La danza del mondo

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La danza del mondo
Maria Pia Ammirati
La danza del mondo
romanzo
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Questo libro è un’opera di fantasia. I luoghi citati sono reali e hanno lo
scopo di conferire veridicità alla narrazione. Qualsiasi analogia con fatti
realmente accaduti e persone, vive o scomparse, è assolutamente casuale.
www.librimondadori.it
La danza del mondo
di Maria Pia Ammirati
Collezione Scrittori italiani e stranieri
ISBN 978-88-04-62481-3
© 2013 Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Milano
I edizione aprile 2013
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A Nicola,
alla sua libertà.
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La musica esiste quando c’è un ritmo.
Igor Stravinsky
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Il bacio
«Che labbra morbide che hai. Mi sembra di baciarti per la prima
volta.»
Mi aveva detto così lasciandomi all’angolo della strada, non troppo vicino al portone di casa, l’aveva detto sfiorandomi appena con
un senso di appagamento distaccato, una pigrizia che diversamente dal solito lo aveva fatto indugiare.
Era mattino, era presto. Era l’aria tiepida e stanca dell’autunno. Io avevo finto, premendo appena un po’ di più sulla sua bocca
grande, cercando di sentire i denti sotto. Aveva abbassato le palpebre ed ero rimasta a guardargli lo scuro alone degli occhi e le sopracciglia perfette. Era un uomo adulto, alto e corpulento e avevo
passato con lui gli ultimi anni della mia vita. Era un uomo mentre
io ero una ragazza, una ragazza oramai cresciuta. Scendendo dalla macchina, avevo deciso che non mi sarei voltata com’era stato
ogni volta in tutti quegli anni. Lasciandoci lo avevo sempre cercato con gli occhi per ancorarmi a lui, per non andare e per convincermi che quel gesto ci avrebbe infine salvato, portato lontano da
quell’ambiguità. Avevo deciso e lo feci, lui si allontanò con la sua
lunga macchina azzurra, probabilmente tentando invano di incontrare il mio sguardo.
Trovai le chiavi di casa frugando nella piccola valigia che portavo
con me per quei brevi viaggi: ero tornata da Bologna la sera precedente e la notte l’avevamo passata insieme nella sua casa al mare.
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Era già umida e fredda, divenuta d’improvviso inospitale dopo l’orgia della calura estiva. Le chiavi mi tintinnavano in mano, sapevo
che mio marito probabilmente a quell’ora era in bagno a prepararsi
accuratamente per la giornata. Che non si sarebbe sorpreso nel vedermi, che forse avrebbe chiesto di fare l’amore, che io ancora una
volta mi sarei rifiutata, che lui sarebbe uscito sbattendo la porta.
Fui soverchiata dalla nausea e girai su me stessa, tornai indietro
per trovare un bar dove fermarmi, aspettare che Carlo uscisse prima di rientrare. Mi infilai dietro al vetro, cercando di non farmi vedere, pur vedendo la folla continua che entrava e usciva.
Alberto era perduto per sempre. Ormai avevo preso la mia decisione e finalmente sapevo che non l’avrei più rivisto. Non avrei
più risposto alle sue telefonate, non mi sarei fatta più trovare. Ero
all’asfissia di quell’amore che era durato tanto, a cui avevo dato
tanto. Alberto sarebbe stato l’ultimo dei miei errori prima di affrontare una nuova vita.
Carlo entrò senza guardare, si avvicinò al banco e salutò con un
bacio sulla guancia una donna che stava appoggiata con i gomiti sul bancone in una posa svogliata. Mi raggomitolai per sparire
e li scorsi che, sorridenti dopo aver preso il caffè, se ne uscivano
insieme. Fui quasi sollevata nel vedere mio marito in intimità con
una sconosciuta e, anzi, pensavo a quella sorta di puritanesimo di
Carlo che mai avrebbe fatto dormire un’altra donna nella nostra
stanza. Mentre io mi comportavo da amorale.
