Matrimonio-sacramento. Vivere un progetto di vita di coppia stabile

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Matrimonio-sacramento. Vivere un progetto di vita di coppia stabile
Matrimonio-sacramento.
Vivere un progetto di vita di coppia stabile
in una società del provvisorio.
Relazione di Gianni e Teresa Andreoli alla giornata di apertura CPM Genova 2003
La relazione che ci è stata proposta è particolarmente stimolante, poiché invita ad una
riflessione su aspetti della nostra vita e delle nostre scelte sulle quali vale la pena
soffermarsi;
ogni parola del titolo della relazione ha un significato, una diversa esperienza per ciascuno
di noi, un vissuto che a volte è il risultato che non risponde alle attese, alle speranze, ai
sacrifici e all’impegno che abbiamo messo nella nostra storia di persone, di coppie e di
famiglie, ma che è il nostro quotidiano, la nostra difficoltà evidente ma anche la gioia che
non sappiamo apprezzare e condividere con chi ci sta intorno.
Partiamo dal fondo, dalla realtà nella quale siamo inseriti tutti, la “società del
provvisorio”. Partiamo da questa affermazione perché è una realtà con la quale tutti
conviviamo ma spesso senza averne ben chiari i confini e le ricadute sul nostro modo di
vivere. La provvisorietà comporta che amiamo meno le situazioni, le cose e le persone;
siamo molto attenti alle loro caratteristiche e alle loro performance, perché sappiamo che
esiste il ricambio, per cui la cosa che non ci soddisfa pienamente ha già il suo ricambio,
non c’è una prova d’appello, o va bene o via. Siamo dei grandi consumatori, di cose ma
anche di rapporti, cambiamo tutto quello che possiamo, quasi avessimo paura che
innamorarci o appassionarci di qualcosa o di qualcuno possa rappresentare agli occhi del
mondo una debolezza, un’accondiscendenza, in buona sostanza un accontentarsi mentre
l’ambiente e i modelli proposti sono fatti di voglia sfrenata del meglio e della ricerca
spasmodica della novità. Vivere la provvisorietà ha per noi anche un significato diverso da
quello che abbiamo provato ad esprimere all’inizio; significa avere la capacità di cambiare i
nostri ritmi e modi di vita quasi da un momento all’altro, significa, per esempio che nella
nostra scelta di accoglienza di bambini neonati in affidamento, dobbiamo essere pronti a
lasciare il nostro “tran-tran” quotidiano ed adattare la nostra vita alle esigenze di chi entra
in casa nostra. Questa esperienza negli ultimi quattro anni è capitata tre volte, e per tre
volte Teresa ha lasciato il lavoro, i nostri figli sono stati coinvolti ed hanno saputo
rinunciare alla nostra presenza costante nelle loro attività, offrendo la loro disponibilità e
rinunciando anche a qualche divertimento. Abbiamo dovuto scegliere molte volte di
separarci e partecipare divisi a molte occasioni ed impegni che ci avevano sempre visti
uniti, tutto questo per essere fedeli ad una scelta più profonda che è nata con il nostro
primo figlio e che nel tempo si è fortificata. Allora lasciare ciò che abbiamo, o meglio
lasciare le nostre abitudini, la tranquillità di una vita organizzata, per aprire la porta della
nostra casa ad una avventura legata alla storia di un piccolo neonato. Anche questo è per
noi provvisorietà, offrire ciò che abbiamo in termini materiali (una casa, il cibo) ma
soprattutto offrire ciò che siamo, il nostro essere genitori, il nostro essere una famiglia
come tante altre, con tutte le fatiche del lavoro, dei figli adolescenti e preadolescenti e non
ricercare cose nuove buttando via le vecchie.
