Istantanee di una vita felice

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Istantanee di una vita felice
ISTANTANEE DI UNA VITA FELICE
Ore 2.19.
Click.
- Inizio registrazione. Interrogatorio numero 1.
Sono le prime parole che Nico sente risvegliandosi. È legato mani e piedi a una sedia d’acciaio, posta al
centro di una sala completamente spoglia. Sui muri tracce d’umidità che sembrano essere lì da sempre.
Fatica a mettere a fuoco la scena, Nico. Gli sembra di dormire da un tempo lunghissimo, quasi non si
ricordasse più come si fa a stare svegli.
E in effetti, a parte il proprio nome, non ricorda assolutamente nulla.
- Cominciamo. Sai dirmi il tuo nome? Come ti chiami.
La voce che lo ha svegliato riprende a parlare ma Nico fatica a metterla a fuoco. Gli rimbomba nella testa
come un insieme di suoni senza senso.
- Sai dirmi il tuo nome? – ripete. Con fare calmo, voce piatta. Professionale, distaccato, non un’incrinatura di
impazienza. Una pura formalità da svolgere.
Nico vorrebbe rispondere, ma non ci riesce. Non ci riesce perché sulla bocca ha una striscia di spesso nastro
isolante grigio. Tutto ciò che gli esce è un verso indistinto.
- Non importa, tanto lo so già. Nicola Broni detto Nico, anni 36, residente a Milano in Via privata Assab
numero 2 – comincia a recitare come se stesse leggendo dei dati da un documento. E forse è davvero così.
- Lo sai perché sei qui, Nico?
No, non lo sa il perché. Però, seppur lentamente, sta riacquistando lucidità. Ora riesce a mettere a fuoco la
stanza intorno a sé. La sedia sulla quale è seduto.
Le fibbie di cuoio che lo tengono inchiodato mani e piedi.
- Chi cazzo sei? Dove sono? – vorrebbe urlare alla voce, ma i suoni escono ovattati e distorti.
Ora Nico ha paura. La lucidità, prendendo il sopravvento sulla chimica sonnolenza indotta, ha portato con sé
la terribile consapevolezza della prigionia.
Inizia a divincolarsi sulla sedia cercando di raccogliere le poche energie.
Urla Nico. Urla di lasciarlo andare. Chi cazzo sei, figlio di puttana? Fatti vedere!
La puntura sul collo lo sorprende da dietro.
Riesce appena a intravedere un camice bianco, poco prima di svenire di nuovo.
Ore 5.44.
Click.
-Inizio registrazione. Interrogatorio numero 2.
Il risveglio stavolta è meno brusco. Eppure si sente peggio. Ha tutti i muscoli indolenziti, non sente più le
estremità, la bocca è impastata.
- Ti sei calmato? Possiamo parlare?
Nico grugnisce qualcosa di incomprensibile verso la voce. Non ha la forza per fare altro. La dose extra di
tranquillanti di qualche ora prima avrebbe steso anche un elefante.
La voce riprende a parlare.
- Ricordi come sei arrivato qui? Ricordi qualcosa della tua vita precedente?
Vita precedente. È forse morto? Se è morto, questo è sicuramente l’inferno.
Non ricorda niente Nico. Niente di niente. La sua mente è un quaderno bianco senza nemmeno le righe.
Per la prima volta nella voce che lo sta interrogando si apre una crepa di disappunto. Appena accennata.
- Lascia che ti rinfreschi la memoria, allora.
Una luce fortissima illumina la stanza. Nico non riesce a tenere gli occhi aperti. Dura appena una decina di
secondi ma gli sembrano ore.
Quando li riapre, sul muro davanti a sé vede una fotografia. L’immagine è probabilmente generata da un
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proiettore posto alle sue spalle, di cui comunque non sente il caratteristico ronzio.
La fotografia ritrae una donna. Una bellissima donna sulla trentina, capelli lunghi neri. Occhiali dalla
montatura delicata mettono in risalto gli occhi verdi. Un sorriso appena accennato le forma due fossette sulle
guance.
- Conosci questa donna, Nico?
No, non la conosce. O almeno, non ricorda di conoscerla, né di averla mai vista. Dato irrilevante comunque,
visto la completa amnesia.
- So cosa pensi. Che magari la conosci ma che l’amnesia ti impedisce di ricordare chi sia. A proposito, la
memoria dovrebbe tornarti a breve. Sei contento?
La voce pronuncia questa frase come se Nico dovesse essere riconoscente per questo. La mancanza di un
ringraziamento, però, non sembra scoraggiarla più di tanto.
- Ma torniamo a noi. Vediamo se questa ti dice qualcosa.
Altra luce accecante.
Altra fotografia.
Stessa ragazza.
Solo che questa volta è morta.