Lo ero, ero riuscita – fresca di matrimonio – a invaghirmi di un
altro uomo e a tirare avanti una storia con lui per anni. Sapevo che
non sarei più tornata a casa, che dovevo lasciare Alberto, ma anche
Carlo, d’altra parte le due storie erano a lungo coesistite.
Rimasi per alcune ore seduta al bar sorbendo liquidi, e in quello stesso stato mi sentivo, di liquidità. Poi d’improvviso suonò il
telefono ed era Alberto, solerte e protettivo, pronto a raccogliermi: in qualsiasi angolo avessi deciso di nascondermi lui era lì. Lasciai suonare un paio di volte, pagai e andai in bagno. Annegai
il telefono nel lavabo, lo tenni un minuto in acqua e uscendo lo
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gettai in un cestino colmo, già a quell’ora, di brioche smozzicate
e di carte unte.
Entrai in casa mia e la sentii estranea, odori troppo forti, un disordine scomposto, una luce grigia. Corsi ad aprire la finestra per
respirare mentre il telefono in sala cominciava a squillare. Probabilmente ancora lui. Risposi.
«Tutto bene, tesoro?»
«Bene.»
«A che ora domani?»
«Perché domani?»
«A che ora ci vediamo per mangiare insieme?»
«Non ci vediamo Alberto, non ho più voglia di vederti. La finiamo così.»
«Cosa è successo, hai litigato con Carlo?»
«Cosa c’entra Carlo? Ti annuncio che finalmente mi libero di te.
Che non sopporto più questa storia. Non mi cercare e non venire
sotto casa. È davvero finita.»
Attaccai il telefono senza rabbia, senza nervosismo. Riguadagnai
la finestra e cercai di concentrarmi sulle cose da fare. Non volevo
certo dare troppe spiegazioni ad Alberto, che le avrebbe pretese per
allungare la storia o forse per dare una via d’uscita decorosa alla
sua dignità. Non sarebbe finita così, mi aspettavo la sua petulanza,
la pressione, quell’abulia dei terreni conosciuti. Non era certo il tipico avventuroso pronto a rimettersi in gioco con un pizzico di eccitazione. Ne era prova la nostra storia regolata sui ritmi della consuetudine e di un ordine a lui caro, uomo schematico ma devoto.
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L’incontro
Com’era cominciata la nostra storia? Ci aveva presentati un amico
di Carlo. L’avevo conosciuto nel giorno del nostro periglioso matrimonio da ragazzi. Io con i miei venticinque anni, Alberto con i suoi
cinquantacinque. Da poco vedovo, in realtà uomo bellissimo e denso di una malinconia solida, quasi palpabile. L’amico di Carlo, presentandomelo, mi aveva sussurrato: «Sii carina, ha da poco perso
la moglie e tu sei una sposa» e io di rimando: «Potevi non portarlo», ma aveva occhi straordinari e buoni e fui carina.
Carlo e io ci eravamo sposati perché aspettavo un bambino; lui
aveva insistito, io avevo accettato. Avevamo deciso in fretta e la festa con i nostri amici e qualche parente era di quelle proprio da ragazzi. Una riunione al bar della spiaggia dove andavo sin da piccola. Il mare che avevo sempre amato e che mi dava modo di evitare
la festa classica. Le mie amiche avevano portato il costume, mia
madre aveva dovuto rinunciare al suo vestito lungo, le parenti di
Carlo, madre, sorella e un paio di zie, erano furenti perché i tacchi
affondavano nell’umido della spiaggia settembrina. Io ero felice e
dopo aver tollerato un abitino stretto avevo messo costume e pareo. La famiglia a metà pomeriggio s’era dileguata con molti sospiri di sollievo, non senza compatire Carlo per la follia della mogliettina. Il sole calava rapidamente, io amavo ancora Carlo, con
cui ero praticamente cresciuta. Dai tempi del liceo fino a scoprire
con gli anni anche l’amore.