Coppia Stabile; è esperienza comune la difficoltà di trasferire all’interno della coppia i
sentimenti e le linee guida che vorremmo dirigessero il nostro cammino; in realtà ci
sembra di non camminare mai con lo stesso passo, alla stessa velocità del nostro partner,
ma nella nostra vita abbiamo avuto la gioia di provare molte volte quanto fosse vero ciò
che ci disse il sacerdote che ci ha sposato 17 anni fa: “la vostra vita sarà come un viaggio
in una barca, su un mare non sempre calmo; la rotta sarà chiara, ma non sempre
vogherete insieme e in modo coordinato; qualche volta uno di voi remerà per due ma in
quei frangenti non cambierà la barca, che resterà unica, né la rotta, perché la meta resterà
quella del primo giorno; un po’ toccherà all’uno e un po’ all’altro, ma sarà un peso
piacevole perché siete consapevoli che alla meta arriverete insieme”
Ci siamo chiesti: che cosa nella nostra vita ha attentato e continua ad insidiare questa
stabilità?
Il lavoro, i figli, la famiglia e la società, …… Ognuno di noi ha molte tentazioni quotidiane
che lo portano a mettere in dubbio il valore della stabilità o, semplicemente, ne attentano
l’esistenza.
Chi di noi, al momento del suo matrimonio conosceva già così bene il suo coniuge da non
doversi più stupire, per poi adattarsi, di comportamenti o interessi o abitudini che facevano
parte del suo modo di essere? Che fatica, i primi anni di matrimonio ad accettare tutti
quegli interessi e hobbies di Gianni che forse, nel periodo del fidanzamento vedevo ed
amavo perché erano aspetti che mi attraevano ed ogni volta mi facevano innamorare di
lui. La musica, per esempio. Quante volte, vedendo ed ascoltando Gianni cantare e
suonare, sento dentro di me quel brivido da innamorata, ma quante volte ho fatto fatica a
lasciarlo partire per i suoi concerti o per le prove e gli impegni del coro, stando a casa da
sola con tutti e tre i bambini e con tutto quello che loro richiedevano. Quante volte ho
pensato:” Non è giusto! Anch’io voglio i miei spazi!” ma poi, nel tempo, ho capito che se gli
avessi tolto quegli spazi avrei perso l’occasione di sentire quel brivido da innamorata che
ancora oggi riesco a sentire. Se riusciamo a lasciarci gli spazi per crescere come singoli
nelle nostre diversità, non facciamo altro che contribuire alla realizzazione di una persona,
il nostro coniuge, secondo il progetto che Dio ha su di lui e se crediamo che il nostro
vivere insieme come coppia rientri anch’esso in un progetto di Dio, il nostro essere fedeli a
quel progetto ci aiuta ad aiutare il nostro coniuge a raggiungere la santità attraverso il
Sacramento del Matrimonio. Possiamo quindi dire di essere, per il nostro coniuge, lo
strumento che Dio utilizza per portarlo alla santità e come coppia Cristiana dobbiamo
sentirci strumenti di amore nelle mani di Dio.
Vivere un progetto; nella nostra vita di coppia abbiamo sperimentato come sia difficile
disegnarci un progetto su misura, costruirci un percorso adattato ai nostri limiti, possibilità
e desideri; ogni giorno è messaggero di sorprese, le nostre energie sono al lumicino e non
riusciamo a stare al passo…. Quante volte ci troviamo a gridare: Dio, che vuoi da me?
La nostra storia di coppia parte da un’esperienza di servizio che ci ha fatto conoscere; non
sappiamo se è per questo che ci siamo sentiti da subito in debito verso il Signore, o se,
molto più semplicemente, abbiamo realizzato di essere entrambi animali sociali e come tali
impossibilitati a trovarci estranei al mondo che ci circonda.
E’ diventato via via sempre più chiaro che il nostro Matrimonio non era solo un contratto
tra due persone, ma diventava ogni giorno di più un patto di alleanza e reciproca
appartenenza, intima comunione di vita e amore (gaudium et spes). Mettere Dio tra noi è
stata la garanzia che i nostri sforzi non sarebbero stati sprecati, è stato percepire che il
Matrimonio avrebbe sostenuto il nostro amore e non viceversa.