Gli occhi verdi sono spalancati, fissi in uno sguardo vitreo, perso nel vuoto. Gli occhiali giacciono accanto
all’orecchio destro, le lenti frantumate.
La gola è tagliata da parte a parte con un’incisione netta, chirurgica. Del sangue fuoriesce dal profondo taglio
colorando completamente di rosso la parte inferiore del collo. Piccole goccioline sono rapprese all’altezza
del mento.
Nico fa un balzo sulla sedia. La paura e l’orrore si alternano nella sua mente ancora parzialmente ottenebrata
dai farmaci.
Sta per urlare qualcosa, ma la voce lo precede. Ha riacquistato l’inquietante tranquillità di poco prima.
- Nico, ti presento Margherita.
Come se fosse la cosa più naturale del mondo.
- Margherita è la donna che hai ucciso.
Ore 8.05.
Sono passate circa due ore dall’ultima frase pronunciata dalla voce. Una frase che ha squarciato in due l’aria
stantia della stanza conficcandosi nel cuore e nella mente di Nico. Non riesce, non può credere a ciò che ha
sentito. Non ha motivi per farlo: è prigioniero di un pazzo psicotico da Dio solo sa quante ore. Un pazzo che
gli ha cancellato la memoria e ora vuole accusarlo di un omicidio.
La memoria. Almeno quella ha fatto qualche progresso nelle ultime ore trascorse da solo, nella stanza
divenuta improvvisamente buia, illuminata solo dalla gigantesca foto della ragazza morta proiettata sulla
parete.
Negli ultimi minuti, non senza fatica, Nico è riuscito almeno a riappropriarsi del proprio passato. L’ultima
cosa che ricorda è di essersi addormentato nel proprio letto, come ogni sera, dopo una faticosa giornata di
lavoro passata a consegnare pacchi e lettere. Come sia arrivato, dove si trova ori e chi ce l’abbia portato
restano un mistero. Così come il motivo.
L’unica cosa che sa è che c’entra quella ragazza. Margherita, gli sembra di ricordare che si chiami. Prova una
fitta al cuore per quella vita giovane e bella spezzata in modo così brutale.
Quasi sicuramente l’ha uccisa lui, la voce, lo psicopatico che l’ha rapito e ora lo tiene prigioniero. E quasi
sicuramente lui è destinato a fare la stessa fine.
Ore 11.35.
Margherita al supermercato, in coda alla cassa con il carrello pieno.
Dissolvenza.
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Margherita mentre apre il portone di casa.
Dissolvenza.
Margherita a terra in un lago di sangue.
Dissolvenza.
Margherita in costume da bagno su una spiaggia esotica.
Dissolvenza.
Margherita mentre guida la sua Cinquecento color panna in mezzo al traffico.
Decine di foto di Margherita proiettate una dopo l’altra sul muro.
Da viva, da morta. Scena di vita quotidiana alternate a macabri particolari del suo corpo straziato.
Nico sente la testa scoppiare. Le palpebre sono pesantissime. Ha provato a chiuderle per dormire ma la stessa
luce fortissima e accecante di qualche ora prima glielo ha impedito.
Le foto non hanno smesso un attimo di scorrere.
Nico apre gli occhi e si ritrova seduto su una comoda poltrona di pelle. Si trova all’interno di una casa
arredata con cura. Ha qualcosa di familiare, ma per quanto si sforzi non riesce a ricordare cosa.
C’è un silenzio strano, irreale.
La finestra è aperta e dà sulla strada. È pieno giorno. Si sporge ma la strada sottostante è completamente
vuota. Nessun pedone né automobile. Le serrande dei negozi sono tutte abbassate.
Su un vecchio mobile in legno scuro sono allineate alcune foto. Avvicinandosi, però, si rende conto che le
cornici al loro interno non contengono niente. Solo un foglio bianco.
All’improvviso un rumore di vetri rotti proveniente dalla stanza a fianco attira la sua attenzione.
Seguendo un istinto più forte di lui, Nico apre la porta che divide il soggiorno da quella che, a giudicare dal
letto a due piazze che si intravede, deve essere la camera.
Sul pavimento un uomo con un passamontagna sta tenendo ferma una donna dai lunghi capelli neri. La
donna si dimena, tenta di liberarsi, persino di colpire il suo aguzzino.
Nico rimane immobile, paralizzato sulla porta. I due lottano sul pavimento e sembrano non far caso alla
presenza estranea che a pochi metri li sta fissando.
Dopo poco la donna smette di muoversi. Sotto di lei si allarga una macchia di liquido scuro.
L’assassino si gira verso Nico. In mano ha un taglierino completamente ricoperto dal sangue della ragazza.
Restano così, impietriti entrambi per pochi lunghi secondi. Ora l’uomo col passamontagna sembra accorgersi
di lui. Pare fissarlo negli occhi, ma è solo un attimo. Rivolge un breve sguardo alla vittima, poi con la mano
destra si sfila il passamontagna.