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Ora ero incinta, incredula, di un figlio che in realtà non avrei voluto e che lui invece desiderava, e per il quale faceva progetti che mi
lasciavano il respiro mozzo. Lui era più pronto di me, io lo seguivo
in un percorso che sembrava non appartenermi, una vita copiata
su quella di altri. Avevo sognato infatti un futuro diverso: mentre
Carlo, che s’era laureato da poco, era già un bravo ingegnere, io
faticavo a trovare la mia collocazione. Poco prima di restare incinta avevo fatto un colloquio in una multinazionale per ricerche di
mercato e aspettavo una risposta... ma con in pancia un bambino
le cose avrebbero preso senz’altro un altro percorso.
Ecco allora che era settembre, un mese che avevo sempre amato,
con il mare calmo e di cristallo, alcuni dei nostri amici avevano deciso di fare il bagno, qualcuno amoreggiava, il barista aveva alzato
il volume della musica. Anche lui era uno dei nostri punti di riferimento, eravamo cresciuti insieme su quella stessa spiaggia passando dai pannolini agli spinelli, tutto come si doveva, nel più anonimo dei percorsi. Carlo e io ballavamo abbracciati, con il mio ventre
teso verso i quattro mesi, la sua cura e un amore che dentro aveva
altro, io ero stordita e spossata, la gravidanza mi stancava. Alberto arrivò dalla duna scivolando sulla sabbia, anche lui impacciato
di trovarsi in una strana festa di matrimonio di giovani leoni, aveva un completo scuro con la camicia bianca, faticava ad avanzare
con le scarpe e perciò le tolse. Gli andò incontro Giorgio, il nostro
e suo amico, che me lo presentò. Rimase a chiacchierare con noi
fino alla fine della serata. Aveva tatto e morbidezza, e si era facilmente inserito fra gli invitati reduci sulla spiaggia.
Quando decidemmo di fare il bagno provò a dissuadermi, l’acqua era fredda, si andava verso la notte, e io potevo risentirne. Ma
non ammettevo che, per la mia condizione, mi fossero precluse le
cose che amavo. Uscita dall’acqua svenni e fu proprio Alberto, da
medico, a soccorrermi e fu sempre lui, insieme a Carlo, a portarmi in ospedale. In macchina, mentre Carlo guidava inebetito e rabbioso, lui mi massaggiava i piedi e le braccia, non avevo più calore
dentro. Furono quei pochi istanti in cui il suo respiro era stato vici13
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nissimo, e io ne avevo aspirato la nicotina, a cambiare il percorso
stabilito. Un’attrazione potentissima verso il suo corpo, un desiderio incontrollato di aderirvi, e insieme la paura. In ospedale persi
il bambino, Carlo pianse tra le braccia di Giorgio, mentre Alberto
lo consolava dicendogli continuamente che ero una donna giovane, che avremmo potuto avere decine di figli. Ma così non sarebbe stato. Io uscii invece con uno strano e incontrollato umore, non
ero triste, mi sentivo rassegnata, in cuor mio persino sollevata, ma
badavo a non farlo capire a Carlo.
Alberto non lo avevo rivisto che dopo molti mesi, per caso ci eravamo incontrati in una libreria. Si era avvicinato lui e io avevo sussultato nel riconoscere quel tono basso profondo, roco, del fumatore. Era stato istintivo baciarlo sulla guancia, avvicinarmi il più
possibile, e si era ripetuta quell’attrazione densa di paura e anche
di vergogna, nel timore che avesse intuito i miei pensieri. Mi era
sembrato di balbettare e di tremare, dovevo aver perso il controllo. Ma lui era stato rapido, quasi disinteressato, frettoloso, ci eravamo scambiati il numero senza però mai telefonarci.
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