Detto così sembra facile, ma quante difficoltà!!!
Quante volte siamo caduti nel silenzio e nell’aridità della convivenza intesa come semplice
condivisione di spazi e oggetti, nessun sentimento, ci siamo trovati a tavola o a letto quasi
come estranei, la comunicazione ridotta agli aspetti organizzativi ( vai tu a prendere,
portare i figli a scuola-calcio-lupetti-catechismo-palestra-nuoto, fare la spesa, decidere di
avere una vita sociale e vedere amici, ecc.).
Quando si dialoga abbiamo deciso che c’è il Signore tra noi, con noi, non si vede ma si
sente; una lettura, un pensiero, un momento di silenzio, è un debito che abbiamo verso noi
stessi, è qualcosa che all’inizio ci è pesata ma che fatta con metodo si rivela come una
ricchezza, un regalo che vogliamo riservarci con una scadenza, una ricorrenza come il
compleanno, il giorno in cui vogliamo essere ricordati come un dono unico, una realtà che
non ha uguali, un’essenza e un dono.
La ricchezza del Matrimonio sta in questa voglia di non essere soli a celebrare l’unione
dell’uomo e della donna, la volontà consapevole di pretendere un testimone di eccezione a
ratificare un progetto che ci vede pellegrini, viandanti tra Gerico e Gerusalemme ed
esposti alle insidie, un percorso nel quale potremmo incontrare i briganti ma dietro l’angolo
c’è qualcuno che ci ama da sempre, da prima che nascessimo e che ci viene a salvare.
Un disegno più grande di noi ci ha voluti insieme, a volte contro ogni logica apparente o a
dispetto degli eventi (potrei raccontare di come ho cercato di eliminarti prima che fosse
troppo tardi quando, fidanzati, ti ho causato fratture e contusioni in un incidente di moto,
occasione di incontro con la tua famiglia).
Proveremmo a proporre una analogia di questo tipo: è esperienza comune restare senza
parole, rapiti davanti ad uno spettacolo della natura, un tramonto, una fioritura di
montagna, un quadro, ecc. Tutto questo ci provoca un intimo piacere, pensieri positivi,
appagamento.
Subito non si pensa all’autore del disegno, e il creatore dell’immagine non trova
spontaneamente posto nella nostra sensazione e nei nostri sentimenti; ci godiamo lo
spettacolo e questo è quanto basta e avanza.
Ma la sua presenza diventa via via più nitida e concreta, quasi necessaria o addirittura
indispensabile man mano che se ne percepiscono i caratteri speciali, che si scopre come
in tutto questo non possa esserci solo qualcosa di umano. Nel nostro essere coppia
Cristiana non bastiamo a noi stessi; gli avvenimenti che ci accompagnano e che restano in
una dimensione umana non sono più sufficienti a motivare la vita di coppia; le gioie e le
sofferenze si stemperano nella stanchezza della quotidianità, nelle ricorrenze ripetute e
stanche di atti già visti, di aspettative esaudite o rimandate, finchè quasi con un urlo
liberatorio chiediamo al Signore: dove sei? Allora ripensiamo a quel giorno, al percorso
che ci ha condotto ad un incontro in cui abbiamo celebrato il nostro Matrimonio e fra gli
invitati c’era il Signore, abbiamo preparatola Messa, i canti, il ringraziamento, le promesse
di lasciarGli aperta la porta di casa nostra. Noi siamo consapevoli che per la nostra Coppia
la dimensione del Sacramento nel Matrimonio sia stata una riscoperta graduale, un
cammino giorno dopo giorno, che ci ha portato a leggere attraverso gli avvenimenti belli e
brutti, un disegno e una presenza costante, una pazienza infinita di chi ci ha voluto
insieme e guarda con amore di Padre le nostre debolezze, gioisce con noi, ci lascia anche
sbattere il giusto, è discreto ma risponde, se solo decidiamo di affidarci alla Sua
generosità.
