati, perché chi non aveva soldi
doveva ripagare con il lavoro coatto, fino a quando non riesci a trovare i soldi per uscire di
prigione” (Testimonianza di un richiedente asilo gambiano).
Spesso i migranti sono coinvolti in scontri armati e sparatorie per contese territoriali, soprattutto in
Libia dove dopo la caduta del regime di Gaddafi vige uno stato di anarchia, di totale assenza di
controlli, e dove la progressiva decentralizzazione e diffusione del business del traffico di esseri
umani permette a chiunque di poter entrare in questo mercato a maglie lente.5
Una volta giunti a Misurata abbiamo iniziato a lavorare lavando i pick-up dei trafficanti che lungo il
viaggio dal Sudan alla Libia si sporcavano con la sabbia, a volte le dovevamo verniciare perché spesso
durante i viaggi possono esserci delle sparatorie tra diverse bande ribelli che si spartiscono il traffico di
esseri umani. A volte dovevamo lavare anche le macchie di sangue perché in questi viaggi le persone
muoiono”. (Testimonianza di un cittadino somalo)
4
P. Caiffa; I migranti raccontano di violenza e torture. Difficile non credere, Parole di vita 03.08.2015, in
http://www.paroladivita.org/Attualita/I-migranti-raccontano-violenze-e-torture.-Difficile-non-credere; M. Forti; iL
viaggio
in
Africa
dei
migranti
in
una
mappa,
Internazionale,
06.08.2015,
in:
http://www.internazionale.it/notizie/2015/08/06/il-viaggio-in-africa-dei-migranti-in-una-mappa; S. Sherer, Migrants
boys tell of attacks, murder in Libyan “hell”, REUTERS, 10 giugno 2016, in: http://www.reuters.com/article/us-europemigrants-libya-gangs-idUSKCN0YW187;
Rapporto
MEDU,
Fuggire
o
morire,
luglio
2015,
in:
http://www.mediciperidirittiumani.org/pdf/FUGGIRE_O_MORIRE_sintesi.pdf
5
N. Porsia, “Migrazioni e morte sulle coste libiche. Il caso di Zuwara” in Intrasformazione, 2016.
4
Una volta giunti in Libia, spesso entrando da Al-Qatron, Bae, Sabha e Gadames, le persone
vengono in contatto con altri trafficanti e cercano di raggiungere persone che già conoscono, oppure
trovano una base nei foyer dove vivono connazionali o altri migranti.
La quotidianità è scandita dalla ricerca di lavoro, recandosi nei chat, luoghi dove i migranti
attendono un mudir (capo, datore di lavoro in arabo) che gli fornirà lavoro in giornata. Dai racconti
questi sembrano essere momenti di forte esposizione alla violenza da parte sia dei mudir, che della
polizia ma anche di gruppi ribelli. In diverse storie è emerso come ci sia un vero business tra
datori di lavoro, polizia o ribelli con lo scopo di sfruttare la manodopera straniera o trarne
profitto attraverso l’estorsione.6
“In Libia esiste un grande business tra i mudir e la polizia libica. Quando ci rechiamo ai chat, i
mudir ingaggiano gli stranieri per un lavoro in giornata, ma poi invece di portarti sul luogo di
lavoro ti portano in una stazione di polizia. Qui la polizia ti chiede i soldi per farti uscire di
prigione, così sei costretto, anche con l’uso della violenza da parte della polizia, a chiamare
qualcuno per pagare la tua scarcerazione. Ho dovuto chiamare un datore di lavoro libico che ha
pagato per farmi uscire. Dopo sono stato costretto a lavorare per lui per ripagare il doppio della
somma che aveva versato per la mia scarcerazione (…). Un’altra volta sono stato portato alla
stazione di polizia sempre da un altro mudir. Qui sono rimasto alcuni giorni fino a quando un
poliziotto mi ha fatto uscire per lavorare a casa sua, come elettricista, che era il lavoro che facevo
in Nigeria prima di andare via. Quando ho finito il lavoro, mi ha lasciato libero senza pagarmi”.
(Testimonianza di un richiedente asilo nigeriano).
I migranti vengono spesso imprigionati in carceri e centri di detenzione7: alcuni statali, altri
gestiti dagli stessi ribelli o dai trafficanti. I nomi che ricorrono con maggior frequenza sono: AinZara, Gharyan, Zliten, Sabha. Qui i migranti subiscono torture e trattamenti inumani e degradanti.