A Nico sembra di fissare in faccia il male assoluto. E la cosa più sconvolgente è che il male assoluto ha
esattamente le sue sembianze.
Ore 17.59
Click.
- Inizio registrazione. Interrogatorio numero 3.
Di nuovo la voce, dopo tanto tempo. Ha sempre lo stesso tono impersonale, asessuato, meccanico.
Nico prova a muovere le labbra. Il nastro che gli tappava la bocca è scomparso, portandosi via lo strato
superficiale di pelle intorno alle labbra, che ora, anche a causa della disidratazione, bruciano da morire.
Vorrebbe urlare con quanto fiato ha in corpo. Gridare al pazzo sequestratore di lasciarlo andare, che lui non
ha fatto niente, non ha ucciso nessuno, nemmeno la conosce questa Margherita.
Ma la voce lo precede.
- Ti è tornata la memoria? Ti ricordi di lei ora?
Il suo tono di voce è alterato. Ha perso la professionale impassibilità delle ore precedenti.
- Sei o non sei Nicola Broni detto Nico, anni 36, residente a Milano in Via privata Assab numero 2? Sei o
non sei l’assassino di Margherita? Devi confessare. Confessa.
3
Confessa.
Confessa.
La voce rimbomba nella stanza e nella testa di Nico.
Sul muro, ora, è proiettata la foto di una coppia felice.
All'altezza dell’angolo inferiore destro, una scritta fatta con un pennarello nero, appena sbavato.
Una calligrafia di donna, senza dubbio.
“Nico e Margherita. Luna di miele ‘05”.
Quasi non riesce a rendersi conto che la foto ritrae proprio lui. Gli sembra di guardare la vita di un altro, che
non riconosce. Qualcuno che gli fa una paura fottuta, anche di più della voce che lo tiene imprigionato.
Perché come in un folle domino ora tutte le sue certezze iniziano a sgretolarsi. Bene e male, fino a poco
prima separati da una linea netta, ora si stanno pericolosamente sovrapponendo e sono sempre più difficili da
distinguere.
Chi è davvero Nico Broni?
Quanto ricorda davvero della sua vita il Nico legato mani e piedi? Quanto è diverso dal Nico che sorride
felice nella fotografia sul muro, accanto alla sua Margherita? E quanto è diverso dall'assassino col taglierino
insanguinato del sogno di qualche ora prima? Perché era solo un sogno, vero?
La testa di Nico inizia a girare e a farsi pesante.
Le palpebre sono come macigni.
Abbassando gli occhi le ultime cose che riesce a vedere prima di perdere contatto col mondo sono l’anello
che stringe nella mano destra e tante piccole goccioline rosse che cadono ai suoi piedi.
Poi è solo buio.
Niente più fotografie proiettate sul muro, né luci accecanti.
Niente più voci.
Niente più sangue e dolore.
Tre giorni dopo.
La polizia irrompe nello scantinato con le pistole spianate.
La stanza illuminata da una piccola lampadina che pende dal soffitto rivela quello che tutti temevano. Su una
sedia posta al centro della stanza c’è il cadavere di un uomo in avanzato stato di decomposizione.
Il sangue rappreso in una pozza sotto la sedia ha origine da due lunghi tagli sui polsi. Il taglierino è
appoggiato sulle gambe divorate dai topi che ancora banchettano sul corpo.
- Che ne dice commissario? Caso chiuso?
Il commissario non risponde, si limita a scuotere la testa con una smorfia di disgusto e rassegnazione. La
puzza è insopportabile.
Si volta e risale le scale che portano all'appartamento proprio mentre la squadra del medico legale si appresta
a prendere possesso della scena.
Fa appena in tempo a vedere i barellieri che caricano sul camioncino del coroner un altro corpo, chiuso in un
sacco nero. Dalla camera da letto esce un giovane agente della Scientifica con un sacchetto di plastica in
mano, di quelli che si usano per catalogare le prove. Al suo interno ci sono un paio di occhiali con le lenti
frantumate. Una montatura nera delicata.
La ragazza li indossa in tutte le foto presenti nella casa.
Il commissario prende in mano una delle fotografie incorniciate che riempiono i muri della camera da letto.
“Nico e Margherita. Luna di miele ‘05”.
Sembrano così spensierati.
Ripensa al suo matrimonio. Un matrimonio come tanti. Felice agli occhi degli altri. Ma lo è davvero? O è
solo il raggiungimento di un equilibrio a dargli la sensazione che tutto vada bene?
Un equilibrio così fragile.
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Ripensa ad una foto che tiene sul comodino accanto al letto. Molto simile a quella.
Un brivido gli attraversa la schiena.
Senza pensarci estrae il cellulare dalla tasca della giacca e inizia a comporre il numero di casa.
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