Come mettiamo Dio tra noi? Quale ruolo, in quali ambienti della vita?
Ci chiediamo questo perché nella nostra vita di coppia abbiamo scoperto di avere modalità
molto diverse tra noi di esprimere la richiesta, la gioia, la sofferenza, la disponibilità; di
fronte a proposte di servizio Gianni risponde subito immediatamente, ma spesso in modo
non del tutto consapevole, anche perché spesso il peso del cambiamento e la ricaduta
organizzativa sono sulle spalle di Teresa; i sentimenti sono vissuti in modo diverso, Teresa
è più dimostrativa, condivide di più sia nella gioia che nella sofferenza, Gianni tiene dentro
di sé soprattutto la sofferenza e le difficoltà.
Quello che vorremmo dire è che ci sembra di aver capito che sia importante riuscire a
leggere il disegno del Signore in quello che incontriamo e scontriamo e che per affrontare
non individualmente la storia, ma proponendoci come coppia nella realtà della famiglia, del
lavoro, dell’amicizia, ecc., sia fondamentale confidare nella sua presenza fra e con noi;
allo stesso modo è fondamentale partecipare la dimensione della vita di relazione come
coppia nei confronti della società cercando di far vedere che nel nostro essere c’è qualche
cosa di più che la somma di due individui, c’è la dimensione della presenza del Signore
che rende Sacramento la nostra unione.
Sacramento è segno efficace di una realtà trascendente. Il Matrimonio è il segno tangibile
e concreto per cui l’amore tra l’uomo e la donna è figura dell’amore di Dio per tutta
l’umanità: il sacramento del Matrimonio dà quindi voce sia all’annunzio di Dio come
Amore, sia all’invito che tutta l’umanità viva la qualità dell’amore sponsale (Borsato).
Riconoscere in noi i segni di speranza vuol dire leggere la presenza di Dio nella nostra
storia e nella nostra quotidianità, vuol dire scoprire che Dio ci parla attraverso gli uomini,
attraverso l’esperienza del perdono, dello stupore nel provare esperienze di relazioni
personali che si manifestano oltre le logiche aspettative, dell’accoglienza, delle ripartenze
e delle scoperte, di quando si avvera quello che non ti aspetti, del tempo che lavora piano
piano e che ci fa maturare anche l’esperienza del sentire l’assenza di Dio.
La percezione di Dio dentro il nostro matrimonio è un’esperienza in continua crescita, così
come, parallellamente, i gesti della vita (perdono, ascolto, amore) progressivamente
trascendono e acquistano il valore simbolico di una Celebrazione.
Tutti i sacramenti si portano dietro qualche aspetto simbolico da “iniziati”, l’olio, l’acqua,
incenso a tutto spiano, gesti catartici del Celebrante quasi si trattasse di enfatizzare e far
sperimentare la divinizzazione dell’adepto.
Invece c’è poco “mistero” e tanto Sacramento nel Matrimonio, anche in quello non
Cristiano, perché la vita di coppia è il luogo dove l’esistenza di Dio si esprime e si
manifesta con innumerevoli segni (amore, gratuità, perdono, fertilità, dolore, gioia, ansie,
speranze, illusioni, attese, ecc.)
La vita di coppia nel Matrimonio ha anche un’altra dimensione che potremmo definire
“pubblica”. Gesù dice: “Vi riconosceranno da come vi amate”.
Applicando alla coppia queste parole, viene naturale pensare ad una dimensione oltre le
mura di casa nostra. Come testimoniare di essere amanti Cristiani?
Il periodo non sembra di quelli più favorevoli, i messaggi mediatici (spesso sub-liminali ma
molto più spesso assolutamente espliciti) descrivono e incoraggiano miti alquanto diversi
dalla coppia stabile, dalla continuità, chiamiamola pure Resistenza, a volte. Non è facile
difendere l’unità e il progetto di vita, in questo clima e in questa storia.