Spesso le persone vengono costrette a vivere in celle sovraffollate, senza luce, in pessime
6
Dal report Trafficking in Person – Libya, 2014”: il network del traffico che raggiunge la Libia dal Niger, Nigeria,
Ciad, Somalia, Suadan e altri Stati sub-sahariani, adotta differenti metodi per costringere le persone al lavoro forzato e
alla prostituzione forzata, incluse pratiche fraudolente di ingaggio, confisca dei documenti di viaggio, la negazione o il
non pagamento della retribuzione ed il debt bondage (schiavitù legata al debito). Datori di lavoro privati continuano a
reclutare i migranti all’interno dei centro detentivi per il lavoro forzato nelle fattorie o nei cantieri edili; una volta che
il lavoro è ultimato o il datore di lavoro non richiede oltre la manodopera del migrante o lo riporta all’interno della
struttura detentiva”, United States Department of State, Trafficking in Person – Libya, 2014, in:
http://www.refworld.org/docid/53aab9d714.html. Si veda inoltre il Report Trafficking in Person – Libya, 2016, in:
http://www.refworld.org/cgibin/texis/vtx/rwmain?page=country&docid=577f95e26&skip=0&coi=LBY&querysi=trafficking&searchin=title&sort=
date
7
Sul sito di Global Detention Project (https://www.globaldetentionproject.org/countries/africa/libya) sono mappate tutte
le strutture di detenzione di molti paesi tra cui la Libia. Si rimanda a questo sito per maggiori informazioni circa nomi,
luoghi e funzioni delle strutture detentive.
5
condizioni igieniche, senza un’adeguata alimentazione e sottoposte a percosse quotidiane e a tortura
(la più praticata è quella della falaqa8) ma anche costanti umiliazioni, e spesso ai lavori forzati.
“A Tripoli, dopo il lavoro sono stato fermato dalla polizia la quale mi ha chiesto i documenti e non
possedendoli sono stato messo in prigione. Sono rimasto in prigione per sei mesi a Tripoli. Anche qui è
stata molto dura: condividevo una cella con altre cento persone, ci facevano uscire per lavorare e poi
quando ci riportavano in prigione ci picchiavano e ci facevano molte cose brutte; molti uomini hanno
perso la loro virilità. Anche qui sono stato torturato con la tecnica della falaqa”. (Testimonianza di un
cittadino maliano)
In queste condizioni di violenza estrema i migranti subiscono inoltre discriminazioni quotidiane
anche da parte della popolazione civile.
“Anche i bambini hanno i fucili in mano e possono ucciderti quando vogliono”. (Questa affermazione
ritorna in diverse testimonianze dei richiedenti asilo ascoltati)
“La Libia è un paese un po’ così. Basta camminare in giro per correre continuamente il rischio di essere
accoltellati, essere attaccati o sparati visto che tutti hanno una pistola. (…) Una volta stavo tornando a
casa da lavoro e ho preso un taxi. Ho pagato il tassista, ma questo continuava a chiedermi i soldi e mi ha
puntato una pistola alla testa. Mi sono lanciato fuori dal taxi e cadendo ho sbattuto la testa ferendomi
l’occhio sinistro.” (Testimonianza di un richiedente asilo ghanese).
Date le difficili condizioni di vita, le violenze a cui (soprattutto i cittadini provenienti dall’Africa
sub-sahariana) sono sottoposti in Libia, spesso questa diventa, da iniziale paese di destinazione,
temporaneo Paese di transito verso l’Europa. L’attuale situazione di anarchia che vi regna, offre
un’opportunità importante per i migranti, ma anche per gli stessi trafficanti che traggono sempre
maggiori profitti.
A differenza di ciò che accadeva in passato durante il regime di Gaddafi, oggi in Libia gli
attori che gestiscono il traffico di esseri umani sono diversi. Ciò ha determinato il consolidarsi di
una forte concorrenza, che causa un consistente abbassamento dei prezzi, ma anche della qualità dei
mezzi di trasporto. Spesso, per potersi pagare il viaggio fino in Italia, sono gli stessi migranti a
condurre le barche, senza alcuna esperienza aumentando il rischio di andare alla deriva o di
naufragare. Moltissimi naufragi si verificano infatti vicino alle coste libiche, a causa della scarsa
qualità delle imbarcazioni, dell’alto numero di persone presenti sulle stesse e dell’inesperienza dei
conducenti.
8
Nel protocollo di Istanbul sulla tortura viene descritta la pratica della tortura della falaka consistente “nell’inflizione
ripetuta di traumi da corpo contundente ai piedi (e più raramente alle mani e alle anche), di solito praticata con un
manganello, un tubo di gomma o armi simili”. Traduzione dall’inglese di “Istanbul Protocol – Manual on the effective
investigation and documentation of torture and other cruel, inhuman or degradating treatment or punishment”,
pag.38,in: http://www.refworld.org/docid/4638aca62.html
6
“Non avevo i soldi per pagarmi il viaggio in barca. Mi sono messo d’accordo con il trafficante e mi sono
messo alla guida della barca verso le coste italiane. Chi guida l’imbarcazione può far salire a bordo
un’altra persona senza farla pagare; in questo modo sono riuscito a far partire anche il mio amico”.
