Io sono la porta delle pecore

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Io sono la porta delle pecore
IV DOMENICA DI PASQUA (ANNO A)
A cura di Emio Cinardo
Io sono la porta delle pecore
Dal Vangelo secondo Giovanni (10,1-10)
Io sono la porta delle pecore.
In quel tempo, Gesù disse:
«In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma
vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra dalla porta, è
pastore delle pecore.
Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore,
ciascuna per nome, e le conduce fuori. E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore,
cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. Un
estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono
la voce degli estranei».
Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro.
Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle
pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore
non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato;
entrerà e uscirà e troverà pascolo.
Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché
abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza».
Introduzione
Accostarsi al Vangelo di Giovanni 10,1-10 ci permette di conoscere Gesù, partendo
proprio da quello che dice lui di se stesso: egli è il pastore, la porta, è colui che porta
la vita e la salvezza per tutti gli uomini. Ruolo che gli viene consegnato da Dio Padre
perché l’uomo creda, si converta e si faccia battezzare (cf At, 2,14.36-21, prima
lettura della domenica).
Contesto letterario e storico
La pericope evangelica colloca Gesù nel periodo della Festa della Capanne, subito
dopo la guarigione di un cieco, che per questo viene cacciato dalla comunità (cf. Gv
9). La stessa comunità cerca Gesù, anche perché nel Tempio si è presentato come
“luce del mondo”, e il suo messaggio crea disappunto e scompiglio all’interno della
comunità religiosa tradizionale di Gerusalemme.
Il brano, nella struttura antitetica (chi non entra nel recinto dalla porta…-chi entra
dalla porta…”), presenta l’identità di Cristo che prende le distanze dal modo di fare
della classe religioso-politica del suo tempo. Per fare questo, si serve di immagini
tipiche del mondo agricolo e della pastorizia, ma ci sono dei riferimenti anche
culturali: Il “recinto” designa il vestibolo davanti alla Tenda nel deserto o davanti al
Tempio, indicando simbolicamente Israele. Gesù, allora, è il nuovo pastore d’Israele.
L’immagine della “porta”, oltre a significare il passaggio, indica appartenenza al
recinto. La “porta” della Città o del Tempio, nel linguaggio dell’Antico Testamento,
indica la Città stesso o il Tempio. In questo quadro, il ruolo di Gesù si delinea come
di colui per il quale si entra a vita nuova, ma soprattutto egli è la vita nuova: “io sono
la porta”.
“io sono…”
Di fronte ai suoi avversari, che vogliono sapere chi ha guarito il cieco, egli si presenta
come la vera guida d’Israele, usando un’immagine cara al mondo biblico: il pastore.
Dio è il vero pastore d’Israele, come canta il Salmo 22, è lui che conosce bene il suo
ovile e dove condurlo. Il nuovo pastore d’Israele, Gesù, inviato dal Padre, una cosa
con lui, si discosta dall’inadeguatezza delle guide di quel tempo, accusati in questo
brano di essere ladri e briganti che vogliono “rubare, uccidere e distruggere”.
Facilmente riconoscibili, poiché subdoli, “non entrano dalla porta”.
Gesù adopera l’immagine del recinto comune, che riunisce le pecore di diversi
pastori. Le pecore conoscono la voce del loro pastore, che lo seguono quando li
chiama per uscire ed essere guidate ai pascoli. Così è affidato al vero “ascolto” da
parte del popolo, connotazione biblica d’Israele (“ascolta Israele”), la capacità di
seguire la vera “voce” che dona la vita e conduce alla salvezza. Israele è chiamato ad
ascoltare questa voce, perché trovi la salvezza nel seguirla.
Questa immagine, nonostante tutto, non viene compresa. Così, buon per noi, ci
ritroviamo Gesù che approfondisce il suo discorso, usando un’altra immagine: “io
sono la porta”. Per lui e attraverso di lui si può procedere alla vera conoscenza, alla
vera vita. Egli è la “porta” per la quale l’uomo trova salvezza. Gesù affronta gli
avversari, guarisce i malati, proclama tutto ciò che ha sentito dal Padre: “io sono
venuto perché abbiano la vita”. L’intrepido cammino di Gesù non conosce
stanchezza, né ostacoli, poiché la verità del suo messaggio è vitale per tutti coloro
che lo incontreranno. Egli non è solo il mediatore della vita con Dio, ma è egli stesso
la vita. Questa consapevolezza è motivo di grande responsabilità da parte di Gesù;
egli non può trattenere per se una tale ricchezza, ma ne partecipa le infinite
ricchezze agli uomini, alla casa d’Israele, affrontando gli avversari ancora radicati in
tradizionali formalismi religiosi.
Commento
La Liturgia della Parola della IV domenica di Pasqua vuole accompagnarci nel
misterioso incontro con il Cristo, non risparmiandoci sia le gesta gloriose che i
momenti dolorosi.
L’ascolto della Parola di Dio è presupposto che apre il cuore alla vita nuova in Cristo.
A questo è invitato il lettore, poiché è la voce del “pastore” che trasmette la
sicurezza di essere condotti per il giusto sentiero.
Forse per alcuni l’immagine del pastore può sembrare lontana, non di certo parlare
di “ascolto”. Ascolto attivo, nel senso di colui che cerca continuamente la voce della
sua guida, di chi si fida ciecamente poiché a lui affida totalmente ogni sua necessità.
Ascolto di colui che è pronto a seguire i suoi consigli, lontano da una cieca
sottomissione, ma proprio perché capace di vedere la verità che abita in Lui e da Lui
partecipata a te che ascolti.
È in questo luogo che nasce l’incontro con il Cristo che ci rivela il Padre, dal quale
riceviamo il suo Spirito per crescere nel suo amore vitale.
La tentazione, la distrazione, i falsi profeti, le false illusioni, possono distogliere dal
cammino intrapreso. Peggio ancora, possono entrare nel recinto delle convinzioni
umane con la pretesa di assurgere a sicurezze incrollabili. Lì il popolo – l’uomo – è
chiamato a saper discernere dove si trovi la porta, chi è la porta, riconoscere la voce
che guida alla vera salvezza. È un dono che non deve essere assolutamente sciupato,
ma accolto quale dono prezioso