Ma vogliamo anche provare a giocare una scommessa con noi stessi.
Ecco quindi che le motivazioni per vivere insieme come coppia in modo stabile, seguendo
un progetto condiviso, devono trovare la volontà di ascoltare come l’altro ci chiami a
costruire una particolare relazione interpersonale in cui comunichiamo profondamente noi
stessi sentendoci accolti nella nostra diversità, mettendoci in gioco completamente.
Vogliamo affrontare un cammino di salvezza in due e per due convinti e consapevoli che il
Signore è con noi nel nostro costruire un rapporto in continuo divenire, su una strada
spesso non diritta né agevole, un incontro in cui le nostre diversità non sono una reciproca
accettazione, ma il meraviglioso e continuo stupirsi di come mia moglie continui ad essere,
giorno dopo giorno, uno strumento grazie al quale faccio esperienza di Dio sulla strada di
tutti i giorni.
Vorremmo lasciarci con una bella preghiera, sicuramente conosciuta, che interroga
ciascuno di noi e ci mette in discussione, ma ci dà anche la chiave di lettura e la soluzione
per affrontare un cammino di speranza.
La parabola della famiglia
Ed ecco la drammatica avventura toccata alla famiglia che scendeva da Gerusalemme a
Gerico nel suo triste incontro con i Tempi Moderni: “Le rubarono prima di tutto la fede, che
bene o male aveva conservato fino a quel momento come un fuoco acceso sotto la cenere
dei secoli. Poi la spogliarono dell’unità e della fedeltà, della gioia dei figli e di ogni
fecondità generosa; infine le tolsero la serenità del colloquio, la solidarietà con il vicinato,
l’ospitalità sacra per i viandanti e i dispersi…… La lasciarono così semiviva sull’orlo della
strada e se ne andarono. Passò per quella strada un sociologo, vide la famiglia, la studiò a
lungo e disse: “ormai è morta” e andò oltre. Le venne accanto uno psicologo e sentenziò:
“L’istituzione famigliare era oppressiva. Meglio così”. La trovò un prete e si mise a
sgridarla: “Dovevi opporti ai ladroni! Perché non hai resistito meglio? Eri forse d’accordo
con chi ti calpestava?” Passò alla fine il Signore, ne ebbe compassione e si chinò su di lei
a curarne le ferite, versandovi sopra l’olio della sua tenerezza e il vino del suo sdegno. Poi
caricatola sulle spalle la portò fino alla Chiesa e gliela affidò, perché ne avesse cura,
dicendole: “Ho già pagato per lei tutto quello che c’era da pagare. L’ho comprata con il mio
sangue e voglio farne la mia prima piccola sposa. Non lasciarla più sola sulla strada, in
balia dei Tempi. Ristorala con la mia Parola e il mio Pane. Al mio ritorno ti chiederò conto
di lei.”
Quando si riebbe, la Famiglia si ricordò del volto di Dio chino su di essa. Assaporò tutta la
gioia di quell’amore e chiese a se stessa: “Come ricambierò per la salvezza che mi è stata
donata?” Guarita dalle sue divisioni, dalla sua aridità, dalla sua solitudine egoistica, si
propose di tornare per le strade del mondo a guarire le ferite del mondo. Si sarebbe essa
pure fermata vicino ai malcapitati della vita per assisterli e dire loro che c’è sempre un
Amore che salva, un Amore che si ferma accanto a chi soffre, a chi è solo, a chi è
disprezzato, a chi si disprezza da se stesso, avendo dilapidato tutta la propria umana
dignità.
Alla finestra della sua casa avrebbe messo una lampada sempre accesa, come segno per
gli sbandati della notte, e la sua porta sarebbe rimasta sempre aperta, per gli amici e per
gli sconosciuti, perché chiunque, affamato, assetato, stanco, possa sedersi alla mensa
della fraternità universale.