(Testimonianza di un cittadino gambiano)
Prima di partire i migranti vengono “raccolti” nelle connection house disposte sulle coste
libiche in attesa di poter partire. Qui possono trascorrere lunghi periodi in attesa del
tempo buono, di minori controlli da parte delle autorità libiche. Anche in questi
momenti il migrante è sistematicamente esposto alla violenza e alla brutalizzazione.
Arrivati a questo punto del viaggio non ci sono molte altre scelte che la partenza via mare.
Dopo aver attraversato l’inferno del deserto e non potendo rientrare nel proprio Paese di
origine, tornare indietro è chiaramente impossibile. La traversata del Mediterraneo è sempre
molto pericolosa e difficile, come raccontato da una richiedente asilo maliana:
“sui barconi ci si divide per classi. Chi ha pagato di più può stare di sopra, chi come me, ha
pagato di meno, deve andare sotto, nello scafo della barca. Il viaggio è stato un incubo:
respiravamo i fumi della benzina e l’aria era irrespirabile. C’era molto caldo e credevo sarei
morta asfissiata. In più ero al quarto mese di gravidanza e non potevo stare diritta, ma
accucciata. Sentivo dolori in tutto il corpo”.
(Testimonianza di una richiedente asilo
maliana)
L’approdo sulle coste italiane è tutt’altro che certo: il nove agosto 2016 l’OIM registrava
già 3176 morti nel Mediterraneo dall’inizio del 2016.
Conclusioni
Con questo breve documento abbiamo provato a restituire un’immagine più complessa di
quello che sono i viaggi che i migranti compiono in cerca di salvezza, pace e sicurezza.
Questi non sono mai facili, i pericoli incontrati tantissimi e le violenze all’ordine del
giorno. Il tempo della migrazione varia molto in base alle scelte personali, al progetto
migratorio iniziale, che spesso deve essere ripensato “in corso d’opera”, quasi mai
certo sin dall’inizio. Data la situazione in Libia, che si aggrava di giorno in giorno, stiamo
oggi riscontrando nelle narrazioni dei richiedenti asilo, periodi di permanenza sempre più
brevi e in condizioni sempre più difficili. Questo lavoro non si ritiene esaustivo della
complessità delle migrazioni forzate che attraversano la Libia, paese di transito e di
destinazione anche di quanti scappano dai Paesi dell’Asia e del Medio-oriente, quali, Siria,
Iraq, Bangladesh, Pakistan, Afghanistan. Nostro intento è quello di restituire un’immagine
7
meno semplificata e scontata del fenomeno, troppe volte etichettato come “migrazione
economica”.
Bibliografia
Articoli di giornale
1) P. Caiffa; I migranti raccontano di violenza e torture. Difficile non credere, Parole di
vita 03.08.2015, in http://www.paroladivita.org/Attualita/I-migranti-raccontanoviolenze-e-torture.-Difficile-non-credere
2) M. Forti; iL viaggio in Africa dei migranti in una mappa, Internazionale, 06.08.2015,
in: http://www.internazionale.it/notizie/2015/08/06/il-viaggio-in-africa-dei-migrantiin-una-mappa
3) N. Porsia, “Migrazioni e morte sulle coste libiche. Il caso di Zuwara” in
Intrasformazione, 2016
4) S. Sherer, Migrants boys tell of attacks, murder in Libyan “hell”, REUTERS, 10
giugno 2016, in: http://www.reuters.com/article/us-europe-migrants-libya-gangsidUSKCN0YW187
Posizioni UNHCR
1) Posizione UNHCR sui rimpatri in Libia – Aggiornamento I, ottobre 2015 in:
http://www.unhcr.it/wp-content/uploads/2016/01/Libya_update_I_October_2015.pdf
Rapporti
1)
Rapporto MEDU, Fuggire o morire, luglio 2015, in:
http://www.mediciperidirittiumani.org/pdf/FUGGIRE_O_MORIRE_sintesi.pdf
8
2)
Report Trafficking in Person – Libya, 2016, in: http://www.refworld.org/cgibin/texis/vtx/rwmain?page=country&docid=577f95e26&skip=0&coi=LBY&querysi=t
rafficking&searchin=title&sort=date
3)
United States Department of State, Trafficking in Person – Libya, 2014, in:
http://www.refworld.org/docid/53aab9d714.html.
Sitografia
1) Global detention Project
https://www.globaldetentionproject.org/
2) Mixed migration HUB
http://www.mixedmigrationhub.org/
Giuseppina Bruno ([email protected]) è un’operatrice sociale di area
giuridica, membro dell’equipe legale di CIAC Onlus.
Per contattare l’area legale rivolgersi a [email protected].
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